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L'insegnamento della religione Cattolica nelle scuole - Diritto Ecclesiastico, Esercizi di Diritto Ecclesiastico

Principio di bilateralità, finanziamenti diretti e indiretti, insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.dell’insegnamento religioso nelle istituzioni d’istruzione pubblica è sempre stata un punto di battaglia che per tutta la sua storia, la chiesa ha condotto e rivendicato nei confronti del potere politico, in ogni area europea in cui aveva manifestato il suo diffondersi. Pur tuttavia in una società democratica e in uno stato laico quale identità del nostro ordinamento odiern

Tipologia: Esercizi

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ipazia
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Scarica L'insegnamento della religione Cattolica nelle scuole - Diritto Ecclesiastico e più Esercizi in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! Insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.: L’esigenza dell’insegnamento religioso nelle istituzioni d’istruzione pubblica è sempre stata un punto di battaglia che per tutta la sua storia, la chiesa ha condotto e rivendicato nei confronti del potere politico, in ogni area europea in cui aveva manifestato il suo diffondersi. Pur tuttavia in una società democratica e in uno stato laico quale identità del nostro ordinamento odierno pur tuttavia non può non mancare la concretizzazione del principio di non identificazione della pubblica amministrazione nei confronti di suddetto insegnamento. Del resto è manifestamente improponibile anche la concezione per cui è lo stesso insegnamento della religione a costituire uno dei modi attraverso cui può realizzarsi la libertà religiosa, non lasciando alcuno spazio a sospetti dinanzi la chiara posizione per la quale la libertà religiosa diverrebbe così frutto e pretesa del gruppo religioso più forte , nel nostro ordinamento odierno, al solo fattore religioso cattolico. Da parte sua del resto, innegabile risulta l’importanza della cultura religiosa all’interno della formazione dell’individuo, del cittadino, nelle sue formazioni materiali e spirituali. Questa definizione sembrerebbe così coprire una falsa aspettativa laica della società italiana dinanzi l’istruzione o più propriamente una partigiana identificazione della stessa Pubblica amministrazione nei confronti dell’insegnamento cattolico, sulla base prime giuridica e poi su premesse teologiche che rimandano inequivocabilmente al ruolo profondamente culturale e storico della realtà cattolica nell’evoluzione identitaria del nostro Paese. Così l’art9 del nuovo accordo si garantisce suddetto insegnamento in ogni ordine e grado delle scuole pubbliche italiane,fatta eccezione per le istituzione universitarie, in conformità, tanto ai principi della dottrina cattolica, quanto alla libertà di coscienza garantita agli alunni, da insegnanti che siano oggetto di nomina in intesa tra stato italiano e autorità ecclesiastiche (art5 Protocollo addizionale al nuovo accordo). Nelle scuole materne ed elementari gli insegnanti ogni anno, nel mese di marzo(nello stesso mese è possibile presentarne revoca) devono presentare domanda di disponibilità all’insegnamento della religione cattolica. L’elenco di tali docenti,sarà inviato dai direttori scolastici agli ordinari del luogo al fine di riceverne l’idoneità. Dovesse questa venire meno, sarà nominato un supplente. Nelle scuole medie invece le condizioni cambiano giacché l’insegnamento non è più affidato ad un maestro unico. In passato gli insegnati di religioni dovevano essere nominati dal provveditorato, previa l’idoneità dell’ordinario del luogo, senza un concorso. Questo sistema creava però una realtà non poco condannata dal dibattito politico giuridico, in quanto responsabile della precarietà lavorativa nonché di profondi danni economici, quali per esempio il mancato riconoscimento delle ferie retributive nel mese di luglio e agosto. Con disciplina legislativa del 2003 gli insegnanti di religione possono ricoprire tale ruolo mediante apposito concorso. L’elenco di qui redatto sarà inoltrato all’Ordinario del luogo, a sua volta obbligato alla scelta ditali insegnanti. Nel corso della propria nomina,tuttavia l’ordinario del luogo si riserverà la facoltà di revocare l’idoneità prima garantita qualora egli ritenesse non appropriato gli standard e parametri di insegnamento garantiti dal maestro. A differenza dunque delle altre discipline, la libertà di insegnamento è qui prescritta nei limiti specifichi identificati dalla dottrina cattolica. Nel caso in cui l’insegnamento non venga impartito da un insegnate della scuola, può essere affidato a sacerdoti, diaconi o chi fornito della Laurea specialistica in scienze per l’educazione nelle scuole materne o elementari oppure nondimeno da chi abbia ricevuto diploma da un istituto di scienze religioso. Nonostante è apodittico e giusto qualsiasi equivoco può nascere in una riflessione riportata a tele sistema, laddove del resto tale insegnamento sembrerebbe prima di tutto configgere con la necessaria autonomia e indipendenza in cui si pongono i due ordini, non manca anche qui la giurisprudenza della corte costituzionale che ha definito, nel quadro delle finalità educative garantite agli studenti, tale insegnamento come coerente con i principi laici di cui è affermazione il nostro ordinamento. Suddetta coerenza si ritrova, o meglio suppone, proprio in quella clausola di eccezione garantita alla libertà degli alunni o di quanti genitori liberamente, e senza alcun pregiudizio dalle istituzioni scolastiche, decidono di non avvalersi di tale insegnamento. Una laicità costruita, se così si vuol dire, nella sua accezione inversa, quando appunto si manifesta in una non-pretesa dello stato italiano all’adesione di determinate credenze. Fermo restando che indubbio è il principio di non identificazione cui la pubblica amministrazione si attiene dinanzi la realtà cattolica, dal quadro istituzionale a quello educativo. Ed in tale senso volge a chiave di lettura che dovrebbe mantenersi dell’art9 quando dovrebbe l’istituirsi di suddetto insegnamento in orari di attività scolastiche aggiuntive tali così da non rendere particolarmente difficile la scelta del non avvalersi di tale insegnamento. Riguardo al regime dunque della libera scelta, la corte costituzionale si è riservato una propria voce sentenziando che chi decida di non avvalersi dell’insegnamento cattolico, l’alternativa a tale situazione è una realtà di non obbligo, in quanto la previsione obbligatoria di altre materie alternative alla religione cattolica costituirebbe di fatto, nella forma e nella sostanza, motivo di discriminazione. Nonostante del resto appare antitetica o sorda la posizione della burocrazia politica sensibile dinanzi le preoccupanti voci del clero cattolico e nel loro timore di perdere l’effetto di controllo sociale sulle masse studentesche. Una indifferenza sottile che non si è fatta mancare neanche l’amministrazione scolastica al riguardo. Se è vero che l’insegnamento religioso è divenuto da facoltativo a opzionale, tutte le pretese si rivolgerebbero ad un presupposto legittimo di inquadramento negli orari scolastici in modo tale da non pregiudicare la scelta da intendersi. Vale a dirsi che sarebbe più che logico attendere l’insegnamento inserito all’inizio o al termine di una giornata scolastica. Pur tuttavia questa soluzione sembrerebbe idonea alle scuole medie e superiore, non quanto alle elementari dove la disciplina legislativa prevede un ammontare di ore settimanali pari a 27 ma col sottrarsi all’insegnamento religioso si toccherebbe l’illegittima quota di 25 ore. Violazione palese dell’art34 della Costituzione dove la garanzia dell’istruzione obbligatoria eguale per tutti è prima di tutto un diritto sociale. Allora svolgevano attività “meramente” commerciali. Sicchè del resto rimane intricata la questione dell’utilizzo del termine “meramente” in definire dei locali commerciali. Nell’attuale regime fiscale vengono esentati dal pagamento Ici attività commerciali connesse però a finalità di culto: scuole private case di cura, alberghi, ristoranti, foresterie appartenenti alle istituzioni cattoliche. Un vero e proprio catalogo di leggi ad personam che in un principio di tutta ragionevolezza hanno sollevato indignazioni atte ad essere presentate dinanzi i relativi organi comunitari. Dunque tra i finanziamenti indiretti vanno annoverati il l’esenzioni fiscali nonché i finanziamenti di competenza regionale che vengono riconosciute alle confessioni religiose in ragione di costruzione degli edifici di culto. Esenzioni previste anche sui trasferimenti patrimoniali a titolo gratuito dell’edificio di culto e dunque dell Invim ordinaria o delle imposte di registro e catastali. Imposta di registro dimezzata alla metà se edifici di culto poi rientrano negli immobili con interesse artistico. storico- archeologico)Regolamentato da appositi enti ecclesiastici ma con supporto dei relativi organi dell’ordinamento nazionale restano le posizione remunerative dei ministri di culto nonché le relative posizioni previdenziali.(gestione separata dell’Inps) Inoltre in ragione dei finanziamenti ricevuti le confessioni religiose sono tenute a presentare allo Stato italiano relazione annuali in cui vi si prevedono l’utilizzo di tali fondi e le relative spese fatte in ragione di esse. Gli operatori del settore non hanno esitato al rivolgere in ambito europeo le relative denunce riguardo l’illegittimità di tali aiuti statali che comprometterebbero la libera concorrenza. Principio di bilateralità: È indiscussa verità la consapevolezza che lo stato nel promuovere lo sviluppo nell’individuo della sua persona umana non può prescindere da quelle relazioni con le realtà confessionali in ottica di cooperazione reciproca. Una collaborazione che trova come univoca soluzione nella formula contrattualistica delle due volontà, l’una dello stato, l’altra della confessione religiosa, quand’anche proprio lo istituzionalizzare gli interessi e valori portatori del gruppo sociale potrebbero creare conflitti di interessi statuali. E la costituzione al riguardo, negli art7 e 8 individuano contenuto e confini del regime pattizio che regola i rapporti tra stato e chiese; sanciscono, oltre al principio di bilateralità che presiede alle relazioni tra stato e confessioni religiose, le forme tipiche e differenziate che la legislazione di derivazione patrizia deve assumere, nonché la rispettiva collocazione nella gerarchia delle fonti. Un preventivo accordo contrattualistico, che vincola entrambe le parti formalizzando come emblema legittimante la volontà bilaterale di entrambi le parti. Stesso criterio che invalida così la unilateralità nella modifica di predetti negoziati. Art 7, 2 comma: i rapporti S e C “sono regolati dai Patti lateranensi.. I Patti impegnavano lo stato sino al momento di una loro eventuale caducazione, ma soltanto a livello internazionale. Da un punto di vista interno, essi erano entrati a far parte dell’ordinamento in virtù della legge di esecuzione . Al pari di qualsiasi trattato internazionale, i Patti presentavano un duplice profilo giuridico: 1.internazionale: connesso al testo pattizio 2.interno: conseguente alla legge che vincolava in quanto legge dello stato i soggetti dell’ordinamento italiano. di qui le motivazioni delle scelte del costituente: la Repubblica intendeva assumere un impegno costituzionale al rispetto dei Patti, subordinando la loro modifica o al consenso della SS o al procedimento di revisione costituzionale. In questo modo, l’impegno internazionale, , assumeva rilievo costituzionale e lo stato italiano, per propria determinazione, si inibiva di abrogarli unilateralmente Art. 7: tre indirizzi interpretativi: 1. tesi della costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi: presto affermatasi e a lungo dominante. 2 elementi: l’art. 7 fa riferimento ai Patti e non ad un generico regime pattizio; letto al contrario, il 2 comma dello stesso articolo prevede che le modifiche unilaterali dei Patti possono essere deliberate soltanto con procedimento di revisione costituzionale. Si è,poi,osservato che nel nostro ordinamento non vi è norma modificabile con procedimento di revisione costituzionale che non sia vera e propria norma costituzionale. Se ne è dedotto che il richiamo ai patti è il riconoscimento di norme di rango costituzionale per tutte le disposizioni del Trattato e del Concordato lateranensi. Se ciò è vero, le disposizioni dei Patti hanno lo stesso valore e efficacia che avrebbero se fossero state incluse nella carta costituzionale o fossero state approvate da legge costituzionale. Le leggi di derivazione pattizia hanno mutato natura giuridica acquisendo la stessa forza delle norme costituzionali. Questa tesi è stata criticata perché forzando uno degli elementi presenti nell’articolo 7, ne ha trascurati altri (es. ove sussista il consenso delle parti, è sufficiente il procedimento ordinario ed è noto che non si dà norma costituzionale senza consenso…) 2. tesi della costituzionalizzazione del principio pattizio; con l’art. 7 è stato costituzionalizzato il principio concordatario nel senso che lo stato si sarebbe impegnato a non disciplinare con legge unilaterale le materie oggetto dei rapporti con la chiesa, così come individuate dai Patti. Il vincolo derivante dall’art. 7 è diretto esclusivamente al legislatore il quale sarebbe impegnato per dettato costituzionale a non più tornare ad una legislazione unilaterale di tipo separatista, fatta salva naturalmente una diversa volontà della maggioranza qualificata delle assemblee parlamentari. L’impegno alla bilateralità garantirebbe la sopravvivenza dei Patti che non potrebbero subire modifiche neanche parziali ad opera del legislatore. Natura giuridica delle disposizioni patrizie=norme ordinarie e quindi assoggettabili al sindacato di costituzionalità. 3.la contrapposizione tra queste 2 letture ha indotto parte della dottrina a percorrere un iter logico ancora diverso: tesi intermedie. Si è riconosciuto che col richiamo all’art. 7 è stata garantita ai Patti un’area di specialità nell’ordinamento, ma si è affermato che lo stato non poteva concedere alle norme pattizie prevalenza integrale sui principi costituzionali, essendo questi i nuovi principi ispiratori e i cardini dell’ordinamento statuale. I Patti sono per sé inidonei a derogare ai valori essenziali della costituzione ma lo stato è da parte sua vincolato al rispetto delle guarentigie peculiari assicurate con gli accordi del Laterano. Si è introdotto in sostanza un criterio flessibile di valutazione del rapporto tra concordato e costituzione, lasciando che sia l’interprete ad individuare di volta in volta il punto di equilibrio tra i principi e gli interessi in conflitto. Proprio a questo orientamento compromissorio si è ispirata la Corte Costituzionale quando, nel 1971, ha modificato la tradizionale interpretazione dell’art. 7 e ha ridefinito i rapporti tra norme di derivazione pattizia e norme costituzionali. La CorteCost Ha in primo luogo affermato che l’art. 7 della cost. ha innovato, da un punto di vista giuridico e in quanto norma di principio e di produzione giuridica, quanto alla posizione dei Patti nell’ordinamento, rispetto alla situazione preesistente il 47, ed ha in questo senso prodotto diritto. L’innovazione non è stata tale da elevare le singole disposizioni concordatarie al livello delle norme costituzionali, ma neanche si è limitata a dare forza costituzionale al cosiddetto principio pattizio. Ove si constati un contrasto tra norma concordataria e principi supremi dell’ordinamento costituzionale, sarà la prima a venir meno e a poter essere caducata per il tramite delle procedure proprie del giudizio di legittimità costituzionale: ciò in virtù del riconoscimento di cui al 1 comma dell’articolo 7 della posizione reciproca di indipendenza e di sovranità dei 2 enti. Quando, invece, il contrasto si palesi con una norma costituzionale che non integra un principio supremo, la relativa disposizione concordataria resisterà con una forza eguale a quella delle leggi costituzionali. In conclusione, la sentenza n. 30 del 1971 della CorteCost Ha introdotto una differenziazione tra norme costituzionali, affermando che soltanto quelle che esprimono, o dalle quali si desumono, principi supremi dell’ordinamento costituzionale prevalgono sulle norme di derivazione pattizia. Ed ha collocato queste ultime ad un livello superiore rispetto alle norme ordinarie ed analogo a quello proprio delle leggi costituzionali. Inevitabilmente, si è posto il problema della individuazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. La dottrina Ha creduto di individuarli tra “quelli che ispirano la Costituzione nel suo complesso, cioè qualificanti e basilari, come i precetti contenuti negli artt. 1,2,3”. La sentenza del 1971 ha compiuto un sensibile passo in avanti rispetto al precedente orientamento che equiparava le norme concordatarie alle norme costituzionali. Però, non si attenua l’impressione che la CorteCost sia stata ispirata da una prudenza politica non del tutto rispondente al contenuto dell’art. 7. In particolare, non è stata valutata adeguatamente la motivazione che sta alla base dell’inserimento nominativo dei Patti nella Costituzione. Il costituente ha ritenuto che ignorare la preesistenza di un patto complessivo tra S e C avrebbe indebolito l’impegno (che lo stato intendeva assumere per motivi storici e politici) di dare certezza e stabilità alle relazioni ecclesiastiche e al Art8: Il terzo comma dell’art. 8 ha esteso il principio della bilateralità alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, prevedendo che i rapporti dello stato con esse siano regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Da eccezione, il metodo pattizio è diventato regola. Storicamente, è chiaro l’intento risarcitorio nei confronti di quelle confessioni che in un passato anche recente hanno subito discriminazioni e limiti. A differenza del concordato, le intese non hanno precedenti nella tradizione italiana Le confessioni che stringeranno intese con l’ordinamento italiano saranno definiti come ordinamenti giuridici sì, ma derivati, in quando concepimento di un processo di auto qualificazione che l’ordinamento italiano attua nei loro confronti riconoscendoli, nella definizione, al pari del proprio ordinamento. È lo stato italiano infatti che attua e determina la le sfere d’azione delle stesse confessioni. Art8: non manca di presentare problemi 1.riguardo la natura giuridica della situazione in essa prevista( non esprime infatti la natura di atto esterno o interno in cui vadano classificate le intese preferendo così l’ultima accezione. Differenza che così si pone dinanzi la responsabilità del legislatore, non più sul piano internazionale e dunque esterno, come per il concordato. Problemi che trasmigrano anche nell’identificare l’intesa come diritto o semplice aspettativa. Secondo alcuni infatti sarebbe un diritto costituzionale di negoziazione con lo stato nel senso che nei confronti di tali confessione varrebbe un obbligo del governo e non già un potere discrezionale. Pur tuttavia non sembrerebbe questa il reale significato. E così il rifiuto del governo nello stipulare intese non presenterebbe profili di illegittimità costituzionale quando di responsabilità politica. Al contempo però non convince neanche l’argomentazione di quanti le qualificano come atti politici o assimilabili ai contratti di lavoro. Occorre così distinguere poi le intese amministrative che si definiscono come tali per il perseguimento di determinati specifici obiettivi come es:situazione previdenziale.) 2.identificazione reale dei soggetti( delle confessioni cioè che potrebbero o non potrebbero negoziare con lo stato. La decisione così sembra essere rimessa totalmente al governo e i criteri da individuare non possono essere altri che quelli relativi alla satibilità organizzativa, all’assetto istituzionale e alla partecipazione significativa in termini di numeri a tale confessione) 3.procedura per dare seguito all’iniziativa dell’intesa(oggi si ritiene necessario che tali procedure vadano inviate alla presidenza del consiglio, la quale la trasmette alla direzione generale affari dei culti. Il concludersi positivamente di questa fase crea poi l’inizio delle trattative. Il tutto poi sottoposto alla delibera del consiglio dei ministri. In tale clima di incertezze giuridiche non mancano poi delle vere e proprie confusioni o “errori” grossolani che lo stato incide nella stipula di intesa. Come la presenza di elementi simili in tutte le 8 intese quando diverse sono le esperienze delle confessioni, vedi le enormi somiglianze tra l’intesa coi testimoni di Geova e i buddisti. Riguardo la disciplina che comporta l’adozione dell’ intese, nel clima di incertezza in cui si pone tale strumento normativo, l’intesa abbisogna della legge di approvazione. Tuttavia forte è ormai è la consapevolezza che l’istituto delle intese è ormai superato dovendo questi ultimo così lasciare spazio ad una più generale legge sulle libertà religiose, eliminando così le perduranti contraddizione presenti nell’attuale sistema normativa, come la sopravvivenza della legge sui culti ammessi. Riguardo poi le intese paraconcordatarie questo si traducono nel nostro ordinamento in forma di regolamento, tramite decreto del presidente della repubblica. La legge ex art. 8 si colloca anch’essa tra le fonti atipiche, o tra le leggi rinforzate, nel senso che, pur restando soggetta al sindacato di costituzionalità in quanto legge ordinaria resiste a qualsiasi modifica, od abrogazione, ad opera del legislatore ordinario unilaterale. L’inevitabile parallelismo tra Concordato e Intese ha indotto alcuni autori a sottolineare la parità sostanziale tra gli strumenti pattizi di agli art. 7 e 8 ed ha suggerito ad altri di situare le Intese in un ambito esterno all’orientamento statale. L.D.
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