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L'isola degli schiavi (L'Île des esclaves), Marivaux, Scena 3 , traduzione P. Quintili, Versioni di Arte

L'isola degli schiavi (L'Île des esclaves), Marivaux, Scena 3 , traduzione P. Quintili

Tipologia: Versioni

2014/2015
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Caricato il 02/09/2015

Francesco.Marini
Francesco.Marini 🇮🇹

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Scarica L'isola degli schiavi (L'Île des esclaves), Marivaux, Scena 3 , traduzione P. Quintili e più Versioni in PDF di Arte solo su Docsity! 11 SCENA TERZA TRIVELLINO, CLEANTE (schiava), EUFROSINE (sua padrona). TRIVELLINO. Ah eccoti! Mia compatriota!... perché considero oramai la nostra isola come la vostra patria, ditemi anche voi il vostro nome. CLEANTE, salutando: Mi chiamo Cleante e lei, Eufrosine. TRIVELLINO. Cleante; passi, per questo. CLEANTE. Ho anche dei soprannomi; vi andrebbe di conoscerli ? TRIVELLINO. Si, certo. E quali sono? CLEANTE. Ne ho una lista: Sciocca, Ridicola, Bestia, Stupida, Imbecille, et caetera. EUFROSINE, sospirando. Impertinente che siete! CLEANTE. Sentite, sentite! Eccone un altro che dimenticavo. TRIVELLINO. In effetti, vi coglie sul fatto. Nel vostro paese, Eufrosine, si dicono subito delle ingiurie a coloro cui si possono dire impunemente. EUFROSINE. Ahimè! Che cosa volete che le risponda, nella strana avventura in cui mi trovo? CLEANTE. Oh! Signora, ora non è più così facile rispondermi. Una volta non c’era niente di più comodo, eh si, s’aveva a che fare solo con dei poveracci : occorrevano tante cerimonie? Fate questo, lo voglio; tacete, sciocca! Ed ecco, tutto finiva lì. Ma ora bisogna parlare con ragionevolezza; è una lingua straniera per la Signora; gliela insegneremo col tempo; bisogna aver pazienza: farò del mio meglio per farla 12 progredire. TRIVELLINO, a Cleante. Moderatevi, Eufrosine (A Eufrosine) e voi Cleante, non lasciatevi andare al vostro dolore. Non posso cambiare le nostre leggi, né liberarvene: vi ho mostrato quanto erano lodevoli e salutari per voi. CLEANTE. Uhm! M’ingannerà senz’altro, se migliora. TRIVELLINO. Ma siccome siete d’un sesso abbastanza debole per natura e dunque avete dovuto cedere più facilmente di un uomo agli esempi di altezzosità, di disprezzo e di durezza che vi sono stati dati, a casa vostra contro i loro simili, tutto quello che posso fare per voi è di pregare Eufrosine di guardare con bontà d’animo ai torti che voi avete verso di lei, al fine di soppesarli con giustizia. CLEANTE. Oh! sentite, tutto questo è troppo complicato per me, non ci capisco niente. Prenderemo la via più semplice, soppeserò come lei soppesava; quello che ne verrà, lo prenderemo. TRIVELLINO. Con calma, senza vendetta. CLEANTE. Ma, caro il nostro buon amico, in fin dei conti, parlate del suo sesso; lei ha il difetto di essere debole e io lo sono altrettanto. Sono donna; non possiedo la virtù di essere forte. Se occorre che io perdoni tutte le sue cattive maniere nei miei riguardi, occorrerà dunque che lei perdoni anche il mio rancore, quello che nutro verso di lei, perché io sono tanto quanto lei, donna: vediamo chi deciderà. Non sono io la padrona, una buona volta? Ebbene, che inizi subito lei con il perdonare il mio rancore; e poi, io gli perdonerò, quando potrò, ciò che lei mi ha fatto: che aspetti lei! EUFROSINE, a Trivellino: Che discorsi! Bisogna proprio che mi costringiate a sentirli? CLEANTE. Sopportateli, Signora, questo è il frutto delle vostre opere. TRIVELLINO. Andiamo, Eufrosine, moderatevi. 15 poveracci per noi. TRIVELLINO, a Eufrosine: Coraggio, Signora; approfittate di questo ritratto, perché mi sembra fedele. EUFROSINE. Non so in che stato mi sono ridotta. CLEANTE. Siete ai due terzi; e io finirò il lavoro, purché non vi annoi. TRIVELLINO. Coraggio! Terminate, terminate; la Signora sopporterà bene il resto. CLEANTE. Vi ricordate di quella sera in cui stavate così bene, insieme a quel cavaliere tanto ben fatto? Ero nella stanza; parlavate a bassa voce ; ma io ho l’orecchio fine: volevate piacergli senza far finta di niente; parlavate di una donna che lui vedeva spesso. Quella donna è gentile, dicevate; ha gli occhi piccoli, ma molto dolci; e a quel punto, voi aprivate i vostri, vi davate dei toni, colpi di testa, piccole contorsioni, frizzi. Io ridevo. Ci riusciste, tuttavia: il cavaliere s’innamorò; vi offrì il suo cuore. A me? Gli diceste. Sì, Signora, proprio a voi, a tutto ciò che c’è di più amabile al mondo. Continuate, pazzerello, continuate, gli dicevate, togliendovi i guanti con il pretesto di chiedermene degli altri. Ma voi avete la mano bella; lui la vide; la prese, la baciò; la cosa animò non poco la sua dichiarazione; ed erano quelli i guanti che chiedevate… Ebbene! Ci sono, è giusto ?... TRIVELLINO, a Eufrosine: In verità, ha ragione. CLEANTE. Ascoltate, ascoltate, ecco il più divertente. Un giorno che poteva sentirmi, e che credeva che io non lo sospettassi, parlavo di lei, e dicevo: “Oh! Per questo, bisogna riconoscerlo, la Signora è una delle più belle donne del mondo”. Quali bontà non mi fruttarono, per otto giorni, quelle paroline ! In un’occasione simile provai a dire che la Signora era una donna molto ragionevole: Oh! Là non ottenni niente, non attaccò ; ed era giusto, perché l'adulavo. EUFROSINE. Signore, non resterò un secondo di più. O mi dovrete far restare con la forza; non riesco a sopportare oltre. 16 TRIVELLINO. Ecco dunque, è abbastanza, per il momento. CLEANTE. Stavo per parlarvi dei vapori di smanceria, ai quali la Signora è soggetta al minimo odore. Lei non sa che un giorno misi, a sua insaputa, dei fiori nella rotellina del letto, per vedere che cosa sarebbe successo. Aspettavo che le venisse un vapore, e invece non veniva niente. L’indomani, in buona compagnia, apparve una rosa; e crac! Il vapore arriva. TRIVELLINO. Adesso basta, Eufrosine; andate un po’ a spasso, allontanatevi di qualche passo da noi, perché ho qualcosa da dirle; lei vi raggiungerà dopo. CLEANTE, andandosene : Raccomandatele di essere quanto meno un po’ docile. Addio, caro buon amico; vi ho divertito, ne sono lieta. Un’altra volta vi dirò come la Signora si astenga spesso dal mettere i begli abiti, per indossare un négligé che gli evidenzia dolcemente la figura. È un’altra finezza, quell’abito; si direbbe che una donna che lo indossi non si preoccupi di farsi vedere, ma di fronte ad altri! Ci si rinchiude in un corsetto appetitoso, si mostra la propria buona maniera naturale; si dice alla gente: “Guardate le mie grazie, sono le mie, quelle”; e d’altra parta, si vuol dir loro anche: “Vedete come mi vesto? con quale semplicità! Non c’è civetteria nei miei modi”. TRIVELLINO. Ma vi ho pregata di lasciarci. CLEANTE. Esco, e presto riprenderemo il discorso, che sarà molto divertente; perché vedrete anche come la Signora fa il suo ingresso in un palco, allo spettacolo, con quale enfasi, con che aria imponente, benché con un fare distratto e senza pensarci; perché è la bella educazione che dà quell’orgoglio. Vedrete come nel palco si getta un sguardo indifferente e sdegnoso alle donne che stanno lì accanto e che non si conoscono. Buona giornata, caro amico, vado al nostro albergo.