Scarica La comunicazione verbale e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! 1 LA COMUNICAZIONE VERBALE RIGOTTI - CICADA 1. LO SCAMBIO COMUNICATIVO 1.1 Un primo accostamento al concetto Il termine comunicazione viene dal latino communicatio che è il nome deverbale del verbo communico formato da: 1. cum = “con”, “assieme” 2. la radice munus = in latino ha due significati: • “dono” • “compito” (incarico) Il bene che passa da una mano all’altra in un atto comunicativo è il senso di quanto viene detto, che comporta in qualche misura un cambiamento del destinatario. Il bene crea implicazioni, obblighi, responsabilità; ES: - Risposte - Discrezione (nel caso di un segreto) - Trasmissione - “Dovere” di partecipazione (nel caso di una preoccupazione) Il verbo latino communico significava mettere in comune un bene di qualsiasi genere, una casa, una risorsa, ma anche una proposta, un sentimento, un pensiero, un segreto ecc. Anche il significato fondamentale di “comunicare” in italiano e in molte altre lingue moderne è quello di “mettere a disposizione di un altro” e questo come momento di uno scambio; c’è però una specificazione: quanto viene scambiato nella comunicazione non può essere un bene materiale, si deve trattare di segni che producono un senso. 1.2 Comunicazione, comunità e cultura La comunicazione permea e rende possibile tutta la convivenza umana, ma qual è il nesso tra comunità e comunicazione? Per prima cosa bisogna capire cosa s’intende con “comunità linguistica” e con cultura. 1) Comunità linguistica: • Secondo FERDINAND DE SAUSSURE, essa è costituita da tutta la “massa” di coloro che parlano la stessa lingua. • Secondo DELL HYMES questa visione di comunità linguistica è limitata. Egli infatti studia l’interazione comunicativa di comunità linguistiche concrete, in cui persone reali comunicano effettivamente, arrivando così a parlare di speech communities, cioè di “comunità di discorso”. Ma anche la sua visione è piuttosto limitata. C’è tra questi due termini una connessione: 2 • Recentemente si è posto al centro dell’indagine il testo in quanto interazione comunicativa tra persone. Mettendosi da questo punto di vista l’espressione “comunità linguistica” viene a indicare l’insieme di coloro che comunicano tra loro facendo uso di una o più lingue storico- naturali. 2) Cultura: Ci sono tre aspetti significativi per il “funzionamento” della comunicazione, evidenziati nella tradizione culturologica russa: • La cultura è l’insieme di informazioni non genetiche che passano attraverso le generazioni; • Cultura è la grammatica di una comunità, ossia una configurazione di sistemi segnici mediante i quali una comunità interpreta e comunica l’esperienza; • Una cultura è un insieme di testi, cioè di conoscenze e credenze, principi e valori, la cui condivisione condiziona l’appartenenza alla comunità. Tutte e tre le definizioni da una parte evidenziano aspetti costitutivi dell’identità comunitaria, dall’altra ne manifestano la natura comunicativa. La stessa tradizione russa evidenzia che la cultura non vive soltanto di identità, ma di differenze, di confini. In effetti, lo “scambio di beni” che si verifica nell’interazione comunicativa è tanto maggiore quanto maggiore è la diversità tra coloro che interagiscono (potenziale di arricchimento, ma anche rischio che la comunicazione non abbia successo perché diminuisce il “condiviso”, ossia il common ground1 che costituisce la base dello scambio). Quindi: 1. Solo se ci conosciamo la comunicazione è possibile 2. La comunicazione implica novità e presuppone quindi differenza fra la cultura del mittente e del destinatario. 1.3 Comunicazione e società civile La comunicazione sta a fondamento della convivenza umana. Un professionista della comunicazione (comunicazionista e non comunicatore) ha responsabilità di farsi carico della “buona salute” della comunicazione e di curarne le eventuali patologie e disfunzioni. Tale responsabilità è particolarmente rilevante in una comunità democratica, che si caratterizza proprio per il fatto che in essa l’unica forza legittimata è quella della parola. C’è una differenza tra: 1) Comunicatore → è, per esempio, il conduttore televisivo, il politico che sa trascinare dalla sua parte i cittadini, il maestro che spiega in modo efficace e piacevole. In lui la competenza comunicativa può essere quasi naturale. 2) Comunicazionista → è colui che ha una consapevolezza sistematica degli strumenti della comunicazione e che sa come devono essere usati perché la comunicazione sia efficace. 1.4 Comunicazione verbale e tradizione delle scienze linguistiche La comunicazione verbale nasce dall’incontro della tradizione delle scienze linguistiche con le scienze della comunicazione ed è lo studio della correlazione delle strutture del messaggio verbale o testo con la funzione comunicativa. 1 sfondo condiviso tra coloro che prendono parte a un’interazione comunicativa 5 Il modello di Jackobson ha due pregi importanti: 1. prende in considerazione una serie complessa di fattori 2. approfondisce la funzione specifica svolta dal messaggio in relazione ad ognuno di questi fattori Tuttavia, il ruolo essenziale dell’inferenza e l’importanza del contesto ai fini interpretativi non vengono considerati. 2.3 Il modello pragmatico2 La teoria degli atti linguistici JOHN AUSTIN porta a leggere la comunicazione verbale come vera e propria azione. Egli parte dall’osservazione di un fenomeno particolare: in alcuni casi, il fatto stesso di pronunciare una certa espressione produce un cambiamento nella situazione reale. ➢ Ad esempio, nella frase “lei è licenziato” oppure “ti prometto che verrò alla festa di Chiara” gli usi di licenziare e promettere sono, come gli chiama Austin, performativi. Egli amplia la sua osservazione dichiarando che ogni uso del linguaggio è “performativo”, nella misura in cui realizza un’azione che provoca un cambiamento nella realtà sociale. Ciascun atto linguistico comporta addirittura tre diverse “azioni”: 1. atto locutivo = l’atto stesso di parlare 2. atto illocutivo = il parlante intende compiere una precisa azione 3. atto perlocutivo = atto linguistico, azione che provoca un certo effetto sul destinatario JOHN SEARLE approfondisce il livello illocutivo di Austin identificando i diversi tipi di atti che il parlante può compiere mediante il linguaggio. NB: Bisogna osservare una certa continuità tra i modelli funzionalisti e questa prima fase della pragmatica, sia per quanto riguarda l’importanza attribuita agli interlocutori – che non sono semplici attivatori di messaggi, ma soggetti che agiscono nella realtà – sia per la rilevanza del messaggio (o testo), di cui si tiene presente il nesso con la realtà di riferimento. 2 Pragmatico: relativo all’attività pratica. 6 Parallelamente a Searle, la pragmatica si sviluppa con altri due contributi: 1. PAUL H. GRINCE osserva una dinamica fondamentale che riguarda l’atteggiamento reciproco dei parlanti, il principio di cooperazione. Egli mette a fuoco il fatto che, in ogni atto comunicativo, i parlanti tengono conto di una serie di requisiti – o “massime” – che rendono il messaggio comunicativamente adeguato: • Qualità - Non dire quel che ritieni falso - Non affermare cose di cui non hai prove • Quantità - Né poche, né troppe informazioni in un messaggio (a seconda dello scopo del concreto atto comunicativo a cui si sta partecipando) • Relazione - La comunicazione deve essere pertinente • Modo - Vanno evitate oscurità e ambiguità - Si devono perseguire brevità e ordine 2. Il modello di Grince viene precisato e ampliato dalla teoria della pertinenza di DAN SPERBER e DEIRDRE WILSON che sottolineano l’importanza del contesto per interpretare il messaggio verbale. Del contesto fanno parte i parlanti, le conoscenze che hanno e le conoscenze che uno presuppone che l’altro abbia. Tutti questi elementi guidano i processi inferenziali che costituiscono la componente fondamentale dell’evento comunicativo. Sperber e Wilson evidenziano l’efficacia di questi processi, che normalmente portano il destinatario ad inferire – a partire da un insieme di interpretazioni possibili – un unico senso che è esattamente quello inteso dal mittente, con un dispendio minimo di sforzo interpretativo. 2.4 Spiegazione del termine EVENTO COMUNICATIVO In che senso diciamo che l’atto comunicativo è un evento? Un evento è una qualsiasi cosa che ci accade e che ci tocca, ci cambia, ci muove. Quando un evento comunicativo si compie, esso produce un cambiamento nel destinatario e questo cambiamento è il “senso” dell’avvenuta comunicazione. 2.5 Uno scambio di segni che produce senso Gli “eventi comunicativi” sono quelli che producono gli esseri umani per comunicare ossia per trasmettere l’uno all’altro un messaggio portatore di un senso. La proprietà di produrre senso viene studiata dalla: 1. semiotica = scienza dei segni 2. linguistica = scienza dei segni verbali rispondono alla domanda “quali sono gli aspetti costitutivi, essenziali del messaggio?” 7 Nozione di senso = strettamente collegato con la nozione di ragionevolezza: un fatto “ha senso” quando ha un rapporto con la ragione. Per meglio capire cosa sia, è utile mettere a fuoco la distinzione tra: 1. notizia 2. informazione Riesco a comunicare davvero quando il destinatario si rende conto del fatto che quello che gli sto dicendo ha senso per lui. Il comunicatore seleziona e comunica solo alcune delle informazioni che costituiscono il suo “data-base del mondo”: quelle che ritiene pertinenti per il destinatario. 2.6 Comunicare è agire La comunicazione presuppone la partecipazione di almeno due soggetti ed è il mezzo cui un soggetto ricorre quando non è in grado di realizzare un suo desiderio da solo e cerca pertanto di coinvolgere altri soggetti. Per prima cosa è necessario capire la natura dell’azione. 1. COOPERAZIONE I due soggetti condividono lo scopo. Gli atti linguistici assumono la funzione di coordinare le azioni rispettive degli agenti, in modo da raggiungere l’obiettivo comune. 2. INTERAZIONE I due soggetti hanno obbiettivi complementari e si affidano uno all’altro per realizzarli. ➢ Es. Luigi vuole un caffè mentre passeggia in centro: entra in un bar, ordina un caffè, lo beve, passa alla cassa e paga. Gli agenti coinvolti sono diversi (Luigi, il barista, la cassiera) e partecipano all’evento interattivo, ciascuno realizzando obiettivi propri che però si integrano con gli obiettivi degli altri soggetti, consentendo anche questi ultimi di realizzare i propri desideri (come lo stipendio). 3. COMPETIZIONE L’azione di un soggetto interferisce con la catena di realizzazione di un altro. Gli agenti desiderano il medesimo bene che non può essere condiviso; in questo caso gli atti linguistici di ciascuno puntano a giustificare la preminenza della propria azione su quella degli altri. Un’informazione, per poter essere considerata una notizia, deve essere pertinente per il destinatario, cioè deve, in qualche misura riguardarlo. può essere rappresentata descrivendo il soggetto come agente, capace di iniziativa nella realtà, non solo dotato di una certa conoscenza del mondo ma anche di desideri; capace di immaginare stati di cose corrispondenti a tali desideri e di decidere di realizzarli. L’intensità del desiderio dice quante energie e quanto tempo il soggetto è disposto a mettere in gioco per realizzare il proprio fine. A questo punto ci sono diversi scenari possibili: L’agente è autonomo nella realizzazione del nuovo stato di cose. Es. Luigi è in casa e vuole un caffè: va in cucina e se lo fa L’agente non è autonomo nella realizzazione del nuovo stato di cose. 10 - Ma ti è scesa la voce? → prende in considerazione il senso dell’evento “enunciato e proferito da Giovanni” inteso come fatto fisico; - Bene, grazie. E tu? → lo ha inteso come fatto semiotico Quindi, un qualsiasi evento può essere: 1. considerato come un fatto in sé, per le implicazioni che uno ne trae • tutti i posti in biblioteca sono occupati, Silvia ne trae l’implicazione che deve andare altrove a cercare un posto per studiare 2. un evento convenzionale che ha un valore semiotico • un amico ha messo lo zaino sulla sedia di fianco alla propria: per gli altri significa che quel posto è occupato mentre per Silvia vuol dire che l’amico la sta aspettando per studiare insieme (in questo caso il significato dell’evento non dipende dalla sua natura: poteva mettere la giacca al posto dello zaino). La semiotica considera dunque i segni in generale, in tutte le possibili tipologie, mentre la linguistica si occupa di una classe di segni, quelli verbali. L’evento semiotico è delimitato da una cornice che sta ad indicare il confine tra oggetto semiotico e tutti gli oggetti non-semiotici (che stanno fuori dalla cornice e che costituiscono il mondo). La cornice indica un ambito di realtà entro la quale opera la semiosi: l’evento in essa contenuto è un evento semiotico che va interpretato. IL SEGNO COME INSTITUTUM DI UNA COMUNITÀ: LA CONVENZIONALITÀ La linguistica si occupa di messaggi verbali, il cui insieme costituisce il linguaggio verbale. Le lingue storico-naturali sono pertanto sistemi che consentono di formulare messaggi verbali, ossia sistemi semiotici segnici. Nota che, in realtà, non vi è nessuna connessione reale, naturale tra strategia di manifestazione e valore correlato (es. affittare = prendere o dare in affitto?); l’unica ragione per cui essa sussiste è la convenzionalità determinata dai parlanti. Si tratta, quindi, di una connessione arbitraria (lat. arbitrium, volontà, capacità di decidere) in quanto non sussiste alcuna motivazione per cui a un certo valore debba essere connessa una strategia (e viceversa). Tale connessione è valida all’interno del sistema linguistico italiano che è appunto un sistema convenuto/istituito. La connessione, tuttavia, è sì arbitraria, ma non casuale: è solo grazie a una larga e stabile condivisione dell’insieme delle correlazioni semiotiche dette complessivamente lingua italiana che ci capiamo. Nella correlazione semiotica si presenta un fenomeno particolarissimo: l’oggetto fisico che rappresenta la strategia di manifestazione (es. il suono di qualcuno che pronuncia albero) è un supporto materiale unico ed irripetibile. Anche se pronunciassimo mille volte albero, ogni atto sarebbe materialmente diverso da tutti perché le onde sonore prodotte sarebbero diverse ogni volta (se scriviamo, l’inchiostro sarebbe altro ecc.). Dunque, perché diciamo che si tratta sempre delle “stesse parole”? Perché ci rifacciamo all’identità funzionale, e non a quella fisica: il segno linguistico non è una realtà materiale, ma l’unione di due realtà immateriali, strategia di manifestazione e valore linguistico. N.B. L’oggetto linguistico è tale solo all’interno di un preciso sistema linguistico 11 ➢ albero è tale solo nel sistema linguistico italiano, in francese non è nulla Si arriva dunque a caratterizzare il linguaggio come insieme degli eventi comunicativi (messaggi) verbali, formulati grazie a un sistema segnico o semiotico specifico (una lingua storico-naturale). LA TRADUZIONE Ogni lingua proietta sull’esperienza, sul mondo, una rete interpretativa tutta sua. Tuttavia, la pratica della traduzione evidenzia la possibilità di “costruire” lo stesso senso avvalendosi di lingue diverse. Nella traduzione il traduttore interpreta il messaggio ponendosi come intermediario e “inoltra” il messaggio ai destinatari definitivi – che non hanno accesso diretto all’originale perché ne ignorano la lingua – implementando il senso nel sistema linguistico che essi conoscono. PERCHÉ SI PARLA DI LINGUE “STORICO-NATUTALI”? Il segno, come unione di significante e significato, nasce strutturalmente come sociale: si costituisce e funziona grazie al fatto che è usato da una comunità di parlanti, concreta, in cui ciascuno impara a parlare. La stabilità del rapporto semiotico di una lingua garantisce che la convenzione sia rispettata e che la comunicazione possa avvenire senza disturbi. Se per certi aspetti la lingua va distinta dalla cultura, per altri ne è un momento: in particolare lingua e cultura hanno la stessa modalità di trasmissione attraverso le generazioni. I SISTEMI SEMIOTICI VERBALI E NON VERBALI Il segno si realizza come oggetto, ma nessun segno è tale da solo: un oggetto può diventare segno se entra in alternativa con altri segni che dicono significati alternativi. Ciò permette di capire perché si parla di sistemi di segni, e non di segni e basta: i segni non sono mai isolati, rappresentano sempre un insieme di significati possibili in rapporto di esclusione l’uno con l’altro. I sistemi di segni sono basati sull’opposizione, ossia sulla diversità tra i segni che ne fanno parte. I sistemi semiotici possono essere: 1. non-verbali = non-linguistici Sistema di segni (o segnaletica) che prevede un determinato numero di posizioni, ciascuna delle quali corrisponde ad un messaggio prestabilito (es. la segnaletica stradale, i gradi militari, l’alfabeto Morse ecc.) In tutti questi sistemi vi è un rapporto biunivoco tra segni e messaggi: ossia, a ogni segnale corrisponde un solo messaggio e ad ogni messaggio un solo segnale (es. semaforo, luce verde: è il tuo turno, vai). Nei sistemi di segni non verbali, il numero di messaggi possibili è fisso: segni, significanti e significati possibili sono già previsti. Tale povertà è importante dal punto di vista funzionale della comunicazione, poiché fa diminuire il rischio di confusione. 2. verbali = linguistici Un sistema verbale naturale è invece un sistema segnico (o lingua), che si basa su corrispondenze semiotiche non biunivoche. Tali corrispondenze non possono quindi essere rigide come quelle dei sistemi non-verbali, poiché la funzione è quella di fornire ai parlanti una serie di strumenti espressivi che gli servono per costruire i messaggi. I messaggi, infatti, 12 non sono già previsti dal sistema ma vengono realizzati volta per volta dai parlanti e di conseguenza il numero di messaggi costruibili è virtualmente infinito. Dunque, le lingue sono “storico-naturali” perché: - Storico = sono vive nel tempo, subiscono un’evoluzione storica; - Naturali = sono un elemento naturale della vita dei singoli e delle comunità. A questo punto osserviamo che nel linguaggio verbale non operano solo le parole: la semiosi non esaurisce la comunicazione verbale, pur rappresentandone l’elemento caratterizzante. In effetti vi sono altri processi che intervengono nella produzione di un messaggio verbale: nelle lingue storico- naturali cooperano con la semiosi categoriale3, anche: • La deissi (o semiosi deittica); • L’inferenza; • L’ostensione; • Le soggettività implicate nell’evento comunicativo. 2.9 La Deissi Io, questo, adesso… sono deittici, ovvero parole che presentano la caratteristica di assumere valore in rapporto al contesto in cui vengono utilizzate, perché il loro significato effettivo non è dato dal sistema, ma corrisponde ad un elemento reale presente nel contesto della comunicazione. Il sistema definisce solo la classe a cui il deittico rimanda (temporali, spaziali ecc.) ma bisogna sapere da chi, dove, a chi, quando ecc. queste parole vengono utilizzate, in quanto esse operano in collaborazione con la situazione comunicativa e hanno la funzione di stabilire dei collegamenti precisi tra il discorso e la realtà in cui esso si svolge. La deissi funziona, dunque, nell’incontro del linguaggio con l’esperienza: i deittici hanno al loro interno una parte: 1. linguistica → collocandosi entro il procedimento semiotico: è necessario conoscere la lingua per capire i deittici. 2. esperienziale → la parte linguistica non basta: bisogna interpretare il deittico a seconda della situazione concreta del parlante che ne fa uso. I deittici sono quelle parole che a livello di semiosi non corrispondono ad un’idea (come capita in albero), ma ad un’istruzione, seguendo la quale identifichiamo un aspetto preciso del contesto. In generale, la deissi funziona grazie all’interazione linguaggio/realtà: è un momento del linguaggio in cui chi parla e chi ascolta si servono delle “cose che ci sono intorno” per produrre il senso. Le strutture deittiche sono numerose e appartengono a diverse classi. ➢ Es. Io ho dormito male: 1. IO = deittico personale 2. HO dormi-ITO = deittico temporale Dormire e male invece non sono deittici perché sappiamo cosa queste parole vogliono dire, indipendentemente dal contesto d’uso. Un tipo particolare di deittici sono i deittici testuali, con cui: - Riprendiamo i denotati, ossia i riferimenti reali, di segmenti di testo che precedono (es. Ho visto Chiara e le ho detto di si); 3 Strutture che sono dotate di un semantismo già nel sistema linguistico 15 3. PROBLEMI DI EPISTEMOLOGIA E DI METODO Con epistemologia si intende quel discorso scientifico che assume come proprio oggetto le scienze stesse per definire in rapporto a ciascuna, innanzitutto l’oggetto e i metodi, ma anche il linguaggio e i rapporti con le altre scienze. 3.1 Il discorso scientifico Il discorso scientifico deve essere: 1. RAZIONALE Un discorso scientifico, in quanto tale, dev’essere rigoroso e, per essere rigoroso, deve essere razionale, cioè esplicitare e controllare il proprio fondamento. Affinché si possa ritenere razionale, Louis Hjelmslev aggiunge tre requisiti: • Coerenza = assenza di contraddizioni interne; • Completezza = tutti i dati disponibili sull’oggetto devono essere effettivamente spiegati; • Semplicità = tra due teorie che hanno uguale potere esplicativo va preferita quella che chiede un minor numero di ipotesi esplicative. 2. RILEVANTE È rilevante scientificamente ciò che ha portata significativa per la conoscenza sistematica di un certo ambito della realtà. La conoscenza del particolare è scientificamente rilevante quando apre a conoscenze più generali che, spiegando i singoli dati, incrementano la nostra conoscenza sistematica della realtà. Il criterio di rilevanza va applicato caso per caso, verificando innanzitutto il rapporto tra il particolare ambito della realtà e il suo contesto: per essere adeguata all’oggetto un’ipotesi deve non solo mirare a cogliere gli aspetti più essenziali di quell’oggetto, ma deve anche mettere a fuoco la funzione dell’oggetto stesso rispetto a un contesto più vasto. Bisogna inoltre attuare una distinzione: • Rilevanza scientifica (per la scienza) • Rilevanza (sociale) di una scienza = la rilevanza in questo senso concerne ricerche mosse da un interesse non puramente scientifico: per domande del tipo “Come si può favorire il dialogo tra i popoli?” la rilevanza scientifica della scienza coincide con una grande utilità delle sue applicazioni per la promozione economico-sociale. 3.2 L’oggetto Nella caratterizzazione di una scienza è importante la definizione del suo oggetto, ossia dell’ambito della realtà di cui questa scienza si occupa. Vanno da subito distinti: 1. oggetto reale Per oggetto reale intendiamo un fatto che muove il nostro interesse conoscitivo e che noi problematizziamo e interroghiamo; è un fatto che si manifesta attraverso un insieme di dati. Nel nostro caso, l’oggetto reale è rappresentato dalla comunicazione verbale che si 16 caratterizza per essere un evento fisico, cioè un suono, portatore di un senso (un evento non- fisico). Il fatto del significare suscita la curiosità e poi lo sforzo esplicativo del linguista. 2. oggetto formale L’oggetto formale è il punto di vista particolare proprio di ciascuna scienza: la geometria, la sociologia, la psicologia, l’economia possono dire cose completamente diverse a proposito dello stesso oggetto reale, perché lo guardano ciascuna dal proprio punto di vista e ne considerano soltanto alcune caratteristiche. Possiamo dire che l‘oggetto formale è l’insieme delle risposte che un oggetto reale dà a un insieme particolare di domande, tipiche di una disciplina particolare. ➢ Se una scienza pretendesse di spiegare in modo esaustivo la totalità di un oggetto, si avrebbe una forma di riduzionismo: si fa riduzionismo quando si dimentica che l’oggetto reale è molto più complesso di quanto una singola scienza sia in grado di dirci. Non a caso nello studio della comunicazione è particolarmente importante l’interdisciplinarità, che rende più profonda la nostra conoscenza dell’oggetto reale. 3.3 I dati sono indizi Con dato intendiamo esattamente quello che ci è dato, quello che ci risulta dall’esperienza. L’esperienza ci interpella grazie alla sua “assurdità”: nel caso della comunicazione verbale, un insieme di interazioni comunicative verbali e di testi verbali sono composti da eventi fisici che attivano eventi mentali, e che a loro volta condizionano comportamenti individuali e sociali; nell’uomo sorge dunque la necessità di giustificare questa effettiva assurdità. In altre parole, la ragione assume i dati come indizi. La realtà non è indifferente agli occhi dello studioso: il dato viene valutato meglio quando è assunto come indizio a partire dal quale si può ricostruire il fatto nella sua interezza. ➢ Il collegamento razionale tra dato e fatto viene, in seguito, fornito dalla teoria scientifica. 3.4 Dati, ipotesi, esperimenti e teoria La scienza si incarica di costruire il collegamento razionale fra dato e fatto elaborando dei modelli, cioè delle rappresentazioni del fatto che lo descrivono e lo spiegano. Il modello deve rispettare il dato, nel senso che: • deve tenere conto di tutti i dati disponibili; • i dati devono diventare conseguenza logica del modello. Es. La disciplina della comunicazione verbale punta a costruire un modello per spiegare la correlazione tra l’evento che chiamiamo senso e l’evento materiale che veicola il senso. Quindi, il dato “controlla” la validità del modello e della teoria: se emerge qualcosa che contraddice l’ipotesi, questa fa sostituita o, almeno, riformulata. 17 Dal modello dipende anche il metodo di ciascuna scienza: a seconda della funzione del modello (conoscere l’oggetto, simularne il comportamento, intervenire sull’oggetto stesso, ecc.) i metodi messi in opera sono diversi. Dal punto di vista del metodo è rilevante l’esperimento: un procedimento di valutazione del modello, perché lo sottopone a una simulazione di funzionamento, per valutare il grado di adeguatezza dell’ipotesi formulata. 3.5 Scienze descrittive e scienze empirico-deduttive Per collocare la comunicazione verbale all’interno di un quadro epistemologico, cominciamo con il delineare gli aspetti fondamentali in base ai quali si classificano le scienze. Va fatta una prima distinzione fra scienze: 1. FORMALI = deduttive Per esempio, la matematica è certamente correlata con l’esperienza, in quanto ha importanti applicazioni empiriche e in quanto l’esperienza è fonte di intuizioni matematiche, ma la giustificazione del discorso matematico non si fonda sui dati dell’esperienza. Le scienze formali non hanno bisogno di verifiche empiriche e, di conseguenza, devono solo rispettare i requisiti di coerenza e semplicità 2. EMPIRICHE: • Descrittive = si limitano a raccogliere, ordinare e classificare i dati • Ipotetico-deduttive = puntano a formulare anche ipotesi da cui i dati siano deducibili. Questo tipo di sapere scientifico ci permette di intravedere, al di là dei dati, aspetti e dimensioni della realtà che si nascondono alla nostra osservazione, ma che sono la ragione di ciò che noi osserviamo. Quando si costruisce un’ipotesi, si trova il significato del particolare dentro a una totalità. Solo il fatto nel suo insieme dà la ragione del dato e consente di capirlo davvero, perché quel che si vede rimanda a quel che non si vede. 3.6 La natura del sistema linguistico Alla base del messaggio verbale si trovano le lingue storico-naturali, che creano correlazioni permanenti tra suoni e concetti. La lingua non è un dato perché non la si riscontra come esistente e osservabile in qualche luogo – è solo ipotizzabile nella mente dei parlanti. I dati linguistici con cui abbiamo a che fare sono gli eventi comunicativi verbali, che sono usi delle lingue, non le lingue stesse. Ma che cos’è allora una lingua? - Ogni lingua è un sistema segnico di cui si ipotizza l’esistenza nella mente dei parlanti per spiegare il comportamento linguistico di quei parlanti, che eseguendo certi suoni veicolano certi significati. La lingua, quindi, è astratta, come il modello di un’automobile disegnato al computer: non ha fili, non ha ruote, non ha tubi, ma solo istruzioni per assemblare i fili, le ruote e i tubi di un’auto; allo stesso modo la lingua è un sistema di correlazioni tra immagini di suoni e schemi concettuali, o anche tra ipotesi di suoni e ipotesi di pensieri. La lingua è un’organizzazione semantica mentale destinata a supportare i bisogni comunicativi all’interno di una certa comunità. 20 3. Entità nascoste o costrutti: questo tipo di ipotesi si formula partendo da indizi; non si tratta di quantificazione, né di un nuovo livello concettuale, ma addirittura di un essere che non si conosce. Esempi: • Luigi esce di casa, spegnendo la luce e chiudendo la porta a chiave. Tornato, trova la porta aperta e la luce accesa ed ipotizza che qualcuno, forse un ladro, possieda una copia e sia entrato a casa sua. • connettivi non manifestati In questo si ipotizza “qualcosa” (un connettivo) che deve essere presente per comprendere il senso di un testo: mio figlio non guida, ha quindici anni non presenta evidenti connettivi, ma potremmo chiaramente aggiungere infatti. In sintesi: - Generalizzazione: si estende a tutti quello che abbiamo visto essere di molti; - Astrazione: si mettono in luce proprietà nascoste o entità nascoste, partendo da indizi. Come nasce una teoria Per essere valida, una scienza deve essere in grado di spiegare tutti i dati: se in seguito anche un solo dato è in contraddizione con la teoria, allora questa è falsificata totalmente o sostituita, o in parte modificata. Ma una teoria non viene in pratica nemmeno totalmente falsificata, poiché è raramente costituita da un solo principio, ma dalla congiunzione di più proposizioni. Quando un dato è in contraddizione, lo può essere con alcune di esse di solito. Tendenzialmente, una teoria scientifica non può essere né totalmente verificata, né totalmente falsificata (c’è ragionevole certezza). 21 4. LINGUAGGIO E RAGIONE Si studiano ora gli strumenti, i procedimenti e le dinamiche della comunicazione verbale. 4.1 Il Logos Tendenzialmente, oggi la logica è intesa come scienza relativa ai processi di ragionamento, e non del linguaggio. Originariamente, però, il termine greco lògos presenta tre accezioni: 1. Discorso/parola/linguaggio (lat. oratio); 2. Ragione (lat. ratio); 3. Calcolo (uso speciale, ma tipico della ragione). La differenza tra le tre accezioni di logos è così marcata che possiamo parlare di concetti tra loro estranei e dunque puramente omonimi, oppure possiamo considerarlo un caso di polisemia? Omonimia e polisemia Distinguiamo espressioni omonime e polisemiche: • Gli omonimi sono parole con significante identico, ma diverso significato. - Es. fiera: mercato locale periodico; animale selvaggio. • Un caso di polisemia presenta, invece, presenta stesso significante e significati sensibilmente diversi, ma evidentemente imparentati. - Es. carta: carta dei diritti umani; carta di Fabriano ecc. In realtà da un lato, il linguaggio umano è permeato di ragione ma dall’altro, la ragione coincide per molti aspetti con il linguaggio (nota che tra ragione e calcolo vi è una polisemia: il calcolo è un uso particolare della ragione). Ma l’ipotesi vuole che anche tra ragione e discorso vi sia polisemia, quindi tra dimensione logica e dimensione linguistica non vi è, quindi, estraneità ma connessione. 4.2 I sensi come organi percettivi relativi a dimensioni particolari e la ragione come organo relativo alla realtà nel suo insieme Possiamo paragonare la ragione ai sensi, intesi come organi percettori: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. Ognuno svolge una funzione rilevante per il rapporto con la realtà, in quanto ci rapporta con un preciso aspetto di essa; analogamente possiamo parlare della ragione come organo del tutto che rapporta l’uomo con l’insieme dell’esperienza e della realtà. Questo rapporto è fortemente connesso con il linguaggio: senza di esso, è difficile rapportarsi ad altri e alle cose. Superiamo, quindi, una concezione cognitivista della mente umana, che la riduce a semplice calcolatore. La ragione ha una dimensione fortemente dinamica e, conseguentemente, umana: l’uomo acquisisce consapevolezza della realtà e automaticamente di sé all’interno di questa totalità, proprio grazie alla ragione. Gli aspetti che attestano la presenza della ragione nel linguaggio sono molteplici. 4.3 Platone e gli “intrecci” di nomi e verbi Gli antichi grammatici vedono la caratteristica del linguaggio umano nell’articolazione, nel senso che, ogni atto di comunicazione è considerato necessariamente “articolato” in se stesso, complesso, nato 22 da composizione. Tutto il linguaggio umano è toccato dall’articolazione. Possiamo, in realtà, distinguere tra: 1) Voci significative inarticolate umane e non (come il miagolio del gatto che vuole il latte, o il bambino che piange); 2) Voci significative articolate (l’enunciato: “il gatto miagola”). Per quanto riguarda il logos inteso come discorso, Platone osserva che non è fatto dalla semplice successione di elementi: gli elementi del testo devono essere legati insieme da una ragione, ci vuole un legame (spesso lasciato implicito, e ricostruito con inferenze dal destinatario). Egli paragona il testo al corpo umano, poiché è qualcosa quasi di vivente, costituito da testa, tronco ed estremità. Tale tematica della coesione si sviluppa anche con la scoperta della composizionalità: il fatto per cui il linguaggio umano non presenta solo singole espressioni linguistico-semiotiche, ma anche strutture composte, ottenute dall’unione di più strutture linguistiche che formano così un senso unitario e nuovo → non è la semplice somma degli elementi, è il legame tra questi. ➢ Es. - Treno e allontanarsi: non c’è un senso, solo somma di due elementi, nome e verbo. - Il treno si allontana: senso unitario La creatività linguistica è quella capacità che ci permette di costruire un numero praticamente infinito di messaggi (sensi) partendo da un numero finito di elementi. Ciò è descritto da Platone nel Sofista, attraverso un dialogo con uno Straniero. Il discorso nasce dalla combinazione significativa di espressioni significative, fondata sulla differenziazione semantica delle parole. Platone distingue: 1) VERBI = segni che si riferiscono alle azioni in senso lato (camminare, dormire); 2) NOMI = indicano coloro che compiono tali azioni; servono per far riferimento a una realtà Platone vede il discorso come un corpo che non può essere smembrato e che ha senso solo nella sua interezza perché è fatto di parti che sono fatte per stare l’una con l’altra: → verbi + nomi = azione + agente = modo d’essere + essere che può essere in quel modo Dunque, parlare sensatamente significa combinare concetti congrui fra loro: questa relazione è chiamata nesso predicativo-argomentale: 1) PREDICATI = i modi di essere 2) ARGOMENTI = gli esseri coinvolti in tali modi d’essere Pertanto, uno scambio di segni è un logos se attiva un nesso predicativo-argomentale. 4.4 Composizionalità e virtualità COMPOSIZIONALITÀ = combinazione significativa delle parole, cioè composizione di parole che produce senso. Nelle lingue storico-naturali, la composizionalità è gestita principalmente mediante la sintassi, che definisce le combinazioni ammesse e non. La composizionalità rivela che il linguaggio rispecchia la struttura della realtà: le parole sono diverse, nota Platone, poiché rispecchiano differenze nella realtà. Quindi, la combinazione dà origine alla rappresentazione di una realtà possibile: le strutture che creiamo attraverso la combinazione significativa costituiscono la dimensione di virtualità o potenzialità della ragione, che si contrappone all’attualità (essere effettivo) che si può solo accostare con una verifica nell’esperienza. 25 2. QUALITA’ DEGLI ARGOMENTI Ciascun posto argomentale ammette certi argomenti e ne esclude altri. - Es. il predicato monadico intelligente, ammette una grande varietà di argomenti (ragazza, libro, proposta, discorso, lavoro, cane…) ma non sarebbe assolutamente accettabile se associato a un argomento quale montagna. Un argomento è tipicamente un nome, ma la funzione argomentale può “nominalizzare” anche le strutture non nominali. Vediamo ora come è fatto “dentro” un argomento nominale: - Es. l’artigiano (x₁) dipinge (P) il tavolo Dipingere è un predicato diadico che seleziona: • nel primo posto argomentale un essere umano • nel secondo: ✓ un oggetto preesistente fisico e dotato di superfici (nel caso in cui abbia significato di verniciare) ✓ un progetto d’arte pittorica (nel caso in cui abbia significato di produrre un dipinto). Evidente è che negli argomenti si racchiude un significato, spesso complesso, che condiziona la congruità della struttura predicativo-argomentale. La qualità di un argomento è un plesso di predicati che caratterizzano l’entità che funge da argomento: - Es. Un uomo rise In questo caso, il nome uomo si riferisce a un essere caratterizzato dai predicati “umano” (U), “maschio” (M), “adulto” (A). Gli argomenti, dunque, “nascondono” predicati che hanno la funzione di caratterizzare gli argomenti, cioè di stabilire a che condizioni un’entità è di quel certo tipo. Nel nostro esempio si tratta di stabilire come deve essere un’entità qualsiasi – una x – per essere un uomo. L’argomento nominale dell’esempio precedente può quindi essere rappresentato in questo modo: x: Ux Mx Ax Un’ulteriore osservazione che merita di essere fatta nell’ambito della qualità degli argomenti è quella riguardante i determinanti, cioè tutte quelle espressioni che introducono un argomento e che permettono a quest’ultimo di fare presa sulla realtà. Noi li divideremo in tre gruppi: 1) INDEFINITI = un, qualche, parecchi, pochi, due, tre, ecc. → dicono l’esistenza di almeno una x che ha le caratteristiche che il testo enuncia. 2) DEFINITI = il, quello, codesto, ecc. → possono essere utilizzati solo se l’entità dell’argomento è nota all’interlocutore 3) UNIVERSALI = qualsiasi, tutti, ciascun, nessuno, ecc. → hanno in comune una pretesa di universalità. 26 3. ORDINE DEGLI ARGOMENTI Per capire la rilevanza dell’ordine degli argomenti consideriamo due predicati triadici evidentemente legati tra loro: dare e ricevere. Apparentemente la loro differenza sta nel fatto che, passando da dare a ricevere, il primo e il terzo argomento si scambiano fra loro: - Chiara (x₁) dà (P) un libro a Simone (x₂) - Simone (x₁) riceve (P’) un libro da Chiara (x₂) Le due strutture, pur presentandosi come largamente sinonimiche, presentano anche una differenza significativa: il diverso ordine degli argomenti risponde a una diversa prospettiva di lettura della situazione. Dare-ricevere, vendere-comperare, destra-sinistra, sotto-sopra… sono detti conversivi lessicali. Un altro strumento posseduto dalle lingue naturali rispetto all’ordine degli argomenti è il conversivo morfologico della diatesi passiva, ad esempio: - Marco ha aiutato Simone → Simone è stato aiutato da Marco Si badi al fatto che l’ordine degli argomenti è un concetto diverso rispetto all’ordine delle parole. L’ordine degli argomenti indica la rappresentazione semantica, che può trovare poi diverse manifestazioni nell’organizzazione concreta dell’enunciato. Per esempio, La mamma promette lo skateboard a Pietro è diverso da A Pietro la mamma promette lo skateboard: quel che è cambiato è l’ordine delle parole ma non degli argomenti 4. CAMPO D’AZIONE DEL PREDICATO - Es. Non leggo più questo libro per divertirmi. Il messaggio è ambiguo, potendo significare: 1) che da adesso in poi il parlante leggerà questo libro con scopi diversi dal divertimento 2) che sospende la lettura del libro per darsi al divertimento L’ambiguità è dovuta ai due diversi campi d’azione su cui investe il predicato monadico non: in un caso assume come proprio argomento per (divertirmi), nell’altro leggo (questo libro). 5. IMPLICAZIONI DEL PREDICATO - Es. Andrea ha costruito una casa Costruire è un predicato che pone su x₂ l’implicazione di non-esistenza, ma se il costruire ha luogo, implica altresì che x₂ cominci a esistere e che sia stata per questo necessaria una lunga serie di operazioni che vanno dall’acquisto del terreno, al progetto, alla sua approvazione, ecc.. Il contenuto vero e proprio di un predicato è costituito dalle sue implicazioni, ossia da tutto ciò che ha luogo se il predicato è vero. Quando tali condizioni sono rispettate, e solo allora, il testo risulta congruo e, pertanto, sensato. 27 4.7 Senso, non-senso, controsenso Secondo quanto constatato fin ora, il senso testuale nasce esclusivamente dalla combinazione congrua di predicati e argomenti. La lesione della congruità comporta un’opacità (totale) del senso: il destinatario, nel caso in cui gli elementi combinati non sono fatti per stare insieme, non è in alcun modo in grado di recuperare il discorso. - Es: la gioia cammina Questo fenomeno è stato chiamato non-senso; dal un punto di vista comunicativo, se c’è un non- senso non c’è testo. Da qui nasce una dinamica tipica della comunicazione: quando il testo pare insensato, il destinatario “fa di tutto” per recuperarne la sensatezza (aspetto rilevato da Grice nelle massime della comunicazione). Il controsenso, invece, nasce dalla lesione della coerenza: non comporta che il testo non esista, ma che nasca un testo contraddittorio. La contraddizione è “dicibile”, il non-senso no. Si può intervenire ed eliminare la contraddizione, mentre l’incongruità non può essere corretta. Nella contraddizione l’incoerenza è esplicita perché qualcosa viene affermato e negato contemporaneamente; nell’incongruità, invece, non viene affermato né negato nulla. 4.8 Contraddizione e coerenza Va ora chiarito un concetto chiave nella storia del pensiero scientifico cui lo stesso Aristotele ha de dedicato approfondite analisi: ➢ Dimostrare = far vedere la verità di un’affermazione (che in se stessa non è immediatamente evidente), facendo discendere la verità di questa affermazione dalla verità di un’altra (evidente o già dimostrata) attraverso l’inferenza. Non tutto, però, può e deve essere dimostrato: ci sono cose evidenti, davanti alle quali non occorre dimostrare. Nella scienza l’evidenza occupa un posto rilevante: ogni scienza, partendo proprio da questa, pone alcuni principi – gli assiomi – che rappresentano l’insieme dei principi formali che la scienza non mette più in discussione, ma che assume come punto di partenza. L’evidenza fondamentale su cui si basa la conoscenza umana è il principio di non contraddizione (pnc), strettamente connesso al linguaggio, per cui una cosa non può essere e non essere, nello stesso tempo e nel medesimo aspetto. - Es. Luigi ha una bici nera, quel che non può essere è che la bici sia allo stesso tempo nera e non nera. È possibile che in certi punti la bici abbia delle scritte rosse, quindi allo stesso tempo, ma non sotto il medesimo aspetto, la bici è nera e non nera. Non potrà mai essere nera e non nera nello stesso punto della sua superficie e nel medesimo istante. Aristotele, che per primo ha formulato il principio della non contraddizione, sostiene che abbia validità assoluta e universale ed è talmente “primitivo” da non poter essere dimostrato. Si può al limite confutare (ossia far emergere che una certa posizione è in sé contraddittoria e pertanto insostenibile) chi cerchi di negarlo. Allo stesso modo la coerenza è una qualità irrinunciabile del discorso. Ciò non significa che non esistano discorsi incoerenti o contraddittori, ma il comunicare stesso è un implicito impegno a sanare 30 Proprio nel momento in cui un particolare viene a imporsi come totalità, ad esempio, la comunicazione diviene manipolazione. Fa dimenticare al destinatario che è impossibile esaurire quel che si potrebbe/dovrebbe dire, e che questo già lo manipola; lo induce, inoltre, a confondere quel particolare con tutto quel che sarebbe bene sapere: la comunicazione diventa parziale e quindi fuorviante (Es. agenda setting dei telegiornali). Ecco dunque che il principio di coerenza non basta contro la manipolazione, perché la selezione manipolatoria degli argomenti non è di per sé confrontabile con un insieme di menzogne. 31 5. LE STRUTTURE INTERMEDIE I testi della comunicazione verbale sono eventi semiotici che si incaricano di trasmettere un senso. Il linguista, quando inizia a lavorare, ha a disposizione un insieme di testi, non “la lingua”: la lingua come tale, allo stato puro, non esiste. 5.1 La lingua, sapere non saputo Il dato di partenza per lo studio della lingua è il corpus dei testi prodotti in quella lingua, perché il parlante “sa” una lingua in quanto “la sa usare”. Non si tratta di un sapere esplicito, piuttosto di un sapere non saputo. “Sapere il significato” di una parola, per esempio, non equivale a saperne fare l’analisi semantica: nel caso di due parole italiane come gara e partita, ogni parlante italofono saprebbe usare con la giusta distinzione questi due sostantivi nel linguaggio applicato, ma difficilmente sarebbe in grado di spiegare perché non si possono liberamente alternare. La conoscenza semantica della lingua è un sapere diverso da quello che possediamo quando, ad esempio, affermiamo di “sapere come si chiama la via di fianco all’università”: quest’ultimo è un segmento di conoscenza inserito nel nostro database; ma il primo tipo di conoscenza si attiva nel momento in cui la si usa concretamente nel parlare. Il parlante “sa” la lingua in quanto “la sa usare”: sa dire quando l’uso di una parola che conosce è corretto o meno e riconosce se un’espressione ha significato o no. Inoltre, la lingua ha una particolare dimensione psichica: non c’è da nessuna parte, nemmeno nella conoscenza immediata dei parlanti, perché noi non pensiamo continuamente i segni che conosciamo. Strutture e procedimenti della lingua vengono attivati nel momento in cui li si usa concretamente nel parlare. 5.2 Quali sono le strutture intermedie Immaginiamo la lingua come un laboratorio per produrre messaggi verbali, all’interno del quale ci sono una serie di reparti in ciascuno dei quali si elaborano, in base a precisi modelli, determinati tipi di componenti. I componenti sono le strutture intermedie. Ora, le classi fondamentali delle strutture intermedie nelle lingue storico-naturali sono cinque: 1) LESSICO lessico di una lingua è costituito da parole, ma essendo il termine “parola” polisemico (ci sono, infatti, parole che si presentano sotto forme diverse e altre che sono invece sempre identiche a se stesse), noi lo sostituiremo per evitare ambiguità con il termine più preciso lessema che può essere: • Variabile (Es. splendere, splende, splendeva, splenderete…) • Invariabile (Es. oggi, spesso, quando, perché…). Vale universalmente che tutte le lingue sono fatte di lessemi: la funzione di nominazione è una delle funzioni fondamentali del linguaggio. Ci serviamo di lessemi per nominare cose, persone, proprietà, eventi, rapporti tra le cose e così via. Il lessico è fondato dai parlanti e deriva dalle loro possibilità di esperienza. Ogni sistema linguistico, tuttavia, si fonda anche su una grammatica cioè, all’incirca, le regole per usare le parole. La grammatica si suddivide a sua volta in: 32 2) SINTASSI è l’insieme delle regole per ottenere combinazioni significative di lessemi, ed è un aspetto universale del linguaggio perché è un fatto universale che i testi siano originati per composizionalità da una combinazione di parole tale da produrre significato. 3) MORFOLOGIA Non è universalmente presente (non esiste per esempio nel cinese o nel vietnamita, dette lingue isolanti). La morfologia, nei sistemi linguistici in cui esiste, riguarda solo i lessemi variabili, come i verbi. - Es. Il verbo solleviamo presenta una parte stabile (la radice, sollev-) e una parte variabile (-iamo), che altrove può assumere forme diverse (-ato, -ai, -asti, -ammo…). I lessemi variabili sono, perciò, chiamati morfemi. 4) L’ORDINE DELLE PAROLE In un enunciato come “Luigi ha salutato Pietro” possiamo capire chi compie l’azione e chi la subisce solo grazie all’ordine delle parole. Possiamo quindi capire che in italiano, come in altre lingue, l’ordine delle parole è importante per stabilire funzioni sintattiche. 5) L’INTONAZIONE È l’insieme dei fenomeni sovrasegmentali o prosodici che sono utilizzati per manifestare diverse dimensioni del contenuto. Se in italiano, ad esempio, diciamo “Giovanni si diverte con questo libro?”, è grazie all’intonazione che sarà interpretato come interrogativo e non come dichiarativo. Nella comunicazione l’intonazione svolge una funzione rilevante, spesso più di quella della sintassi: ha la funzione di dare il “significato generale” del testo. È una strategia dominante: basti pensare all’ironia, che attraverso l’intonazione capovolge il senso del messaggio. LESSICO SINTASSI ORDINE DELLE PAROLE INTONAZIONE MORFOLOGIA Sono presenti in tutte le lingue È assente dalle lingue isolanti Svolgono funzioni largamente universali Svolgono funzioni sensibilmente diverse da lingua a lingua 35 TESTI LINGUA SENSI E qui la “traduzione” non è garantita da una funzione biunivoca che lega significati e significanti, perché ciascun senso può dare origine a molteplici testi e, viceversa, ciascun testo può avere molteplici sensi. → Il linguista IGOR MEL’CUK, definisce quindi la lingua una funzione multi-multivoca tra i sensi e i testi. Si parla infatti di strutture “intermedie” perché i segni linguistici si trovano a metà strada tra il suono e il senso. Le strutture linguistiche sono intermedie anche in rapporto alla preferenzialità: se le consideriamo in astratto, cioè come strumento predisposto per costruire testi, possiamo notare che si tratta non di un insieme amorfo di segni, e nemmeno in un semplice “sistema” di elementi, bensì di strutture già predisposte per certi usi (la desinenza -a per il femminile ad esempio): questo tuttavia non comporta una predeterminazione del senso da parte della lingua, proprio perché i valori assegnati alle strategie di manifestazione possono essere diversi e viceversa, vi possono essere più strategie atte a manifestare un valore. Il carattere intermedio delle strutture linguistiche è particolarmente marcato nei casi in cui la funzione della struttura non è immediatamente semantica. Paradigma e libertà Nella concezione strutturalista il parlante realizza il suo discorso scegliendo entro il paradigma offerto dal sistema, alcuni elementi e disponendoli insieme (nel sintagma) secondo le regole date dal sistema stesso. Se il compito del parlante fosse tutto qui, egli potrebbe essere considerato responsabile del senso del discorso solo in una parte minima. La responsabilità risulta essere piuttosto del sistema: i testi sono sensati a priori, perché sono quelli previsti dalla struttura; un testo non è altro che un possibile stato di macchina. Se le cose stessero così, la libertà del parlante in quanto parlante consisterebbe solo nello scegliere una combinazione precostituita piuttosto che un’altra, perché tutte le combinazioni possibili sono comunque virtualmente già calcolate a partire dal sistema. In effetti lo strutturalismo presenta un paradosso e come conseguenza un disagio, in quanto impone l’assunzione decisamente contraria alla nostra percezione, che non siamo noi a parlare e che prendiamo in prestito dal sistema tutto quel che diciamo. Resta aperto, inoltre, il problema dell’origine del sistema: la lingua non è venuta dal nulla. È quindi decisivo stabilire se il sistema linguistico è deterministico o flessibile, esaminando la sua organizzazione, se come abbiamo visto, il sistema linguistico presenta il carattere della flessibilità, diventa impensabile che il senso venga generato dal sistema, perché occorre una strategia che adatti gli elementi del sistema alle concrete circostanze ed esigenze espressive di ciascun contesto di discorso. Inoltre, il vero segno linguistico non è la singola parola né l’elemento significativo (come diceva Saussure), ma il testo nel suo insieme, all’interno ciascuna delle parole, anzi ciascuna delle strutture linguistiche, assume un valore particolare. Dal Novecento quindi il sistema linguistico non viene più inteso come generatore delle espressioni linguistiche, ma come strumento che il parlante usa per costruire il proprio senso. Questa nuova concezione porta a ripensare la socialità umana, non più come massa, ma come modalità di convivenza e di interazione tra soggetti. 36 Dopo aver presentato i tratti che caratterizzano i vari livelli del sistema linguistico, possiamo descrivere più in dettaglio ciascuno dei “reparti” di elaborazione del messaggio. Infatti, sebbene la lingua non possa essere considerata un generatore di testi, una serie di livelli linguistici si lasciano agevolmente trattare, per alcuni importanti aspetti, come generatori. Il lessico genera le unità lessicali (direttamente, se si tratta di lessemi invariabili, mentre i lessemi variabili devono passare attraverso la morfologia): le forme di parola così ottenute costituiscono i sintagmi minimi. Questi poi vengono elaborati nella sintassi dando luogo a sintagmi complessi e frasi. All’uscita del generatore sintattico troviamo gli enunciati: e siamo già nelle strategie testuali. 37 6. LE RISORSE COMUNICATIVE DEL LESSICO Il lessico è la componente più immediatamente riconoscibile del sistema linguistico, quella in cui il rapporto semiotico tra manifestazione e funzione si lascia cogliere nel modo più immediato. Vediamo ora i diversi usi e valori del termine parola: 1. AUTORIZZAZIONE A PARLARE IN UN’ASSEMBLEA 2. CAPACITA’, FACOLTA’ DI PARLARE 3. PAROLA COME MANIFESTAZIONE DELLA “FIDES” 4. LESSEMA, OSSIA LA PAROLA CHE SI TROVA SUL VOCABOLARIO 5. FORMA DI PAROLA (Es. Dormiamo, dormissero…) 6. SINTAGMA MINIMO → Quando per esempio si afferma che il proverbio Chiodo scaccia chiodo “è fatto di tre parole”, non si intende parlare di tre lessemi (i lessemi usati sono soltanto due!), ma di tre sintagmi minimi. In questo capitolo ci incentriamo sui valori che emergono in 4, 5 e 6. 6.1 La parola Una prima definizione di parola è quella di parola fonologica, intesa come segmento dotato di autonomia articolatoria: un segmento prima e dopo il quale si possono collocare ragionevolmente delle pause del discorso in modo naturale (mentre non è naturale una pausa del tipo Giusep-pe, oppure Dobbiamo parlar-ci). Una parola fonologica è caratterizzata da: 1. Autonomia articolatoria; 2. Accento proprio; 3. Rispetto delle regole fonotattiche previste in ciascun sistema linguistico. La parola fonologica non va confusa con la parola ortografica, delimitata o da spazi vuoti o da segni d’interpunzione. Sono queste le parole che si possono contare (Es. nel proverbio Chiodo scaccia chiodo troviamo tre parole ortografiche). Questa prima definizione mette a fuoco la strategia di manifestazione fisica della parola. Ma torniamo ora al valore di parola come lessema. Considerando: - aiuterei, aiutavano, aiutasse, aiuteresti, aiutò… → osserviamo che nel vocabolario queste espressioni sono riconducibili allo stesso lessema, “aiutare”. Anche “aiutare” è, di per sé, una delle possibili forme che il lessema assume, ma nel sistema linguistico italiano è convenzionalmente riconosciuto come la forma di quotazione di questo lessema. Consideriamo in effetti il concetto di forma di parola. Esistono lessemi invariabili (che si presentano in ogni caso nella stessa forma) come gli avverbi, e lessemi variabili come i verbi o gli aggettivi: - Es. Bello, bella, bellissimi sono “tre parole diverse” nel senso che presentano diverse forme del medesimo lessema. Questi primi valori mettono a fuoco il linguaggio e il suo uso 40 6.3 I processi di formazione LA DERIVAZIONE: È un procedimento che, applicato ad un lessema di qualsiasi classe o sottoclasse, fa ottenere nella generalità dei casi un lessema di una classe o sottoclasse diversa. Distinguiamo i derivati in base al loro processo di formazione, ossia indicando la classe di arrivo (quella del lessema strutturato) e la classe di partenza (la classe del lessema di base): BASE DERIVATO TIPO Isola Muro Isolare Murare Verbo denominale Arrivare Partire Mangiare Arrivo Partenza Mangiata Nome deverbale Bello Amico Bellezza Amicizia Nome deaggettivale Verde Zitto Verdeggiare Zittire Verbo deaggettivale Casa Danno Casalingo Dannoso Aggettivo denominale Amare Amabile Aggettivo deverbale Dolce Allegro Dolcemente Allegramente Avverbio deaggettivale Posta Latte Gomito Postino Lattaio Gomitata Nome denominale Qualunque Qualunquismo Nome depronominale Il gruppo dei nomi deverbali si suddivide in: 1) nomi dell’agente – nomina agentis (scrittore, scrivano, scriba, con i rispettivi femminili) 2) nomi dell’azione (scrittura, scritto, scritta, lettura, lavoro, costruzione, partenza…) 3) nomi del luogo (scrittoio e scrivania, lavatoio, dormitorio…). A livello di strategia di manifestazione il processo di derivazione si avvale per lo più di suffissi. La derivazione tuttavia può avvenire anche senza l’aggiunta di un formativo concreto. Questo fenomeno chiamato, suffisso zero, si vede molto bene in inglese, in quanto abbiamo paper che da to paper, ok che da to ok… Nella derivazione è importante considerare infine il comportamento semantico dei lessemi nel processo derivativo. Spesso il semantismo resta invariato. Per esempio, i nomina agentis di comprare e vendere (compratore e venditore) non modificano il significato delle loro basi se non per la specificazione dovuta al tipo di derivazione. Tuttavia, la derivazione comporta spesso varie modificazioni nel significato del lessema di base. Possiamo parlare in questi casi di derivazione semanticamente marcata: mangiare > mangiata / dormire > dormita. Non si tratta di semplici nomi deverbali, in quanto essi specificano e arricchiscono il significato del verbo da cui derivano in due sensi: indicato “un singolo atto di…” e sottolineano che questo è marcato per durata, intensità e incidenza esperienziale. 41 LA COMPOSIZIONE: È quel processo di formazione lessicale che crea un nuovo lessema fondendo insieme due basi (due lessemi elementari), oppure un prefisso e una base. La costruzione sintattica che sta all’origine è ricostruibile in base al senso: i composti sintattici possono trasparire più o meno chiaramente nel composto. Vediamo dapprima i casi più frequenti della composizione BASE+BASE, considerando la frequente formazione verbo+nome: essa designa talvolta un agente o uno strumento attraverso l’esplicitazione dell’azione e del suo oggetto. Il risultato è in effetti di solito un nome. Es: - Apriscatole → strumento per aprire le scatole - Contagocce → strumento per contare le gocce - Cavatappi → strumento per cavare i tappi - Stendibiancheria → strumento per stendere la biancheria - Lanciafiamme → strumento per lanciare fiamme - Guastafeste → persona che guasta le feste La formazione nome+nome indica generalmente una specificazione e può dare origine tanto a un nome quanto a un aggettivo. Es: • NOMI - Capoufficio → persona a capo di un ufficio - Capostazione → persona a capo di una stazione - Ferrovia → via fatta di ferro - Autostrada → strada per le auto • AGGETTIVI - Cuneiforme → a forma di cuneo - Filiforme → a forma di filo Il costrutto aggettivo+nome è decisamente trasparente: il risultato è un nome. Es: - Buonumore, buontempone, malumore, buonsenso, bassopiano, altopiano, bassorilievo, altorilievo… Troviamo lessemi composti di avverbio+participio, che possono dare origine a aggettivi o a nomi. Es: • AGGETTIVI: benvenuto, bneamato, maleodorante, menpensante • NOMI: maltolto, altoparlante, telescrivente Nella generalità dei casi, la composizione base+base non comporta l’aggiunta di suffisso. Vediamo ora il secondo tipo di composto, formato da PREFISSO+BASE. I prefissi più frequenti sono: ad, in-, con-, de-, abs-, ri-, tra-, es-, sub-. Le composizioni di prefisso+nome e prefisso+agettivo formano un primo gruppo dal quale derivano numerosi verbi; questo tipo di formazione è chiamata “formazione parasintetica”. Es: • Prefisso+nome → verbo allagare, incoraggiare, depistare, traboccare, ricordare… • Prefisso+aggettivo → verbo ingiallire, impallidire, dimagrire, intossicare, abbassare… 42 Possiamo avere anche composti formati da prefisso+nome che danno luogo a nomi e aggettivi: • NOMI - pregiudizio, anteguerra, avanguardia… • AGGETTIVI - prenatalizio, filogovernativo, interplanetario… Ci sono poi lessemi composti da prefisso+aggettivo che danno aggettivi. Es: - disumano, incredibile, metalinguistico… Il composto prefisso+participio. Es: - incompleto, previdente, derelitto, ipovedente, deodorante… Infine, il composto prefisso+verbo dà origine a verbi. Es: - apportare, importare, asportare, comportare, trasportare… NB. Va osservato che diversi lessemi composti sono costituiti a partire da lessemi latenti ➢ Es: con-durre = prefisso con- e lessema *durre (dal latino ducere = guidare) LA COMBINAZIONE: È il procedimento di formazione del lessico dato dalla semplice giustapposizione di due lessemi appartenenti alla stessa classe del lessico, tra i quali si stabilisce un rapporto di tipo attributivo. Un aspetto tipico della combinazione è che le due basi vengono percepite come ancora abbastanza distinte: nella grafia, i due elementi possono essere congiunti (anche dal trait d’union) o meno. Qualche esempio di combinati nome+nome: - bambino prodigio, asilo nido, uomo ragno, giocoforza, formicaleone, zanzara tigre… Il plurale di questi sostantivi si forma generalmente variando solo il primo termine, mentre nelle combinazioni aggettivali aggettivo+aggettivo il plurale si manifesta nel secondo componente (Es: agrodolce → agrodolci). I lessemi formati da verbo+verbo danno origine a sostantivi; i due verbi sono solitamente di significato opposto (dormiveglia, saliscendi, bagnasciuga, parapiglia), oppure identici (fuggi fuggi, lecca-lecca, pigia pigia). L’ALTERAZIONE: Servendosi di un suffisso, non modifica l’appartenenza del lessema a una determinata classe del lessico, ma ne modifica il significato secondo categorie standard. In italiano esistono: 1) DIMINUTIVI - cas-in-a / asin-ell-o / libr-ett-o / piccol-in-o / salt-ell-are… 2) VEZZEGGIATIVI - car-ucci-o / ors-ett-in-o 3) ACCRESCITIVI - om-on-e / donn-on-e / cas-on-e / libr-on-e / fontan-on-e … 4) PEGGIORATIVI, DISPREGIATIVI - post-acci-o / verd-astr-o / avvocat- uncol-o 45 6.5 All’uscita del componente lessicale Confrontando l’ingresso del nostro generatore con l’uscita, notiamo che in uscita non troviamo più né i lessemi formativi né quelli latenti; questi sono infatti materiali lessicali non autonomi, ma che servono per costruire i processi di strutturazione. All’uscita compaiono quindi i lessemi canonici (strutturati ed elementari) e i fraseologismi. I lessemi canonici hanno destinazioni diverse: quelli invariabili vanno direttamente verso il componente sintattico, quelli variabili devono prima passare attraverso il componente morfologico che specificherà le loro forme secondo la classe cui appartengono. Tra gli uni e gli altri sono presenti molte differenze: possono: • essere parole o “semiparole” (clitici) • presentare una struttura semanticamente marcata o neutra • possedere una semantica basata sulla composizionalità o sulla motivazione • avere tratti semantici molto diversi, al tempo stesso importanti e sfuggenti, a seconda delle classi e sottoclassi a cui appartengono. 46 7. LA MORFOLOGIA 7.1 Lessico e morfologia La morfologia è una struttura intermedia che opera in diretta correlazione con il lessico; come quest’ultimo, anche la morfologia è una struttura intermedia della prima articolazione. Come struttura intermedia, anche la morfologia elabora strutture che sono caratterizzate da: - molteplicità di funzioni (polisemia) - molteplicità di strategie manifestate (varianza) - preferenzialità su ambedue i piani - endolinguisticità Come le altre strutture intermedie anche la morfologia costituisce un “reparto di produzione” attivando il quale il soggetto parlante elabora il proprio testo per suoi determinati aspetti. Compito specifico della morfologia è quello di trasformare il lessema variabile in forma di parola, ossia in sintagma minimo. La morfologia studia le diverse strategie di manifestazione della forma di parola fornite dal sistema linguistico, nonché il rapporto tra queste strategie di manifestazione e le funzioni sintattiche e semantiche che esse possono assumere. Nei lessemi variabili la forma di parola presenta un componente lessicale e un componente morfologico. Nell’infinito del verbo in alcune lingue europee, questi componenti si articolano così: • Italiano: cant-are • Francese: chant-er • Tedesco: sing-en • Spagnolo: cant-ar • Inglese: to sing Anche la morfologia intesa come un reparto di produzione, presenta strutture in ingresso e in uscita. 47 La forma di parola si costituisce in questo modo: il lessema variabile entra nella morfologia. In base alla classe del lessico di cui fa parte, il lessema deve caratterizzarsi obbligatoriamente secondo certe categorie e non altre, assumendo entro ciascuna di queste una delle alternative (dette morfemi) che questa prevede (per esempio il nome deve caratterizzarsi secondo la categoria del numero, assumendo il morfema del singolare/plurale, ma non deve caratterizzarsi secondo la categoria del tempo, come invece avviene per il verbo). L’assunzione di un determinato morfema comporta l’attivazione del morfo (è la strategia di manifestazione di una o più morfemi, cioè quello che vede e sento) che lo manifesta, cui corrispondono strategie di manifestazioni e funzioni di diversi tipo di cui il morfema è portatore. In uscita abbiamo dunque la forma di parola pronta ad entrare, in quanto sintagma minimo, nel reparto della sintassi insieme ai lessemi non variabili. Lessico e morfologia presentano notevoli diversità: 1) Il lessema è trasparente rispetto al significato: giardin-, anche pronunciato da solo comunica un suo significato, mentre il suo componente morfologico -o da solo non comunica nulla. 2) Le classi del lessico contengono un numero di lessemi tendenzialmente ampio, mentre le categorie morfematiche presentano comunque un numero di morfemi chiuso e ristretto. La morfologia è un sistema chiuso e molto sistematico, mentre il lessico è un sistema aperto e flessibile. 3) Il lessico evolve celermente senza stravolgere il sistema linguistico, mentre nella morfologia i cambiamenti sono più rari e più lenti e comportano trasformazioni radicali del sistema linguistico nel suo insieme. 7.2 Morfologia e tipologia delle lingue L’opposizione presenza/assenza caratterizza fortemente i sistemi linguistici. Ma anche nei sistemi che possiedono una morfologia, l’organizzazione di questa sul piano delle strategie di manifestazione e delle funzioni risulta significativa per la tipologia Consideriamo la manifestazione dei morfemi nella forma di parola cant-iamo: 1. Genere verbale 2. Diatesi attiva 3. Modo indicativo 4. Tempo presente 5. Numero plurale 6. Prima persona Tutti questi morfemi sono manifestati dal morfo –iamo, che è una forma compatta, non ulteriormente scomponibile in elementi significativi. Una manifestazione morfologica di questo tipo si chiama amalgama morfematico. Analizziamo invece le forme dell’imperfetto indicativo italiano: cant-av-o Il componente lessematico coincide anche qui con cant-; il componente morfologico lascia distinguere due parti: la parte finale che indica persona e numero, e la parte che la precede -av- che indica l’imperfetto. Le due parti sono da considerare due distinti morfi. Nel primo caso di cant-iamo tutti i morfemi sono amalgamati in un unico morfo (perché il manifestante morfologico non è ulteriormente scomponibile) con un processo flessionale, nel 50 2. L’AMALGAMA MORFEMICO Amalgama morfematico: è un morfo che manifesta più di un morfema (per esempio nel verbo cant-a, in -a sono rappresentati tutti i numerosi morfemi che caratterizzano questa forma). Nelle lingue flessive, l’amalgama è il morfo tipico. 3. IL SINCRETISMO Il sincretismo è un tipo particolare di omonimia a livello morfologico, per cui morfemi diversi della stessa categoria morfematica ricevono la stessa manifestazione. Come dice l’etimologia greca della parola, nel sincretismo due o più morfi vengono “confusi”, diventando indistinguibili. Si tratta di una mancata distinzione delle opposizioni entro la stessa categoria. Per esempio, nel congiuntivo presente italiano: - che io ved-a - che tu ved-a - che egli ved-a i morfi della 1°, 2° e 3° persona singolare non presentano alcuna differenza sul piano fonologico. Si dice che le tre forme siano sincretiche rispetto alla persona. Invece nel caso di forme di parola come canta, che può essere 3° persona singolare dell’indicativo presente o 2° persona singolare dell’imperativo, non si tratta di sincretismo, ma semplicemente di omonimia. In casi di sincretismo, come del resto anche per gli altri tipi di omonimia morfologica, bisogna ricorrere ai diversi livelli del cotesto e al contesto per individuare la forma di parola. In generale la distinzione viene recuperata tramite un processo di disambiguazione, ossia mediante un’inferenza (un ragionamento) con cui cancelliamo le interpretazioni del morfo non compatibili con il cotesto o con il contesto. Tutte le strutture intermedie possono essere utilizzate per la disambiguazione livello morfologico. Per esempio, in Spero che Luigi mi ascolti è chiaro che la persona è la 3° perché lo si evince dalla costruzione sintattica. La ridondanza La ridondanza è la ripetizione di un segnale. Consideriamo l’enunciato francese: - Toutes les chattes sont heureuses de manger du fromage. In questo esempio compaiono ben cinque segnali che indicano il plurale, cioè vengono manifestati cinque morfemi del plurale: c’è un evidente ridondanza che, peraltro, nell’orale viene drasticamente ridotta. Ma la ridondanza riguarda anche altri livelli, semantici e pragmatici, e prende in questo caso il nome di tautologia. Enunciati come: - I bambini sono più giovani degli adulti - Le montagne sono più in alto delle pianure non dicono niente di nuovo e rischiano di essere percepiti come insensati. In effetti, una delle missioni della comunicazione è quella di apportare “notizie” all’interlocutore, cioè dire qualcosa di nuovo e catturare la sua attenzione. La presenza eccessiva di ridondanza semantica rende il messaggio noioso. Se la 51 ridondanza è portata all’eccesso, l’interlocutore cerca un motivo nascosto che dia senso al messaggio. 4. IL MORFO DISCONTINUO Si tratta di un manifestante morfologico che si realizza in modo discontinuo, prima e dopo il lessema. Per esempio, in italiano: - hai cant-ato diatesi attiva, modo indicativo, tempo passato prossimo, numero singolare e 2° persona sono manifestati in amalgama dal morfo discontinuo hai …-ato. Non è un fenomeno costante in tutte le lingue: a quello che in italiano è un morfo discontinuo può corrispondere, per esempio in latino, un morfo continuo (sono lodato → laudor). Il morfo discontinuo può coinvolgere più di una parola fonologica; anche in questo caso si costituisce un’unica forma di parola. Es: - era stata raccontata è un’unica forma di parola formata da tre parole fonologiche (la parte in grassetto indica il componente morfologico; la parte in corsivo indica il lessema). Gli ausiliari sono strutture linguistiche che, usate autonomamente, sono di natura lessicale, ma svolgono in questo caso una precisa funzione morfologica. 5. IL SUPPLETIVISMO MORFOLOGICO Consideriamo due forme del verbo italiano essere come sono e fui: per noi è naturale che si tratti dello stesso verbo, ma tra sono e fui non c’è nemmeno un fonema in comune. Come possono essere forme della stessa parola? Il suppletivismo morfologico è il fenomeno per cui si utilizzano significanti lessematici totalmente diversi per lo stesso lessema, in determinate forme di parola. 6. L’ALLOMORFIA C’è allomorfìa quando lo stesso morfema si può manifestare in modi diversi, cioè quando più morfi diversi rappresentano lo stesso morfema. Per esempio, in italiano il morfema del modo verbale infinito ha quattro manifestazioni diverse: - cant-are - légg-ere - vol-ére - dorm-ire In tutti questi casi non c’è libertà di scegliere un morfo piuttosto che un altro, in quanto si tratta di varianza contestualmente legata: dipende dal lessema. Il morfema in effetti può manifestarsi in svariati modi a seconda dei lessemi. Si può manifestare attraverso desinenze, ma si manifesta spesso con modificazioni della vocale del lessema, dette apofonie. Es: - I break → I broke - je vois → je vus 52 7.8 funzioni dei morfemi: morfemi intrinseci (semantici) ed estrinseci (sintattici) A proposito dello stretto rapporto tra lessico e morfologia abbiamo già visto la differenza fondamentale tra lessemi con significato categoriale (casa, albero, camminare…) e i deittici, che veicolano non veri e propri significati, ma istruzioni per identificare momenti e aspetti del contesto comunicativo (io, tu, adesso, questo…). Va qui osservato che i morfemi possono veicolare due tipi di informazioni: informazioni sintattiche e informazioni semantiche. Esaminiamo un’espressione come person-a buon-a: il morfo –a di persona e il morfo –a di buona sono equivalenti? Non lo sono, perché il singolare del sostantivo ha un valore semantico proprio: dice che si sta parlando di una singola persona. In questo caso il morfema del numero è semantico o intrinseco. Passando al morfo –a di buona, vediamo invece che il singolare non ha la funzione di indicare “una sola bontà”, ma quella di indicare il nesso sintattico che lega l’aggettivo al sostantivo. Questo morfema è pertanto sintattico o estrinseco. Il morfema estrinseco, a differenza di quello intrinseco, serve per comunicare una concordanza sintattica, non un modo d’essere. Nel caso dei morfemi sintattici il valore semantico della morfologia non è immediatamente disponibile, ma è mediato. 7.9 Gli ornitorinchi del sistema linguistico ovvero nota sui morfemi Nel classificare gli oggetti è frequente che si presentino dei casi dubbi, in cui un’entità ha contemporaneamente caratteristiche tipiche di classi diverse. Risulta allora utile pensare alla classe delle strutture lessicali e all’insieme delle strutture morfologiche come intersecantesi: nell’intersezione tra i due si trovano i cosiddetti morfolessemi. Tra i casi tipici di morfolessema ci sono: 1) gli articoli: sono “parole” in quanto dotati di una propria autonomia articolatoria, ma in realtà non sono in grado di figurare in un testo senza i sostantivi cui si riferiscono. Inoltre gli articoli sono totalmente “scomponibili” in una serie di informazioni morfologiche, tolte le quali, della parola non resta letteralmente nulla. Es: - L’articolo determinativo il, manifesta tre morfemi appartenenti ad altrettante categorie morfologiche: è maschile (genere), singolare (numero) e determinato (determinatezza/indeterminatezza). Di questi, i primi due sono morfemi estrinseci (dipendono dal nome e segnalano la concordanza), mentre il terzo è intrinseco (indica immediatamente l’appartenenza del referente al mondo condiviso o l’uso categoriale del sintagma nominale). Non si può però isolare una parte lessicale e una parte morfologica all’interno della forma di parola il, che si esaurisce in un certo senso nella manifestazione in amalgama dei tre morfemi: parliamo dunque di morfolessema. 2) Il verbalizzatore essere nei contesti in cui la sua unica funzione è quella di manifestare il nesso tra una proprietà (il predicato biondo) e il suo argomento (Luigi) che coincide con il soggetto sintattico. Vediamo la differenza tra: - Luigi è biondo - Luigi è a Napoli → il valore è qui propriamente verbale – essere significa trovarsi – e pertanto si tratta di una forma di parola del lessema essere, non di una forma di un morfolessema. 55 in italiano, ohi, ahimè, ah, evviva, urrah… Si tratta di espressioni estremamente povere sul piano semantico che esprimono essenzialmente emozioni o delle combinazioni di emozioni. Sono strutture che fatichiamo a chiamare parole, perché si collocano al confine tra semiosi verbale ed espressività. Il termine interiezione (dal latino intericio) mette a fuoco il fatto che tali espressioni sono sintatticamente estranee al testo in cui occorrono e vi vengono inserite interrompendo il discorso, quasi frammettendovi il commento dell’emotività. Da un punto di vista sintattico sono affini agli incisi. 56 9. DALLA STRUTTURA SINTATTICA ALL’ORGANIZZAZIONE TESTUALE La nozione di gerarchia dei predicati è importante per la comprensione della struttura testuale. Predicati come non, forse, nervosamente, se, perché… richiedono argomenti di natura predicativa, istituendo così una gerarchia tra predicati, alcuni di rango superiore e altri di rango inferiore. Consideriamo il seguente enunciato: Andrea non ha finito il lavoro perché l’ha chiamato Giovanni Il predicato diadico perché esprime una relazione di causalità tra due argomenti, “Andrea non ha finito il lavoro” (x₁) e “Giovanni l’ha chiamato” (x₂). Ciascuno dei due argomenti nasconde a sua volta una struttura predicativo argomentale. “Andrea non ha finito il lavoro” è dominato dal predicato monadico non, il cui argomento “Andrea ha finito il lavoro” è ancora un altro predicato diadico (finire); “Giovanni l’ha chiamato” è dominato dal predicato diadico chiamare. Si nota chiaramente la gerarchia: - perché domina “non” e “chiamare” - non domina “finire” - finire domina “Andrea” e “il lavoro” - chiamare domina “Giovanni” e “lo” Il testo va inteso come una gerarchia di predicati (pena la rinuncia a un senso unitario) che si manifesta in una strategia complessa di cui la struttura sintattica è un momento rilevante. Affrontiamo pertanto in questo capitolo gli elementi fondamentali della sintassi. 9.1 Dal sintagma minimo all’enunciato I sintagmi minimi coincidono sostanzialmente con le forme di parola: si tratta di unità minime che costituiscono la “combinazione significativa”, essi sono costituiti da lessemi invariabili e da lessemi variabili, questi ultimi già elaborati dal punto di vista morfologico tenendo conto degli altri sintagmi minimi con cui si devono combinare. Il sintagma minimo può costituire da solo un sintagma, oppure può unirsi ad altri sintagmi minimi per formare sintagmi nominali, verbali, preposizionali, ecc... Il sintagma è una parola o un insieme di parole che svolgono una e una sola funzione sintattica. Consideriamo fondamentalmente: 1) SINTAGMA NOMINALE (SN) è costruito attorno a un nome che ne costituisce il nucleo, con le sue eventuali espansioni. Ad esempio: - questo gatto - un lavoro intelligente Il SN può assumere entro l’enunciato funzioni diverse a seconda delle relazioni che intrattiene con gli altri costituenti: • soggetto → un bambino corre • oggetto → vedo un bambino • complemento → passeggiava con un bambino • predicato nominale → Luigi è un bambino • apposizione → Luigi, un bambino furbetto, non si lasciava sorprendere 57 2) SINTAGMA VERBALE (SV) Il costituente formato dal verbo e dal determinante che ad esso eventualmente ad esso si associa. Il suo nucleo è il verbo, per esempio: - (Maria) mangia una grossa fetta di torta - (Luigi) è davvero simpatico. 3) SINTAGMA PREPOSIZIONALE (SPrep) È formato da un SN retto da una preposizione, come sul tavolo o nell’armadio. Può essere anche incluso nel SV in quanto completa sintatticamente il verbo (Es: Luigi litiga con Maria), oppure formare un sintagma a parte che aggiunge informazioni alla struttura sintattica del verbo (Es: Luigi litiga con Maria per l’auto). 4) SINTAGMA PREDICATIVO (SP) Mette a fuoco una particolare dimensione, si riferisce cioè al sintagma che ha per nucleo il verbo, nelle sue relazioni con tutti i suoi altri sintagmi. In questa prospettiva, l’enunciato Luigi litiga con Maria per l’auto risulta formato da SN Luigi e dal SP litiga con Maria per l’auto. SN soggetto e SV costituiscono l’articolazione fondamentale per l’organizzazione sintattica del testo, senza la quale non potremmo nemmeno pensare a un messaggio. Il SV indica la presenza di una frase, cioè di una struttura sintattica dominata da un verbo. In effetti, il verbo è, di regola, il vertice sintattico dell’enunciato ed è sempre il vertice sintattico della frase. I sintagmi sono costituenti, cioè “gruppi” di una o più parole che svolgono funzioni sintattiche unitarie entro l’enunciato. I costituenti emergono nella linearità dell’enunciato, manifestandone l’organizzazione gerarchica, cioè le relazioni di dipendenza: ciascun costituente assume senso sintattico in rapporto alla totalità cui si lega, cioè in rapporto alla posizione che occupa. Le relazioni di dipendenza si articolano in diversi tipi: tra di esse si annoverano: • il rapporto tra il verbo e i sintagmi ad esso legati • altre relazioni di determinazione; per esempio: - oggetto-apposizione → questo libro, caposaldo della linguistica generale, è stato scritto… - nome-modificatori → Mario mi ha dato un suggerimento pertinente - determinante-modificatore → Stefano è molto alto La dipendenza può essere segnalata in modo diverso: in varie lingue è la posizione a segnalarla, in altre uno strumento morfologico come la concordanza o la reggenza. Oltre al soggetto, anche altre parti dell’enunciato dipendono dal verbo. La valenza, in particolare, indica il numero di attanti5 di un verbo, cioè le relazioni di dipendenza che ciascun verbo richiede. 9.2 Le strategie di manifestazione del nesso sintattico I nessi sintattici si manifestano fondamentalmente secondo tre modalità: 1) CONCORDANZA manifesta i nessi interni a un sintagma. Consiste nella presenza obbligatoria di morfemi omologhi nel nucleo e nell’espansione. Per esempio, nel sintagma: - una splendida giornata 5 Attante = ciascuna delle unità strutturali che nel discorso prendono parte al processo indicato dal verbo. 60 Non sempre i predicati pragmatici sono espliciti: spesso la loro comprensione è affidata a strategie in cui l’inferenza gioca un ruolo importante. Una richiesta, per esempio, potrà essere formulata senza usare il verbo chiedere: - Potresti passarmi quel libro? - Avrei bisogno di quel libro. Lo stesso può accadere con la spiegazione: - No, Giovanni non ha la patente! È minorenne. L’IPOTASSI Osserviamo attraverso alcuni esempi la sua natura. Il fenomeno della subordinazione può essere ricondotto a tre tipologie fondamentali: - Luigi ha detto ad Anna che andrà a trovarla lunedì. ➢ ha detto rappresenta un verbo triadico, il cui terzo argomento è la subordinata completiva che andrà a trovarla lunedì. La congiunzione che ha natura puramente sintattica, di collegamento della frase subordinata al suo ruolo argomentale. - Luigi è soddisfatto perché ha acquistato il tagliaerba. ➢ il predicato monadico essere soddisfatto è collegato al suo unico argomento, Luigi. L’ipotassi va interpretata a partire dalla congiunzione perché, un predicato diadico i cui argomenti sono rispettivamente Luigi è soddisfatto e ha acquistato il tagliaerba. - Luigi studia linguistica, che è la sua materia preferita. ➢ Qui compare una subordinata relativa introdotta dal pronome che. La relativa può specificarsi come descrittiva o individuativa ≠ LA PARATASSI La paratassi presenta strategie più complesse, in quanto molto spesso la sua natura profonda è ipotattica. La coordinazione si può realizzare all’interno di un sintagma oppure a livello enunciativo: - Luigi ha visitato Brescia e Verona. - Luigi mangia pane e Nutella. Nel primo caso la coordinazione riguarda due sintagmi nominali nella relazione di oggetto diretto: se ne può sopprimere uno o l’altro senza variare la struttura sintattica dell’enunciato. L’ordine suggerisce come interpretazione la successione temporale. I soldati, che si sono battuti valorosamente, saranno premiati = tutti i soldati! I soldati che si sono battuti valorosamente saranno premiati = solo quelli che si sono battuti valorosamente! 61 Nel secondo caso la coordinazione è la strategia di manifestazione di una struttura ipotattica: l’ordine dei coordinati ha una precisa funzione gerarchica (invertendo i due sintagmi congiunti si ottiene un effetto comico: Luigi mangia Nutella e pane). In un esempio come: - Beatrice e Laura sono nate a settembre → la congiunzione dei soggetti è una forma sintetica per congiungere l’essere nata di Beatrice con l’essere nata di Laura, dato che nascere è un predicato monadico. - Chiara e Silvia conversano animatamente → i due soggetti sintattici rappresentano i due argomenti del predicato diadico conversare. - Il bambino correva e gridava → in questo caso la coordinazione di enunciati serve a manifestare ipotassi. Il secondo elemento congiunto svolge la funzione di determinante rispetto al primo: Il bambino correva gridando. - Piove e c’è il sole → la congiunzione coordina due enunciati autonomi, è un predicato sovraordinato che ha come argomenti i due predicati. 9.4 I processi di testualizzazione I processi di testualizzazione rappresentano il luogo dell’interazione tra processi inferenziali, dimensione pragmatica e sistema linguistico. Li passeremo, di qui in poi, in rassegna tutti, soffermandoci di più su quelli che coinvolgono procedimenti sintattici: 1) SINTEMA è un fraseologismo in cui la composizionalità risulta sospesa: la composizionalità del sintema può essere ricostruita attraverso un procedimento diacronico o sincronico che ne recuperi l’origine. Nel sintema la significazione è dell’insieme pur non essendo composizionale. 2) COSTRUZIONI Sono strutture enunciative (e non lessicali, pertanto non sono come i sintemi) non composizionali. Es: - (Per) studiare, studia. Però non impara - Cammina cammina siamo arrivati alla cascata. Le costruzioni sono dei “fraseologismi sintattici”, costrutti idiomatici che hanno una struttura e una significazione sintattica propria, non riconducibile a una regola composizionale evidente. 3) ENUNCIATI LEGATI espressioni come: - Si figuri - Non ci si può lamentare che vengono a fissarsi su una delle possibili interpretazioni, che viene convenzionalizzata. Si possono attivare, però, inferenze diverse in particolari contesti, in cui un’espressione come Non ci si può lamentare significa letteralmente che non si ha il permesso di lamentarsi. 4) FUNZIONI LESSICALI operano come veri e propri “riduttori semantici”: il lessema che viene utilizzato per svolgere la funzione lessicale specializza il suo valore in modo univoco, sospendendo tutte le altre significazioni possibili. Nella disambiguazione il procedimento di rifinitura del valore è più pienamente sintattico, perché è proprio la composizionalità a innescare i processi inferenziali che consentono di individuare la significazione richiesta tra più interpretazioni alternative possibili. 62 Per esempio, il verbo affittare può significare, a seconda dei contesti, sia prendere in affitto che dare in affitto: il contesto disambigua facendo cadere una delle due interpretazioni. 5) SATURAZIONE DI PREDICATI NASCOSTI opera negli aggettivi predicativo-relazionali come statale, in finanziamento statale (erogato dallo stato), strada statale (gestita dallo stato), impiegato statale (dipendente dello stato), ecc... Lo stesso processo consente di “riempire di senso” quelle preposizioni che possono nascondere predicati disparati, come in Ecco il libro di Gianni! dove di può significare “scritto da Gianni”, “presentatomi da Gianni”, “perso da Gianni”, “che voglio regalare a Gianni”, “di cui mi ha parlato Gianni”, ecc... Rientrano in questa categoria anche i deittici valutativi, aggettivi o avverbi la cui funzione dipende dall’argomento al quale sono associati: posso dire buona di una torta, di un’amica, di una risposta, con valori sensibilmente diversi. 6) SPECIFICAZIONE consiste nell’adattamento reciproco dei contenuti categoriali di due predicati quando essi vengono uniti in un’altra struttura predicativo-argomentale. Questo fenomeno è frequente nell’uso aggettivale: confrontando Pietro è grasso con Pietro è acuto, osserviamo che la specificazione del valore non riguarda solo l’aggettivo, ma anche il nome, che si specifica rispettivamente come corporatura di Pietro e come sua intelligenza. Accanto a questo operano processi di pertinentizzazione e di quantizzazione, che possono ulteriormente arricchire la semantica attivano processi inferenziali di altra natura. 7) FIGURATICA DELLA SINTASSI comprende gli effetti di senso creati attraverso le sfruttamento del potere veicolato dalle parti del discorso. Abbiamo già messo a fuoco gli effetti che si possono ottenere presentando una qualità attraverso verbi piuttosto che aggettivi: consideriamo ad esempio due versi danteschi: - Vede la campagna / biancheggiar tutta - Per li grossi vapor Marte rosseggia / giù nel ponente sovra ‘l suol marino Nel primo passo un contadino si dispera perché vede la campagna bianca di brina e teme abbia nevicato, tanto da non permettergli di portare al pascolo le pecore: il verbo biancheggiare drammatizza la scena. Nel secondo passo, Dante vede una grossa luce rossa sul mare che assomiglia alla vista di Marte che splende nei suoi vapori rossi: il verbo rosseggia esprime lo splendore indistinto del pianeta. Fenomeni di figuratica si ottengono anche nominando eventi, qualità e relazioni attraverso sostantivi, che conferisco ai predicati la suggestione di realtà che è tipica del nome. Ad esempio: - L’obiettivo della ricerca è il miglioramento della qualità In questo enunciato due predicati (ricercare e migliorare) sono messi in relazione e presentati attraverso nomi come realtà consistenti.