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La comunicazione verbale Rigotti-Cigada, Dispense di Linguistica Generale

Riassunto libro

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 24/06/2016

berta91
berta91 🇮🇹

4.7

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Scarica La comunicazione verbale Rigotti-Cigada e più Dispense in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! LA COMUNICAZIONE VERBALE (Rigotti - Cigada) 1. LO SCAMBIO COMUNICATIVO Un primo accostamento al concetto Il termine comunicazione viene dal latino communicatio, nome deverbale del verbo comunico. Contiene il formativo cum (“con”) e la radice munus, che in latino significa: “dono” e “compito”. Questa radice si ritrova in municipium, matrimonium… con il valore generico di “qualcosa che spetta, che tocca a”. Un oggetto prezioso richiede cure. Un “bene” impone al proprietario nuovi obblighi. Nella nostra cultura alcuni regali richiedono una cura specifica: è uso aprire subito una scatola di cioccolatini e offrirne al donatore. Lo stesso vale per quelli che chiamiamo messaggi. Il bene crea responsabilità. Responsabilità è una parola che ha la stessa radice di risposta; la risposta è il comportamento normale di colui al quale viene rivolta una domanda: si crea uno scambio. In molte lingue un unico aggettivo significa “benvoluto” (dear) e “costoso” (expensive); latino carus, italiano e spagnolo caro, francese cheer, tedesco teuer. Il verbo latino comunico significava mettere in comune un bene di qualsiasi genere. Il significato di “comunicare” è quello di “mettere a disposizione di un altro”. Quanto viene scambiato nella comunicazione non può essere un bene materiale, si deve trattare di segni. Non segni qualsiasi, ma segni che producono senso. Ritroviamo un’immagine della comunicazione intesa come “scambio di beni e di segni” nella figura del dio Mercurio, che è messaggero degli dei, ma anche protettore del commercio. Mercurio è anche il dio dell’ermeneutica. Comunicazione, comunità e cultura Occorre mettere a fuoco il nesso tra comunicazione e comunità. Comunità linguistica indica l’insieme di coloro che comunicano fra loro, facendo uso di una lingua storico – naturale. Il nesso tra comunicazione e comunità è mediato dal concetto di cultura. La cultura è l’insieme dell’informazione non genetica che passa attraverso non genetica che passa attraverso le diverse generazioni. La cultura è la “grammatica” di una comunità. Una cultura è un insieme di testi cioè di conoscenze e credenze, principi e valori. La cultura non vive soltanto di identità, ma di differenze. Teoricamente, lo “scambio di beni” che si verifica nell’interazione comunicativa è tanto maggiore quanto maggiore è la diversità tra coloro che interagiscono. La diversità comporta il rischio che la comunicazione non abbia successo, perché diminuisce il “condiviso” (common ground) che costituisce la base dello scambio. Common Ground indica lo sfondo condiviso tra coloro che prendono parte a un’interazione comunicativa. Solo se ci conosciamo la comunicazione è possibile. La comunicazione implica novità, quindi differenza fra la cultura del mittente e del destinatario. Comunità e società civile La comunicazione sta a fondamento della convivenza umana. Un professionista della comunicazione ha la responsabilità di farsi carico della buona salute della comunicazione. “Fare comunità” è il compito essenziale della comunicazione; significa creare intesa. Se questo compito non è assolto, la comunicazione deve considerarsi fallita. La qualità del consenso ottenuto è assicurata costruendo il consenso attraverso la pratica condivisa della ragione. L’alternativa è l’irragionevolezza condivisa. Questo pericolo l’avevano già colto gli Ateniesi: la democrazia di Atene era fondata sulla discussione libera tra i cittadini. Il luogo della discussione era l’assemblea (ekklesia), in cui ciascuno aveva il diritto di manifestare il proprio parere. La democrazia è la foma di organizzazione civile in cui l’unica forza ammessa è quella della parola. L’efficacia della parola era indispensabile per diventare un cittadino autorevole. Vennero a formare un piccolo mercato dell’ “arte” comunicativa. E così la competenza di chi si occupava di comunicazione diventò una professione. Il comunicazionista è colui che ha una consapevolezza sistematica degli strumenti della comunicazione e che sa come usarli perché la comunicazione sia efficace. Un comunicazionista deve possedere: i segreti della comunicazione e gli specifici settori di attività umana in cui si applicano le strategie comunicative. Se la professionalità si limita a ricercare l’efficacia della comunicazione, la democrazia resta a rischio. Le profonde riflessioni su questo rischio dei grandi filosofi greci puntavano alla costruzione di un modello di comunicazione pubblica che voleva contemperare efficacia e ragionevolezza. Si costituì così il corpus dottrinale della retorica classica. La democrazia ateniese aveva favorito la nascita delle prime forme di teoria della comunicazione. Ma queste teorie erano caratterizzate da pratiche diverse dalla comunicazione moderna. Per l’antico poeta romani Ennio, la comunicazione del sapere arricchiva il destinatario senza impoverire il donatore: in molti contesti, dopo che ho comunicato il mio sapere splende meno. Molta comunicazione è dunque un commercio. 2. VERSO UN MODELLO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE La comunicazione rappresenta un momento essenziale dell’interazione umana e questa è riconducibile all’incontro di azioni: i modelli elaborati nel corso del ‘900 in ambito linguistico ne hanno dato alcune prospettive parziali. I primi modelli Il primo “modello” della comunicazione è il circuit de la parole di Ferdinand de Saussure. Gli interlocutori si scambiano segni: ciascuno dei due produce segni materiali e interpreta quelli prodotti dall’interlocutore in base alla propria conoscenza della lingua. Nella Sprachentheorie del 1934 Karl Bühler elabora il concetto di lingua come strumento per comunicare. Bühler colloca il segno al centro di un triplice rapporto che coinvolge il livello oggettuale, il mittente e il ricevente in tre fasci di relazioni. Per l’emittente il segno è un sintomo, che ha funzione di espressione; il ricevente coglie il segno come segnale che ha la funzione di appello; rispetto all’oggetto il segno è un simbolo che funge da rappresentazione. Claude Elwood Shannon riduce la comunicazione a trasmissione di informazione e definisce le limitazioni alla comunicazione in termini di disturbi del canale: si può definire la capacità di un canale come quantità massima di scambio informativo tra sorgente e ricevitore. Una trasmissione priva di errori è possibile solo se la quantità di informazione comunicata nell’unità di misura prescelta è minore della corrispondente capacità. Anche Roman Jakobson muove da una concezione funzionale della lingua: parlare serve per comunicare, e comunicare è un fatto complesso: si comunica per esprimersi, per assicurarci che il nostro interlocutore ci capisca, per dare un ordine, per creare qualcosa di esteticamente bello. Nel suo modello Jakobson mette a fuoco sei fattori fondamentali della comunicazione a cui corrispondono sei funzioni testuali. La funzione dominante di un testo dipende dall’orientamento prevalente del messaggio verso uno dei sei fattori costitutivi. La prospettiva pragmatica La teoria degli atti linguistici è stata elaborata da John Austin nel 1962, in un libro intitolato How to do things with words. Austin parte dall’osservazione di u fenomeno particolare: in alcuni casi, il fatto stesso di pronunciare un’espressione produce un cambiamento nella situazione reale. Esempio: un enunciato come “Lei è licenziato”, la sitazione degli interlocutori primo e dopo il proferimento è diverso. “Ti prometto di venire alla festa di Chiara”: il mittente ha assunto un impegno. Questi usi di licenziare e promettere sono chiamati da Austin performativi. Austin mette a fuoco il fatto che ogni uso del linguaggio è performativo nella misura in cui provoca un cambiamento nella realtà. Da qui il termine speech acts. A un primo livello il discorso è un atto locativo, l’atto stesso di parlare, a cui si sovrappone un livello allocutivo, quello dell’azione che il parlante intende compiere attraverso il proprio atto locativo. Infine l’atto linguistico è un atto perlocutivo, cioè un’azione che provoca un certo effetto sul destinatario. Paul Grice mette a fuoco il fatto che ogni intervento nel discorso deve rispondere a una serie di requisiti per essere comunicativamente adeguato. L’atto comunicativo come evento Un evento è una qualsiasi cosa che ci accade. Si parla di evento quando si ha a che fare con qualcosa che accade e che ci tocca. Un evento produce un cambiamento nel destinatario, è il senso della avvenuta comunicazione. Uno scambio di segni che produce senso Tra tutti gli eventi, c’è una classe particolare, quella degli “eventi comunicativi”, intesi come gli eventi che i soggetti umani producono per comunicare, per trasmettere un messaggio portatore di senso. La parola senso ha una grande polisemia. In italiano la usiamo per dire direzione quando diciamo che una strada è percorribile “a senso unico”, se diciamo che una persona “ha buon senso”, intendiamo dire che sa valutare le circostanze in modo ragionevole. Se parlo dei “cinque sensi” intendo gli organi di percezione… consideriamo l’espressione “non ha senso”. “Mio figlio non guida: è spossato” Quello che dice non ha senso. Ci sono anche comportamenti non sensati: se uno va al bar e dice: “mi può fare un caffè?” e il barista risponde: Deissi Se volessimo rappresentare graficamente il segno italiano adesso cosa potremmo disegnare per rimandare al concetto che è il significato di questa parola? La parola adesso non ha un contenuto definito, ha bisogno di agganciarsi al contesto per riempirsi di un significato concreto. Io, questo, adesso… sono tutti deittici: si tratta di parole che presentano la caratteristica di assumere significato in rapporto al contesto in cui vengono utilizzate. La deissi funziona nell’incontro del linguaggio con l’esperienza: è necessario conoscere la lingua per capire i deittici; ma occorre anche interpretare il deittico in rapporto alla situazione in cui viene usato. I deissi non corrispondono a un’idea, ma a un’istruzione. Una parola come adesso è un’istruzione che indica come ci collochiamo rispetto al tempo. Le strutture deittiche appartengono a diverse classi. Esempio: ho dormito male. Ci sono i seguenti deittici: • - io, che indica colui che parla • - ho dorm – ito, indica il tempo che precede immediatamente quello che in cui si sta parlando. • - Dormire e male non sono deittici, perché sappiamo che cosa vogliono dire. Un tipo particolare di deissi è rappresentato dalle espressioni con cui riprendiamo i denotati di segmenti di testo che precedono o anticipiamo i denotati di segmento di testo che seguono. Ostensione In ciascun contesto si comunicano cose che in altri contesti non si comunicherebbero. Si dice solo quello che, in una certa situazione, è pertinente. Il contesto interviene nella comunicazione non soltanto attraverso la deissi, ma anche con la sua presenza silenziosa. Se incontro uno che a novembre va in giro in maniche di camicia e gli dico: “ma non hai freddo?”, la mia domanda ha senso perché fa riferimento alla situazione, ma della situazione non è detto nulla. La domanda diventa insensata se viene posta nel mese di luglio. L’ostensione è un momento muto della comunicazione. Se Benedetta incontra Luigi che ha gli occhi lucidi per la febbre, questo elemento può essere trattato estensivamente: per esempi Benedetta gli chiede: “Luigi, non ti senti bene?”. Luigi parla a Roberta lo ascolta con attenzione, guardandolo in faccia perché è molto interessata; Benedetta invece lo guarda con attenzione perché Luigi creda che è interessata, mentre in realtà è preoccupata di un suo problema e non riesce a seguire il discorso. Dove si colloca il confine tra espressione naturale, ostensione, e simulazione, che viene usato per far intendere all’altro qualcosa. Deissi e ostensione La differenza tra deissi e ostensione consiste nel fatto che nella deissi c’è una componente linguistica, che è assente nel caso dell’ostensione. Interferenza Si tratta del ragionamento che usiamo per interpretare i discorsi dei nostri interlocutori. Immaginiamo che a un bambino seduto davanti alla televisione il padre dica: “i denti!” e il bambino risponda “Sta finendo”. L’uno e l’altro si intendono perfettamente, ma è evidente che il più non è comunicato con strumenti semiotici. Si immagini un dialogo tra due amici: il primo si lamenta di dover spesso guidare, e il secondo gli suggerisce: “ma perché non fai guidare tuo figlio?”, e il primo replica: “Mio figlio non guida. Ha quindici anni” (1). Immaginiamo che il primo interlocutore risponda: “Mio figlio non guida. È sposato” (2). La differenza tra i due dialoghi sta nel fatto che in (1) si percepisce un legame tra le due sequenze della risposta, mentre in (2) non è possibile ricostruire alcun legame. In (1) tale legame non è espresso in termini linguistici. Noi ricostruiamo questo legame nascosto sempre grazie all’inferenza. Nella comunicazione la componente inferenziale opera in base al principio di buona volontà. Il principio di buona volontà guida il destinatario, ma opera anche nel mittente, che lo presuppone nel destinatario. Nella comunicazione verbale è di più quello che si lascia intendere, rispetto a quello che si dice effettivamente. Altro esempio: “Che bello! Ho fatto un incidente.” Questa espressione non manifesta un senso ovvio e il principio di buona volontà ci spinge a ricostruire un’inferenza più complessa. “Stefano aveva invitato Andrea al suo matrimonio. Perciò lo conosceva” È un’inferenza di natura diversa dalle precedenti. Qui infatti l’inferenza non è costruita dal destinatario, ma dal mittente. Le precedenti sono inferenze comunicative, questa è un’inferenza comunicata. I soggetti implicati nella comunicazione: principio di interesse e di pertinenza Il testo va interpretato, e questo compito può essere svolto solo tramite interferenze. Le soggettività sono implicate nello scambio di messaggi perché il senso stesso di questo scambio di segni consiste nel cambiamento operato in coloro che comunicano. Mi cambia una comunicazione che è pertinente rispetto ai miei interessi. La ragione è una componente ineliminabile per il funzionamento di ciascuna delle componenti costitutive del linguaggio umano. Il testo si costituisce in relazione alla ragione del mittente e alla ragione del destinatario. L’inferenza è lo strumento che serve per superare nel testo le ambiguità del sistema linguistico. Non possiamo ignorare che l’interpretazione è un rischio. Il senso come habit change Nel caso dell’interazione comunicativa ciò che viene scambiato sono segni, tali da produrre un senso. Quando lo scambio di segni produce senso? Si ha senso quando questo scambio di segni non è indifferente perché produce un cambiamento. Il comunicazionista deve essere un esperto nello scoprire quegli aspetti che fanno di un’informazione una notizia rispetto a un insieme di soggetti. Il suo compito è mettere in rapporto un dato con la soggettività del destinatario. Nella comunicazione un punto essenziale è quello dell’interesse, del coinvolgimento personale. Diverse accezioni del termine senso: 1. 1. accezione in cui il termine significa percettore 2. 2. posso dire che la parola uomo in italiano ha due sensi 3. 3. senso definito in contrapposizione al non – senso. 4. 4. fine di un’azione: avere un fine e avere una corrispondenza ragionevole al fine. Possiamo dire che un evento comunicativo è uno scambio di segni che produce senso, dover per senso intendiamo il cambiamento delle soggettività coinvolte nell’evento comunicativo stesso. Condizioni fondamentali del sorgere del senso sono rapporto con la realtà e pertinenza Secondo Peirce, la comunicazione riuscita è quella che cambia. La comunicazione deve cambiare lo habit del destinatario. Se ciò non avviene, la comunicazione non si può definire efficace. Il processo comunicativo consiste nello habit change. Habit viene dal latino habitus, derivante dal verbo se habere nella sua costruzione se habere ad “rapportarsi”. In italiano atteggiamento. Habitus traduce il greco héxis Distinzione tra héxis e diathesis: la diathesis è lo stato d’animo momentaneo, mentre la héxis è l’atteggiamento stabile, la disposizione permanente. Non si può affermare che sempre la comunicazione modifichi radicalmente i soggetti coinvolti, anche se influenza il loro atteggiamento di fondo. Tuttavia è la héxis ciò che deve cambiare in una comunicazione perché si possa dire che questa ha un senso rilevante. LA COMUNICAZIONE VERBALE ● Capitolo 3: “Problemi di epistemologia e di metodo” Epistemologia = discorso scientifico che assume come proprio oggetto le scienze stesse per definirne la natura, i tipi e i rapporti.Il discorso scientifico deve essere rigoroso, e per esserlo, esso deve essere razionale, cioè esplicitare e controllare il pro- prio fondamento, la propria giustificazione. Louis Hjemslev definisce per qualsiasi teoria scientifica tre requisiti: • Coerenza, ossia assenza di contraddizioni interne. • Completezza, che chiede che tutti i dati a noi disponibili sull'oggetto siano effettivamente spiegati. • Semplicità, ossia è meglio se chiede di postulare meno, ossia chiede un minor numero di ipotesi esplicative. Non basta, però, che un discorso sia razionale, ma deve anche avere rilevanza, ossia avere una portata significativa per la conoscenza sistematica di un certo ambito di realtà. Per essere adeguata all'oggetto, un'ipotesi deve non solo mirare a co- gliere gli aspetti più essenziali di quell'oggetto, ma mettere a fuoco la funzione dell'oggetto stesso rispetto ad un contesto più vasto. Distinzione tra oggetto reale e oggetto formale. Il primo è qualsiasi cosa che muove il nostro interesse conoscitivo e che noi problematizziamo. Nel nostro caso il problema è la comunicazione umana verbale. L'oggetto formale è il punto di vi- sta particolare proprio di ciascuna scienza. Ogni scienza può dire cose completamente diverse a proposito dello stesso og- getto reale. Con dato intendiamo proprio quello che ci è dato, cioè quello che ci risulta dall'esperienza. La modalità tipica secondo la quale l'esperienza ci interpella è la sua “assurdità”. La scienza costruisce il collegamento razionale tra dato e fatto elaborando dei modelli, cioè delle rappresentazioni del fat- to che lo descrivono e lo spiegano. Il modello interpreta l'oggetto reale nei suoi tratti, manifesti e nascosti. La comunica- zione verbale costruisce un modello per spiegare la correlazione tra l'evento che chiamiamo senso e l'evento materiale che veicola il senso. Alla base del messaggio verbale si trovano le lingue storico-naturali. La presenza nella mente dei suoni, però, è solo vir- tuale, perché non ho sempre presenti nella testa tutte le parole di una lingua, e poi non questa presenza non consta di rap- presentazioni e immagini foniche concrete. La lingua, quindi, non è un dato, perché non la si riscontra come esistente e osservabile in qualche luogo. La lingua è un sistema segnico, è “astratta”. Essa è un sistema di correlazioni tra immagini di suoni e schemi concettuali, o anche tra ipotesi di suoni e ipotesi di pensieri. Il metodo è il “percorso per acquisire il sapere”. Comporta la scoperta e la verifica. Nella prima fase brilla l'idea e ci vuo- le pazienza e capacità di cogliere i particolari con esprit de finesse. Poi il sapere viene messo alla prova. Tuttavia, il rap- porto tra dato e teoria non è paritetico, perché ci potrebbe essere un solo dato che confuta la teoria. L'ipotesi implica il da- to, ma la verità del dato non comporta in assoluto la verità della teoria. - p → q = p implica q -p→q ¬q ¬pp implica q, ma q è falso, allora anche p è falso -p→q qp implica q e q è vero: non possiamo concludere che p sia vero l'osservazione di un numero consistente di dati consente di rivelarne l'uniformità sotto un certo aspetto. Si formula, dun- que, un'ipotesi, di cui quell'aspetto è una conseguenza logica. Ma per quanto siano numerosi i dati che verificano l'ipotesi, potrà sempre presentarsi un dato che la falsifica. Troviamo tre livelli di astrazione:1. Generalizzazione, ossia il procedimento induttivo, dal particolare al generale. Per tutte le x vale che p (dove x vale, ad esempio, “essere un gatto”e p “avere la coda)questa prima ipotesi si caratterizza per l'omogeneità categoriale tra dati e teoria: la teoria ha le medesime proprie- tà del dato 2. Quando si passa dai dati al concetto non osservabile. Si ipotizza la nozione di valore (un terreno, un'auto hanno un valore), che è un dato che non è osservabile.Per astrazione si intende, in generale, il processo di formazione di concetti a partire dall'esperienza. Astrarre si- gnifica “strappare via” il modo d'essere dall'essere che lo possiede. Esempio: il fonema. Nikolaj S. Trubeckoj per primo distinse suoni e fonemi. I suoni si possono analizzare nel lo- ro aspetto fisico e nella loro produzione, e si parla di analisi fonetica. Ma al linguista le differenze tra i suoni inte- ressano non per il loro aspetto fonetico, ma perché servono per costruire parole diverse. A questo livello non si parla di foni, ma di fonemi, e l'indagine linguistica che se ne occupa è la fonologia.Ed esempio, le differenze nel pronunciare la r sono fonetiche, non fonologiche, perché il significato della parola non cambia se si pronuncia la r in modo diverso. Ma se in rana sostituisco la r con la l, ottengo una parola diver- sa. Tali parole di differenziano sia foneticamente che fonologicamente. A Trubeckoj dobbiamo la prova della commutazione: sostituiamo un suono all'altro e verifichiamo se il significato della parola cambia. Se sì, i due suo- ni sono fonemi (r e l di rana e lana). 3. Dai dati a entità nascoste. Questo tipo di spiegazione è formulato a partire da indizi. Es: Luigi esce, spegne la lu- ce, chiude a chiave, dopo qualche ora torna e la porta è aperta e la luce accesa. Insospettito da questi indizi, Luigi ipotizza che qualcuno aveva la chiave ed è entrato. Quindi:con la generalizzazione si estende a tutti quel che abbiamo visto essere si molti. Con l'astrazione si mettono in luce pro- prietà nascoste o entità nascoste a partire da indizi. “Spiegare” significa attribuire alla parte la funzione che essa ha nel tutto, anche quando il tutto resta nascosto.I livelli più alit di astrazione nella comunicazione verbale sono toccati in generale dalla inferenza comunicative. È il caso dei connettivi non manifestati (Mio figlio non guida. Ha 15 anni). ● Capitolo 4: “Linguaggio e ragione” La parola logica conserva solo una parte del significato della parola lógos. Essa aveva tre accezioni: 1. Discorso/parola/linguaggio.2. Ragione.3. Calcolo. Ma lógos è omonimico o polisemico?Omonimia e polisemia.Esempio: fiera = mercato locale periodico, ecc... oppure belva o animale selvaggio.Queste sono parole omonime,ossia due parole distinte il cui significante è identico.