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La Figura paterna e psicopatologia, Tesi di laurea di Psicologia Dinamica

La figura paterna nelle psicosi, nelle nevrosi e nei casi limite

Tipologia: Tesi di laurea

2016/2017

Caricato il 19/01/2017

fraancescaa
fraancescaa 🇮🇹

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Scarica La Figura paterna e psicopatologia e più Tesi di laurea in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! 1 LA FIGURA PATERNA E PSICOPATOLOGIA INTRODUZIONE Nel presente lavoro si affronterà la relazione fra il padre e suo figlio, nonché la rappresentazione della figura paterna di quest’ultimo nelle condizioni di psicopatologia nevrotica, psicotica, e borderline. Nel primo capitolo si esplicherà la condizione psicopatologica della psicosi in relazione alla funzione paterna, nel secondo capitolo verrà affrontato il livello nevrotico, nel terzo capitolo quello dei casi limite. Per ogni capitolo saranno riportati dei casi per chiarire quanto esplicitato a livello teorico in riferimento alla letteratura presente sull’argomento. Per ogni condizione patologica saranno riprese le teorie che ne hanno dato il contributo più rilevante. Naturalmente tale lavoro non auspica di essere esaustivo rispetto alla vasta quantità di pubblicazioni e teorie sull’argomento, ma ha l’obiettivo, forse non meno ambizioso, di esplicitare riflessioni importanti sulla tematica trattata. 2 I CAPITOLO LA FIGURA PATERNA NELLA PSICOSI In questo primo capitolo verrà approfondita la figura del padre nella formazione delle patologie dello spettro psicotico e il suo coinvolgimento nei meccanismi che le possono determinare. All’inizio della vita, come molti fra i teorici dello sviluppo riportano (Mahler, 1985, Winnicott, 1992), l’attenzione è centrata soprattutto sulla diade, costituita esclusivamente dalla madre e dal bambino. Questo è un rapporto esclusivo all’interno del quale è difficile entrare; un rapporto quasi simbiotico, come se bambino e madre fossero un’unica unità. E la presenza di questo forte legame permetterebbe il successivo sviluppo del Sé del bambino autonomo e differenziato (Mahler, 1985, Winnicott, 1992). La madre nelle prime fasi della crescita del figlio annulla parte della propria individualità per ascoltare, sentire il bambino, nutrirlo e soddisfare i suoi bisogni primari. Gli stati psicotici secondo la Mahler, derivano solo dal rapporto pre-edipico con la madre, escludendo dal gioco la figura paterna (Mitchell, 1995). I risultati sono dei disturbi diffusi del funzionamento psichico: stati emotivi intensi non regolabili, fluttuazioni estreme nell’immagine di sé e/o degli altri, ridotta capacità di instaurare relazioni durature. E il padre? Che ruolo ha in tutto questo? Che figura 5 Con la nominazione del padre il bambino viene informato della presenza del padre e del suo fallo che lo hanno preceduto e che, in effetti, hanno reso possibile la sua nascita. Il bambino di fatto viene introdotto dalla madre nell’ordine sociale legittimo delle regole e delle relazioni simboliche. Il nome del padre è il fulcro della catena di significati, consente la costituzione di un campo significante da cui si stabiliscono tutti i significati. Quando diciamo che nella psicosi è forcluso il nome del padre, intendiamo dire che quest’ultimo è stato escluso, non si è iscritto simbolicamente nell’inconscio del soggetto, e che il significante dei significanti è ostacolato. Quella del nome del padre è un’esclusione priva di dialettica in quanto ciò che è escluso non appartiene all’inconscio del piccolo paziente perché non si è mai iscritto in esso, e non c’è ritorno dell’escluso nelle forme simboliche, ma un suo ritorno direttamente nel reale. Nello psicotico c’è un buco nel registro simbolico poiché non è mai stato simbolizzato il significante del nome del padre, prodotto da un discorso in cui è assente colui che può rendere desiderabile la madre. Ciò ci riporta al discorso iniziale del padre mancante e assente, lontano psicologicamente dalla vita del figlio. Le teorie di Lacan ci fanno riflettere sul fatto che gli psicotici non riconoscono l’Altro e non gli danno alcun significato, sul fatto che l’Altro viene rifiutato a livello simbolico. I sintomi che ne derivano sono quelli legati alla compensazione immaginaria e alla supplenza, nel senso che la compensazione immaginaria e la supplenza, che hanno la stessa funzione, si configurano a loro volta come modi particolari di saldatura del buco psicotico. La prima è un meccanismo molto importante nella formazione della psicosi, in quanto si va ad aggiungere alla forclusione del nome del padre, la quale da sola non 6 spiega l’eziologia e lo scatenamento della psicosi. La compensazione immaginaria è ciò che assicura al soggetto una certa stabilità poichè garantendo un’identificazione al simile, mantiene chiusa la psicosi e garantisce al soggetto un sostegno narcisistico. L’effetto di questa protesi immaginaria è, infatti, quello di garantire al soggetto un’identità. Avviene un’identificazione integrale, adesiva, mimetica, immediata, non dialettica: identificazione del soggetto ad un suo simile posto come Io ideale. Il punto è che il risultato è la psicosi, o meglio, come direbbe Winnicott, lo sviluppo del falso Sé o del come se, concetto di Helene Deutsch. Il problema è che l’identificazione è priva di una base solida, di un supporto simbolico del Nome del Padre. A differenza di Lacan, i teorici della comunicazione, e gli psicoterapeuti sistemico-relazionali, ritengono che le psicosi abbiano origine da difficoltà comunicative, da situazioni familiari definite double bind (doppio vincolo). Le principali caratteristiche del doppio vincolo sono la presenza di due ordini opposti di significato all’interno della comunicazione, ma soprattutto l’impossibilità di parlare di queste difficoltà e di questi doppi messaggi. Un esempio è quello di un bambino che se si avvicina viene rimproverato, ma anche se non lo fa, e non può dir nulla su quello che accade. Ad ogni comportamento segue una disconferma. Parlare di tutto ciò ha una pena: è la fine della relazione che, come è ovvio e logico che sia, è di vitale importanza, soprattutto per un bambino piccolo. E il padre che ruolo ha nel double bind? Il ruolo paterno in questa situazione, o meglio all’interno di tale triangolo, è, come già definito da altri, esterno. La differenza fra il padre presente in una situazione normale e in quella 7 patologica sta nel ruolo, che nel primo caso dovrebbe essere quello di decodificatore. Il padre, cioè, dovrebbe avere la funzione di decodificare ciò che viene comunicato in famiglia e al bambino, e dovrebbe poter parlare di ciò che ad altri non è permesso. Può accadere però che il padre nelle famiglie psicotiche invii messaggi a doppio legame così non aiutando il figlio ad uscire da paradossi pragmatici che lo tengono legato. Qualsiasi cosa il bambino possa dire, rispondere o fare, ne seguirà una disconferma, il suo comportamento sarà giudicato cattivo. L’unica alternativa che si pone dinnanzi a lui è eliminare la sua capacità di comprendere il messaggio comunicativo. Il bambino diventerà “pazzo”, fratturerà il proprio Sé, tenterà di eliminare colui che emette il messaggio, sia all’interno di sé che all’esterno attraverso i sintomi psicotici. Riprendendo le teorie di Winnicott, invece, potremmo dire che la funzione paterna è come quella materna: ha la funzione di holding. La differenza sta nel fatto che il padre in una situazione normale ha fondamentalmente la funzione di contenitore delle angosce, degli affetti, e delle paure della madre di suo figlio. Nel libro “Dalla pediatria alla psicoanalisi” (1958) Winnicott parla del ruolo del padre. L’autore scrive: “Il padre è un mezzo capace di sostenere la madre, confrontando i problemi”…. Nel contributo di Didier Houzel ci sono altri spunti interessanti (In Brusset, 2007). In particolare l’autore ritiene che non ci sia semplicemente una mancanza o difficoltà nella funzione paterna, ma una vera e propria distorsione del suo ruolo nelle famiglie con uno psicotico. Inoltre, data la 10 Le ho detto che quando voleva prendere tutte le cose buone di Mamma- Houzel, aveva forse l’impressione di prenderne troppe e di gonfiarsi, gonfiarsi come un bambino, fino a rischiare di esplodere come la bambola della sorellina tutta rotta dal vento. Lei ha confermato la mia interpretazione parlando ad una bambola per dirle che prendeva troppo cioccolato e che stava diventando un donnone, che stava diventando troppo grossa. Poi ha parlato di Zio Picsou che afferrava la signora. Poi ha picchiato sul muro, come uno che chiede di entrare e ha detto che si trattava di Tintiin, il compagno di Stèdor e compagno anche suo, che stava arrivando. Le ho detto che per non sentirsi gonfiare fino a scoppiare, ci voleva un papà – Zio Picsou che afferrasse la signora o una parte- bambino-Tintin dentro di lei. Allora ha disegnato su un foglio ciò che per lei rappresenta gli elementi della bisessualità di cui ho parlato, ossia il mare, e sul bordo di questo mare una grande roccia con sopra una croce. Il mare rappresenta gli aspetti materni, recettivi, ma potenzialmente capaci di inghiottire; la roccia, gli aspetti paterni, duri, ma resistenti. Ma subito dopo ha disegnato della neve e l’ha fatta toccare ad una bambola dicendo che era tutta fredda. Le ho detto che quando desiderava un Papà-Houzel-roccia ben solida, per non sentirsi invasa dalle “cose mamma”, aveva paura di prendere tutto il calore di Mamma-Houzel e di trasformarla in una “Mamma neve tutta fredda”. Altro caso è quello del paziente Pierre-Leonard. La storia del paziente è un esempio di come la psicosi possa giungere in seguito ad una identificazione con il padre. Pierre ha tre figli e l’inizio del suo attuale stato 11 di disorganizzazione coincide con la nascita del terzo figlio con un mese di anticipo (facciamo presente che anche Pierre è il terzo della famiglia). Ha sposato la donna di cui era innamorato fin da ragazzo. Pierre si era trovato coinvolto in una disputa durante un ballo, e la moglie riferisce che dopo quell’episodio ha cominciato a lamentarsi; dice che si sente male, che ha la pressione bassa, che si sente debole. La moglie lo ha sorpreso un giorno a bere un bicchiere di alcol puro, per tirarsi su, dice, giacché ha sempre le vertigini e l’impressione di cadere…la moglie in un incontro riferisce che nell’ultimo mese Pierre si è fatto parecchie trasfusioni di sangue perché crede di soffrire di anemia; pensa di non avere abbastanza sangue. Sembra trattarsi di un’identificazione col padre, sofferente di un mieloma, di un cancro. A un dato momento il terapeuta gli chiede se, quando immagina che tutti lo ingannino, che lui menta sulla sua diagnosi, quando pensa che un cancro lo divori e si sente in punto di morte, non ritenga di confondersi col padre. Allora, Pierre dice….”E’ un modo per avere mio padre accanto a me, non è vero?”…e il terapeuta risponde: …”Vede lei pensa di stare dimagrendo, di avere troppo poco sangue. Apparentemente lei si confonde ancora con suo padre e pensa che la ingannino circa la sua diagnosi. E’ possibile che sia per questo che ha voluto ritornare a Buenos Aires a rivedermi?” Il paziente: “Il ritorno a Buenos Aires mi ha fatto ricordareche avevo accompagnato qui mio padre: si sapeva già che aveva un melanoma, un cancro alle ossa, ma io gli dicevo: Non è niente, non hai niente…. Gli mentivo”. Allora il terapeuta risponde: “Allora giacché è ritornato a Buenos Aires, pensa di essere malato come suo padre e pensa che io stia mentendo”. 12 II CAPITOLO LA FIGURA PATERNA NELLA NEVROSI Quando si parla di nevrosi non si può non agganciare tale tematica a quella della castrazione per Freud. La paura della castrazione esisteva perché vi era un padre castrante ed un figlio, suo rivale (Complesso di Edipo). Il mito di Freud afferma che ogni essere umano, prima o poi, nel corso dello sviluppo, si trova a confrontarsi con quest’esperienza. La paura e il timore della castrazione vengono successivamente rimosse creando così il fantasma di castrazione, fonte di angoscia. Ma facciamo un passo indietro. Freud scoprì che l’evento all’origine del sintomo nevrotico era un’esperienza spiacevole precedente al sintomo stesso. Se quest’ultimo non veniva fatto risalire a quest’episodio traumatico, era probabile che ricomparisse. Spesso i pazienti raccontavano non solo di un singolo episodio, ma di una serie di eventi collegati tramite associazioni. Queste ultime risalivano alla prima infanzia. Freud cominciò per primo a sospettare che i conflitti attuali e i sintomi fossero collegati invariabilmente a eventi della prima infanzia, ovvero prima dei sei anni di vita. Aspetto ancora più sorprendente, secondo l’autore, questi episodi portati alla luce avevano a che fare con attività precoci di carattere sessuale. Se i ricordi della sessualità infantile venivano sistematicamente spogliati fino a raggiungere il nucleo problematico, risultavano collegati ad 15 infantile. Freud ebbe difficoltà a spiegare la risoluzione del complesso edipico e l’instaurarsi del Super-Io nelle bambine, per le quali la castrazione risultava essere una minaccia relativa (Mitchell. 1995). Altro punto fondamentale della teoria dell’autore che ci può aiutare a comprendere la posizione del padre all’interno del mondo psichico del figlio nevrotico, è la teoria del conflitto di Freud. Il modello secondo l’autore consisteva in tre elementi fondamentali: l’Es, l’Io e il Super-Io, ovvero il “calderone” di energie pulsionali, la funzione regolatrice che tiene sotto controllo le pulsioni e i valori morali e gli atteggiamenti autocritici organizzati intorno a immagini genitoriali interiorizzate. Quando le pulsioni sono molto forti, è necessaria una forte rimozione delle esperienze. Ne consegue che tutta questa pulsionalità non espressa è manifestata in altro modo, cioè attraverso il sintomo nevrotico. Possiamo immaginare dunque, durante il complesso Edipico, quale grande pulsionalità debba essere repressa. Il padre nel triangolo madre-padre- figlio, inevitabilmente assume un ruolo centrale. La sua immagine rappresenta ora un rivale, ora un oggetto di desiderio, a seconda se il figlio sia maschio o femmina. La castrazione è inserita in un complesso psichico che include rappresentazioni inconsce. Fra queste sono presenti il timore, la minaccia sessuali e i desideri corrispondenti. All’interno di questo quadro il padre assume un ruolo di agente di cui si deve sottolineare il carattere fantasmatico. Questo è il pensiero di Rosolato, teorico che nel libro “La funzione paterna” ha dato un ottimo contributo per quanto concerne il tema della castrazione. Rispetto alla centralità della figura paterna, possiamo dire che la nostra civiltà si è costituita in rapporto col Padre 16 Idealizzato, con Dio, in un sistema che, tramite le credenze trasmesse, influisce sullo sviluppo psicologico e gli ideali del soggetto. Il fantasma di castrazione, che può essere colto nei sogni e nelle associazioni nel corso dell’analisi, può comportare diverse conseguenze. Per il ragazzo il fantasma può comportare la paura di perdere il proprio pene sul modello delle donne che vengono immaginate; per la ragazza, invece, c’è l’idea di essere stata castrata parzialmente. Il padre si trova in una posizione di forza, a patto che la sua parola venga riconosciuta dalla madre. Il padre prende in carico tutti questi attacchi di morte e di castrazione indirizzati a lui o che partono da lui. Egli è il polo organizzativo che supporta l’apprendimento del conflitto. La funzione paterna in tale contesto non è solo negativa; nel senso che il padre dovrebbe fungere da punto di ancoraggio per l’identificazione che segue al complesso di Edipo. Il sintomo nevrotico dunque servirebbe come sostituzione del padre. Rosolato (2007) fa delle interessanti associazioni sul simbolo del padre e sul significato che riveste all’interno del discorso della castrazione. L’autorità del Padre nel triangolo Edipico si rivela omogenea all’autorità secondo la tradizione. Pensiamo alla circoncisione nel giudaismo, che è una castrazione simbolica senza uso del linguaggio. In questa religione tale rituale viene svolto da rappresentanti dell’autorità paterna: il padrino che tiene il bambino, e il circoncisore che rappresenta il padre, ovvero colui che “succhia il sangue”. La castrazione in questo senso è ovviamente simbolica, nel senso di un segno del simbolo che per la sua appartenenza al patto che unisce coloro che condividono una stessa credenza religiosa, gli stessi ideali e lo stesso linguaggio. Tale iniziazione della circoncisione impegna colui a cui viene sottoposta a trasmettere questi ideali nel corso 17 delle generazioni della linea paterna. Il padre in questo rituale si identifica sia col bambino che col padre punitivo. La castrazione risulta essere una difesa contro l’angoscia di castrazione del padre e una liberazione della mascolinità e della paternità future del bambino (Maley). La castrazione è la soluzione fantasmatica che viene compiuta da una potenza autoritaria, e il bambino ne conserva il segno su di sé. Altro punto nella riflessione sulla tematica del Complesso Edipico è il divieto dell’incesto. Questo dipende da una necessità biologica e sociale: la differenza fra le generazioni, l’attrattiva sessuale fra soggetti della stessa età, il principio della fecondità massima della specie, e quello della protezione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini da parte dei genitori. Il divieto dell’incesto è una restrizione dei desideri del bambino, ma anche di quello dei genitori, e soprattutto di quello del padre per la figlia, che è la più frequente delle tentazioni e delle trasgressioni. All’interno di tale cornice edipica, le immagini paterne, secondo Rosolato, si distinguono in tre poli: 1) Il Padre idealizzato: è un essere onnipotente, la cui autorità si confonde con la Legge, di cui viene ritenuto il creatore. Quando la rivalità con lui non viene tollerata dal bambino, nasce una problematica di tipo omosessuale che è frutto della trasposizione interna dell’aggressività. 2) Il Padre Reale: il padre in carne ed ossa. Si confonde col padre Idealizzato e può seguirne la forma. In questa categoria rientrano i padri castranti, i padri assenti, i padri colpevoli, coscienti delle loro mancanze o vittime della loro coscienza morale intransigente. 20 resistere alla compulsione di aprirli con le mani, impedendo così e troncando ogni possibilità di sviluppo. In modo simile, tutte le aree della sua vita erano rese limitate dalla convinzione che fosse necessario osservare e tenere sotto controllo tutte le espressioni fisiche e naturali che altrimenti sarebbero potute sfuggirle di mano mettendola in pericolo.” 21 III CAPITOLO LA FIGURA PATERNA NEI CASI LIMITE Gli stati limite hanno come caratteristica comune l’etereogeneità dei vari modi di funzionamento psichico. In essi coesiste un nucleo psicotico senza delirio né alienazione, con diverse regolazioni. Una delle caratteristiche è l’effrazione dei processi primari nei processi secondari, in quanto vi è il fallimento della loro dialettizzazione. Vi sono forme di angoscia di abbandono e di intrusione più che di castrazione, e sono presenti disturbi del sentimento di identità come la derealizzazione e la depersonalizzazione. Inoltre, negli stati limite vi è la prevalenza della distruttività per diffusione pulsionale. E’ presente un conflitto fondamentale di ambivalenza, in quanto mette in questione l’esistenza dell’oggetto e quella del soggetto. Durante il complesso di Edipo queste parti vengono elaborate, scisse, negate, controinvestite l’una dall’altra. I genitori sono riconosciuti in base alla loro identità di genere e tendono ad essere investiti come oggetto buono e cattivo. Le pulsioni distruttive scisse e proiettate fanno sì che il soggetto si avvicini all’oggetto buono per fuggire l’oggetto cattivo persecutorio, e ciò suscita il ritorno del cattivo nel buono in un circolo senza uscita. Tutti gli autori concordano sul fatto che la mancanza di sufficiente organizzazione del complesso di Edipo è una caratteristica degli stati limite. Questa condizione psicopatologica obbliga a tener conto delle 22 particolarità dei genitori nella realtà loro propria, nelle loro azioni e nelle loro parole, nella loro caratterizzazione fantasmatica inconscia. Le deficienze dell’organizzazione edipica nel suo ruolo fondamentale per il desiderio e le identificazioni hanno un posto centrale. Va preso, però, anche in considerazione il posto che il padre occupa nelle modalità di organizzazione anteriori all’edipo strutturato come tale e i processi attraverso i quali questo si organizza. Brusset negli stati limiti pone l’accento su due tipi di padre: il padre del Complesso di Edipo, di cui in parte abbiamo già accennato, e il padre arcaico, teorizzato da Melanie Klein. Secondo l’autore negli stati limite entrambi i genitori rappresenterebbero due imago falliche equivalenti. Non a caso infatti, nei casi limite non si parla di triangolazione, ma di tri-biangolazione. Nel Complesso di Edipo si possono reperire tre termini nell’organizzazione: il soggetto e i due genitori. Nel tipo di livello psicopatologico considerato, i due termini genitoriali, pur conservando la loro differenza, risultano identificati non secondo il criterio della loro identità sessuata, ma secondo la loro qualità buona o cattiva. Come ogni dicotomia, vi è come conseguenza che ogni termine rinvia necessariamente all’altro come proprio doppio invertito. L’ambivalenza non può essere integrata e il soggetto resta catturato dal cattivo oggetto persecutorio, da cui non può staccarsi, perché non può espellerlo senza distruggere sé stesso. Fra l’oggetto cattivo e il soggetto si crea un forte legame. I meccanismi di difesa di tipo psicotico, come la scissione, il diniego e l’identificazione proiettiva espulsiva, non impediscono al soggetto di investire nella realtà, anche se la presenza dell’oggetto cattivo non permette al soggetto di costruire uno spazio psichico per l’attività di pensiero. Misès propone un 25 sfinterico è stato tuttavia in corso di acquisizione verso i tre anni, quando l’ingresso alla scuola materna, molto mal tollerato, ha scatenato l’encopresi, esclusivamente diurna, in cui sembravano intrecciarsi da una parte fenomeni di debordamento per intolleranza alla separazione, dall’altra movimenti aggressivi nei riguardi della madre. Durante questo periodo iniziale, al di fuori dei suoi interventi radicali, il padre non interveniva: secondo lui “tutto ciò era affare di sua moglie”, la lasciava quindi agire, non la sosteneva. Attorno ai 4 anni, Alain si adatta, almeno superficialmente, alla scuola materna e a partire da quella data il padre di Alain insiste soprattutto su alcune provocazioni, su alcuni sconfinamenti che sembrano prenderlo particolarmente di mira; in essi non intravede un appello da parte di un bambino in stato d’impotenza, ma una minaccia alla quale reagisce in modo sommario. Ne dà un esempio significativo: al ritorno dal lavoro, controlla la contabilità stendendo sulla tavola delle somme notevoli; avendo notato, a più riprese, la scomparsa di alcune monete, un giorno tende una trappola lasciando per qualche istante il denaro sulla tavola senza sorveglianza; al ritorno, prima ancora di verificare se c’è stato un furto, si dirige verso il presunto nascondiglio di Alain e vi trova effettivamente i pezzi rubati; tutto soddisfatto, ancora adesso mentre mi racconta la riuscita del suo piano, conclude: “A me non la si fa”. Evoca altri avvenimenti della stessa natura rivelatori del suo controllo tirannico e di una certa connivenza tra lui e Alain. In questo contesto, i bambini soggetti al suo dispotismo hanno principalmente la funzione di alimentare il narcisismo paterno. Così, si vanta dei successi scolastici della figlia maggiore, ma questa riuscita, lungi dal permettere all’adolescente di essere riconosciuta e dal procurarle una crescente 26 autonomia, rafforza il controllo che esercita su di lei; il padre di Alain conclude il racconto dichiarando: “Soprattutto non voglio che si creda al di sopra” e ripete, una volta di più, “a me non la si fa”. Se con Alain non rischia che un successo scolastico metta il figlio “al di sopra di lui”, è ferito dalla rappresentazione che suo figlio da, quella di un soggetto vulnerabile, che non regge; a tale proposito non è animato da un movimento di identificazione e di compassione, ma dall’emergere di una rappresentazione di sé che ritrova a specchio in Alain e che deve negare, perché riflette e denuncia pubblicamente la propria impotenza. I dinieghi sostenuti dal padre vengono completati dall’imputazione mossa ad altri per i danni subìti dal bambino. Dopo una fase di relativo adattamento alla scuola materna, Alain si ritrova in difficoltà nel corso preparatorio; malgrado i consigli della scuola, il padre rifiuta la ripetizione del corso e Alain entra quindi alle elementari dove la maestra segnala “una grave insicurezza… non si riesce a stabilire con lui un rapporto di confidenza, quando viene avvicinato, si ripiega in se stesso”; l’osservazione della maestra è pertinente, vi si intravedono le componenti centrali della psicopatologia del bambino; il padre l’interpreta in modo diverso: “Vuol dire che è stato maltrattato dalla maestra precedente! E sviluppa il tema del pregiudizio, dell’ingiustizia, rafforza atteggiamenti proiettivi che mettono da parte qualsiasi interrogativo sulla sua personale implicazione. L’incontro con Alain mette in evidenza la gravità delle costrizioni interiorizzate, come se la tirannia esercitata su di lui si fosse organizzata in modalità di rapporto, in tratti di carattere che egli riproduce specularmente; la repressione supera di molto il registro di una rimozione che terrebbe soltanto a distanza delle rappresentazioni, dei significanti 27 potenzialmente disponibili e suscettibili di essere rimessi in legame con delle reti già aperte; si intravede tuttavia l’esistenza di elementi di quest’ordine che testimoniano delle aperture a una triangolazione edipica evoluta, per esempio il bambino lascia apparire una complicità con la madre quando evoca una situazione in cui il padre si è reso ridicolo, ma tali emergenze sono fragili, non offrono sufficiente appoggio perché prenda il via un autentico movimento di nevrotizzazione. In questo primo contatto resta quindi dominante l’indisponibilità dei supporti del pensiero in mancanza di un appoggio sostenuto. Alain non può esprimersi, sono necessari dei rilanci; il colloquio si trova così ricondotto a una successione di tempi scissi gli uni dagli altri, in qualche modo giustapposti, senza che possa aver luogo una drammatizzazione. Peraltro, contrariamente a quanto afferma il padre, il bambino non è privo di potere, può ritorcere il sistema costrittivo che gli viene imposto; parallelamente tra la madre e lui si delineano dei legami sottili dai quali il padre è escluso, senza che ci sia conflitto; tale aggiramento dei conflitti è facilitato dal fatto che il padre di Alain ha concesso alla moglie un campo particolare in cui, secondo una sua espressione, lui stesso “non ha nulla a che vedere”. L’immagine che viene offerta dal padre non è tale da sostenere l’elaborazione di un’istanza Superegoica; i suoi operati repressivi nel quotidiano non fanno altro che riprendere all’infinito le ingiunzioni di un Super-Io pregenitale crudele e dispotico; quest’uomo non può quindi offrire appoggio ai modelli necessari per la costruzione degli Ideali dell’Io, la cui funzione transizionale è peraltro necessaria nei conflitti del movimento identificatorio. Le posizioni paterne vietano al bambino gli investimenti tanto libidici che narcisistici che, nelle condizioni abituali, permettono di 30 CONCLUSIONI Affrontare questo percorso mi ha permesso di riflettere sulla relazione fra padre e figlio piccolo, fatto che, come abbiamo visto, assume una specifica importanza per la formazione di psicopatologie di tipo psicotico, nevrotico e borderline. Nello specifico, mi hanno colpito il processo di identificazione con il padre del bambino maschio, e il triangolo edipico all’interno del quale il padre, in una condizione di equilibrio psichico, assume una funzione centrale perché permette al figlio di prendere le distanze dalla madre. Il presente lavoro può essere considerato come una meta-riflessione e un inquadramento prevalentemente psicodinamici su ciò che accade a livello relazionale. Sarebbe interessante approfondire in un ulteriore elaborato le tecniche di intervento psicodinamiche, come la psicoterapia genitore-figlio, che permettono il lavoro non solo sulla relazione ma sulle rappresentazioni dei genitori e del figlio su di sé e sull’altro, sulle proprie immagini, fantasie e desideri. Mi sono venute in mente importanti riflessioni circa l’utilità d’intervenire rispetto a relazioni disfunzionali come quelle presenti in sistemi in cui avviene una violenza domestica o casi in cui i bambini hanno degli handicap. Sono questi casi particolari in cui mi piacerebbe, se fosse possibile, in futuro, approfondirne gli aspetti caratteristici. Pensiamo ai bambini non desiderati, e ai bambini che hanno avuto delle carenze affettive. Concludo affermando che sarebbe utile approfondire la discrepanza fra l’idea del bambino immaginario con quello reale nelle 31 situazioni sopra citate, e l’impatto che questa può avere nella relazione con il padre. 32 BIBLIOGRAFIA Brusset, B., Chabert, C., Chiland, C., Ferrari, P., Gutton, Ph., Herzog, J., M., Kristeva, J., Lebovici, S., McDugall, J., Misés, R., Rosenfeld, D., Rosolato, G. 2007. La funzione paterna. Ediz. Borla, Roma. Freud, S. 1910. Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci. In casi clinici ed altri scritti, 2003, Bollati Boringhieri, Torino. Freud, S. 1914. Introduzione al narcisismo. Bollati Boringhieri, Torino. Freud, S. 1922. L’Io e l’Es. Bollati Boringhieri, Torino. Mahler, M., S. 1985. Le psicosi infantili, Bollati Boringhieri, Torino. Mitchell, S., Margaret, B. 1995. L’esperienza della psicoanalisi. Bollati Boringhieri, Torino. Winnicott, D., W. 1992. Sviluppo affettivo e ambiente. Ediz. Armando, Roma.
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