Scarica Dispensa secondo parziale Economia e gestione della banca prof Milena Migliavacca e più Dispense in PDF di Economia e gestione della banca solo su Docsity! 7. LA FINANZA SOSTENIBILE Cos’è la finanza sostenibile Un continuo tra la finanza tradizionale da una parte e la filantropia dall’altra, sono i due estremi: - finanza tradizionale è quella votata all’estrazione di rendimento finanziario positivo - filantropia ha come fine ultimo fare del bene, ovvero avere un rendimento non finanziario deve avere entrambe queste componenti nel suo obiettivo, altrimenti si cade in un caso estremo Non è un continuo omogeneo, ci sono moltissime strategie differenti. 3/5/7 aree: - la finanza responsabile. È la più vicina alla finanza tradizionale, la ricerca di rendimento finanziario competitivo è ancora di primaria importanza, ma accanto a questa c’è la gestione dei rischi di sostenibilità, i rischi ESG, ovvero in ambito ambientale, sociale e di governance (sono l’unità di misura della sostenibilità). Ha un approccio poco reattivo, minimizza i rischi, si preoccupa più di non creare un danno dal punto di vista della sostenibilità - la finanza sostenibile in senso stretto. Cerca rendimenti finanziari di mercato competitivi. Minimizza i rischi di sostenibilità ESG, ma da un punto di vista più attivo integra nelle proprie strategie di investimento anche opportunità ESG, cerca di creare un impatto positivo - l’impact investing. È la più vicina alla filantropia, viene meno una caratteristica fondamentale: ricerca un rendimento finanziario non necessariamente di mercato e quindi competitivo, anche sotto la media di mercato. Pesa molto di più il perseguimento di un rendimento non finanziario La storia della finanza sostenibile • 1908, nasce l’idea con una forte connotazione etico-religioso-morale, cosa che ad oggi non ha, esistono sì, ma non hanno nulla a che fare con quella sostenibile • 1999, nasce l’idea come ora con la nascita del Global Compact, che è il primo codice nato sotto spinta delle Nazioni Unite e fortemente voluto da Kofi Annan (ex segretario generale) Diritti umani: 1. Promuovere e rispettare i diritti umani 2. Assicurarsi di non essere nemmeno indirettamente complici negli abusi di diritti umani Condizioni di lavoro: 3. Sostenere la libertà di associazione dei lavoratori 4. Eliminare le forme di lavoro forzato 5. Eliminare il lavoro minorile 6. Eliminare ogni forma di discriminazione Ambiente: 7. Sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali 8. Intraprendere iniziative che promuovono maggiore responsabilità 9. Incoraggiare sviluppo e diffusione di tecnologie che rispettano l’ambiente Lotta alla corruzione: 10. Avere sistemi di anticorruzione • 2006, le Nazioni Unite fondano i principi dell’investimento responsabile, gli UN PRI. È come se il Global Compact incontrasse il mondo finanziario e i suoi mercati. Sono i principi che dovrebbero governare le strategie degli investitori istituzionali, non di quelli retail Lo statement che Banca d'Italia ha fatto quando è diventata firmataria degli UN PRI - attribuire un peso maggiore ai fattori che favoriscono una crescita sostenibile - premiare imprese attente ai fattori ESG, perché sono anche più solide, efficienti, innovative e meno esposte a rischi operativi e reputazionali - investimenti azionari prevedono l’esclusione dei settori non conformi al Global Compact. Il primo criterio che adotta per decidere se un’impresa è sostenibile è vedere se è sottoscrittrice - poi altri filtri. KPI di impronta ambientale, emissione di gas serra, il consumo di energia e acqua Misura l’impatto di una politica molto complessa soltanto calcolando l’impronta ambientale, è errore comune, anche l’attenzione del legislatore si è focalizzata lì, perché è il più facile da misurare, ha metriche quantitative. Se un’impresa non ha una governance innovativa, aggiornata ed egualitaria non si può pensare che essa si impegni in politiche ambientali e sociali Connessione tra reddito pro capite e impatto ambientale delle famiglie: U rovesciata, al crescere del reddito inizialmente cresce anche l’impatto ambientale, si consuma di più, ad un certo punto, per un reddito medio-alto, la curva si inverte e scende, ci si può permettere soluzioni più green • 2015, accordi di Parigi, fondamentali perché sono il primo accordo universale e giuridicamente vincolante per coloro che lo sottoscrivono. Mantenere l’aumento medio della temperatura attorno ad 1,5°C, fare in modo che le immissioni raggiungano il livello massimo il più presto possibile, poi conseguire rapide riduzioni • 2015, approvazione dell’agenda 20-30 per uno sviluppo sostenibile. 17 macro obiettivi (molti di più micro) SDGS (Sustainable Development Goals). Non c’è nessun obiettivo sulla governance • 2018, nasce il piano di azione per la finanza sostenibile, l’Action Plan, che è quella mappa che coglie tutti gli obiettivi dell’accordo di Parigi e dell’agenda 20-30 Sono stati attivati 3 macro-canali: - canalizzazione degli investimenti finanziari, rendere più sostenibili gli strumenti ed i mercati finanziari, deflettere parte del surplus finanziario dai mercati tradizionali a quelli sostenibili - creare delle metriche di rischio di sostenibilità, va inserita questa nuova accezione all’interno dei processi di gestione dei rischi complessivi - trasparenza, le banche e le grandi imprese devono rendicontare in modo specifico e puntuale quali sono i rischi ESG a cui sono esposte e la strategia per un impatto ambientale e sociale • 2019 nasce il Green Deal, focalizzato esclusivamente sul pilastro ambientale. Scandisce tutti i target da cogliere per poter raggiungere nel 2050 la neutralità climatica, obiettivo ancora più alto Sono stati posti 3 sotto-obiettivi: - entro il 2050 non dovranno più essere generate emissioni nette di gas ad effetto serra, si pone il problema di come compensare le emissioni che si producono - la crescita economica deve essere dissociata dall’utilizzo delle risorse, è una forte spinta verso l’economia circolare: se un paese cresce non significa che debba usare più materie prime - nessuna persona o nessun luogo sia trascurato Le banche Nel 2019 sono nati anche i PRB, i 6 principi per un’attività bancaria responsabile. In Italia i firmatari sono solo Monte dei Paschi di Siena, Intesa SanPaolo, UniCredit, FinecoBank, BPER Banca, Mediobanca, Banca Mediolanum - alignment, l’allineamento delle banche con gli SDGS e l’accordo di Parigi - impact, identificazione, valutazione e miglioramento dell’impatto + e riduzione di quello -. Prima gestendo i rischi e poi in modo attivo con l’emissione di attività, prodotti e servizi ad hoc - clients & customers, incentiva clienti e utenti a perseguire pratiche e scelte di investimento sostenibili e agevola attività economiche attivamente impegnate in progetti sostenibili. Portare fuori dai confini bancari la sostenibilità, spingere gli stakeholder a essere impegnate nell’ambito - stakeholders, lavoro di engagement e collaborazione proattiva affinché gli stakeholders implementino attivamente i cambiamenti necessari per soddisfare gli SDGS - governance e target setting, creazione di strutture e assetti di governance atti a perseguire gli SDGS e promuove una cultura bancaria responsabile. Deve cambiare in primis la governance, la cultura della banca, allinearla nella sostanza, oltre che nella forma, alla sostenibilità - transparency & accountability, prevede la creazione di un sistema di monitoraggio e rendicontazione dei risultati conseguiti. Per vedere effettivamente e concretamente Sono principi con un enorme impatto sulla governance e sull’operatività e che quindi implicano un enorme investimento. Sono relativamente pochi i sottoscrittori, ma la proporzione di asset gestiti da questi investitori sul totale è grandissima Gli strumenti sostenibili Perché uno strumento finanziario sia sostenibile deve soddisfare 3 caratteristiche: - deve avere un orizzonte temporale di lungo periodo, non c’è politica di sostenibilità che si avvera sul mercato monetario in breve o brevissimo tempo. Sotto i 5-7 anni non è possibile - deve esserci la compresenza di rendimento finanziario e non finanziario, se c’è solo il primo è uno strumento tradizionale, se c’è solo il secondo è uno strumento filantropico - deve esserci la compresenza di fattori ESG, deve considerare tutti e tre questi fattori La definizione ufficiale europea di investimento sostenibile è data dal regolamento 2088, ovvero la SFDR del 2019 (direttiva relativa alla trasparenza della rendicontazione bancaria): - investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti 1 l’impiego di energia e di energie rinnovabili, 2 l’utilizzo di materie prime, di risorse idriche e del suolo, 3 la produzione di rifiuti, 4 le emissioni di gas a effetto serra, 5 l’impatto sulla biodiversità e 6 l’economia circolare - SIM, le società di intermediazione mobiliare. Svolgono servizi ed attività di investimento. Non sono banche, non svolgono la combinazione minima. Sono incluse in un Albo di CONSOB, hanno una regolamentazione non come quella bancaria, ma anch’essa piuttosto stringete. Esecuzione di ordini per conto di clienti (broker), negoziazione per conto proprio (creano dei propri portafogli finanziari), gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione, sottoscrizione (per la prima volta sul mercato) o collocamento (già emessi e poi venduti) con (non venduti comprati dalla SIM) o senza (non venduti ridati all’emittente) assunzione di fermo e di garanzia nei confronti dell’emittente, gestione del portafoglio, consulenza in materia di investimenti, servizi accessori. Molte sono diventate banche, che sono i loro competitor diretti La gestione collettiva del risparmio Promozione e organizzazione di fondi comuni di investimento, amministrazione dei rapporti con i partecipanti e gestione del patrimonio mediante investimenti aventi ad oggetto strumenti finanziari, crediti, beni immobili o mobili Ha diversi vantaggi: permette di diversificare gli investimenti, cosa impossibile a causa dei tagli minimi (diversi asset class, industry, contesti geografici, valute... anche se ci sono fondi più specializzati), consente di delegare ad un operatore professionale specializzato le proprie scelte e permette un risparmio sui costi delle singole transazioni (per le economie di scala) OICR, organismi di investimento collettivo del risparmio. Il loro patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni. Tramite 3 strumenti: • fondi comuni d'investimento • SICAV, società di investimento a capitale variabile • SICAF, società di investimento a capitale fisso La SGR è il gestore del risparmio, che crea i fondi e li gestisce in nome e per conto dei clienti, ma non li possiede. Gestisce in monte, ovvero in modo accentrato, i fondi, dunque gli investitori sottoscrivendo una quota delegano completamente la gestione dei propri risparmi, non possono avere nessuna pretesa di ingerenza delle scelte di investimento. Le SGR devono essere iscritte in un Albo di Banca d’Italia e devono essere autorizzate una ad una da Banca d’Italia. La gestione dei fondi è il loro core business, ma possono prestare anche servizi di gestione di portafogli, di consulenza, di ricezione e trasmissione degli ordini… Non fanno da broker, non comprano per conto d’altri la singola azione o obbligazione. Fatto 100 il mercato degli OICR i fondi costituiscono il 99% degli asset gestiti, i restanti sono SICAV e SICAF. Spesso le SIM vengono promosse a SGR Il patrimonio del fondo è autonomo, non appartiene alla SGR, eventuali creditori della società di gestione, o degli altri investitori, nel caso in cui questi fallissero, non possano avere pretese di patrimonio e sulla liquidità del fondo comune. Ciò però non significa che esiste una garanzia di restituzione al nominale, non è una garanzia per cui non si può perdere: il valore del fondo infatti dipende dal valore di mercato dei singoli titoli che lo compongono. Il patrimonio viene suddiviso in quote ed è rappresentato dalle attività in cui è investito il fondo, il cui ammontare muta nel tempo. Si forma tramite i conferimenti dei singoli partecipanti (pooling del risorse) Sono gli unici intermediari che possono fare gestione del risparmio, le banche non possono svolgerla, non possono avere dei propri fondi comuni, possono però allocare dei fondi creati e gestiti da delle SGR. La maggior parte delle banche ha quindi le proprie SGR captive Le SICAV sono società a capitale aperto, esattamente come un fondo comune. Un investitore può decidere di acquistare una nuova quota di un fondo o di una SICAV, oppure decidere di venderla. Sono partecipazioni di imprese che non sono state quotate sul mercato La vendita di quote di un fondo e di una SICV non è istantanea e non è ad un prezzo certo: si emette l’ordine di vendita e dopo 3/5 giorni lavorativi la quota viene liquidata, ovvero ne viene restituito il controvalore, cioè quanto valgono tutti gli investimenti dentro al fondo al valore di mercato di quel giorno (della liquidazione), ovviamente quota parte. Il fondo è la SICAV dunque vengono liquidati al NAV, ovvero il net asset value, il valore netto degli asset all’interno Quando i mercati sono molto volatili, ovvero i valori salgono e scendono molto frequentemente e senza che si possa prevedere con esattezza il loro andamento, è pericoloso vendere, perché si può sapere che oggi è un buon momento per vendere, ma tra 3/5 giorni le condizioni di mercato potrebbero già essere cambiate. Non si ha questo limite con gli ETP, venduti istantaneamente I fondi e le SICAV sono veri e propri strumenti finanziari, mentre le SICAF sono un ibrido, sono società che investono soltanto in strumenti finanziari della quale però l’investitore acquista un’azione, che non è un fondo separato, il capitale della SICAF è il capitale del gestore, si ha ingerenza nella gestione del capitale. Gli investitori sono vincolati a mantenere il loro investimento per tutta la durata delle società, salvo nelle finestra di smobilizzo, per questi sono a capitale fisso Una categoria di fondi sono i fondi pensione, strumento ancora più ibrido: non sono propriamente a capitale variabile, l’investimento è vincolato per lunghi periodi di tempo. La loro ratio è creare un flusso finanziario integrativo alla pensione che verrà restituito al termine del periodo di lavoro Con gli investimenti in azioni frazionarie non si deve necessariamente acquistare un’azione intera, ma si può acquistarne solo una frazione, che costa meno e dunque si può diversificare il proprio portafoglio: con lo stesso capitale si possono prendere ad es 10 azioni intere o 50 frazioni di azioni diverse. C'è però un problema di affidabilità di coloro che vendono le azioni frazionarie, problema che non esiste per coloro che gestiscono gli OICR, poiché le SGR hanno il loro patrimonio completamente separato da quello del fondo che gestiscono Gli ETP seguono nel loro andamento un fondo comune, ma non sono un OICR perché non hanno un patrimonio da gestire, sono strumenti sintetici, come se fossero solo derivati I sistemi multilaterali di negoziazione Ci sono i mercati finanziari regolamentati, quelli OTC (over the counter, non regolamentati) e una categoria intermedia, i sistemi multilaterali di negoziazione, che sono dei mercati regolamentati (da CONSOB), ma non così pesantemente come quelli ufficiali. Inoltre hanno orari di apertura e di chiusura diversi da quelli regolamentati e non hanno quelle figure come i market specialist. La loro liquidità e in particolare il loro spessore è un po’inferiore, però sono abbastanza ampi ed elastici Il più importante tra i mercati multilaterali di negoziazione è l’MTS perché ha delle caratteristiche molto simili al classico mercato di borsa, ma chiude un quarto d’ora dopo i mercati regolamentati. Ciò è importante perché quel quarto d’ora a volte può essere molto prezioso per fare degli acquisiti e delle vendite in funzione di news arrivate in chiusura di mercati Sono mercati riconosciuti e regolamentati. Ad esempio esiste il MOT, che è il mercato delle obbligazioni ufficiale, e il suo sistema multilaterale speculare, l’extraMOT, gestito da Borsa Italiana così come il MOT. Quasi per ogni mercato ufficiale c’è la rispettiva piattaforma multilaterale 9. LA BANCA Cos’è la banca L’intermediario per eccellenza. Il TUB (testo unico bancario) articolo 10 individua la raccolta di risparmio tra il pubblico e il contemporaneo esercizio del credito come l’attività bancaria, la combinazione minima, ciò che deve fare. Ha carattere d’impresa ed è riservata alle banche Poi le banche possono esercitare ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse e strumentali. Possono realizzare la combinazione produttiva desiderata, sono attività che si vanno ad aggiungere a scelta a quelle obbligatorie Non può invece svolgere 2 attività: quella assicurativa e quella di gestione collettiva del risparmio. Esistono però le assur-banca, le banche-assicurazioni e i conglomerati finanziari, che sono insiemi di intermediari finanziari che svolgono contemporaneamente l’attività di banca e l’attività assicurativa. Si uniscono le vigilianze, CONSOB e IVASS, e creano un regolamento ad hoc Per svolgere tutte le attività la banca deve conoscere bene il cliente, per questo si ha la normativa MIFID. È una parte delle regole di condotta relative all'obbligo da parte degli intermediari di agire in modo onesto, equo e professionale per garantire i diritti degli investitori retail (la parte debole): - per le attività di consulenza e gestione del portafoglio, che riportano alto valore aggiunto, l’intermediario deve avere informazioni in merito all’esperienza del cliente in termini finanziari, lo status lavorativo, se lavora in ambito finanziario, gli obiettivi di investimento, la tolleranza verso il rischio, la situazione famigliare… La banca sottopone il cliente a un test di adeguatezza per garantirgli il massimo grado di tutela. Se non ottiene informazioni non può effettuare il servizio - per tutte le altre attività, invece, basta un questionario di appropriatezza, che dà una conoscenza più superficiale del cliente, comprende la conoscenza delle maggiori asset class finanziarie e informazioni sulla situazione finanziaria (quanto si ha in liquidità, investito e immobilizzato). Non è necessario conoscere gli obiettivi di investimento o la situazione famigliare per eseguire un ordine come broker. Questi servizi sono di carattere “secondario” perché non è l’intermediario a proporre, ma è il cliente ad indicare le operazioni da svolgere Non sussiste invece nessun obbligo di verifica per l’intermediario quando presta servizi di ricezione e trasmissione di ordini del cliente. Il questionario si compila quando si inizia un rapporto bancario e, soprattutto quello di adeguatezza, deve essere rinnovato almeno annualmente Le attività aggiuntive delle banche Le attività finanziarie aggiuntive riconosciute dal Testo Unico sono: - esecuzione di ordini per conto dei clienti. Agisce da broker, esegue un ordine di acquisto o vendita in nome e per conto del cliente. O sui mercati regolamentati, o sui sistemi multilaterali di negoziazione (gestiti da società di gestione dei mercati regolamentati o SIM o banche, 3^attività) o internalizzando l'ordine, ovvero vendendo strumenti di sua proprietà (2^ attività) L’intermediario deve agire in regime di best execution: deve garantire che l’acquisto avvenga alle migliori condizioni possibili: miglior prezzo, minor costo di transazione, rapidità e probabilità di esecuzione, dimensione e natura dell'ordine. La scelta deve essere fatta sulla base di criteri precisi e predeterminati, che costituiscono la strategia di esecuzione degli ordini, di cui il cliente deve essere informato. Deve anche valutare che l'operazione sia appropriata per il cliente tenendo conto di: familiarità con il tipo di operazione chiesta, volume, frequenza e natura delle operazioni passate, livello di istruzione, professione. Se il cliente dà già l’ordine all’esecutore l’intermediario è tenuto semplicemente ad eseguirlo senza verificarne l’appropriatezza - negoziazione per conto proprio. Agisce da dealer, compra o vende lei stessa i prodotti del cliente, si interpone con il bilancio. Deve essere autorizzata anche per l’attività precedente. Ciò avviene solitamente per strumenti meno liquidi, ad esempio un cliente che vuole diventare socio di un’impresa non quotata: spesso ciò nasce da un’attività di consulenza della banca, che da insider ha informazioni su una società e quindi può consigliarne l'investimento, la banca ha un pacchetto di strumenti di partecipazione (azioni non quotate sui mercati) - gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione. Non è altro che una delle sedi di negoziazione che utilizza al fine di conseguire il miglior risultato possibile per i clienti. Una banca può avere il proprio piccolo mercato finanziario di riferimento, una delle piattaforme multilaterali di negoziazione più grande ad oggi, era nato come mercato mobiliare interno privato di UniCredit - ricezione e trasmissione di ordini. L'intermediario che ha ricevuto un ordine non lo esegue direttamente, ma lo trasmette ad un altro intermediario. Comunque sceglie colui che lo eseguirà. Ciò avviene o quando non è abilitata alle prime 3 attività o quando è molto grande e ha delle propria società captive, che eseguono soltanto ordini di compravendita sui mercati - sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo nei confronti dell’emittente. Il collocamento privato avviene tramite un’asta imperfetta nella quale gli investitori istituzionali comunicano la combinazione di prezzo massimo e volume che vogliono acquistare. Il book building è l’ordinamento in termini di rapporto prezzo-volume di tutte le offerte, vincono coloro che hanno il migliore rapporto. Nel collocamento pubblico invece gli investitori istituzionali si coalizzano in consorzi di collocamento (non solo le banche, anche le SIM ad esempio), non agiscono più in competizione. L’emittente paga le banche che si consorziano, perché con diversi gradi di efficacia garantiscono il buon fine dell’emissione. Ci sono 3 tipi di consorzio: • consorzio di semplice collocamento, gli intermediari si impegnano ad esortare i propri clienti ad acquistare quegli strumenti, propongono l’acquisto. Ogni intermediario si fa portatore di una quota di tutti gli strumenti. La parte non vendita torna nelle casse dell’emittente • consorzio di garanzia, la parte residuale viene acquistata dalla banca (incentivo massimo). Il collocamento è garantito, ma il cliente dovrà aspettare che il consorzio chiuda l’attività: ha 4/6 settimane per proporre ai clienti e poi per chiudere con l’acquisto degli strumenti residui • consorzio con assunzione a fermo, la banca acquista immediatamente tutti gli strumenti, poi sarà suo onere collocarli. É un doppio vantaggio per l’emittente: garantisce il successo del collocamento e non deve aspettare la chiusura delle attività Devono fornire le necessarie informazioni ai clienti, valutare l'appropriatezza dell'operazione, gestire correttamente eventuali conflitti di interesse e operare sulla base di un contratto scritto. Può accadere che l'emittente retroceda al collocatore delle somme di denaro sotto forma di incentivi. Questi incentivi devono essere volti ad accrescere la qualità del servizio fornito al cliente e non devono ostacolare l'intermediario nell'obbligo di servire al meglio gli interessi dei clienti - gestione portafogli. L'intermediario decide per conto del cliente quali strumenti finanziari andranno a comporre il portafoglio al fine di valorizzarlo e provvederà anche ad acquistarli e venderli. Può provvedere da solo o trasmettendo gli ordini ad un altro intermediario autorizzato. In ogni caso, dovrà applicare ogni misura per raggiungere il migliore risultato possibile offrono: un’impresa ha bisogno che la banca gestisca la sua liquidità o un grosso portafoglio di investimenti o un’attività di quotazione in borsa. Sono attività ad hoc, studiate per le singole imprese. Le commissioni sono molto alte, in particolare la consulenza per la quotazione - investment banking. Sono le banche d’affari, che in realtà in Europa (negli Stati Uniti sì dal 1999) non sono banche, ma società finanziarie, perché non svolgono la combinazione minima, non accettano depositi dai piccoli depositanti, ma seguono altri investitori istituzionali, dunque altre banche, SGR, SIM… Raccolgono capitali attraverso la loro attività di investimento sui mercati finanziari, anche attività molto speculative. Sono forti nelle operazioni di fusione e acquisizione. Negoziazione di strumenti finanziari su mercati secondari. Possono comprendere anche i servizi di corporate banking, consulenza e gestione patrimoniale. Hanno una regolamentazione meno rigida che consente di assumere rischi maggiori, infatti il loro core business è molto rischioso perché molto sbilanciato sugli investimenti Dopo la crisi bancaria del ’29 il Congresso degli Stati Uniti reagì nel ’33 con il Glass-Steagall Act: - distinzione tra banche commerciali e di investimento, le due attività non possono essere esercitate dallo stesso intermediario. Per evitare, in caso di crisi, che fallisca anche la banca tradizionale oltre a quella investment, che lo shock finanziario si ripercuoti sull’economia reale - introduzione del fondo garanzia depositi, FDIC, per prevenire corse agli sportelli (fino a 250mila) Contenere la speculazione da parte degli intermediari e prevenire le situazioni di panico bancario La prima parte fu abrogata da Clinton nel ’99 e ciò fu causa della trasmissione dello shock di liquidità legato ai mutui subprime al mercato sia reale che finanziario nella crisi del 2007. Ci fu il via libera al moral hazard, cioè la percentuale di probabilità che un evento coperto da assicurazione (FDIC) si verifichi a causa della mancanza di attenzione di chi ha stipulato il contratto. Le banche fecero investimenti con minor prudenza, in particolare se si trattava di banche "Too Big To Fail”, che i governi lascerebbero fallire in condizioni davvero remote Sono in molti a chiedersi come mai non venga reintrodotta una legge prevedente la distinzione tra istituti bancari tradizionali e di investimento. In questo modo ognuno potrebbe decidere dove mettere i propri soldi e si arginerebbe notevolmente il fenomeno della speculazione I modelli istituzionali e organizzativi - modelli di governance: • società di capitale pure. Orientate al soddisfacimento degli azionisti. Sono le banche S.p.A. • società di capitale di natura cooperativa e finalità mutualistica. Orientate al soddisfacimento degli stakeholders. Sono banche di credito cooperativo (BCC) - modelli proprietari: • banche private. Il capitale è quotato e in mano ad azionisti non pubblici. Le S.p.A. dovrebbero essere tutte banche private, ma tra gli azionisti può esserci anche lo Stato • banche pubbliche. La maggioranza del capitale è pubblico. Ad esempio le casse di risparmio tedesche e le banche di sviluppo. In Italia prima degli anni ‘90 c’è stata un’ondata di privatizzazione, infatti non esistono banche con dichiarato maggiore azionista il governo - modelli di specializzazione del business: • banche generaliste. Molteplici pubblici, gamma diversificata di servizi, ≠ linee di business • banche specializzate. Offerta di servizi specifici, un’attività specifica o un mercato geografico specifico o una tipologia di clientela specifici Per scegliere quale modello organizzativo accogliere si possono studiare 4 fattori determinanti: - modalità di divisione del lavoro tra i soggetti operanti e i relativi meccanismi di coordinamento - l’ambiente bancario. Si può essere in era di deregulation, globalizzazione dei mercati, virtual banking, decentramento organizzativo, specializzazione… Ad esempio prima del Glass Steagall Act c’era l’incentivo a specializzarsi, dopo ad espandersi ed essere più generaliste - l’età e la dimensione. Più la banca è grande e complessa più tenderà a un modello generalista - vincoli normativi. Erano fondamentali in passato, ora meno. Ad esempio in Italia ci sono state due forte spinte regolamentari negli anni ‘90, anni in cui l’ambiente bancario è cambiato molto 3 spinte normative che in Italia hanno influenzato di più la scelta del modello istituzionale: - legge Amato-Carli del 1990 sulla privatizzazione delle banche italiane. Inizialmente il legislatore aveva spinto per il modello del gruppo polifunzionale - legge 287 del 1990 sulla tutela della concorrenza. Viene rinnovata la disciplina anti-trust con l'attribuzione alla Banca d'Italia di questa funzione nel settore bancario. Inserita la necessità di autorizzazione all'acquisto delle partecipazioni nel capitale bancario - Testo Unico Bancario del 1994. Il legislatore sembra ora indirizzare verso la banca universale I vincoli normativi non possono determinare una scelta, possono forzarla e creare gli incentivi Nel sistema bancario convivono intermediari bancari con dimensioni molto diverse, anche se nell'ultimo decennio si è verificata una forte spinta verso la creazione di grandi poli bancari La banca grande e complessa ha una visibilità economico-politica maggiore di quella piccola e da una parte ha un rapporto più diretto con l’autorità di vigilanza, mentre dall’altra parte è la prima interfaccia di quelle regole che non sono norme e direttive ufficiali, ma che l’autorità con la sua posizione e autorità riesce a far rispettare. L’autorità ha infatti rapporti strettissimi con le principali banche italiane. Riesce a diversificare meglio la propria area di business e quindi a controllare meglio l’esposizione ai rischi (almeno per il rischio di credito o di controparte e per quello di liquidità). Operatività con la clientela istituzionale e corporate di grandi dimensioni e operatività a livello internazionale. Economie di scala e scopo La banca piccola ha una profonda conoscenza del territorio e in un paese come l’Italia che è costituito al 99% da microimprese conoscere quasi a livello personale è molto importante. Permette di avere tutte quelle informazioni informali (soft information) che non passano dai questionari MIFID, ma che determinano il reddito creditizio di un’impresa, quindi sa distinguere tra buoni e cattivi prenditori. Pronunciato localismo bancario. Ciò è determinante per la gestione del rischio di credito, infatti anche le banche grandi con una maggiore digitalizzazione stanno cercando di recuperare con i clienti una conoscenza più personale ed un rapporto più frequente 4 modelli organizzativi sono: - banca universale. Più generalista e quindi per le banche di grandi e medie dimensioni - gruppo bancario. Più generalista e quindi per le banche di grandi e medie dimensioni - banca specializzata. Più specializzato e quindi per le banche di piccole dimensioni - network. Più specializzato e quindi per le banche di piccole dimensioni Nella realtà non esistono modelli istituzionali puri, adottano un’unione di questi modelli La banca universale Ha un’offerta più completa tra le 4: è multibusiness, multiclient e multiprodotto. Ha un elevato livello di diversificazione, anche a livello di BBM. Raggiunge tipologie di clienti molto eterogenee, hanno infatti il numero più alto di clienti e quindi un notevole ingresso di liquidità, che impiegano con l’attività creditizia, molto estesa. Quindi sono le ultime a chiudere i rubinetti del credito quando le tensioni sui mercati non rendono più ottimale svolgerlo. Attività di capital market e operatività in titoli ampia. Partecipazione al capitale di rischio delle imprese non finanziarie Generalmente si è organizzata in forma divisionale, ovvero dentro alla grande banca ci sono diverse divisioni che si occupano di specificità, mercati e clienti diversi. In questo modo inoltre internalizza attività che potrebbero essere svolte da società esterne Possono permettersi una negoziazione in conto proprio, ovvero di trovare domanda e offerta compatibili all’interno della propria clientela, per questo sono banche idealmente più stabili. Sono le cosiddette “too big too fail”, ovvero troppo grandi per essere lasciate fallire. La loro probabilità di fallire a parità di tutto il resto è inferiore a quella di una banca piccola e specializzata, perché sono più stabili, ma hanno un’importanza tale sul mercato che non possono essere lasciate fallire, perché aprirebbero un effetto domino che a catena coinvolgerebbe anche tutte le altre banche I vantaggi sono che può sfruttare economie di scala e di scopo interne, sia nella produzione e creazione di prodotti, sia nel cross-selling, ovvero nel fatto che può seguire a tutto tondo anche il cliente che ha necessità più complesse, perché ha un’offerta che va dal cliente fisico alle imprese. Gestione non solo della ricchezza finanziaria, ma di tutto il patrimonio (wealth management): remuneratività enorme, perché le commissioni per prodotti e servizi così specifici sono parecchio alte. C’è un’alta diversificazione del rischio. Nella maggior parte dei casi sono anche dei player internazionali. I rapporti one to one con l’autorità di vigilanza sono più frequenti e quindi la reputazione della banca sul mercato cresce Gli svantaggi sono la possibilità di avere conflitti di interesse interni (insider trading) con il cross- selling: se conosce bene la situazione finanziaria del cliente imprenditore, allora ha anche delle informazioni private per decidere se acquistare o meno titoli emessi dall’impresa di quel cliente. Ci sono però dei meccanismi ad hoc che legiferano su questa gestione di informazioni. Inoltre ci può essere un alto costo di integrazione di un’altra banca, poiché deve essere smembrata completamente. È più difficile mantenere un’identità una volta acquisite da esse. Ci vogliono anni affinché una banca venga completamente assorbita all’interno di una banca universale. Serve un investimento iniziale gigantesco, infatti si diventa banche universali, non si nasce come tali La banca specializzata È l’estremo opposto. Sceglie un profilo tra le tipologie di prodotti e servizi da offrire alla clientela, ad esempio specializzata in processi di acquisizioni tra banche oppure in cui la soglia di ingresso è di 2 milioni di euro oppure che opera soltanto online... Si va a selezionare una tipologia di servizio o una tipologia di clientela o una tipologia di canale distributivo o un’area geografica Sono banche nuove è il primo passaggio che fa una non banca, una SIM ad esempio, per diventare banca, poi diventerà grande, ma nasce piccola e specializzata. Oppure banche che vogliono rimanere piccole, ad esempio le BCC, che hanno una forte vocazione territoriale I vantaggi sono le competenze, che sono molto specifiche. Ci sono inoltre enormi vantaggi di apprendimento: si riesce a diventare la banca di riferimento per quell’aspetto in cui si è specializzati. Ciò comporta prezzi maggiori Gli svantaggi sono che è più difficile diversificare il business e quindi c’è una concertazione di rischi su un determinato territorio o una determinata industry... Inoltre viene meno tutta la questione della reputazione internazionale, si può essere la banca specializzata in una certa cosa a livello nazionale, ma è difficile che diventi la banca a livello mondiale che si occupa di quella cosa, perché se anche lo diventasse non riuscirebbe più a rimanere piccola Il network Per sopperire alla mancanza di rapporti privilegiati con l’autorità di vigilanza e di reputazione internazionale della piccola banca sono nati i network. Sono la forma difensiva verso le grandi banche e soprattutto i processi di acquisizione o internalizzazione: si coalizzano con altre banche altrettanto specializzate, ma su altri settori (omogeneità dimensionale e non sovrapposizione territoriale). Complessivamente riesce ad avere un’offerta ampia e diversificata di servizi Questo modello poteva essere anche meglio della banca universale, perché ogni singola banca specializzata è altamente competente nella propria area e quindi un cliente complesso poteva essere seguito meglio. In passato avevano funzionato perlomeno all’interno di un medesimo contesto geografico, con i network di banche di credito cooperativo (BCC) Ma sono rimasti istituzioni informali, ovvero accordi tra banche e la capogruppo, che non ha partecipazioni nelle altre, che rimangono indipendenti. Per questo di volta in volta la singola banca può decidere se acquistare uno specifico servizio per un cliente all’interno delle banche del network o al di fuori chiedendo partnership con altre banche o erogarlo lei stessa. Il fatto che la capogruppo non abbia partecipazioni di controllo in tutte le banche fa sì che esso non abbia una strategia e una politica di prezzo comune. Inoltre c’è anche la pressione a diventare sempre più grandi e quotate. Aveva delle ottime premesse, ma non è mai sbocciato Il gruppo bancario Insieme organizzato di banche specializzate, la capogruppo ha partecipazioni dirette e di controllo più o meno elevate nelle altre, viene fatto un bilancio consolidato. Le controllate possono essere anche SIM, SGR, assicurazioni... così da ampliare e diversificare i servizi da offrire, con però salvaguardia delle autonomie e delle specializzazioni. È la formalizzazione del network. Si ha un unico disegno strategico e imprenditoriale. È il modello adottato in Italia a partire dagli anni ‘90 È una holding pura quando non svolge attività operativa, ma si occupa della gestione strategica e del coordinamento del gruppo. È invece una holding mista quando non attua una separazione tra la gestione operativa e quella strategica. Le subholding, che non sempre esistono, sono società finanziarie alle quali vengono imputate partecipazioni in società controllate appartenenti a raggruppamenti omogenei, si interpongono tra la capogruppo e le società operative Esistono almeno 3 modelli organizzativi di gruppo, anche se nella realtà sono misti - il modello funzionale, ogni controllata ha funzione a sé. Ridotta complessità. Integrazione orizzontale (processi di acquisizione, elevata autonomia per controllate, contenimento dei costi - il modello federale, è un’aggregazione progressiva di banche a vocazione locale, così da mantenere le relationship. In modo da poter coprire idealmente tutto lo Stato - il modello divisionale, la holding controlla divisioni in cui ogni controllata si specializza in un segmento. La holding partecipa le controllate e quindi anche delle perdite di bilancio aggregato. Sono delle divisioni vere e proprie, delle aree strategiche di affari: o che si occupano a 360° di una specifica area geografica o di un’unica funzione per tutte. Ridotta complessità gestionale, ideale per banche grandi e diversificate. Divisioni per prodotto, clientela o area geografica I punti di debolezza sono il fatto che dover passare per un intermediario comporta dei costi di intermediazione, il cliente debba pagare l’attività delle banche sotto forma di commissioni e di tassi di interesse. Inoltre c’è il rischio di formazione di accordi collusivi, poiché non solo il sistema è banco-centrico, ma è anche fortemente concentrato (ci sono circa 400 banche in Italia e le prime 4 hanno il 90% del capitale intermediato). Con le 3 spinte legislative degli anni ‘90 e soprattutto la seconda degli accordi anti trust questo rischio si è contenuto, è comunque alto L’incentivo delle imprese a quotarsi e a chiedere capitale di rischio sui mercati è molto basso, perché se l’impresa ha bisogno di un finanziamento ed è in un sistema fortemente banco-centrico con la sua banca super fidelizzata, va a chiedere ad essa un prestito. Ci vorrebbe un giusto equilibrio tra capitale di credito e capitale di rischio. Quotandosi si aumenta la propria visibilità e si ottiene visibilità e una valutazione oggettiva del mercato nel bene e nel male (il prezzo di mercato è il valore equo). Inoltre un nuovo azionista getta scompiglio nella governance, ma un ingresso di persone esterne può portare anche un punto di vista diverso, quindi innovazione e idee nuove. C’è così una possibile concentrazione negli assetti proprietari delle imprese partecipate Ci sono poche grandi banche e poche grandi impresi, é un match quasi forzato. Inoltre le banche piccole radicate territorialmente difficilmente hanno un corporate banking sviluppato a sufficienza da offrire grandi servizi e liquidità sufficiente per avere un pacchetto di partecipazioni rilavanti in una grande impresa quotata. Quindi anche nell’attività di acquisizione di partecipazioni c’è il rischio di una possibile concentrazione. È un circolo vizioso, si trova il medesimo manipolo di poche banche a entrare nelle governance, nell’assetto proprietario delle imprese partecipate Non ci si può quindi aspettare che le solite grandi banche portino grande innovazione nelle imprese partecipare. Inoltre una banca non voterà mai progetti troppo rischiosi e troppo innovativi, perché quella liquidità che sta investendo l’ha presa dai suoi correntisti e quindi ha un dovere di gestione prudente. Il capitale che sta portando non è capitale di rischio, ma di debito, e non è suo. Viene meno quindi il benefico cardine di diffondere il capitale di rischio I sistemi basati sui mercati Utilizza il mercato e quindi l’incontro autonomo tra domanda e offerta di capitale senza che questo venga intermediato da un asset transformer. I mercati danno un valore qui ed oggi al potenziale delle imprese emittenti in maniera molto più puntuale del bilancio, che lo fa comunque, ma a cadenza annuale, il mercato invece valuta in tutti gli istanti in cui è aperto. Il mercato aggrega le informazioni di tanti emittenti e le inserisce all’interno del prezzo, che sconta le informazioni storiche, contemporanee e private, dipende dall’efficienza debole, forte o semi forte dei mercati. Il prezzo si aggiorna in funzione della disponibilità di informazioni I punti di forza sono la diffusione del capitale, ovvero il fatto che ci siano molti azionisti, che fa sì che la governance sia eterogenea e che cambi nell’arco del tempo. L'azionista diventa sì socio quota parte dell’impresa partecipata, ma in realtà il singolo azionista non ha un grandissimo potere di ingerenza sulla governance, soltanto i grandi azionisti, ovvero quelli che hanno dei pacchetti non necessariamente di controllo, ma comunque importanti Inoltre si possono parametrare i pacchetti compensativi, le politiche di remunerazione del top management, all’andamento delle azioni. In questo modo si crea un incentivo affinché il top management curi gli interessi dell’azienda, perché così facendo ne fa aumentare il valore in borsa e quindi anche il suo pacchetto compensativo. Però essere troppo orientati al benessere esclusivo del portare di capitale di rischio fa sì che l’impresa sia più incentivata a staccare buoni dividendi piuttosto che a utilizzare quell’eccesso di liquidità per reinvestirlo nel core business. È un approccio di breve termine, che rende felici oggi gli investitori, ma che probabilmente nel lungo termine non pagherà perché perde tutte le possibilità di miglioramento e di innovazione Il mercato è anche un luogo in cui si può acquistare prodotti finanziari come i derivati, che sono utilissimi per il trasferimento di rischi (minimizzazione e diversificazione). Una tipologia di derivato è lo Swap (letteralmente scambio), in cui due controparti si scambiano alla fine della vita del derivato due tassi: un tasso fisso per un tasso variabile. Ad esempio un’impresa che si indebita con una banca a tasso fisso, può entrare in uno swap fisso su variabile in cui la controparte paga un tasso fisso pari a quello che deve alla banca e essa paga un tasso variabile. In questo caso si sta scommettendo sul fatto che i tassi scendano. Il tasso fisso che si deve dare alla banca lo sta pagando la controparte del derivato. Lo spread tra il tasso fisso e il variabile è il puro guadagno. Ci sono anche altri prodotti per trasferire il rischio ad una controparte con aspettative opposte I punti di debolezza sono il fatto che non c’è un intermediario e quindi le scelte di investimento sono demandate in capo agli investitori retail, alle famiglie. Se esse diventano prestatori di capitale di rischio diventano la categoria meno tutelata tra gli investitori. Con innovazione finanziaria probabilmente esiterebbero dei prodotti che fanno sì che le imprese trasferiscano direttamente parte dei propri rischi in capo alle famiglie, senza necessariamente che questi se ne rendano conto. Ad esempio quando si acquista una quota di un fondo comune le famiglie non sanno fino in fondo in cosa stanno investendo, è facile per le aziende accollare rischi operativi Più il sistema non ha intermediari e banche che trasformano il rischio dei prenditori di fondi e lo annullano tutti questi rischi finiscono in capo agli investitori retail, che sono i più deboli perché nella maggior parte dei casi non hanno le conoscenze sufficienti per operare su questi mercati. Non c’è la banca o se c’è fa da broker, non trasferisce il rischio che è tutto in capo all’investitore Gli indicatori Per capire se un sistema è bank o market based ci sono degli indicatori di due tipi: - misure assolute, tra il peso complessivo di banche o mercati sul totale dell’economia nazionale. • tutti i depositi bancari (quanto è importante l’intermediazione bancaria) / PIL • (moneta circolare + depositi bancari) / PIL - misure relative, tra l’importanza delle banche e dei mercati disintermediati • totale depositi bancari / totale asset puramente finanziari, ovvero comprati e venduti sul mercato. Approssimazione del volume di affari delle banche e di quello disintermediato. Maggiore è il rapporto e maggiore è l’importanza relativa delle banche. Se è maggiore di 1 è un mercato più banco-centrico, minore di 1 un sistema più orientato ai mercati • tutti gli attivi bancari / capitalizzazione di mercato, che non è da confondere con il flottante Il flottante è l’insieme delle azioni pronte per la negoziazione di un emittente, ovvero libere di essere comprate e vendute sul mercato. Non si tiene conto delle partecipazioni di controllo, non disponibili per la vendita e l’acquisto, di quelle vincolate da patti parasociali e di quelle soggette a vincoli alla trasferibilità, che devono essere detenute per un periodo minimo. È la percentuale di azioni libere, non dice quanto valgono, con la capitalizzazione invece si parla di valore Borsa italiana per quotare un emittente setta una percentuale minima di flottante su tutto il capitale, che è del 25%. Una volta ammessa a quotazione la società deve mantenere il requisito, altrimenti ci può essere la revoca dell’ammissione a quotazione. Gli emittenti che hanno un flottante di poco superiore al 25% sono azioni sottili, cioè ci sono poche azioni che possono essere comprate e vendute, è la stessa definizione di mercato sottile, cioè con poche negoziazioni La capitalizzazione è la valorizzazione di tutte le azioni di un’emittente, è il market value: il numero di azioni nelle quali tutto il capitale sociale dell’impresa è suddiviso moltiplicato per il valore che quell’azione ha in quel momento sul mercato. Esistono anche capitalizzazioni medie, in cui si prende il prezzo medio degli ultimi tot mesi, se non si vuole una fotografia così specifica, ma si vuole avere un’idea di qual è stato il valore di quella compagnia negli ultimi tot mesi Ci sono azioni che l’emittente emette e ricompra, azioni vincolate e azioni di pacchetti di controllo che non sono vendibili e smobilizzabili. La capitalizzazione è quindi una forzatura, si fa finta che oggi si può idealmente acquistare o vendere una certa impresa come se tutte le azioni potessero essere vendute e al prezzo di mercato. In realtà per comprare un’azione di un pacchetto di controllo si paga un prezzo molto più alto, perché non si convince facilmente qualcuno che ha un pacchetto di controllo a vendere una parte delle proprie azioni al prezzo di mercato La financial services view La realtà sta nel mezzo: i sistemi finanziari veri non sono nè completamente banco-centrici nè completamente basati sul mercato. Per questo negli ultimi anni è nata una terza via, la visione dei servizi finanziari complessivi: non importa chi produce il servizio, basta che sia fruibile, che sia presente nel sistema. I mercati regolamentati e gli intermediari sono nati per migliorare le imperfezioni del mercato nell’offerta dei servizi. I contratti finanziari nascono per cogliere potenziali opportunità di investimento, esercitare il controllo societario, facilitare la gestione dei rischi, migliorare la liquidità e la facilità di mobilizzazione del risparmio Un sistema finanziario evoluto è quello in cui vengono forniti i servizi finanziari di base. È inutile sforzarsi di creare e ottimizzare i mercati, renderli più efficienti, più regolamentati, più fluidi, più spessi, più ampi, più elastici... e lasciare completamente da parte le banche e gli intermediari finanziari. O concentrarsi solo sulle banche, renderle più regolamentate, più sicure, accrescere sempre di più la loro operatività e lasciare i mercati deregolamentati e in confusione Interessa che nell’ambiente i servizi presenti siano tanti, vari e affidabili, non interessa se i mercati hanno dei limiti, basta creare il mercato migliore possibile ed il mercato bancario migliore possibile, poi troveranno il loro equilibrio e complessivamente l’ambiente finanziario ne beneficerà Storicamente guardando agli studi empirici non è stata mai dimostrata una correlazione forte, cioè statisticamente significativa, tra la crescita economica, quindi il benessere di una nazione, e lo sviluppo di un sistema puramente banco-centrico o puramente basato sul mercato. Non è vero che uno dei due sistemi garantisce un’economia più florida, non c’è diretta causalità Ciò che effettivamente rende un’economia più probabile di avere un buon tasso di crescita e di essere florida è il sistema legale e la sua bontà: il fatto che i contratti vengano rispettati e che siano chiari e trasparenti (vengano definiti esattamente i diritti delle due controparti) e il fatto che il sistema legale faccia rispettare il contratto e dia una pena a chi non lo rispetta - tipologia e numero di banche. Tipologie di banche diverse erogano servizi diversi, ma non è così importante perché non è sempre così. L’Italia rispetto alla media europea è un paese con tante banche, ma solo le prime 4 fanno il mercato, quindi non è comunque diversificato - capitalizzazione / PIL, approssimazione di quanti importanti siano i mercati in un’economia - credito bancario a privati / PIL, quanto un sistema sia banco-centrico. Ci si aspetta che l’importanza della capitalizzazione di mercato e l’importanza relativa dei mercati finanziari sul PIL statunitense e inglese sia molto elevata, sono basati sul mercato per definizione È molto più semplice cogliere l’importanza relativa o assoluta di banche e mercati, mentre cogliere se un sistema finanziario è complessivamente dotato dei servizi necessari è molto più complesso. Questi indicatori infatti nel concreto sono approssimazioni sporche dell’efficienza finanziaria e della varietà di strumenti finanziari presenti in un’economia La disintermediazione L’importanza relativa del credito bancario in Inghilterra e negli Stati Uniti sta crescendo, il trend è sicuramente positivo per gli Stati Uniti e in decrescita, ma con una media stabile, nel Regno Unito. Perlomeno negli ultimi 20 anni è venuta meno la dicotomia di mercato banco-centrico o basato sul mercato, perché hanno un mercato finanziario molto sviluppato, ma anche un sistema creditizio, tipicamente intermediato, altrettanto sviluppato. Non sono né basati sul mercato né sulle banche, è un sistemi che riesce ad erogare a prescindere dalla fonte che eroga L’Italia ha un mercato poco sviluppato e un trend dell’importanza del credito abbastanza piatto, ma superiore, quindi è un sistema più banco-centrico, anche se le banche non hanno aumentato nè le loro quote di mercato nè i servizi offerti sui mercati, quindi i servizi disintermediati non hanno aumentato la loro capitalizzazione. Se si guarda il numero di banche alla fine del ‘98 e del 2021, che sono il primo e l’ultimo dato disponibili, è sceso nettamente. Ciò non significa che si è diventati meno banco-centrici, perché ci sono sì meno banche, ma con una market share praticamente immutata, cioè semplicemente sono diventate meno e più grandi, non hanno perso potere di mercato. Le masse intermediate sono rimaste le stesse, ma da meno banche Ci sono state delle forze esterne che hanno fatto sì che player bancari e non si trovassero a competere sullo stesso mercato. Com il FinTech il progresso tecnologico ha fatto sì che dei player non bancari entrassero nel mercato creditizio, che è quello core delle banche, e che quindi ne aumentassero la competizione, quindi i mercati in generale sono sempre più disintermediati. Il fatto che un’economia sia più disintermediata non vuole necessariamente dire che ci sono meno masse che passano dalle banche, ma significa che la banca agisce meno da asset transformer e sempre più da prestatori di servizi puri, quindi da asset broker, o da dealer. Hanno aumentato il loro ventaglio di servizi anche a tutti quei prodotti che non sono strettamente di natura bancaria Il cross selling si ha quando un medesimo istituto bancario riesce a vendere e a collocare a uno stesso cliente prodotti provenienti o da più divisioni, se si sta parlando di una banca universale, o da più intermediari del gruppo, se si sta parlando di gruppo bancario. Ad esempio la SGR propone il fondo, la banca il mutuo, la parte di corporate un’acquisizione di un pacchetto rilevante dell’azienda... La disintermediazione di circuiti puramente intermediati, o almeno in origine, ha molto ampliato il ventaglio di prodotti che una banca può offrire e dunque questo implica che ci sia sempre più cross selling (il gruppo ora può offrire prodotti assicurativi, bancari, consulenza...) È venuto meno il ruolo della banca, non è più così centrale per lo sviluppo dell’ambiente. Sono nate le SIM, degli intermediari non bancari specializzati in singoli prodotti o funzioni che erano di natura bancaria. La banca si è specializzata nella produzione di attività finanziarie sofisticate per il risk management (derivati, cash management...). Non si perdono quote di mercato, ma anzi le si prodotti, fondi comuni di investimenti… che poi a valle le banche collocano, ma generalmente i prodotti e i servizi che le banche collocano sono creati all’interno della banca stessa. Più pratica è l’integrazione orizzontale, ovvero una medesima banca si espande su segmenti di mercato o di clientela o di aree geografiche differenti. Può fare ciò o spostandosi verso la banca universale o verso il gruppo bancario. Da banca specializzata diventa più grande e acquista quote di mercato - il CR5, o CR3, è l’indice di concentrazione delle prime 5 o 3 banche. È la quota di mercato di quelle banche sul totale: fatto 100 il totale degli asset negoziati da quel sistema bancario, gli asset under management, qual è la quota delle prime 5 o 3. Per sapere quali sono le prime 5 o 3 si riordinano per quota di mercato, sono i grandi player. Se controllano ad esempio il 20% non è un mercato particolarmente concentrato, se è invece il 70% è decisamente concentrato - l’HHI, è il quadrato della percentuale di quota di mercato di ogni player. È tra 0 e 1, più si alza, più una singola banca ha un HHI alto, e più quel mercato è concentrato, è un monopolio Il primo indice è molto più controllabile in quanto si può scegliere quanti player considerare L’espansione bancaria Le forme giuridiche che una banca in Italia può avere sono due: la S.p.A. e la società cooperativa per azioni. L’unica forma coerente con la nascita di grandi poli bancari è la prima, perché non si riesce a recuperare tanto capitale di rischio tramite vendite obbligazionarie e ancora meno raccogliendo la liquidità dai clienti. Si ha quindi necessariamente bisogno di quotarsi, in questo modo si raccoglie molto capitale di rischio e ci si può permettere di espandersi in altre aree di affari, aree geografiche, aprire nuove filiali, acquisire altre banche più piccole… Per fare tutto ciò serve capitale di rischio, non si può pensare di finanziare attività così rischiose tramite capitale obbligazionario, perché sono investimenti a lunghissimo termine e dall’esito non scontato, quindi rischiosi. Per questo motivo ad oggi la forma giuridica prevalente per le banche è la S.p.A. Quando una banca si ingrandisce aumentano i volumi di attività ed entra in nuove aree di affari. L’enfasi passa dal profitto alla creazione di valore per l’azionista Una banca vuole crescere e sottostare alla pressione di diventare più grande per diversi benefici: - le economie di scala e scopo. Migliora l’efficienza operativa e aumentano di molto le possibilità di cross-selling, che diventa anche più economico per la banca e fidelizza il cliente. Se il cliente imprenditore è seguito sia a livello di patrimonio personale che di gestione dell’impresa che di finanziamento dalla medesima banca è impensabile per esso cambiare - la reputazione della banca aumenta e di conseguenza anche il potere di mercato. Quando si sorpassa una certa soglia critica di potere di mercato si passa da price taker a price maker, la banca contribuisce a determinare i prezzi di un prodotto o servizio sul mercato. Non viene meno la competizione, ma sicuramente non è forte, perché non serve giocare al ribasso: potrebbero rubare una piccola fetta di clienti altrui, ma perderebbero tutti i guadagni potenziali - la diversificazione del portafoglio e di conseguenza la minimizzazione del rischio. Un grande portafoglio ha più possibilità di essere diversificato di uno piccolo. Anche il portafoglio crediti che è statico può essere diversificato attraverso clienti che reagiscono di più o di meno ad una crisi: ad esempio un pensionato il cui flusso reddituale arriva a prescindere dalle condizioni economiche rispetto ad un cliente con un contratto di lavoro a tempo determinato. Inoltre si possono avere investimenti attivi sui mercati più disparati, con le valute più disparate... serve una massa critica di asset e di liquidità da gestire per poter diversificare il proprio portafoglio Per crescere in primis ci si espande per via orizzontale e poi ci sono due alternative: - per linee interne, come le grandi banche universali. Aumento del grado di utilizzo della capacità produttiva già esistente o apertura di nuovi sportelli bancari. È molto più lento, si può esercitare molto più controllo su quali e quanti attività e sul timing con le quali svilupparle, fa sì che queste attività neonate siano immediatamente integrate all’interno dell’organizzazione - per linee esterne, come i grandi gruppi bancari. È molto più rapido, si acquisisce un terzo intermediario o si investe con una partecipazione rilevante o di controllo in un terzo, che può essere una banca, un’assicurazione, una SGR... Porta con sé il beneficio di una rete di sportelli già radicata, una base di clientela già fidelizzata, un marchio riconosciuto, relazioni e conoscenze a livello locale… Quasi istantaneamente si riesce ad ampliare il ventaglio di offerta, ma i costi di integrazione sono superiori. Inoltre spesso si possono creare delle sovrapposizioni tra i servizi che già il gruppo offriva e quelli del nuovo intermediario acquisito. Ci vuole molto tempo per integrare completamente la nuova entità Inoltre la banca nazionale si deve espandere all’estero, ha due modi: - per via diretta, fisicamente la banca si sposta all’estero e anche parte della propria operatività • aprendo un ufficio di rappresentanza, che non può svolgere l’operatività, non può essere definito banca perché non raccoglie liquidità, rappresenta solo la banca nazionale. È il primo passo esplorativo in un nuovo mercato, per studiare da vicino le necessità, capire quale tipologia di clientela opera, se ci sono possibilità da offrire ai propri clienti imprenditori in termini di acquisizione di altre imprese, di possibile partnership tra clienti già esistenti e clienti nel territorio nazionale, possibili attività di acquisizione per conto della banca rappresentata, se è potenzialmente un mercato fruttifero. Poi contatta anche la potenziale clientela e svolge attività promozionale. Esistono uffici che rimangono per decenni perché non si riesce ad entrare in quel mercato o perché non ha senso, non ci sono opportunità, o perché il mercato è troppo difensivo, non c’è modo di acquisire o avere una partecipazione, ma piuttosto che lasciarlo completamente non presidiato si lascia l’ufficio • l’apertura di filiali, che sono banche a tutti gli effetti, possono svolgere l’attività bancaria vera e propria, quindi la combinazione minima e le attività extra. Sono prive di autonomia giuridica e sono dirette dalla banca. Si crea un nuovo circuito creditizio e finanziario ed espandere quello nazionale, perché tramite una filiale si riesce a recuperare liquidità, erogare credito, vendere prodotti, collocare servizi e quindi aumenta la quota di mercato • l’apertura di sussidiarie o affiliate, si comprano le partecipazioni di una banca estera e quindi istantaneamente aumenta il proprio giro di affari anche in quel mercato, perché a quel punto si diventa un socio che può avere ingerenza nelle decisioni di investimento. L’ideale sarebbe una partecipazione di controllo o perlomeno notevole - per via indiretta, l’operatività della banca non si sposta all’estero, la banca cerca in un modo o nell’altro dei partner già presenti all’estero che operino in nome o per conto o a fianco • tramite rapporti di corrispondenza, una banca che ha un tot di clienti imprenditori che vogliono iniziare a sondare il mercato di una certa nazione apre un conto cumulativo presso una banca di quella nazione e gestisce la liquidità dei suoi clienti tramite quel conto. In questo modo può continuare a seguirli pur non avendo lì una filiale. I clienti sanno che anche in quella nazione possono sempre appoggiarsi alla loro banca, esattamente come se fossero nella loro nazione. Questa è sì una modalità di espansione, ma molto cauta, non è così che si diventa un grande player internazionale, ma è così che si può cominciare • tramite l’accordo una tantum, significa una sola volta in modo sporadico. Sono accordi tra due banche per singole operazioni: si fa un accordo con una banca locale affinché si possa continuare ad operare e finanziare un certo progetto in collaborazione con quella banca, ma questa collaborazione finisce quando finisce il finanziamento di quello specifico progetto • tramite l’accordo di join venture, la banca nazionale si rende conto di non essere in grado di fornire dei servizi specifici che possono essere richiesti da un particolare segmento di clienti. Diversificazione in attività altamente specialistiche o ingresso in aree di business non presidiate. Ad esempio non si hanno fondi con legislazione di una certa nazione, quindi si fa una join venture con una banca di quella nazione. Non è per una singola operazione, ma per un’intera tipologia di strumenti o di servizi. Invece che perdere il cliente ci si allea • tramite franchising, una banca cede il nome e i segni distintivi ad un’altra in un altro stato e quindi vede la propria rete automaticamente espandersi La concentrazione è il risultato della crescita per linee esterne, soprattutto fusioni, partecipazioni, accordi e join ventures, in particolare con fusioni e acquisizioni transfrontaliere. Durante la prima ondata degli anni ‘90 le operazioni di M&A hanno coinvolto intermediari di piccole dimensioni con l’obiettivo di aumentare l’efficienza. Verso la fine degli anni ‘90 sono diventate più importanti in termini di dimensione, con anche l’obiettivo di migliorare la posizione sul mercato internazionale Le G-SIBs Con mercati sempre più integrati e globali i player sono sempre più interconnessi e internazionali. Il grado di interconnessione, quanto sono interrelate le loro sorti, aumenta con la dimensione dei singoli player, con la concertazione del mercato e con l’ampiezza del ventaglio di prodotti e servizi offerti. Sono più interconnessi con altri grandi banche, ma anche con altri intermediari non bancari Il problema è che se le sorti di un intermediario dipendono fortemente dagli altri è più facile che si crei un effetto domino quando uno di questi cade. C’è una grande fragilità nel mercato, che si chiama rischio sistemico: è il rischio che il fallimento o il peggioramento del merito creditizio di una banca si trasmetta velocemente anche alle altre Il rischio relativo o rischio totale di una singola banca può essere suddiviso in due componenti: - il rischio idiosincratico o specifico. Un portafoglio diversificato può abbatterlo quasi del tutto - il rischio sistematico, non può diminuire nemmeno grazie ad una buona diversificazione Il rischio sistemico non è di una singola banca, è il rapporto tra la rischiosità di una banca rispetto ad un’altra. Le banche con un rischio sistemico sono quelle la cui rischiosità può essere trasmessa anche ad altre, alla stabilità dell’intero sistema e anche a quello finanziario e reale (fenomeno dello spill over). Sono gli istituti con un rischio sistemico importante. Tutte le banche hanno rischio idiosincratico e sistematico, ma non tutte rischio sistemico. Sono le too big too fail - LGD, è la perdita dato il default, una volta che la banca è fallita qual è la perdita del sistema - PD, è la probabilità che una banca vada in default, fallisca Il fatto che sia una G-SIB non è legato ad una bassa probabilità di fallire, ma ad un alto LGD Il criterio dimensionale è sì rilevante, ma non è l’unico, non è che più una banca è grande e più necessariamente ha rischio sistemico. Ci sono 5 voci complesse del comitato di Basilea su cui una banca viene valutata per essere iscritta nel registro delle G-SIBs, ogni voce pesa uguale: - l’operatività internazionale, l’indicatore sono le attività e le passività all’estero, ovvero quelle che hanno come controparte qualcuno che è al di fuori dei confini nazionali - la dimensione, l’indicatore è un’approssimazione del totale dell’attivo, il totale delle esposizioni totali di una banca ai fini dell’indice di leva finanziaria di Basilea 3 - l’interconnessione, l’indicatore sono le attività e passività verso altre società finanziarie non per forza banche, ma che eroghino servizi che competono con la banca, più i titoli in circolazione - la sostituibilità come operatore di mercato e fornitore di servizi, cioè se una banca eroga servizi che anche altri istituzioni non per forza bancarie erogano. Se aumenta la sostituibilità aumenta anche il rischio sistemico, perché il suo fallimento impatterebbe non solo sui circuiti bancari, ma sull’intero circuito finanziario. Più l’offerta è complessa, più la banca entra in competizione. L’indicatore sono le attività in custodia, non sono necessariamente caratteristiche della banca, ma sono attività ancillari, poi le operazioni di pagamento, dove va in competizione diretta con operatori IMEL, IP, Poste Italiane…, poi le sottoscrizioni su mercati azionari e obbligazionari, dove la banca agisce da dealer, e infine il volume di attività detenute per la negoziazione - la fornitura di servizi complessi, che non si trovano iscritti all’interno del bilancio, ad esempio derivati complessi, strutturati, cartolarizzazioni… Un’attività che non rientra nel calcolo del risultato netto di bilancio può comunque influenzarlo, perché se c’è un grosso buco fuori dal bilancio deve comunque essere colmato da risorse liquide che sono nel bilancio e se si perdono dei soldi si sono persi in ogni caso, a prescindere che siano iscritti o meno. Non si iscrivono per non appesantire troppo le passività e non far pesare troppo le attività rischiose. Più si è fornitore di questi servizi più c’è il rischio che in quella parte fuori bilancio si stia eccedendo enormemente il rischio. Non si mette un’attività a bilancio perché sarebbe molto rischiosa e quindi bisognerebbe in primis valutarla al valore di mercato, che oscilla e crea imprevedibilità, e poi costerebbe moltissimo in termini di capitale regolamentare (per un’attività molto rischiosa si deve tenere da parte liquidità). Inoltre non rientrano nell’attività core della banca, quindi c’è il rischio che l’attività basica sia messa in piano secondario al crescere di questi servizi complessi. L’indicatore sono l’importo dei derivati OTC, cioè le attività sotto il bancone (rispondono in modo molto più forte a domanda e offerta di mercato, il prezzo non è di mercato, più banca è attiva più l’attività è complessa, le attività di terzo livello e le attività detenute per la negoziazione e disponibili per la vendita L'indicatore delle G-SIBs è un indicatore relativo, cioè rispetto agli altri attori: si prende il controvalore di una categoria, ad esempio la dimensione, rispetto alle dimensioni di tutte le altre banche del sistema. Viene fuori quindi una percentuale, quanto la banca è grande rispetto a tutto il resto del sistema. Lo si fa per tutti i 5 criteri e li si moltiplica per 10mila, per avere come unità di misura i punti base (3% = 300 punti base). Si fa la media aritmetica di tutte e 5 le esposizioni. Quando si è ottenuta l’importanza media si ordinano tutte le banche del sistema e di anno in anno si determina quali sono i punteggi che demarcano le banche G-SIBs da quelle senza rilevanza sistematica, si individua la soglia al di sopra della quale si ha rilevanza sistemica e al di sotto no Si individuano inoltre 5 categorie, ciascuna delle quali indica un crescente rischio sistemico: se si è nella prima categoria si è una banca G-SIB, ma tra le meno rischiose, nella quarta categoria si è una banca sistemica e tra quelle con un rischio sistemico maggiore in assoluto. Per costruzione l’ultima categoria di questo ranking è tenuta vuota, se non così non fosse allora si dovrebbe creare una sesta categoria vuota, così è stato deciso. L’unica banca italiana G-SIB è Unicredit Ci sono 4 conseguenze di essere una G-SIB (G-SIFI in generale per un’istituzione finanziaria): - dover detenere un capitale regolamentare aggiuntivo rispetto ai requisiti standard. La fascia più bassa richiede un surplus dell’1% delle esposizioni complessive ponderate per il rischio, che aumenta di mezzo punto % fino alla fascia 4 e sale a 3,5% nella fascia 5 Quando si ha uno o più buoni match si fa una media di quei prezzi di mercato. Si sta comunque utilizzando parametri osservabili sul mercato • di terzo, se è uno strumento unico nel suo genere, cioè non è quotato e non ha diretti pari su un mercato attivo. Si devono usare tecniche di valorizzazione, ad esempio parametri più qualitativi che non si osservano sul mercato. È molto complicato difenderne la valutazione perché è fatta su basi poco oggettive e trasparenti, per questo esiste la nota integrativa in cui si deve dare ampia rendicontazione di come si è giunti a quel fair value e perché non si è riusciti a determinarne uno perlomeno di livello 2. É molto raro arrivare al livello 3, ma dipende dalla complessità del portafoglio della banca - il costo ammortizzato, con cui si valutano le attività finanziarie detenute a scadenza, i titoli in circolazione, i crediti e i debiti. Si prende il costo storico della posta e si adegua il valore in funzione dell’ammortamento, quindi si attualizzano i flussi attesi di capitale che ci si aspetta. Si utilizza il metodo dell’interesse effettivo che prevede la ripartizione degli interessi attivi e passivi e dei costi e ricavi di transazione lungo il periodo di durata dello strumento Da una parte le attività e passività finanziarie finalizzate alla negoziazione vengono valutate al fair value, perché sono meno liquide, quindi non sono pronte per essere smesse dal portafoglio, però non sono state acquistate per essere detenute fino a scadenza, ma con un orizzonte di breve o medio termine al più. In quest’ottica si deve essere molto aggiornati sul valore effettivo puntuale di mercato dell’attività o passività, perché presto o la si rivenderà o arriverà la scadenza e quindi si dovrà valutare quella posta. Per questo si usa il fair valute. Sono acquistate per puro fine di trading e speculazione. Questa attività è più simile a quella di una banca di investimento e non commerciale, in Italia e in Europa non sono neanche banche, la loro attività è troppo rischiosa Dall’altra parte invece le attività detenute fino a scadenza sono valorizzate al costo ammortizzato. Se si acquista un’attività finanziaria decennale e si dichiara che si vuole detenerla fino a scadenza poco importa delle fluttuazioni dei prossimi mesi/pochi anni di quella attività, perché tanto si terrà nel portafogli per altri 10 anni, quindi per la banca è molto più interessante calcolare il valore attuale di eventuali cedole. Il tasso di attualizzazione lo si trova con l’uguaglianza tra il prezzo di acquisto e tutti i flussi di cassa futuri scontati, cioè divisi, di (uno più il tasso di sconto)^tempo La perdita attesa Ogni volta che si redige un bilancio si deve guardare se le poste sono allo stage 1, 2 o 3, si aggiorna il costo storico ammortizzato e si vede se il tasso di sconto è ancora coerente. Poi si fa l’impairment test per vedere se il merito creditizio dell’emittente di uno strumento è peggiorato, se l’asset è più rischioso, se c’è stata una svalutazione dei crediti. Le rettifiche di valore per deterioramento dei crediti vanno alla voce 130 di CE: - è di stage 1 se le condizioni sono rimaste immutate, ovvero quell’attività finanziaria non ha manifestato un aumento del rischio, non significa necessariamente che sia poco rischiosa, ma che non ha cambiato rischiosità. In questo caso si contabilizzano le perdite attese da quella attività considerando soltanto un orizzonte temporale di 1 anno. Se un asset è rischioso si deve necessariamente mettere in conto una perdita potenziale, altrimenti non sarebbe rischioso - è di stage 2 se ci si rende conto che c’è stato un incremento del rischio, ma non tanto grande da far pensare che questo rischio si tramuterà a breve in una perdita - è di stage 3 se il rischio è peggiorato al punto che un imminente perdita è da mettere in conto Se l’attività è di stage 2 o 3 si deve calcolare e contabilizzare le perdite attese non solo sull’anno successivo, ma su tutta la vita residua di quell’attività. Il livello di rischio di un asset ha imparato a livello di capitale regolamentare, ma anche un impatto gigantesco all’interno del bilancio, perché si deve contabilizzare quelle perdite attese. Se si sbaglia o se la situazione economico-finanziaria del prenditore di fondi cambia drasticamente, allora cambia anche il livello di perdite che la banca deve contabilizzare. Se l’asset e di lungo termine la perdita da contabilizzare esplode. Per questo motivo esistono le garanzie, ad esempio quelle ipotecarie, e le fasi di istruttoria e monitoraggio contro moral hazard. La banca deve avere un tesoretto per coprire le contabilizzazioni di perdite ipotetiche per i prossimi 20/25/30 anni. Il fatto che vengano contabilizzate le perdite fa sì che il valore netto di quell’attività finanziaria diminuisca, ovvero che il credito si svaluti Si ha una definizione molto ampia di perdita attesa, che è composta da due componenti: - una meccanica, è quella attesa, risulta da una formula: la probabilità di default della controparte per la perdita che si ha se effettivamente quella probabilità si manifesta - una meno oggettiva, vengono incorporate anche delle considerazioni su tutte le misure e le coperture, ad esempio i derivati, che si hanno su quella posizione, quanto è efficace l’attività di escussione dei crediti… tutte quelle attività che se quella probabilità di fallimento si manifesta il cliente può mettere in atto per recuperare parte della perdita. Tutte queste considerazioni ulteriori che diminuiscono la perdita effettivamente attesa non possono essere applicate se lo strumento che si sta valutando ha come contropartita una voce di patrimonio netto, perché in questo caso si mette in bilancio la massima perdita attesa, al lordo delle coperture e senza contare le attività di escussione. Questo è per il principio di prudenza Le poste di stato patrimoniale - cassa: le banconote in euro o in altra divisa - disponibilità liquide: i depositi verso la banca centrale, possono essere iscritte le riserve libere, ma non la riserva obbligatoria, che viene valutata nei crediti verso le banche. Ciò ha senso perché è si liquida, si può prendere, ma è sotto un vincolo di smobilizzo: nella della finestra di mantenimento il valore medio giornaliero deve essere pari a quello di legge. Le riserve libere invece non hanno nessun vincolo, possono essere smobilizzate integralmente - crediti: sono 2, verso banche, cioè attività finanziarie non quotate verso istituti di credito (conti correnti, depositi cauzionali, titoli di debito, crediti di funzionamento...), sono inclusi anche i crediti verso Banche Centrali diversi dai depositi liberi, tra cui la riserva obbligatoria, e verso la clientela, cioè attività finanziarie non quotate verso clientela (mutui, operazioni di locazione finanziaria, operazioni di factoring, titoli di debito, crediti di funzionamento...), sono anche inclusi i crediti verso Poste Italiane e la Cassa Depositi e Prestiti. La valutazione avviene al costo storico ammortizzato ed eventualmente rettificato a seguito di impairment test (stage 2 o 3). Per i crediti la cui breve durata rende trascurabile l’applicazione della logica di attualizzazione e per i crediti senza una scadenza definita o a revoca si usa il costo storico. Banca d'Italia ha previsto una classificazione più puntuale di quella europea: si distinguono gli stage 1, 2 o 3. Lo stage però non dice nulla sull’effettiva rischiosità, per questo si è dovuto riscorrere ad un altro ranking: distingue i crediti performanti, in bonis, da quelli non performanti, deteriorati (NPL, non performing loans), in funzione di quanto grave è il deterioramento: • sofferenze, sono le più gravi. Vengono iscritti a bilancio o che vengono lasciati fuori bilancio, quando la controparte è insolvente o in una situazione di alta probabilità di insolvenza • inadempienze probabili, sono medio gravi,è improbabile che il debitore adempia totalmente ai propri obblighi, a meno che non si ricorra ad azioni legali o in generale a escussione del credito. La controparte non è ancora in default, ma probabilmente si dovrà ricorrere alla smobilizzazione delle garanzie che ha dato o muoversi per vie legali (l’escussione) • esposizioni scadute sconfinanti deteriorate, sono i meno gravi in assoluto. Vengono varcati i confini dell’affido per almeno 90 giorni e deve essere anche oltre una soglia che la banca determina internamente: decide che per essa una esposizione diventa scaduta se sconfina il fido per tre mesi oltre il 25%/30%… sull’accordato. Non è necessario ricorrere a grandi azioni di escussione, né la controparte si trova in stato di insolvenza I crediti forborne, che possono essere sia in bonis che deteriorati, hanno subito una modifica delle condizioni contrattuali per scongiurare il fatto che se sono in bonis diventino deteriorati (forborne performing exposure) e che se sono deteriorati passino ad una categoria più grave del ranking (non-performing exposures with forbearance measures). Se la banca si rende conto che il suo credito è ancora in bonis, il suo creditore sta continuando a pagare, ma è di livello 2 perché la sua situazione creditizia sta peggiorando può decidere ad esempio di aumentare il periodo del prestito e quindi abbassare la rata mensile, oppure di accordare di saltare il pagamento di una rata in uno specifico mese e poi recuperarlo con gli interessi in futuro o comunque si applica un cambiamento delle condizioni contrattuali che facciano sì che la posizione non peggiori - attività puramente finanziarie, investimenti in titoli finanziari da parte della banca, tutti gli strumenti in cui agisce da dealer. Nessuno strumento negoziato come broker va in bilancio - altre attività finanziarie, quegli strumenti che la banca ha acquistato, che troveranno posto nel portafoglio titoli. Si trovano le attività finanziarie detenute per la negoziazione (pronte per il trading), valutate al fair value, disponibili per la vendita e detenute fino a scadenza - attività detenute per la negoziazione, per comprare e vendere abbastanza velocemente, per fini più speculativi: si vede un’opportunità sui mercati, si compra quel titolo per tenerlo fino a che questa opportunità sfuma e quindi si vende, non c’è intenzione di tenerlo nel medio e soprattutto nel lungo termine. Contiene tutti gli strumenti del mercato monetario (sotto i 18 mesi), tutte le attività finanziarie (obbligazioni, certificati di deposito, buoni fruttiferi, azioni, finanziamenti, derivati, fondi...) allocate nel portafoglio di negoziazione, le partecipazioni in imprese sottoposte ad influenza notevole o a controllo congiunto - attività valutate al fair value, è una categoria residuale: tutto quello che non si alloca nelle altre voci. È il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata o una passività estinta in una libera transazione tra parti consapevoli e indipendenti - attività disponibili per la vendita, non sono destinate a trading, non si vuole venderle subito. Si iscrivono le variazioni nell’apposita riserva di valutazione (voce 130 del passivo). Contiene i titoli obbligazionari che non rientrano nelle altre voci, le partecipazioni azionarie non gestite con finalità di negoziazione e non qualificabili di controllo (collegamento e controllo congiunto). Al momento della cessione gli utili/perdite vengono rilevati nella voce 100 del CE - attività detenute fino a scadenza, deve essere dichiarato all’acquisto, perché diversamente dalle altre categorie vengono valutate al costo storico ammortizzato, quindi risentiranno dell’ammortamento, che è un processo molto prevedibile che ne andrà a diminuire o ad aumentare il valore nel corso del tempo. Comprende titoli di debito quotati e i finanziamenti che la banca ha intenzione di mantenere sino alla scadenza. Se la volontà non viene espressa all’acquisto l’autorità di vigilanza può impedire alla banca di acquisire nuovamente attività sino alla scadenza e imporrebbe il pagamento di una penale. Utili e perdite da cessione sono imputati al CE alla voce 100. In sede di chiusura dell’esercizio se l’impairment test è negativo occorre riportare le perdite nella voce 130 del CE - adeguamento di valore, figura il saldo positivo o negativo delle variazioni di valore delle attività oggetto di copertura generica dal rischio di tasso di interesse - partecipazioni, in società controllate (influenza dominante), collegate in modo congiunto o sottoposte a influenza notevole (voce 100). Sono inizialmente iscritte al valore di costo storico e successivamente al patrimonio netto, per adeguare il valore della partecipazione al valore contabile del patrimonio della partecipata. Se alla fine dell’esercizio il valore attuale dei flussi futuri dell’investimento partecipativo è inferiore/superiore al valore di bilancio si procede ad iscrivere la relativa differenza nel CE nella voce 210. Tutto è giustificato in nota integrativa - passività finanziarie, i debiti finanziari e titoli di debito (certificati di deposito ed obbligazioni) - altre passività, debiti non finanziari, che non prevedono sostenimento di costi finanziari - fondi rischi e oneri, i fondi costituiti per coprire perdite, oneri o debiti di natura determinata, di esistenza probabile o certa, ma indeterminati per quanto riguarda l'ammontare o la data di sopravvenienza. Non hanno funzione rettificativa dei valori dell'attivo e il loro importo non può essere superiore a quello delle perdite, degli oneri e dei debiti a fronte dei quali sono costituiti - riserva sovrapprezzo azioni, il sovrapprezzo di un'azione è la differenza tra valore di emissione e valore nominale. Ha come finalità evitare ai soci, precedenti all'aumento del capitale sociale, una riduzione del valore della propria partecipazione. La riserva non può essere distribuita ai soci fino a che quella legale non ha raggiunto il quinto del capitale sociale, può però essere usata per la copertura di perdite, l'aumento gratuito del capitale sociale e della riserva legale - capitale sociale, è il valore nominale delle azioni (o quote) emesse dalla banca al netto dell’importo del capitale sottoscritto, ma non ancora versato. Le azioni sono considerate al valore nominale e non a quello di mercato, perché determinato da oscillazioni sul mercato secondario, cioè tra investitori, ma la banca è impattata direttamente solo dal mercato primario Il valore di capitale sociale è pari al valore nominale della singola azione moltiplicato per il numero di azioni emesse. Il prezzo di emissione è l’importo che l’azionista paga per ciascun titolo al momento della sottoscrizione di un aumento di capitale. Importa relativamente poco valutare dal prezzo di emissione nel caso in cui ci siano state più di una emissione di azioni, perché alla prima emissione il valore delle azioni è il valore di emissione, se poi si fa un aumento di capitale cambia: - se prezzo di emissione = valore nom della 1^ emissione, le azioni sono emesse alla pari - se prezzo di emissione > valore nom della 1^ emissione, le azioni sono emesse sopra la pari - se prezzo di emissione < valore nom della 1^ emissione, le azioni sono emesse sotto la pari. Non sono ammesse per il capitale di rischio bancario. Un esempio sono gli zero coupon bond: si emette a 100, non si danno cedole e il rendimento è nel rimborso a scadenza maggiorato Il conto economico Nello stato patrimoniale si parlava di quantità stock, di fotografie di anno in anno, nel conto economico si parla di flussi e di deflussi che si manifestano da un anno all’altro e che hanno origine dalle poste di stato patrimoniale. I margini sono i risultati intermedi: - margine di interesse, il MINT. È la differenza tra interessi attivi sommati ai dividendi e i proventi simili (hanno comunque segno positivo perché sono analoghi agli interessi attivi, ma sono stati differenziati perché i dividendi arrivano dal capitale di rischio e quindi sono più volatili e non sono necessariamente dovuti di anno in anno) e interessi passivi. È la combinazione minima Se si sta parlando di un indice di bilancio e si parla di capitale o di capitalizzazione della banca si sta guardando al patrimonio, quindi al capitale sociale. Se invece si sta parlando di un indice degli accordi di Basilea, e quindi dell’attività di vigilanza che la BCE e le BCN fanno per capire se il capitale di vigilanza di una banca è sufficiente per coprire i rischi, allora non si fa più riferimento a semplici poste di bilancio, ma al capitale regolamentare Sono divisibili anche per aree tematiche: - qualità del credito: • la qualità del credito, le sofferenze / il totale dei crediti verso la clientela ordinaria. Fatto 100 i crediti verso la clientela ordinaria, quanto di quella esposizione è in sofferenza. Più è alto, peggiore è la qualità del credito e maggiore la probabilità che la banca registri delle perdite • il texas ratio, le sofferenze / patrimonio netto. Misura se con le proprie risorse, ovvero con il patrimonio netto, una banca sarebbe in grado di coprire e di assorbire tutte le perdite derivanti dalle sofferenze, se effettivamente esse, che sono esposizioni verso controparti che sono in default o ad altro rischio, si tramutassero tutte quante in perdita • la percentuale di copertura delle sofferenze, gli accantonamenti fatti ad hoc per le sofferenze registrate / totale delle sofferenze. Indica quante risorse liquide si hanno ad oggi dedicate ad hoc a coprire le sofferenze, sono solo una parte del patrimonio netto. Anche qui si ipotizza che tutte quante si manifestano. Generalmente è una percentuale molto alta, ma è difficile che sia pari ad 1 nonostante le banche debbano agire secondo il principio della prudenza. Alla banca costa tenere liquidità immobile, perché ogni riserva tenuta liquida crea una perdita potenziale da mancato guadagno di utilizzare quella liquidità in una qualsiasi altra attività remunerativa per una banca. La riserva obbligatoria non costa, perché è remunerata Le sofferenze sono quella parte di asset non performanti più gravi in assoluto, quindi è molto probabile che si trasformino in perdite, ma nemmeno per esse la banca detiene coperture complete, c’è sì un’alta probabilità, ma comunque non il 100%. Si tiene una copertura in genere del 70-75%. Nel caso malaugurato in cui il 100% delle sofferenze si trasforma in perdita si devono avere delle risorse ulteriori, rispetto agli accantonamenti, che si trovano nel patrimonio netto per poter sopperire e coprire quelle perdite senza intaccare l’equilibrio economico • la percentuale di copertura dei crediti in bonis, gli accantonamenti fatti ad hoc per i crediti in bonis / totale dei crediti in bonis, a maggior ragione per coprire un credito che ad oggi non ha manifestato particolari preoccupazioni c’è una percentuale ancora più bassa • il costo del rischio, la somma di tutti gli accantonamenti ad hoc per gli NPL in generale. Misura il grado di rischiosità dell'attività di prestito della banca, più è elevato maggiore sarà il rischio che la redditività generata dall'attività della banca deve essere destinata a coprire le perdite derivanti dall'attività di prestito, Maggiore è il rischio dei crediti maggiori saranno gli accantonamenti per eventuali perdite attese. Questo costo del rischio va poi diviso per il risultato lordo di gestione, che è il modo più frequente, ma in realtà il denominatore di questo ratio può essere cambiato, non è la parte importante - redditività: • il ROE, return on equity, ovvero il rendimento sul capitale proprio. Si misura come il reddito netto / patrimonio netto, le due bottom line di conto economico e di stato patrimoniale, ovvero quanto si è fatto rendere (reddito netto) il capitale proprio (patrimonio netto), per ogni euro posseduto dalla banca che rendimento si è ottenuto. È formato dal contributo di diverse gestioni alla formazione del reddito d’impresa, la loro combinazione non è indifferente perché a parità di ROE come lo si ottiene ha un’enorme importanza: il ROA, il return on asset, che esprime il rendimento della gestione ordinaria, si ottiene con il risultato di gestione / totale dell’attivo. Può essere negativo, perché può essere negativo il risultato di gestione, non il totale dell’attivo: se interessi passivi più alti di quelli attivi, se commissioni non coprono costi, se flussi derivanti dall’attività finanziaria, quindi se il margine di intermediazione, non sono sufficientemente alto da coprire i costi la leva finanziaria, il totale dell’attivo / patrimonio netto. Indica quanto l’attivo e finanziato dal patrimonio netto. Indica che per ogni euro di patrimonio, cioè di capitale posseduto, se ne è investiti tot, dove tot è il numero della leva. Il totale dell’attivo indica, oltre alla cassa, le attività finanziarie nelle quali una banca ha investito. Indica quanto speculativa è una banca, quanti euro investe per ogni euro che possiede, è il concetto di investire a leva, ovvero investire più di quanto si ha. Maggiore la leva, maggiore la rischiosità il contributo della gestione straordinaria, nel conto economico si mette all’interno dello stesso ratio il reddito ante imposte e (/) il risultato di gestione, la variabile che c’è tra uno e l’altro margine sono proprio le rettifiche relative alla gestione straordinaria il carico fiscale, le tasse, che si calcolano come reddito netto / reddito ante imposte Non è indifferente che un ROE sia trainato dal return on asset, piuttosto che dalla contribuzione della gestione straordinaria, perché il ROA dà un’indicazione di quanto è solida la gestione operativa, mentre la gestione straordinaria è appunto tale, non è detto che si replichi anno dopo anno. Un buon return on asset invece generalmente, salvo shock esogeni o altro, è più predittivo: una banca con una gestione ordinaria core solida generalmente riesce ad essere redditizia negli anni, o perlomeno di anno in anno. Questo perché le variabili che ci sono dentro la gestione ordinaria sono collose, fanno fatica a cambiare nel tempo, non sono molto volatili, il patrimonio di una banca non si dimezza o duplica nel corso di un anno. Il totale dell’attivo è l’approssimazione che si ha della misura di una banca e negli anni cambia in modo marginale. Si vorrebbe un valore assoluto della gestione straordinaria più piccolo rispetto a quello della gestione ordinaria Un’impresa non finanziaria, un’industria vera e propria, ha un tasso di auto-investimento e rischiosità molto più alto agli inizi e poi piano piano diminuisce, ma non è così vero per le banche, che generalmente impostano la loro strategia e poi rimane ragionevolmente quella. Cambia molto invece tra core business, ad esempio se si è focalizzati sulla gestione dei clienti retail la leva sarà ceteris paribus più bassa, se invece si è una investment bank, allora la leva sarà altissima - struttura ed efficienza • il MINT/MINTM, è un indicatore di struttura ed indica quant’è l’incidenza dell’attività caratteristica sul totale dell’attività bancaria. Se una banca è assolutamente commerciale avrà un’alta incidenza del MINT sul MINTM (quasi a 1, più 0,8), oppure bassa incidenza se conta anche in maniera importante sui servizi o sull’avere proprie attività di investimento sui mercati, è un’attività bancaria più diversificata • il costo del credito, si calcola come le rettifiche di valore su crediti / i crediti verso la clientela (che fanno parte delle attività esposte al rischio di perdita) • i costi income, è un indicatore di efficiente ed si calcola come costi operativi (che fanno parte dei costi di gestione) / margine di intermediazione. È quella voce che va a costituire il rendimento lordo della gestione, è un ratio molto utilizzato perché è un indicatore di efficienza, quanto spende una banca per ottenere quel risultato della gestione ampia - indici di mercato • il price to book value, che si misura come prezzo di mercato / patrimonio netto per azione. Presenta due variabili identiche, il prezzo, misurate sul mercato e all’interno del bilancio. Il book value è il valore di libro, quel valore nominale e patrimoniale che è esattamente il valore di una quota azionaria, di un’azione. È il prezzo che tutti gli istanti sul mercato viene modificato dalla domanda e dall’offerta, è la fotografia più recente che si ha del prezzo azionario. L’altro è il valore di bilancio, fatto 100 il PN quanto vale una quota. indica il valore di mercato attribuito all'azienda nel suo complesso. Se è pari a 1 significa che il prezzo reputato congruo dal mercato è uguale al valore contabile del suo patrimonio netto, è piuttosto raro poiché alcuni asset, ad esempio gli immobili, vengono iscritti al costo storico, ma nel corso del tempo subiscono una rivalutazione economica • il price earning, indica quanti anni ci si mette a rientrare nel proprio investimento ammesso che la politica dei dividendi non cambi. Dopo si inizierà effettivamente a guadagnare - coefficienti di vigilanza (rischiosità, liquidità, patrimonializzazione) Il ROA Si può scomporre ulteriormente: - il rendimento della gestione operativa, è un risultato dinamico. Dato tutto il totale dell’attivo quanto reddito si è estratto con la gestione operativa: l’attività pura caratteristica, il MINT, le commissioni, il MINTS, e l’attività di compravendita sui mercati, il MINTM, tutto pulito dei costi operativi. È una strategia attiva, si prendono dei rischi ogni volta che si fa una transazione sui mercati. Con una buona selezione delle migliori transazioni si produrranno incidenze positive • il rendimento dell’attività bancaria, è la parte più core di CE. È la percentuale di rendimento che si è estratto dalle risorse a disposizione, cioè dal totale dell’attivo, con l’attività più caratteristica della banca, misurata dal MINT, più le attività non core, ma assolutamente fisiologiche in un’economia disintermediata come quella attuale, che viene misurata dal MINTS, in più si aggiunge il risultato di compravendite di titoli sui mercati, ovvero il MINTM il rendimento dell’intermediazione finanziaria, il MINT, l’attività base caratteristica. È la somma algebrica dei rendimenti attivi meno i rendimenti passivi. Ciò che produce gli interessi è l’attivo fruttifero, per questo si divide il margine che dà una misura degli interessi per la quantità che li produce, dice sul totale dell’attivo qual è la componente fruttifera. A parità di MINT non si sa scegliere quale banca è più redditizia, ma se una banca è riuscita ad estrarre lo stesso numero avendo una componente fruttifera più bassa dell’altra, allora è più redditizia: aveva meno componente che potenzialmente poteva produrre interesse. La composizione non è indifferente, a parità di rendimento ci possono essere delle capacità di produrre reddittività dall’intermediazione diverse l’incidenza dei proventi da servizi, il MINTS, le commissioni. Se >1 l’offerta dei servizi contribuisce positivamente alla formazione di rendimento dell’intermediazione. La composizione specifica delle commissioni va in nota integrativa il risultato netto delle operazioni finanziarie, il MINTM, quanto la banca con la sua negoziazione attiva sui mercati finanziari ha estratto • le incidenze dei costi di gestione, i costi operativi - le rettifiche di bilancio, è una componente straordinaria perché non è nel core business di una banca estrarre reddito dai valori di asset in portafoglio che aumentano o diminuiscono, non è gestione operativa vera e propria, ma tra tutte le attività ancillari è una delle meno straordinarie, sicuramente rientra nella gestione ordinaria. È una strategia passiva, non si compra e vende niente, semplicemente valutando asset in portafoglio ci si è accorge o che si sono apprezzati, rettifiche positive, o che so sono deprezzati, negative. Deriva dalla bontà della strategia buy and hold, si deve essere in grado di scegliere strumenti che si apprezzeranno nel tempo da soli 12. I PROFILI GESTIONALI BANCARI Cosa sono i profili gestionali bancari I profili gestionali sono concetti astratti di suddivisione interna della banca. Sono degli insiemi di attività, norme e procedure volte allo svolgimento coordinato e unitario di una macro-attività bancaria, che sono tutte quelle attività che costituiscono il mix (tra l’attività caratteristica e quelle extra, che sono quelle finanziarie e quelle ancillari) che la singola banca sceglie e che poi costituiscono un unico grande processo gestionale, che interessa tutte le aree della banca Ogni area gestionale incide direttamente e indirettamente su tutte e tre le condizioni di equilibrio (economico, finanziario e patrimoniale), per questo è necessaria una forte interconnessione tra i vari profili gestionali, anche se nella pratica queste connessioni vengono da sè Alcuni profili gestionali impattano sia le componenti dell’attivo che del passivo, mentre altri si collocano o da una parte o dall’altra, ad esempio la gestione titoli che impatta solo l’attivo. La raccolta indiretta invece è off-balance, non impatta il bilancio, perché in essa la banca agisce da puro broker, ma siccome genera commissioni ne va data menzione in nota integrativa 1. La gestione della liquidità Garantisce l’equilibrio finanziario. Ci sono due tipologie di liquidità: - la liquidità primaria, ovvero le riserve di prima linea. Comprende la liquidità già disponibile, come la cassa, che è il cuore della liquidità, ma anche i crediti prontamente esigibili presso la Banca Centrale, come le riserve libere. Comprende anche la riserva obbligatoria, perché grazie alla sua mobilizzazione, anche totale, la banca può trarre liquidità. Ci sono anche crediti esigibili presso altre banche pari, che non sono liquidità già pronta, ma le partnership tra banche fanno sì che difficilmente questi crediti diventino sofferenze, al 99% sono subito esigibili - la liquidità secondaria, ovvero le riserve di seconda linea. Comprende le attività altamente negoziabili, quindi che possono essere trasformati in liquidità in breve termine. Ad esempio i titoli di stato, che possono essere venduti in ogni istante, perché è il mercato più spesso, ampio ed elastico che esista, sono i titoli più negoziabili che ci siano. Sono solo un esempio, non sono gli unici, comprende infatti anche i titoli emessi da imprese finanziarie o non con alto merito creditizio, quindi con basso rischio di controparte, sono titoli facilmente trasformabili in moneta vendendoli sul secondario. Ciò prescinde dalla scadenza 2. La gestione dei prestiti È fondamentale perché costituisce una delle due attività core. È molto complessa perché riguarda la valutazione delle esposizioni creditizie, quindi dei prestiti a livello di portafoglio, ma anche la valutazione del rischio connesso a queste esposizioni (legato anche al richiedente), che non sono la stessa cosa, ma due attività differenti. Esiste infatti un profilo gestionale ad hoc: la gestione non è necessariamente una investment bank (non potrebbero neppure essere definita banche). Più ci si distanzia dalla banca commerciale e più la banca ha un’offerta molto diversificata Molte delle attività finanziarie hanno a che fare con la gestione titoli: l’esecuzione di ordini per conto dei clienti no perché è per conto dei clienti, la negoziazione per conto proprio sì, la gestione di sistemi multilaterali sì se non è mera gestione, ma compra e vende attivamente, la ricezione e trasmissione di ordini no, la sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo e di garanzia nei confronti dell'emittente sì, ma non quando è un consorzio di semplice collocamento, la gestione di portafogli sì, la consulenza in materia di investimenti no, i servizi accessori alcuni sì È una gestione così importante e così connessa alle altre perché impatta fortemente su costi e ricavi. Per questo impatta molto il MINTM, che è il margine ad hoc che raccoglie costi e ricavi relativi alla compravendita sui mercati finanziari, ma anche in minima parte sul MINTS, perché quando la banca opera le gestioni patrimoniali, ovvero gestisce per conto di terzi, potrebbe anche operare sul suo mercato interno, il cosiddetto mini-maket, in questi modo movimenta titoli propri e quindi il suo portafoglio titoli. Strettamente connessa è la gestione della raccolta, perché le fonti si impegnano in uno dei due modi: o prestate o investite. Con la gestione della liquidità é connessa perché il portafoglio titoli è un’ottima fonte dei flussi finanziari che devono compensare i deflussi e quindi mantenere l’equilibrio della liquidità. La gestione del portafoglio titoli può però anche creare deflussi di liquidità, per questo impatta sia sull’attivo, principalmente, sia sul passivo (ottica ALM). È connessa anche alla leva finanziaria, è al numeratore. Infine impatta sulla gestione delle partecipazioni, in intermediari specializzati nell’operatività in servizi mobiliari Il portafoglio titoli è diviso in portafogli con obiettivi diversi: ⁃ con finalità speculative, votato alla massimizzazione del rendimento. Chi opera sul mercato per conto della banca cerca di cogliere al meglio le opportunità che esso offre. Meglio di un operatore bancario nessuno può avere informazioni così dettagliate ed aggiornate. Ha un forte impatto sull’equilibrio economico e sulla redditività in ultima istanza dell’attività bancaria ⁃ con finalità di copertura. Il rischio per una banca è la componente inattesa delle esposizioni, perché quella attesa si può coprire e infatti una parte del portafoglio titoli è focalizzata a questa copertura, per questo è così preziosa. Il mercato derivato è molto ampio, ci si può coprire sulla valuta, sulla scadenza, sull’esposizione eccessiva verso un certo settore industriale… Ma non si deve farlo per forza con strumenti derivati, avviene anche tramite le riserve ad esempio. La differenza è che se ci si copre con una riserva non si rischia nulla, anche se costa, ma costa anche il derivato, che però è rischioso. Questo perché la riserva é immediatamente disponibile, mentre il derivato può generare sì una copertura, ma se si sbaglia direzione si aumenta la perdita, possono funzionare in entrambi i modi. Inoltre con il derivato ci sarà sempre una perdita: se il sottostante va bene andrà male il derivato e se andrà bene il derivato andrà male il sottostante. Inoltre non sono una copertura totale, ma parziale. La riserva è però un costo fisso, perché non la si investe, è un costo opportunità Bisogna poi scegliere come gestire il portafoglio, la strategia di investimento. Ci sono due approcci opposti teorici. Si tiene conto anche delle scelte di politica monetaria della BCE: - la strategia residuale, in cui la banca impiega nel portafoglio titoli solo la componente residuale delle fonti, ovvero quella che non viene utilizzata per i prestiti, che sono preferenziali. La banca è commerciale al 100%, ha un rapporto impieghi in prestiti / depositi molto elevato (le fonti si approssimano solo ai depositi) e un rapporto titoli in portafoglio / depositi basso. Agisce come cuscinetto di liquidità: il volume del portafoglio titoli si gonfia quando sul mercato non ci sono condizioni remunerative per concedere prestiti, se invece offre condizioni redditizie allora si sgonfia, perché si investe quasi tutta la liquidità lì. Il problema è che generalmente si gonfia quando ci sono situazioni di crisi e forte incertezza, in cui i tassi diminuiscono e i prezzi salgono, si sta quindi comprando caro. Quando invece l’economia ricomincia a partire conviene prestare denaro, perché scende l’incertezza sulla capacità dei prenditori di restituire il debito, i tassi si alzano, i prezzi scendono e il portafoglio si sgonfia, ma così facendo si sta vendendo a sconto. Si ha quindi una perdita secca in conto capitale, dei deflussi in CE, degli sconti nel valore di tutti i titoli al fair value in SP, è un potenziale buco di liquidità. È una strategia molto rischiosa, le condizioni sono sub-ottimali. Per questo pur di non vendere quando dovrebbero e realizzare una perdita, mantengono i titoli in portafoglio, è il cosiddetto lock in. Questo non succede con i titoli valutati a fair value, perché il loro valore comunque viene rinnovato al valore di mercato e si vede comunque la perdita. I titoli acquistati fino a scadenza però fino a che rimangano in bilancio sono valutati a costo storico e quindi non si realizza la perdita, anche se sul mercato hanno comunque perso. Le banche più tradizionali optano per questa gestione - la strategia flessibile, in cui si dà pari importanza ai due portafogli, si ricerca l’ottimizzazione del rendimento. Si entra nel mercato in coda a fasi espansive (con tassi che si alzano) e si esce prima di una fase recessiva (con tassi che si abbassano). È però impossibile fare così, perché quando si vedono i tassi aumentare/diminuire le fasi sono già cominciate o finite. Questa strategia evita l’effetto lock in, si vende e compra nei momenti ideali, è più redditizia. Si ha una parte delle fonti nei titoli a prescindere dalle politiche creditizie, ovvero quanto allocare ai prestiti. È una banca non puramente commerciale, ha anche un’attività di investment banking Una volta deciso quale approccio avere e quanto investire ci sono due strategie finanziarie di ottimizzazione. Anche in questo caso sono due approcci estremi e teorici: - l’approccio laddered (scaletta a pioli), in cui si divide il portafoglio, grande o piccolo che sia, in funzione delle scadenze dei titoli che lo compongono. La banca vuole essere coperta su ogni scadenza, vuole avere titoli che producono flussi finanziari attesi per ogni piolo di questa scaletta, quindi per ogni scadenza. In questo caso l’equilibrio finanziario della banca è rispettato, si hanno flussi regolari e costanti di liquidità che potenzialmente coprono i deflussi. Se su un piolo ci si aspettano più deflussi si aumenta la porzione di portafoglio che dovrebbe creare flussi a quella scadenza. Più è la frequenza con cui si dividono le scadenze e più si ha sotto controllo l’equilibrio finanziario. Basta una settimana con un buco di liquidità per fallire - l’approccio barbell, che è polarizzato e dicotomico. Ha come obiettivo la massimizzazione del profitto dalle oscillazioni dei tassi. Prevede che il portafoglio sia suddiviso in due componenti: • una ad alto rischio e quindi ad alto potenziale di rendimento atteso • una a basso rischio e quindi alta negoziabilità e basso potenziale di rendimento atteso In un contesto di forte incertezza sull’andamento dei tassi un portafoglio così costruito consente la massimizzazione del rendimento complessivo atteso e una maggior flessibilità (monetizzazione dei titoli a breve in caso di tensione di liquidità). La Silicon Valley Bank ha fatto di questo approccio la sua strategia pura: nel basso rischio aveva i titoli di stato americani e nell’alto rischio gli investimenti in startup. Il problema è stato che la parte non rischiosa è diventata rischiosa, perché la FED ha alzato i tassi e di conseguenza sono diminuiti i prezzi. La banca si è così trovata a svendere ad un prezzo inferiore a quello di costo i suoi titoli di stato e così non è più riuscita a coprire le perdite fisiologiche della parte rischiosa 4. La gestione della raccolta diretta È l’insieme delle decisioni volte ad acquisire fonti di finanziamento sotto forma di capitale di debito da parte di famiglie, imprese, intermediari, banca centrale... può essere sia attraverso i depositi sia com altre forme. È diretta perché avviene con l’emissione da parte della banca di proprie passività. Le caratteristiche comuni sono: l’assunzione di una posizione debitoria, quindi con obbligo di rimborso, la contabilizzazione nel passivo di SP e il rischio di liquidità (dipende dalla forma tecnica considerata). Non costituisce invece raccolta la ricezione di fondi connessa all'emissione di moneta elettronica e la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento Essa crea la parte di passivo che è detto oneroso, cioè che produce deflussi di cassa, gli interessi negativi. Qui si definisce il costo del funding, ovvero quanto costa reperire liquidità. Più è la raccolta diretta, più sono le passività onerose e più si ha capacità di impiegare risorse nel portafoglio titoli o prestiti. Così si creano le attività fruttifere, ovvero che creano potenzialmente flussi positivi di cassa. L’incentivo per la banca è massimizzare i volumi delle passività, per ampliare le fonti, e minimizzarne il costo del funding, per creare un margine rispetto ai proventi che si hanno dagli impieghi. C’è però un grande trade off con le capacità di rinnovo della raccolta e di mantenimento nel lungo periodo delle relazioni con i clienti, perché se si minimizza il costo della raccolta significa che la si paga poco e di conseguenza i clienti non hanno incentivo a continuare a depositare in quella banca, a comprare le obbligazioni e gli strumenti che essa emette. È un gioco di equilibri: si deve minimizzare il costo, ma non così tanto da non essere più competitivo, anche se essendo un mercato molto concentrato non è un grosso problema Ci sono voci della raccolta diretta che hanno funzione di investimento vero e proprio e altre che hanno funzione monetaria. Ad esempio i certificati di deposito emessi, le obbligazioni, i PCT… sono tutti strumenti emessi direttamente dalla banca e che hanno funzione di investimento. Non ci sono investimenti in obbligazioni da parte della banca, ovvero non è la banca che compra obbligazioni, perché quelle sono nel portafoglio titoli, ma obbligazioni emesse dalla banca e comprate da qualcun alto, la banca sta raccogliendo liquidità Può essere sia al dettaglio che all’ingrosso, sul mercato wholsale. La prima è effettuata presso un pubblico retail e per operazioni di importo contenuto presso gli sportelli bancari. La seconda invece è effettuata presso altre banche o la BC tramite operazioni di taglio rilevante Le due controparti di una banca che raccoglie all’ingrosso sono o un’altra banca pari o la banca centrale: se la banca ha bisogno di liquidità invece che rivolgersi alla BC, che è la controparte più cara, può chiedere un prestito sul mercato inter-bancario, ovvero può rivolgersi alle altre banche. Questo mercato non ha il costo altissimo del rifinanziamento marginale, ma un tasso che rimane all’interno del corridoio dei tassi. Ci sono due tassi di rendimento richiesti alla banca: - l’Euribor, l’euro inter-bank offered rate, ovvero il tasso offerto sul mercato interbancario europeo. È il tasso a cui due banche (o altri intermediari) europee si possono scambiare denaro sul mercato monetario, entro 18 mesi, non garantito, che è un enorme plus rispetto alla banca centrale. Sono 5 le scadenze possibili: una settimana, un mese, tre mesi, sei mesi, un anno. Generalmente le banche ponderano i tassi attivi sui mutui proprio sull’Euribor, più uno spread. Per determinarne il valore c’è un panel di 40/45 banche dei 18 paesi europei e l’EMMI (The European Money Markets Institute, lo pubblica ogni giorno alle 11) riporta quali sono i tassi che queste banche si sono offerte per scambiarsi liquidità, che deve essere di almeno 20 milioni, sulle 5 scadenze e ne fa una media. Il problema è che in questo tasso rientrano le proposte di tassi sia andate a buon fine sia quelle che rimangono solo offerte, cioè che l’altra banca non accetta. Ultimamente però si prediligono solo quelli andati a buon fine, perché nel passato ci sono stati dei problemi: essendo il tasso base sul quale le banche costruiscono i propri tassi attivi richiesti c’è stato un problema di manomissione dell’Eurobor, ovvero molte banche si offrivano tassi molto alti per alzare la media, senza che poi la negoziazione andasse a buon fine - l’€STR, l’euro short-term rate, è calcolato dalla BCE (che lo pubblica ogni giorno alle 8) come media ponderata dei tassi di interesse sui prestiti overnight non garantiti di importo superiore a 1milione di euro (più piccole). Le controparti sono altre banche, fondi del mercato monetario, fondi di investimento o pensione, altri operatori finanziari e banche centrali. È nato nel 2019 e sostituisce il tasso EONIA, che non esiste più. Non è comprabile direttamente con l’Euribor, mentre l’EONIA lo era, perché il panel è diverso: 50 delle banche più importanti in Belgio, Germania, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Olanda, Austria e Finlandia È sempre più caro per le banche fare raccolta sul mercato inter-bancario, quindi prestano a tassi più alti e investono in titoli più rischiosi, perché devono avere un rendimento atteso tale da rendere l’operazione conveniente, e se danno un tasso alto è perché sono rischiosi. Ciò ha bisogno di essere monitorato e che questo aumento di rischiosità del portafoglio sia ben gestito I rischi originano dalla scadenza (rischio di liquidità e di tasso di interesse) e dalla valuta di denominazione (rischio di cambio). Ogni rischio ha una componente attesa e una non, si deve cercare di coprire la prima e di misurare e approssimare la seconda. Il costo del funding ha un impatto diretto sui prezzi: più è alto maggiore è il tasso di interesse attivo per la banca sui prestiti 5. La gestione della raccolta indiretta Sono i titoli di credito e altri valori non emessi dalla banca, ma ricevuti in deposito o in relazione a gestione di patrimoni mobiliari. Riguarda quindi attività finanziarie esterne ed è data da: - la raccolta amministrata, formata da titoli in custodia e amministrazione (titoli di Stato, azioni...) - la raccolta gestita, formata da gestioni patrimoniali, fondi comuni e prodotti assicurativi La raccolta indiretta va direttamente in nota integrativa dove è valutata a valore di mercato, senza passare da SP, perché da essa non derivano tassi di rendimento, agisce da broker. Non ha impatto sul MINT, ma enorme sul MINTS, perché da essa derivano commissioni. Poiché il business bancario è sempre più disintermediato la componente di commissioni rispetto a quella di interessi è sempre maggiore, quindi l’importanza della raccolta indiretta è sempre più notevole È preziosa perché non ha un’esposizione finanziaria ai rischi di credito, di tasso, di liquidità… perché agisce da broker, fa arrivare flussi puliti senza rischi finanziari nel CE. C’è solo un’esposizione marginale a rischi operativi, strategici (anche se è eccessivo) e reputazionali (che derivano dall’aver gestito male i patrimoni altrui). Questo è importante anche perché aumenta la pressione dell’autorità di vigilanza a diminuire l’esposizione ai rischi. Di conseguenza essa opera nei settori che garantiscono un’esposizione più bassa, quindi vie di servizi, gestioni patrimoniali… sono tutte attività finanziarie secondarie, che non sono nel core business della banca - i servizi di negoziazione in senso lato per trading, compravendita per conto di terzi di: • strumenti finanziari o valori mobiliari quotati e negoziati nei mercati regolamentati, come ad esempio azioni, titoli di Stato, obbligazioni… • strumenti di investimento collettivo, come ad esempio i fondi comuni • prodotti assicurativi con prevalente funzionalità di investimento finanziario La Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD, è la direttiva del 2014 che dà a tutti i paesi europei regole per prevenire e gestire le crisi. Dà alle autorità di risoluzione poteri e strumenti per: - pianificare la gestione di una crisi, la crisi è anche solo il rischio, quindi in questo caso c’è tempo di pianificarne la gestione prima dell’insolvenza - intervenire prima della completa manifestazione, early intervention - gestire al meglio la fase di risoluzione, se le altre due precedenti non sono state abbastanza I piani di ricovero previsti sono due: - il recovery plans, ovvero il risanamento di un ente in difficoltà. Prevede strumenti e azioni per la prevenzione della crisi, è per banche che presentano problemi, ma che sono comunque solvibili. Cerca di stabilizzare la situazione finanziaria com due interventi: • l’intervento della BCE come lender of last resort, emergency lending assistance. Agisce con operazioni di mercato aperto, che sono il canale ordinario, e di rifinanziamento marginale • la ricapitalizzazione precauzionale, è un sostegno pubblico approvato dalla Commissione Europea. È cautelativo e temporaneo deve già essere stanziato un piano di copertura dei fondi pubblici utilizzati. Fa fronte a carenze di capitale evidenziate in stress test, valutazioni annuali condotte da BCE o EBA con cui si mettono alla prova i tre equilibri delle banche con scenari di crisi via via più gravi (ad esempio rialzo o ribasso dei tassi). In base a come i dati bancari rispondono si valuta la stabilità o il rischio di dissesto. Non può essere utilizzato a copertura di perdite attuali o potenziali. È applicabile la disciplina degli aiuti di Stato e il principio della condivisione degli oneri, il burden sharing: lo Stato interviene a sostegno del dissesto solo se la banca ha già fatto il possibile per auto salvarsi con le proprie risorse - il resolution plans, ovvero la risoluzione di una situazione di crisi. Sono interventi ex post da adottare in caso di dissesto o se esso è altamente probabile. Ci sono due possibilità: • se la banca ha rilevanza sistemica, ovvero importanza europea o globale • se la banca ha pubblico interesse, essa ha sempre pubblico interesse nelle funzioni core Sempre nel resolution plan si decide se procedere con: - la liquidazione coatta amministrativa - la risoluzione, un processo di ristrutturazione da parte di autorità indipendenti che mira a: • evitare interruzioni nei principali servizi offerti, quindi senza che i clienti si accorgano • ripristinare le condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca • liquidare le parti restanti non sanabili Nella risoluzione le autorità di risoluzione possono ricorrere a quattro soluzioni: - il mercato, ovvero vendere una parte dell’attività ad un acquirente privato, che generalmente è un’altra banca, che compra parte dell’attivo della banca in crisi, perché nonostante sia instabile e di poco valore è altamente svenduto, magari può trovare qualcosa all’interno che si salva - il bridge bank, che è il passo intermedio rispetto alla vendita sul mercato, in cui si trasferiscono temporaneamente le attività e passività ad un’entità costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti in vista di una successiva vendita sul mercato. In genere avviene a crisi verificata e serve per stimare quali parti sono risanabili o salvabili e quali no - il bad bank, che è una banca veicolo aperta ad hoc per trasferirvi le attività fruttifere deteriorate, così che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli. Può smaltirle definitivamente oppure cartolarizzarle e rivenderle sul mercato come derivati con sottostante l’asset deteriorato - il bail-in, che è diverso dal bail-out, nel quale per il salvataggio si utilizzano risorse pubbliche, mentre qui la ristrutturazione avviene in primo luogo con le risorse interne alla banca. Con queste essa deve cercare di salvare il più e il meglio che può. Se non funziona si può passare al burden sharing, a patto però che la banca abbia applicato un bail in di almeno l’8% del totale del passivo, ad esempio vendendo attività o comunque muovendo l’attivo di SP. Ciò è stato formalizzato dagli ultimi accordi di Basilea all’interno del MREL, Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities. Il burden sharing utilizza il fondo di risoluzione nazionale, il FIDT (fondo interbancario tutela depositi), o la nazionalizzazione temporanea. È successo che piuttosto che arrivare al bail out lo Stato lascia fallire la banca In ogni caso scelto vale il principio del no-creditor worse off, ovvero si deve lasciare i creditori della banca in una soluzione più positiva e tutelativa rispetto a quella senza intervento Il bail-in È uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di: - ridurre il valore delle azioni e di alcuni crediti - convertire i crediti in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca - creare una nuova entità per ripristinare un’adeguata capitalizzazione e fiducia del mercato Non è facile trovare risorse interne, se la banca è in crisi presenta grossi squilibri di liquidità o economico-patrimoniali. Prima di tutto si usa l’equity, il capitale azionario, per copertura, se non è in grado di coprire le passività viene azzerato). Poi si utilizzano le obbligazioni subordinate, che sono passività esigibili e trasformabili in patrimonio poiché convertibili in azioni. Ci sono poi anche passività escluse dal bail-in, come i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositanti Consente alla banca di continuare ad operare e ad offrire i servizi finanziari essenziali per la collettività. Dato che le risorse finanziarie per la stabilizzazione provengono da azionisti e creditori non comporta costi per i contribuenti. L’ordine di priorità per il bail-in è: - gli azionisti - i detentori di altri titoli di capitale - gli altri creditori subordinati - i creditori chirografari - le persone fisiche e piccole-medie imprese titolari di depositi con importo eccedente 100mila€ - il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti Non si può passare all’uso della categoria successiva prima dell’azzeramento di quella precedente e non possono essere coinvolti i depositi fino a 100mila€ e le obbligazioni garantite, cioè i covered bond, i debiti verso dipendenti, il fisco, gli enti previdenziali e i fornitori. I depositi al dettaglio eccedenti i 100mila€ possono essere comunque esclusi in via discrezionale, cioè al fine di evitare il rischio di contagio e preservare la stabilità finanziaria Il requisito minimo di fondi propri e altre passività soggette a bail-in mira ad assicurare che, in caso di risoluzione, una banca disponga di risorse in grado di assorbire le perdite e ricostituire il capitale. Il fondo nazionale di risoluzione è costituito con versamenti da parte delle banche nazionali, di banche estere con succursali in Italia e di alcune SIM. I proventi incassati dal fondo di risoluzione derivano dalla vendita delle good bank e dal recupero dei crediti deteriorati Nel caso delle quattro banche il fondo ha finanziato la risoluzione delle crisi di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti per un totale di 3,7 miliardi di €. Data la mole dell'impegno esso non sarebbe riuscito a reperire tempestivamente l'importo necessario, dunque Intesa SanPaolo, Unicredit e Ubi Banca hanno anticipato 4 miliardi di €. L’intervento del fondo era al fine di: - coprire le perdite derivanti dalla svalutazione di 8.5 miliardi di sofferenze. Inizialmente svalutati del 60%, ma con l'intervento del fondo, è stata necessaria un’altra svalutazione di 1,7 miliardi - ricapitalizzare i nuovi istituti, ovvero le good bank, che possono mantenere il nome della loro banca di origine, ma deve essere preceduto da Nuova - creare la bad bank, la Gestione Crediti S.p.A., che gestisce i crediti deteriorati Il salvataggio delle quattro banche in difficoltà non è stato né un bail in, perché non ha incluso debitori senior o correntisti sopra i 100mila€), né un bail out perché non c'è un intervento statale 14. GLI ACCORDI DI BASILEA Cosa sono gli accordi di Basilea Basilea è un comitato senza potere legislativo creato nel 1974 dai governatori delle Banche Centrali del G10 per mettere a punto un accordo sull’adeguatezza patrimoniale delle banche. È il primo accordo che assegna al capitale il compito di assorbire i rischi assunti, al fine di diminuire la probabilità che perdite inattese pongano le banche in condizioni di insolvenza. Ciò va molto oltre la copertura della singola posta e del singolo rischio con ad esempio derivati Da Basilea 1 a 4 è la storia di come i coefficienti e gli accordi sono cambiati negli anni. Ad oggi vige Basilea 4, ma siamo più verso un 3,5 perché Basilea 4 verrà completato nel 2027 - Basilea 1 (1988) introduce il rischio di credito e di mercato (1996) da coprire con il patrimonio - Basilea 2 (2004) modifica il rischio di credito e introduce il rischio operativo - Basilea 3 (2009) cambia definizione di patrimonio e introduce concetto di leva e rischio liquidità - Basilea 4 (2022-2027) rende più stringente il rischio di mercato e dà nuove definizioni di rischio di credito, rischio operativo e leva Basilea 1 Non ha come obbiettivo far diminuire i rischi alle banche, ma coprirli, c’è la predisposizione di un patrimonio di vigilanza che sia in grado di assorbire le perdite correlate a tali rischi In base al rischio di credito e di mercato assunto (considerati allo stesso modo) le banche devono dotarsi di un determinato ammontare di capitale, che è il patrimonio di vigilanza. PV / somma di RWA >= 8%. RWA è il risk-weighted assets: l’attivo ponderato in funzione del tipo di prenditore e relativo rischio di controparte. Più è alto il rischio più si deve accantonare capitale Le attività vengono ponderate per il rischio in base ai rating esterni delle agenzie internazionali: - attività a rischio nullo: 0% - attività a basso rischio: 20% (asset da 100 a basso rischio ha RWA 20 e PV 4, cioè l’8%) - attività a medio rischio: 50% - attività a rischio pieno/alto: 100% Ci sono dei limiti: - solo 2 rischi presi in considerazione - scarsa differenziazione del rischio di credito, solo 4 categoria - tutti i crediti corporate verso le imprese venivano conteggiati al 100% di conseguenza le banche sono poco inclini a prestare alle aziende, ma solo ai retail - vigilanza microprudenziale, considera una sola banca singola Basilea 2 Dai limiti di B1 è nata la necessità di ampliare gli accordi. Tuttavia, quelli di Basilea 2 sono stati così travagliati che quando sono entrati in vigore nel 2008 erano già vecchi di 7 anni (ideati nel 2001 e approvati nel 2004), inoltre era crollata ogni certezza finanziaria per la crisi del 2008 I tre pilastri che sono però rimasti nel tempo, sono: - requisiti patrimoniali, come si calcola il patrimonio di vigilanza - controllo prudenziale, come si misura la rischiosità, il RWA (poi anche la rischiosità sistemica). In caso di inadeguatezza dei sistemi gestionali le autorità possono aumentare i requisiti minimi - disciplina di mercato, trasparenza verso gli stakeholders e in particolare gli shareholders. Tramite obblighi di disclosure su condizioni di rischio e patrimonializzazione Possibilità di utilizzare rating interni per quantificare l’esposizione al rischio della banca, in alternativa all’uso del “nuovo approccio standard” (la griglia delle ponderazioni delle RWA è stata ampliata e resa più selettiva). Ci sono voci che ampliano il PV e altre che lo deducono. Le prime sono divise su tre strati (tier 1, 2, 3) dal più al meno liquido. Il primo è poi diviso in core tier 1 e lower tier 1. Ad oggi il tier 3 non esiste più. Cambia il calcolo del RWA = RWARC + 12,5 * (KRM + KRO). RWARC è il RWA ponderato per il rischio di credito, KRM la valorizzazione dell’esposizione al rischio di mercato e KRO operativo. Si creano due misurazioni diverse ad hoc per i due rischi L’RWARC è calcolabile in tre modi dalla complessità crescente, ma dal PV decrescente: - metodo standard: coefficienti forniti da Basilea che accomunano tutte le banche. Il metodo sovrastima la necessità di PV. Da AAA a AA 20%, da A+ a A- 50%, da BBB a BB- 100%, meno di BB- 150% e senza rating 100%. Per i retail è prevista l’applicazione di un coefficiente di ponderazione del 75% indipendentemente dall’esistenza di un rating