Scarica La Guerra del Peloponneso, Tucidide, libro I, pdf e più Traduzioni in PDF di Storia Antica solo su Docsity! 1 Tucidide, La guerra del Peloponneso A cura di Livio Rossetti In collaborazione con Graziano Ranocchia 2 Introduzione In una descrizione della storiografia greca del V secolo la polarità Erodoto-Tucidide finisce col riproporsi. Polarità in genere intesa come trapasso dalla fanciullezza alla maturità del pensiero e della prassi storiografica. Nulla di più errato. La differenza sostanziale, sul piano del metodo, consiste invece nella diversa concezione del rapporto con le fonti e nella diversa visione, ancora una volta, della possibilità di costruire infine il racconto vero. Erodoto riferisce versioni correnti o accreditate, nonché il frutto della sua esperienza diretta (l’occhio – dice – è superiore all’orecchio). La sua opera di registrazione di tradizioni e di notizie – che non rifugge neanche da quelle più stravaganti – ha messo in salvo una messe sterminata di materiale preziosissimo: ancora di recente è confermata la notizia da lui fornita dell’esistenza di miniere d’oro non soltanto sulla costa tracia ma anche nell’isola di Taso. Fornisce all’indagine moderna un intero laboratorio di dati non disgiunti dalla distinzione tra ciò che si deve alla propria osservazione e ciò che si deve alle tradizioni del luogo (così ad esempio in II, 99 a proposito dell’Egitto). In un notissimo passo del VII libro precisa, dopo aver riferito dell’ambasceria di Argo a Serse e della affettuosa risposta di Serse alla vigilia dell’invasione: «Non ho riferito altro se non quello che su se medesimi riferiscono gli Argivi» e soggiunge: «Io ho il dovere di dire ciò che mi è stato detto, non di crederci (e questo vale per tutto il mio racconto)» (VII, 152). Il procedimento tucidideo sarà del tutto opposto. Alle spalle del suo racconto vi è un accurato raffronto tra contrastanti testimonianze: raffronto faticoso e delicato di cui Tucidide mena gran vanto nel proemio del suo I libro, quando ricorda la faziosità delle testimonianze proprio dei testimoni oculari (I, 22). Ciò che, però, egli ci dà è ogni volta il risultato del suo giudizio: un’unica, e per lui definitivamente vera, versione dei fatti. Ci esclude dal suo laboratorio; che in virtù di un tale procedimento abbia ottenuto un grande prestigio come «scientifico» rinnovatore del genere storiografico è ben noto. (Polibio seguirà il suo esempio: invece di fornirci una aperta discussione su dati controversi preferirà dare una acrimoniosa discussione sui vizi – e le poche virtù – degli storici precedenti.) Ma anche questa innovazione tucididea è dovuta alla svolta che anche nella sua opera ad un certo punto si è prodotta. Quando ha preso a trattare la storia della guerra in corso, difficilmente avrebbe potuto dar conto, passo passo, delle versioni contrastanti degli innumerevoli, anche minuscoli, episodi via via raccontati. Quando però racconta la storia greca arcaica – e ciò accade in alcune parti, quelle più antiche, del I libro – Tucidide ci appare alquanto al di sotto della destrezza del suo predecessore. Colpisce l’ingenuità con cui ha creduto che davvero Pausania, re di Sparta, nel momento del suo massimo potere, dopo la vittoria sulla Persia, pensasse di sposare la figlia del Gran Re e gli scrivesse quelle lettere di cui ci trascrive per intero l’inverosimile testo. Molto più prudente Erodoto segnalava che Pausania aveva cercato di avere in sposa la figlia di un dignitario persiano, e aggiungeva «se è vero quello che si dice» (V, 32). Tucidide non viene, come Erodoto, da un mondo che aveva visto imperi ed eserciti immani disfarsi e che aveva trasformato questa secolare esperienza in olimpica saggezza. Il suo orizzonte è ristretto, e tale ristrettezza lo ha anche spinto ad una orgogliosa polemica verso il grande predecessore. Il suo oggetto di analisi è una città, la sua città. Ed appunto vivendone la parabola, si è venuto persuadendo che la sconfitta di Atene, la fine del suo impero, e soprattutto la sua riduzione a potenza di secondo rango erano state dovute ad una «necessità»: necessità inerente alla dinamica stessa dello scontro tra le grandi potenze, alla nozione stessa, totalizzante, di «dominio», onde l’alleanza diviene egemonia e l’egemonia sopraffazione. Ma se la nozione di «necessità» sembra rinviare a qualcosa di oggettivo e quindi tale che renda superfluo il giudizio su ciò che di tale necessità è frutto, la riflessione tucididea non sembra tuttavia appagarsi di una tale constatazione, e ritorna anzi, insistentemente sulla questione: se 5 [5] Invece l’Attica, la quale dai tempi più antichi non ha subito lotte interne per la povertà del suo territorio, fu sempre abitata dalla medesima popolazione. [6] C’è una conferma decisiva di quest’assunto – che cioè le migrazioni abbiano impedito agli altri popoli lo sviluppo che si ebbe in Attica – costituita dal fatto che dalla rimanente Ellade i profughi più potenti di guerre esterne o intestine si ritiravano come in luogo sicuro presso gli Ateniesi; e, divenendo cittadini ateniesi, ne resero anche più grande la città, accrescendone la popolazione; tanto che in seguito Atene, non bastando l’Attica, inviò colonie fin nella Ionia. 3. [1] Abbiamo poi, oltre alla mancanza di sedi stabili, un altro indizio secondo me notevolissimo della debolezza politica degli stati dell’Ellade antica. Questo: prima della guerra troiana è chiaro che l’Ellade non ha compiuto nessuna impresa in comune. [2] Anzi a me pare che nemmeno fosse ancora compresa tutta sotto questo nome; ma che, prima di Elleno figlio di Deucalione, questa denominazione di Ellade neppure esistesse; e che fossero le singole genti, tra le altre per lo più i Pelasgi, a darle il proprio nome. Quando poi Elleno e i suoi figli costituirono una loro potenza nella Ftiotide,4 e furono chiamati in aiuto nelle altre città, fu allora che – secondo me – essendosi ormai stabiliti questi rapporti, si diffuse maggiormente nelle singole regioni il nome di Elleni. Tuttavia questo nome non potè per lungo tempo prevalere su tutti gli altri. [3] Ottima testimonianza è in Omero. Egli che visse molto dopo la guerra troiana, non dà in nessun luogo questo nome al complesso degli Elleni (né lo dà ad altri, se non a quelli che vennero con Achille dalla Ftiotide, e che furono i primi a chiamarsi Elleni): in questo caso Omero nei carmi si serve dell’appellativo di Danai, Argivi, Achei. Anzi non ha nemmeno la parola barbari, per il fatto che neppure gli Elleni ancora, a me pare, si erano distinti con un nome antitetico e unico 5. [4] Gli Elleni dunque, denominati per singoli gruppi, prima della guerra troiana – per la loro debolezza politica e per mancanza di reciproche relazioni – non compirono insieme nessuna impresa. Ma anche questa spedizione comune di Troia la effettuarono solo quando ebbero acquistato maggiore pratica del mare. 4. Minosse è il personaggio più antico, tra quelli che la tradizione orale 6 ci presenta, che si sia procurato una flotta, e che abbia dominato sulla maggior parte del mare che ora si chiama Ellenico. Regnò sulle isole Cicladi;7 fu il primo a colonizzarne il più gran numero, cacciandone i Cari e stabilendovi i suoi figli come governatori; e, per riceverne con più sicurezza le entrate, pensò a distruggere, per quanto gli fu possibile, la pirateria. 5. [1] Infatti anticamente, con l’intensificarsi delle relazioni marinare, gli Elleni e, tra i barbari, quelli che abitavano le coste del continente e quanti abitavano le isole, si diedero alla piraterìa. Il comando era dei più ricchi, che perseguivano il proprio lucro e il sostentamento della gente minuta al proprio servizio. Assalivano popolazioni sprovviste di mura e disperse in villaggi; le saccheggiavano, e per lo più vivevano di questi proventi. Né recava ancora, tale professione, disonore: ma piuttosto qualche gloria; [2] lo provano anche adesso certe popolazioni del continente, per le quali è un onore esercitare abilmente quest’attività; e gli antichi poeti, ove s’incontra sempre la stessa domanda a chi approda: se siano pirati.8 Poiché né quelli cui ci si rivolge disprezzano questa professione, né quelli cui preme sapere la considerano una colpa. [3] Anche nel continente si praticava il brigantaggio. E ancor oggi in molte contrade dell’Ellade vige il sistema antico: presso i Locri Ozoli, gli Etoli, gli Acarnani,9 e così via in quelle parti del continente. Così, l’abitudine di portare armi addosso, a questi abitanti del continente è rimasta in conseguenza della consuetudine antica del brigantaggio. 6. [1] In tutta l’Ellade infatti in quell’epoca si camminava armati; perché le abitazioni non erano difese, né le comunicazioni erano sicure; sicché divenne consuetudine vivere con le armi addosso, come i barbari.10 [2] Queste regioni dell’Ellade, dove ancora si vive così, ci attestano costumi simili per tutti gli Elleni di allora. [3] Primi fra tutti furono gli Ateniesi a smettere di portare armi sulla persona; e, quando il tenore di vita si scostò dal rigore antico, passarono a più 6 morbide delicatezze. Per questa effeminatezza, solo da poco in Atene gli anziani della classe ricca hanno smesso di portare tuniche di lino, e di legarsi il ciuffo dei capelli inserendovi cicale d’oro. Sicché anche presso gli Ioni più anziani, data la parentela con gli Ateniesi, per molto tempo rimase questa moda. [4] Invece furono i Lacedemoni ad adottare per primi la semplicità nel vestire, secondo l’uso attuale; e, qui, i ricchi si misero anche sotto gli altri riguardi allo stesso livello di vita della moltitudine.11 [5] I Lacedemoni furono i primi a spogliarsi, e, presentandosi nudi in pubblico, a ungersi abbondantemente, durante gli esercizi fisici. Anticamente gli atleti lottavano, anche nell’agone olimpico, con una cintura all’inguine e non da molti anni si è smesso quest’uso. Ancor oggi, tra certe popolazioni barbare – specialmente tra gli Asiatici – quando si propongono gare di pugilato e di lotta, gli atleti vi partecipano forniti di cintura. [6] E si potrebbe continuare, dimostrando molte altre analogie di vita e d’usi tra l’antico mondo ellenico e i paesi barbari dell’epoca presente. 7. [1] Tutte le città che furono costruite negli ultimi tempi e – dato lo sviluppo più avanzato della navigazione – con maggiore abbondanza di denaro, furono fondate proprio sulla riva del mare, e cinte di mura. Anzi i fondatori si accaparravano gli istmi12 per ragioni di commercio, e per essere forti ciascuno di fronte ai vicini. Le vecchie città invece, a causa della pirateria, che durò a lungo, furono costruite preferibilmente lontano dal mare, sia quelle delle isole sia quelle del continente; perché i pirati esercitavano le scorrerie fra di loro e su tutte le altre popolazioni che, senza essere marinare, abitavano il litorale. A tutt’oggi queste città sono ancora poste nell’interno. 8. [1] In modo tutto particolare erano dediti alla pirateria gli isolani, che erano Cari13 e Fenici; poiché questi abitavano la maggior parte delle isole. Ed eccone la prova: quando, durante questa guerra, gli Ateniesi fecero le lustrazioni a Delo, e tolsero tutte le tombe dell’isola, oltre metà delle salme apparvero Carie: lo si capì14 dall’armatura sepolta con essi, e dal sistema col quale seppelliscono ancor adesso. [2] Sorta la flotta di Minosse, le relazioni marittime si intensificarono: poiché egli cacciò i pirati dalle isole, quando appunto ne colonizzava gran parte; [3] e gli abitanti del litorale, più diligenti ormai nell’andare accrescendo la propria fortuna, disponevano di abitazioni più stabili; anzi alcuni, che vedevano aumentare la propria ricchezza, si cingevano di mura. Per amore del guadagno i più deboli si sottomettevano come schiavi ai più forti, e i più potenti assoggettavano le città minori. [4] Queste condizioni di vita duravano già da qualche tempo, quando gli Elleni partirono per la spedizione di Troia. [La guerra di Troia e migrazioni cui diede luogo.] 9. [1] A me, poi, sembra che Agamennone sia riuscito a raccogliere il suo esercito per la sua potenza, maggiore di quella degli altri principi del tempo, e non perché abbia mobilitato i pretendenti di Elena profittando dei giuramenti da loro fatti a Tindaro. [2] Dicono anzi, quelli che posseggono le più sicure nozioni di storia peloponnesiaca secondo la tradizione orale antica, che Pelope, costituitasi anzitutto una sua potenza politica con il molto denaro con cui venne dall’Asia presso gente povera, abbia dato, benché straniero, il nome alla terra.15 I discendenti avrebbero avuto 16 poi una sorte anche più splendida, in seguito all’uccisione di Euristeo compiuta in Attica dagli Eraclidi. Euristeo, partendo per la guerra, avrebbe affidato ad Atreo suo zio materno, dati questi rapporti di parentela, Micene e il regno. Quando Euristeo morì, Atreo si sarebbe trovato in esilio, per sottrarsi al padre in conseguenza dell’assassinio di Crisippo. E dicono che, poiché Euristeo non tornò più, Atreo, per volontà degli stessi Micenei che temevano gli Eraclidi, e anche perché appariva potente e si era accattivato il favore popolare dei Micenei e di tutti i sudditi di Euristeo, abbia preso la successione del regno, e i Pelopidi siano divenuti più potenti dei Perseidi.17 [3] La mia opinione è che Agamennone, disponendo di questa successione e, insieme, di una flotta più forte delle altre, abbia fatto la spedizione non in grazia del favore altrui, ma per il timore 7 che ispirava. [4] Si sa infatti che giunse con moltissime navi sue, e che ne fornì agli Arcadi, come ha dichiarato Omero: se la sua testimonianza si giudica attendibile. E anche nel racconto della trasmissione dello scettro Omero dice che egli «di molte isole e di Argo tutta era signore» 18. Certo, stando egli sul continente, non avrebbe dominato su altre isole oltre quelle vicine – e queste non sarebbero state molte – se non avesse avuto anche una flotta. Anche da questa spedizione bisogna dedurre quali fossero le condizioni precedenti. 10. [1] Del fatto che Micene era un piccolo centro, o che qualche città di allora appare adesso priva di importanza, non ci si può servire come di prova valida per non credere alla grandezza della spedizione, quale i poeti l’hanno cantata e la fama celebra. [2] Infatti, se la città dei Lacedemoni fosse abbandonata, e fossero lasciati i templi e le fondamenta delle costruzioni, ritengo che presso i posteri a gran distanza di tempo nascerebbero forti dubbi se la potenza dei Lacedemoni rispondesse alla fama.19 Eppure dominano su due quinti del Peloponneso; e lo tengono tutto – con in più molti alleati fuori di esso – sotto la loro egemonia. Tuttavia, non essendo la città raccolta in un unico insieme, e non possedendo templi ed edifici, ma essendo divisa in villaggi secondo l’uso antico dell’Ellade, apparirebbe una potenza di second’ordine. Se invece questa stessa sorte capitasse agli Ateniesi, credo che dall’aspetto esteriore della città la loro potenza sarebbe supposta doppia di quella che è. [3] Il dubbio sarebbe dunque infondato. Non si deve dare eccessiva importanza all’aspetto delle città e si deve ritenere che quella spedizione sia stata più grande delle precedenti ma pur sempre inferiore alle presenti, se pure qui dobbiamo credere alla poesia di Omero che, da poeta, è naturale l’abbia esagerata e abbellita. Tuttavia appare, anche così, inferiore. [4] Poiché, su milleduecento navi, egli ha fatto quelle dei Beoti di centoventi uomini ciascuna, e quelle di Filottete di cinquanta: 20 indicando, come a me sembra, le più grandi e le più piccole. Certo è che della grandezza delle altre nel catalogo delle navi non fa cenno. E che tutti fossero nello stesso tempo uomini di remo e d’armi lo ha detto chiaro a proposito delle navi di Filottete, perché i remiganti li ha fatti tutti tiratori d’arco. Né è probabile che si sia imbarcata molta gente non necessaria al servizio di bordo, oltre i re e i più alti capi militari; specialmente dovendosi traversare il mare con strumenti bellici e su navigli non pontati,21 ma, secondo l’uso antico, più simili a navi corsare. [5] Facendo dunque la media tra le navi più grandi e le più piccole, è chiaro che non furono molti quelli che partirono, se consideriamo che erano inviati da tutta l’Ellade complessivamente.22 11. [1] La causa di ciò è imputabile non tanto alla mancanza di uomini quanto alla scarsezza di denaro. Fu infatti per difetto di vettovagliamento 23 che gli Elleni condussero un esercito meno numeroso, e quale potevano ritenere che durante la guerra traesse sostentamento dal paese stesso. E dopo che, giunti nella Troade, vinsero una battaglia (questo è certo: ché altrimenti non avrebbero potuto costruire il muro per l’accampamento), risulta che neppure dinanzi a Troia essi dispiegarono tutta la loro efficienza, ma che, per difetto di vettovaglie, si diedero alla pirateria e a coltivare il Chersoneso.24 Onde anche meglio, per la spontanea dispersione degli Elleni, i Troiani tennero loro fronte in campo aperto per quei famosi dieci anni, essendo di forze uguali a quelle che di volta in volta rimanevano sul luogo del combattimento. [2] Se invece gli Elleni fossero venuti con vettovaglie abbondanti e avessero condotto la guerra ininterrottamente tutti insieme, senza occuparsi di pirateria e di agricoltura, facilmente, stringendola d’assedio, avrebbero preso Troia in più breve tempo e con minor fatica: essi che tenevano fronte al nemico pur senza impegnarsi in blocco, ma con quella parte di forze di cui disponevano di volta in volta. Invece, per scarsezza di denaro, le imprese prima di questa furono insignificanti, e questa stessa, che fu più celebre delle precedenti, appare, nella realtà, inferiore alla fama e al grido che, affermatosi per opera dei poeti, ora ne corre. 12. [1] Anzi dopo la guerra troiana l’Ellade subì altre migrazioni e colonizzazioni, sicché non potè raggiungere, con la pace, una potenza maggiore. 10 imposero a tutti la consegna di determinate somme; sicché, all’inizio di questa guerra, Atene disponeva di una preparazione militare propria più ragguardevole che non al tempo del maggior fiorire della sua potenza, quando la lega era ancora intatta. [Criteri per una storiografia rigorosa. Importanza della guerra del Peloponneso.] 20. [1] Tale dunque è risultata alle mie ricerche la storia più remota; a proposito della quale non ci si può ciecamente affidare alla prima testimonianza che s’incontra, perché gli uomini, persino nelle cose del proprio paese, accolgono senza controllo le tradizioni orali sul passato. [2] Così, per esempio, la maggior parte degli Ateniesi crede che Ipparco sia stato ucciso da Armodio mentre era tiranno; e non sa che allora regnava Ippia, come primogenito dei figli di Pisistrato. Ipparco e Tessalo erano suoi fratelli; ma in quel giorno, al momento dell’azione, Armodio e Aristogitone, insospettitisi che uno dei loro complici avesse riferito qualche cosa ad Ippia, non toccarono quest’ultimo pensando che fosse preavvisato; ma, non ricusando di affrontare il pericolo pur di avere compiuto, prima dell’arresto, qualche grande gesto, incontrato Ipparco nella località detta Leocorio mentre ordinava la processione panatenaica, l’uccisero.44 [3] Ma pure su molte altre cose ancora attuali e non cancellate dal tempo anche gli altri Elleni non hanno per nulla idee esatte. Credono per esempio che i re dei Lacedemoni non diano un voto per ciascuno ma due,45 e che appartenga loro la centuria di Pitana, che non è mai esistita. Così a cuor leggero i più si accingono alla ricerca della verità, e preferiscono appigliarsi ai risultati che non costano fatica. 21. [1] Tuttavia non errerebbe chi, basandosi sulle prove da me addotte, ritenesse che tale sia stato lo svolgimento essenziale del periodo su esposto: senza affidarsi maggiormente ai poeti che hanno cantato questi fatti con esagerazioni e abbellimenti; né ai logografi che li hanno presentati più per interessare gli ascoltatori46 che secondo verità, essendo questi avvenimenti senza salda base di certezza obiettiva, e divenuti, per il tempo trascorso, i più di essi leggendari. Né sbaglierebbe chi ritenesse che i risultati delle mie ricerche, condotte sulle testimonianze più attendibili, siano, tenendo conto dell’antichità della storia trattata, soddisfacenti. [2] E questa guerra – benché gli uomini giudichino sempre che la guerra da essi combattuta sia la più importante, salvo a provare maggiore ammirazione per le antiche, dopo averla finita – apparirà, se si riguardi alla realtà dei fatti, più grave delle precedenti. 22. [1] Per i discorsi tenuti dai singoli personaggi prima della guerra, e durante la guerra, era difficile a me – per ciò che avevo udito personalmente – e a quelli che mi riferivano dai diversi luoghi, ricordare con precisione assoluta ciò che era stato detto. Io, attenendomi quanto più fosse possibile al senso generale di ciò che fu veramente detto, ho scritto i discorsi come sembrava a me che i singoli oratori avrebbero presso a poco espresso le cose essenziali sulle situazioni diverse.47 [2] E quanto ai fatti veri e propri svoltisi durante la guerra, ritenni di doverli narrare non secondo le informazioni del primo venuto né secondo il mio arbitrio, ma in base alle più precise ricerche possibili su ogni particolare, sia per ciò di cui ero stato testimone diretto, che per quanto mi venisse riferito dagli altri. [3] Faticose ricerche: perché i testimoni dei singoli fatti riferivano su cose identiche in maniera diversa, ognuno secondo le sue particolari simpatie e la sua memoria. [4] E forse la mia storia, spoglia dell’elemento fantastico, accarezzerà meno l’orecchio,48 ma basterà che la giudichino utile quanti vorranno sapere ciò che del passato è certo, e acquistare ancora preveggenza per il futuro, che potrà quando che sia ripetersi, per la legge naturale degli uomini, sotto identico o simile aspetto. Sicché quest’opera è stata composta perché avesse valore eterno, più che per ambizione dell’applauso dei contemporanei nelle pubbliche recite. 23. [1] Delle precedenti imprese la più grande fu quella contro i Persiani; eppure fu rapidamente decisa in due battaglie navali e due terrestri.49 Questa guerra invece durò a lungo e travagliò l’Ellade come prima non era mai avvenuto per un periodo uguale. [2] Mai infatti avevano 11 prima le guerre spopolato tante città, le une per opera dei barbari, le altre per opera delle stesse parti contendenti – alcune anche, dopo essere state prese, mutarono i propri abitanti – né si erano avuti tanti casi di gente esiliata e tanto sangue, sia per la guerra vera e propria, sia per le guerre civili. [3] I fenomeni che prima si riferivano per sentito dire, ma che di rado rispondevano ai fatti, divennero non dubbia realtà; ciò vale anche per quanto riguarda i terremoti che interessarono zone assai estese e furono di intensità maggiore del solito, per le eclissi di sole che si verificarono con maggior frequenza che non nel tempo precedente, e per certe grandi siccità e conseguenti carestie, e per l’epidemia di peste che fu di gran danno, con ampia messe di vittime: tutte sventure contemporanee alla guerra. [Alla ricerca delle cause scatenanti della guerra.] [4] Guerra che gli Ateniesi e i Peloponnesi cominciarono rescindendo la tregua dei trent’anni firmata dopo la presa dell’Eubea. [5] Descrivo in precedenza le cause e gli urti che hanno portato a questa rescissione perché in seguito non occorra più ricercare le origini di così grande guerra fra gli Elleni. [6] La ragione più vera, benché nelle dichiarazioni esplicite la si tenesse del tutto nascosta, io ritengo sia stato il fatto che la potenza affermatasi degli Ateniesi e la paura derivantene ai Lacedemoni aveva portato di necessità alla guerra. Le cause dichiarate 50 invece ufficialmente da tutte e due le parti e da cui nacquero la rescissione della tregua e lo scoppio della guerra furono le seguenti. Il conflitto tra Corinto e Corcira (435?) [Epidamno si rivolge a Corcira, ma invano; poi a Corinto, che manda una guarnigione. Battaglia navale di Leucimna.] 24. [1] Entrando nel golfo Ionio si trova, a destra, la città di Epidamno.51 Vi abitano nelle vicinanze i barbari Taulanti di schiatta illirica. [2] È colonia dei Corciresi, e il fondatore ne fu Falio figlio di Eratoclide, di origine corinziana, dei discendenti di Eracle, fatto venire, secondo l’uso antico, dalla madrepatria. Si stabilirono nella nuova colonia anche alcuni Corinzi ed altri Dori. [3] Col tempo la città di Epidamno divenne grande e popolosa. [4] Ma dopo molti anni (a quanto si dice, di guerre civili), dopo una guerra con i barbari vicini, cadde in rovina, perdendo gran parte della sua potenza. [5] Nell’ultimo periodo che precede questa guerra la democrazia di Epidamno aveva cacciato gli oligarchi, i quali, unendosi ai barbari, si diedero a saccheggiare quelli della città per terra e per mare. [6] Gli Epidamni che si trovavano nella città, vedendosi a mal partito, mandarono ambasciatori a Corcira, come a loro metropoli: chiedendo che non li abbandonassero in quel grave frangente, li conciliassero con gli esuli, e ponessero fine alla loro guerra con i barbari. [7] Così pregavano gli ambasciatori, disponendosi in atteggiamento di supplici nel tempio di Era. Ma i Corciresi non accolsero la supplica, e li rimandarono invece a mani vuote. ’ 25. [1] Avendo appreso che da Corcira non avevano da aspettarsi alcuna difesa, gli Epidamni si trovavano in difficoltà per risolvere la situazione, e andando delegati a Delfi chiesero al dio se dovessero consegnare la città ai Corinzi come ai fondatori della colonia, e cercare di essere in qualche modo difesi. La risposta fu che consegnassero la città ai Corinzi, e ne accettassero il comando.52 [2] Giunti gli Epidamni a Corinto consegnarono, come voleva l’oracolo, la città ai Corinzi, dichiarando che il loro fondatore era di Corinto ed esponendo il comando dell’oracolo . E li pregarono di non lasciarli andare alla rovina, ma di difenderli. [3] I Corinzi accordarono l’aiuto per debito di giustizia, considerando che la colonia apparteneva non meno a loro che ai Corciresi, e nello stesso tempo per odio verso i Corciresi, che non mostravano loro i dovuti riguardi, pur 12 essendone coloni. [4] Infatti nelle feste comuni non mandavano a Corinto gli omaggi d’uso; non davano a un cittadino corinzio, compiendo la consacrazione iniziale, la possibilità di sacrificare vittime, come facevano le altre colonie; e li trattavano con insolenza perché quanto a potenza finanziaria erano a quell’epoca pari e per preparazione militare più forti; quanto a flotta poi si gloriavano di aver addirittura un notevole vantaggio su di essi, riferendosi talora anche al fatto che i Feaci,53 famosi sul mare, avevano abitato in antico Corcira. Onde con tanto più zelo si dedicavano alla flotta, ed erano potenti: i Corciresi al principio della guerra disponevano di centoventi triremi. 26. [1] Per tutti questi motivi di lagnanze i Corinzi soccorsero volentieri Epidamno, invitando ad andar là come colono chiunque volesse, e mandando una guarnigione di Ambracioti, di Leucadi54 e di cittadini propri. [2] Si avanzarono per terra fino ad Apollonia, colonia corinzia, per timore dei Corciresi: che non impedissero il passaggio per mare. [3] Intanto i Corciresi, alla notizia che ad Epidamno erano giunti coloni e guarnigioni, e che la colonia s’era data ai Corinzi, se ne irritarono, e, varata una flotta di venticinque navi e in seguito un’altra squadra, con minacce imponevano agli Epidamni di riprendere gli esuli (i fuorusciti di Epidamno si erano infatti rivolti a Corcira, e, mostrando le tombe degli antenati e adducendo i vincoli di sangue, li avevano pregati di restituirli in patria), e di rinviare la guarnigione mandata dai Corinzi, e i coloni. [4] Gli Epidamni non diedero seguito a nessuna di queste richieste. Allora i Corciresi si avanzarono contro di loro forti di quaranta navi, con i fuorusciti, che intendevano far rientrare in patria, e prendendo con sé gli Illiri. [5] Accampatisi dinanzi alla città, intimarono che gli stranieri e chiunque degli Epidamni volesse si allontanassero senza ricevere alcun danno; diversamente, li avrebbero trattati come nemici. Gli Epidamni rifiutarono, e i Corciresi si accinsero all’assedio della città, sita su un istmo. 27. [1] I Corinzi, quando da Epidamno giunsero i messi con l’annunzio dell’assedio, si prepararono a una spedizione, e nello stesso tempo annunziarono con banditori la fondazione di una colonia ad Epidamno, e che chi volesse poteva andarci, godendo gli stessi diritti degli altri residenti. Se qualcuno non voleva partir subito, pur desiderando far parte della colonia, poteva restare in patria, depositando come cauzione cinquanta dracme corinzie.55 Furono molti sia i partenti sia quelli che depositarono il denaro. [2] I Corinzi pregarono anche i Megaresi di unirsi loro con una flotta per scortare i coloni, nel caso che dai Corciresi si tentasse di impedire la traversata. I Megaresi si disponevano ad accompagnarli con otto navi, e i Paleesi di Cefallenia 56 con quattro. Fecero richiesta anche agli Epidauri che ne fornirono cinque: gli Ermionesi una, i Trezeni due, i Leucadi dieci e gli Ambracioti otto. Ai Tebani e ai Fliasii chiesero denari, agli Elei57 denari e navi senza equipaggi. Per conto proprio i Corinzi preparavano trenta navi e tremila opliti.58 28. [1] Quando i Corciresi appresero di questi preparativi, vennero a Corinto con ambasciatori di Sparta e di Sicione che avevano preso con sé, e invitarono i Corinzi a ritirare la guarnigione ed i coloni da Epidamno, poiché Epidamno non era territorio che li riguardasse. [2] Ché se i Corinzi sostenevano di avere diritti su Epidamno, essi erano pronti a sottostare all’arbitrato di alcune città peloponnesiache scelte di comune accordo. Si sarebbe tenuta la colonia quella parte a cui fosse stata aggiudicata. Dichiararono anche di essere pronti a sottoporre la questione all’oracolo di Delfi. [3] Insistevano a che non suscitassero una guerra. Altrimenti sarebbero stati anche costretti, dicevano, per ragioni di interesse, poiché i Corinzi ricorrevano alla forza, a procurarsi alleanze da loro non desiderate,59 diverse da quelle che ora preferivano. [4] I Corinzi risposero che, se essi avessero allontanato da Epidamno la flotta e i mercenari barbari, avrebbero preso in considerazione queste proposte; ma che, prima, non sarebbe stato conveniente che gli uni rimanessero assediati, e gli altri stessero a discutere. [5] I Corciresi di contro dichiararono che avrebbero accondisceso, se i Corinzi avessero richiamato i loro uomini da Epidamno. Erano però anche disposti a che le due parti rimanessero nelle posizioni occupate, e a stipulare una tregua, in attesa della sentenza arbitrale. 15 mandare anche a noi quell’aiuto a cui comunque vorrete lasciarvi indurre. Il meglio poi sarebbe l’aiutarci apertamente, accogliendoci nella lega. [5] Al principio del nostro discorso vi abbiamo dichiarato che i vantaggi68 di questa alleanza sono molti; e ve li andiamo indicando. Il principale è questo: che abbiamo gli stessi nemici – il che è la più sicura garanzia –; nemici non insignificanti, ma in grado di colpire chi abbia defezionato. Né deve esservi indifferente l’alleanza che vi offriamo, che è di potenza navale e non terrestre. Ché anzi voi dovete impedire, potendolo, che alcun altro stato abbia una flotta; o, diversamente, stringere amicizia con la potenza marinara più forte. 36. [1] Può darsi che, anche ammettendo questi vantaggi, ci sia chi tema – a lasciarsene persuadere – di rompere il trattato. Costui sappia che il suo timore, unito alla forza, incuterà piuttosto paura nei nemici; 69 mentre la fiducia derivantegli dall’averci respinto, accompagnandosi a debolezza, sarà meno temibile per un nemico forte. Inoltre non meno che su quella di Corcira si delibera ora sulla sorte di Atene: agli interessi della quale non si provvederà nel miglior modo se, in vista della minaccia di una guerra che per poco non è già dichiarata, tutti intenti al presente immediato, si esiti ad accaparrarsi uno stato la cui amicizia od ostilità ha la più grande importanza. [2] Perché la posizione di Corcira, sulla via dell’Italia e della Sicilia, può impedire che una flotta venga di là a sostenere i Peloponnesi; come può da questa vostra città farne passare una verso quelle parti. E sotto altri rispetti offre molti vantaggi. [3] Una sola parola farà chiara a tutti e a ciascuno la ragione principale per cui non dovete respingerci. Tre sono le flotte importanti dell’Ellade: la vostra, la nostra, e quella dei Corinzi. Se permetterete che, di queste, due si uniscano, e se i Corinzi ci sottometteranno, combatterete per mare contro i Corciresi e i Peloponnesi insieme; se invece ci accoglierete, disporrete in più delle nostre navi nella lotta contro di loro». [4] I Corciresi parlarono così. Seguirono i Corinzi, con questo discorso: 37. [1] «È necessario, poiché i Corciresi qui presenti non si sono, nel loro discorso, occupati soltanto dell’accettazione da parte vostra della loro alleanza, ma anche dei torti che avrebbero ricevuto da noi, e della guerra ingiusta che si combatterebbe contro di loro, che similmente anche noi ci fermiamo su questi due punti, e che solo in seguito passiamo agli altri argomenti del loro discorso: perché con maggior sicurezza voi conosciate prima la nostra giusta esigenza, e respingiate poi con piena cognizione di causa la richiesta a cui costoro sono costretti. [2] La saggezza – dicono – li aveva finora indotti a non accettare nessuna alleanza. Ma per ragioni inconfessabili, e non per onestà, essi adottarono questo sistema. Non volevano avere nessun alleato testimone della loro illegalità, o avere da vergognarsi nell’invitarlo a parteciparvi. [3] Inoltre la posizione indipendente della loro città permette loro di giudicare senza intervento altrui sui danni che recano agli altri, anziché legarsi con trattati. Perché, mentre assai di rado navigano verso terre straniere, capita loro assai spesso di accogliere gli altri Elleni, che non possono fare a meno di approdare nei loro porti. [4] Data la situazione, hanno inventato il pretesto dell’isolamento senza alleanze; non per evitare complicità con altri, ma per non essere disturbati nei loro procedimenti senza scrupoli: per adoperare la violenza quando hanno la forza dalla loro, per trarre disonesti vantaggi quando non c’è chi li smascheri, e non aver da vergognarsi quando c’è qualcosa da arraffare. [5] Notate che, se fossero gente onesta come affermano, accettando l’arbitrato in uso nei trattati, tanto meglio avrebbero potuto far rifulgere la loro rettitudine quanto più sono strategicamente indipendenti. 38. [1] Ma non son essi tali né verso gli altri né verso di noi. Essi, nostri coloni,70 si sono sempre tenuti in disparte da noi, e ci fanno ora la guerra col pretesto di non essere stati mandati a fondare una nuova colonia allo scopo di nuocere loro. [2] Ma rispondiamo che neppure noi abbiamo fondato la colonia col patto di ricevere i loro insulti, ma col patto che fosse riconosciuta la nostra supremazia, e di riceverne il dovuto rispetto. [3] Orbene: le altre colonie ci onorano, ed i coloni ci 16 tributano il più grande rispetto. [4] È chiaro che, se i più sono contenti di noi, il malcontento di costoro, caso unico, non si giustifica, e che, se l’offesa non fosse stata eccezionale, non avremmo intrapreso questa spedizione inconsueta. [5] Se anche fossimo colpevoli, cedere alla nostra irritazione sarebbe stato titolo d’onore per costoro, e sarebbe stata per noi vergogna infierire di fronte alla loro moderazione. Invece, divenuti insolenti per la loro potenza economica, si sono resi verso di noi colpevoli di molti torti: e tra l’altro, mentre su Epidamno, colonia nostra, non avevano elevato finché si trovava nei guai pretesa alcuna, quando l’abbiamo soccorsa noi l’hanno presa a forza, e ora la tengono in loro potere. 39. [1] Dicono inoltre di aver prima voluto un giudizio arbitrale. Ma in verità una discussione in arbitrato la si può attendere non da chi sfida in giudizio tenendosi al sicuro e in posizione di vantaggio, ma da chi pensa ad attuare una condizione di parità nelle parole e nei fatti, prima del dibattito. [2] Costoro invece hanno presentato quella speciosa proposta di arbitrato non prima dell’assedio di Epidamno, ma quando ritennero che noi non saremmo rimasti a guardare. Non contenti delle colpe commesse là per conto proprio, compaiono adesso qui pretendendo da voi, non diciamo un’alleanza, ma una complicità: che li accettiate nella lega quando già sono in rapporti di ostilità con noi. Quando erano in stato di assoluta sicurezza, quello era il momento di rivolgersi a voi. Ora è diverso. [3] Ora noi siamo stati offesi ed essi si vedono in pericolo; ora voi darete aiuto mentre allora non avete approfittato delle loro forze militari; e, mentre non avete avuto parte nelle loro colpe, ve ne addosserete di fronte a noi la responsabilità. Solo un’antica alleanza militare avrebbe dato loro il diritto di addossarvi le conseguenze della loro politica. 40. [1] Resta dunque assodato che le lagnanze che noi vi sottoponiamo sono fondate; e che costoro sono dei violenti e dei profittatori. Dovete ora convincervi che non sarebbe corretto da parte vostra accettarne l’alleanza. [2] È vero: il trattato stabilisce che ogni città non iscritta è libera di optare per l’una o per l’altra lega; ma questo articolo non riguarda quelli che si iscrivono per nuocere altrui, ma quelli che, senza sconfessare precedenti alleanze, ricercano la propria sicurezza, e la cui alleanza non porti allo stato che l’accoglie – ove la si consideri al lume di una politica intelligente – guerra dove c’era la pace. E questo è il pericolo che vi minaccia se non ci date ascolto. [3] Non si tratta soltanto di portare aiuto a costoro, ma di mutare la nostra amicizia in ostilità. È inevitabile infatti che, se li aiutate nell’offesa, anche nella difesa costoro non faranno a meno di voi. [4] Invece la più rigida correttezza esigerebbe che voi osservaste la neutralità, o altrimenti marciaste con noi contro di loro, e non viceversa: poiché a Corinto vi lega un trattato, mentre a Corcira non vi ha mai unito neppure una convenzione provvisoria guardandovi dall’instaurare l’uso di accettare nella vostra lega i disertori dell’altra. [5] Quando i Sami si ribellarono contro di voi71 (e il parere degli altri Peloponnesi, se si dovesse o no portar loro aiuto, era discorde), noi non abbiamo votato contro di voi, ma abbiamo apertamente sostenuto che ciascuno stato ha il diritto di punire i propri alleati. [6] Se voi difenderete gli stati che hanno qualche torto verso di noi, accogliendoli nella vostra alleanza, un numero evidentemente non inferiore di alleati vostri si accosterà a noi, e avrete stabilito un uso che si ritorcerà più contro di voi che contro di noi. 41. [1] Son queste le ragioni di diritto 72 che vi sottoponiamo, e che le consuetudini degli Elleni riconoscono valide. D’altra parte, premesso che noi non vi siamo nemici – sicché non avete ritorsioni da fare – né amici – sicché non potete chiederci favori gratuiti – e che crediamo venuto il momento di ricordarvi del vostro debito di gratitudine, vi diciamo subito quale titolo noi vantiamo per consigliarvi così. [2] A suo tempo, nella guerra contro Egina, prima dell’invasione persiana, scarseggiavate di navi da guerra, e avete ricevuto dai Corinzi venti navi. Ora, questo servizio, e quello che vi abbiamo reso nell’affare dei Sami – quando per opera nostra è mancato loro l’aiuto dei Peloponnesi – vi ha reso possibile sottomettere gli Egineti 73 e punire i Sami. I due casi furono di quelli in cui 17 maggiormente, in verità, la volontà di offendere i propri nemici rende gli uomini insensibili a tutto pur di vincere; [3] e passa tra gli amici chi li aiuta, anche se prima era nemico; tra i nemici, chi a loro si oppone anche se amico; perché in quei casi si dimenticano anche le cose più care, pur di soddisfare l’immediata sete di vittoria. 42. [1] Queste le considerazioni da farsi, questo i giovani fra voi devono apprendere dai più anziani, perché sentiate il dovere di ricambiarci. [2] E non crediate che queste siano cose giuste a dirsi, ma che, con la previsione di una guerra futura, l’utile sia un’altra cosa. La politica più vantaggiosa è quella di avere meno colpe da rimproverarsi; e la previsione di una guerra – paura con cui i Corciresi vogliono spingervi a un gesto riprovevole – è ancora problematica: non vale la pena lasciarsi trascinare da essa in una guerra contro Corinto, non ipotetica, ma certa. Il buon senso ci consiglia di dissipare quel rancore che era nato dalla questione di Megara.74 [3] Perché quando l’ultima dimostrazione è di amicizia, e viene al momento giusto, pur non costando molto, fa dimenticare recriminazioni anche gravi. [4] Né deve sedurvi il fatto che vi offrono, con l’alleanza, numerosa flotta. Il non urtare ingiustamente una potenza di forze uguali consolida e rinsalda uno stato meglio che disporre di una preponderanza non priva di pericoli, frutto di una infatuazione per ciò che lì per lì è innegabilmente un acquisto. 43. [1] A Sparta sostenemmo apertamente che ogni stato può punire i suoi alleati. E parlavamo a favor vostro. Ora le parti sono invertite, ed esigiamo da voi lo stesso atteggiamento. La nostra decisione vi recò un vantaggio: la vostra non ci rechi un danno. [2] Ricambiateci il servizio che vi rendemmo. Comprendete che questo è proprio uno di quei momenti in cui l’aiuto è più che mai una prova d’amicizia, e lo schierarsi contro una prova d’ostilità. Non accettate a dispetto nostro l’alleanza di codesti Corciresi. Non li difendete quando sono loro i colpevoli. [3] Tale condotta sarà corretta da parte vostra, e la più utile nel vostro stesso interesse». Fu questo il discorso dei Corinzi. 44. [1] Gli Ateniesi, ascoltate ambo le parti, tennero due volte assemblea. Nella prima le ragioni dei Corinzi furono accolte con lo stesso favore che quelle dei Corciresi. Ma nella seconda assemblea cambiarono opinione e decisero di stringere con i Corciresi non un’alleanza di offesa e difesa – perché, se i Corciresi avessero preteso dagli Ateniesi di far rotta insieme con loro contro Corinto, si sarebbe avuta da parte di Atene la rottura del trattato con i Peloponnesi – ma un’alleanza difensiva di aiuto reciproco, se qualcuno assalisse Corcira o Atene o i loro alleati. [2] La guerra contro i Peloponnesi era secondo Atene inevitabile, e non si voleva abbandonare ai Corinzi Corcira che aveva una flotta così potente. Si soleva però esasperare l’inimicizia tra i due stati, per avere avversari più deboli in caso di guerra con Corinto o con altra potenza navale. [3] Sembrò infine interessante la posizione dell’isola sulla via dell’Italia e della Sicilia. 45. [1] Per queste considerazioni gli Ateniesi ammisero Corcira nella lega, e poco dopo la partenza dei Corinzi mandarono in aiuto dieci navi: [2] sotto il comando di Lacedemonio figlio di Cimone,75 di Diotimo figlio di Strombico, e di Protea figlio di Epicle. [3] Ma fu dato loro ordine di non combattere contro i Corinzi se non veleggiavano verso Corcira con l’intenzione di sbarcarvi, o verso qualche località dei Corciresi; in questo caso avrebbero dovuto impedirlo con tutte le forze: ordine impartito per non rompere il trattato. [Battaglia delle Sibota.] 46. [1] E le navi ateniesi arrivarono a Corcira. D’altra parte i Corinzi, compiuti i preparativi militari, si diressero contro Corcira con centocinquanta navi: dieci degli Elei, dodici dei Megaresi, 20 perché avevano messo fuori combattimento circa trenta navi e, dopo l’arrivo degli Ateniesi, avevano raccolto i relitti e le salme che erano dalla loro parte, e perché il giorno innanzi i Corinzi, scorte le navi attiche, si erano ritirati dinanzi a loro remigando all’indietro, e dopo l’arrivo degli Ateniesi non erano venuti loro incontro dalle Sibota. Così ognuna delle due parti si ascriveva la vittoria. 55. [1] Rimpatriando, i Corinzi si impadronirono con uno stratagemma di Anactorio, che è all’entrata del golfo di Ambracia – e apparteneva loro in comune con i Corciresi – e, stabilitivi coloni corinzi, rimpatriarono. Dei Corciresi, ottocento addetti ai servizi di bordo li vendettero come schiavi, duecentocinquanta invece li custodirono come prigionieri e li trattarono molto bene, perché tornando in patria cercassero di attirare Corcira dalla parte di Corinto: s’era anche dato il caso che la maggior parte di costoro fossero i più autorevoli della città. [2] In tal modo dunque Corcira uscì felicemente dalla guerra contro Corinto; e le navi ateniesi se ne tornarono. E fu questa la prima causa della guerra tra Corinto e Atene: 79 il fatto cioè che Atene, legata da un trattato con i Corinzi, combattè contro di loro per mare insieme con Corcira. Conflitto tra Corinto e Atene per Potidea (432) [Defezione di Potidea. La flotta ateniese si avvicina alla Macedonia.] 56. [1] Subito dopo questi fatti la seguente circostanza diede anch’essa incentivo, tra Ateniesi e Peloponnesi, ad un urto che condusse alla guerra. [2] Mentre Corinto tramava rappresaglie, Atene, che ne sospettava l’odio, pretese da Potidea, sull’istmo di Pallene, sua alleata tributaria, colonia di Corinto, che abbattesse le mura dalla parte di Pailene e consegnasse ostaggi, scacciasse gli epidemiurghi che Corinto le mandava ogni anno, e non ne ricevesse più di nuovi.80 Atene temeva che, istigata da Perdicca 81 e da Corinto, si ribellasse, e trascinasse con sé gli altri alleati della costa tracia. 57. [1] Atene prese misure preventive riguardo a Potidea subito dopo la battaglia navale di Corcira. [2] Corinto era già in aperta rottura e Perdicca, figlio di Alessandro re dei Macedoni, che prima era alleato ed amico, le era divenuto nemico. [3] La causa di questa ostilità era l’alleanza stretta da Atene con suo fratello Filippo e con Derda 82 che gli si erano collegati contro: [4] preoccupato di ciò, da una parte brigava con un’ambasceria a Sparta per accendere una guerra tra Atene e i Peloponnesi, dall’altra cercava di guadagnarsi Corinto per far ribellare Potidea. [5] Si era anche messo in relazione con i Calcidesi della costa tracia e con i Bottiesi83 perché fossero solidali nella ribellione, pensando che l’alleanza di queste terre di confine gli avrebbe facilitato la guerra. [6] Gli Ateniesi, avutane notizia, per prevenire la defezione delle città diedero ordini ai comandanti della flotta (poiché erano in procinto di inviare trenta navi e mille opliti contro il territorio di Perdicca, sotto il comando di Archestrato figlio di Licomede e di altri dieci strateghi) di prendere ostaggi dai Potideesi, di abbatterne il muro, e di impedire defezioni da parte delle città vicine. 58. [1] I Potideesi mandarono ambasciatori ad Atene, se mai potessero indurli a non prendere alcuna misura a loro riguardo, e si recarono a Sparta con i Corinzi per procurarsi un aiuto in caso di bisogno. Ma poiché da Atene, malgrado il lungo brigare, non ottennero alcuna risposta favorevole, e le navi inviate in Macedonia facevano rotta anche contro di loro, e poiché i magistrati di Sparta avevano promesso che, se Potidea fosse stata assalita da Atene, avrebbero invaso l’Attica, date queste circostanze favorevoli, insorsero con i Calcidesi e i Bottiesi, dopo aver giurato in comune un patto di alleanza.84 [2] Intanto Perdicca indusse i Calcidesi ad abbandonare e distruggere le città marittime e a trasferirsi a Olinto,85 fortificando questa sola città. A questi profughi Perdicca diede da coltivare un territorio suo intorno al lago Bolbe in Migdonia 86 fino a che durasse la guerra 21 contro Atene. E quelli si accinsero ad abbattere le città, a trasferirsi, e a preparare la guerra. 59. [1] Le trenta navi ateniesi giungono alla costa tracia e trovano effettuata la defezione di Potidea e degli altri stati. [2] Intendendo, con le forze di cui disponevano, condurre la guerra contro Perdicca e la lega degli stati ribelli, gli strateghi si volsero contro la Macedonia, primo scopo della loro spedizione, e iniziarono le ostilità accanto a Filippo e ai fratelli di Derda che, dal canto loro, avevano fatto irruzione con un esercito dal continente. [Intervengono le truppe di terra. Aristeo e l’assedio di Potidea.] 60. [1] Fu allora che i Corinzi, dopo la defezione di Potidea e l’arrivo della flotta ateniese nelle acque della Macedonia, temendo per Potidea, la cui grave situazione prendevano a cuore come cosa propria, mandarono volontari propri e mercenari presi dal resto del Peloponneso: in tutto milleseicento opliti e quattrocento armati alla leggera. [2] Li comandava Aristeo figlio di Adimanto. La maggior parte dei volontari corinzi seguivano Aristeo principalmente per devozione verso di lui. C’erano sempre stati, tra lui e i Potideesi, rapporti di amicizia. Essi arrivarono alle coste tracie quaranta giorni dopo la defezione di Potidea. 61. [1] La notizia della defezione delle città pervenne rapidamente agli Ateniesi e, come appresero anche il sopraggiungere di Aristeo con le sue truppe, inviarono duemila opliti87 propri e quaranta navi al comando di Callia figlio di Calliade, con quattro colleghi. [2] Giunti in Macedonia, essi trovarono che i mille uomini della prima spedizione avevano da poco occupato Terme e si accingevano all’assedio di Pidna.88 [3] Accampatisi anch’essi presso la città, cinsero d’assedio Pidna. Ma poi, costretti ad accordarsi e a concludere alleanza con Perdicca per l’incalzare dei fatti di Potidea e dell’arrivo di Aristeo, sgombrarono la Macedonia, [4] e giunsero a Berea, e di lì a Strepsa; 89 e, dopo un vano tentativo di occupare la piazzaforte, si avviarono per via di terra a Potidea con tremila opliti propri, oltre a molti alleati e a seicento cavalieri macedoni al comando di Filippo e di Pausania. Li accompagnava, costeggiando, una flotta di settanta navi. [5] Avanzando a piccole marce, il terzo giorno arrivano a Ghigono e vi si accampano. 62. [1] In attesa degli Ateniesi, le truppe di Potidea e quelle venute con Aristeo dal Peloponneso erano accampate sull’istmo dalla parte di Olinto, e si erano messe su un mercato fuori della città. [2] Al comando di tutte le truppe di terra gli alleati posero Aristeo, e della cavalleria Perdicca – il quale era subito passato di nuovo da Atene all’alleanza con Potidea, facendosi sostituire da Iolao 90 [3] Il piano di Aristeo era questo: disporre il suo esercito sull’istmo per tener d’occhio un’eventuale avanzata ateniese, e lasciare a Olinto i Calcidesi con gli alleati del Peloponneso e i duecento cavalieri di Perdicca: se gli Ateniesi avanzavano contro di lui, dovevano accorrere alle spalle e prenderli in mezzo tra i due eserciti. [4] D’altra parte Callia, lo stratego ateniese, e i suoi colleghi distaccarono la cavalleria macedone e un piccolo contingente di truppe alleate ad Olinto, per impedire a quell’esercito di soccorrere Potidea mentre loro lasciavano il campo e si dirigevano a Potidea. [5] Giunti sull’istmo, e visto che i nemici si preparavano a combattere, si disposero contro; e non si tardò a venire all’attacco. [6] L’ala direttamente comandata da Aristeo, con tutte le milizie scelte di Corinto e di altra provenienza, volse in fuga i reparti nemici corrispondenti, e, inseguendoli, avanzò per lungo tratto. Ma la restante parte dell’esercito – Potideesi e Peloponnesi – fu battuta dagli Ateniesi e si rifugiò dentro le mura. 63. [1] Quando Aristeo tornò dall’inseguimento, e vide la sconfitta del resto dell’esercito, rimase incerto in quale direzione dovesse aprirsi una via: se verso Olinto o verso Potidea. Decise infine di serrare al massimo le file dei suoi, e di aprirsi di corsa a forza l’entrata in Potidea. Vi riuscì passando con difficoltà e sotto il tiro dei nemici per la diga gettata sul mare; 91 pure, nonostante 22 qualche piccola perdita, salvò il grosso delle truppe. [2] Le truppe che venivano da Olinto per sostenere i Potideesi – la distanza è di sessanta stadi su terreno scoperto – al principio della battaglia, quando furono levati i segnali, avanzarono un poco per dare aiuto; ma la cavalleria macedone si schierò di fronte a impedirlo; i segnali furono tolti, e, data la rapidità della vittoria ateniese, quelle truppe si ritirarono dentro le mura; i Macedoni tornarono dagli Ateniesi. La cavalleria non partecipò né da una parte né dall’altra allo scontro. [3] Dopo la battaglia gli Ateniesi eressero un trofeo e concedettero ai Potideesi una tregua per seppellire i caduti. Caddero dei Potideesi e degli alleati poco meno di trecento, degli Ateniesi circa cinquanta, e lo stratego Callia. 64. [1] Subito gli Ateniesi fecero delle fortificazioni contro le mura di Potidea, dalla parte dell’istmo, e vi posero una guarnigione; dalla parte di Pallene 92 non eressero mura. Non ritenevano di poter bastare a presidiare l’istmo e insieme passare a Pailene per costruirvi uno sbarramento: preoccupati che i Potideesi con gli alleati non assalissero le loro forze una volta divise. [2] Avuta notizia che Pailene non era stata fortificata, gli Ateniesi dopo qualche tempo spedirono mille e seicento opliti propri, al comando dello stratego Formione figlio di Asopio. Giunto a Pallene, Formione, partendo da Afiti,93 mosse con l’esercito verso Potidea, avanzando a piccole tappe, e nello stesso tempo devastando la terra. Poi, giacché nessuno gli si faceva incontro a offrirgli battaglia, cinse di mura la città dalla parte di Pallene. [3] Così ormai Potidea era strettamente accerchiata da ambe le parti; e anche dal mare col blocco della flotta. 65. [1] Bloccata Potidea, Aristeo perdette ogni speranza di salvezza, a meno di soccorsi dal Peloponneso o di qualche avvenimento inaspettato. Propose quindi che, tranne cinquecento uomini, tutte le altre milizie salpassero col primo vento favorevole, perché le vettovaglie durassero più a lungo; quanto a se stesso si dichiarò pronto a restare. I soldati si opposero; ed egli, per provvedere alle circostanze e per disporre nel miglior modo ciò che fuori rimaneva da fare, salpò, sfuggendo al blocco ateniese. [2] Rimanendo egli nella Calcidica, tra le altre operazioni che compì in alleanza coi Calcidesi, fu un’imboscata presso la città dei Sermili,94 cui inflisse forti perdite. E manteneva trattative segrete nel Peloponneso, sul come avrebbe potuto ricevere qualche soccorso. Effettuato intanto il blocco di Potidea, Formione si diede a devastare il territorio calcidese e bottiese con i suoi milleseicento uomini, occupando alcuni piccoli centri. 66. [1] Questi erano i nuovi capi d’accusa sorti tra Atene e i Peloponnesi. Le proteste di Corinto si riferivano al fatto che gli Ateniesi assediassero Potidea, sua colonia, con i cittadini corinzi e peloponnesi che vi si trovavano; quelle di Atene nei riguardi dei Peloponnesi si riferivano al fatto che avessero indotto alla defezione una città sua alleata e soggetta a tributo e che, accorsi apertamente in aiuto ai Potideesi, si battessero accanto a loro. La guerra tuttavia non era ancora scoppiata, e si era ancora in periodo di tregua, perché queste operazioni dei Corinzi non avevano rivestito carattere ufficiale. Consultazioni a Sparta tra i possibili avversari di Atene 67. [1] Nondimeno quando fu messo l’assedio a Potidea i Corinzi non si tennero tranquilli, giacché v’erano dentro loro concittadini e nello stesso tempo la sorte della piazzaforte li preoccupava. Immediatamente invitarono gli alleati a Sparta: ove si recarono per muovere forti rimostranze contro Atene, accusandola di rottura del trattato e di essere in colpa dinanzi al Peloponneso. [2] Inoltre gli Egineti, se per timore di Atene non mandarono apertamente rappresentanti, non poco si adoperarono in segreto, insieme con i Corinzi, nell’istigare alla guerra, dichiarando che malgrado il trattato non godevano di autonomia. [3] Sparta invitò ancora chiunque altro degli alleati credesse di aver subito torti da Atene, e, convocata la loro usuale assemblea cittadina, invitò i delegati a prendere la parola. [4] Tra quelli che a turno si fecero avanti per 25 osservazione 99 di chi vorrà ascoltarle, lasciamole stare. Ma delle guerre persiane e di quanto tocca la vostra esperienza personale è impossibile non parlare: anche se vi dia fastidio che questo argomento sia continuamente messo innanzi. Nel travaglio della guerra correvamo rischi per un bene della cui realtà avete approfittato: non vogliate spogliarci completamente del vanto, se in qualche modo ci giova. [3] Parleremo, più che per giustificarci, per attestare e dimostrare con quale città impegnerete la lotta, se prenderete una cattiva deliberazione. [4] Affermiamo che a Maratona noi soli al principio combattemmo contro i barbari;100 e poi, quando vennero per la seconda volta, poiché non potevamo combattere per terra, passammo tutti sulle navi e combattemmo per mare a Salamina: ciò che impedì loro di passare con la flotta da una città all’altra e di devastare il Peloponneso; le cui città, di fronte al gran numero delle navi nemiche, non avrebbero potuto darsi vicendevole soccorso. [5] E di ciò il nemico diede la conferma più valida. Vinto per mare, infatti, si ritirò in fretta con la maggior parte dell’esercito, conscio della sua forza diminuita. 74. [1] Tale fu dunque l’importanza di Salamina, ove si vide chiaramente che la salvezza degli Elleni era dipesa dalla flotta. Vi abbiamo recato, noi, i tre contributi più preziosi: il maggior numero di navi, l’ammiraglio più geniale, l’entusiasmo più ardente. Su quattrocento navi ne abbiamo fornite poco meno di due terzi, e Temistocle come capitano, a cui soprattutto si dovette che si sia combattuto nella stretta insenatura, ciò che fu senza dubbio la salvezza. Per questo voi stessi lo stimavate più di tutti gli stranieri che fossero giunti presso di voi. [2] E che energia, che sommo ardire rivelammo! Quando per via di terra non ci corse in aiuto nessuno, poiché tutti gli altri Elleni fino ai confini nostri erano già stati asserviti, ci facemmo un dovere abbandonare la città e i nostri averi pur di non lasciare in balìa del destino l’insieme dei nostri alleati e, disperdendoci, divenire per loro inutili: ma salimmo sulle navi per tentare la fortuna delle armi; e non vi portammo rancore del non averci prima soccorso. [3] Sicché affermiamo di avervi portato aiuto da parte nostra non meno di quanto ne abbiamo ricevuto. Voi accorreste dalle vostre città non devastate per mantenerne il possesso nel futuro, allorché avete temuto più per voi che per noi: per lo meno quando la nostra città era ancora intatta non compariste. Uscimmo invece noi dalla patria ormai perduta e, combattendo per essa con poca speranza di riprenderla, salvammo noi stessi e in parte voi. [4] Se temendo per il nostro territorio, come altri, fossimo passati prima dalla parte dei Persiani, o se in seguito, considerando perduta la partita, non avessimo avuto il coraggio di salire sulle navi, voi, essendo privi di una flotta adeguata, non avreste più avuto alcun bisogno di battervi per mare: e tutto sarebbe andato tranquillamente secondo i desideri persiani. 75. [1] Meritiamo dunque, o Lacedemoni, per l’energia e l’intelligente risolutezza allora dimostrate, che gli Elleni siano così mal disposti verso di noi a causa del dominio di cui disponiamo? [2] Né ce lo siamo preso con la forza. Quando voi non voleste insistere fino alla fine nella lotta contro i barbari, gli alleati vennero da noi, e ci pregarono essi di accettare l’egemonia su di loro. [3] E dunque il corso stesso delle circostanze che prima di ogni cosa ci ha inevitabilmente condotti a dare all’egemonia la più rigida costituzione presente: più di tutto il timore dei Persiani, poi il nostro prestigio, infine il nostro interesse. [4] Allorché eravamo in odio alla maggior parte dei nostri alleati, e quando alcuni dopo un tentativo di ribellione erano già divenuti nostri sudditi, e voi non ci eravate più amici come prima, ma ci guardavate con sospetto e ostilità, non credevamo di potere ormai esporci impunemente a un rischio, con l’indebolire la nostra signoria: e infatti i ribelli sarebbero passati dalla vostra parte. [5] Nessuno, del resto, è odiato per aver predisposto i mezzi più adatti in vista dei maggiori pericoli. 76. [1] Voi per esempio, Lacedemoni, siete a capo delle città del Peloponneso, alle quali avete data la costituzione che vi conviene. Se aveste allora perseguita fino alla fine la lotta contro i Persiani, e come noi foste esposti all’odio degli alleati per la vostra signoria, siamo certi che non meno di noi avreste severamente provveduto contro gli alleati, e sareste stati costretti o a governare 26 con intransigenza o a correre dei rischi voi stessi. [2] Sicché, anche nella nostra politica, non v’è nulla di strano né contro natura. Abbiamo accettato l’egemonia che ci veniva offerta, e non vi abbiamo rinunciato, per tre potentissimi motivi: prestigio, timore, interesse. Né siamo i primi iniziatori di questa legge, che esiste da tempo immemorabile: il dominio del forte sul debole.101 Inoltre noi ci riteniamo degni della nostra potenza e finora vi siamo apparsi tali: fino a che, per calcolo, mettete adesso avanti il motivo di giustizia. Ma chi, potendo fare un acquisto con la forza, ha mai fatto un omaggio dell’utile al diritto? [3] Lodevoli quelli che, dominatori per istinto umano, sono più giusti di quanto non ci si aspetterebbe dalla loro potenza. [4] Certo, crediamo che quelli che ci succedessero nel nostro dominio dimostrerebbero all’evidenza se siamo discreti, mentre dalla correttezza nostra, più che lode ci è derivato immeritato biasimo. 77. [1] E benché, nelle vertenze commerciali contro alleati ci troviamo svantaggiati, mentre in casa nostra la corrispondente procedura è alla pari,102 abbiamo fama di litigiosi. [2] Nessun alleato osserva perché tal rimprovero non venga mosso a certi stati che comandano con minor discrezione sui sudditi: chi infatti può usar la forza non ha nessun bisogno di tribunali. [3] Avvezzi, gli alleati, a trattarci alla pari, se inaspettatamente subiscono una sconfitta, in una nostra sentenza, o per il nostro potere di signori, o comunque, non ci sono grati di non privarli della maggior parte dei beni, ma più profondo è il malumore per ciò che viene a mancar loro; più che se noi, abolendo subito ogni ordinamento giuridico, avessimo fatto apertamente il nostro interesse. In tal caso nemmeno loro avrebbero negato che il più debole deve cedere al più forte. [4] Evidentemente l’irregolarità nel diritto irrita gli uomini più della violenza. La prima, partendo da basi di uguaglianza, appare una soverchieria: l’altra, venendo dall’alto, necessità ineluttabile. [5] Così sotto la Persia gli alleati nostri soffrirono in pace un’oppressione più grave di questa; mentre la nostra signoria par dura. Si capisce: il presente è sempre ingrato ai sottomessi. [6] Voi, per esempio, se, abbattendoci, ci sostituiste nel dominio, ben presto perdereste quel favore che dovete al timore ispirato da noi: perché anche in questo caso seguireste i metodi che avete fatto trapelare poco dopo l’egemonia contro i Persiani.103 Sono infatti, i vostri, incompatibili con quelli delle altre città, e all’estero inoltre ciascuno di voi non si conforma né ad essi né a quelli del resto dell’Ellade. 78. [1] Decidete dunque con calma, poiché il problema è grave, e non siano le vostre spalle a caricarsi di un duro peso unicamente, per altrui fini e lagnanze. Considerate, prima di essere coinvolti, la gravità delle sorprese della guerra: [2] quando va per le lunghe, per lo più suole essere equa distributrice di imprevisti, e il risultato dipende dall’ignoto. [3] Quando scoppia una guerra, gli uomini corrono direttamente all’azione, cosa che dovrebbero posticipare, e solo quando già subiscono disfatte, ci ragionano sopra. [4] Tale errore noi non l’abbiamo mai commesso, né lo scorgiamo in voi. Vi invitiamo, finché una saggia decisione dipende ancora dalla comune volontà nostra, a non rompere il trattato, a non violare i giuramenti e ad appianare, secondo il patto, le divergenze con giudizio arbitrale. Altrimenti, chiamando a testimoni gli dèi custodi dei giuramenti, cercheremo di difenderci, se ci trascinate, provocandoci alla guerra». [Gli umori dell’assemblea spartana.] 79. [1] Fu questo il discorso degli Ateniesi. Dopo aver sentito le accuse degli alleati contro Atene e il discorso degli Ateniesi, i Lacedemoni fecero allontanare tutti e discussero tra loro sulla situazione. [2] La maggior parte convenne che gli Ateniesi erano ormai da considerarsi offensori e che si dichiarasse la guerra al più presto. Si fece allora avanti il re 104 Archidamo che aveva fama d’intuito e saggezza, e tenne questo discorso: 80. [1] «Io stesso, Lacedemoni, ho già esperienza di molte guerre, e tale esperienza riconosco in quanti tra voi mi sono coetanei. Sicché voi non bramate per inesperienza, come capita 27 ai più, o per ritenerla buona e non pericolosa, la guerra. [2] Né, quella su cui deliberate adesso, potrebbe alcuno, che saggiamente consideri, giudicarla di poca importanza. [3] Di fronte ai Peloponnesi ed ai vicini siamo di forze uguali, e potremmo spostarci rapidamente ovunque. Ma come si intraprende a cuor leggero la guerra contro un popolo dai confini lontani, popolo di espertissimi marinai, ottimamente fornito di ogni altro mezzo – ricchezza pubblica e privata, flotta, cavalli, armi, popolazione intensa, quale in nessun altro territorio ellenico – e che in più dispone di molti alleati tributari? E su che cosa dobbiamo contare, noi che ci precipitiamo impreparati contro Atene? [4] Sulla flotta? Siamo inferiori; e se vorremo esercitarci e prepararci adeguatamente passerà del tempo. Sulle finanze? Qui la nostra deficienza è molto più forte: non abbiamo denaro in cassa, e non ci è facile esigerne dai privati. 81. [1] Forse ci si fa coraggio fidando nella superiorità delle nostre forze armate nel loro numero, sì che possiamo invadere e devastare la loro terra. [2] Ma essi posseggono molte altre terre, e si riforniranno per via di mare. [3] E se d’altra parte tenteremo di sollevare contro di loro gli alleati, bisognerà aiutarli anch’essi con una flotta, poiché i più sono isolani. [4] Come condurremo dunque la guerra? Se non prenderemo il sopravvento sul mare, o non toglieremo loro le entrate con le quali sostengono la flotta, il maggior danno sarà nostro. [5] E in tali condizioni ormai neppure sarebbe onorevole far la pace, tenuto conto specialmente che della rottura figureremo i responsabili maggiori. [6] Né c’è da abbandonarsi alla speranza che con la devastazione dell’Attica la guerra cessi presto. Temo piuttosto che la lasceremo in eredità ai nostri figli; tanto è verosimile che, nel suo orgoglio, Atene non voglia vedere l’Attica asservita, e che la guerra non la spaventerà, quasi fosse inesperta. 82. [1] Non propongo certo di lasciarci colpire dai nostri alleati e di non reagire mentre complottano. Consiglio però di non ricorrere ancora alle armi e di protestare con un’ambasceria, senza troppo lasciare addivedere bellicose intenzioni né remissività, e nel frattempo prendere le nostre misure con l’acquistare l’alleanza di Elleni e di barbari, comunque ci sia dato accrescere la nostra potenza marinara e finanziaria. (Né si può censurare chiunque, come noi, di fronte agli intrighi ateniesi cerchi la propria salvezza nell’alleanza non solo degli Elleni ma anche dei barbari.) Nello stesso tempo accresceremo le nostre forze. [2] Se daranno soddisfazione alla nostra ambasceria sarà per il meglio. Altrimenti, lasciati passare due o tre anni, li assaliremo – se questa sarà la nostra decisione – con armamenti ormai più validi. [3] Forse vedendo già ultimata la nostra preparazione, e udendo il conforme linguaggio dei nostri ambasciatori, saranno più inclini a cedere, finché ancora la loro terra non sarà stata devastata, ed essi delibereranno su beni esistenti e non ancora distrutti. [4] Riguardate senz’altro la loro terra come un’ipoteca, tanto più sicura quanto meglio è coltivata; dovete risparmiarla quanto più a lungo è possibile: non spingerli alla disperazione, e renderne più accanita la resistenza. [5] Se devasteremo l’Attica prima di prepararci – spinti dalle accuse degli alleati – badate che la nostra politica non frutti al Peloponneso troppo grave onta e sventura. [6] Le contestazioni delle città e dei privati si possono risolvere. Ma una guerra, quando tutti insieme l’avremo intrapresa per interessi di singoli – una guerra che non è dato sapere come andrà a finire – non è facile spegnerla con un pretesto decoroso. 83. [1] A nessuno sembri viltà che molte città non corrano subito ad aggredirne una sola: [2] gli stessi Ateniesi hanno un numero non inferiore di alleati, che versano tributi; e la guerra non dipende più dalle forze armate che dai mezzi finanziari – che soli rendono efficaci le forze armate –; specialmente se una potenza continentale combatte contro una potenza marinara. [3] Procuriamoci dunque anzitutto questi mezzi, e fino ad allora non lasciamoci traviare dai discorsi degli alleati. Saremo noi a portare la maggiore responsabilità – nel bene o nel male – delle conseguenze della guerra; dobbiamo quindi anche considerarne in anticipo e con calma tutta l’importanza. 30 che ancora non fossero arrivati. 91. [1] I Lacedemoni credevano alle parole di Temistocle, poiché egli godeva della loro simpatia. Ma quando da Atene cominciò ad arrivare altra gente, la quale categoricamente affermava come si venissero costruendo mura che avevano già raggiunto una certa altezza, non avevano motivo di non crederci. [2] Informato di ciò, Temistocle li consiglia di non lasciarsi ingannare da chiacchiere, ma d’inviare piuttosto uomini del proprio ambiente di provata credibilità, che riferiscano per visione diretta notizie precise. [3] Questi uomini vengono inviati; e sul riguardo Temistocle segretamente dà disposizione di trattenerli con dei pretesti fino al ritorno dell’ambasciata ateniese (i suoi colleghi d’ambasciata, Abronico figlio di Lisicle e Aristide figlio di Lisimaco, erano già a Sparta con la notizia che le mura avevano raggiunto l’altezza sufficiente): temeva che i Lacedemoni, ricevendo notizie precise, non lasciassero più partire lui e i suoi colleghi. [4] Gli Ateniesi fecero onore al mandato di Temistocle, e trattennero gli ambasciatori di Sparta. Allora finalmente Temistocle comparve dinanzi ai Lacedemoni, e dichiarò che Atene era ormai112 cinta di mura, così da poter provvedere alla difesa degli abitanti, e che, se i Lacedemoni o gli alleati intendevano mandare ambascerie ad Atene, lo facessero tenendo presente che essa avrebbe saputo comprendere in avvenire quali fossero i suoi interessi diretti, e quali quelli generali dell’Ellade. [5] Quando gli Ateniesi avevano creduto più opportuno abbandonare la città e imbarcarsi sulla flotta, a tale conclusione erano giunti senza che i Lacedemoni la suggerissero, e avevano coraggiosamente attuato questo piano; né d’altra parte in tutte le deliberazioni con i Lacedemoni si erano dimostrati inferiori per senno ad alcuno. [6] Così adesso ritenevano più opportuno che la città fosse cinta di mura e che ciò sarebbe stato utile sia per i cittadini, sia per tutti gli alleati, più vantaggioso; [7] poiché non può esistere vera parità nelle comuni deliberazioni, senza parità di armamenti difensivi. Continuò dunque dichiarando che o nessuno degli alleati doveva disporre di fortificazioni, o bisognava ritenere giusta l’esigenza ateniese. 92. [1] Sparta, di fronte a queste dichiarazioni, non espresse apertamente il suo disappunto contro Atene. (Ufficialmente l’ambasceria figurava inviata non per impedire la costruzione delle mura, ma per dar consigli secondo il punto di vista spartano. Inoltre Sparta era in quel periodo in ottimi rapporti con Atene, per l’energia dimostrata da quest’ultima nella lotta contro i Persiani.) Vero è che il veder fallire il proprio piano era per Sparta causa segreta di malcontento. Così le due ambasciate tornarono in patria senza recriminazioni. 93. [1] Fu così che gli Ateniesi riuscirono a dotare in breve tempo la città di mura. [2] Ed è visibile ancora adesso la fretta con cui vennero edificate. Gli strati inferiori sono costituiti di ogni genere di pietre in qualche parte neppure lavorate per la commessura, ma così come volta per volta venivano portate. Vi furono anzi inserite molte stele sepolcrali e pietre lavorate per altri usi. Giacché la cinta fu ampliata superando dappertutto i confini della città. Per questa ragione, incalzati dal tempo, impiegavano, senza sofisticare, ogni materiale. [3] Temistocle indusse Atene a terminare anche le fortificazioni del ’Pireo (che erano state iniziate fin dall’anno della sua magistratura 113). Gli era piaciuta la località, che disponeva di tre porti naturali;114 e riteneva che la trasformazione di Atene in città marinara avrebbe giovato molto alla conquista della potenza politica. [4] Fu lui il primo a sostenere che l’attività di Atene dovesse svolgersi sul mare, e subito aiutò a porre le premesse del dominio ateniese. [5] Furono per suo consiglio edificati intorno al Pireo muri di uno spessore che ancora adesso si può osservare, tale da richiedere due carri affiancati 115 (non v’erano tra una parete e l’altra né ciottoli né argilla: v’erano disposti grandi massi quadrati, tenuti saldi con spranghe di ferro e piombo fuso 116), ma l’altezza fu condotta presso a poco fino a metà di quella prevista da Temistocle. [6] Egli intendeva tener lontane le insidie ostili con l’altezza e lo spessore delle mura, e riteneva che una piccola guardia degli uomini meno validi sarebbe bastata, mentre tutti gli altri si sarebbero imbarcati. [7] Egli teneva fissa la sua attenzione specialmente sulla flotta; perché – secondo me – aveva osservato che la via più 31 aperta a un’offensiva dell’esercito del Re era quella per mare anziché per terra. Onde egli riteneva strategicamente più importante il Pireo della città alta; e a più riprese consigliò gli Ateniesi, se mai l’offensiva nemica li incalzasse dalla parte del continente, di scendere al Pireo e tener fronte a qualsiasi nemico con la flotta. [8] Così dunque Atene si cinse di mura e prese le altre disposizioni, subito dopo la ritirata dei Persiani. 94. [1] Intanto Pausania 117, figlio di Cleombroto, era stato mandato da Sparta come stratego degli Elleni, con venti navi, dal Peloponneso. Salparono insieme anche gli Ateniesi con trenta navi e notevoli forze degli altri alleati. [2] La spedizione si diresse a Cipro, di cui sottomisero gran parte, quindi a Bisanzio, occupata dalla Persia, e la presero d’assedio sotto il comando di Pausania. 95. [1] Il carattere violento di costui aveva già prodotto irritazione presso gli altri Elleni, particolarmente gli Ioni e quanti da poco erano stati liberati dalla soggezione al Re. Essi si rivolsero agli Ateniesi, chiedendo che accettassero il comando supremo su di loro per i vincoli di schiatta che li univano, e che non permettessero a Pausania di commettere prepotenze. [2] Gli Ateniesi accolsero l’offerta, e dimostrarono grande zelo, fermamente decisi a non lasciar passare inosservato alcun atto di arbitrio da parte di Pausania, e quanto al resto di disporre le cose secondo il loro utile maggiore. [3] In questo torno di tempo Sparta richiamò Pausania per esigere risposta sui fatti di cui le giungeva notizia. Era infatti accusato di molte irregolarità dagli Elleni reduci dalla spedizione. Si diceva tra l’altro che si rivelasse piuttosto un imitatore di tiranni anziché un comandante di esercito. [4] La sua chiamata in giudizio cadde nello stesso periodo in cui gli alleati,118 tranne le truppe del Peloponneso, per avversione contro di lui passarono dalla parte di Atene. [5] Giunto a Sparta, Pausania delle illegalità private ai danni di alcuni fu ritenuto reo, ma fu prosciolto delle imputazioni più gravi: perché non in colpa. L’accusa principale rivoltagli era di nutrire simpatie sospette per la Persia: e su questo pare non ci fosse dubbio. [6] Fatto sta che non mandarono più lui come comandante, ma Doride, con alcuni altri colleghi e un piccolo esercito. A costoro però gli alleati non affidarono più il comando supremo. [7] Capita la situazione, i generali se ne andarono, e in seguito Sparta non inviò più altri capi d’esercito per timore che all’estero si corrompessero, secondo l’esperienza fatta con Pausania. Inoltre volevano sbarazzarsi della guerra contro la Persia; riconoscevano agli Ateniesi la capacità di assumere il comando supremo, e giudicavano buoni in quel tempo i rapporti tra Atene e Sparta. Il costituirsi del dominio ateniese 96. [1] Gli Ateniesi, assunto in questa maniera il comando supremo per volontà degli alleati – a causa dell’odio contro Pausania – fissarono l’importo dei contributi, sia di quelle città che dovevano versare denaro per la lotta contro i barbari, sia di quelle che dovevano fornir navi. Lo scopo ufficiale della lega era quello di devastare i domini del Re, per vendicarsi dei danni sofferti. [2] Allora per la prima volta Atene istituì l’ufficio degli ellenotami, che esigevano il phóros (nome dato al contributo finanziario degli alleati).119 Il phóros fu fissato per il primo anno in quattrocentosessanta talenti. La sede del tesoro della lega fu Delo, e le adunanze della lega si tenevano nel santuario. 97. [1] Stando a capo degli alleati – che da principio erano autonomi e tenevano consiglio in adunanze generali – nell’intervallo che corre tra la guerra persiana e questa del Peloponneso, Atene con le armi e la politica s’impegnò nella serie di imprese che ora descrivo, e che essa svolse contro i barbari, contro gli alleati ribelli e contro quelle città del Peloponneso con le quali volta per volta veniva a contrasto. [2] Ho voluto esporre queste imprese, aprendo così una digressione nella mia storia, per la 32 ragione che tutti i miei predecessori hanno trascurato questo periodo. Essi si sono occupati o della storia ellenica prima della guerra persiana o della stessa guerra persiana. Quello di loro che di questa parte si è almeno interessato, Ellanico,120 l’ha trattata di scorcio, e la sua cronologia non è esatta. Oltre a ciò questa digressione ci prova come si sia costituito il dominio ateniese.121 [Una serie di spedizioni punitive di Atene.] 98. [1] Anzitutto Atene, sotto il comando di Cimone, figlio di Milziade,122 prese con assedio Eione sullo Strimone, occupata dalla Persia, e la ridusse in servitù. [2] Quindi ridusse in servitù Sciro, isola dell’Egeo, abitata dai Dolopi, e vi inviò coloni propri. [3] Inoltre sostenne contro i Caristi una guerra senza che vi partecipassero gli altri Eubei, e dopo qualche tempo venne a un accordo. [4] Dopo guerreggiò contro i Nassi ribelli, e li sottomise con assedio. Questa fu la città alleata che fu asservita per prima, contro l’ordinamento vigente della lega; ci passarono poi anche le altre ad una ad una in circostanze varie.123 99. [1] Tra le altre cause di defezioni degli alleati le più importanti erano casi di parziale versamento del phóros, e la parziale o totale astensione dal contributo in navi. Giacché Atene procedeva con rigore nella riscossione del phóros, e il suo pugno di ferro scendeva molesto su gente che, non avvezza, non intendeva affrontare gli strapazzi della guerra. [2] Ma anche per altre ragioni la signoria ateniese non era più gradita come prima. Nelle spedizioni comuni costoro non occupavano una posizione di parità con gli alleati, ed era loro molto agevole sottomettere i ribelli. [3] La colpa di ciò ricadeva sugli stessi alleati. Infatti per la loro riluttanza al servizio militare, i più, pur di non allontanarsi dalla loro città, consentivano al versamento di un’imposta, corrispondente alle navi non fornite. Così i fondi dei loro contributi servivano allo sviluppo della flotta ateniese, mentre loro, in caso di rivolta, si trovavano ad affrontare la guerra impreparati e senza esperienza. 100. [1] Dopo di ciò si ebbe in Panfilia, sul fiume Eurimedonte, una battaglia terrestre e navale di Atene e degli alleati contro la Persia. Rimasero vincitori nello stesso giorno in tutti e due gli scontri gli Ateniesi, che, comandati da Cimone figlio di Milziade, presero e distrussero in tutto circa duecento triremi fenicie.124 [Lo scontro con Taso.] [2] In seguito avvenne che i Tasi si ribellarono ad Atene 125 per contrasti a proposito della miniera e degli sbocchi commerciali della costa tracia prospiciente, che appartenevano a loro. Gli Ateniesi salparono contro Taso, vinsero i Tasi in battaglia navale, e sbarcarono nel loro territorio. [3] Presso a poco in quel tempo inviarono sullo Strimone diecimila coloni, concittadini e alleati, coi quali intendevano colonizzare la località detta allora Nove Vie e adesso Anfipoli. S’impadronirono di Nove Vie, occupata dagli Edoni: ma, inoltrandosi nell’interno della Tracia, furono annientati a Drabesco edonica dalle forze unite di tutti quei Traci, che consideravano la fondazione della colonia atto di ostilità.126 101. [1] Vinti in alcuni scontri e assediati, i Tasi si rivolsero a Sparta chiedendo che venisse in loro soccorso, invadendo l’Attica. [2] Sparta, di nascosto da Atene, promise – e stava per mantenere, se non ne fosse stata impedita da un terremoto.127 Fu anzi in questa circostanza che le si ribellarono gli Iloti, i Perieci di Turia e gli Etei, trasferendosi a Itome.128 La maggior parte degli Iloti erano discendenti degli antichi Messeni, a suo tempo ridotti in schiavitù, onde furono tutti chiamati Messeni. [3] Sicché Sparta si trovò di fronte ad una guerra contro i ribelli di Itome. E i Tasi nel terzo anno di assedio capitolarono di fronte ad Atene. Abbatterono le mura, consegnarono la flotta; consentirono a versare immediatamente un’indennità in denaro, secondo le somme 35 città corinzia di Calcide, e, sbarcate a terra le truppe, batterono in uno scontro i Sicioni.141 [Il collasso del corpo di spedizione ateniese in Egitto. Altri interventi militari di Atene in Tessaglia e nel Peloponneso.] 109. [1] Gli Ateniesi d’Egitto e gli alleati continuarono a rimanervi; e la loro campagna ebbe molte vicende. [2] Da principio l’Egitto era in mano agli Ateniesi; e il Re mandò a Sparta Megabazo – personaggio persiano – con una somma di denaro, per convincere i Peloponnesi a invadere l’Attica, e così indurre Atene a ritirarsi dall’Egitto: [3] piano che fallì; il denaro fu speso inutilmente; e Megabazo col resto del denaro tornò in Asia. Allora il Re mandò Megabizo figlio di Zopiro – personaggio persiano – con un forte esercito. [4] Costui, al suo arrivo, sconfisse in battaglia terrestre gli Egiziani con gli alleati; cacciò da Menfi gli Elleni, chiudendoli infine nell’isola Prosopitide, ove li tenne assediati per un anno e sei mesi. Dopo di che, prosciugato il canale col farne deviare altrove le acque, mise in secco la flotta ateniese, e congiunse col continente gran parte dell’isola. Così passò, e prese l’isola per via di terra. 110. [1] Tale fu la disastrosa conclusione, dopo sei anni di guerra,142 di questa spedizione degli Elleni. Di molti pochi si salvarono, passando a Cirene attraverso la Libia: i più perirono. [2] L’Egitto tornò sotto il Re, tranne Amirteo che regnava sulle paludi del basso Nilo. Data la vastità delle paludi, era impossibile averne ragione; anche perché la popolazione delle paludi è la più bellicosa dell’Egitto. [3] Inaro, il re dei Libi, responsabile di tutto il movimento egizio, fu preso a tradimento e crocifisso. [4] Cinquanta triremi in rotta – da Atene e dagli altri stati della lega – verso l’Egitto, per il cambio delle truppe, approdarono al braccio di Mendes,143 ignare di tutto. Corsero loro addosso dal continente truppe di fanteria, e dalla parte del mare una flotta fenicia; sicché il più delle navi calò a picco: un minor numero riuscì a sfuggire. Così ebbe termine la grande spedizione degli Ateniesi e degli alleati in Egitto. 111. [1] Oreste, figlio del re tessalo Echecratide, cacciato dalla Tessaglia, persuase gli Ateniesi a ricondurlo in patria. Gli Ateniesi presero con sé i Beoti e i Focesi – alleati – e marciarono contro la città tessalica di Farsalo.144 Iniziarono la conquista del territorio, per quanto ciò era possibile, senza allontanarsi molto dall’accampamento (la cavalleria tessalica ne impediva i movimenti), ma non presero la città né raggiunsero alcun altro degli scopi della spedizione; e se ne tornarono indietro con Oreste, senza concludere. [2] Non molto dopo questa campagna, mille Ateniesi, imbarcatisi sulla flotta a Peghe (che era in loro possesso), costeggiarono fino a Sicione – sotto il comando dello stratego Pericle 145 figlio di Santippo – sbarcarono, e, poiché i Sicioni vennero alle mani, li sconfissero in battaglia. [3] Allora senz’altro presero con sé gli Achei, e, passati con la flotta dalla parte opposta, marciarono contro Eniade d’Acarnania,146 l’assediarono, ma non la presero, e rimpatriarono. [La tregua del 453. La «guerra sacra» (449-447).] 112. [1] Dopo, a distanza di tre anni, si stipulò un trattato quinquennale tra Peloponnesi e Ateniesi. [1] Quindi gli Ateniesi si astennero da ostilità contro gli Elleni, e intrapresero invece una spedizione contro Cipro,147 forti di duecento navi proprie e degli alleati, sotto il comando dello stratego Cimone. [3] Sessanta di queste unità furono dislocate per l’Egitto, per invito di Amirteo, il re delle paludi; le altre assediarono Cizio. [4] Ma, morto Cimone e scoppiata una carestia, gli Ateniesi si ritirarono da Cizio. Giunti per mare all’altezza di Salamina Cipria,148 diedero battaglia navale e terrestre ai Fenici, ai Cipri e ai Cilici, e, riportata una doppia vittoria, rimpatriarono. Erano con loro le navi tornate dall’Egitto. [5] Dopo questi fatti Sparta combattè la guerra cosiddetta sacra,149 e, impadronitasi del santuario delfico, lo consegnò ai Delfi. Ma dopo, a sua volta, ritiratasi Sparta, Atene con una 36 spedizione se ne impadronì, e lo consegnò ai Focesi. 113. [1] Trascorso qualche tempo dopo ciò,150 i fuorusciti beoti occuparono Orcomeno, Cheronea, e alcuni altri punti della Beozia. Gli Ateniesi si mossero contro questi centri nemici con mille opliti propri e singoli reparti degli alleati, sotto il comando dello stratego Tolmide figlio di Tolmeo. Presero Cheronea, ne ridussero a schiavitù gli abitanti e, stabilitavi una guarnigione, si allontanarono. [2] Durante la marcia, a Coronea,151 li assalirono i fuorusciti beoti di Orcomeno, e con loro i Locri, e fuorusciti eubei con tutto il seguito del loro partito. Vinsero la battaglia; e gli Ateniesi parte furono uccisi, e parte presi prigionieri. [3] Atene sgombrò tutta la Beozia, dopo aver concluso un trattato che le accordava di riprendersi i prigionieri e le salme dei caduti. I fuorusciti beoti rimpatriarono, e con tutti gli altri Beoti riebbero l’autonomia. 114. [1] Non molto dopo 152 l’Eubea si ribellò ad Atene. Quando Pericle con un esercito ateniese era già passato nell’isola, ricevette la notizia che Megara si era ribellata, che i Peloponnesi intendevano invadere l’Attica, e che i Megaresi avevano distrutto la guarnigione di Atene – tranne quelli che erano fuggiti a Nisea Megara si era ribellata dopo aver invocato l’aiuto di Corinto, Sicione ed Epidauro. Pericle si affrettò a ricondurre l’esercito dall’Eubea. [2] Dopo di che i Peloponnesi, sotto il comando del re spartano Plistoanatte figlio di Pausania, invasero l’Attica fino ad Eleusi e Trio 153 – di cui guastarono il territorio – e, senza più spingere oltre l’avanzata, rimpatriarono. [3] Gli Ateniesi, tornati in Eubea sotto il comando dello stratego Pericle, la sottomisero per intero, e, con trattati, diedero a tutte le città dell’isola una costituzione conforme al loro interesse, fuorché nell’Estica,154 di cui cacciarono gli abitanti, ed occuparono essi stessi la terra. [La pace trentennale con Sparta (446-445) e la guerra contro Samo.] 115. [1] Poco dopo il ritorno dall’Eubea conclusero una pace trentennale con Sparta e i suoi alleati, restituendo Nisea, Peghe, Trezene e l’Acaia. Erano questi i territori peloponnesiaci sotto il dominio di Atene. [2] Dopo cinque anni scoppiò, a causa di Priene,155 una guerra tra Samo e Mileto. I Milesi – che nella guerra avevano la peggio – vennero ad Atene per un’energica protesta contro i Sami, con l’appoggio di personaggi privati di Samo stessa, che volevano istituirvi una nuova costituzione. [3] Gli Ateniesi dunque salparono con quaranta navi alla volta di Samo, vi stabilirono una democrazia, presero come ostaggi cinquanta fanciulli sami e altrettanti cittadini adulti – che misero al sicuro a Lemno – e, lasciatavi una guarnigione, si ritirarono. [4] Dei Sami alcuni che non vi erano rimasti, ma erano fuggiti nel continente, si allearono con i capi dell’aristocrazia cittadina, e con Pissutne figlio di Istaspe,156 che era allora signore di Sardi; e, raccolti fino a settecento uomini come truppa ausiliaria, passarono di notte a Samo. [5] Anzitutto si sollevarono contro i democratici e si impadronirono della maggior parte di essi; poi, sottratti da Lemno i loro ostaggi, si ribellarono ad Atene, consegnarono a Pissutne la guarnigione e i rappresentanti del governo ateniese presso di loro, e immediatamente si diedero a preparare la spedizione contro Mileto. Alla ribellione presero parte anche i Bizantini. 116. [1] A questa notizia gli Ateniesi salparono con sessanta navi alla volta di Samo; ma di sedici tra queste non si servirono, perché in parte furono inviate in Caria a tener d’occhio le navi fenicie, in parte a Chio e a Lesbo per esigere aiuti. Con quarantaquattro navi – di cui era a capo lo stratego Pericle con nove colleghi – si batterono per mare presso l’isola di Traghia contro settanta navi samie, di cui venti erano alleate, e tutte provenivano da Mileto. La vittoria arrise agli Ateniesi. [2] Quindi accorsero da Atene quaranta navi, e da Chio e Lesbo venticinque. Sbarcati, forti della superiorità delle loro truppe, bloccarono la città da tre parti con mura, e anche dalla parte del mare. [3] Intanto Pericle tolse dalle navi che formavano il blocco sessanta unità, e corse a Cauno in 37 Caria,157 poiché gli era stato riferito che una flotta fenicia era in rotta contro quella ateniese. Infatti anche da Samo Stesagora e altri si erano imbarcati su cinque navi per andare a prendere la flotta fenicia. 117. [1] In questa circostanza i Sami, piombando con improvvisa sortita sulla squadra navale indifesa, affondarono le navi di guardia e, ingaggiando battaglia contro la flotta che si fece incontro, la sconfissero. Così, per circa quattordici giorni, signori del loro mare, importavano ed esportavano ciò che volevano. [2] Ma col ritorno di Pericle ricominciò il blocco della flotta. In seguito da Atene accorsero altre quaranta navi sotto il comando di Tucidide,158 Agnone e Formione, venti sotto quello di Tlepolemo e Anticle, trenta da Chio e da Lesbo. [3] I Sami diedero una battaglia navale di poca importanza; ma, nellimpossibilità di sostenersi, nel nono mese 159 furono presi per assedio, e capitolarono. Abbatterono le mura, diedero ostaggi, consegnarono la flotta, e si obbligarono a scontare a rate le spese di guerra.160 Anche i Bizantini si obbligarono a rimanere soggetti come prima. 118. [1] Dopo ciò, non passarono molti anni che accaddero i fatti suesposti di Corcira e di Potidea,161 e ogni altro che divenne motivo ufficiale di questa guerra. [2] Tali avvenimenti tutti nel loro complesso, di rapporti fra Elleni, come tra Elleni e Persiani, occuparono circa un cinquantennio tra la ritirata di Serse e questa guerra.162 Durante il quale Atene diede alla sua politica egemonica un tono più intransigente, e la madrepatria salì a grande potenza. Sparta, pur accorgendosene, non fece tentativi, se non insignificanti, per impedire ciò: rimase, in genere, passiva; non era nelle sue abitudini decidersi alla guerra con facilità,163 se non si fosse trattato di forza maggiore, e in parte era anche trattenuta da guerre civili. Finché infine la potenza di Atene non rifulse chiaramente; e Atene non cominciò a prendersela anche con gli alleati di Sparta: allora 164 questa capì di non poter più condurre una politica di acquiescenza, ma di dover correre all’offensiva, per abbatterne la potenza, se le riuscisse, prendendo l’iniziativa di questa guerra. La lega dei Peloponnesi decide la guerra contro Atene (432) [3] Per conto proprio Sparta aveva riconosciuta la rottura del trattato e la responsabilità di Atene. Tuttavia mandò a Delfi, per chiedere al Dio se la guerra sarebbe stata per essa il partito migliore. La risposta fu – si dice – che, se avesse combattuto con tutto l’impegno, avrebbe riportato la vittoria, ed il Dio stesso promise aiuto, che fosse stato richiesto o meno. 119. [1] Inoltre Sparta convocò gli alleati per farli votare sulla necessità della guerra. Vennero i rappresentanti degli alleati, si radunò il congresso, e ognuno fece presenti le sue richieste: la maggior parte protestando contro Atene, ed esigendo la dichiarazione di guerra. Quanto ai Corinzi, nella loro preoccupazione per Potidea (di non fare in tempo a salvarla), fin da prima del congresso avevano pregato i singoli stati alleati uno ad uno di votare per la guerra; essi furono gli ultimi a farsi avanti, e tennero questo discorso: 120. [1] «Non è più il caso, o alleati, di accusare Sparta, quasi che – già per proprio conto decisa alla guerra – non avesse adesso convocato noi per questo scopo. E veramente alle potenze egemoni incombe quest’obbligo di tutelare – oltre i propri interessi, come fanno gli altri stati – in modo particolare gli interessi generali della lega: così come, in altre circostanze, ricevono tra tutti particolare onore. [2] Chi di noi abbia avuto a che fare con Atene, non ha bisogno di esser allertato, perché si metta in guardia. Ma gli stati piuttosto interni e non situati sulla costa bisogna che sappiano che, non difendendo le città marinare, sarà loro più difficile conservarsi gli sbocchi commerciali per i prodotti del suolo ed effettuarne lo scambio con le merci che il continente importa 40 che quella fosse la festa più solenne sacra a Zeus, e che in certo senso lo riguardasse più da vicino, come vincitore a Olimpia. Ma se l’allusione designasse una solennità dell’Attica o di qualche altro paese, né lui ci aveva oltre riflettuto, né l’oracolo l’aveva rivelato. In realtà anche ad Atene ci sono le Diasie, dette la più grande solennità di Zeus Clemente, celebrata fuori della città:169 durante la quale hanno luogo sacrifici pubblici (e molti sacrificano non vittime, ma altre offerte in uso nel paese). Ma Cilone, credendo di interpretar bene, pensò di agire. [7] Gli Ateniesi, informati, accorsero in massa contro Cilone e i suoi, e iniziarono, dispostisi intorno all’acropoli, l’assedio. [8] Assedio che tirava in lungo; sicché gli Ateniesi, stancatisene, la maggior parte smisero, affidando ai nove arconti la sorveglianza e pieni poteri per prendere qualsiasi disposizione che ritenessero opportuna (in quell’epoca gran parte delle funzioni amministrative competevano ai nove arconti).170 [9] Intanto l’assedio, la scarsezza del cibo e dell’acqua avevano mal ridotto Cilone e i suoi. [10] Sicché Cilone e suo fratello fuggirono. Gli altri, costretti (la fame mieteva vittime), andarono a rifugiarsi, implorando protezione, presso l’altare dell’acropoli. [11] Gli Ateniesi incaricati della sorveglianza, quando videro che stavano per morire in luogo sacro, li invitarono ad allontanarsi, promettendo impunità incondizionata, e poi li condussero a morte. E anche ad alcuni, che per via si erano rifugiati nel santuario delle Dee Venerande 171 (sui loro altari), tolsero la vita. Onde gli uccisori e i loro discendenti ricevettero l’appellativo di sacrileghi e di infami dinanzi alla Dea. [12] Questi sacrileghi gli Ateniesi stessi li scacciarono; e li scacciò anche in seguito lo spartano Cleomene, insieme con gli Ateniesi dell’opposizione. I vivi furono esiliati, le ossa dei morti dissepolte, e gettate fuor dei confini. Tuttavia, in seguito, gli esuli tornarono; e anche attualmente i discendenti172 vivono nello stato. 127. [1] Questo sacrilegio gli Spartani pretesero di purificare, prima di tutto (e ufficialmente) in difesa degli dèi; in realtà, perché vi sapevano coinvolto, per parte di madre, Pericle figlio di Santippo; il cui esilio ritenevano che avrebbe facilitato la loro politica con Atene. [2] Del resto Sparta non tanto sperava nella cacciata di Pericle, quanto di rendergli avversa l’opinione pubblica: poiché in parte la guerra sarebbe scoppiata per l’origine impura di lui. [3] Era Pericle l’uomo più influente del suo tempo e la mente direttiva della politica ateniese, che guidava in senso del tutto contrario a Sparta. Con questa città non ammetteva transazioni, e spingeva invece gli Ateniesi alla guerra. [Atene contro Sparta. Storia di Pausania.] 128. [1] In risposta Atene esigeva da Sparta l’esilio di quelli su cui gravava il sacrilegio del Tenaro. Infatti nel passato i Lacedemoni, dopo avere invitato degli Iloti, che vi si erano rifugiati per asilo, ad allontanarsi dal santuario di Poseidone sul Tenaro, li avevano condotti a morte. E ciò appunto i Lacedemoni ritengono abbia su di loro attirato il grande terremoto che ebbe luogo a Sparta. [2] Inoltre Atene esigeva da Sparta l’esilio dei coinvolti nel sacrilegio di Atena Calcieca. Di cui ecco la storia. [3] Quando Sparta richiamò per la prima volta il lacedemonio Pausania dalla funzione di comandante in capo sull’Ellesponto,173 sottopostolo a giudizio, lo prosciolse dal reato. Da allora non fu inviato in nessun luogo per incarico pubblico; tuttavia procuratasi da sé una nave di Ermione senza l’autorizzazione dello stato, comparve da privato sull’Ellesponto. La sua motivazione ufficiale era la lotta contro la Persia; la ragione vera i rapporti segreti che voleva, e che già durante il primo comando aveva stretto col Re, per il raggiungimento della signoria sull’Ellade. [4] La prima occasione che egli aveva avuto di fare un servizio al Re – origine di ogni ulteriore svolgimento nei suoi rapporti con lui – erà stata questa: allontanandosi da Cipro, aveva conquistato, durante il primo soggiorno sull’Ellesponto, Bisanzio, che era stata in mano della Persia; e vi erano stati fatti allora prigionieri alcuni familiari e parenti del Re. Questi personaggi, caduti in suo potere, egli li aveva mandati al Re, all’insaputa degli altri alleati, cui raccontò che gli erano fuggiti. 41 [5] In questi rapporti col Re gli era stato d’aiuto Gongilo d’Eretria, quello stesso cui affidò Bisanzio e i prigionieri. E inviò anche al Re codesto Gongilo, latore di una lettera del seguente tenore, come risultò in seguito: «Pausania, capo di Sparta, per farti piacere t’invia questi uomini, suoi prigionieri di guerra. E ti propongo, se anche a te piace, di sposare tua figlia, e di sottometterti Sparta e il resto dell’Ellade. Credo di essere in grado di eseguire questo piano, consigliandomi con te. Se dunque accetti qualcuna di queste proposte, manda un uomo fidato sul mare, per il proseguimento degli accordi». Questo il contenuto della lettera. 129. [1] A Serse la lettera fece molto piacere; e mandò fino al mare Artabazo figlio di Farnace, con l’ordine di assumere lui la satrapía Dascilitide,174 esonerandone Megabate, che ne era stato prima il governatore. E gli comandò di spedire al più presto a Pausania in Bisanzio una lettera di risposta, di mostrargliene il sigillo e, se Pausania gli avesse dato qualche incarico che interessasse lui – il Re – di eseguirlo con tutta abilità e fedeltà. [2] Artabazo al suo arrivo eseguì quanto gli era stato detto, e spedì la lettera. Ecco la risposta che vi si leggeva: [3] «Così dice il re Serse a Pausania. L’obbligazione che ho verso di te per gli uomini che mi hai salvato da oltremare – da Bisanzio – è ben custodita per te nella nostra casa e sigillata per sempre, e accolgo le tue proposte. Il tuo pensiero sia giorno e notte assiduamente rivolto all’esecuzione delle tue promesse, la quale non deve arrestarsi dinanzi a necessità d’oro e d’argento, o di numeroso esercito, ovunque ne occorra la presenza. Servendoti d’Artabazo, uomo provato che io ti invio, lavora con fiducia per il mio e per il tuo interesse nella maniera che sia per ambedue più abile e vantaggiosa». 130. [1] Era già prima Pausania un gran nome presso gli Elleni, per il comando tenuto a Platea. Ma la circostanza di aver ricevuto questa lettera aveva fatto salire molto più alta la sua boria. Gli era ormai insopportabile adattare la sua vita al freno della tradizione. Usciva da Bisanzio indossando vesti persiane, in viaggio attraverso la Tracia lo scortavano lancieri persiani ed egizi, e si faceva imbandire pranzi alla persiana.175 Non sapeva insomma dominare il suo segreto, e particolari insignificanti svelavano in anticipo ciò che di rivoluzionario egli pensava di compiere per l’avvenire. [2] Si rendeva inaccessibile; e nel tratto era con tutti indistintamente così dispotico, che nessuno poteva avvicinarlo. Questa fu anche la ragione principale per cui gli alleati passarono dalla parte di Atene. 131. [1] Sparta ne fu informata; e, dopo averlo una prima volta richiamato in patria per questi stessi motivi, tornò a richiamarlo quando egli – senza averne ricevuto l’incarico – salpò per la seconda volta su una nave di Ermione,176 e continuò palesemente nella stessa linea di condotta. Quando poi gli Ateniesi – assediandolo – lo costrinsero con la forza a lasciare Bisanzio, egli, invece di ritirarsi a Sparta, si stabilì a Colono nella Troade, dove – secondo le denunzie giunte a Sparta – manteneva rapporti con la Persia, approfittando di quel soggiorno per scopi politici poco confessabili. Giunte le cose a questo punto, Sparta non perdette più tempo. Gli efori gli inviarono un araldo con la scitalea,177 intimandogli di non staccarsi dall’araldo; in caso contrario Sparta gli avrebbe dichiarato guerra. [2] Pausania, volendo destare il meno possibile sospetti, e contando di liberarsi dell’accusa offrendo denaro, per la seconda volta tornò a Sparta. Da principio gli efori lo chiusero in carcere (gli efori hanno questa facoltà nei riguardi del re); in seguito ottenne di uscire; e affrontò il processo mettendosi a disposizione di chi volesse sporgere accusa contro di lui. 132. [1] Prove evidenti, su cui si potesse saldamente sostenere la condanna di un personaggio di origine regia e che attualmente rivestiva la dignità di re (egli era, in qualità di cugino, tutore del re Plistarco figlio di Leonida, ancora minorenne), gli Spartani non ne avevano, né i nemici di Pausania, né tutto intero lo stato. [2] Ma il suo disprezzo delle tradizioni e la sua simpatia per tutto quanto sapeva di persiano dava forti sospetti che egli mirasse al di là dell’ordine 42 costituito. I Lacedemoni volsero quindi la loro attenzione sui suoi precedenti: se avesse mai talvolta violato le consuetudini tradizionali. E trovarono che a suo tempo Pausania, di sua privata iniziativa, si era arrogato di far incidere sul tripode – che gli Elleni avevano offerto a Delfi come primizia del bottino persiano – questo distico: Ricordo offerto a Febo da Pausania, capo degli Elleni, poi che distrusse l’esercito persiano. [3] I Lacedemoni avevano fin d’allora fatto subito cancellare questo distico dal tripode, e vi avevano fatto incidere il nome di tutte le città, che, dopo aver dato con forze unite il colpo decisivo alla Persia, avevano offerto quel dono votivo. Tuttavia anche allora quel gesto lo si considerava come un attentato alla legge da parte di Pausania: e ora, che su lui cadeva una luce così equivoca, molto più saltava agli occhi che esso era stato compiuto secondo lo spirito delle mire di adesso. [4] Correvano inoltre notizie di certi suoi rapporti con gli Iloti; né la realtà era diversa: prometteva loro libertà e diritti civili, se avessero preso parte alla rivolta e avessero contribuito alla piena esecuzione del suo piano. [5] Ma neppure prendendo per buone le denunce degli Iloti, i Lacedemoni si sentirono autorizzati ad adottare un provvedimento straordinario contro di lui. Procedevano secondo il sistema solito 178 di non precipitare, senza prove indiscusse, l’irreparabile, nei riguardi di un cittadino di origine dorica. Infine si dice sia giunta loro la denunzia di colui che avrebbe dovuto portare ad Artabazo l’ultima lettera di Pausania diretta al Re: un uomo di Argilo, con cui Pausania aveva avuto relazioni intime, e a lui fidatissimo. Una considerazione l’aveva messo in allarme: che nessuno dei messi che l’avevano preceduto era fino allora tornato indietro. Aveva falsificato il sigillo per il caso che le sue supposizioni venissero smentite e perché, se Pausania avesse chiesto il plico per introdurvi qualche mutamento, non si accorgesse di nulla; e, aperta la lettera, vi aveva trovato, a conferma dei suoi sospetti sull’esistenza di una clausola del genere, la sua condanna a morte. 133. Allora sì, quando costui mostrò la lettera, gli efori si convinsero meglio, ma vollero ancora di persona udire una confessione dalla bocca di Pausania. Si presero questi accordi: l’uomo se ne andò sul Tenaro come supplice; ivi costruì una capanna divisa da un tramezzo, e nell’interno nascose alcuni efori. Venne da lui Pausania, chiedendogli perché si fosse recato lì come supplice. Gli efori intanto percepivano distintamente ogni parola. L’uomo rinfacciava a Pausania ciò che era stato scritto nella lettera a suo riguardo, e andava rivelando ogni particolare: «Nell’eseguire le ambasciate presso il Re egli non l’aveva mai fin allora compromesso: e per questo gli si faceva l’onore particolare di ammazzarlo, tale e quale come gran parte degli altri servi». Proprio queste rivelazioni furono convalidate dal riconoscimento di Pausania, il quale lo pregava di non essere in collera per ciò che era avvenuto, e, se fosse uscito dal santuario, gli garantiva sicurezza. Insisteva che si mettesse al più presto in viaggio, e che non creasse difficoltà mentre c’erano le trattative in corso. 134. [1] Qui gli efori, ai quali non era sfuggito nulla, si allontanarono. E, su questa ormai precisa conoscenza dei fatti si diedero, in città, a disporre l’arresto. Dicono che, quando sulla strada stava per compiersi l’arresto, Pausania, dall’espressione del volto di uno degli efori che gli si avvicinava, ne abbia intuita l’intenzione, e che un altro eforo, con un impercettibile cenno, gli abbia fatto capire ogni cosa, perché amico. Egli allora si diresse di corsa, per rifugiarvisi, al santuario di Atena Calcieca, e riuscì a prevenire gli efori: poiché il sacro recinto era lì presso. C’era annesso al tempio un piccolo edificio, ove Pausania entrò per non aver da soffrire a cielo scoperto. E non si mosse. [2] Gli efori subito non lo raggiunsero; ma in un secondo tempo, fecero togliere all’edificio il tetto;179 quindi, atteso che fosse dentro e chiusovelo, murarono le porte. E si disposero lì, per prenderlo con la fame. [3] Accortisi poi che, in quelle condizioni, stava per spirare nell’edificio, lo condussero fuori del tempio, mentre dava ancora segni 45 altri che la disposizione su Megara non doveva costituire un impedimento per la pace, e che andava annullata. Si presentò anche Pericle figlio di Santippo, in quell’epoca il primo uomo d’Atene, vigorosissimo oratore e politico, e i suoi consigli furono questi: 140. [1] «Il mio convincimento, o Ateniesi, rimane sempre lo stesso: che non si deve darla vinta ai Peloponnesi; benché io sappia che gli uomini non mettono nell’esecuzione della guerra lo stesso animo con cui s’inducono a darle inizio, e che mutano i loro umori secondo le sue vicende. Vedo che anche ora tlevo darvi proprio lo stesso consiglio, ed esigo che chi condivide il mio parere, se avremo da subire qualche insuccesso, sostenga la decisione che verrà presa in comune, o diversamente, in caso di successo, non si arroghi il merito della genialità politica. Giacché è possibile che lo svolgersi degli avvenimenti non sia meno imprevedibile della mente umana: è anzi per questo che si suole incolpare la sorte di tutto ciò che ci appare irrazionale. [2] Era chiaro anche prima che Sparta tramava contro di noi; ma ora è chiarissimo. Dice il trattato che le divergenze tra le città deve regolarle un arbitrato, e che ognuna delle due parti deve mantenere i suoi domini; ma finora essa non ha chiesto quest’arbitrato, e non l’accetta quando noi l’offriamo: perché preferisce risolvere i contrasti con le armi piuttosto che discutendo. E adesso non protesta più: viene a dettar ordini. [3] Comanda che si tolga l’assedio a Potidea, che si ridia l’indipendenza a Egina, che si abolisca la disposizione che riguarda Megara. Infine, con quest’ultima ambasciata giunta fra di noi, ci si intima di rilasciare l’indipendenza agli Elleni. [4] Nessuno di voi pensi di prendere le armi per una ragione futile, se non vogliamo abolire la disposizione che riguarda Megara. Vogliono dare a intendere che rescindendo questa disposizione non si avrà la guerra; ma non vi lasciate insinuare il pensiero di andare in guerra per un motivo da poco. [5] Questa «sciocchezzuola» vi offre la più decisiva possibilità di affermare e di saggiare il vostro animo. Se cederete, vi addosseranno subito un’altra imposizione più pesante, pensando che anche prima abbiate accondisceso per paura. Con un netto rifiuto farete chiaramente intendere che devono trattare da pari a pari. 141. [1] «Decidetevi dunque senz’altro a piegarvi prima di subire alcun danno o, se deve essere guerra – il che a me sembra la risoluzione migliore – a non cedere per nessun motivo qualsisiasi, grande o piccolo, e a disporre delle cose nostre senza paura di nessuno. Perché un’intimazione – sia essa fatta in materia di gravissima importanza o del tutto insignificante – quando proviene da un pari in deroga alla giustizia comporta un vero e proprio asservimento. [2] Per quanto riguarda la preparazione bellica e i mezzi a disposizione delle due parti, seguendo punto per punto il mio discorso riconoscerete che non ci troveremo in svantaggio. [3] I Peloponnesi sono contadini; non dispongono, né singolarmente né in blocco, di ricchezza finanziaria; non hanno esperienza di guerre lunghe e transmarine, poiché, per la loro penuria di mezzi, sostengono ostilità brevi, e tra di loro. [4] Gente siffatta non è in grado di fornire a brevi scadenze né una flotta guarnita di soldati né eserciti di terra; poiché le truppe dovrebbero non solo allontanarsi dai propri campi, ma spendere del proprio, per poi vedersi interdetto il mare. [5] Inoltre sono le riserve auree che costituiscono il nerbo della guerra, più dei contributi imposti dalla necessità. Le moltitudini agricole poi rischiano in guerra più volentieri la vita che il denaro: poiché hanno radicato in mente che l’una possa anche scampare dai campi di battaglia, mentre l’altro nessuno garantisce che prima della pace non venga a esaurirsi; specie se – come pur capita – la guerra, contro la loro aspettazione, tiri in lungo. [6] In una sola battaglia i Peloponnesi con gli alleati sono in grado di tener fronte a tutti quanti gli Elleni; ma non di sostenere una guerra contro un avversario le cui forze siano diverse dalle loro,189 finché – non disponendo di un unico consiglio – non potranno eseguire immediatamente rapide iniziative, e finché – avendo tutti parità di suffragio ma non parità di stirpe – ognuno farà i propri interessi. E in queste condizioni di solito non si viene a capo di nulla. Poiché, mentre la volontà degli uni è volta a prendersi la più efficace rappresaglia, quella degli altri cura che siano lesi il meno possibile i loro particolari interessi. Rare sono le loro assemblee, e vi dedicano poco tempo agli interessi generali: per lo più si occupano di quelli 46 particolari. Ogni città della lega non pensa che il suo disinteressamento possa recare conseguenze: ma che qualche altro stato provvederà in vece sua. Sicché tutti presi, ognuno per conto proprio, nel medesimo inganno, non si accorgono che l’interesse della lega naufraga da ogni parte. 142. [1] Ma la difficoltà maggiore la incontreranno nella scarsezza di capitali, ogni volta che, stentando nel procurarseli, perderanno tempo; e le opportunità strategiche non aspettano. [2] E ancora: né delle loro fortificazioni né della loro flotta vale la pena che vi preoccupiate. [3] Quanto alle prime è difficile anche in tempo di pace che una città allestisca delle fortificazioni paragonabili alle nostre: figuriamoci in terra nemica, dato che anche noi risponderemo con altrettante fortificazioni nel loro paese. [4] E se erigeranno un castello, guasteranno sì una qualche parte del nostro territorio con le scorrerie e la diserzione degli schiavi: tuttavia ciò non basterà certo a impedirci di giungere per mare sulla loro terra a costruirvi dei forti, e di esercitare rappresaglie con la flotta, sulla quale si fonda la nostra potenza. [5] Poiché conosciamo meglio noi la guerra di terraferma – attraverso la marina – che non essi la marina con l’uso della guerra di terraferma. [6] E l’esperienza del mare non l’acquisteranno facilmente. [7] Voi stessi – che vi ci siete dedicati subito dopo l’urto persiano – non la possedete ancora a pieno. Come potrà dunque un esercito di agricoltori e non di marinai – cui per di più noi, col blocco ininterrotto della nostra numerosa flotta, impediremo di far pratica navale – condurre un’azione degna di rilievo? [8] Forse contro una piccola squadra tenterebbero la lotta, e dal numero la loro inesperienza attingerebbe baldanza; ma, se il blocco sarà tentato da una flotta potente, non si muoveranno; e, non potendo esercitarsi, si accrescerà l’incompetenza:190 onde scemerà il coraggio. [9] La marineria è un’arte, se altra mai; e non si presta ad essere coltivata estemporaneamente, quando capita: anzi è gelosissima di qualsiasi altra attività che le si svolga a lato. 143. [1] Che se anche – mettendo le mani sui tesori di Olimpia o di Delfi – tentassero sottrarci le ciurme allogene con una paga più alta, ci sarebbe assai duro se non potessimo tener fronte, sostituendo gli equipaggi con concittadini e meteci. Ma in realtà noi siamo in grado di far questo! Inoltre – ecco il punto più importante – ai posti di pilotaggio abbiamo concittadini, e, quanto al resto del personale tecnico, abbiamo gli uomini più numerosi e addestrati di tutto il rimanente dell’Ellade. [2] E di fronte al pericolo nessuno che non sia del luogo potrà decidersi ad abbandonare la patria e a battersi con loro (sostenuti per di più da una speranza più debole): per ricevere durante pochi giorni una paga speciale. [3] La situazione dei Peloponnesi a me dunque appare tale, o press’a poco. La nostra, invece, libera dagli svantaggi che in loro ho criticato, ha ancora altri privilegi. [4] Se essi invaderanno il nostro paese per via di terra, noi penetreremo nel loro per via di mare. E allora si vedrà che la devastazione di una parte del Peloponneso avrà un’importanza diversa da quella di tutta l’Attica. Poiché essi non potranno, senza lotta, compensarsi con altro territorio: mentre noi disponiamo di molta terra sia nelle isole che nel continente. Questo significa il dominio del mare! [5] Pensate. Se abitassimo un’isola, chi sarebbe più inespugnabile di noi? 191 È ora giunto il momento di pensare a una eventualità quanto mai prossima: lasciare terre e case e mantenere sotto controllo il mare e la città, senza affrontare i Peloponnesi perché provocati da loro, che sono molto più numerosi: in caso di successo avremo da combattere di nuovo contro un nemico non meno numeroso, e una sconfitta importerebbe anche la perdita degli alleati, i quali costituiscono il nerbo delle nostre forze. Poiché non rimarranno tranquilli, quando noi non saremo in grado di condurre una spedizione contro di loro. Siate avari non delle case e della terra, ma delle vite umane; giacché non sono quei beni che vi fruttano uomini, ma gli uomini che vi danno la possibilità di acquistare quei beni. E se ritenessi di potervi persuadere, vi inviterei ad abbandonare e a devastare voi stessi la terra, per dimostrare ai Peloponnesi che non è così che vi asserviranno. 144. [1] La mia speranza di vittoria è inoltre convalidata da molti altri argomenti, se non pensate a estendere il vostro dominio durante la guerra, e a sottoporvi a inutili rischi. Perché mi 47 spaventano di più i nostri propri errori che i piani degli avversari. [2] Ma su questi consigli tornerò a chiarire il mio pensiero in un altro discorso 192 durante la guerra. Ora rimandiamo gli ambasciatori con questa risposta: apriremo ai Megaresi il nostro mercato e i nostri porti, se anche Sparta non darà disposizioni per l’espulsione di stranieri che siano nostri o nostri alleati; poiché né l’una cosa né l’altra sono vietate dal trattato. Alle città della lega concederemo l’autonomia se erano autonome quando firmammo il trattato, e se anche Sparta permetterà alle sue città una autonomia non a suo vantaggio, ma che rispetti la volontà e i diritti politici delle singole città. Intendiamo sottoporci, secondo il trattato, a una decisione arbitrale. Non prenderemo l’iniziativa della guerra; ma, se la prenderà Sparta, sapremo difenderci. Ecco una risposta giusta e insieme degna della nostra Atene! [3] Bisogna riconoscere che la guerra è inevitabile; che quanto più alacremente accetteremo la lotta, tanto meno accanimento troveremo negli avversari; che sono i cimenti più gravi che alla fine fanno più onore alle città come ai privati. Vedete. [4] I nostri padri seppero affrontare i Persiani senza trovarsi in condizioni così fiorenti; anzi abbandonarono anche ciò che possedevano, e cacciarono i barbari, fidando più nella luce dell’intelligenza che nella cecità della fortuna, più nello spirito indomito che nelle forze materiali; e levarono la nostra potenza a tale altezza. Non dobbiamo rimanere loro indietro, ma respingere il nemico in tutti i modi e sforzarci di tramandare ai figli non diminuito il prestigio di Atene!». 145. [1] Pericle tenne questo discorso. Gli Ateniesi, ritenendola il miglior partito, votarono per la sua proposta; e dietro suo parere risposero a Sparta sui singoli punti come egli si era espresso e, nel complesso, che non avrebbero eseguito nessun ordine: ma che erano pronti, secondo il patto, a confutare le accuse per via giuridica, a parità di condizioni. Gli ambasciatori di Sparta rimpatriarono, e non si ebbero più ambascerie. 146. Queste furono da ambe le parti le recriminazioni e le controversie che precedettero la guerra, e che ebbero inizio immediatamente dopo gli avvenimenti di Epidamno e di Corcira. In questo periodo i rapporti non furono interrotti, e si andava da una parte all’altra senza araldi; ma non senza diffidenza, poiché i fatti che si svolgevano implicavano la rottura del patto, e conducevano alla guerra. Note. 1 Più che altro nella zona della penisola Calcidica (barbari sarebbero i Traci, non anche i Macedoni), senza contare la Sicilia che, pur non potendosi considerare area barbara, non si può considerare nemmeno Ellade. Cfr. nota 5. 2 Cioè di così grande importanza come questa guerra. Dietro a questa affermazione c’è anche, come vedremo, una decisa volontà di sminuire l’importanza dell’opera di Erodoto. 3 Tucidide incomincia ad elaborare una più che meditata teoria sulla logica di eventi lontani e sulle condizioni di vita di altre epoche, e subito valorizza delle dinamiche di tipo economico. 4 Nel sud della Tessaglia. 5 L’idea è che solo in tempi relativamente recenti i greci, pervenendo a considerarsi un unico popolo, poterono con ciò stesso raggruppare tutti gli altri popoli (con attitudine a far eccezione per gli egiziani, invero) sotto la qualifica di «barbari». 6 Per un sapere comunicato a voce. Un cenno analogo nel capitolo 9 (v. la nota 16). 7 Sono, come è noto, a est del Peloponneso, quasi al centro dell’Egeo. 8 Così Omero nell’Odissea (III, 71 e IX, 252), e anche altrove. 9 Il territorio indicato comincia appena a ovest di Delfi e prosegue fino allo Ionio, all’altezza dell’isola di Leucade. 50 2,90 g d’argento (quella attica a circa 4,35 g). 56 Megara appena a nord di Corinto, Cefallenia = Cefalonia, isola sul mar Ionio. 57 Epidauro è località costiera situata a est di Argo e a sud di Atene; Ermione è più a est, di fronte all’isola di Idra; Trezene è grosso modo in mezzo tra queste due; su Leucade v. la nota 9; Ambracia è nell’Epiro, a nord di Leucade; Fliunte è nel Peloponneso, a nord-ovest di Corinto; Elei sono detti gli abitanti dell’Elide, sulla costa occidentale del Peloponneso (di fronte a Zante). Sicione, menzionata più sotto, si trova anch’essa a ovest di Corinto (a nord di Fliunte). 58 Ricordiamo che gli opliti erano i soldati dotati di armatura pesante, che di solito combattevano secondo un modulo a schiere molto serrate. Si trattava dunque di truppe di terra. Erano opliti i cittadini della classe media, non proprio ricchi ma nemmeno poveri. 59 Per esempio Atene. 60 Appena sopra l’isola di Leucade, sulla terraferma. 61 Tucidide non lo dice, ma simili violenze fra greci, a margine della battaglia, da tempo non facevano più parte delle consuetudini di guerra (tra i rari episodi di epoca anteriore si ricorderà quello che riferisce Erodoto in IX 120). Durante il conflitto peloponnesiaco diverranno invece un fenomeno ricorrente. 62 Sulla costa occidentale del Peloponneso, all’altezza dell’isola di Cefalonia. 63 Chimerio è a nord di Azio. 64 Siamo, sembra, nel 435 a.C. 65 Cfr. capitolo 22 e la relativa nota. 66 Questa sarebbe la forza delle cose, se non immediatamente, almeno nel medio periodo. 67 Si intenda: in tal caso vi trovereste a respingere (ecc.). 68 La convenienza, che dovrebbe prevalere a prescindere da qualunque ragione ideale si possa comunque addurre. 69 Perché, temendo delle ritorsioni, non esiterà ad andare avanti per la sua strada con speciale determinazione. 70 La tradizionale sfera d’influenza di Corinto era appunto sul versante ionico (e adriatico) della Grecia. 71 Anno 440. Se ne parlerà ai capitoli 115-117. 72 In verità più di convenienza che di diritto. Queste ultime semmai vengono illustrate nel prosieguo. 73 Espressione iperbolica, poiché le ostilità tra Atene ed Egina si interruppero improvvisamente nel 481, a causa dell’invasione persiana, senza tradursi in nulla. 74 Tucidide si spiega meglio nel capitolo successivo, ma a cosa voglia poi alludere non è per nulla chiaro. 75 Figlio di un personaggio insigne, perché Cimone fu l’artefice di una serie di vittorie navali contro i persiani posteriormente alla spedizione di Serse, quelle vittorie che in breve portarono alla fondazione del grande impero ateniese. Prevalse in Atene con l’esilio di Temistocle. 76 Tucidide appare incline a ridurre al minimo le informazioni di carattere prettamente geografico e questo è uno dei passi in cui invece sente il bisogno di largheggiare un poco perché parla di luoghi assai mal conosciuti. In compenso non esita a menzionare le ancor meno conosciute isole Sibota senza dare alcuna indicazione (un cenno figura solo più avanti, ai capitoli 50 e 54, senza farci in verità capire granché). 77 Il caduceo (gr. kerykeion) era il simbolo dell’inviolabilità dell’araldo. 78 Lo stesso termine doveva dunque indicare sia un porticciolo, sia una o più isole (verosimilmente quelle situate un 20-25 km a sud di Corcira). 79 Sembra che il conflitto relativo a Corcira si sia protratto fino al 433 o 432. 80 Siamo a sud-est di Salonicco. La penisola Calcidica dà luogo a tre ulteriori penisole strette e lunghe, tutte con una sorta di strozzatura (isthmòs) nel punto in cui si raccordano alla Chalkidiké: il Pallene a ovest, la Sidonia al centro e la Acté verso est. Potidea, che si trovava appunto sull’istmo del Pallene, aveva in Corinto la sua madrepatria e per questo da sempre accoglieva apposite 51 delegazioni corinzie (gli epidemiourgòi: grosso modo dei supervisori), ma da ultimo aveva aderito alla lega delio-attica. 81 Perdicca II, re di Macedonia da oltre un decennio, è il figlio di quell’Alessandro di cui si parla a lungo in Erodoto. Cfr. II, 99. 82 Cugino dei primi due. Filippo e Derda, che dominavano su altre aree della stessa Macedonia. 83 In tutti e due i casi si fa riferimento a nuclei urbani dell’area calcidica non ben identificabili e a un’alleanza fra più città della zona. 84 L’iniziativa (anno 432) è dunque di Potidea. 85 Olinto è situata appena a nord di Potidea. Preciserà Tucidide (al capitolo 63) che la distanza è di 60 stadi, cioè di 10-12 km. 86 La Migdonia è l’area attorno a Salonicco, a nord-ovest della Chalkidiké. 87 Fra questi soldati (o tutt’al più fra quelli di cui si parlerà al capitolo 64) doveva esserci anche Socrate: ce ne parla Platone nel Carmide e altrove. 88 Terme è l’antico nome di Salonicco; Pidna si trovava a sud-ovest di Terme, sempre sul mare. 89 Altre località della zona. Vedremo tra un momento che in questa fase Perdicca cambia di fronte a più riprese e a brevissima distanza di tempo. 90 Non sappiamo chi egli sia. 91 Nella zona le maree si fanno sentire, e si può capire che sia stata realizzata una qualche opera volta ad evitare che l’alta marea si appropriasse ogni volta di un tratto di costa. Cfr. Erodoto, VIII, 129. 92 Cioè dal lato sud, che è quello del promontorio. 93 Afiti è sul Pallone, a sud di Potidea. 94 Città sulle coste occidentali della Sidonia (cfr. nota al capitolo 56). 95 Come viene precisato subito dopo, Sparta è fatta responsabile della espansione anche militare di Atene perché le ha permesso e le permette di agire, astenendosi dal contrastare le sue iniziative. 96 Prende ora forma un brillante schizzo dell’anomalia di Atene, che verrà ripreso in II, 39- 40. 97 Su questo punto il discorso dei Corinzi è smentito sia da Pericle (in II, 38) sia dallo Pseudo-Senofonte (l’autore cioè della Athenaion politeia anonima), sia da una vasta gamma di altri indicatori: in quella società frenetica che fu Atene, lo spazio accordato al tempo libero (o meglio: a forme organizzate di utilizzo del tempo libero) fu davvero notevole. 98 È questo uno straordinario indizio di affinità fra il tipo di civiltà espresso dall’Atene classica ed elementi costitutivi della cosiddetta cultura occidentale, quella in cui noi siamo immersi. 99 Cfr. note 6 e 16. L’idea che la vista fosse più affidabile dell’udito notoriamente prende forma già in Eraclito (confr. 101a Diels-Kranz). 100 Si fa riferimento al primo dei due scontri a Maratona, quello del 490 contro le truppe di Dati e Artaferne iunior (Erodoto, VI, 103-117). 101 Qui e subito dopo prendono forma delle affermazioni non banali. Infatti di norma ci si astiene dal fare simili dichiarazioni, non foss’altro per non offendere la suscettibilità altrui. Esse riflettono del resto elementi della cultura sofistica dell’epoca e può semmai sorprendere che un enunciato così esplicito sia collocato in epoca anteriore al conflitto peloponnesiaco e non sia confinato a una fase successiva. 102 Nelle vertenze in cui una parte soltanto era rappresentata da cittadini, il rischio di un trattamento non proprio equo era (ed è) sempre grande. Date poi le proporzioni che all’epoca avevano raggiunto le transazioni con altri stati, simili vertenze erano all’ordine del giorno. 103 V. più avanti, ai capitoli 94-95 e 128-130. 104 Ricordiamo che al vertice dello stato lacedemone – in particolare dell’esercito – c’erano due re, il cui mandato era peraltro annuale (benché rinnovabile). 52 105 Letteralmente: con la psephos, cioè con il voto e la conta dei voti. Per queste operazioni si usarono all’inizio le fave bianche e nere, poi (forse in epoca successiva) dei raffinati oggetti in bronzo, ma nelle assemblee, dato il vasto numero dei votanti, è possibile che si ricorresse talora anche ad autentiche ceste di pietruzze minimamente caratterizzate. 106 Siamo infatti nel 431 e quella guerra si era conclusa nel 445. 107 Si apre ora una vasta retrospettiva che non serve solo per capir meglio come si sia potuti arrivare alla guerra, ma anche per realizzare una ragionevole continuità con il racconto erodoteo. 108 Si allude alla battaglia del 479, combattuta di fronte a Samo agli ordini di Leotichida. Erodoto ne parla ampiamente in IX, 98-106 (v. anche VIII, 131). 109 Sesto sul Chersoneso Tracico (attuale penisola di Gallipoli): cfr. Erodoto, IX, 114-120. 110 Sparta, in effetti, non era protetta da mura. 111 Impreciso riferimento a quanto Erodoto riferisce a proposito della battaglia di Platea in IX, 13, e ss. 112 Questo dovrebbe essere accaduto solo mesi dopo la battaglia di Micale, quindi a fine 479 o inizi 478. 113 Probabile riferimento all’arcontato di Temistocle, che cadde nel 493-492. 114 Si tratta di Cantaro, il principale, Zea e Munichia. 115 La formulazione della frase non è così chiara, ma il senso è appunto che un solo carro non era sufficiente per trasportare i blocchi di pietra più grossi. 116 Si noti questo dettaglio relativo ai sofisticati accorgimenti utilizzati per «legare» i blocchi di pietra. 117 Si parla di fatti accaduti, come pare, nel 478. Pausania è il re spartano vittorioso l’anno prima a Platea. 118 Siamo al primo atto della progressiva aggregazione di molte città, non solo della Ionia, attorno ad Atene. Vedremo al prossimo capitolo che gli Ateniesi procedettero immediatamente (ultimi mesi del 478) a istituzionalizzare questa convergenza spontanea attorno a loro. 119 Hellenotamìai sono i dieci amministratori delle finanze comuni, tutti ateniesi; il phoros è l’apporto, il contributo, la tassa di iscrizione. 120 Ellanico di Mitilene, contemporaneo a Tucidide, autore di svariate opere etnografico- cronografiche, mitologico-genealogiche, scrisse anche una Atthìs (o Attikè xungraphè), cioè una storia dell’Attica, di cui ben poco è pervenuto. Tucidide è come sempre attento a marcare le differenze rispetto ai suoi «colleghi». 121 E questa la sola grande digressione di tutta l’opera (cfr. nota 76). 122 Uomo politico ateniese, Cimone si affermò in Atene come capo del partito conservatore filospartano in opposizione a Temistocle, sul quale prevalse, e a Pericle, dal quale fu emarginato. Le sue imprese gettarono le basi dell’imperialismo ateniese. 123 Questi eventi, che ebbero luogo tra il 477 e il 468 circa, segnarono la rapida trasformazione dell’alleanza in un vincolo di più o meno mimetizzata subordinazione. Eione è nella Tracia, a est della penisola Calcidica (sulla sua sottomissione v. Erodoto, VII, 107); Skiros è l’isola situata a nord-est dell’Eubea, al largo; la Dolopia è territorio tessalo dell’interno; Caristo è località sul margine meridionale dell’Eubea (cfr. Erodoto, IX, 105); Naxos è la più grande isola delle Cicladi. 124 La Panfilia è una regione costiera sul lato sud della penisola anatolica, all’altezza della città e del golfo di Antalya. L’evento descritto dovrebbe risalire al 469. 125 Taso è l’isola più settentrionale dell’Egeo, di fronte alla Tracia. La rivolta, risalente al 465, si protrasse fino al 462. Delle miniere che gravitavano nella zona d’influenza dei Tasi parla Erodoto in VI, 46-47. Di Tucidide v. anche IV, 105. 126 La sonora sconfitta delle truppe ateniesi in questa occasione costituisce un evento piuttosto eccezionale per l’epoca. Anfipoli, alle foci dello Strimone è, dicevamo, a nord-est della penisola Calcidica. Gli Edoni sono la popolazione tracia della zona. 127 Da altre fonti apprendiamo che dovette trattarsi di un terremoto disastroso, con circa