Scarica la plasticità (seconda parte del corso "plasticità e apprendimento") e più Appunti in PDF di Psicologia Cognitiva solo su Docsity! Plasticità e Apprendimento LA PLASTICITÁ La plasticità corticale: la parola plastico (o plastica) deriva del greco Plastikos, che significa malleabile, ovvero modificabile dall’esperienza, adatto ad essere plasmata – si intende quindi la proprietà del sistema nervoso centrale, per quanto riguarda la corteccia, di poter essere modificata. Modificato da cosa? Modificato come? Quali sono le conseguenze dell’essere modificabile? È una caratteristica sempre auspicabile? Come sempre tutti i tipi di fenomeni hanno certi vantaggi e certi svantaggi – le dipendenze, ad esempio, sono una forma di apprendimento anormale, che non avverrebbero se il nucleo accumbens non avesse la proprietà di essere plastico – questa alterazione permanente è comunque una forma di apprendimento anche se causa effetti collaterali indesiderati. Abbiamo sempre bisogno dell’apprendimento, sia quando si devono raggiungere dei risultati auspicabili che non. Posso indurre plasticità fondamentalmente in due modi: 1. Ipostimolazione: togliendo informazioni – deafferentando, zero stimolazioni 2. Iperstimolazione: aggiungendo informazioni L’idea che il cervello possa essere modificato non è così ovvia, in genere si pensa al cervello come a una struttura stabile che analizza le informazioni sensoriali, prende decisioni, e attua comportamenti appropriati alla situazione. Qualsiasi forma di apprendimento richiede una modifica di qualcosa: se prima una cosa non la so e poi sì la devo “immagazzinare” nel cervello → modifica neurale a livello strutturale. Ma se pensiamo alla capacità del cervello di apprendere e alla memoria, allora l’idea che sia immodificabile è messa in crisi – a meno che non adottiamo una prospettiva dualista (mente/corpo), tale per cui le mente trascende il corpo (cervello) e l’apprendimento è una proprietà della mente immateriale, dobbiamo chiederci alcune cose: Cosa implica materialmente per il cervello apprendere? Cosa significa acquisire un’informazione o un’abilità prima sconosciuta? Se ho un apprendimento devo avere una modifica di tipo strutturale nella rete neurale: se devo incorporare una nozione devo avviare una modifica della struttura sinaptica (nel caso di apprendimento a lungo termine) o della dinamicità funzionale delle sinapsi (se si parla di aumentare o diminuire i neurotrasmettitori, forme di apprendimento ad una durata limitata, a breve termine) → memoria e apprendimento a breve e a lungo termine Apprendere implica modificare il cervello: l’acquisizione di una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica – tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare – per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Santiago Ramòn y Cajal sosteneva che: «Per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e crescita di nuove arborizzazioni dendritiche e terminali nervosi” 1 Plasticità e Apprendimento Se io imparo qualcosa significa o rafforzare qualcosa già preesistente (es. aumentare il numero lo spessore delle sinapsi, bottoni terminali) oppure creare nuove connessioni rafforzate. Si riferisce comunque all’apprendimento a lungo termine (nell’apprendimento a breve termine ci possono essere anche solo delle modifiche a livello funzionale, per esempio aumentando il numero di neurotrasmettitori, e non necessariamente strutturale). Per molto tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita – tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta → il “periodo critico” È evidente che invece la plasticità non possa scomparire nell’età adulta, bensì è vero che il grado di plasticità cambia tra l’infanzia e una volta in cui il cervello ha raggiunto la sua maturazione. “Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose”, “quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso”, “le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo” Nonostante ciò, abbiamo bisogno di questa differenziazione nel grado di apprendimento tra i bambini e gli adulti poiché è necessaria anche la stabilità – avere una struttura completamente e sempre modificabile non è molto vantaggiosa perché abbiamo bisogno di strutture che pur presentando un certo grado di plasticità presenti anche una certa stabilità. Deve avvenire qualche modifica di tipo neurochimico che ad un certo punto riduce drasticamente la capacità dei neuroni di modificare le sinapsi. Il tentativo è quello di scoprire qual è il farmaco che potrebbe far ritornare le funzionalità cognitive ad un grado di apprendimento pari a quello che si riscontra in età infantile: si tratta di trovare la molecola in grado di ripristinare questa capacità. L’idea che il cervello sia plastico solo durante l’infanzia porta con sé importanti implicazioni circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali: se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambiamenti sostanziali del cervello, è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963-1965) sul «periodo critico». Il fatto che esistesse un periodo critico alla plasticità era già nota ancor prima di Wubel e Wiesel: grazie ai lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting si è potuta scoprire l’esistenza di tale periodo post-natale cruciale → è un lasso di tempo ben preciso entro il quale il cervello dei volatili appena nati è disposto ad accettare come “madre” il primo oggetto (animato o inanimato che sia) che incontra – può essere letteralmente qualsiasi cosa. C’è un periodo in cui l’animale è ipersensibile all’oggetto animato o inanimato con il quale viene in prossimità: quell’oggetto diventerà la figura madre. Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una notevole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia – tuttavia, rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi - Per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini - Apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli 2 Plasticità e Apprendimento Gli studi TMS che abbiamo appena visto ci dimostrano che: l’esecuzione ripetuta di un certo gesto motorio determina una modifica dell’area corticale coinvolta nel controllo di tale gesto (cfr. primo e secondo esperimento) se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre aree per eseguire il movimento (cfr. terzo esperimento) La corteccia motoria presenta quindi - plasticità elevata - capacità riorganizzative rapide Plasticità corticale e Cecità: L’essere umano è un organismo prettamente visivo, la perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di deficit sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Questo porterebbe a pensare alla capacità del cervello di apprendere, con una capacità di sviluppo sorprendente, attraverso le altre modalità sensoriali. Esistono ormai evidenze consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità – questo potrebbe spiegare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo vedenti. Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno dimostrato un’attivazione di V1 in soggetti ciechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille → l’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse passivamente su simboli Braille, una condizione in cui la «lettura» non era richiesta. Questo significa che non è un reclutamento puramente somatosensoriale, altrimenti essere impegnati in un’interpretazione o meno di ciò che si stesse facendo non avrebbe fatto alcun tipo di differenza. Il reclutamento da parte della corteccia visiva nell’elaborazione degli stimoli tattili è di un ordine più cognitivo: utilizzo quella corteccia nel caso debba dare un significato vero e proprio a quello stimolo tattile. Utilizzo la corteccia visiva per dare una vera e propria interpretazione agli stimoli tattili, non solo per consentire la percezione della stimolazione tattile. C’è un ruolo causale della corteccia visiva nell’interpretazione degli stimoli tattili che hanno un certo tipo di significato? Il problema è che l’attività osservata nelle aree visive durante la lettura Braille non è comunque prova di un ruolo causale di tale attivazione per la lettura, potrebbe trattarsi di un’attivazione non necessaria. Bisogna interferire con l’attività neurale conforme, o attraverso la stimolazione artificiale oppure trovando un soggetto che possiede un’anormalità neurale nei circuiti di interesse. Primo approccio: 5 Plasticità e Apprendimento Il caso di una paziente nata cieca ha fornito prova del ruolo causale dell’attivazione occipitale: dopo un ictus in zona occipitale la paziente, che prima era un’ottima lettrice Braille, perse la sua abilità di lettura. Il danno non riguardò la corteccia somato-sensoriale che si rappresenta la mano e quindi codifica le informazioni tattili necessarie nella lettura Braille (abilità tattili intatte). Secondo approccio: Il ruolo fondamentale dell’attività occipitale nella capacità discriminatoria tattile in persone nate cieche è stato dimostrato anche attraverso l’uso della TMS: Cohen (1997) hanno stimolato le aree occipitali in un gruppo di ciechi congeniti, i quali dopo tale stimolazione non riuscivano più a leggere i simboli Braille. La stimolazione poteva avvenire o nella corteccia somato-sensoriale o nella corteccia occipitale e queste venivano indotte: o dopo 20 oppure 60 ms dalla stimolazione tattile. Ci sono due effetti completamente diversi: - a causa dei due tempi: lo stimolo tattile ci mette molto meno ad arrivare alla corteccia somato- sensoriale piuttosto che a quella occipitale. Le vie dirette saranno dal nucleo del talamo fino alla corteccia somato-sensoriale per quanto riguarda gli stimoli tattili, poi da lì (nella corteccia frontale) ci saranno delle connessioni che andranno poi alla corteccia visiva. - Quando io do la stimolazione nella corteccia somatosensoriale a 20 ms faccio calare drasticamente sia la capacità di rilevazione che di stimolazione: se io perturbo la corteccia somatosensoriale non riesco nemmeno a sentire la stimolazione tattile, e se non ho l’analisi somatosensoriale non potrei nemmeno poi discriminare; se invece io stimolo la corteccia somatosensoriale dopo 60 ms quello che osservo è che non ho nessuna difficoltà a sentire la stimolazione (permane la capacità di rilevazione degli stimoli, corteccia somato-sensoriale) ma perdo la capacità discriminativa. Quindi il ruolo delle aree visive nella discriminazione tattile in persone affette da cecità congenita dimostra che: TMS l’area somatosensoriale oppure l’area occipitale dopo circa 60ms dallo stimolo tattile impedisce il riconoscimento dello stimolo Braille, ma non la sua detezione La TMS in somatosensoriale impedisce sia detezione sia identificazione Gli esperimenti con persone cieche mostrano come le aree visive non rimangano inattive, ma vengano invece reclutate per processare informazioni in altre modalità sensoriali. Si tratta di un effetto specifico nel momento in cui una persona si trova in condizioni patologiche oppure è replicabile anche in soggetti sani? È possibile che le aree visive siano usate per compiti non visivi in persone sane (quindi non soggetto a deprivazioni per lunghi periodi di tempo che potrebbe aver predisposto il soggetto ad elaborare le risposte in altre modalità sensoriali)? Pascual-Leone & Hamilton (2001) bendano per 5 giorni delle persone normo vedenti – durante i 5 giorni l’attività corticale delle persone mentre eseguono compiti di discriminazione tattile di oggetti viene registrata tramite fMRI. Un’esperienza di questo tipo è particolare perché si nota che dopo essersi esposti per il bendaggio per un po’ di giorni i partecipanti sono soggetti ad allucinazioni: il sistema visivo si autostimola (effetto collaterale). Attività in V1 registrata durante compito tattile: 1° giorno di bendaggio: nessuna attività in V1 quando i soggetti cercano di discriminare gli oggetti che gli vengono dati in mano 6 Plasticità e Apprendimento 5° giorno di bendaggio: appare evidente attività in V1 mentre il soggetto sta discriminando lo stimolo tattile (similmente si è visto un risultato uguale nell’esperimento in cui i soggetti erano i pazienti ciechi) Alcune ore dopo la rimozione del bendaggio: forte riduzione attività in V1, l’attività scompare Si sono osservati quindi 2 importanti risultati: 1. Non c’è bisogno che i soggetti abbiano un sistema che è rimasto in una condizione di deprivazione per molto tempo affinché la corteccia visiva sia reclutata in un compito diverso da quello per cui è predisposta (1 giorno non è sufficiente ma 5 giorni sì): dopo 5 giorni si osserva un’attività in V1 nei compiti di discriminazione tattile mentre i soggetti sono bendati. 2. Non appena la deprivazione sensoriale viene rimossa (viene tolto il bendaggio) la corteccia ritorna al suo funzionamento naturale → mostra una plasticità notevole passando ad elaborare le informazioni tattili in soli 5 giorni ma è molto più rapido nel ritorno alle condizioni standard (bastano un paio d’ore) L’esperimento di Pascual-Leone & Hamilton dimostra l’elevata plasticità della corteccia. La rapidità dei cambiamenti funzionali rende improbabile che la deprivazione abbia creato nuove connessioni tra le aree somato-sensoriali e quelle visive → ragionevolmente ci sono già queste connessioni tra cortecce sensoriali, semplicemente siccome c’è l’input visivo (parlando della corteccia visiva) questo stimolo diventa dominante e la risposta agli stimoli tattili viene soppressa, ma nel momento in cui si va a deprivare la corteccia visiva di informazioni per un periodo sufficientemente lungo quest’inibizione sulle connessioni della modalità tattile viene persa ed emerge il fatto che queste connessioni ci sono e quando l’informazione inizia ad arrivare alla modalità tattile comincia ad essere elaborata dalla corteccia visiva. I veloci cambiamenti nella risposta delle aree occipitali durante il bendaggio mettono in luce la capacità del cervello di adattarsi velocemente ai cambiamenti ambientali (nell’esperimento la deafferentazione visiva). La corteccia visiva può essere coinvolta nell’analisi di informazioni normalmente elaborate da altre modalità sensoriali. La plasticità può essere di 2 tipi in funzione del tempo per il quale avviene la deprivazione sensoriale: 1. Transitoria: è dovuta all’emergere di connessioni già presenti ma silenti in condizioni normali 2. Definitiva: è dovuta a modificazioni strutturali, sinaptiche Abbiamo sinora visto la plasticità come una proprietà intrinseca della corteccia (e del cervello in generale). Una questione interessante è come sia possibile per un sistema essere sufficientemente malleabile da poter acquisire nuove informazioni ma allo stesso tempo presentare un grado di rigidità tale da non essere eccessivamente modificabile da qualsiasi informazione in ingresso. Come fare ad essere contemporaneamente sensibile a nuove informazioni senza che queste possano modificare interamente quelle già esistenti? Un meccanismo attraverso il quale la plasticità viene regolata e limitata alle informazioni rilevanti è l’attenzione. 7 Plasticità e Apprendimento Questo risultato va di pari passo con l’idea che è importante quando avviene la deprivazione: se il sistema si è già stabilizzato allora perde anche questo livello di plasticità così importante da poter essere ridisegnato, ormai la struttura principale si è già stabilizzata. Conclusioni: La deprivazione monoculare dalla nascita induce marcata atrofia nei neuroni del nucleo genicolato laterale che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in qualche caso ridotta. Se la deprivazione inizia dopo un breve periodo di esperienza visiva i suoi effetti risultano meno marcati, o addirittura assenti negli animali adulti. La marcata atrofia del nucleo genicolato laterale dovuta alla deprivazione non era stata osservata negli studi precedenti (poiché si effettuava delle deprivazioni binoculari, la quale non è una condizione ottimale per osservare sbilanciamenti), mentre qui si è usata quella monoculare. La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il nucleo genicolato laterale. 2. Recepti ve fi elds of cells in striate cortex of very young, visually inexperienced kitt ens In questo lavoro, che è il secondo della serie, gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto. Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva per assicurare un normale sviluppo di V1 → procedono quindi con una deprivazione binoculare. Ci sono 2 gattini: dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi vengono testati; la deprivazione avviene con delle lenti traslucide che fanno passare poca luce diffusa. 1 gattino ha una normale esperienza visiva e funziona da controllo. Risultati: A 2 settimane di vita, dopo una settimana di deprivazione binoculare, i neuroni di V1 tendono a rispondere alla luce in modo debole. Gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative Questi effetti di affaticamento non sembrano riguardare il nucleo genicolato laterale (già nello studio precedente si era già visto che la deprivazione non comporta alterazioni funzionali significative – non risente gravemente per quanto riguardava l’alterazione fisiologica). A parte la lentezza e la debolezza nella risposta le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni in V1 sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto – es. selettività per l’orientamento, movimento ecc. Normali interazioni binoculari, con preferenza oculare differenziata da neurone a neurone (normale dominanza oculare). Si vede come aver privato binocularmente il gatto non ha spostato la distribuzione gaussiana della dominanza oculare, perché non si è indotto nessuno sbilanciamento – che io sia stimolato o non sia stimolato non cambia la preferenzialità di risposta da parte delle cellule, visto che non ricevono afferenze sensoriali da nessuno dei due occhi. Conclusioni: 10 Plasticità e Apprendimento I risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività di risposta) che si riscontra nella corteccia visiva del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva: la deprivazione binoculare rende meno efficiente il sistema ma non cambia le sue proprietà di risposta. Queste proprietà sono già presenti alla nascita, la questione è vedere se io posso alterarle attraverso l’esperienza visiva anomala. Già alla nascita il sistema è geneticamente predisposto a funzionare correttamente, non ha bisogno di imparare e maturare per organizzarsi in preferenze per un certo occhio piuttosto che per l’altro, per avere un certo tipo di campo recettivo piuttosto che di un altro tipo. Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra la retina, nucleo genicolato laterale e corteccia non richiede esperienza visiva: questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia. La corteccia si organizza correttamente, a prescindere dal fatto che io dia o meno esperienza visiva – l’importante, come si vedrà, è che non ci siano sbilanciamenti dell’esperienza sensoriale. 3. Single-cell responses in striate cortex of kitt ens deprived of vision in one eye Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del nucleo genicolato laterale. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, dopo la deprivazione monoculare, allo stadio successivo di analisi visiva: corteccia visiva primaria. Nella corteccia striata, dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare – uno degli effetti macroscopici che ci si aspetta se si è nel periodo critico è quello del cambiamento della distribuzione gaussiana della dominanza oculare → se è vero che c’è plasticità la dobbiamo vedere come un cambiamento di questa distribuzione tutta da un lato o tutta dall’altro lato. Le risposte qualitative dei neuroni binoculari ai due occhi sono simili, ma può essere diversa la forza di risposta all’uno o all’altro occhio. Solitamente la maggior parte dei neuroni della dominanza oculare in V1 preferisce informazioni binoculari. Se io mi aspetto che la deprivazione dell’informazione sensoriale che ottengo suturando un occhio abbia un effetto sul neurone della corteccia, mi aspetto che tutti i neuroni avranno una preferenzialità o da un lato o dall’altro. Se è vero che c’è plasticità la dobbiamo vedere come un mancato cambiamento della distribuzione gaussiana dei neuroni → la maggior parte dei neuroni sposteranno la loro preferenzialità più dalla parte dell’occhio rimasto aperto. • Soggetti: 7 gattini e 1 gatto adulto • Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi • Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre dell’occhio destro. I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo, il gatto adulto ovviamente da adulto. • Sito di registrazione: V1 sinistra – da strati (2-3) con neuroni binoculari Effetti comportamentali della deprivazione: 11 Plasticità e Apprendimento prima di effettuare le registrazioni elettrofisiologiche viene aperto l’occhio deprivato e viene chiuso l’occhio che era rimasto aperto. L’animale si muove in modo incerto: sbatte contro gli oggetti, i muri che riesce a seguire con le vibrisse; cade dal tavolo se posto a camminarci sopra. Non segue nessun oggetto in movimento nel campo visivo. Se si apre l’occhio non deprivato il comportamento ritorna normale. Si conclude che la deprivazione monoculare induce uno stato di profonda e completa cecità per l’occhio corrispondente. Tutto questo non accade nel gatto adulto: per lui chiudere o meno l’occhio non ha conseguenze – quando lo riapre si vede bene. Effetti fisiologici della deprivazione: L’istogramma è cambiato: tutti i neuroni sono diventati strettamente monoculari ipsilaterali. I neuroni non rispondevano in alcun modo all’occhio destro deprivato. La figura gli istogrammi di dominanza oculare in V1 sinistro di un gattino cui era stato deprivato l’occhio destro (dopo una settimana di vita e per 2,5 mesi). La risposta dei neuroni era solo all’occhio ipsilaterale (sinistro), quello che era rimasto aperto. Nessuna risposta dall’occhio controlaterale deprivato (destro). Totale plasticità del sistema visivo che si adatta completamente alla nuova situazione di stimolazione visiva. Le cellule che rispondono mostrano campi recettivi sia di tipo semplice sia complesso, e con normali risposte di orientamento, in funzione della loro preferenza. Normale organizzazione secondo colonne di orientamento. Quindi non cambiano le risposte, solo che non rispondono più all’occhio che era rimasto chiuso. Questa è stata una manipolazione tutto-o-nulla. Una manipolazione più graduale invece fa cambiare il sistema in modo più graduale? Sì. La deprivazione monoculare negli animali con precedente esperienza visiva: come per lo studio sul nucleo genicolato laterale una breve esperienza visiva precedente alla deprivazione sembra in qualche modo attenuarne gli effetti. Se io prendo il gattino e gli lascio 2 mesi di esperienza normale e poi lo suturo esattamente per lo stesso tempo, cosa cambia? Qualcosa cambia, perché si vede che un po’ di neuroni binoculari resistono adesso. Nell’esperimento precedente invece diventano tutti monoculari (erano stati sottoposti a deprivazione sin dalla nascita) mentre ora un po’ di neuroni binoculari si sono irrobustiti abbastanza da resistere → ho lasciato 2 mesi di tempo e questo è stato sufficiente non per impedire una forte riorganizzazione ma a mitigare l’effetto. Si può concludere da questo risultato che dopo 2 mesi e mezzo il periodo critico è ancora aperto, un po’ meno drastica ma comunque c’è un effetto abbastanza pesante. Deprivazione monoculare in un animale adulto: un gatto adulto deprivato monocularmente per 3 mesi non presenta nessun deficit nella risposta dei neuroni in V1 12 Plasticità e Apprendimento Si vede come ci sia una buona percentuale di neuroni che non mostrano più selettività per l’orientamento (sono addirittura di più di quelli che mostrano una risposta normale) – tanto più gli istogrammi sono più alti tanto più la numerosità è maggiore. Una deprivazione binoculare prolungata, se per certi neuroni non cambia molto, in realtà per metà dei neuroni invece qualche deficit inizia a comparire. Risultati istologici nel NGL: A livello del NGL si conferma che gli strati con afferenze dall’occhio deprivato mostrano neuroni atrofici. Lo stesso grado di atrofia si manifesta anche nel caso di deprivazione binoculare sostenuta, la quale produce atrofia in tutti gli strati di entrambi i NGL – se è una deprivazione binoculare che si prenda il genicolato dx o sx non cambia nulla. Effetti comportamentali: Quando uno dei due occhi venne aperto, dopo 4 mesi di deprivazione binoculare, non emersero indicazioni che il gatto vedesse dall’occhio, né che seguisse oggetti in movimento che gli venivano presentati. 4 mesi di deprivazione binoculare avevano reso l’animale cieco. Quindi una deprivazione binoculare precoce e sostenuta crea danni anche in V1: è vero che una deprivazione binoculare è sempre meglio di una deprivazione monoculare ma se la deprivazione binoculare è prolungata compaiono comunque dei deficit. 5. Extent of recovery from the eff ects of visual deprivati on in kitt ens Nell’ultimo lavoro della serie gli autori indagano un altro aspetto della plasticità nel sistema visivo, e cioè la capacità di recupero dai deficit indotti dalla deprivazione visiva. Gli effetti della deprivazione da luce per alcuni mesi portano a marcate anormalità/atrofie nelle vie visive. La cecità è accompagnata da cambi morfologici nel NGL, e alla distruzione di connessioni con la corteccia visiva, che creano anormalità nella risposta binoculare dei neuroni Questa forma di plasticità (maladattamento o adattamento disfunzionale) indotta dalla deprivazione sembra essere riscontrabile solo nei primi mesi di vita. Era già evidente da questi lavori che c’è un periodo iniziale critico nel quale questa plasticità è evidente e quindi ora cercano di vedere se ci possa essere un modo di rimediare a queste alterazioni dovute a deprivazione. • Soggetti: 7 gattini • Deprivazione: 3 mesi di deprivazione dalla nascita, 6 gattini monoculari e 1 binoculare • Recupero: periodo da 3 a 18 mesi, estendo notevolmente il periodo di recupero per vedere se lasciando molto tempo si osservano segni di riorganizzazione del sistema visivo • A 2 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso • A 4 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso, ma chiuso quello che era aperto • Al deprivato binocularmente viene riaperto uno dei due occhi Effetti comportamentali: ad un primo gatto è stato aperto l’occhio chiuso da 3 mesi, ed è stata testata la visione coprendo l’altro occhio; se testato subito sull’occhio chiuso l’animale risultava cieco (la corteccia non risponde). Testato dopo 3 mesi riusciva a seguire per qualche secondo gli oggetti, ma la visione non è mai tornata normale, sbattendo ancora contro oggetti piccoli (per esempio le gambe delle sedie) → 3 mesi di deprivazione con solo 3 mesi di recupero non produce molti risultati efficienti. 15 Plasticità e Apprendimento Ad un secondo gatto è stato aperto l’occhio chiuso da 3 mesi, ed è stata testata la visione dopo 18 mesi, coprendo l’altro occhio: nessun miglioramento particolare rispetto al primo gatto – Il grado modesto di recupero era quello avvenuto nei primi 3 mesi dopo la riapertura dell’occhio. Quindi anche allungando di oltre 15 mesi il potenziale periodo di recupero non si osserva nessun beneficio particolare. Quindi non è tanto quanto lungo è il tempo di recupero se sono uscito da quel famoso periodo critico perché ho continuato a mantenere il gatto con l’occhio chiuso per 3 mesi. Ad altri 4 gatti durante il periodo di recupero è stato chiuso l’occhio che era rimasto aperto durante la deprivazione monoculare: lo lascio recuperare non in visione binoculare ma forzo il sistema per 3 mesi continuativamente a guardare con l’occhio che era rimasto chiuso Questo per verificare se il recupero potesse essere indotto forzando l’animale ad «usare» l’occhio prima deprivato: anche dopo 18 mesi il recupero era molto modesto – un gatto che era il leader del gruppo diventò sottomesso quando fu costretto ad usare l’occhio deprivato Quindi apparentemente non è tanto la durata del periodo di recupero, né il fatto che durante questo periodo di recupero si lasci l’animale con tutti e due gli occhi aperti , o che forzi l’animale a vedere con l’occhio che era rimasto chiuso. Gli stessi effetti si sono osservati anche con il gatto con la deprivazione binoculare. Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione monoculare In 3 animali dopo 3 mesi di chiusura dell’occhio destro questo fu aperto e fu chiuso il sinistro per altri 3 mesi; dopo questi 3 mesi la registrazione mostra che i neuroni rispondono ancora solo all’occhio sinistro (quello inizialmente non deprivato). La deprivazione durante il periodo iniziale sembra essere cruciale. Questo vuol dire che 3 mesi di recupero non hanno cambiato nulla. Ciò che si era specializzato all’occhio rimasto aperto così è e così rimane: effetti irreversibili. Abbiamo quindi, oltre a quelle comportamentali, anche delle evidenze elettrofisiologiche che attestano che lasciare deprivato un gattino dalla nascita fino ai 3 mesi produce un’alterazione sostanzialmente permanente. Non bastano né 3 mesi di recupero, né 18 mesi di recupero e neanche forzare l’animale a guardare dall’occhio che era rimasto chiuso: effetti irreparabili. Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione binoculare Nel gatto che aveva subito la deprivazione binoculare per 3 mesi è stato riaperto l’occhio destro; dopo 18 mesi è stata registrata l’attività dei neuroni in V1: - la distribuzione della dominanza oculare non era particolarmente alterata, come ci si poteva aspettare da una deprivazione binoculare (iniziale) - nei neuroni che rispondevano (circa la metà) si sono osservate risposte anomale, soprattutto in quelli che rispondevano all’occhio riaperto. 16 Plasticità e Apprendimento Morfologia dei neuroni nel NGL: • L’iniziale deprivazione monoculare per 3 mesi ha causato la nota atrofia delle cellule del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso • Anche dopo 18 mesi dalla riapertura dell’occhio inizialmente chiuso non si è osservato nessun recupero dell’atrofia indotta dalla deprivazione iniziale Si conferma che il periodo iniziale è cruciale nell’indurre una modifica morfologica, che non pare essere poi recuperabile Sia che si guardi la corteccia che se si guardi il genicolato 3 mesi per un gatto è un tempo eccessivo tale per cui si osserva un’alterazione che non è più recuperabile. CONCLUSIONI GENERALI: i lavori di Hubel e Wiesel sono lavori fondamentali perché non solo hanno dimostrato com’è l’organizzazione del sistema visivo ma poi anche la capacità di risposta dei neuroni ed il fatto che ci sia plasticità nel sistema visivo, cosa che non era ovvia fino a quel momento; lo fanno attraverso la tecnica di deprivazione (esiste anche la tecnica di iperstimolazione). Attraverso la deprivazione monoculare e binoculare hanno messo in luce come esista un periodo critico, che nei gatti corrisponde alle prime settimane di vita, durante il quale il sistema visivo può essere fortemente modificato a livello funzionale, morfologico e strutturale. La deprivazione monoculare induce: Atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio deprivato, ma modesti cambiamenti funzionali Pochi cambiamenti morfologici ma sostanziali cambiamenti funzionali nelle proprietà di risposta dei neuroni in V1 (nella corteccia, quindi il contrario di quello che avviene nel genicolato). I neuroni rispondono solo all’occhio non deprivato La deprivazione monoculare sembra indurre deficit maggiori di quella binoculare Se la deprivazione dura più di 3 mesi non è possibile nessun recupero funzionale e morfologico I deficit prodotti dalla deprivazione monoculare non sono dovuti al mancato normale sviluppo (è già programmato geneticamente a svilupparsi in un certo modo), l’importante è che non ci siano grandi sbilanciamenti perché altrimenti distruggerebbe le connessioni. Il grado di recupero dipende dal periodo della deprivazione Se la deprivazione supera il periodo critico il recupero possibile, in termini comportamentali, fisiologici e morfologici, è veramente modesto se non assente Il grado di deficit prodotti dalla deprivazione dipende dal fatto che sia binoculare o monoculare, e quindi dalle interazioni corticali tra le afferenze dei due occhi. Questo ci dice che ci siano connessioni in competizione tra loro nella corteccia, tra i neuroni che rispondono ad un occhio e quelli che rispondono all’altro: se io stimolo uno e non l’altro si sbilancia la questione. La deprivazione monoculare è sempre più drammatica di quella binoculare Ulteriori evidenze circa la presenza del periodo critico 17 Plasticità e Apprendimento MASTROPASQUA (2015) usa la tecnica della Continuous Flash Suppression (CFS) per rendere difficile la visione di uno stimolo target ad un occhio, creando una sorta di ambliopia funzionale (e temporanea) – vedo il target solo con un occhio. Non è una vera ambliopia ma è solo funzionale – i dati di seguito dimostrano che è possibile apprendere qualcosa solo con un occhio, e che l’apprendimento rimane confinato ai neuroni che rispondono a quell’occhio. Si tratta di una forma di apprendimento percettivo. Verificano poi se il training è capace di ridurre il deficit visivo indotto, migliorando la visibilità per lo stimolo soppresso. Anziché basarsi sulla spontaneità dell’oscillazione della rivalità dei neuroni (a volte “vincono” i neuroni dominanti per un occhio e a volte quelli dominanti per l’altro occhio) viene forzato il sistema a vedere solo con un occhio rendendo molto più saliente l’immagine presentata in un occhio rispetto a quella che viene presentata all’altro occhio. Viene forzato il sistema a preferire le immagini che vengono viste ad uno specifico occhio rispetto a quelle presentate nell’altro. Obiettivi del lavoro: Verificare se attraverso il training sia possibile imparare a vedere nell’occhio in cui l’informazione è soppressa da processi competitivi Verificare a che livello il sistema visivo ha luogo l’effetto del training Soggetti umani (studenti) Tecnica CFS per rendere invisibile lo stimolo da un occhio (non dominante): il soggetto veniva posto di fronte al computer e si proiettavano due immagini diverse, si faceva in modo che ciascuna comparisse ad un solo occhio senza che l’altro vedesse quindi quella controlaterale → si proiettava all’occhio non dominante il target e a quello dominante dei mondrian: patchwork ad alto contrasto di stimoli colorati veniva presentato all’occhio dominante (immagine forte) mentre nell’altro si vede un’immagine con una piccola barra grigia a basso contrasto. Se io lascio andare questa cosa per qualche secondo, anche se io da una parte ho l’immagine ad alto contrsto che vince la competizione con l’immagine debole, dopo un po’ si vede che in mezzo al mondrian compare la barretta e si diventa consapevoli della presenza del target. Quanto ci ha messo questo stimolo da passare ad inibizione ad essere consapevole? Training: 4 blocchi di 48 prove Test: 1 blocco di 96 prove – ogni trial dura 3 secondi (abbastanza per ottenere dei breakthrough) Compito: 1. rilevare presenza della linea target – presente in 2/3 delle prove 2. discriminare posizione (sopra o sotto) 20 Plasticità e Apprendimento La tecnica più adatta per misurare la sensibilità dei dati è la teoria della detezione del segnale, per vedere se effettivamente vede il target o il partecipante tira ad indovinare. Esperimento 1: Compito di rilevazione (“l’hai visto o non l’hai visto?”) → proporzione di breaktrough, con la pratica aumenta la capacità di vedere il target; l’apprendimento non sembra essere specifico per l’orientamento dello stimolo perché è mantenuto anche quando viene ruotato lo stimolo (new target). C’è chiaramente un apprendimento e il soggetto impara, blocco dopo blocco, a vedere sempre meglio. Difficile che si stiano stabilendo delle nuove connessioni (l’esperimento dura solo 45 minuti) però sta in qualche modo avvenendo. Si sa che appunto le proposizioni di breaktrough aumenta però non si sa se siano effettivamente dei veri e propri hit oppure dei falsi allarmi: si calcola il d’ e si vede come aumenta. In effetti la sensazione di aver visto era accompagnata ad una vera aumentata sensibilità allo stimolo, quindi vuol dire che quando il soggetto doveva dire se lo stimolo comparisse sopra oppure sotto non andava a caso, stava rispondendo correttamente e non stava tirando ad indovinare (arriva da un d’ di 1 a 2.5). Viceversa quando diceva di non aver visto dei breakthrough la sensibilità era vicina allo 0, il che significa che quando dicevano di non averlo visto non lo vedevano veramente. Dimostrato che i soggetti potessero imparare con un training da un occhio che vede molto meno rispetto all’altro, quello che ci si chiede è dove avviene questo cambiamento? Nei neuroni monoculari o binoculari? Esperimento 2: Lo scopo del secondo esperimento è quello di verificare se l’effetto del training è monoculare. Per testare questa ipotesi la fase di training è uguale a quella dell’esperimento 1, ma nel test vengono invertiti gli occhi in cui appaiono target e maschera. Faccio training mostrando la maschera dell’occhio da un target all’altro, e dopo aver fatto questo training viene invertito nella fase test. Se quell’apprendimento sta avvenendo in neuroni binoculari non dovrebbe cambiare nulla, ma se quell’apprendimento sta avvenendo in neuroni monoculari tutto quello che io avevo imparato 21 Plasticità e Apprendimento durante la fase del training si perde: avevo imparato a vedere, ma se tu mi inverti la predisposizione ponendomi davanti qualcos’altro non si vede più niente. Dai risultati si vede infatti un miglioramento però quando poi si inverte l’occhio perdo tutto. L’apprendimento è specifico per l’occhio allenato, e viene perso completamente se si cambia l’occhio. Tutto questo apprendimento percettivo viene perso nel momento in cui io forzo il soggetto a non guardare con l’occhio allenato (cioè la corteccia visiva associata all’elaborazione delle informazioni provenienti da quell’occhio) → avevo allenato dei neuroni a vedere questo stimolo attraverso la maschera ma nel momento in cui si cambia l’occhio non si vede più nulla, questo significa che questo apprendimento avveniva in neuroni monoculari. Se fosse avvenuto nei neuroni binoculari allora cambiare lo stimolo con un occhio o nell’altro non avrebbe prodotto differenze nella capacità di discriminazione. Conclusioni • È possibile migliorare la visibilità dall’occhio svantaggiato attraverso il training • L’apprendimento avviene a livello di neuroni monoculari • La plasticità dimostrata è ottenibile con un numero basso di trials – si osserva plasticità anche con un training moderato, non necessariamente lungo • Possibili indicazioni per i paradigmi di recupero di deficit indotti da ambliopia Negli stessi anni in cui Hubel & Wiesel conducevano i loro lavori sulla corteccia del gatto, si stava sviluppando un’altra importante linea di ricerca sulla plasticità corticale. ROSENZWEIG è stato l’esponente di spicco di questa linea di ricerca che ha indagato il l’effetto della complessità dell’ambiente nel quale viene cresciuto l’animale, sulla sua organizzazione corticale: vivere in un ambiente superstimolante produce un maggiore arricchimento della struttura corticale e delle connessioni neurali. L’arricchimento dell’ambiente ha effetto sul sistema nervoso, specie in periodi di massima plasticità. Gli esperimenti di Rosenzweig: Suddivise dei ratti appena nati in 3 gruppi, ognuno dei quali era sottoposto ad un tipo diverso di ambiente (gabbia) nel quale vivere: 22 Plasticità e Apprendimento I risultati mostrano che l’area corticale che riceve afferenze dall’area della mano denervata non continua a rappresentarsi la stessa porzione di mano → i neuroni stanno cambiando le proprietà del proprio campo recettivo: riorganizzazione del campo recettivo, se prima mappavano una data parte della cute ora mappano una parte diversa Da questo si deduce anche (cfr. Pascual e Leon) che i neuroni iniziano, una volta tolta la competizione inibitoria, a rispondere anche ad artefatti verso le quali esistevano già delle connessioni, che prima erano inibite dal fatto che c’erano altri neuroni che avevano una dominanza per quella porzione della mano. L’area corticale (popolazione di neuroni) viene reclutata dall’input proveniente dalle zone della cute adiacenti rimaste innervate: - Si osserva quindi un’espansione dell’area corticale che risponde sia al nervo Radiale sia a quello Ulnare, a scapito di quella che prima rispondeva al nervo Mediano - Dopo qualche mese dalla lesione l’occupazione è completa, e non rimangono aree corticali silenti che si rappresentano zone della mano denervate “reciclo” dei neuroni che prima facevano una cosa e ora ne fanno un’altra. Possono rappresentarsi delle altre zone adiacenti a quelle che rappresentavano prima ma non ad esempio dalla mano al piede perché sono troppo distanti da un punto di vista spaziale (neuroni vicini si rappresentano delle parti vicine – a meno che non siano adiacenti nell’homuncolus). Dinamicità delle mappe corticali: I risultati dei lavori di Merzenich dimostrano che anche nei soggetti adulti le mappe corticali non sono statiche ma dinamiche → necessariamente c’è plasticità nell’età adulta altrimenti non ci sarebbe più alcun tipo di apprendimento La rappresentazione corticale di una certa superficie corporea non è fissa e le aree coinvolte possono essere dedicate ad altri segnali se queste smettono di essere stimolate dall’input sensoriale → questo suggerisce che nella corteccia sensoriale normale sono in atto processi di competizione tra input sensoriali Nel momento in cui si taglia il nervo sensoriale e quindi si impedisce che alcuni segnali vadano verso la corteccia quello che accade è che la parte adiacente inizia a rispondere anche alla parte che non ha più il nervo sensoriale – non c’è più una competizione inibitoria tra le due aree corticali affiancate. Maggior sensibilità = maggior numero di neuroni → c’è ancora un dubbio su questo, anche perché un’espansione di un’area corticale, a seguito della recessione del nervo, potrebbe non equivalere all’espansione dell’area corticale a seguito del training (è stato confermato più volte che le persone che utilizzano maggiormente una certa area del corpo per svolgere qualche attività – es. le dita per un pianista – ha una maggiore sensibilità su questa zona del corpo a seguito del coinvolgimento di neuroni ulteriori rispetto a coloro che non la impiegano molto). Non c’è un’iperstimolazione del dito che porta ad aumentare 25 Plasticità e Apprendimento i processori, i processori elaborano semplicemente delle informazioni diverse – potrebbe essere quindi la stessa cosa del training come no. Le varie rappresentazioni corticali dei distretti corporei creano una mappa che non è statica, ma che è mantenuta stabile da processi competitivi tra i vari input sensoriali. Dopo aver visto gli studi sulla plasticità corticale indotta da deafferentazione nel sistema somatosensoriale di primati adulti passiamo a vedere studi analoghi nel sistema visivo. La domanda fondamentale cui hanno cercato di dare una risposta questi studi è se il sistema visivo in un mammifero adulto può essere soggetto a plasticità, in particolare: possono le mappe spaziali visive della corteccia riorganizzarsi? Possono i neuroni cambiare i loro campi recettivi spaziali anche nella corteccia visiva? La corteccia visiva contiene diverse mappe spaziali del campo visivo che dipendono dalla distribuzione dei fotorecettori sulla retina → organizzazione topografica o retinotopica Rappresentazione egocentrica: quando ci giriamo nel mondo, questo sta fermo quando giriamo gli occhi Rappresentazione iniziale che dipende dalla posizione degli occhi ad una che non dipende più dalla posizione degli occhi, e tutto questo è dovuto al fatto che il cervello anticipa il movimento degli occhi. Normalmente queste mappe spaziali (anche in altre modalità sensoriali) si sviluppano in modo regolare e consistente in tutti gli individui della specie Le mappe visive possono essere però alterate da deprivazioni periferiche, come nel caso dello strabismo indotto alla nascita (Hubel & Wiesel, 1965); tuttavia queste evidenze sembrano indicare una forma di plasticità in cui le modifiche nella organizzazione corticale possono avvenire solo durante un «periodo critico» post natale (Hubel & Wiesel, 1965). Quindi l’idea era che oltre tale periodo critico le rappresentazioni sensoriali a livello corticale rimangano relativamente stabili nell’animale adulto → questa prospettiva è però stata messa in discussione dagli studi di Merzenich sul sistema somatosensoriale nelle scimmie adulte. Massiva riorganizzazione corticale dopo lesione nervo periferico della mano → gli studi di Merzenich hanno dimostrato che, in un periodo che va da ore a settimane, la parte della corteccia che viene deprivata dell’input sensoriale si riorganizza in modo da rispondere ad input sensoriali provenienti da altri recettori cutanei. I neuroni della corteccia acquisiscono quindi nuovi campi recettivi, iniziando a processare informazioni dagli altri nervi (Radiale e Ulnare). È possibile trovare evidenza di riorganizzazione corticale a seguito di deafferentazione anche nel cervello di un animale adulto, in particolare del sistema visivo? Cercavano di valutare quindi la plasticità nel sistema visivo nell’animale adulto Tali cambiamenti relativamente rapidi nella organizzazione della corteccia suggeriscono la presenza di connessioni pre-esistenti che possono essere sfruttate nel processo riorganizzativo (nuove connessioni possono comunque essere stabilite nel tempo). Questi processi riorganizzativi sono importanti perché consentono al cervello di rispondere in modo adattivo e plastico a danni periferici e centrali. 26 Plasticità e Apprendimento L’obiettivo del lavoro di KAAS e collaboratori del 1990, è quello di verificare se anche nel sistema visivo è possibile una rapida riorganizzazione del campo visivo nei mammiferi adulti. Registrazione dall’area visiva primaria del gatto Prima fase : producono una lesione retinica nell’occhio destro in modo da indurre uno scotoma (parte del campo visivo che non vede più a seguito di una lesione); l’occhio sinistro è normale Risultati: - Nessun segno di riorganizzazione corticale - L’unica alterazione è che i neuroni binoculari che si rappresentano l’area lesionata ora rispondono solo all’altro occhio, per la stessa porzione del campo visivo (in accordo con quanto osservato da H&W) Seconda fase : enucleazione dell’occhio sano (rimozione – perché suturare un occhio o toglierlo nell’animale adulto non è la stessa cosa perché nella prima c’è ancora attività elettrica da stimolare i neuroni corticali) e registrazione dopo 2-6 mesi Riorganizzazione della mappa retinotopica a livello corticale: Tutti i cerchi sono i campi recettivi delle cellule che si stanno registrando in corteccia. Hanno registrato i neuroni delle file 4 e 5. In nero i campi recettivi dei neuroni che prima rispondevano all’area corrispondente a quella danneggiata. I campi recettivi si sono spostati oltre l’area danneggiata in modo da continuare a ricevere un normale input visivo. In bianco normali campi recettivi di neuroni che mappano porzioni retiniche distanti da quella lesionata. Dopo la lesione se io vado a registrare dagli stessi neuroni questi non stanno in silenzio, iniziano però a rispondere a porzioni del campo 27 Plasticità e Apprendimento - Vengono testati - Poi si procede ad enucleazione (vengono quindi ritestati subito dopo) Dopo due mesi in cui l’occhio sano è rimasto attivo non è avvenuta nessuna riorganizzazione della topografia corticale. Appena l’occhio sano viene enucleato ha luogo immediatamente la riorganizzazione corticale con lo spostamento dei campi recettivi in zone limitrofe alla lesione. Conclusioni I risultati indicano che solo poche ore dopo la lesione retinica che depriva una parte della corteccia di input sensoriale si può osservare una profonda riorganizzazione corticale della zona deprivata (poche ore dopo) Perché questa riorganizzazione avvenga è necessaria una deprivazione binoculare, locale (occhio lesionato) e totale (occhio enucleato) La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni pre-esistenti, normalmente silenti a causa di meccanismi competitivi I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale (cfr. lavori di Pascual e Leon con la modalità tattile e visiva) I meccanismi che consentono la riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio possono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio → quando questa rimane normale Si vanno adesso ad analizzare i lavori che provano a vedere se ci sono delle alterazioni della mappa corticale, non in seguito a una riduzione di stimolazione ma in seguito ad un aumento di stimolazione. Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denervazione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale; la parte della corteccia somatosensoriale che si rappresentava originariamente l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati. Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino. Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: - Le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si organizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale 30 Affinché ci sia una riorganizzazione in questo tipo di paradigma è necessario avere una lesione definitiva: uno scotoma in un occhio e l’assenza dell’altro occhio: in questo caso allora sì che i neuroni mostrano delle preferenze per porzioni del campo visivo adiacente allo scotoma. Plasticità e Apprendimento - A seguito della riorganizzazione non rimangono più parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico - La parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti alle zone deafferentate Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, possiamo chiederci se analoghe modifiche corticali possano essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o disconnessione. Se io aumento la stimolazione in un certo canale sensoriale si osserva la stessa espansione della corteccia? Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990): Functi onal Reorganizati on of Primary Somatosensory Cortex in Adult Owl Monkeys aft er Behaviorally Controlled Tacti le Sti mulati on I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organizzazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale la corteccia si riorganizza. È possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimolazione, possa produrre alterazioni corticali? JENKINS e colleghi verificano quest’ipotesi testando gli effetti di un allenamento tattile sulla corteccia somatosensoriale (area 3b) della scimmia adulta • La stimolazione è ristretta ad una porzione limitata delle dita della mano (2 falangi) • 6 scimmie adulte • Viene esposta la corteccia 3b e vengono impiantati gli elettrodi per mappare l’attività elettrica prodotta dalla stimolazione della mano Un disco rotante che ha vari settori con rugosità diverse e girando produce appunto una stimolazione tattile. Apparato sperimentale e compito tattile: il compito della scimmia era quello di toccare per circa 15 secondi il disco in rotazione senza bloccarlo. Se lo faceva la scimmia riceveva un reward (ricompensa) che consisteva in cibo. Il disco, che ruotava ad una frequenza di 1Hz, aveva settori con due diverse superfici. L’animale eseguiva correttamente il compito ed in media otteneva circa 600 pellet in 24Hr. Quindi in totale sono 109 giorni di allenamento. Risultati: allargamento della rappresentazione corticale dei settori delle dita stimolate, in particolare dell’indice (2d) e del medio (3d) essendo le dita maggiormente utilizzate per toccare il disco che ruotava. Di minor estensione anche il dito anulare (4d). Questo risultato dimostra in effetti che una stimolazione consistente e continuata delle falangi delle dita della scimmia produce un aumento dell’area corticale deputata all’analisi delle informazioni che arrivano da queste falangi. 31 Plasticità e Apprendimento Un’analisi più approfondita ha confermato i risultati più generali precedenti perché trovano che l’allargamento dipende dalla quantità della stimolazione. La falange 2D era sempre (100%) stimolata a contatto con il disco. La falange 3D solo il 50% delle volte. La falange 4D meno del 20%. Quello che loro si aspetta che questa quantità modulata di stimolazione si rifletta anche a livello di riorganizzazione corticale: Prima Dopo 2D (indice) 0,32mm² 0,92mm² +200% 3D (medio) 0,48mm² 0,63mm² +33% 4D (anulare) 0,42mm² 0,53mm² +25% Non solo in linea generale si trova un aumento dell’area corticale a seguito della stimolazione sensoriale ma coerentemente con il fatto che quell’aumento dipende dalla stimolazione sensoriale si osserva anche che l’aumento è in qualche modo proporzionale alla quantità di stimolazione avvenuta attraverso le dita: l’allargamento dipende dalla quantità di stimolazione. Così come l’uso produce un reclutamento di maggior popolazioni di neuroni, il disuso fa tornare le popolazioni corticali al loro stadio originario. Il sistema è plastico: aumenta la quantità di area se c’è una iperstimolazione mentre se viene sospesa l’attività allora l’area corticale ritorna ai livelli di espansione di prima. L’incremento dell’area dipende dall’uso ed è reversibile se l’uso viene sospeso. Dovevano verificare se effettivamente questo aumento dell’area corticale dipendesse effettivamente dalla stimolazione: Esperimento di controllo in cui il disco rimane fermo mentre la scimmia lo tocca per 15 secondi: nessun cambiamento corticale di rilievo. Il settore 3D stimolato per solo contatto con il disco non presenta aumenti sostanziali dopo 109 giorni di allenamento. Questo è un dato che attesta la necessità di una stimolazione attiva. Calcolo del fattore di magnificazione corticale: area corticale di rappresentazione / superficie tattile stimolata Effetti sulla dimensione dei campi recettivi dei neuroni corticali: - Aumento dell’area corticale deputata all’analisi della stimolazione a cui sono sottoposte le falangi - Aumento proporzionale alla quantità di stimolazione - Non c’è aumento dell’area corticale se non c’è un’opportuna stimolazione (quindi al di là del toccare il disco c’è bisogno anche che giri) - Così come stimolando osservo plasticità perché aumenta l’area se smetto osservo comunque plasticità perché l’area si riduce Normalmente esiste una relazione inversa tra ampiezza dell’area corticale e dimensione dei campi recettivi dei suoi neuroni: ad esempio la corteccia visiva primaria ha una zona “dedicata” alla fovea particolarmente più grande rispetto alla zona periferica ma è anche quella che possiede i campi recettivi più piccoli perché dedicare maggior porzione di corteccia significa che quell’informazione rilevante della stimolazione visiva viene modificata non solo in quantità di neuroni ma anche perché quei neuroni hanno campi recettivi più piccoli. E quindi dove io iperstimolo cambia la quantità di neuroni ma cambia anche la dimensione dei campi recettivi di questi neuroni? i risultati sono in linea con questa predizione, perché ha senso immaginare che il cervello della scimmia migliori la sua capacità discriminativa e lo si fa solo 32 Plasticità e Apprendimento Conclusioni: - I risultati del lavoro di Recanzone e collaboratori confermano quelli dello studio precedente dei Jenkins - Si dimostra che la rappresentazione corticale somatosensoriale può essere modificata dalla stimolazione sensoriale, ma solo per lo specifico sito di stimolazione - Si dimostra inoltre che non basta che tale stimolazione avvenga passivamente, ma deve essere una stimolazione rilevante per l’animale (cioè elaborata attraverso l’attenzione). L’attenzione gioca quindi un ruolo cruciale nel modulare la plasticità corticale Come si comporta la corteccia uditiva? Esistono evidenze che anche la corteccia uditiva si riorganizza tonotopicamente a seguito di lesioni cocleare specifiche che impediscono la percezione di certe frequenze. In uno studio del 1993 Recanzone e collaboratori dimostrano una analoga riorganizzazione tonotopica a seguito di un training su di una specifica frequenza (stimoli di tipo acustico). Lo studio di RECANZONE (1993): Plasti city in the frequency representati on of the primary auditory cortex following discriminati on training in adult owl monkeys Soggetti: scimmie adulte, allenate per vari giorni a distinguere stimoli di una certa frequenza target (frequenza acustica); alla fine del training registrazione da A1 (corteccia uditiva primaria). Confronto dell’ampiezza della zona di corteccia che si rappresenta la frequenza stimolata tra scimmie allenate e non allenate. Risultati: PSICOFISICA: l’allenamento produce un miglioramento della prestazione discriminativa che si traduce in una riduzione della differenza di frequenza tra target e non target. Diminuzione della soglia: giorno dopo giorno la differenza tra stimolo test e stimolo non target per ottenere l’80% di risposte giuste diventa sempre più piccola. In parallelo al miglioramento di prestazione, l’allenamento induce una espansione dell’area corticale che si rappresenta la frequenza allenata, ma non se presentata passivamente. Solo nel gruppo di scimmie esposte alla frequenza di 2,5 Hz che facevano il compito si mostra un’espansione dell’area corticale e non in quelle stimolate passivamente. Questo dato sembra essere in accordo con quanto visto con Recanzone: se c’è attenzione c’è remapping altrimenti se questa è assente non avviene. Gli studi appena visti dimostrano che un allenamento percettivo, che porta ad una migliore discriminazione, si accompagna ad una espansione corticale dell’area coinvolta: almeno nella modalità tattile e uditiva. 35 Abbiamo visto che lesioni periferiche (nervi della mano o porzioni della retina) inducono una riorganizzazione topografica della corteccia, sia somatosensoriale (SI) che visiva (V1) → Merzenich e Kaas Esistono inoltre evidenze che la corteccia somatosensoriale si riorganizza anche a seguito di una iperstimolazione attiva di alcuni distretti corporei → Jenkins e Recanzone Plasticità e Apprendimento Tuttavia non è ovvio se la relazione vale anche in senso opposto, cioè se un incremento dell’area corticale coinvolta si accompagni sempre ad un aumento della capacità discriminativa. Alcuni studi non hanno trovato tale relazione (aumento dell’area tramite microstimolazione). Una possibilità è che la differenza stia nel tipo di meccanismo che determina l’aumento dell’espansione corticale (può darsi che non ci sia un unico meccanismo che determina l’espansione corticale): il problema viene affrontato in uno studio di THOMAS e collaboratori, nel quale si vuole vedere se un aumento dell’area corticale tramite esposizione a rumore bianco passivo si traduce in un aumento di prestazione. Modifying the adult rat tonotopic map with sound exposure produces frequency discriminati on defi cits that are recovered with training Soggetti: 6 gruppi di ratti (3,5 - 6 mesi) • 3 gruppi UnTrained (UT) - 1 gruppo 3 settimane in ambiente standard (Naive UT) - 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN (white noise) + 1 settimana a tono di 7KHz (7KHz UT) - 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 15KHz (15KHz UT) • 3 gruppi Trained (T) - 1 gruppo 3 settimane in ambiente standard + 10 settimane di training a 7KHz (Naive T) - 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 7KHz + 10 settimane di training a 7KHz (7KHz T) - 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 15KHz + 3 settimane di training con toni leggermente diversi o uguali a 7KHz Il training: tono target presentato nel 20% dei trial, nel restante 80% è un tono diverso. Se presente target il ratto deve inserire il naso in una apertura per ricevere il reward. È un compito in cui l’animale deve dire se c’è un tono differente dal resto e i falsi allarmi sono sufficienti per valutare la capacità discriminativa dell’animale • Target presente e inserimento: HIT • Target presente e non inserimento: MISS • Tono diverso e inserimento: FA • Tono diverso e non inserimento: CR • Analisi della prestazione con d’ Schema stimolazione gruppi a 7KHz: 36 Plasticità e Apprendimento Dopo la fase di esposizione passiva e dopo la fase di training (per i gruppi allenati) si registrava dalla corteccia uditiva primaria: mappatura della risposta a varie frequenze da 0,75KHz a 70KHz. Usano uno spettro di frequenza e vanno a vedere quali porzioni della corteccia rispondono alle varie frequenze. Risultati: la semplice esposizione passiva al tono di 7KHz induce una espansione l’area corticale che rappresenta tale frequenza. Ma l’esposizione passiva al tono di 7KHz riduce l’effetto del training discriminativo. Zone verdi rappresentano le aree che rispondono in modo caratteristico alla frequenza di 7KHz.: gli animali esposti per una settimana a questa frequenza ha un’espansione dell’area corticale che risponde a quella frequenza rispetto agli animali che non hanno mai sentito il tono di 7kHz. l’esposizione passiva al tono di 7KHz aumenta l’area dedicata, ma riduce il perceptual learning: C rispetto ad A. Un aumento analogo si osserva anche come risultato di puro perceptual learning (B): • B rispetto ad A, simile a C • Quindi le due espansioni non sono qualitativamente equivalenti perché c’è una diminuzione della capacità discriminativa: non sempre un aumento dell’area corticale si accompagna ad un miglioramento della capacità discriminativa – tutto dipende da com’è avvenuto l’aumento dell’area corticale. Se è avvenuta con perceptual training allora mi porto dietro l’aumento dell’area corticale e aumento della capacità discriminativa, ma ci sono casi in cui io posso indurre un aumento dell’area corticale che va in direzione opposta per quanto riguarda la capacità discriminativa. Tutto dipende da com’è avvenuto quell’aumento dell’area corticale. • Un aumento analogo si osserva come risultato di puro perceptual learmning (IB): l’aumento di area corticale prodotta dall’esposizione a quello stimolo non è sempre accompagnato da un miglioramento. Conclusioni: • Anche la corteccia uditiva mostra la capacità di riorganizzarsi non solo a seguito di lesioni ma anche in risposta ad un allenamento specifico (per una certa frequenza) • Un aumento della corteccia non è però una plasticità che si traduce automaticamente in un vantaggio percettivo 37 Plasticità e Apprendimento È possibile però che la plasticità del sistema nervoso sia tale da consentire modifiche anche della proprietà di base dei campi recettivi dei neuroni? Queste sono caratteristiche definite geneticamente che vengono consolidate durante il normale sviluppo (deprivazione esclusa). Possono essere modificate? Plasticità dei campi recettivi – Definizione di campo recettivo: parametri dello stimolo sensoriale in grado di alterare l’attività fisiologica della cellula, tipicamente la sua probabilità di risposta. Parametri che definiscono il campo recettivo: posizione, colore, orientamento, direzione di movimento, contrasto, frequenza etc. - Plasticità e apprendimento sono due concetti e fenomeni intimamente connessi - Da un lato possiamo vedere la plasticità, almeno in alcune sue forme, come un modo in cui il cervello apprende a rispondere a nuove condizioni di stimolazione - Dall’altro è evidente che l’apprendimento necessariamente richiede alcune modifiche del cervello, e quindi un certo grado di plasticità - In ultima analisi qualsiasi forma di apprendimento deve trovare una spiegazione a livello neurale. - È quindi necessario ipotizzare un qualche meccanismo che consenta l’apprendimento, e la plasticità, a livello del comportamento dei singoli neuroni: una riposta a questo problema è stata data da Donald Hebb nel 1949 con la sua teoria sull’apprendimento. Teoria di Hebb per l’apprendimento: la teoria Hebbiana (1949) spiega come avverrebbe l’apprendimento (associativo) a livello neurale; descrive i meccanismi della «plasticità sinaptica», che sta alla base dell’apprendimento. La plasticità sinaptica è un processo per mezzo del quale un incremento dell’efficacia sinaptica è prodotto dalle persistenze e ripetuta stimolazione del neurone postsinaptico da parte dei quello pre-sinaptico. La regola di Hebb: qualsiasi coppia di cellule o sistema di cellule che sono ripetutamente attive allo stesso momento tendono a diventare «associate», così che l’attività di una facilita l’attività dell’altra. Quando una cellula interviene ripetutamente nell’indurre la scarica in un’altra, l’assone della prima cellula sviluppa bottoni sinaptici (o ingrandisce quelli che ha già) in contatto con la seconda cellula → «Cellule che scaricano assieme tendono ad essere collegate assieme» Sulla base dei meccanismi di plasticità sinaptica teorizzati da Hebb, lo studio di FRÈGNAC indaga la plasticità dei campi recettivi dei neuroni: A cellular analogue of visual corti cal plasti city. Soggetti: gattini e gatti adulti Metodo: procedura di accoppiamento tra stimolo e risposta modulata da iontoforesi INTOFORESI = tecnica attraverso la quale viene modulata la risposta fisiologica della cellula ad uno stimolo. La modulazione avviene attraverso la somministrazione al neurone di correnti positive o negative. 40 Plasticità e Apprendimento
Aumento della
risposta neurale
peri SRI
Normale risposta
neurale allo stimolo -/- A 4 ceo e
sensoriale
Diminuzione della
risposta neurale
41
Plasticità e Apprendimento - Stimoli: vengono presentati uno stimolo S+ ed uno S- in grado di evocare una risposta ottimale o meno nulla cellula per quanto riguarda dominanza oculare e orientamento - Controllo: presentazione di S+ e S- senza iontoforesi - Pseudo Pairing (o pseudo condizionamento): presentazione di S+ e S- senza relazione con iontoforesi - Pairing (condizionamento): presentazione sistematica di S+ seguito da corrente positiva e S- seguito da corrente negativa 50 sequenze di S+ e S- per ogni condizione: uno stimolo evocava una risposta maggiore dall’occhio destro ed era verticale, mentre l’altro evocava una risposta maggiore dall’occhio sinistro ed era orizzontale Risultati: effetti della iontoforesi sulla risposta di dominanza oculare di un neurone monoculare sinistro → Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da prevalentemente monoculare sinistro diventa binoculare con leggera preferenza sinistra. • Effetti della iontoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento: neurone “verticale”: 42