Scarica La povertà in Italia di Chiara Saraceno, David Benassi, Enrica Morlicchio, 2022. e più Sintesi del corso in PDF di Scienze Sociali solo su Docsity! 1 LA POVERTÀ IN ITALIA Chiara Saraceno David Benassi Enrica Morlicchio 2022 Crisi finanziaria 2008 + crisi post pandemia Covid19 → 2 crisi GLOSSARIO Prefazione - Sluggish growt: “crescita fiacca” della seconda metà degli anni Novanta. Capitolo primo - Rappresentazioni sociali: insieme di valori, idee, metafore, immagini, narrazioni, credenze pratiche condivise tra i membri di gruppi sociali e comunità; - Complementarietà istituzionali: collaborazione e all'interazione tra diverse istituzioni o organizzazioni al fine di raggiungere obiettivi comuni o affrontare questioni complesse. - Economia informale: si riferisce a una parte dell'economia che opera al di fuori dei canali ufficiali e non è regolamentata o monitorata dalle autorità pubbliche. Questa componente economica può includere attività svolte da lavoratori autonomi o da piccole imprese che non sono registrate o non aderiscono completamente alle normative fiscali e legali del paese in cui operano; - Welfare capitalism: (capitalismo del benessere) si riferisce a un sistema economico e sociale in cui il governo e le imprese collaborano per fornire una gamma di servizi sociali e benefici ai cittadini al di là del semplice salario. Questo concetto combina elementi del capitalismo di mercato con un forte impegno per il benessere sociale e la riduzione delle disuguaglianze; - Male-breadwinner: modello di sostentamento in cui sono i soli uomini a guadagnare un salario familiare e a provvedere al mantenimento della famiglia, mentre le mogli si dedicano ai lavori domestici e alla gestione e alla cura dei membri della famiglia. - In-work poverty (IWP) o working poor: condizione in cui i lavoratori occupati vivono in uno stato di povertà nonostante siano impiegati. Le cause sono: salari bassi, lavoro precario, costo della vita elevato, carichi familiari. - Cluster: In statistica un "cluster" può indicare un insieme di dati o osservazioni che sono simili tra loro e diversi rispetto ad altre osservazioni al di fuori del gruppo. Nell'analisi statistica, il clustering può essere utilizzato per identificare pattern o gruppi all'interno di un insieme di dati. Capitolo secondo - Potere di acquisto: misura quanto può comprare una persona con la propria moneta nazionale o valuta in un determinato contesto economico. Per misurare il potere di acquisto in modo più accurato, si utilizza spesso l'indice dei prezzi al consumo (CPI) o altri indicatori simili, che tengono conto delle variazioni di prezzo dei beni e dei servizi nel tempo. Il potere di acquisto è influenzato da vari fattori, tra cui: inflazione, tasso di cambio, reddito, livello dei prezzi, tasse e imposte, cambiamenti nella domanda e nell’offerta. 2 - PPS: può avere diversi significati a seconda del contesto, ma uno dei più comuni è "Purchasing Power Standard" (PPS) o "Potere di Acquisto Standard" in italiano. Si tratta di un indicatore utilizzato nell'ambito dell'Eurostat (l'ufficio statistico dell'Unione europea) per confrontare il potere di acquisto tra i paesi dell'Unione Europea, riducendo gli effetti delle differenze di prezzo e delle fluttuazioni del tasso di cambio. - Trasferimenti sociali: rappresentano uno strumento di politica pubblica, hanno un carattere unilaterale e sono erogati dallo Stato, consistono in un trasferimento di beni e servizi in denaro (cash) o in natura (kind) ai cittadini beneficiari. - Austerity: qualsiasi politica di restrizione dei consumi ed eliminazione degli sprechi, attuata in periodi di crisi per ottenere il risanamento economico. - Deficit di bilancio: Nella contabilità di Stato il deficit pubblico, o disavanzo pubblico, è la situazione contabile dello Stato che si verifica quando, nel corso di un esercizio finanziario, le uscite superano le entrate ovvero il bilancio dello Stato è negativo. - Autonomia di policy: termine che si riferisce alla capacità di un'entità o di un'istituzione di prendere decisioni e implementare politiche in modo indipendente, senza essere eccessivamente influenzata o controllata da altre entità esterne. Capitolo terzo - Piano Marshall: ufficialmente chiamato piano per la ripresa europea (in lingua originale "European Recovery Program"), fu uno dei piani politico-economici statunitensi per la ricostruzione dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale. Annunciato in un discorso del segretario di Stato statunitense George Marshall il 5 giugno 1947 all'Università di Harvard, questo piano consisteva in uno stanziamento di oltre 12,7 miliardi di dollari. Capitolo quarto - Attacchi speculativi: è definita speculazione quell'attività nella quale un operatore economico entra sul mercato scommettendo sull'andamento futuro di una determinata attività al fine di trarne profitto. - Sovrarappresentare: attribuire a un fenomeno un'importanza superiore a quella che merita. - AROPE: (people at risk of poverty or social exclusion) è l’indicatore formalizzato per il monitoraggio dell’attuazione della strategia Europa 2020, formulato nel 2010 come nuovo indicatore primario di povertà ed esclusione sociale, con l’obiettivo di misurare statisticamente gli aspetti immateriali di questi temi, al fine di migliorare la valutazione dell’aspetto multidimensionale della povertà e dell’esclusione sociale; è una combinazione di tre indicatori: il tasso di rischio di povertà, il tasso di grave deprivazione materiale e il tasso di intensità di lavoro molto bassa, misurati sulla base di tre criteri: reddito, spese non monetarie e occupazione/lavoro. CAPITOLO PRIMO – I REGIMI DI POVERTÀ IN EUROPA E IL CASO ITALIANO 5 fortemente sbilanciato verso la proprietà, per accedere alla quale sono necessari un certo livello di accumulazione di capitale, l’aiuto dei genitori e la stabilità occupazionale. Questo può portare le famiglie al di sotto della soglia di povertà. Diffusione NEET → l’Italia ha il tasso di NEET più elevato a livello europeo, pari al 29,4% delle persone tra i 20 d i 34 anni, contro una media europea del 17,6%. Permane: Precarietà e irregolarità dell’occupazione fenomeno particolarmente acuto nel Mezzogiorno, in entrambi i sessi. Elevata divisione di genere del lavoro familiare. Tasso di occupazione delle donne disastroso → nel 2020 soltanto una donna italiana in età di lavoro su due aveva una occupazione, il dato peggiore dopo la Grecia e soprattutto molto lontano dalla media europea (-13,5 punti percentuali). - Forme di protezione welfare → frammentazione delle prestazioni per la disoccupazione e frammentazione e assenza di universalità di prestazioni monetarie collegate alla presenza di figli (fino al 2021), poi a marzo 2022 con la riforma dell’assegno unico le cose sono cambiate. Assegno unico e universale: Il servizio permette di richiedere un assegno per le famiglie con figli a carico fino al compimento dei 21 anni e senza limiti di età per figli disabili a carico. È rivolto a lavoratori dipendenti, autonomi, pensionati, disoccupati e inoccupati. L’ Assegno è corrisposto in base alla corrispondente fascia ISEE. Le politiche della cura (specialmente asili nido) sono meno sviluppate che in altri paesi europei e disponibili in moto disomogeneo sul territorio nazionale → sovraccarico famiglie e le donne in particolare. La povertà negli ultimi anni ha colpito anche la popolazione straniera che ha difficoltà ad accedere al sistema di protezione per tre motivi: 1- La famiglia si limita spesso al solo nucleo convivente, senza poter accedere alla solidarietà parentale allargata, e anzi, dovendo spesso aiutare i familiari rimasti nel paese d’origine; 2- La posizione degli stranieri nel mercato del lavoro è debole in quanto spesso ricoprono posizioni inferiori; 3- Spesso le norme che regolano l’accesso alle prestazioni welfare escludono gli stranieri – se non sono cittadini dell’UE- oppure ne limitano fortemente l’accesso. CAPITOLO SECONDO – I REGIMI DI POVERTÀ E LA GRANDE RECESSIONE: LO SCENARIO PRE-COVID 1_I paesi europei a confronto La rappresentazione della distribuzione della povertà può cambiare se viene utilizzato il classico indicatore dell’UE at risk of poverty (AROP) che fissa la soglia di povertà al 60% del reddito familiare disponibile, oppure se il reddito viene valutato in termini di potere di acquisto e quindi alla 6 capacità di acquistare beni e servizi con una determinata quantità di denaro in un determinato contesto economico. L’indicatore AROP però considera solamente le dimensioni del nucleo familiare, non le loro effettive economie, motivo per cui è probabile che l’indicatore sottostimi il rischio di povertà dei bambini in quanto non ne considera i bisogni specifici. Per questo motivo nel 2015 Eurostat (L'Ufficio statistico dell'Unione europea) ha introdotto altri due indicatori: 1. La deprivazione materiale 2. Nuclei familiari con bassa intensità di lavoro Si sottolinea l’importanza degli indicatori non monetari per catturare l’effettiva esperienza di povertà. Grecia, Cipro, Italia seguono i più poveri paesi dell’Europa orientale in quanto manifestano tassi elevati sia di AROP che di deprivazione materiale. 2_Tendenze preoccupanti anche prima della crisi economica del 2008 All’interno dell’UE la povertà aveva mostrato sviluppi differenziati già negli anni precedenti la crisi economica iniziata nel 2008 negli USA. 2005-08 → povertà diminuita notevolmente in 6 paesi: Polonia, Lituania, Slovacchia, Irlanda, Estonia, Repubblica Ceca. Era cresciuta in 4 stati: Grecia, Svezia, Finlandia e Germania. Nei paesi più ricchi la crescita dell’occupazione non aveva portato ad una diminuzione della povertà per due fattori: qualità e distribuzione dell’occupazione. 1995-2008 mancanza lavoro → distribuzione asimmetrica dell’occupazione; 2000 e 2008 tasso di inattività diminuito in tutti i paesi (in particolare Italia) eccetto Romania. Tuttavia questo sviluppo positivo ha ridotto la polarizzazione tra famiglie ricche di lavoro e famiglie povere di lavoro solo in alcuni paesi (Regno Unito) Terzo fattore → ruolo dei trasferimenti sociali nella riduzione del rischio di povertà tra la popolazione in età da lavoro a livello individuale e familiare. Per riassumere: tutti i paesi che già avevano livelli di occupazione elevati (per entrambi i sessi) e una buona copertura di prestazioni sociali, prima del 2008 avevano già iniziato un processo di polarizzazione tra famiglie ricche di lavoro e famiglie povere di lavoro. La crisi del 2008 ha spinto i paesi in direzioni divergenti: alcuni paesi non sono stati quasi colpiti (Svezia, Belgio e Paesi Bassi) ; altri solo in parte per un breve periodo (Germania); altri colpiti pesantemente (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda). 3_L’impatto della grande recessione Paesi del regime continentale-nordico → meno colpiti dalla crisi (eccezione Irlanda); Paesi mediterranei, orientale e orientale deprivato avevano sistemi di welfare meno predisposti per fronteggiare l’impatto della crescita dell’insicurezza economica e della povertà. Grecia paese di gran lunga più colpito, seguita da tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania). 7 I paesi mediterranei si sono contraddistinti per il numero di indicatori negativi: gravità della recessione economica, lunga durata della crisi e lento recupero. Allo scoppio della crisi l’Italia stava già sperimentando una riduzione dell’occupazione nel Mezzogiorno, quindi un allargamento dei divari territoriali. - Crescita della disoccupazione tra i giovani → livello UE i giovani sono stati colpiti più duramente rispetto al resto della popolazione. I paesi mediterranei i peggiori a riguardo. - Numero di lavoratori poveri su base familiare → cresciuto in molti paesi, a causa perdita posti lavoro. Romania e Italia i peggiori (già più alta incidenza nel 2008). Modalità con le quali i sistemi di welfare nazionali hanno contrastato la crescita del rischio di povertà generato dalla crisi sono state un test fondamentale per misurare la loro efficacia. C’è stata una riduzione del livello di vita di tutti a partire dalla crisi. Òlafsson e Stefánsson (2019) utilizzano un indicatore basato su 3 dimensioni: povertà economica, difficoltà di soddisfare i propri bisogni e deprivazione materiale. Prendono in considerazione 4 anni: 2007, 2010, 2013 e 2015: - 4 paesi scandinavi: Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia → cambiamenti limitati; - Paesi mediterranei deprivazione economica → indicatore cresciuto fino al 2014; - Paesi Europa orientale → tendenze disomogenee. Dunque riassumendo: nei paesi mediterranei impatto è stato più forte sui gruppi a basso reddito → i poveri stavano molto peggio dopo la crisi rispetto a prima. In Estonia, Ungheria e Slovacchia la crisi ha accresciuto la polarizzazione. In un certo numero di paesi non ci sono stati effetti visibili sui diversi gruppi di reddito. Caso della Svezia interessante → tutti i gruppi di reddito hanno guadagnato, molto di più i ricchi (negli anni 80 tendenza crescita della disuguaglianza; una volta era il paese più ugualitario). Modalità con le quali i governi hanno risposto alla crisi, orientati a salvare istituzioni finanziarie e ad aumentare la spesa sociale per fronteggiare la crescita disoccupazione. RISPOSTA → drastiche misure di austerità, tagli rilevanti della spesa pubblica. Paesi gravemente colpiti gravemente dalla crisi (all’interno dell’Eurozona) costretti ad accettare accordi con istituzioni finanziare internazionali (FMI e UE). I programmi di aggiustamento hanno imposto condizioni che richiedevano di ridurre il deficit di bilancio, rinunciando così all’autonomia di policy (indipendenza delle decisioni) e limitando la capacità di fornire protezione sociale alla popolazione. 4_I paesi mediterranei: somiglianze e differenze nelle risposte di policy I paesi mediterranei non hanno modificato le caratteristiche preesistenti dei loro sistemi di welfare a causa della crisi del 2008: - Elevata frammentazione delle prestazioni - Sbilanciamento verso le pensioni - Debolezza o assenza di schemi di reddito minimo per i poveri - Centralità dei legami di solidarietà familiare 10 3_La povertà: tema negletto (trascurato) durante gli anni del miracolo economico Meno di un decennio dopo si verifica un generale miglioramento delle condizioni di vita del paese → “Miracolo economico” (compreso tra i primi anni '50 e i primi anni '60 del '900). Dal 1968 clima di notevole ottimismo → intensità processo di modernizzazione avvicinò Italia agli altri paesi europei; espansione rami industria italiana attrasse nel triangolo industriale (Milano, Torino, Genova) flusso di contadini e pastori poveri. Di conseguenza questione povertà sembrava appartenere al passato, veniva percepita come un fenomeno residuale che sarebbe stato superato con il procedere dello sviluppo economico e sociale. Non era né una questione di dibattito pubblico né oggetto di ricerca. Quando gli anni del miracolo economico giunsero alla fine (crisi petrolio 1973 e 1979-80) riduzione consistente della povertà → crescita debito pubblico: lo Stato espanse la spesa sociale, soprattutto quella pensionistica, ma anche quella per sussidi di disoccupazione e congedi di maternità. Tra 1970 e 1980 il debito pubblico passò dal 37,1 al 56,1% del PIL. 4_La riscoperta della povertà tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta Alla fine degli anni Settanta, sebbene la questione della povertà fosse ancora assente nell’arena politica e nel dibattito pubblico, cominciò a crescere l’interesse per il tema nell’ambito della ricerca sociologica. Centro-Nord: povertà riguardava famiglie composte da uno o due anziani, in contesti urbani o industriali, unica fonte di reddito una pensione minima, di invalidità e di reversibilità. Sud: famiglie numerose con minori → povertà causata da squilibrio tra entrate e bisogni familiari, precarietà e insufficienza redditi di lavoro, mancanza sussidi di disoccupazione e forme di sostegno alla famiglia. Fenomeno dei working poor ancora diffuso al Sud. 1984 → Governo centro sinistra guidato da Bettino Craxi istituì una Commissione d’indagine sulla povertà. Venne pubblicato il rapporto Gorrieri, che costituirà un punto di riferimento importante negli studi sulla povertà in Italia. In quegli anni la popolazione urbana era cresciuta mentre quella agricola si era fortemente ridotta, e la povertà non era più una condizione limitata soprattutto ai contadini poveri. CAPITOLO QUARTO – LE TENDENZE DI LUNGO PERIODO DALL’INIZIO DEGLI ANNI NOVANTA 1_La crisi del 1992: un punto di svolta Punto di svolta del lungo trend discendente dell’incidenza della povertà del dopoguerra sono state: 1. Svalutazione della lira Italiana 1992 a causa debito pubblico alzato al 95,2% nel 1990; 2. Uscita dell’Italia dal Sistema monetario europeo a seguito di attacchi speculativi. Svalutazione lira ha avuto un impatto su: 1- Tassi di occupazione e livelli salariali; 2- Distribuzione del reddito; 3- Forte politica di austerità → tagli radicali spesa pubblica e aumenti tassazione. 11 A partire dalla seconda metà anni 90 due cambiamenti paralleli e simmetrici nel profilo dei poveri: - I minorenni sono diventati i gruppi di età con la più alta incidenza relativa di povertà; - Sovrarappresentazione degli anziani tra i poveri è diminuita, grazie al sistema pensionistico nella tutale deli anziani e crescente stabilizzazione delle carriere lavorative maschili. 2_Il Mezzogiorno come caso specifico e rappresentativo L’esistenza di un divario regionale così ampio non è specifica solo dell’Italia, ma solo qui è stato così stabile e addirittura crescente nel tempo. La situazione general era di: carenza di beni pubblici, debolezza delle opportunità nel mercato del lavoro e sbilanciamento del sistema di welfare. La rete familiare rimaneva oggetto di aspettative di redistribuzione delle risorse lungo tutto il corso della vita. Con la crisi finanziaria sono aumentate sia le disuguaglianze tra Mezzogiorno e Centro-Nord sia quelle all’interno dello stesso Mezzogiorno. La povertà in Italia colpisce le famiglie con due o più componenti in misura maggiore rispetto a chi vive da solo e che la presenza dei figli rappresenta un rischio specifico. Laddove quelle caratteristiche elencate precedentemente sono accentuate dalle condizioni di contesto, come avviene nel Mezzogiorno, la povertà diventa generalizzata. In questa prospettiva si potrebbe sostenere che il Mezzogiorno sia un caso specifico all’interno del regime di povertà italiano, data la concentrazione di condizioni negative e al contempo la sua esemplificazione estrema, nella misura in cui evidenzia le debolezze del modello sociale italiano in quanto tale. 3_Cambiamenti nella composizione per età dei poveri Metà degli anni 90 la Commissione sulla povertà scoprì che i minorenni e i giovani avevano superato gli anziani quale fascia di età a maggiore rischio di povertà. In primis a causa dell’orientamento per età del sistema di protezione sociale italiano che favorisce gli anziani. E in secondo luogo perché con la stagnazione dell’economia italiana per i giovani è stato sempre più difficile entrare nel mercato del lavoro e ottenere un lavoro sicuro, considerando anche il fatto che questo tipo di lavoratori non era coperto da alcuna forma di assicurazione contro la disoccupazione e al termine del contratto rimaneva senza protezione. (Le cose sono in parte cambiate con il governo Renzi nel 2014 grazie ad una forma sperimentale di indennità di disoccupazione per coloro che avevano un contratto con un solo datore di lavoro). Per il resto però questa fascia rimane la più esposta al rischio di povertà. 4_L’impatto complessivo della crisi finanziaria Durante i primi anni della crisi e fino al 2011 l’incidenza della povertà relativa ha mostrato variazioni minime. L’aumento più eclatante si è verificato per quanto riguarda la povertà assoluta, misurata dal costo di un paniere di beni. È più che raddoppiata tra il 2008 e il 2018 diminuendo leggermente solo nel 2019 per poi risalire l’anno dopo sotto l’impatto della pandemia. 1. Il primo anno della crisi indotta dalla pandemia Covid-19 ha visto un aumento della povertà assoluta in misura maggiore al Nord rispetto al Centro e al Mezzogiorno → si è ridotta la 12 distanza tra Nord e Mezzogiorno, anche grazie alla maggiore diffusione del Reddito di cittadinanza nel secondo. 2. Perdita di posti di lavoro maschili → aumento partecipazione donne alla forza lavoro. Questo non è sempre sufficiente per compensare la perdita di reddito familiare, visti i salari e le posizioni lavorative mediamente inferiori delle donne rispetto a quelli degli uomini. 3. Perdita posti di lavoro ha interessato in particolare i giovani→ tasso di disoccupazione alle stelle + NEET. 4. Nell’UE il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è diminuito e nel 2018 è stato addirittura inferiore a quello del 2008 → in Italia invece nel 2018 il numero era ancora molto più alto rispetto al 2008, a riprova della maggiore difficoltà che l’Italia ha nel recuperare la situazione precedente la crisi. 5. Costi abitativi fortemente aumentati → povertà abitativa. 6. Senza fissa dimora aumentati a seguito della seconda ondata della crisi 7. Aumento crescente deprivazione materiale → famiglie che hanno dovuto ricorrere a enti di beneficenza per soddisfare bisogni alimentari di base, occasionalmente o regolarmente, di conseguenza sono aumentate le associazioni che si dedicano a fornire cibo a persone e famiglie in difficoltà 8. Vulnerabilità agli eventi imprevisti aumentata notevolmente Infine per quanto riguarda le regioni del Sud molti si chiedono se hanno raggiunto un punto di non ritorno, in quanto il capitale umano che sarebbe necessario per invertire il declino si sposta altrove perché non trova opportunità accettabili. 5_Da una crisi all’altra Marzo 2020 pandemia Covid-19 lockdown Italia non aveva ancora recuperato sul piano economico e del mercato del lavoro le perdite provocate dalla più lunga e grave crisi economica dal secondo dopoguerra. Né il tasso di occupazione, né i livelli di reddito, né il PIL erano tornati ai valori pre- 2008. I rischi di povertà erano aumentati: il ruolo protettivo della solidarietà familiare e parentale era emerso come cruciale, mogli e madri inattive erano entrate nel mercato del lavoro per compensare la perdita dei posti di lavoro maschili, nel 2019 in Italia il 64% dei giovani tra i 18 e i 34 anni viveva ancora con le famiglie di origine, nel 2020 l’età media dell’uscita dalla famiglia è rimasta ampiamente al di sopra della media europea. Il regime di povertà italiano si è dunque presentato alla prova della pandemia sostanzialmente non intaccato dalle caratteristiche di fondo (è rimasto tutto uguale). Cosa è accaduto nel corso del 2020 in rapporto all’anno precedente? Le principali differenze tra l’impatto della crisi del 2008 e quello della crisi socioeconomica e sanitaria possono essere riassunte nei seguenti punti: 1. Lasso di tempo più breve intercorso tra la crisi pandemica e l’aumento della povertà assoluta → mentre nel 2008 trascorsero 4 anni dalla recessione, nel 2020 vi è stato un chiaro e immediato aumento della povertà assoluta. 2. L’aumento della povertà ha riguardato più il Nord. 3. Al Nord il peggioramento riguarda tutte le famiglie (italiane e con membri stranieri), nel Mezzogiorno solamente nel caso delle famiglie italiane 15 2001 → aumentati a 2,3%. Negli ultimi anni è cresciuto ancora di più. Secondo gli ultimi dati del 2021 la nazionalità principale è costituita da cittadini rumeni poi Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Sono principalmente occupati in edilizia, agricoltura e lavoro domestico. La popolazione straniera legalmente residente non è distribuita in modo uniforme sul territorio (motivo per cui la crescita della povertà assoluta è maggiore nelle regioni del Nord, dove si concentrano gli immigranti legalmente residenti): nel 2021 34% viveva nelle regioni Nord-Ovest, il 25% Nord-Est, 24% Centro e 17% nel Mezzogiorno. Le donne sono più numerose degli uomini. La ragione per cui i migranti (regolarmente presenti) sono maggiormente a rischio di povertà rispetto agli italiani risiede nel fatto che, come molti studi hanno mostrato, tendono a concentrarsi nelle posizioni inferiori del mercato del lavoro. Percepiscono i salari più bassi e rimangono più a lungo nell’economia informale. Inoltre i migranti non dispongono delle reti della famiglia estesa, ma allo stesso tempo hanno spesso degli obblighi nei confronti dei componenti della famiglia estesa che sono rimasti nel paese d’origine. A questo si aggiunge che in media le dimensioni delle loro famiglie sono maggiori di quelle delle famiglie italiane. La crisi finanziaria ha confermato e rafforzato lo svantaggio degli stranieri rispetto agli italiani nell’esposizione alla povertà. Nel 2019 l’incidenza della povertà assoluta è diminuita anche nelle famiglie con componenti stranieri, probabilmente perché una parte di queste famiglie ha maturato i requisiti di residenza (dieci anni) richiesti agli stranieri per accedere al reddito di cittadinanza. Gli effetti economici e sul mercato del lavoro della pandemia sono stati particolarmente negativi per gli stranieri, a causa della loro concentrazione in occupazioni che hanno subito un fermo (ad esempio l’edilizia) o che è stato difficile continuare a svolgere a causa dei vincoli alla mobilità (nel caso di domestiche e badanti). CAPITOLO SESTO- LO SVILUPPO TARDIVO DELLE POLITICHE DI CONTRASTO DELLA POVERTÀ 1_La debolezza dell’assistenza sociale nel sistema welfare italiano L’approccio di politica pubblica alla povertà in Italia è stato storicamente debole, frammentato e indiretto: il ruolo limitato dello Stato nel contrasto della povertà può essere spiegato attraverso una combinazione di altri elementi che caratterizzano il modello sociale Italiano: 1- L’importanza della solidarietà familiare, anche al di là dei confini del nucleo convivente; 2- Un sistema di protezione sociale fortemente categoriale e sbilanciato verso le prestazioni basate sui contributi, e soprattutto sulle pensioni; 3- La delega dell’assistenza sociale, anche sul piano finanziario, agli organi di governo locale, agli organismi caritatevoli e filantropici e al terzo settore. Un fenomeno particolare è quello della forte incidenza delle pensioni sul totale della spesa sociale: nel 2019 la spesa di welfare a favore degli anziani era pasi quasi a 5.000€ rispetto ad una media europea di 4.000€, pari rispettivamente a oltre il 58% di tutta la spesa di welfare in Italia. 16 Un aspetto significativo dell’approccio italiano al contrasto della povertà riguarda la ripartizione delle competenze istituzionali tra lo Stato centrale e gli organi di governo locali, le regioni e i comuni. Le prestazioni di tipo assicurativo (pensioni, sussidi di disoccupazione e assegni familiari) → competenza dello Stato centrale. Servizi di cura e prestazioni di assistenza sociale → delegati alle autorità locali, all’interno di un quadro normativo debole. Ci sono enormi differenze tra regioni e all’interno delle stesse regioni in merito alla disponibilità delle prestazioni monetarie e servizi alle persone e famiglie: regole di accesso, generosità, livello di finanziamento, grado di discrezionalità degli operatori e durata delle prestazioni → sviluppo locale dell’assistenza sociale estremamente differenziato e diseguale. La debolezza dell’assistenza sociale all’interno del sistema di welfare italiano è resa evidente dalle vicende del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), il principale canale di finanziamento delle regioni e dei comuni, istituito nel 1996 durante il primo governo Prodi di centrosinistra, raggiunse nel 2002 il finanziamento massimo per poi diminuire molto rapidamente arrivando quasi a zero nel 2012. Per questo motivo con il fine di trovare una compensazione alla scarsità delle risorse, le regioni e le municipalità hanno dovuto utilizzare la tassazione locale per finanziare i servizi sociali. In questo modo però vengono favorite le zone più ricche (più dinamismo economia locale) e penalizzate quelle più povere. In conseguenza della combinazione tra la forte delega delle politiche di assistenza sociale ai governi locali, un basso e calante finanziamento, unitamente ad ampie differenze territoriali in termini di reddito e ricchezza, l’impegno nel contrasto della povertà in Italia è stato a lungo molto debole e in parte iniquo. 2_La lunga e accidentata marcia delle misure di sostegno al reddito Alla fine della seconda guerra mondiale la Repubblica Italiana ereditò una complessa rete di istituzioni di welfare nella quale non era chiara la distinzione tra competenze pubbliche e competenze private, tra Stato e organismi religiosi. L’articolo 3 e 4 della Costituzione affermavano la responsabilità dello stato nella rimozione degli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto il pieno sviluppo degli esseri umani (art.3) e il dovere di garantire a ciascun cittadino il diritto al lavoro, approntando i necessari servizi per la realizzazione di tale diritto (art.4). questi principi però non sono mai stati interpretati come presupposti per l’introduzione di un reddito minimo o di un lavoro garantito. Ci furono dei ritardi attuativi sia per gli anziani poveri che dovettero aspettare fino al 1969 per l’introduzione della pensione sociale non contributiva (assegno sociale) e il 1954 per le persone con grave disabilità venne stabilito un sostegno economico, fino alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che offrì il presupposto per l’introduzione di una prestazione basata su una prova dei mezzi (assegno di invalidità civile poi assegno mensile di assistenza). 17 Nel 1988 tentarono di introdurre uno schema di reddito minimo (Assegno familiare), l’importo era variabile in funzione del reddito e delle dimensioni del nucleo familiare, ma l’assegno soffriva di due principali limiti: 1- Escludeva le famiglie di lavoratori autonomi a basso reddito. 2- La prova dei mezzi su base familiare implicava che l’assegno per il nucleo familiare costituisse un disincentivo al lavoro aggiuntivo di un secondo componente del nucleo familiare (oppure incoraggiasse l’ingresso nell’economia irregolare), soprattutto nelle fasce di reddito più basse e tra le famiglie di maggiori dimensioni. In sintesi a cavallo della fine del secolo, in assenza di una misura di sostegno del reddito universale destinata ai poveri, le prestazioni esistenti non erano né universalistiche né specificatamente ed efficacemente destinate ai poveri, anche se erano molto spesso basate su una prova dei mezzi. La frammentazione categoriale e un targeting confuso configuravano una rete di sostegno con molte lacune e in alcuni casi orientata a una redistribuzione inversa. In assenza di una misura nazionale alcuni comuni nel corso degli anni hanno introdotto schemi di reddito minimo o su base categoriale, con misure differenti destinate a gruppi di beneficiari diversi (come a Milano) o con misure uniche per tutti i poveri (come Bolzano e Torino). Nella prima metà degli anni Novanta solo il 59% dei comuni italiani offriva contributi economici non occasionali alle famiglie povere. Nel corso degli anni alcune regioni cominciarono a intervenire in questo campo, nonostante le misure fossero molto eterogenee tra loro in merito all’ammontare della prestazione, ai criteri di accesso, agli obblighi dei beneficiari e alla durata. 3_Le risposte della politica nazionale alla crisi finanziaria del 2008 Nelle prime fasi della crisi finanziaria (2008-10) il governo italiano introdusse alcune misure anticicliche, alcuni strumenti esistenti (Cassa integrazione e sussidi di disoccupazione) furono rafforzati senza però una riforma del sistema di assistenza sociale che rimase frammentato. Nello specifico per i poveri nel 2008 fu introdotta una Social card (carta acquisti) come misura di emergenza. Si trattava di una carta prepagata a somma fissa (40€ mensili) vincolata alla prova dei mezzi dei richiedenti. Era destinata inizialmente agli anziani ultrasessantacinquenni a basso reddito e successivamente fu allargata alle famiglie a basso reddito. Nella seconda fase della crisi finanziaria (2011-14) → crisi del debito sovrano e profonda recessione, i vari governi adottarono una serie di misure di austerità fiscale. Nel 2011 → accelerazione del processo di riforma del sistema pensionistico, iniziato nella metà degli anni Novanta, con il completamento della transizione dal metodo retributivo al metodo contributivo e con un drastico aumento dell’età pensionistica, in particolare per le donne. (Semplificando al massimo, si intende con metodo retributivo il calcolo dell'assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni, mentre con metodo contributivo si tiene in considerazione l'ammontare dei contributi effettivamente versati.). Questa riforma ebbe un effetto negativo sul mercato del lavoro in quanto limitò il turnover occupazionale. Dal momento in cui fallì la Social card introdotta nel 2008 a causa del cattivo targeting e dell’esiguità dell’importo erogato, nel 2012 il governo Monti avviò una sperimentazione in 12 città capoluogo di regione. La sperimentazione aveva l’obiettivo di raccogliere indicazioni in vista di una 20 un’autentica rivoluzione nel campo del contrasto alla povertà, colmando un ritardo storico dell’Italia rispetto ai grandi paesi europei». Nonostante questo la fretta con cui è stata introdotta la misura ha creato problemi e alcune iniquità. È stato uno strumento efficace di lotta alla povertà? Prima che venissero introdotti reddito e pensione di cittadinanza, nel 2018 in Italia vivevano in condizioni di povertà assoluta 1,8 milioni di famiglie, per un totale di 5 milioni di individui, secondo l’Istat. Nel 2019, ossia quando è iniziata l’erogazione della misura, le famiglie in povertà assoluta si erano ridotte a quasi 1,7 milioni, per un totale di 4,6 milioni di persone. Nel rapporto di quell’anno l’Istat aveva segnalato un possibile contributo positivo di reddito e pensione di cittadinanza. La misura però aveva anche importanti difetti strutturali. Baldini e Toso ne individuano tre: non è andato a molte famiglie straniere a causa del requisito dei dieci anni di residenza in Italia; il metodo di calcolo dell’assegno lo ha reso più generoso per i single e penalizzante per le famiglie numerose; e infine ha previsto importi identici su tutto il territorio nazionale, con il rischio di risultare troppo basso nelle zone ad alto costo della vita e troppo generoso, e quindi distorsivo, in quelle periferiche. A rendere tutto più complicato c’è stato il fatto che i beneficiari del reddito di cittadinanza erano spesso persone poco istruite e senza formazione professionale, talvolta anche ai margini della società, molto difficili da collocare a livello lavorativo senza prima un serio lavoro di reinserimento sociale. Un altro problema è che è sempre stato piuttosto difficile stabilire il reale numero di beneficiari che trovavano un lavoro grazie alle politiche attive. Il motivo principale è che le procedure passavano da INPS, ANPAL e Centri per l’impiego, e che queste strutture non condividono i dati tra di loro. A oggi non ci sono ancora studi sufficientemente ampi per stabilire se il reddito di cittadinanza sia stato di per sé un disincentivo alla ricerca del lavoro. Quante sono state le frodi? Le frodi sul reddito di cittadinanza sono sempre state una delle ragioni più citate per criticare la misura. Per esempio, nel novembre del 2021 molti media e politici diedero risalto a una grossa indagine dei Carabinieri in cinque regioni del Sud Italia (Campania, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Molise), che aveva portato alla scoperta di oltre 19 milioni di euro indebitamente percepiti da beneficiari del reddito di cittadinanza. Ad aprile del 2022 fu scoperta un’altra truffa per un totale di 21 milioni di euro. - Il Reddito di Emergenza (REM) è una misura straordinaria di sostegno al reddito istituita dal decreto Rilancio in favore dei nuclei familiari in difficoltà a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid- 19. Previsto inizialmente per la durata di due mesi, è stato successivamente prorogato diverse volte fino a Settembre 2021. Oltre al REM sono stati introdotti degli ammortizzatori sociali, nuove indennità una tantum (come l’indennità per professionisti, lavoratori autonomi, agricoli, e del turismo, dello spettacolo e lavoratori domestici); inoltre è stata emessa la cassa integrazione anche alle aziende che precedentemente non vi avevano accesso. Nella gestione della pandemia ha avuto un ruolo importante il rapporto\competizione con i governi regionali: non sempre chiara definizione delle competenze tra governo centrale e regionale, le 21 scadenze elettorali costituiscono un contesto importante per comprendere sia i processi decisionali sia le difficoltà ad affrontare alcuni nodi cruciali. Inoltre è entrato in vigore il 1° marzo 2022, l'Assegno unico universale, è un sostegno economico alle famiglie attribuito per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni e senza limiti di età per i figli disabili, ed è stata operata una scelta fortemente redistributiva basata sull’ISEE. CONCLUSIONI – PERSISTENZE E CAMBIAMENTI NEL REGIME DI POVERTÀ ITALIANO 1_Un paese mal preparato ad affrontare la doppia crisi, finanziaria ed epidemica. La crisi del 2008 ha colpito un paese che a partire dalla crisi valutaria del 1992 aveva già vissuto un lungo periodo di crescita lenta, segnato dalla difficoltà del sistema produttivo italiano a modernizzarsi a fronte dell’intensificazione del processo di unificazione europea, della crescente integrazione dei mercati globali e della diffusione delle nuove tecnologie. I salari erano e sono tuttora tra i più bassi d’Europa, anzi gli unici che non sono aumentati bensì sono diminuiti rispetto al 1990. La crisi finanziaria in Italia non è stato un evento a breve termine. Da quando lentamente è iniziata la ripresa nel 2013 si è tornati ai livelli di occupazione pre-crisi ma non nel Sud, dove si è verificato un aumento dei contratti a tempo determinato e dei lavori poco qualificati. La crisi pandemica iniziata nel 2020 quindi ha impattato su un paese che non era ancora del tutto uscito da una crisi iniziata dodici anni prima con: tassi di povertà assoluta alti, mercato del lavoro caratterizzato dall’aumento della precarietà, sistema di protezione che era ancora fortemente centrato sulla protezione dei lavori stabili a tempo indeterminato. Non solo, i governi che si sono succeduti in un breve arco di tempo, hanno esteso e rafforzato le misure di protezione esistenti, introducendone alcune una tantum → evidenziato la frammentazione ed eterogeneità delle misure di protezione sociale. La crisi finanziaria aveva colpito il Sud e le famiglie con tre o più figli, oppure quelle monoparentali, mentre gli anziani erano e sono relativamente più protetti. La crisi provocata dalla pandemia ha presentato le stesse caratteristiche per quanto riguarda i soggetti più colpiti, ha accentuato la maggiore vulnerabilità delle giovani generazioni e della popolazione straniera. Di conseguenza le ONG e gli enti di beneficenza hanno svolto un ruolo sempre più rilevante sia nel compensare le carenze del welfare pubblico, sia come sentinelle sul territorio, cooperando con enti pubblici in modo efficace. Sono emersi in modo esplicito e violento conflitti su poveri meritevoli e poveri non meritevoli → i migranti e i rom sono i non meritevoli, perché rubano diritti che andrebbero conferiti prima agli italiani, sono percepiti come la causa di un deterioramento della qualità della vita in particolare nelle periferie. Inoltre la crisi ha coinciso con l’arrivo di rifugiati e richiedenti asilo → propaganda politica anti-migranti, e questo si è aggiunto al clima favorevole di risentimento sociale nei confronti del prossimo, con atteggiamenti xenofobi e ultraconservatori. Secondo Carlo Rovelli, fisico e saggista, la grande crisi finanziaria ha dimostrato che la storia dell’Italia come paese ricco era in realtà un’illusione in quanto i fattori alla base della debolezza 22 economica e sociale del paese non sono mai stati risolti: il valore decrescente dell’industria e del lavoro industriale e la presenza di una vasta popolazione marginale. Si è diffuso il pensiero secondo cui la povertà è solo una conseguenza della disoccupazione e che la disoccupazione a sua volta, sia la conseguenza di un’incapacità personale di trovare un lavoro o della mancanza di competenze. Sfuggono 3 questioni cruciali: 1- Mancanza di domanda di lavoro, in particolare al Sud → non solo non ci sono abbastanza posti di lavoro ma un numero crescente di essi non offre il salario di un lavoro a tempo pieno; 2- Avere un lavoro non sempre protegge dalla povertà su base individuale e ancor di più familiare → i problemi sono i bassi salari, in particolare per le famiglie monoreddito e il part- time involontario; 3- Insensibilità al ruolo cruciale dei servizi di cura e di educazione nel consentire alle donne di entrare e rimanere nel mercato del lavoro. Sono emerse tre diverse categorie di poveri, a partire dall’opinione pubblica: • I buoni: i poveri rispettabili, famiglie con bambini piccoli, pensionati a basso reddito; • I brutti: senzatetto, alcolisti, tossicodipendenti, migranti, rom; • I cattivi: i giovani schizzinosi, che non sono disposti ad accettare alcun lavoro a qualsiasi condizione, chi lavora nell’economia informale, i pigri. In questo tipo di discorso l’attenzione si è concentrata sulle caratteristiche dei poveri e non sui meccanismi che generano la povertà (e tollerano l’economia informale): la povertà non è altro che il risultato di una disgrazia personale o di un comportamento inadeguato, non di meccanismi economici e sociali. Sia la netta divisione tra poveri meritevoli e non meritevoli, sia la moralizzazione della povertà e dei poveri hanno quindi raggiunto il loro apice proprio nello stesso momento in cui è stata messa in atto una forma sistematica di sostegno al reddito per i poveri.