Scarica Le parole del lessico italiano di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Le parole del lessico italiano 1. Che cos’è il lessico? L’uso del lessico è regolato da una serie di norme convenzionali: la scrittura, la pronuncia, la morfologia e la sintassi. I lessici delle lingua moderne più diffuse comprendono alcuni milioni di unità, se si annoverano anche le parole della scienza e della tecnica, e comprendono anche le parole che si vanno formando senza poi trascurare gli accoppiamenti privilegiati di parole che mantengono o mutano il loro significato rispetto a quello delle singole parole. Il lessico italiano si compone dal patrimonio ereditario latino, dalle parole provenienti da altre lingue e dalle nuove formazioni. 1.1 Eredità del latino e influssi di altre lingue Dopo la dissoluzione dell’impero romano, nel 476 d.C., che aveva esteso l’uso del latino a tutti i popoli dell’impero, iniziò un complesso processo di adattamento del latino alle esigenze e alle caratteristiche delle popolazioni. Si iniziarono a formare secoli più tardi delle lingue che si differenziavano sempre più dal canone classico latino, denominate lingue romanze o neolatine, con radice comune il latino, o meglio la lingua romana, diversa da luogo a luogo. Il latino rappresenta così l’elemento di continuità utilizzabile da tutte le lingue romanze. Nel latino possiamo individuare: gli elementi lessicali che sono rimasti di uso popolare pur subendo modificazioni nella forma o nel significato, e gli elementi di uso colto, propri del linguaggio scritto, che vennero ripresi da persone di cultura a distanza di tempo nelle forme e significati originari. Le parole dotte della tradizione latina sono noti come latinismi o cultismi, ed hanno mantenuto la loro forma e il loro significato perché non hanno subito modificazioni della lingua parlata e si sono conservate intatte nella trazione scritta. Doppioni o allotropi: indica due o più parole che, pur essendo diverse sul piano formale e semantico, hanno il medesimo etimo, come per es. vizio e vezzo, riconducibili entrambe al lat. vĭtium. Evoluzione diacronica del lessico italiano: l’arricchimento che si è prodotto nel corso della sua storia. Molte parole di origine greco sono inoltre state assimilate per il tramite del latino o come elementi formanti per formare nuove parole; notevole è stato inoltre l’apporto di parole di origine araba, e importante il numero di germanismi sedimentati nel lessico italiano. Troviamo inoltre contributi dalla lingua francese e inglese, più recente. 1.2 Repertori del lessico italiano • Dizionari dell’uso o generali: registrano la lingua contemporanea nella sua dimensione sincronica (relativa cioè a un determinato periodo storico), senza trascurare le parole arcaiche o d’uso letterario, voci dialettali, regionali e gergali, e mostrando attenzione anche per nuove parole e modi di dire. (Considerati i dizionari per antonomasia) • Dizionari bilingui e multilingui: presentano i lemmi di una lingua accompagnati dai rispettivi equivalenti di un’altra lingua. • Dizionari storici: privilegiano la tradizione scritta, soprattutto quella letteraria, con citazioni che documentano le unità lessicali nella loro evoluzione diacronica (ossia il complesso dei suoi mutamenti attraverso il tempo). • Dizionari enciclopedici: fondono in un’unica opera aspetti lessicografici e più propriamente enciclopedici, con informazioni fonetiche, grammaticali, etimologiche e numerose citazioni fraseologiche, ma anche trattazioni di tipo enciclopedico relative a personaggi illustri luoghi geografici o storici e movimenti culturali. • Dizionari biografici: raccolgono in ordine alfabetico le biografie di personaggi illustri, della politica all’arte, dalla scienza allo sport. • Dizionari etimologici: descrivono l’etimologia delle parole, dalla motivazione che ne ha determinato l’origine alla data di nascita, ossia la sua prima attestazione conosciuta, illustrandone i cambiamenti di significati che sono stati registrati nel corso del tempo. • Dizionari ortofonici e ortografici: segnalano la corretta scrittura e pronuncia delle parole italiane e delle parole straniere divenute di uso comune. • Dizionari dei sinonimi e dei contrari: registrano, per ogni lemma, le parole che hanno un significato equivalente e opposto. • Dizionari di neologismi: presentano una rassegna delle parole e delle locuzioni che si candidano a entrare nel lessico di una lingua, documentando il panorama storico e sociale dell’epoca in cui sono compilati. • Dizionari dialettali: rappresentano il lessico dei singoli dialetti e talvolta forniscono l’equivalente del lemma nella lingua nazionale. • Dizionari gergali: raccolgono parole e locuzioni tratte dai gerghi, cioè lingue convenzionali parlate da ristretti gruppi di persone che non vogliono far comprendere i loro discorsi all’esterno della loro cerchia. • Dizionari analogici: (anche chiamati metodici, sistematici, nomenclatori, concettuali o ideologici) raccolgono costellazioni di parole con relazioni di tipo semantico (concernenti cioè al loro significato). • Dizionari visuali: si presentano come raccolte di immagini, che permettono di apprendere la giusta denominazione di oggetti già noti. • Dizionari specialistici o settoriali: raccolgono le terminologie proprie di discipline o settori, illustrando le caratteristiche e le funzioni di ogni oggetto o concetto definito e presentando spesso gli equivalenti terminologici in altre lingue. • Dizionari di base: raccolgono le parole classificate dai linguisti come “lessico fondamentale”, “di alto uso” e “di alta disponibilità”. • Dizionari di frequenza: misurano la percentuale d’uso delle parole presente in un esteso campione di testi scritti scelti come rappresentativi di un determinato periodo storico. • Dizionari di concordanze: sono repertori perlopiù alfabetici delle parole contenute in una o più opere di un autore, di un genere letterario o di un periodo storico. • Dizionari inversi: (o retrogradi o retroversi) presentano le parole in ordine alfabetico rovesciato, partendo dall’ultima lettera (se ne servono i poeti e i parolieri come aiuto per le rime dei versi). 1.3 Il metodo di lavoro dei lessicografi Lessicografia: la tecnica della raccolta e dell’eventuale definizione dei vocaboli di una lingua, e la sua natura è fondamentalmente descrittiva. Dimensioni della lingua: • Diamesica: a seconda del mezzo attraverso il quale si comunica (un telegramma o un sms riportano dei testi che non coincideranno con quelli di una lettera). • Diatopica: a seconda dello spazio geografico in cui viene parlata una lingua (l'uso di una determinata parola può essere preferito o meno nelle diverse regioni di un paese come l'Italia). • Diastratica: a seconda dei gruppi o dalle classi sociali di appartenenza (i giapponesi coniugano i verbi in maniera diversa a seconda del ceto a cui appartengono). • Diafasica: dipende dal contesto in cui avviene la comunicazione l’argomento e i rapporti tra gli interlocutori. • Diacronica: registra i cambiamenti linguistici avvenuti del corso degli anni o secoli (giorno d'oggi non si usa più il voi come forma di cortesia, dando invece la preferenza al lei). La descrizione lessicografica può riferirsi a un periodo di tempo delimitato (criterio sincronico), o a periodi più o meno lunghi dell’evoluzione storico-linguistica (criterio diacronico). La descrizione lessicografica tiene conto dei seguenti aspetti: • il corpus: stabilito sulla base di criteri di scelta e di rappresentatività molto variabili. • La polisemia, ossia la molteplicità di significati, considerata un elemento di ricchezza e prosperità della lingua. • le entrate: di un opera lessicografica sono le unità di base di una lingua e vengono generalmente rappresentate da lemmi semplici. • definizione lessicografica: consiste nella spiegazione del significato di un vocabolo e molto spesso elenca le sue diverse accezioni. • Acronimo: trasforma un’intera sequenza di parole in una sola unità lessicale, costituita dalle lettere iniziali di una ciascuna parola. Può essere costituito anche dall’unione delle sillabe o delle lettere iniziali di più parole o dalla parte iniziale e da quella finale di due parole. Esso si ottiene riducendo un intero sintagma alle sole lettere iniziali delle parole che lo compongono. Esempio: FIAT > Fabbrica Italiana Automobili Torino. • Sigla: essa non sempre da luogo a un vero e proprio nome e talvolta non si riesce nemmeno a leggerla come parola di senso compiuto. Esempio: CGIL > Confederazione generale italiana del lavoro. • Deacronimici: parole ottenute da acronimi o sigle. Esempio: Pierre, che risulta dalla pronuncia delle lettere iniziali pi e erre dell’espressione pubbliche relazioni. • Tamponamento: processo di formazione di unità lessicali ottenute miscelando o fondendo parti di due o più parole, che talvolta si inseriscono una dentro l’altra, a incastro, per fare riferimento simultaneamente a due o più concetti mediante l’uso di una sola parola. Esempio: Metalmeccanico > metallurgico e meccanico. • Parole macedonia: sono le voci formate da almeno tre elementi o con la parte iniziale di una parola e la parte finale di un’altra. Esempio: Autoferrotranviario > automobilistico, ferroviario e tranviario. • Mozioni di genere: le conversioni mediante le quali unità lessicali cambiano genere, passando da quello maschiale a quello femminile, o viceversa. In anni recenti si è posta l’attenzione sul femminile dei nomi di professione o di carica. In alcuni casi il femminile in -essa e in -trice era già di uso comune, ma in alcuni casi vi era una marcata volontà ironica, come per “giudichessa”. Una soluzione facilmente percorribile è l’adozione sistematica della desinenza in -a, come per “avvocatessa” o “ministra”. I nomi derivanti da participi presenti (come presidente o sovrintendente) conservano la loro caratteristica morfologica ambigenere, propria degli aggettivi maschili e femminili in -e di derivazione latina. Sul modello del sostantivo maschile e femminile “preside”, altri nomi in -e contengono in sé anche la forma del genere femminile (il/la controllore, il/la giudice, il/la ingegnere). Sul versante opposto alcuni nomi usati tradizionalmente al femminile sono stati proposti anche in versione maschile, anche se la maggior parte di questi con funzione scherzosa o ironica. • Transcategoriggazione: è il processo che permette a un’unità lessicale di mantenere le proprie caratteristiche morfologiche, assumendo però una diversa funzione sintattica, senza l’aggiunta di elementi modificatori. Un gruppo consistente è quello del passaggio dalla funzione di verbo a quella di nome: - L’infinito di molti verbi può essere sostantivato, come nella frase “leggere molto aiuta a formare la personalità”, in cui il verbo “leggere” è il soggetto. - I participi presenti e passati possono convertirsi in sostantivi, e talvolta in aggettivi, come per le parole “cantante” o “studente” - Anche il gerundio può subire una nominalizzazione, come è accaduto per il “crescendo” musicale o “l’addendo” matematico. 3. Parole e significati 3.1 significato, significante, referente Semantica: uno dei principali settori di ogni sistema linguistico propone di studiare il significato delle parole. Significante: espressione fonica e grafica, com’è scritta la parola. Significato: l’elemento concettuale, che rimanda all’oggetto (strettamente legato alla cultura che lo elabora). Assieme formano un segno linguistico. Referente: la cosa specifica alla quale ci si riferisce, astratta o concreta. 3.2 Significato e contesto Il significato di una parola non è immutabile, ma è soggetto a modificazioni e ampliamenti. Il valore specifico che un unità lessicale assume in un determinato contesto è detto senso. • Atto comunicativo: quello che trasmette un messaggio, ossia l’informazione che viene data. Questo si produce all’interno di una situazione specifica, costituita da spazio, tempo, relazione tra gli interlocutori, bagaglio di conoscenze condivise e il canale linguistico impiegato. • Messaggio: ciò che si comunica e il modo in cui lo si fa. • Discorso: è il messaggio, articolato in frasi o periodi concatenati. • Contesto: l’ambiente nel quale avviene l’atto comunicativo. 3.3. Relazioni tra significanti e significati Le parole sono connesse da relazioni associative; quali: • Famiglie lessicali: relazione tra i significanti, l’insieme di parole accomunate da una stessa base lessicale o radice, perché da essa derivate o con essa composte. Vi è una parola-pilota da cui derivano o si compongono tramite essa altre parole. • Campi semantici: relazione tra i significati, un insieme di unità lessicali accomunate da significati affini o in relazione tra essi. • Sinonimo: è una parola che un significato molto simile a quello di un’altra. Se le due sono intercambiabili a piacere in qualunque contesto si parla di sinonimia totale (tra - fra, qui - qua), in caso contrario di sinonimia approssimativa (terrore - panico - spavento). • Antonimo: è una parola che ha un significato opposto, contrario a quello di un’altra. (Aprire chiudere, grande piccolo). Vi sono anche dei casi di antonimia inversa, simmetrica o reciproca, perché le due parole rappresentano due diversi punti di vista possibili (suocera - nuora, maestro - allievo, comprare - vendere). Un altro caso esistente è quello della enantiosemia, che si riscontra quando una parola ha sia il suo significato sia il suo inverso (affittare significa sia “dare in affitto” sia “prendere in affitto”). • Geosinonimo: è un tipo particolare si sinonimo, che si caratterizza per la sostanziale identità di significato tra forme lessicali diverse, differenti da luogo a luogo (anguria - cocomero - melone d’acqua). • Iperonimo: è una parola che serve a esprimere un concetto sovraordinato o più generico (veicolo) rispetto a uno più specifico o sottordinato chiamato iponimo (carro - motocicletta - camion - automobile). Inoltre, ogni singolo elemento (ruota) dell’iponimo (carro) sarà concettualmente subordinato a veicolo, ma anche a carro, risultandone a sua volta un iponimo. Così facendo la ruota sarà anche un meronimo di ciascun tipo di veicolo, e quest’ultimo assume il nome di olonimo. 3.5, 3.6, 3.7, 3.8, 3.9, 3.10 • Polisemia: è la compresenza di vari significati rappresentati da un solo significante, la stessa parola con significati diversi, che viene giustificata con la tendenza a evitare di coniare parole nuove, riutilizzando significanti già esistenti per significati nuovi. Nella polisemia i vari significati sono raccolti sotto una stessa entrata, mentre se ci si trova in presenza di un’omonimia i vari significati hanno diverse etimologie (derivano cioè da lingue o espressioni diverse). • Omonimia: è la coincidenza totale tra parole che si scrivono e si pronunciano nello stesso modo (omografe e omofone) che hanno uguale funzione sintattica ma differiscono nel significato perché la loro origine è diversa. • Metafora: è la figura retorica che consiste nell’attribuire una parola o un’espressione a un referente diverso da quello abituale, ma a esso legato da una relazione di similitudine o analogia. La metaforizzazione consiste dunque nell’impiegare una parola che conserva il proprio valore semantico per designare un altro referente che si trovi con quella parola in rapporto di similitudine o analogia. • Metonimia: è la figura retorica che determina il passaggio del significato da una parola o da una denominazione a un’altra, che è a essa legata da un rapporto di contiguità o di dipendenza. Per esempio utilizzare la denominazione del contenente per indicare il contenuto (festeggeremo con una buona bottiglia!), o del nome dell’autore invece della sua opera (ha comprato un De Chirico). La metonimia topografica si verifica quando il luogo in cui ha sede un’organizzazione, un partito o un’istituzione passa a denominare la stessa. • Sineddoche: è la figura retorica che consiste nel trasferire un significato da una parola all’altra sulla base di un rapporto di continuità materiale. Si può designare il tutto per intendere la parte, la parte per il tutto, il singolare per il plurale o viceversa, il genere per la specie o viceversa. • Antonomasia: è la figura retorica che permette di trasformare un nome proprio in comune o una parola d’uso comune in nome proprio. Per esempio il nome di un personaggio illustre può passare ad indicare una persona o una categoria di persone a lui accomunate da caratteristiche, vicende o attività simili ( “Cicerone” per indicare una guida turistica o una persona eloquente). Anche il nome di un luogo può passare a designare in modo generico le sue caratteristiche più note (“una vera babilonia” per indicare un disordine e una confusione totale). 3.11 Fonosimbolismo, onomatopea e enfasi espressiva • Onomatopea: (o ideòfono) è la figura retorica che tende a riprodurre suoni o rumori naturali o artificiali (splash, chicchirichì). • Enfasi espressiva: accorgimento di tipo fonografematico che consiste nell’evidenziare (graficamente e fonograficamente) usi che si diffondono in determinati ambiti sociali con l’intento di marcarli ironicamente o polemicamente (ggente, gggiovane). 4. La circolazione delle parole 4.1 Dialettalismi e gergalismi Dialettalismo: una parola o un’espressione che proviene da un uso dialettale e può essere assunta nel lessico italiano come prestito interno, talvolta anche in forma adattata alle esigenze fonomorfografematiche del sistema dell’italiano. Gergalismo: una parola proveniente dalla comunicazione interna a gruppi che vogliono difendere le proprie specificità, anche mediante espressioni non comprensibili dagli estranei, vuoi perché caricate di significati nuovi, vuoi perché volutamente modificate o storpiate. Talvolta i gergalismi nascono come tali ma diventano poi d’uso comune, che tendono così a caratterizzarsi come espressioni metropolitane prive perciò del connotato di segretezza e al contrario divenute distintivo di appartenenza. 4.2 Forestierismi, adattamenti e calchi lessicali Forestierismo: (chiamato anche esotismo o xenismo, anche se non sinonimi) è un’unità lessicale proveniente da un’altra lingua, accolta nella sua forma originaria o con adattamenti fonetici e morfologici. Questo è stato contrastato fin dall’antichità trovando, per quanto riguarda la lingua italiana, il suo apice nel’Ottocento con il movimento del Purismo, che chiamò barbarismi le parole alloglotte (originarie di altre lingue). Il prelievo da altre lingue è chiamato anche “prestito esterno”, e se ne distinguono vari tipi: • Prestito di necessità: servono a denominare oggetti o concetti di origine straniera ancora sconosciuti, come ananas (portoghese), cacao (spagnolo). • Prestiti di lusso: si caratterizzano per il prevalere di ragioni di prestigio o di moda rispetto a denominazioni già esistenti o di facile conio e perfettamente funzionali, budget (bilancio) meeting (riunione/convegno) e week-end (fine settimana) sono dei chiari esempi di questa categoria, per cui l’italiano possiede dei termini equivalenti ed efficaci. Per la lingua che lo ospita, il forestierismo assume un valore monosemico, indica cioè un solo oggetto o concetto. 5.4 Le parole del costume Le parole e i modi di dire hanno la capacità di fotografare e quindi di rappresentare le caratteristiche e le fasi della vita sociale di coloro che parlano la stessa lingua. La lingua appare perciò come lo strumento più plastico e efficace per rappresentare una società e la sua cultura, uno strumento necessariamente condiviso, perché sono i parlanti stessi che consacrano, attraverso l’uso, le unità lessicali destinate a rappresentare la loro indole e la loro storia. Tra il secondo e il terzo millennio si sviluppò per esempio l’attenzione per l’immagine esteriore del corpo, per la salute e l’eterna giovinezza, per l’alimentazione, la cucina e l’intrattenimento, per la natura e l’ambiento. Inoltre, se si pensa alle espressioni “donna crisi” e “scettico blu” si avverte la rilevanza storica che queste parole ebbero. La “donna in crisi” era una donna ostentatamente magra, che si contrapponeva alle virtù della donna-madre, esaltate dalla propaganda dell’epoca, mentre lo “scettico blu” rappresentava l’incarnazione dell’uomo vissuto e disincantato che ostentava indifferenza nei confronti di ciò che lo circondava. Il “politicamente corretto” invece è un calco lessicale di un’espressione americana, ma in italiano si dovrebbe preferire l’equivalente “socialmente giusto” ossia contrario a ogni forma di discriminazione sociale. 5.5 Le parole dei giornali I quotidiani offrono una rassegna completa degli avvenimenti della vita di tutti i giorni: vi è così un evidente lavoro di adattamento compiuto dai giornalisti per avvicinarsi a una lingua d’uso comune, più comprensibile da tutti i lettori. L’esigenza di dare un nome a concetti, fenomeni, tendenze o eventi nuovi fa sì che i giornalisti diventino veri e proprio onomaturghi, coniando essi stessi espressioni prima di allora mai registrate nei lessici. Da sempre i quotidiani hanno esercitato un’importante influenza nel contribuire a diffondere modelli linguistici omogenei, e l’eccessiva cristallizzazione di queste formule rischia di scivolare inesorabilmente nell’accoglimento e nella successiva irradiazione di stereotipi, poi difficilmente eliminabili. Luca Serianni (linguistica e filologo italiano) ha definito “tecnicismi collaterali” quelle forme non richieste da esigenze denotative che vengono però preferiti a parole d’uso più comune per la loro particolare coloritura tecnica. Sono termini non dovuti a effettive necessità comunicative quanto all’opportunità di adoperare un registro elevato, che tende a distinguersi dal linguaggio comune. Vi sono anche forme di registro più alto che trovano nel testo giornalistico un canale di amplificazione, del quale si servono per un possibile successivo passaggio anche nell’uso del parlato. 5.6 I colori delle parole Il lessico dei colori assume un ruolo particolare dal punto di vista della percezione, anche emotiva, e dalla rappresentazione simbolica. La categorizzazione dei colori non è legata alla loro denominazione linguistica, ma sembra essere determinata da fattori extralinguistici validi universalmente. Bianco: somma di tutti i colori, è connotato da una valenza positiva, o comunque non negativa, che si riflette con diverse sfumature e in ambiti distinti. Nero: ha una valenza negativa che contraddistingue situazioni o fenomeni di disagio o di crisi, come nelle locuzioni “umore nero” o “vedere nero”. Rosso: indica pericolo o rischio Verde: esprime un riferimento immediato alla natura e alla vegetazione, e richiama la protezione e la cura dell’ambiente ispirate a principi ecologistici. È inoltre un riferimento simbolico all’età dell’infanzia e della giovinezza (anni verdi) o alla possibilità di usufruire di un servizio privo di costi (numero verde). Giallo: segnala pericolo, attenzione e divieto. Da ricordare anche il passaggio all’uso sostantivato, per indicare romanzi e film di carattere poliziesco. Azzurro: fa spesso riferimento all’aspetto esteriore. Blu: può presentare una connotazione più sfumata e articolata, collegata a elementi diversi. Porpora: segno di distinzione e prestigio, tradizionalmente associato al potere imperiale o regale, alla dignità cardinalizia, alle alte magistrature civili. Rosa: conserva la sua abituale connotazione femminile in “quota rosa” espressione tipica del linguaggio della politica, con riferimento a provvedimenti legislativi che si propongono di regolamentare la percentuale di presenze femminili nella vita politica. Grigio: connota situazioni non palesemente identificabili, ma viene anche associato alla sfera intellettuale / materia grigia) o a un particolare stato d’animo (essere grigio in volto). 6. Parole nuove 6.1. Neologismi e neosemie Neologismo: una parola o espressione nuova, coniata mediante le regole di formazione proprie del sistema lessicale di una lingua ma non entrata ancora nell’uso comune, quindi non registrata nei dizionari. Esso può essere formato per denominare un nuovo oggetto o un nuovo concetto, in modo che il lessico di una lingua sia in grado di rappresentare i mutamenti storici, culturali, sociali e le innovazioni scientifiche e tecnologiche. Altre volte, una parola nuova nasce come manifestazione di inventiva letteraria o come gioco linguistico, oppure anche con intento scherzoso, ironico o polemico. Si considerano neologismi anche i termini nati in ambito specialistico o le espressioni dialettali e i vocaboli prelevati o adattati da lingue straniere, nel momento in cui entrano a arricchire il lessico dell’uso comune. Sono da reputarsi neologismi anche gli ulteriori significati assunti da parole già esistenti: questo è il caso delle neoformazioni che De Mauro ha definito neosemie. Neosemie: nuove accezioni di parole, ovvero nuovi significati con cui parole già note sono state intese da chi le ha diffuse, e ricevute dalla comunità dei parlanti. Quark è un’espressione senza significato, forse onomatopeica o semplicemente un gioco di parole, coniata da James Joyce in un suo romanzo. Il termine fu poi adottato dai alcuni fisici statunitensi per indicare delle unità elementari della materia. Solo per mancanza di consuetudine le neoformazioni lessicali possono apparire inizialmente buffe o brutte. 6.2 Competenza lessicale e formazioni neologiche In età adulta le parole nuove sono, in genere, strumenti che servono a designare realtà prima sconosciute, ma anche a comunicate, in modo volutamente allusivo, sfumature o toni eufemistici, scherzosi, ironici o polemici. Tali facoltà rientrano nelle competenze che i linguistici chiamano competenza lessicale, all’interno della quale si possono distinguere due piani: • Inferenziale (o deduttivo): consente di stabilire una rete di connessione tra le parole. • Referenziale: che permette di associare le parole con la realtà circostante e le conoscenze acquisite, così da poterle denominare correttamente. Questi due piani possono essere praticati da ciascun parlante in modo anche molto differenziato l’uno dall’altro. La competenza lessicale è per sua natura un sistema aperto, e appartiene all’idioletto, cioè all’uso linguistico proprio di un singolo individuo o di un piccolo gruppo di parlanti. 6.3 Neologismi e dizionari Il dizionario non è il luogo deputato a registrare immediatamente le neoformazioni. La necessità di raccogliere le parole nuove, per osservarne nel tempo il reale attecchimento nel lessico di una lingua, è alla base della pubblicazione di repertori e dizionari di neologismi, che hanno in primo luogo una funzione documentaria ma assolvono anche il compito di spiegare ai lettori il significato e le modalità d’uso delle nuove forme lessicali, alcune delle quali, per la loro stessa natura, potranno rivelarsi occasionali o effimere. Da pochi anni si è affermata la tendenza a includere un certo numero di neologismi “di vetrina” nelle edizioni annualmente rinnovate dei più diffusi dizionari generali monovolume, per i quali è stata perfino escogitata la definizione di “vocabolari millesimati”. 6.4 Paternità e datazione dei neologismi Il primo, e finora unico, tentativo di raccogliere sistematicamente, in forma di dizionario, la paternità e la datazione di circa 700 parole o espressioni provenienti dai settori più disparati, anche quelli scientifici, è stato compiuto da Bruno Migliorini (1977) con il volumetto “Parole d’autore. Onomaturgia”. Un occasionalismo può essere considerato un neologismo ma è anche vero che l’appropriato dominio dei meccanismi di formazione delle parole può dar vita a neoformazioni che si possono a tutti gli effetti considerare “parole d’autore”. Scrittori e saggisti continuano a coniare parole nuove, ma esse rimangono il più delle volte annidate nelle loro opere e solo raramente riescono a diventare di pubblico dominio e d’uso comune. 6.5 repertori di neologismi Fu il Purismo a motivare, fin dall’inizio dell’Ottocento, la pubblicazione di numerosi repertori e lessici concepiti come elenchi di voci da proscrivere. Il primo repertorio puristico fu compilato da un burocrate, non da un lessicografo: si deve infatti al funzionario Giuseppe Bernardoni un elenco di neologismi preparato per incarico del ministro dell’Interno del governo napoleonico. Nell’ “Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso, le quali non sono ne’ vocabolari italiani” del 1812, Bernardoni segnalò le forme da evitare, con le sostituzioni consigliate. Gli rispose polemicamente, nello stesso anno, il poeta e filologo milanese Giovanni Gherardini, che compilò un elenco di “Voci italiane ammissibili benché proscritte dall’elenco del sig. Bernardoni”, nel quale si ristabilivano le voci formate correttamente. Di poco successivo è il “Dizionario moderno” del 1905 dello scrittore e giornalista Alfredo Panzini, che ebbe l’intuizione di raccogliere parole e locuzioni nuove registrate al loro primo apparire: le varie edizioni fornivano una testimonianza immediata del rinnovamento del lessico italiano. Ogni nuova forma o locuzione era osservata con interessa e curiosità, e offriva l’occasione per commenti e notazioni sui neologismi e sui forestierismi registrati, talvolta definiti brutti, deformi, mostruosi o ineleganti, ma sempre accolti con larghezza di documentazione e senza pregiudizi. Nel 1963 Bruno Migliorini pubblicò “Parole nuove”, una raccolta di 12 mila voci tratta soprattutto dalla stampa quotidiana che si basava sul criterio dell’“uso incipiente”: l’autore decise di scartare le parole effimere e occasionali e di accogliere invece le forme per le quali si poteva prevedere un futuro di attecchimento nell’uso.