Scarica Riassunto "Le tecnologie educative" - Giovanni Bonaiuti, Antonio Calvani, Laura Menichetti, Giuliano Vivanet e più Sintesi del corso in PDF di Sistemi adattivi e apprendimento solo su Docsity! TECNOLOGIE DELL’ISTRUZIONE E DELL’APPRENDIMENTO 1. MEDIA E MENTE Nel corso della storia l’uomo ha avuto una evoluzione protesica, per sopperire alle sue carenze l’uomo ha allestito strumenti atti a potenziare la sua capacità di controllare l’ambiente circostante, ovvero ha creato delle protesi fare qualcosa che noi non sappiamo fare, ha prodotto un cambiamento anche nella percezione delle cose (es. la ruota ha cambiato anche la percezione del tempo). Ha creato così amplificatori culturali, come li chiama Bruner, sul piano motorio (leve, coltelli, ruote, auto, aerei), sensoriale e comunicativo (segnali di fumo, suoni, telefoni, radar), cognitivo e culturale (linguaggi, schemi, teorie, modelli scientifici). La fisicità e il carattere simbolico dei dispositivi sono divenuti parte integrante di una tecnocultura che rende ormai indistinguibili le tranazioni con gli esseri umani, congiunti in un processo reciproco di coevoluzione (Berger, 1991; Levy, 1999). Oggi siamo sottoposti ad una nuova condizione, l’essere continuamente connessi e legati alle tecnologie e questo fenomeno ha grandi effetti su di noi. L’essere connessi dà origine a una condizione antropologica radicalmente nuova, imprevedibile ne possiamo solo intuire che gli effetti sulla personalità non saranno di poco conto. Media e interfacce Gran parte dell’impressionante fenomeno di virtualizzazione e contaminazione tra realtà e virtualità trova le sue radici nella storia dei media, un mondo che ha subito una radicale trasformazione a partire dal processo di digitalizzazione avviato negli anni Ottanta. Possiamo usare il termine medium per identificare i nuovi dispositivi tecnologici digitali, facendo tuttavia presente che il termine non è più identificabile con “mezzo di comunicazione” definizione tipica dei dizionari tradizionali; in senso lato un medium va considerato una qualsiasi interfaccia coadiuvata da un supporto tecnologico che consenta produzione, manipolazione e negoziazione di simboli, significati, identità e spazi virtuali. Per interfaccia, si intende una superficie di contatto o il luogo dove comunicano e si incontrano due sistemi o ordini di realtà. Nell ’ interfacciamento uomo-dispositivo si possono attuare dinamiche emozionali, identitarie, interpersonali e cognitive, con esiti e significati di varia natura sul piano psicologico ed educativo La relazione uomo-macchina può instaurare diverse dinamiche come quelle emozionali, cognitive e identitarie. Il concetto di interfaccia richiama il concetto di tecnologia cognitiva che è l’area che si occupa dei rapporti cognitivi che si vengono a instaurare tra gli esseri umani e i dispositivi tecnologici. Questi rapporti possono essere di totale simbiosi (quando un individuo indossa gli occhiali e non si accorge di portarli) o di mancata simbiosi (quando ci accorgiamo di indossarli perché sporchi o rotti). Lo smartphone è un medium, è l’incarnazione di questo concetto, è una finestra sul mondo. L’importanza delle problematiche e della varietà di questi interfacciamenti si comprende facilmente anche riflettendo su esperienze di uso comune. Queste problematiche sono in particolare ambito di studio da parte dell’ERGONOMIA (dal greco ergon=”fatica/lavoro"; noms=uxma), una disciplina nata negli anni Sessanta per migliorare le condizioni d'uso dei soggetti che impiegano tecnologie e l’insieme delle prestazioni del sistema integrato. Negli anni Ottanta si è diffusa anche l’ERGONOMIA COGNITIVA (Bagnara, 1990), che ha come oggetto di studio l’interazione tra macchina e sistema cognitivo, ambito che ha trovato applicazione nella realizzazione delle interfacce per i computer secondo criteri di usabilità. A questo riguardo una svolta di grande rilievo si è avuta con il passaggio dall’interazione attraverso comandi scritti a quella attraverso interfaccia grafica (mouse, click e trascinamento di oggetti sullo schermo) avvenuto atta fine degli anni Ottanta. Altri autori hanno introdotto definizioni e punti di vista diversi De Kerckhove ha proposto il termine psicotecnologia come lo studio della «condizione psicologica di persone sottoposte all’influsso delle innovazioni tecnologiche» (De Kerckhove, 1993, P- 22). Levy invece parta di ecologia cognitiva per indicare lo studio delle nuove aggregazioni collettive che nella rete producono intelligenza collettiva. Il senso di una tecnica 1 non è mai definitivamente dato al momento della sua concezione, né in alcun momento della sua esistenza, ma è in gioco nelle interpretazioni e egli usi sociali (Levy, 1992). Noi parleremo di ERGONOMIA DIDATTICA. Ergonomia cognitiva: esponente, Donald a. Norman psicologo e ingegnere statunitense la scrive “La caffettiera del masochista, psicopatologia degli oggetti quotidiani” (1988) professore di psicologia e scienze cognitive, direttore dell'istituto per la scienza cognitiva dell'università della California, laureato in ingegneria elettronica presso il mit. Nel video Norman parla degli oggetti quotidiani in cui dice: - quando non riuscite ad usare l’oggetto, non è colpa vostra ma colpa di chi ha disegnato quell’oggetto. È stato disegnato male. Tutti gli oggetti ci danno delle informazioni che ci permettono di capire come si utilizzano: inviti all’uso - Affordance - Qualità percettive delle cose: il materiale mi fa capire come utilizzarlo e mi danno delle informazioni. Se io vedo un oggetto sottile ci dice che può essere fragile - Mapping naturale: in base a come sono disposti nello spazio i ho un’idea di come usare gli oggetti (es. i fornelli, difficile abbinare la manopola al fuoco) li oggetti ben progettati sono facili da usare e comprendere contengono indizi visibili del loro funzionamento. principi fondamentali del buon design la visibilità un oggetto deve trasmettere il messaggio giusto feedback o retroazione fornire risultati visibile porte un buon disegno deve rendere visibile in che direzione si muove e su che lato devo agire per farla muovere. Un design naturale evidenzia dove sono i cardini e dove appoggiare la mano per spingere o tirare - Parla di Artefatti interni: ci restituiscono dei feedback, non vediamo dall’input che do la macchina mi restituisce il feedback. Non vedo il processo che avviene perché sono costuiti per non far capire all’utente come avviene. La psicologia unita al deisgn: modificando gli oggetti in base alla psicologia si vive meglio. Scrive anche “emotional design”, ci dice che quando scegliamo di utilizzare un oggetto ed impariamo ad utilizzarlo interviene un fattore emotivo, se mi piace emotivamente lo uso bene Fa un’analisi tra: UI, user interface: interfaccia utente, aspetto con il quale è disegnata una determinata tecnologia (es. la home di instagram con flusso delle foto ecc..) UX, user experience: tutto quello che l’utente fa quando usa la tecnologia (gesti che l’utente fa per aprire e usare l’applicazione) viene quindi tracciato il percorso che l’utente farà per utilizzare l’applicazione e renderlo più facile. Quali sono gli effetti delle tecnologie educative sulla mente In un’ottica più individuale gli effetti possono verificarsi sotto forme di interizzazione (introiezione nella mente di comportamenti che si attuano con strumentazione esterna), o di semplice condizionamento o radicamento di attività abitudinarie che le tecnologie tendono a favorire. E’ essenziale distinguere la situazione sulla base dei tempi (brevi, medi o lunghi) e se il condizionamento si svolga in forma diretta o se passi attraverso mediazioni culturali più o meno complesse; in certi casi, infatti, la tecnologia consente uno sviluppo di pratiche di pensiero che altrimenti rimarrebbero marginali, queste si stabilizzano nella cultura e da qui si riflettono nuovamente sui soggetti Un esempio molto noto di queste relazioni ci viene dalia storia della scrittura. Questa si può considerare infatti la più importante tecologia cognitiva, anche se la naturalezza con cui ce ne avvaliamo ha fatto scomparire ai nostri occhi questo connotato. 2 MULTIMEDIALITA’ – un documento digitale, oltre al testo scritto e all’immagine statica, può ospitare anche suono e/o immagine dinamica. In linea generale questa caratteristica può offrire situazioni di valore aggiunto, ad esempio con l’audio per sviluppare comprensione del parlato in una lingua straniera, il video per apprendere procedure esecutive tramite modellamento, l’integrazione tra voce narrante e immagine statica per rendere più efficace la comunicazione erogativa. RETICOLARITA’ – si riferisce al potenziale derivante dall’aspetto ipertestuale\ipermediale per cui ogni elemento all’interno di un documento può consentire di passare ad altri documenti attraverso collegamenti specifici (link). La ricerca ha messo in evidenza come i documenti ipertestuali siano più difficili rispetto a quelli lineari e come l’ipertestualità comporti una lettura a salti, che favorisce la dispersione soprattutto in soggetti novizi. COLLABORATIVITA’ – si riferisce al fatto per cui tecnologie ampliano le capacità comunicative consentendo al soggetto che apprende di far parte simultaneamente di gruppi diversi. Trova la sua massima espressione nelle forme di apprendimento in rete, con relazione molti-molti. Un possibile valore aggiunto può essere ad esempio individuato in percorsi di e-learning basati su attività di gruppo tra soggetti relativamente omogenei e con buona capacità di autoregolazione, orientati a capitalizzare conoscenze o risolvere un problema comune. Vincoli nelle tecnologie digitali ACCESSIBILITA’ – si dice accessibile un qualsiasi artefatto, servizio, contesto, fruibile da ogni persona. A seconda delle discipline il termine assume significati specifici. In ambito informatico l’accessibilità si riferisce ad artefatti (ad es. un sito web, un e-book) che, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, siano fruibili senza discriminazioni da soggetti con o senza disabilità, temporanee o permanenti, sensoriali o in parte anche cognitive, anche con hardware e software limitari, anche in contesti con caratteristiche fisiche non ottimali. Non è necessario conoscere i reali destinatari dell’artefatto per renderlo accessibile, proprio perché deve risultare fruibile da chiunque. La progettazione di un artefatto deve prevedere a monte questa caratteristica indipendentemente dal destinatario finale. Un sito web è accessibile quando la sua interfaccia è fruibile indipendentemente da: - Browser (browser grafici, testuali, vocali…); - Periferiche di input / output (tastiera, schermo, mouse, barre braille ecc. - Canale sensoriale utilizzato per l’interazione (vista, udito, tatto); - Abilità psico-motorie dell’utente; - Abilità percettive dell’utente; - Connettività (LAN, Modem, GPRS ecc.); - Hardware e software (Palmari, Desktop, WebTV ecc.); L’accessibilità web ha come suo antecedente culturale il concetto di DESIGN UNIVERSALE: • Principi di design volti a progettare e realizzare oggetti utilizzabili da chiunque e che non precludano l’interazione alle categorie di utenti più marginali (disabili permanenti e temporanei, anziani ecc.) • Dal design dell’oggetto non traggono vantaggio solo le categorie marginali ma tutti ricevono un beneficio (es. rampe d’accesso) 7 PRINCIPI: 1. Equità d’uso 2. Flessibilità d’uso 3. Uso semplice e intuitivo 4. Informazione accessibile 5. Tolleranza agli errori 6. Sforzo fisico minimo 7. Dimensione e spazio d’uso adatti a qualsiasi utente Dato il carattere generale, questi principi si possono applicare indifferentemente a oggetti differenti, una sedia, un tavolo ma anche come a un sito web… USABILITA’ – l’usabilità è il «grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione, in uno specifico contesto d’uso. L’usabilità quindi non 5 riguarda l’oggetto tecnologico in sé, ma l’interazione tra l’utilizzatore e l’oggetto. Per questo motivo spesso non è sufficiente che il progettista “immagini” come l’oggetto sarà adoperato, ma occorre che in fase di analisi “osservi” gli utenti nel contesto d’uso, abbia chiari gli scenari e di nuovo “osservi” gli utenti nel contesto reale quando sarà disponibile un prototipo. Il progettista deve anche osservare tipologie diverse di utenti: quelli che usano il prodotto per la prima volta, quelli che lo usano per la prima volta ma già molto esperti del dominio specifico, gli utenti abituali, coloro che lo conoscevano bene ma che per un lungo periodo non lo hanno usato ecc. I principi di design raccomandano progettazioni minimaliste in cui tutto ciò che è irrilevante sia eliminato e ciò che è usato raramente sia separato dal resto. In generale mostrano un grado di usabilità maggiore quei prodotti che fanno di analogie fisiche o di analogie con modelli culturali, metafore di ciò che l’utente usa con consuetudine nella realtà. Alcune regole: - Dialogo semplice e naturale - Un software per essere usabile deve adottare il medesimo linguaggio utilizzato dall’utente finale, generando con quest’ultimo una sorta di dialogo semplice e naturale. - Semplificare la struttura dei compiti - Le attività principali che l’utente può compiere interagendo con il sistema devono essere progettate ed implementate in maniera tale che egli non debba ragionare troppo sulle informazioni che ha a disposizione. - Agevolare il riconoscimento piuttosto che il ricordo - Un’interfaccia usabile permette all’utente di capire immediatamente cosa fare senza dover ricordare i precedenti utilizzi del software; - Fornire feedback: Durante l’interazione, l’utente dovrebbe essere informato costantemente sulle risposte che il sistema fornisce alle sue azioni. - Essere consistenti: Nello sviluppo di un sistema è fondamentale mantenere coerenza sulla disposizione e le caratteristiche degli elementi grafici - Flessibilità: Il fulcro dello sviluppo deve essere sempre l’utente. Tuttavia, ognuno di essi è differente dall’altro: ci sono quelli meno esperti, che amano ricevere consigli durante l’interazione e quelli più esperti che li vedono soltanto come un intralcio. Per questo motivo è necessario agevolare la flessibilità e l’efficienza di un sistema. - Fornire help e manuali: Prevedere una documentazione per colmare eventuali problemi di utilizzo non rilevati precedentemente. Esiste un test di usabilità: si possono fare in tre modalità differenze 1. L’utente e l’esaminatore sono nella stessa stanza e l’esaminatore chiede di fare dei compiti e osservo cosa fai 2. L’esaminatore è in remoto e analizza ciò che l’utente sta facendo cercando di portare a termine un compito 3. L’utente svolge in remoto e il tester vede tutto in una seconda fase Quando viene fatto in remoto, vengono tracciati sull’interfaccia i click che vengono fatti dagli utenti. Tassonomia delle interazioni mente – tecnologia cognitiva L’ergonomia didattica ha il compito di calare le conoscenze ergonomiche in contesti concreti di apprendimento, considerando in maniera realistica anche le dinamiche più o meno significative che possono presentarsi dal punto di vista educativo e i possibili adattamenti effettuabili nel contesto (funzionalità tecnologiche selezionate, modifiche di consegne e indicazioni), per limitare le criticità e potenziare i pianti di forza. Passiamo allora a prospettare una tassonomia delle situazioni che si possono presentare dal punto di vista del potenziale cognitivo su cui far leva a fine di apprendimento. SITUAZIONI SFAVOREVOLI che si possono generare quando una tecnologia Viene impiegata a scuola o in contesti formativi per apprendere: □ Limitato coinvolgimento cognitivo = è la condizione più diffusa. Gran parte delle interazioni che gli alunni hanno con i dispositivi tecnologici mantiene un coinvolgimento caratterizzato da basse 6 implicazioni cognitive; si ratta di scambi puramente informativi, di attività di intrattenimento o con giochi a interazione veloce che attivano solo funzioni percettive o sensoriali significato formativo □ Sovraccarico da tecnologia o da eccesso di informazione = riguarda la situazione in cui il soggetto ha un problema da risolvere e si avvale di un’interfaccia tecnologica che si presenta di difficile comprensione o che rende mal individuabili gli elementi essenziali a causa dell’eccesso di informazioni superflue. In questi casi l’attenzione viene assorbita comprensione della tecnologia stessa e il suo uso fa perdere tempo. In altri casi l’informazione nelle interfacce si presenta ridondante e ciò produce dispersività. Teoria del carico cognitivo suggerisce di mettere al centro la memoria di lavoro per comprendere la dinamica dell’apprendimento e i motivi del suo fallimento. La teoria prende come modello di riferimento l’architettura cognitivista della mente umana, che postula l’esistenza di strutture operative funzionalmente autonome; memoria sensoriale, memoria di lavoro e memoria a lungo termine, ognuna caratterizzata da potenzialità e limiti. Le maggiori criticità sono ravvisate nella memoria di lavoro, che ha un ruolo cruciale nella ricezione, elaborazione e trasformazione dette nuove informazioni in elementi da indirizzare alla memoria a lungo termine. La memoria di lavoro può infatti gestire una quantità limitata di dati, finendo così per rappresentare un vero e proprio “collo di bottiglia" per il sistema cognitivo. Il carico cognitivo è, in questa prospettiva, la quantità di lavoro o sforzo mentale a cui la memoria di lavoro può far fronte. La teoria ipotizza che il carico cognitivo sia distinto in tre diverse tipologie: estraneo, intrinseco e pertinente. Il carico cognitivo estraneo riguarda tutte le informazioni superflue, o divergenti rispetto all'obiettivo di apprendimento. Il carico cognitivo intrinseco dipende dalla complessità del contenuto in funzione di fattori quali il numero di variabili e di elementi che devono essere contemporaneamente presi in considerazione. Il carico cognitivo pertinente è connesso ai processi di comprensione, ovvero alle attività di recupero, interazione e strutturazione di schemi mentali (attività che portano a un intenso scambio di informazioni con la memoria a lungo termine). È necessario che un buon intervento istruttivo si preoccupi di tenere quanto più basso possibile il carico cognitivo estraneo, riduca il carico intrinseco e aumenti quello pertinente. Per ridurre (o eliminare) il carico cognitivo estraneo è necessario operare sugli elementi di disturbo capaci di generare l'effetto dell’attenzione divisa (split attention), quali le fonti di distrazione più o meno evidenti (brusio, rumore, musica di sottofondo), le divagazioni, i discorsi e le attività inopportune, superflue o fuorvianti. Il carico cognitivo intrinseco può essere ottimizzato attraverso alcune tecniche, tra cui la scomposizione del compito in attività più semplici (chunking), la sequenzializzazione in fasi (sequencing) e l’adattamento dei tempi di lavoro ai ritmi individuali (pacing). L’intervento sul carico cognitivo intrinseco deve però essere operato in relazione alle effettive esigenze dello studente, perché nonostante il carico cognitivo intrinseco derivi dal contenuto trattato, dipende anche dall’expertise dell’allievo. Una buona modalità di lavoro dovrebbe portare a una Graduale dissolvenza del sostegno istruttivo (backward fading), passando da interventi inizia Intente didascalici e istruttivi, attenti a presentare il significato dei singoli termini e a forni re esempi precisi, per arrivare, progressivamente, a spiegazioni meno accurate e compiti di apprendimento aperti, su cui gli allievi si cimentano autonomamente. Il carico cognitivo rilevante infine, può essere ampliato e reso più produttivo facilitando le azioni volte alla costruzione di schemi mentali flessibili e capaci di adattarsi alle diverse situazioni. □ Disabilitazione = è la conseguenza dell’estroflessione, la mente opera in modo utilitaristico, appoggiandosi alla tecnologia esterna riduce l’abilità cognitiva interna o comunque implicitamente limita tempo e modi perché questa possa esercitarsi. Molti hanno implicazioni in questo senso che tendono a passare 7 taglio tecnologico. Gli apporti più significativi da questo punto di vista si sviluppano soprattutto nel corso del Novecento e, in molti casi, sono stati “naturalizzati” al punto da divenire, per così dire, tecnologie “invisibili”. Le tecnologie hanno progressivamente chiarito, sistematizzato e reso metodici i modi di operare della didattica, evidenziando al contempo l’importanza e la centralità di alcuni aspetti. La tecnologia a scuola non si manifesta solo nella presenza di dispositivi e strumenti. È presente anche in altre forme meno tangibili. L’avvento delle tecnologie, in qualunque epoca, infatti, ha permesso non solo di svolgere delle attività ma ripensare aspetti più generali della vita e a valutare le ricadute e i vantaggi che quella tecnologia avrebbe portato. L’avvento del web ha portato a comunicare anche formazione a distanza che ha cambiato nei tempi e nei modi la formazione. Va detto che molti dei modelli che appartengo al mondo delle tecnologie sono entrati nella didattica. Ci sono entrati perché molti di questi modelli anno permesso di decodificare i processi e costruire macchine per l’apprendimento e il comportamento. È importante conoscere e individuare come molti MODELLI TECNOLOGICI siano stati trasferiti al mondo dell’educazione. Molti di questi modelli sono nati nel corso del ‘900 e ciascuno può essere ricondotto ad un’area specifica e ciascuna di queste aree ad una specifica tecnologia (a volte anche a più d’una) Essi hanno portato a modelli diversi: Un breve riepilogo: 1. Progettazione - cibernetica Progettare significa ideare, avere intenzione di realizzare qualcosa. Ogni attività di insegnamento, dunque, ha un’indole progettuale poiché si pone delle finalità da raggiungere. Più specificatamente con PROGETTAZIONE si intende una pianificazione accurata di risorse, azioni e tempi utili a raggiungere uno scopo. La dimensione progettuale in educazione diventa infatti oggetto sistematico di studio in particolare dal Secondo dopoguerra, negli Stati Uniti, in un clima culturale in cui è forte la necessità di rendere più efficienti e certi i risultati riducendo i rischi dell’improvvisazione. L’influenza viene 10 principalmente dai modelli tecnologici derivati dallo studio sistematico dell’organizzazione del lavoro e dalla cibernetica (con i concetti di algoritmo, regolazione, retroazione e feedback) – prima del comportamentismo. Formazione vista come un processo (complesso di cambiamenti concentrati tra input e output). I principali dispositivi concettuali che originano dall’incontro tra tecnologia ed educazione e che hanno contribuito a inquadrare l’idea stessa di progettazione della formazione sono soprattutto quattro: obiettivo, task analysis, sonomia, curricolo. Per obiettivo si intende il risultato esplicito, visibile e quindi “valutabile” che immagina di raggiungere alla fine del processo formativo. Mager (1979) definisce l’obiettivo come la descrizione di una performance che gli studenti devono essere in grado di mostrare per essere considerati competenti, ovvero il risultato che l’istruzione si prefigge. Definire a parole l’obiettivo nei termini di “comportamento osservabile” richiede, a sua volta, di scegliere accuratamente dei verbi per descrivere le azioni che il soggetto sarà poi in grado di fare, di precisare le condizioni e i criteri di accettabilità e valutazione del risultato. L’accurata descrizione consente di “operazionalizzare”, ovvero di scomporre e descrivere le diverse attività che dovranno essere svolte nel corso della formazione. Uno dei modelli utilizzati per analizzare le parti di cui si compone un obiettivo formativo è la task analysis, o “analisi del compito”. La task analysis è una procedura analitica finalizzata alla sistematica identificazione degli elementi fondamentali di un lavoro e alla descrizione dettagliata delle attività manuali e mentali richieste per il suo svolgimento. Consente di: - Rappresentare ordinatamente i passi da compiere per raggiungere il risultato - Evidenziare che alcune azioni sono da svolgersi prima dello svolgimento di azioni più complesse. - Lavorare a ritroso, partendo dal risultato che si vuol raggiungere. - Concentrarsi sui contenuti delle singole unità di apprendimento. Per tassonomia, invece, si intende una classificazione ordinata di obiettivi formativi. L’idea è mutuata dalle scienze naturali, dove le tassonomie sono impiegate per la classificazione degli organismi sulla base di caratteri comuni. Nascono dall’esigenza di mostrare l’esistenza di gradi diversi di complessità tra gli obiettivi didattici, in maniera da rendere evidenti, a insegnanti ed educatori, l’importanza di procedere con gradualità, passando a operazioni più complesse solo dopo aver assimilato i concetti di base. Numerosi autori si sono cimentati, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, nel compito di delineare tassonomie a partire dalla più nota, quella di Bloom del 1956. Il concetto di curricolo deriva dal latino curriculum e indica non solo le finalità di un determinato percorso didattico, ma l’insieme degli elementi necessari per renderlo praticamente attuabile, cioè i contenuti, i tempi, i metodi, i sistemi di valutazione. L’idea di organizzare in maniera sistematica i programmi di studio e, a livello più analitico, di sviluppare l’articolazione delle conoscenze da proporre agli studenti secondo progressioni connesse alle proprie di ogni disciplina è un esigenza che negli Stati Uniti d’America, a partire dagli anni Cinquanta, darà vita a un ampio “movimento per la riforma del curricolo” sull’ idea che occorra superare l’idea attivistica che la formazione debba assecondare gli interessi e i tempi di sviluppo spontanei dei bambini, per caldeggiare ad approcci tesi a un graduale accompagnamento di tutti gli allievi verso obiettivi di apprendimento stabiliti. Unulteriore contributo, sul piano della progettazione, è quello dei modelli metodologici capaci di guidare lo sviluppo e la gestione degli interventi formativi. Uno dei più noti è ADDIE, il cui nome indica le cinque fasi in cui articolare un progetto didattico: Analysis, Design, Development, Implementation, Evalutation. ADDIE consente di scomporre, documentare e allestire, per ogni fase «del progetto formativo, gli oggetti necessari alla riuscita dell’intervento, permettendo a professionisti diversi di lavorare in parallelo sulle aree di loro rispettiva competenza. Il suo utilizzo, come quello di strumenti simili, ha trovato ampia applicazione nei contesti della formazione aziendale, dove è necessaria un’accurata pianificazione a priori di tempi, costi e risultati. 2. Individualizzazione – macchine per insegnare (comportamentismo) 11 Individualizzare significa adattare l’istruzione alle necessità dell’allievo pur mantenendo fisso l’obiettivo prestabilito. L’apporto delle tecnologie consiste nell’aver messo in luce l’esistenza di una serie di variabili su cui è possibile operare. È possibile sviluppare l’individualizzazione semplificando il materiale didattico, inserendo percorsi di recupero, modificando il canale comunicativo, intensificando il feedback oppure le condizioni dell’apprendimento attraverso la scelta di mediatori e modalità di lavoro (ad es. apprendimento in coppia). Uno dei contributi più importanti sul fronte dell’individualizzazione è rappresentato dall’istruzione programmata, delineata da Skinner (1954) all’interno della cornice teorica del comportamentismo. L’istruzione programmata si propone di creare percorsi strutturati predefiniti che ciascun allievo possa seguire sulla base dei propri ritmi. Per fare questo viene proposta la scomposizione del compito di apprendimento in unità elementari, la loro graduale erogazione accompagnata da continue domande di verifica e l’uso del “rinforzo” ovvero l’approvazione immediata della prestazione corretta. Questo approccio, che prevede percorsi di apprendimento per tutti uguali, può essere realizzato sia dall’insegnante in aula sia attraverso congegni automatici. Watson faceva degli esperimenti con suo figlio utilizzando l’idea di rinforzo. Questo ha portato all’invenzione delle macchine per insegnare: la macchina dava un rinforzo positivo o un feedback negativo. Chi stabiliva i questionari stabiliva che ci fosse un margine di errore molto basso in modo tale che ci fosse quasi sempre un rinforzo positivo. I questionari erano semplici. Non tutti gli studenti sono uguali però→ perciò è stata rivalutata la macchina in modo che: - Il materiale didattico è scomposto in “atomi” - Ogni atomo termina con una domanda (richiamo del contenuto) Progettazione del compito: in media la probabilità di rispondere correttamente deve essere maggiore del 90%, il compito era quindi semplici. Risposta corretta > rinforzo positivo - si passa alla prossima unità didattica Risposta errata > risposta ignorata, si ripete l’unità didattica - Tempi diversi per ognuno Il concetto di individualizzazione si arricchisce, nel secondo dopoguerra, nel confronto con il cognitivismo (a sua volta influenzato dalla cibernetica e dalla psicolinguistica) e troverà una solida sistematizzazione nel mastery learning modello immaginato per un percorso didattico senza una tecnologia. E’ un approccio finalizzato a condurre tutti i soggetti a “padroneggiare” i risultati di apprendimento previsti. Sostiene l’importanza di identificare ed esplicitare accuratamente gli obiettivi di apprendimento, suddividere e gradualizzare il percorso in unici accompagnare lo studente con feedback costanti finalizzati a sostenere e migliorare i risultati (valutazione formativa) e ricorrere a forme di adattamento, ad esempio attraverso la semplificazione di parti del programma, per venire incontro alle difficoltà soggettive. Le tecnologie, dalle macchine per insegnare ai computer, hanno accompagnato il processo di sviluppo del concetto di individualizzazione contribuendo a mettere a fuoco una serie di fattori, o variabili, su cui poter intervenire. II fattore più semplice da manipolare, e storicamente il primo a essere stato sfruttato, è il tempo: si può mantenere immutabile il tragitto di istruzione e dare più tempo a chi è più lento nell’apprendimento o, viceversa, consentire chi è più solerte di progredire velocemente. Una diversa area su cui poter intervenire è rappresentata dal contenuto. Questo può essere semplificato e scomposto in parti o, viceversa, esteso e arricchito. La Teoria del carico cognitivo fornisce oggi indicazioni precise in questo senso, a partire dalla distinzione tra i diversi aspetti del contenuto, suggerendo una serie di operazioni necessarie a ridurre il carico cognitivo estraneo e a ottimizzare le componenti connesse al carico cognitivo intrinseco e pertinente – secondo la definizione della clt -, ad esempio mediante la scomposizione dei contenuti (chuncking), la loro sequenzializzazionc, la progressiva attribuzione di spazi di autonomia al discente nel gestire i propri ritmi (pacing), la graduale diminuzione del supporto tutoriale (fading) e provvedendo all’offerta di informazioni propedeutiche alla comprensione, ad esempio fornendo chiarimenti terminologici, esemplificazioni, approfondimenti. I materiali integrativi sono necessari per dare quelle informazioni di sfondo che, se carenti (le cosiddette “lacune’'), possono pregiudicare l’avanzamento. Sempre sul fronte dei contenuti è possibile intervenire sul sistema simbolico di presentazione usando più canali comunicativi: parole, testo o altri sistemi come suoni, immagini statiche e animate, schemi e organizzatoli grafici. 12 Comenio nel ’600 rende evidente come le immagini possono essere molto importanti per l’apprendimento. Nelle sue opere infatti incita a prendere in considerazione i sensi e il valore delle immagini che rendono meno astratta la conoscenza. La sua posizione fu molto sottovalutata soprattutto a causa del costo elevato della stampa con immagini. Orbis Pictus fu l'opera più conosciuta di Comenio, il primo libro illustrato per l'infanzia con immagini ed espressioni verbali. La multimedialità si occupa di tutti i formati differenti (suono, video, immagini) Successivamente il tema delle illustrazioni sarà nuovamente chiamato in causa. Nasceranno cosi abbecedari, tabelloni e albi illustrati che porteranno a riflessioni sul rapporto tra immagini e parola scritta. Con la diffusione della lavagna di ardesia nelle scuole, si avranno lavori come quello di Bumstead (1841) che partendo dal constatare l’incapacità degli insegnanti dell’epoca di usarla, si preoccupa di fornire esemplificazioni concrete, e indicazioni passo passo su quali parole debbano accompagnare il gesto grafico per risultare più incisive, ma senza arrivare a sviluppare un modello generale. Lo studio sistematico del rapporto tra formati prende avvio con il cognitivismo, area di ricerca che a sua volta basa alcuni dei suoi principali costrutti proprio sull’informatica. I programmi di ricerca si focalizzano sulle differenze a livello cognitivo nell’elaborazione di formati diversi - ad esempio il modello della doppia codifica di Paivio (1971; 1986) - e sulle caratteristiche complessive del sistema cognitivo. Con I‘avvento della multimedialità prendono avvio specifiche ricerche sul rapporto tra formati mediali diversi, tra cui, in particolare, la Teoria dell’apprendimento multimediale elaborata da RICHARD MAYER (2009). Il sistema di elaborazione delle informazioni umano contiene un CANALE AUDITIVO- VERBALE e un CANALE VISIVO. Quando l’informazione viene presentata agli occhi (illustrazione, animazione, video o testo scritto), viene processata con il sistema visivo; quando l’informazione viene presentata sotto forma di suono (narrazioni o suoni non verbali), viene processata attraverso il canale auditivo-verbale. La nostra attenzione è per natura selettiva e quindi noi dobbiamo capire quale segnale è più importante 5. Partecipazione – reti\web È interessante notare come il rapporto tra tecnologia ed educazione abbia indefinito un concetto preesistente, in questo caso quello di partecipazione. Partecipare significa prendere parte, condividere, poter intervenire e quindi determinare, in qualche modo, il corso di un evento. La tecnologia ha ridefinito il concetto di partecipazione rendendo visibile, grazie all’avvento della possibilità di partecipare a distanza, le specificità della presenza. Con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione è stato possibile ripensare i luoghi, i tempi e le forme della partecipazione alle esperienze formative. Le tecnologie permettono di assistere a una lezione in un’aula universitaria ma anche da casa in connessione streaming; così come è possibile discutere in classe o farlo attraverso un webforum online. La ricerca sulla formazione a distanza ha consentito di indagare meglio anche sulle caratteristiche della lezione in presenza e di rendere evidenti i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le situazioni. MICHEAL MOORE ha fornito un contributo alla comprensione del concetto di partecipazione mettendo in evidenza il carattere fenomenologico della distanza: vi è una distanza nella presenza e una prossimità nella lontananza spaziale. Si può essere vicini fisicamente, ma distanti dal punto di vista affettivo, cognitivo, relazionale e essere empaticamente e intellettivamente vicini a persone fisicamente lontane e collegate in maniera virtuale attraverso le tecnologie. La vicinanza non è una garanzia di presenza. Pertanto, in un contesto didattico non si può fare affidamento sull’idea di presenza scollegandola dalla partecipazione e al coinvolgimento e valutare cosa si fa meglio in presenza, e cosa può essere utile immaginare in remoto. I fattori che variano parlando di partecipazione sono: - Il corpo - In presenza si comunica con il corpo, sguardi, movimenti. Importante è lavorare in presenza per lavorare in gruppo. - Lo spazio - Comunicare con persone di provenienze diverse - Il tempo - La distanza ha permesso di rivedere anche il concetto di tempo e di formazione (nei tempi e nei modi definiti dall’utente). La tecnologia ha fornito due modi di concepire la comunicazione (formazione) nel tempo: 15 comunicazione SINCRONA (chat, audio, videoconferenze): possibilità di comunicare direttamente con qualcuno comunicazione ASINCRONA (e-mail, forum, post): non è diretta, avviene in step La comunicazione asincrona rappresenta una vera e propria opportunità: comunicazione tra persone che non condividono gli stessi orari elimina il problema dei turni Permette agli utenti di fruire dei contenuti secondo le proprie possibilità e disponibilità di tempo La formazione online utilizza entrambi Le innovazioni determinate dalle tecnologie portano la didattica a rivedere le proprie pratiche, il tipo di mediatori da impiegare e, in generale, il senso delle proprie azioni L’idea che ci si possa avvalere di momenti specializzati e differenziati sulla base della partecipazione in presenza, faccia a faccia o a distanza consente di pensare a esperienze di blended learning e di technology-enhanced learning. Parlando di partecipazione trova posto anche il concetto di flipped classroom, modalità di insegnamento che prevede il ribaltamento delle classiche basi di lavoro (filp significa “capovolgere”) e la distinzione tra attività da svolgere da soli e attività da fare in presenza. Se la sequenza classica prende avvio con l’insegnante in aula che spiega i concetti, a cui segue lo studio a casa, nel modello flipped il lavoro a casa, tipicamente basato sulla visione di video, precede il lavoro in aula. Questo perché le tecnologie rendono possibile la fruizione individuale dei contenuti in un luogo qualsiasi attraverso i media. In aula, il confronto faccia a faccia può consentire di fare cose che non possono essere svolte diversamente: drammatizzare, allestire giochi di ruolo, svolgere esperimenti laboratoriali, lavori di gruppo basati su attività pratiche. 6. Collaborazione – ambienti online Il termine collaborazione ha un’importanza notevole nel lessico pedagogico. “Collaborare” (dal latino cum- e labòrare, “lavorare assieme”) significa essere coinvolti attivamente nel processo educativo e, nella prospettiva dello studente, assumere la duplice responsabilità dell’insegnare e dell’apprendere. In epoca recente si possono rinvenire elementi di collaborazione nelle esperienze ottocentesche di mutuo insegnamento con cui Joseph Lancaster e Andrew Bell provarono a fronteggiare la scarsità di insegnanti nelle scuole rurali britanniche ricorrendo all’impegno degli studenti più grandi, chiamati a collaborare al compito educativo. L’idea che lo studente possa svolgere un ruolo dinamico nell’apprendimento, in particolare all'interno di situazioni di gruppo, trova vigore con l’attivismo e l’impegno di educatori come Roger Cousinet o Célestin Fremer e si concretizza in vere e proprie metodologie d’intervento con le ricerche sull’apprendimento cooperativo a partire dagli anni Sessanta. L’avvento delle reti telematiche, nel dare vita a una nuova stagione di esperienze di apprendimento collaborativo, porta anche a ripensarne i criteri attuativi e a comprendere opportunità e limiti di questo tipo di esperienze. La rete consente di comprendere il valore euristico e generativo della discussione a distanza, soprattutto quando effettuata attraverso la scrittura, le potenzialità del lavoro asincrono, l’importanza dei ruoli e della regolazione delle dinamiche relazionali. I forum di discussione, in particolare, permettono di sperimentare il valore della permanenza e della plasticità del pensiero scritto e reso “visibile” dunque modificabile e commentabile, ma allo stesso tempo capace di dare luogo a fraintendimenti o degenerare in forme di verbosità inconcludente. Dal 2001 il web è cambiato, si può essere per la prima volta autore lasciando commenti e recensioni. In ambito tecnologico ed educativo le prime forme di apprendimento collaborativo si hanno con i CSCL (Computer Supported Collaborative Learning). Contemporaneamente, oltre alle esperienze formali e strutturate (scuole e università), nascono anche delle esperienze collaborative spontanee. Rappresentano esperienze di questo tipo i gruppi aperti, che, grazie a una passione comune, arrivano ad ampliare le loro conoscenze fino a dare vita a oggetti tangibili. Si pensi a progetti come Wikipedia, a software open source come Linux e Moodle o alle numerose iniziative nate grazie alla rete: movimenti politici e culturali, gruppi di discussione e di interesse, progetti editoriali e cinematografici realizzati con il finanziamento collettivo (crowdfunding) e tante altre. La rete ha reso possibile il dialogo e il confronto 16 continuo all’interno di comunità di persone impegnate attorno a uno stesso problema, in ogni ambito e a ogni livello. Lèvy introduce il concetto di INTELLIGENZA COLLETTIVA (la somma delle nostre intelligenze produce un risultato più ampio della semplice somma) una amplificazione delle capacità umane consentita dalle reti telematiche che permettono di scambiare e costruire conoscenze. Grazie alle tecnologie l’intelligenza è resa sinergica e condivisa democraticamente e globalmente al punto da rappresentare un’opportunità per il rinnovamento degli stessi legami sociali. Grazie alle reti, le conoscenze escono dalie accademie e dai circuiti privati o locali e diventano disponibili a tutti. La rete, con i suoi nodi e le sue connessioni, diventa la metafora ma anche il concreto modello di sviluppo della società e di nuove forme di apprendimento. Si assiste a una straordinaria diffusione di termini quali comunità di pratiche, comunità online, knowledge community, learning community. Rheingold (1994), nel descrivere le prime comunità virtuali, traccia la linea di demarcazione tra gruppi e comunità sulla base della quantità di tempo e del tipo di rapporto che si instaura tra i partecipanti. Una comunità nasce quando l’interazione si protrae abbastanza a lungo da creare abitudini e convenzioni condivise e quando le singolarità che ne fanno parte dono reciprocamente per la realizzazione di certi fini. Tra le caratteristiche tratteggiate da Rheingold ci sono la predisposizione al pensiero creativo e la personalizzazione della comunicazione. Si tratta di aspetti che si ritrovano anche nelle comunità hacker descritte da Himanen (1001) e che sono alla base dei movimenti per l’accesso aperto alla conoscenza, da cui nascono prodotti collegiali come i software open source. In queste comunità si sperimentano ideali di convivenza democratica e una idea di apprendimento in cui ogni soggetto è libero di esprimere le proprie opinioni e dare il proprio contributo nei tempi e modi desiderati. La collaborazione richiede condivisione di valori. Esperienza di Wikipedia i contenuti inseriti nella nota enciclopedia libera online sono prodotti da una comunità di volontari della quale chiunque può far parte; le decisioni che nascono davanti alle controversie sono prese raggiungendo il consenso tra coloro che sono coinvolti, ma esistono ruoli diversi nei lavori di manutenzione. Lo status di amministratore, il più alto, viene conseguito dopo un’elezione dagli utenti che hanno acquisito una certa esperienza, e che si sono mostrati particolarmente attivi, guadagnandosi così la fiducia della comunità. Oggi che, con il web 2.0, il fenomeno dell’uso dei social media è diventato di massa, è possibile osservare differenze tra chi partecipa occasionalmente, chi aderisce in maniera selettiva e definita a gruppi di interesse e chi, invece, arriva progressivamente a forme più strutturate di partecipazione, come le reti di pratica o le vere e proprie comunità online. 7. Gaming Solitamente citati come un problema, fonte di distrazione ed estraniamento, rappresentano un fenomeno sociale a cui bisogna riconoscere anche il merito di aver riacceso l’interesse per le potenzialità del gioco e la sua capacità di ingaggiare le persone in attività complesse impegnative. Numerosi studiosi si sono preoccupati di comprendere caratteristiche, funzioni e potenzialità del gioco tradizionale relativamente allo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del bambino. Molti studi (e studiosi) hanno messo in evidenza il potenziale offerto dal gioco in termini di sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale. Piaget, Vygotskij, Freud, Bruner hanno dimostrato il contributo del gioco nello sviluppo del senso motorio, linguistico e intellettivo. PATRICIA GREENFIELD è stata una delle prime studiose ad analizzare i videogiochi dal punto di vista dei rapporti con l’apprendimento. Analizzando Pac-Man, celebre gioco degli anni Ottanta, ha messo in evidenza come giocare migliori il coordinamento oculo-motorio; sviluppi le capacità induttive necessarie a superare gli ostacoli e a comprendere la natura del gioco; stimoli l’elaborazione parallela di informazioni da più fonti; solleciti abilità strategiche, di controllo e trasformazione della casualità in ordine. Un recente lavoro di Rickard Mayer (2014) fornisce una sintesi, nella prospettiva dell’Evidence - Based Education, dei contributi apparsi in letteratura attorno a tre principali quesiti: quali sono le caratteristiche dei giochi che migliorano l’apprendimento, che cosa imparano le persone giocando con i videogiochi commerciali, se si apprenda meglio con i giochi o con altri media. 17 □ Le eccezioni: evidenze positive Le tecnologie risultano più efficaci se hanno una funzione supplementare invece che sostitutiva L’uso collaborativo delle tecnologie (piccoli gruppi) più efficace rispetto a un impiego quello individuale. I risultati appaiono più evidenti per le competenze matematiche e scientifiche piuttosto che per quelle letterarie. È particolarmente efficace l’uso delle tecnologie per gli studenti con BES (BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI) Le tecnologie si dimostrano più efficaci se utilizzate in programmi limitati nel tempo, in cui sia previsto un uso regolare e costante, ben focalizzati sui risultati di apprendimento; La formazione professionale dell’insegnante all’uso delle tecnologie in chiave formativa è un demento inumante per determinare l’efficacia didattica di queste ultime Tutorial, video interattivi e attività di video modeling possono sostenere gli studenti. Condizioni ottimali che tendono a massimizzare l’efficacia dell’uso delle tecnologie per apprendere e che sono qui sintetizzate, a integrazione di quelle sostenute da Higgins. L’efficacia risulta maggiore quando: a) l’insegnante è in grado di impiegare più strategie di insegnamento, adattandole alle diverse situazioni di apprendimento b) l’insegnante è stato precedentemente formato all’uso delle tecnologie a scopo didattico (e non puramente strumentale); c) lo studente, e non l’insegnante (né il computer), ha il controllo del processo di apprendimento; d) si ottimizza l’apprendimento tra pari (in coppia, piuttosto che da soli o in grandi grappi) e il feedback (bidirezionale insegnante-studenti). Quando parliamo di tecnologie ci domandiamo spesso se funziona o no, nel nostro caso però ci interessa sapere se quella specifica tecnologia introdotta in un determinato contesto sia efficace o no. Non sempre c’è un valore aggiunto nell’introduzione delle tecnologie, ma sicuramente c’è un pareggio. La didattica con le tecnologie cambia radicalmente in positivo, portando ad avere un valore aggiunto che senza strumenti non potrei avere. Non è però necessario un entusiasmo a tutti i costi verso la tecnologia. - Cai e tutorial - video - Il video-modeling Casi di ovvia utilità È il caso delle tecnologie a servizio della disabilità: (sensoriale, motoria e cognitiva) e più in generale nel caso dei cosiddetti BES (Bisogni educativi speciali). Considerando che il numero degli studenti con disabilità nella scuola italiana è in costante crescita, è chiaro che qui si gioca una delle priorità tecnologiche della scuola. Non solo certe tecnologie sono di indubbia utilità, ma anche in certe condizioni (e non esclusivamente, come vedremo, nell’ambito delle disabilità), il loro impiego è una precondizione necessaria, rappresentando il fattore stesso abilitante all’apprendimento o, comunque, offrendo un significativo valore aggiunto sul piano dell’indipendenza, dell’inserimento lavorativo e della partecipazione sociale. Alcuni esempi posso essere: screen reader (lettori di schermo), sintesi vocale, sistemi di puntamento oculare. Avendo venire incontro ai bisogni di studenti con disabilità motoria e/o visiva, una delle prime soluzioni a cui la scuola dovrebbe pensare è quella di garantire l’accesso e l’utilizzo degli strumenti informatici in dotazione. Una prima soluzione abbastanza semplice e dai costi contenuti è quella rappresentata dai dispositivi di input speciali, caratterizzati da dimensioni, forme e funzionalità adeguate a sfruttare la mobilità residua. Sono infatti disponibili diversi tipi di tastiere alternative con dimensioni maggiorate (o 20 ridotte per coloro che hanno limitate capacità di movimento nel raggio d’azione, ma con una buona motricità fine nell’uso delle dita), disposizione verticale/distanziamento/riduzione del numero dei tasti, alto contrasto cromatico e così via. In casi di funzioni maggiormente compromesse, l’input al PC può essere gestito con sensori e altri dispositivi di puntamento: mouse alternativi, puntatori azionabili tramite l’uso dei piedi, di speciali caschetti, con la bocca (ad es. soffiando o mordendo) o, ancora, attraverso il movimento della testa o delle pupille (puntamento oculare) consentono di effettuare le normali operazioni svolte attraverso l’uso di un mouse a coloro che hanno un limitato uso delle mani. Il funzionamento si basa sull’uso di una videocamera che percepisce i movimenti oculari e li invia al computer, in modo che questo li elabori per eseguire comandi che possono servire, ad esempio, per navigare in rete, scrivere, inviare una e- mail, usare un programma di studio/videoconferenza, ma anche per giocare con il computer) Altri dispositivi rientranti in questa categoria che rispondono alle necessità di studenti con deficit visivi fortemente invalidanti sono gli screen reader (lettori di schermo) con sintesi vocale. Si tratta di dispositivi, hardware o software, che consentono di interpretare i contenuti digitali visualizzati sul monitor e di riprodurli attraverso una voce elettronica o, se collegati a un dispositivo Braille, di trasformare il contenuto su schermo in testo leggibile con le mani. Bisogni Educativi Speciali = (Special Educational Need) si intende qualsiasi DIFFICOLTÀ EVOLUTIVA, IN AMBITO EDUCATIVO E/O O DI APPRENDIMENTO, espressa in un funzionamento problematico anche in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata». La disponibilità di tecnologie con funzione assistiva rappresenta una condizione certamente necessaria per l’apprendimento – in quanto abilita la partecipazione, l’accesso alle risorse, la comunicazione -, ma non sufficiente al perseguimento degli obiettivi didattici: questo richiede interventi a più ampio spettro, sul piano organizzativo e didattico, con la definizione di strategie ben fondate e adeguatamente contestualizzate. Sintesi vocale: riduce l’affaticamento della lettura Riconoscimento vocale: velocizza la videoscrittura, soprattutto in difficoltà di digitazione a 10 dita. Ocr Audioreader Tachiscopio: strumento utilizzato per produrre una lettura parola per parola. Era nato per imparare qualcosa a memoria, ma viene utilizzato come strumento di supporto per procedere alla comprensione e analisi del testo che per una persona con BES potrebbe essere più difficile. 21 Le app hanno portato ad un altro forte cambiamento – Questo perché sviluppare un software vero e proprio significa anche di immaginare di impiegare tale software nella scuola. Il mondo dell’app però vengono fruiti anche nei contesti extrascolastici come giochi, videogames Casi in cui il confronto è improponibile Le tecnologie modificano la natura stessa dell’oggetto e del processo di apprendimento. Google maps e Google Earth sono uno strumento molto potente. Streg di google maps (sorprese), posti dove non va mai nessuno, cose che risulta difficile immagina che ci siano. (vedi mostro di Locness o gatto di Roma). Inoltre, ci sono casi in cui le tecnologie o, meglio, determinati setting tecnometodologici possono candidarsi come fattori abilitanti un diverso ambiente pedagogicamente significativo, avanzando - per così dire - pretese di nuova educativa. Casi in cui il pareggio è positivo CAA dispositivi per la comunicazione simbolica (Comunicazione Aumentativa e Alternativa) di supporto per soggetti che hanno una capacità comunicativa compromessa (es. soggetti autistici). Questo tipo di comunicazione è un tipo di comunicazione che permette a persone che hanno BES la possibilità di comunicare attraverso delle tessere con scritte delle parole. Accostando le tessere si possono creare delle frasi. Questo lavoro può essere fatto per comunicare con l’alunno o per permettere all’alunno di comunicare con l’adulto. La tecnologia permette inoltre di associare alla tessera un audio. Si tratta di strumenti che consentono di esprimere pensieri (mi piace questo film), bisogni (devo andare in bagno), desideri (vorrei giocare con i pennarelli), ma anche stati personali (sono triste, sono affamato, sono arrabbiato) attraverso l’uso di figurine che possono essere cliccate, ad esempio su un tablet o altro supporto ad hoc, con in aggiunta la funzionalità della sintesi vocale. Ancora non abbiamo evidenze stabili che mostrino significativi vantaggi per l’apprendimento; con tutto ciò dispositivi come questi, che rendono disponibile un repertorio iconico utile alla comunicazione di un soggetto impossibilitato a parlare (permettendo anche di tradurre l’immagine in parlato), possono offrire un valore aggiunto di carattere pratico anche per l’interlocutore che deve comprendere il bisogno del soggetto. E- learning – Il dato generale che emerge rispetto alla loro efficacia converge verso le non significative differenze. Questi dati sono confermati anche da quella che è a oggi, la più rilevate iniziativa di ricerca volta a ottenere conoscenze attendibili sull’online learning, intrapresa dal Dipartimento dell’Educazione statunitense; una meta-analisi in cui sono stati messi a confronto i risultati di studenti inseriti in percorsi 22 e propri laboratori virtuali (fig. 15), che possono rivelarsi di grandissima utilità per l’apprendimento. Questi, possono consentire di osservare e comprendere fenomeni naturali o, nell’ambito scientifico- matematico, essere utilizzati per sviluppare il senso della ricerca scientifica, facilitare la comprensione dei processi attraverso la loro astrazione e modellizzazione, rendere l’invisibile visibile”, in particolare per tutto ciò che non è direttamente osservabile in natura o non è facilmente descrivibile testualmente o oralmente e in assenza di laboratori adeguatamente attrezzati. Nel sottolineare la valenza cognitiva delle tecnologie per la simulazione, si avverte, tuttavia, anche la necessità di alcune cautele. Lo studente, in particolare se non ancora esperto del dominio, ha scarsa consapevolezza dei limiti e della natura convenzionale del modello stesso; il modello può, per così dire, “imprigionare” la mente dell’alunno: per lui il modello diventa la realtà. È più significativo far costruire attivamente modelli e simulazioni agli alunni stessi, il che consente di far meglio comprendere i limiti di validità del modello scelto, piuttosto che fornire ambienti strutturati. Gli ambiti da esplorare Uno degli ambiti più affascinanti da questo punto di vista riguarda le applicazioni tecnologiche nell’ambito degli interventi didattici con soggetti autistici, quali gli ambienti di realtà aumentata, cui abbiamo già fatto cenno, e i robot sociali, ossia robot, tipicamente con forme che ricordano almeno in parte caratteristiche umane, dotati di funzioni di interazione e comunicazione. L’autismo è una patrologia che si caratterizza per marcati disturbi sul piano comunicativo-relazionale e cognitivo; su di esso abbiamo assistito a una crescente attenzione da parte della ricerca e dell’opinione pubblica, anche in conseguenza di recenti contributi che hanno mostrato come dietro i comportamenti incomprensivi di questi soggetti si possano nascondere dimensioni interne e potenzialità che non trovano opportunità di manifestarsi. Uno dei rischi della condizione autistica è il generarsi di situazioni di panico quando si devono affrontare rapporti interpersonali o ci si trova in situazioni di imprevedibilità. La regolarità degli ambienti informatici e la possibilità di usare un avatar per comunicare o tecnologie per esprimersi amplificando i movimenti del corpo possono aprire prospettive nuove. Attraverso una tastiera molti autistici possono esprimersi e, oltre a ciò, «i tablet presentano enormi vantaggi rispetto ai vecchi portatili; non ce bisogno di togliere gli occhi dallo schermo». La dimensione meta Nelle situazioni considerate possono entrare in gioco fattori extra-tecnologici, tra questi, merita particolare attenzione l’azione dell’insegnante, a cui spetta il compito e la responsabilità di scegliere come e quando riconfigurare le tecnologie nelle loro applicazioni didattiche. La qualità della formazione e la reale expertise didattico-tecnologica dovrebbero essere valutate sulla base del riuscire a trovare gli strumenti più adatti alla soluzione di significativi problemi di apprendimento e, allo stesso tempo, dell’essere in grado di valorizzare le opportunità nascoste che le tecnologie possono offrire per attivare riflessioni e processi cognitivi di alta qualità. Un insegnante esperto, a fronte di una tecnologia, trova spesso soluzioni pedagogicamente rilevanti, stravolgendo anche, dove necessario, il senso e l’uso comune al quale quella tecnologia sembra destinata. Una valenza formativa alta delle nuove tecnologie si ha nelle occasioni in cui esse offrono l’opportunità per riflettere sulle regole sottese, sui criteri interni, sollecitando la capacità di vedere i problemi secondo una pluralità di ottiche, di considerarli secondo angolature inconsuete, di acquisire consapevolezza dell’esistenza di relazioni più profonde, nascoste. Queste dimensioni cognitive sono arrivabili operando, per così dire, dietro le quinte di software anche molto comuni: ambienti di scrittura o di costruzione di ipertesti rimangono di valore emblematico in tal senso. Possiamo dire che ogni tecnologia è potenzialmente in grado di generare rilevanti riflessioni educative o di trasformarsi in un mind tool, se si è in grado di coglierne le potenzialità indirette, stravolgendola dal suo uso abituale. 4. LA COMPETENZA DIGITALE Tecnologie come oggetto di apprendimento: nella letteratura e nelle politiche interazionali quando ci si riferisce a questo ambito di studio e di intervento si parla di learning about technology oppure di technology literacy, che nel caso più specifico delle tecnologie digitali digital literacy o digital competence, 25 oggi in Italia competenza digitale. In questo caso la tecnologia non è vista come mezzo per conseguire obiettivi disciplinari o miglioramenti del contesto scolastico: le finalità su cui ci sì concentra sono una conoscenza di base delle tecnologie, la competenza con la quale farne uso, la consapevolezza delle potenzialità sia per risolvere problemi sia per contribuire alla formazione della persona. Tecnica e tecnologia La parola tecnologia deriva dai termini greci techne e logos: il primo copriva uno spettro semantico molto ampio, potendo oggi tradursi con arte, regola, mestiere, pratica, metodo; il secondo significava discorso, racconto, ragionamento. La tecnologia è oggi ricerca e rielaborazione teorica circa l’applicazione e l’uso di strumenti tecnici, regole e conoscenze, a scopo pratico, per risolvere problemi, prendere decisioni, scegliere strategie, ottimizzare procedure. Il termine al singolare indica preferibilmente l’attitudine umana a svolgere questo ragionamento, mentre al plurale, tecnologie, sollecita un riferimento più stretto alia molteplicità delle discipline e dei saperi coinvolti: matematici, delle scienze naturali, fìsici, meccanici, informatici e altri. I latini traducevano techne con ars, ma nella lingua italiana il primo sostantivo mostra assonanza con tecnica, il secondo con arte, significati per noi molto l’uno dall’altro. È interessante scoprire che nel pensiero greco antico invece questa dicotomia non esisteva, entrambe le parole si riferivano ad applicazioni dell’ingegno umano per realizzare qualcosa non presente in natura. Aristotele ha già una visione moderna della techne, di cui coglie due aspetti che la avvicinano al significato moderno di tecnica: a) essa presuppone la generalizzazione di una serie di casi particolari di cui si sia fatta esperienza b) essa è un agire rivolto a uno scopo pratico (saper fare). Nel XVII secolo comparve il lemma tecnologia, analogo all’ inglese technology, inclusivo dei significati che fino ad allora attribuiti all’italiano tecnica, al francese technique e al tedesco Technik. In italiano tecnologia e tecnica sono usati spesso l’uno al posto dell’altro. Il vocabolario Treccani, al contrario, decreta che con tecnologia si intende un uso ottimale delle tecniche, dopo un’elaborazione sistematica, per un intervento produttivo pianificato e razionalizzato «La tecnica designa l’insieme dei procedimenti utilizzati per ottenere un determinato risultato [...] si parla così della tecnica del maniscalco o di quella dell’incisore [...]. La tecnologia invece [...] si propone per parte sua di studiare i procedimenti tecnici nei loro aspetti generali, e nei loro rapporti con lo sviluppo della civiltà» La tecnologia si presenta in uno stadio avanzato della diffusione delle tecniche, quando la tecnica prende coscienza di sé, della sua struttura interna e delle sue implicazioni, quando scopre che ubbidisce a criteri e principi sottostanti in genere suggeriti dalla scienza. Nel tempo alcune tecnologie sono state così dirompenti che si è parlato di rivoluzioni. Nel VIII secolo i mulini ad acqua, alla fine del XV secolo la stampa a caratteri mobili, e poi le rivoluzioni industriali per effetto di nuove scoperte, come la macchina a vapore (metà XVIII secolo), l’elettricità e il motore a scoppio (metà XIX secolo), l’elettronica digitale e i controllori programmabili (seconda metà XX secolo), le picotecnologie e l’Internet of Things. nell’arco di pochi anni hanno avuto un impatto fino ad allora impensabile sul modo di vivere, introducendo o cancellando mestieri e professioni, ridefinendo abitudini e comportamenti, spostando le economie mondiali in funzione delle materie prime e delle fonti energetiche che di volta in volta hanno acquisito importanza. Tecnologie digitali Il termine digitale deriva dal latino digitus, letteralmente “dito”, ma anche “cifra” all’interno di un sistema di numerazione. Nelle discipline dell’elettronica e dell’informatica si attribuisce la qualifica di digitale a dispositivi che trattano grandezze in forma discreta, in contrapposizione al termine analogico, che invece si riferisce a sistemi in cui a una grandezza si fa corrispondere una rappresentazione continua e ad essa direttamente proporzionale. 26 Nel cosiddetto segnale digitale, il messaggio è convertito in simboli. Attualmente la codifica digitale in uso è quella relativa al sistema binario di 1 e 0. Di conseguenza, convertire un fenomeno naturale in digitale vuol dire convertirlo in una sequenza di bit. Tale tipo di segnale solitamente non subisce disturbi e viene ricevuto in modo identico a quello emesso. Analogica è una grandezza che varia in modo continuativo e senza interruzioni (nell’orologio quindi che visualizza ore, minuti e secondi in modo continuato e senza arresto). Digitale è una grandezza che varia a sequenze (quindi che visualizza ore, minuti e secondi in sequenze esatte) Digitale non è sinonimo né di elettronico né di informatico, anche se i tre aggettivi talvolta sono associati. Né tra digitale e analogico vi è una relaziona di maggiore o minore modernità. - I primi dispositivi per elaborazioni automatiche furono realizzati alla fine del Cinquecento, meccanici e non elettrici, ma digitali, perché lavoravano su un numero finito di posizioni. - I primi calcolatori che fecero uso di componenti elettronici risalgono agli anni Trenta del Novecento e per decenni furono equipaggiati con sottosistemi e periferiche analogiche. ENIAC, primo calcolatore elettronico, era costruito a valvole sfruttate però in situazioni limite, avvicinandoci così all’era dei calcolatori elettronici digitali. - Prototipi furono realizzati a scopi militari o di ricerca; la commercializzazione di elaboratori a valvole fu avviata da IBM a metà degli anni Quaranta. - Dopo la metà degli anni Cinquanta seguirono quelli realizzati a transistor, mentre la microelettronica si sviluppò negli anni Settanta. Il termine informatica, per indicare la scienza che si occupa del trattamento delle informazioni, nacque solo nel 1962 a opera di Philippe Dreyfus in una sua conferenza, a seguito della formalizzazione del concetto di procedura di calcolo – ALAN TURING 1936 LA MACCHINA DI TURING (MDT) è un modello di calcolo introdotto Alan Turing nel 1936, per simulare il processo di calcolo umano. Il primo tentativo di definizione di procedura effettiva e di programma eseguito in modo automatico da una macchina. Grazie all’avvio del processo di miniaturizzazione, all’inizio degli anni Settanta Hewlett-Packard e IBM realizzarono i primi computer trasportabili (oltre 20 kg), ma pochi anni dopo si diffusero schede programmabili che consentirono a un’intera generazione di hobbisti di avvicinarsi alla progettazione, finché nel 1976 Steve Wozniak non ebbe l’intuizione di collegare una scheda programmabile a un televisore che Steve Jobs commercializzò con il nome di Apple I (nasceva la Apple). Nel 1981 IBM annunciò il personal computer per tutti, da usare «on your desk, in your home or in your child's schoolroom» e rendendone pubblica l’architettura interna, stabilì uno standard di cui molti produttori si avvalsero clonando il prodotto IBM. Pressoché tutti i dispositivi digitali oggi fanno uso di elettronica (non vale il viceversa). Nel frattempo, si è evoluto anche il settore delle reti: i segnali digitali sono più facilmente controllabili e rigenerabili in caso di disturbi, consentendo flussi di dati ad alta velocità e su geografie ampie. L’ergonomia subì miglioramenti soprattutto grazie al mouse nel 1967, brevettato da Douglas Engelbart, e nel 1984 grazie alle prime interfacce grafiche. I progressi nell’informatica e nelle telecomunicazioni, però, si sarebbero configurati come evoluzioni tecnologiche incrementali se non si fosse verificato un fenomeno di convergenza, preannunciato dal visionario Nicholas Negroponce nel 1978 alla fondazione del MIT Media Lab, e parzialmente documentato dalla Commissione Europea negli anni Novanta. Non solo libri, musica, immagini, in quanto digitalizzabili (trasformabili in bit), sono confluiti nel computer, ma si è assistito anche alla convergenza della piattaforma computer con quelle dei media tradizionali e della telefonia. La convergenza è nei formati, nei dispositivi, nell’assetto normativo, nell’economia, nella ricerca. 27 2. I media sono UN’INDUSTRIA DELLE COSCIENZE: non sono neutrali, comprano audience e la rivendono al mondo della pubblicità, impongono modi e stili di vita, controllano economia e politica. 3. I media sono una formidabile FABBRICA DI NOTIZIE: stabiliscono ciò che è rilevante per la comunicazione nella società e spesso si trasformano in gate Keeper: guardiani che filtrano le informazioni. 4. APPROCCIO DEMOCRATICO: per chi e per quali interessi i media acquisiscono, selezionano, diffondono le informazioni? Non finiscono per condizionare gli stessi processi democratici? Se vogliamo che i media servano la vita dobbiamo partire da un approccio democratico ed educativo ai media nella scuola. 5. IMPORTANZA DELL’AUDIOVISIVO nella vita moderna: immersione in un contesto ricco di suoni e immagini. Si tratta di un linguaggio che deve essere decodificato ed anche usato nelle esercitazioni scolastiche. 6. DIGITALIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE dei media, la diversificazione dell’offerta, i problemi valoriali ed etici che essa pone, ripresentano e confermano le ragioni che fanno della Media education un compito imprescindibile della scuola e dell’educazione Sul piano concettuale sono stati formulati diversi modelli per rappresentare dimensioni della media literacy: come per esempio sono stati delineati i ruoli che il soggetto deve assumere in relazione ai media. Per ciascun ruolo è definito un profilo di competenze interpretative supportato da conoscenze e prerequisito all’agire. (MED associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione) Lettore: deve comprendere il carattere “costruito" dei messaggi mediali, sa riconoscere gli elementi costitutivi del messaggio, i generi testuali, le finalità comunicative (ad es. informare, persuadere, comandare, suggerire ecc.) - quale linguaggio è utilizzato per costruire questo messaggio? Scrittore: deve saper produrre un messaggio finalizzato al raggiungimento dì un obiettivo predefinito. Per fare ciò usa adeguatamente la grammatica dei media scelti e le tecnologie disponibili - qual è l’intento di questo messaggio? Fruitore: deve saper riconoscere le strategie che i media mettono in atto per catturare l’attenzione e dirigere il consumo. sa riconoscere abitudini, bisogni e motivazioni che inducono all’esposizione a un particolare medium - sono veramente interessato a fruire di questo messaggio? Critico: deve saper riconoscere punti di vista e valori sottostanti al messaggio, sa associare al testo la sua dimensione etica, stilistica, socioculturale e lo sa inscrivere in una prospettiva di senso - quale punto di vista ispira questo messaggio? Cittadino: deve saper riconoscerei modelli di comportamento all'interno dei prodotti mediali, sa riconoscere come i media possono modificare la posizione del soggetto stesso all’interno della propria rete di relazioni sociali - questo messaggio migliora la mia relazione con gli altri e il mondo? Il piano nazionale scuola digitale (PNSD) 2008 // 2015 - documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale. Pilastro fondamentale de La Buona Scuola (legge 107/2015) - una visione operativa che rispecchia la posizione del Governo rispetto alle più importanti sfide di innovazione del sistema pubblico: al centro di questa visione, vi sono l’innovazione del sistema scolastico e le opportunità dell’educazione digitale. Non più un laboratorio di informatica separato dall’aula, ma la presenza di tecnologie che fanno parte della didattica quotidiana (LIM, classi 2.0), allestimento di aule con dotazione di strumenti tecnologici anche per la fruizione individuale e collettiva della rete (WI-FI) e BYOD (BRING YOUR OWN DEVICE) utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche... La competenza digitale I media digitali fanno il loro ingresso nella società: la pervasività della tecnologia, la diffusione dei Social Network contribuiscono a far crescere la preoccupazione intorno ai media, soprattutto per quanto riguarda i temi di sicurezza e la privacy. Ricomparsa delle paure originariamente della Media Education. 30 Alla fine degli anni Novanta si cominciò a parlare di DIGITAL LITERACY, alfabetizzazione digitale, definendola come «l’abilità di comprendere e utilizzare le informazioni in molteplici formati a partire da un’ampia varietà di fonti quando esse sono presentate il computer». (Gilster 1997) La nozione di digital literacy si affermò all’inizio degli anni Duemila anche per il rilievo che le venne attribuito dalle politiche europee: l’Unione Europea, nell’ambito di una strategia globale per «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile» (Consiglio Europeo, 2000), indicò la digital literacy come il «prerequisito per creatività, innovazione, imprenditonalità» e pubblicò documenti programmatici in linea con questa impostazione, sulla base dei quali furono attivati numerosi progetti. Per conseguire digital literacy occorre avere padronanza degli «strumenti fisici utilizzati per organizzare il mondo materiale, strumenti concettuali e cognitivi utilizzati per organizzare le informazioni, strumenti socio-economici o istituzionali utilizzati per strutturare o organizzare la società». Il verbo organizzare ricorre più volte, a sottolineare la profondità con la quale gli strumenti digitali agiscono; essi ristrutturano il reale e, per averne padronanza, è richiesta una nuova «techne nel senso greco del termine come insieme di abilità, arte e conoscenza». Nel progetto DigEuLit (2005), digital literacy fu identificata con la «consapevolezza, attitudine e abilità degli individui nell’utilizzare in maniera appropriata strumenti e servizi digitali per identificare, accedere, gestire, integrare, valutare, analizzare e sintetizzare risorse digitali, costruire nuova conoscenza, creare espressioni mediali e comunicare con altri, nel contesto di situazioni di vita specifiche, allo scopo di consentire azioni sociali costruttive, e per riflettere su questo processo» Dal 2005 l’Unione Europea e altri organismi interazionali cominciarono a sostituire al concetto di digital literacy quello di DIGITAL COMPETENCE, espressione più ampia, che oggi in Europa risulta più utilizzata. Del concetto di competenza sono state date moltissime definizioni; per Le Boterf è «la mobilitazione o l’attivazione di diversi saperi, in una situazione e in un contesto dati». Con il termine saperi si intendono conoscenze teoriche (comprendere, interpretare) e procedurali (sapere come occorre procedere), ma anche i saper fare procedurali (realmente procedere), esperienziali (come comportarsi in situazione), sociali (come comportarsi in rapporto agli altri), cognitivi (saper trattare le informazioni, ragionarci, riflettere, apprendere). Nel 2006, quando l’Unione Europea emanò la Raccomandazione con cui indicava agli Stati membri le competenze chiave da sviluppare in ottica di lifelong learning, la competenza digitale fu una di queste. Per ogni competenza la Raccomandazione fornisce una definizione e un elenco di conoscenze, abilità, attitudini: Definizione la competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base come uso del PC, device mobili, navigazione in rete per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet Conoscenze la competenza digitale presuppone solida consapevolezza e conoscenza della natura, del ruolo e delle opportunità delle TIC, consapevolezza dei potenziali rischi per la condivisione di informazioni, di come le TIC possono coadiuvare la creatività e l’innovazione e delle problematiche legate alla validità e all’affidabilità delle Informazioni Abilità le abilità necessarie comprendono la capacità di cercare, raccogliere e trattare le informazioni e di usarle in modo critico e sistematico, accertandone la pertinenza e distinguendo il reale dal virtuale Attitudini l’uso delle TIC comporta un'attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni disponibili e un uso responsabile dei mezzi di informazioni disponibili e un uso responsabile dei mezzi di comunicazione interattivi. Anche un interesse a impegnarsi in comunità e reti a fini culturali, sociali e/o professionali serve a rafforzare tale competenza Molti autori negli stessi anni sottolinearono il carattere multidimensionale della competenza digitale: nella locuzione si integrano literacy che appartengono ad ambiti diversi, sia per l’oggetto che mettono a fuoco sia per la formazione storica. Calvani, Fini e Ranieri (2010) proposero uno schema di sintesi, evidenziando sia le 31 diverse literacy incluse nella competenza digitale (technology, visual, information) sia le capacità trasversali che il soggetto deve mettere in atto quando esercita la sua competenza digitale nei vari ambiti (fare ricerca, collabo rare, risolvere problemi, usare pensiero critico). Oggi possiamo affermare che la locuzione competenza digitale rimanda a un concetto articolato e difficilmente circoscrivibile, come peraltro avviene per altre competenze, ma i vari progetti di ricerca sembrano convergere su almeno due aspetti: da un lato la natura di tale competenza, dall’altro alcune dimensioni pedagogicamente significative che essa racchiude. Caratteristiche che descrivono la natura della competenza digitale Multidimensionale: la competenza digitale implica la mobilitazione di risorse che afferiscono ad ambiti disciplinari diversi, anche oltre le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e soprattutto a dimensioni concettuali differenziate di tipo cognitivo, sociale, etico. Trasversale: competenza digitale si combina, si attiva, in parte si sovrappone con altre competenze, ad esempio con quelle di lettura, di problem solving, di inferenza, di metacognizione. Storicamente connotata: la digital literacy e la digital competence hanno assunto significati che si sono evoluti nel tempo, in parte per i cambiamenti delle tecnologie, molto per la relazione con i contesti in cui si venivano delineando, e anche per l’analisi dei comportamenti reali dei soggetti coinvolti nei diversi momenti storici. Indipendente dai prodotti: una competenza definita in ottica lifelong learning deve essere libera da mode, non legata al singolo artefatto, non misurabile sulla base di automatismi acquisiti nell’uso di specifici hardware o software, in grado di riconfigurarsi al mutare dei prodotti commerciali Declinabile nei vari contesti d’uso : la competenza digitale deve essere declinata secondo il contesto socioculturale in cui è applicata, commisurata all'età e alle necessità dell’individuo, adeguata per le diverse situazioni d’uso (personale, professionale, da cittadino, da specialista di un certo dominio, secondo le varie classi nella scuola ecc.) Dimensioni pedagogicamente significative della competenza digitale Dimensione tecnologica: Include un insieme di abilità di base che non fanno riferimento ad applicativi o prodotti commerciati specifici, si tratta di valorizzare la capacità di affrontare una tecnologia nuova e di assumere un atteggiamento flessibile ed esplorativo dinanzi a essa. L'habitus è quello dell'esploratore, che non impara meccanicamente sequenze di tasti, ma che di fronte a situazioni tecnologicamente problematiche si ingegna per risolverle e di fronte a interfacce sconosciute riesce a fare ipotesi plausibili. 32 La parola robotica ti è stata consegnata dalla fantascienza: la usò nel 1911 il drammaturgo Karel CapeJc per indicare umanoidi, assemblati in quel caso mediante procedimenti biologici, in grado di svolgere lavori pesanti e, infatti, questo è proprio il significato della parola in ceco. Negli anni Venti e Trenta, i robot nella letteratura davano vita alle paure legate al razionalismo e alle tecnologie, negli anni Quaranta Isaac Asimov cominciò a restituire un’interpretazione positiva alla robotica. Oggi i robot sono dispositivi elettromeccanici programmabili per svolgere funzioni corrispondenti alla volontà umana. La svolta significativa si è avuta negli anni Sessanta grazie al digitale e alla microelettronica; dagli anni Settanta si sono moltiplicati i robot a supporto dell’industria, della chirurgia, della riabilitazione o per l’accesso in zone pericolose, e anche quelli sociali per l’intrattenimento, l’assistenza agli anziani, l’interazione con bambini autistici. La principale differenza tra un computer e un robot risiede nella sua fisicità: sia perché ciò che si programma ha un aspetto fisico legato alla funzione che deve svolgere, sia perché il robot è in grado di relazionarsi al contesto attraverso sensori e attuatori. In ambito di robotica educativa, costruire o programmare un robot è un mezzo e non un fine, esattamente come avviene con il coding. E gli insegnanti? Prima di formare gli studenti, cosa devono sapere? La formazione dei docenti si colloca su un piano diverso rispetto a quella degli studenti: le competenze da sviluppare non riguardano soltanto un uso riflessivo e consapevole delle tecnologie, ma anche la trasposizione didattica dei saperi, il design e la realizzazione di progetti, la valutazione dei risultati ottenuti, tutti gli aspetti organizzativi e di messa a sistema delle buone pratiche. A livello personale gli insegnati italiani fanno un uso assiduo delle tecnologie (web, social, preparazione lezioni) mentre a livello professionale si rilevano alti e bassi. In Italia, peri docenti, si sono susseguiti diversi piani formativi con connotazioni diverse l’uno dall’altro: il focus è stato posto di volta in volta sulle tecnologie, sulla didattica delle discipline, sugli aspetti critico- cognitivi, sulla collaborazione ecc. Anche dal punto di vista strategico-organizzativo non c’è stato un orientamento unico negli anni, privilegiando talvolta piani di formazione di massa e talvolta la valorizzazione di eccellenze che potessero costituire un riferimento. - Nei primi anni Ottanta si affrontarono l’alfabetizzazione informatica, il sistema operativo MS-DOS e i linguaggi, in particolare il Pascal (nel Piano del 1985): gli insegnanti dovevano saper programmare per insegnare a programmare - Alla fine degli anni Ottanta il focus fu sugli ipertesti - negli anni nei primi anni Duemila l’attenzione si concentrò sull’ ECDL (patente europea del computer) e sui software usati per l’automazione di ufficio (word processor, fogli di calcolo, prodotti per produrre slide ecc.) Il piano di formazione di maggiore impatto fu ForTIC, attuato in tre fasi: a) formazione tecnologica di base: interessò 160.000 docenti, sì concentrò su strumenti e conoscenze elementari di informatica e teoria della comunicazione b) formazione su didattica e tecnologie: coinvolse 13.500 docenti, per le metodologie e l’uso di risorse educative in rete c) formazione informatica specialistica: coinvolse 4.500 docenti, per la gestione di infrastrutture, siti web, reti Fin dal 1999, però, in Danimarca erano stati attivati corsi per una patente pedagogica del computer (EPICT, in Italia dal 2004-05): gli insegnanti, attraverso corsi in modalità blended, parte in presenza e parte a distanza, si confrontavano su casi reali e progettavano in forma collaborativa l’applicazione dell’ICT a fini educativi. Concetto di docente pioniere colui o colei che porta l’innovazione, la adotta per primo, ed è disposto a farsi carico dei problemi e a correre eventuali rischi per affermare una pratica innovativa. Si tratta di un docente che affronta un percorso: è consapevole dell’innovazione didattica basata sulle ICT e sul digitale, la pratica nelle sue classi, ne fa oggetto di consulenza verso i colleghi, passa a definire approcci coerenti che mostrino la validità pedagogica dell’introduzione delle tecnologie nella scuola. 35 □ Il progetto uTeacher definì un framework per esplicitare il profilo professionale del docente, in rapporto all’uso delle ICT: il soggetto si sviluppa da un lato nel rapporto con i 4 ambiti tipici del contesto - sé stesso, gli allievi, i colleghi, l’ambiente esterno (genitori, territorio ecc.) - e dall’altro secondo 8 aree di professionalità – pedagogia, contenuti disciplinari, organizzazione, tecnologia, sviluppo professionale, etica, politica, innovazione. Incrociando questi fattori ne risulta una matrice di 32 aree di competenza che il docente deve sviluppare. □ Per radicare maggiormente le competenze tecnologiche all’ interno delle discipline, a partire dal 2006 si è diffuso TPACK, un modello che riassume le tre dimensioni che occorrono agi insegnanti che intendono immaginare, pianificare e realizzare un percorso didattico rinnovato e adeguato ad alunni nativi digitali. Il modello raccoglie tutti gli aspetti essenziali relativi alle competenze richieste agli insegnanti al fine di integrare con successo le tecnologie nel loro insegnamento. □ Anche l’UNESCO dal 200S cominciò a studiare il profilo di competenze dei docenti in rapporto alle ICT, rivolgendosi in particolare ai decisori istituzionali dei vari paesi affinché organizzassero non singoli corsi di formazione, ma piani formativi intrinsecamente coerenti, curricoli universitari, programmi per la condivisione di esperienze formative del personale docente a livello interazionale. UNESCO pubblicò un framework che considera gli ambiti caratteristici di un programma di sviluppo professionale per docenti e li mette in relazione con la traiettoria evolutiva dell’allievo, strettamente collegata alle politiche del paese. □ In Italia un ampio investimento nella formazione è stato attuato in coincidenza con l’introduzione delle LIM attraverso il primo PNSD (circa 30.000 docenti formati). stati istituiti i poli formativi (scuole di riferimento per la formazione dei docenti), mentre è con il PNSD 2015 che si è tornati a parlare di azione sistematica, con nuove figure e piani di formazione per tutte le scuole. □ Il Piano per la formazione dei docenti 2016-2019 annovera tra le priorità per il triennio «competenze digitali e nuovi ambienti di apprendimento»; promuove un legame tra le tecnologie digitali e l’innovazione didattica, metodologica, organizzativa; evidenzia la necessità di rafforzare la cultura e le competenze digitali di tutto il personale scolastico, introducendo anche percorsi di alta formazione all’estero; fa riferimento a tutte le dimensioni della competenza digitale; sottolinea il rapporto tra le competenze didattiche e i nuovi ambienti per l’apprendimento in forma fisica e digitale; stimola la produzione di risorse educative aperte (oer - Open Educational Resources) per la condivisione e la collaborazione. L’uso delle competenze e degli ambienti digitali è messo in relazione anche con la lettura digitale e con la promozione dell’information literacy, nonché con le abilità manuali e con le competnze psicomotorie degli studenti. Nonostante i numerosi interventi in cui sono stati coinvolti, i docenti non si mostrano soddisfatti della propria capacità di usare le ICT in classe; indagini del 2010 a cura dell’Istituto IARD e della Fondazione Giovanni Agnelli segnalano un deficit di formazione, che costituirebbe il principale freno all’introduzione delle ICT nella scuola. Modalità di formazione degli insegnanti Una volta decisi gli obiettivi dei corsi, sia peri docenti in formazione sia per quelli già in servizio, l’implemenazione può essere di tipo blended: questo aiuta nella gestione delle tempistiche e minimizza gli spostamenti, ma ha anche il pregio di consentire un’alternanza tra teoria e pratica, nonché una forma di collaborazione e supporto a livello di comunità. Durante il percorso blended, dopo aver risolto gli aspetti organizzativi, una prima lezione in presenza servirà a condividere gli obiettivi reali del corso: non le tecnologie di per sé, ma la trasposizione didattica delle dimensioni tecnologica, cognitiva ed etica della competenza digitale da insegnare agli radenti. Come abbiamo visto è probabilmente proprio questo il gap maggiore da colmare tra la preparazione che i docenti possiedono e il loro bisogno di skill specifiche. A completamento dell’attività di formazione, è necessario prevedere supporti costanti e certi a cui i docenti possano riferirsi in caso di bisogno. 36 5. VIAGGIO NEL MONDO DELLE APP Playing or learning? Nel guardare e nello scegliere un’app è necessario conoscere il proprio audience, valutare se l’esperienza vissuta con il contenuto e l’interattività offerti dall’app sono coerenti con il modo in cui un utente preferisce completare il compito proposto. Nel caso dei bambini è evidente come, qualunque compito venga proposto dall’applicativo passi attraverso un’attività di gioco. Designing for kids vs designing for adults Le differenze oggi sono decisamente più sfumate vista l’esposizione dei più piccoli a contenuti di varia natura e ai sistemi interattivi più disparati. Nelle app per adulti lo scopo è considerato solo il motore per raggiungere “the finish line” mentre, nel caso dei contenuti per i più piccoli, il punto di arrivo è solo una parte della storia Somiglianze ambienti interattivi - adulti / bambini - Sfida (cambiamenti nello scenario attivati dall’utente) - Feedback (visivi e uditivi, evidenti e di conferma) Fiducia (ambienti sicuri, che non mettano a rischio gli utenti Differenze ambienti interattivi adulti / bambini - Scopo - Sorpresa / easter egg - Consistenza APP E TABLET Computer per il lavoro Smatphone personale Tablet a scuola e in famiglia Scegliere (o disegnare!) App per i bambini è una sfida complessa e delicata, perché è necessario confrontarsi con un’utenza che cambia in modo radicale nell’arco dei primi anni di vita, attraverso una crescita fisica e una maturazione cognitiva e sociale Lo sviluppo infatti, è determinato da queste tre dimensioni che maturando contemporaneamente portano alla crescita completa del soggetto e a loro volta mutano anche il rapporto che essi hanno i contenuti digitali/devices Dobbiamo conoscere i nostri utenti al fine di poter rivedere i nostri presupposti - Fattori legati al design e alla tecnologia Disegno dell’interfaccia, uso di immagini chiare e comprensibili, colori e modalità di interazione che influenzino positivamente l’apprendimento. - Fattori umani Percezione, attenzione, memoria e lo sviluppo mentale, intervengono nell’interpretazione degli ambienti e più specificatamente delle interfacce con cui i bambini interagiscono FATTORI UMANI Sviluppo cognitivo Le conoscenze sullo sviluppo mentale del bambino e le ricerche in merito all’uso delle tecnologie possono aiutare a comprendere le potenzialità degli strumenti multimediali. Per compiere questa distinzione è possibile prendere spunto dal lavoro già compiuto da 37 Uno schermo più grande più facile da gestire per le competenze motorie dei bambini. Lo Splash screen Se l’obiettivo è scegliere app per la fascia prescolare e primi anni della scuola primaria occorre prestare particolare attenzione alla progettazione dello splash screen ovvero quella videata che viene mostrata al lancio dell’app sul tablet. La presenza di questa videata spesso è dettata dalla necessità di consentire al tablet di caricare l’intero contenuto dell’app (immagini, effetti sonori, musiche animazioni ed eventuali testi in lingua corrente). Uno splash screen statico che impiega più di dieci secondi per il caricamento dei contenuti produce un effetto indesiderato: sono frequenti nei bambini di frasi del tipo “non funziona” generando impazienza e frustrazione. Se l’app è ben progettata lo splash screen prevederà - un’animazione - un piccolo casual game Se un bambino vuole chiudere un’app e riattivarla utilizza il tasto home del tablet, uscendo dall’applicazione e cercando successivamente la sua icona per lanciarla nuovamente. Ciò significa che le applicazioni dovrebbero partire immediatamente una volta aperte senza avere troppe impostazioni. Una schermata di avvio, chiara e semplice è più efficace di mille pannelli di controllo. In generale è buona norma scegliere quelle app con un numero limitato di pulsanti e dimensioni massimizzate. L’area da premere dovrà essere sufficientemente grande almeno 1cm x 1cm al fine di evitare ciò che viene definito FAT FINGER PROBLEMS. Il settaggio / le impostazioni È sconsigliabile l’uso di app con troppe impostazioni da settare e/o disseminate “disseminare all’interno dell’interfaccia”. Il settaggio di un’applicazione è un’attività destinata all’insegnate (o a un genitore) e, per queste ragioni, un’alternativa all’assenza di strumenti di setting è quella di scegliere un’app i cui settaggi possano essere gestiti dal pannello di amministrazione principale del tablet. In questo modo le configurazioni possono essere effettuale da un adulto garantendo al contempo libertà di movimento e qualità durante l’esperienza interattiva Come cercare e valutare app Ricerca sugli store: Gli store offrono diverse opzioni per esplorare i propri contenuti Esplorazione della home - app più recenti messe in evidenza - prodotti sulla base del gradimento Selezionare una categoria 40 - Le app rivolte all’infanzia si trovano principalmente nelle sezioni Istruzione, Giochi, Libri. In ciascuna categoria esistono anche classifiche di gradimento e download che distinguono app free e app Cliccando sull’icona di un’app si accede alla scheda esplicativa: informazioni sul prodotto le caratteristiche tecniche e di contenuto screenshots d’esempio riferimenti della casa madre il bottone per il download. Vengono anche suggerite app simili per tematica, contenuto o produttore. Ogni scheda prevede al suo interno una forma di rating / valutazione. 4+ contengono materiale non offensivo. 9+ possono contenere casi non gravi né frequenti di - violenza, nei cartoni animati, nel genere fantasy o realistico - casi non gravi né frequenti di contenuto per adulti con riferimento a temi non adatti all’infanzia o al genere horror che non sono adatti per bambini di età inferiore ai nove anni. 12+ possono contenere casi non gravi né frequenti di - violenza, nei cartoni animati, nel genere fantasy o realistico - casi non gravi o frequenti di contenuto per adulti - scene di gioco d’azzardo simulate che potrebbero non essere adatte per ragazzi di età inferiore ai 12 anni. 17+ possono contenere casi frequenti o intensi di linguaggio o comportamento violento nei cartoni animati, nel genere fantasy o realistico casi frequenti e intensi di temi per adulti, horror o allusivi. scene con contenuto sessualmente esplicito, nudo integrale, uso di alcool, tabacco e stupefacenti che potrebbero non essere adatti per ragazzi di età inferiore ai 17 anni □ Motore di ricerca interno allo store □ Ricerca tramite portali specializzati https://www.commonsensemedia.org/ □ Motori di ricerca specializzati https://www.apptrace.com/ Personalizzazione Può riguardare sia il settaggio di alcuni parametri (audio on/off, volume, lingua) sia gli aspetti più strettamente connessi al contenuto (modalità di presentazione a seconda dell’obiettivo educativo che intende raggiungere o dell’età) e alle funzioni da rendere accessibili. Ovviamente tanto più alto è il livello di personalizzazione tanto più l’applicazione potrà essere adeguata a situazioni differenti e il suo impiego declinato in modo da offrire risposte efficaci a soggetti differenti. 41 Stili cognitivi Se adeguatamente dosata, la ricchezza di codici comunicativi e simboli, unita ad una corretta organizzazione dei contenuti, può creare supporti adeguati ai diversi stili cognitivi . Un sistema ben progettato può fornire ad ogni utente l’opportunità di fruire dello stesso contenuto in più modalità affinchè una di queste sia più vicina al proprio stile cognitivo. Un sistema con questi presupposti offrirà possibilità decisionale e produttiva attraverso una costruzione personale della conoscenza. Esportabilità Per esportabilità si intendono tutte le funzioni consentite per trasferire e salvare un artefatto (un disegno, un video, un testo, un’animazione, un esercizio) dall’app stessa al proprio computer, casella di posta elettronica, pagina web (profilo nel caso di social network) o altro device. Questo aspetto è molto importante in ambito scolastico perchè consente di utilizzare fattivamente quanto realizzato sul device e pubblicarlo in spazi adeguati e aderenti all’attività della classe e dell’istituto (masterizzare su supporti come CD e DVD, stampare o pubblicare sul portale della scuola, proiettare in classe). TIPI DI APP: ORIENTIAMOCI NELLE APP Alfabeto e scrittura Forse una la categoria con il maggior numero di prodotti disponibili. Si tratta, prevalentemente, di applicazioni di carattere 42 Le definizioni di gioco educativo sono molteplici. Per semplicità potremmo affermare che un gioco è educativo quando consente l’acquisizione di conoscenze specifiche rispetto a un certo tema e/o lo sviluppo di determinate abilità. Abilità e destrezza È necessario valutare che tipi di azioni devono essere messe in campo per raggiungere gli obiettivi previsti dal gioco. La manualità dei bambini è in costante trasformazione e non è sempre detto che il livello raggiunto da ciascun bambino sia adeguato a quanto richiesto dal gioco. Questi rappresentano dei software che riprendono l’architettura e le dinamiche dei videogiochi introducendo dei temi a carattere educativo. Attualmente essi sono molto diffusi nell’ambito della formazione degli adulti, ma anche in campo educativo soprattutto per ciò che attiene l’educazione alla salute e l’educazione civica. Target. Mentre è immediato comprendere che un’app di algebra non può essere data in uso a un bambino non sempre è altrettanto facile distinguere tra un gioco educativo e uno che tale non è. Occorre innanzitutto non limitarsi alle descrizioni, ma testare personalmente il prodotto avendo ben cura di comprendere quale sia l’obiettivo e la giocabilità da parte del bambino. Giocabilità. Anche nel caso in cui il gioco costituisca un buon momento educativo è sempre opportuno verificare che possa essere realmente giocabile dal bambino cui lo stiamo proponendo. Con il termine giocabilità intendiamo fare riferimento al sistema di regole su cui si fonda, alle modalità di interazione previste, agli obiettivi da raggiungere e al tema affrontato. In discussione non c’è solo la facilità di impiego, ma anche l’interesse che ciascun giocatore può manifestare o meno, l’adeguatezza dal punto di vista motorio. ALTRE CATEGORIE LINGUE (edutainment, istruzione) STORYTELLING (percorso dell’eroe – morfologia di Propp / video) MUSICA (strumenti musicali, teoria musicale, educazione al suono) COSA BISOGNA SAPERE Connessione o non connessione È necessario domandarsi se l’ambiente in questione necessita, oppure no, della connessione wi-fi o 3g per funzionare. Nella stragrande maggioranza delle app per bambini non è prevista una connessione alla rete. Se spostiamo il nostro sguardo verso app utilizzate in classe con scopi educativi ma non nate necessariamente in questi termini è probabile che il discorso ritorni centrale. È il caso di app che consentono di creare un video montando insieme spezzoni di filmati raccolti dalla rete. Connessione e acquisto, In-App Purchase La questione della connessione diventa cruciale in relazione ad una specifica strategia di vendita proposta/imposta alle factory denominata in-App Purchase. Il meccanismo prevede di poter scaricare gratuitamente l’app all’interno della quale vi saranno alcuni contenuti disponibili e altri, invece, a pagamento secondo specifici pacchetti. Inoltre, è buona norma, proprio perché molte della app per bambini non necessitano di connessione, predisporre il device in “modalità uso in aereo”. Questa configurazione disattiva qualunque connessione presente e non emana radiazioni dovute alla ricezione, oltre a ridurre il consumo della batteria. Free Paid Freemium (acquisti in-app purchase) IN UNIVERSITA’ Storyboard 45 Strumento cartaceo o digitale per creare una rappresentazione grafica delle sequenze temporali di un contenuto. (filmato, cortometraggio, app, spot). Si tratta di una sintesi visuale, solitamente disegnata, di un lavoro più ampio e articolato che verrà sviluppato in seguito. INTERAZIONI a) Tap sugli gli uccellini sugli alberi > al tocco uccellini alzano la testa (SFX_cinguettio.wav) b) Tap sulla casetta > fumo che esce dal caminetto (SFX_fumo.wav) c) Toccando cappuccetto il cappuccio cambia (random) (SFX_cappuccio.wav) a. un cappello di lana lungo con il pon pon b. un berretto di panno rosso c. un cappello con la tesa larga d. un basco rosso d) Il palloncino oscilla. Tap e randomicamente uno di questi effetti 1. Cappuccetto e il palloncino volano via (SFX_vento.wav). Cappuccetto e il palloncino rientrano da sx e si rimettono in posizione (SFX_passi.wav) 2. Il palloncino scoppia (SFX_scoppio.wav). Cappuccetto piange (effetto Peanuts) ed esce di scena (SFX_bimapiange.wav). Cappuccetto e il palloncino entrano da sx e si rimettono in posizione. (SFX_passi.wav). Dal momento che dopo lo scoppio del palloncino Cappuccetto rosso inizierà a piangere non è prevista un’espressione di spavento. 3. Il palloncino cambia colore e forma (forma di coniglietto e a scelta tra pois, righe, maculato) (SFX_sinusoide.wav). Cappuccetto guarda in alto con aria interdetta (SFX_mmmm.wav) subito dopo ed esce di scena) (SFX_Mmmmh.wav). Cappuccetto e il palloncino entrano da sx e si rimettono in posizione. (effetto sonoro SFX_passi.wav) n.b. Cappuccetto Rosso è a mezzo busto (non le si vedono le gambe). Per uscire prevedere una vista di profilo per entrare/uscire di scena semplicemente scorrendo verso destra o sinistra con un’andatura leggermente altalenante. Suono di background con uccellini che cinguettano e brezza leggera. (SFX_bckPrato.wav Storyboard template 46 Mock Up (DMU) Il Digital Mock Up (DMU) riproduce l’interfaccia di un prodotto prima che questo venga realizzato, nell’intento di poterlo valutare. La figura preposta a questo compito non necessariamente è identificabile con un esperto di programmazione; è indispensabile invece che abbia solide competenze nel campo del design digitale. App il contastorie App per l’apprendimento dei primi numeri per bimbi dai 3 anni in su Obiettivi dell’app: far convogliare sullo schermo i vari aspetti dell’apprendimento dei primi numeri: nome del numero, forma, pronuncia ma anche legame con la quantità espressa in oggetti e/o personaggi Natura senso motoria dei concetti: attività del contare in modo attivo, toccando direttamente con le dita lo schermo tutte le volte necessarie fino al raggiungimento della quantità desiderata. Le Fiabe ogni numero una storia 1 cenerentola (1 scarpetta) 2 hansel e gretel 3 i tre porcellini 4 cappuccetto rosso (4 funghi + cestino) 5 jack e il fagiolo magico (5 uova d’oro) 6 pinocchio (6 uccellini sul naso) 7 biancaneve (7 berretti dei sette nani) 8 pifferaio magico (8 topolini) 9 pollicino (9 briciole di pane) 10 la sirenetta (10 bolle di sapone) 47 Secondo Schell il giocatore entra subito in contatto sono le estetiche determinando parte della motivazione a giocare; mentre le tecnologie vanno a supportare tutto il gioco e il suo svolgimento. Come analizzo un gioco? Creando una scheda ludica per l’analisi dei giochi. È possibile creare un modello di analisi e creazione dei giochi che tenga conto di 4 dimensioni principali: Storia, meccaniche, dinamiche e estetiche Storia: - Obiettivi - Eventi - Narrazioni Meccaniche - Regole - Processi - Punteggio - Spazio Dinamiche - Relazioni - Interazioni - Autovalutazioni Estetiche - Emozioni - Relazioni BARTLE Dobbiamo conoscere anche i giocatori Necessità di definire delle tassonomie per i giocatori e classificarli, questo perché gli individui non giocano tutti nello stesso modo. Le tipologie di giocatore vengono definite secondo prospettive diverse: analizzando la tipologia di comportamento o le interazioni e relazioni che si instaurano nel circolo ludico. ACHIEVER - il giocatore che gioca per vincere e vuole vincere a tutti i costi. Gioca per raggiungere lo scopo finale del gioco indipendentemente dai processi ludici e dal contesto di gioco; EXPLORER - è interessato al mondo ludico, ai processi e alle strategie. SOCIALIZER - interagisce volentieri con gli altri giocatori ed è propenso a collaborare e cooperare; KILLER - non solo vuole vincere ma la fa cercando di “schiacciare” tutti gli altri. 7. DIGITAL GAMES GIOCHI DIGITALI Protagonisti della contemporaneità (espressione usata per contemplare una più vasta gamma di giochi oltre al classico “videogioco” da console) Giochi digitali non solo come oggetto e attività per bambini ma anche nella formazione → nasce il digital game based learningcon relative critiche e entusiasmi - Giochi destinati al mercato (entertainment) - Giochi creati con obiettivi di apprendimento 50 - Digital game per ripensare la didattica - Coding Un po’ di storia: - PROTO – GAME – OXO (1948/52) Sandy Douglas per la sua tesi di dottorato all’Università di Cambridge sviluppa, nel 1952, OXO il primo videogioco. Graphic based che prevedeva un’interazione uomo-macchina, gettando anche le basi per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. https://www.youtube.com/watch?v= 2rUmdhRPsR8 - SPACEWAR (1961/62) Sebbene non sia il primo videogioco della storia (altri esperimenti come OXO e Tennis for Two), Spacewar! è stato il primo a presentare un mondo dotato di regole fisiche e situazioni variabili. È considerato uno dei dieci videogiochi più importanti di sempre. https://www.youtube.com/watch? v= 3J6vo6WCeOE Prime console e titoli noti Dagli anni ‘70 agli anni ’80: Space invaders, Pac man, Supermario, Donkey Kong (1981) → I Multi User Dungeon (abbreviato in MUD, talvolta inteso come acronimo di multi user dimension o domain - 1978) sono una categoria di videogiochi di ruolo eseguiti su Internet. Si tratta di giochi testuali, dove i giocatori interagiscono con il mondo e gli altri utenti digitando dei comandi da tastiera. Tetris (1984), Bubble bobble (1986) Anni ’90: 1996 - Toby Gard, game designer della software house Core Design, dà vita a Lara Croft, icona pop di un'epoca che dopo 23 anni continua ad essere un forte modello di riferimento nel mondo del videogioco e non solo. Lara Croft non è solo un personaggio carismatico, sensuale e avvenente per il pubblico maschile, ma è anche simbolo di emancipazione e indipendenza femminile, amata moltissimo anche dal gentil sesso per i forti valori che nella semplicità dei primissimi giochi ha saputo rappresentare. (Uscita della prima PlayStation) Oggi: OLTRE AI PIÙ CLASSICI VIDEOGIOCHI DA CONSOLE - PERVASIVE GAMES: rompono il limite dello schermo con contaminazioni tra reale e virtuale, tamagotchi, pokemon go - SOCIAL GAMES: FARMVILLE, CANDY CRASH, CLASH OF CLAN - PERSUASIVE GAME: advert game legati ad un prodotto oppure ad un brand (es. Merendine, biscotti) - CROSSMEDIALITÀ: libro / film / gioco / presenza su canali differenti Con questa varietà i giochi digitali divengono non solo un oggetto di studio, ma anche un oggetto sul quale improntare un intervento didattico: Nella progettazione: aspetti rilevanti nella progettazione di un intervento didattico che preveda l’introduzione di giochi digitali - SIMULAZIONE – riprodurre comportamenti e azioni - VIRTUALITÀ – mondi possibili e interazione in essi - INTERATTIVITÀ – feedback, risposte e stimoli offerti dall’ambiente di gioco - REITERAZIONE – ripetere, provare, riprovare con una costante proiezione sulle azioni da compiere Nello studio: aspetti rilevanti nello studio e nell’analisi di un intervento didattico che preveda l’uso di giochi digitali - OBJECT INVENTORY - oggetti a disposizione del giocatore e le modalità d’uso - INTERFACE STUDIES - rapporto del giocatore con il disegno del gioco (user centered design) - INTERACTION MAP - possibilità di interazione permesse dal gioco Nell’ambito dell’impiego dei videogiochi all’interno di contesti didattici e/o formativi si inserisce il concetto di LUDOLITERACY (game literacy) 51 1. Educazione all’uso dei videogiochi e, in senso più ampio, all’alfabetizzazione digitale. Alfabetizzare giovani e famiglie per indirizzarli nell’acquisto e nella scelta. SISTEMI DI RATING: 2003 - CODICE PEGI, 2010 - rating app→ pan european game information PEGI (un sistema di rating in negativo!) 2. Conoscere il videogioco dal lato di chi lo sviluppa per rispondere alla domanda a cosa vogliono farmi giocare? - Apprendere i principi base del pensiero computazionale; - Acquisire competenze logiche e di problem-solving; - Sviluppare competenza collaborativa; - Imparare facendo; - Comprendere l’importanza dell’errore; 8. GAMIFICATION LA GAMIFICATION è figlia del gioco e del ludico, ma non è strettamente un gioco. L’utilizzo della gamification nasce - in contesti digital - in ambito “marketing” Come si può usare in ambito educativo? C’è un cambio di rotta Tempo libero e lavoro hanno maggiori punti di contatto soprattutto attraverso l’avvento di social game e dispositivi mobile che hanno modificato tempi e modi di fruizione dei momenti ludici. Il contributo degli utenti è fondamentale. Assumono un ruolo importante programmatori e game designer che sono i primi ad introdurre questo termine. PELLING (2002) - SCHELL (2010) uso del game-design in contesti di non gioco e nello specifico utilizzare il “game-thinking” per l’engage, il coinvolgimento, del pubblico. Obiettivo: incoraggiare dei cambiamenti attraverso “riconoscimenti, visibilità, grafificazione (fugace). Basati soprattutto su sistemi di rinforzo stimolo risposta (comportamentismo, visione posi superata dall’introduzione di fattori emotivi e narrativi). Perchè fare gamification? Nonostante sia nata nell’ambito del marketing la gamification ha sempre avuto un ruolo importante nel coinvolgimento del pubblico, spingendolo a compirere azioni di carattere ludico e promuovendo il cambiamento dei soggetti. Cambiametno nel pensiero, nei gusti e negli apprendimenti - Ricerca della sfida - Espressione della prorpia creatività - Acquisizione di beni virtuali… e non solo - Raggiungimento di obiettivi condivisi - Imprevedibilità 52 - VideoOnLine (Grauso, 1993-4 → Tin.it, 1996) (1996) Video On Line è stato uno dei primi Internet Service Provider italiani. Fondata a Cagliari dall'editore Nicola Grauso nel 1993-4, l'azienda fu venduta nel 1996 a Telecom Italia. La crisi delle dot-com http://www.traderpedia.it/wiki/index.php/La_bolla_speculativa_%E2%80%9CDot_Com%E2%80%9D PARADIGMA #2: WEB 2.0 Il termine “WEB 2.0” è stato utilizzato da Tim O’Reilly durante la WEB 2.0 CONFERENCE (Ottobre 2004) Si tratta di una espressione che identifica un cambio di paradigma nel web, piuttosto che di una definizione formale (Tim O’Reilly, What is Web 2.0 - 2005) http://www.oreillynet.com/pub/a/oreilly/tim/news/2005/09/30/wha t-is-web-20.html Vedi anche Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Web_2.0 http://en.wikipedia.org/wiki/Web_2.0 I principi fondamentali del nuovo web - Servizi erogati dalla rete, virtualizzazione (dai software alle piattaforme) - Rich Internet Applications(RIA) - BETAPERPETUO (Il monitoraggio in tempo reale del comportamento degli utenti per vedere quali nuove funzioni vengono utilizzate, e come vengono utilizzate, diventa una competenza centrale necessaria per integrare le piattaforme in modo continuativo) - Mashup di componenti e di servizi per realizzare nuove applicazioni - Web come Universal client - L'utente diventa protagonista (potere delle folle) - Forte interazione tra utenti: comunicazione uno-a-molti (blog) e molti-a-molti (social media) - Servizi che permettono agli utenti di caricare contenuti (USER GENERATED CONTENT - UGC) e di condividerli con altri utenti - Creazione collettiva - User rating nell'e-commerce APPLICAZIONI - Blog / wiki / social /content sharing Applicazioni - Blog (diari virtuali ma non solo) - wiki (strumenti di scrittura collaborativa) - social network - portali di content sharing (youtube, slideshare, vimeo, ecc…) - applicazioni ibride mashup PARADIGMA #3: WEB 3.0 MOBILE WEB - Cloud computing - Geolocalizzazione - Realtà aumentata e uso delle fotocamere - Wallet electtronico +30 anni di cellulari dumb phones prezzo basso - essenzialmente, voce + sms feature phones prezzo medio - mms, fotocamera, media player, wi-fi, mobile smartphones prezzo più alto (ma in calo) - 3d party apps Skype - Video-telefonia IP, gratuita - Dal 2003, poi acquisita da eBay nel 2005, quindi da Microsoft nel 2011 per 8,5 B$ 2012: 700 milioni di accounts; un terzo di tutte le telefonate internazionali passano per Skype; gen 2013: 50 ml utenti concorrenti 55 WhatsApp - SMS gratuiti via IP, accesso alla rubrica del telefonino - Fondata nel 2009 - nel 2014 acquisita da FACEBOOK per 19 B$ - Gennaio 2015: 700 ml utenti attivi Telefonia ip e convergenza non più solo un telefono La Telefonia IP (Telefonia su Protocollo Internet) è un termine usato per descrivere le tecnologie che utilizzano il protocollo IP per lo scambio di voce, fax, e altre forme di informazione, tradizionalmente trasportati attraverso la rete telelfonica (Public Switched Telephone Network- PSTN). La chiamata viaggia sotto forma di pacchetti, su una rete locale (LAN) o Internet, evitando gli strumenti PSTN Mobile miracle Il 90% della popolazione del pianeta ha accesso a un telefono cellulare. 56