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Letteratura GRECA, appunti Tosi, Appunti di Letteratura Greca

Appunti del corso di Letteratura Greca del professor Tosi, UniBo, anno 2019/2020. Prime 10 lezioni circa di introduzione alla grecità + 20 lezioni sul Filottete (monografico) + 1 lezione sui lirici. Traduzione puntuale, parola per parola, con annotazioni (moltissime), per una comprensione del greco e della lingua.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 02/05/2020

LuciaR99
LuciaR99 🇮🇹

4.7

(38)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura GRECA, appunti Tosi e più Appunti in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! Appunti Letteratura Greca Prof. Renzo Tosi gennaio – aprile 2020 1 Lezione 1: appunti introduttivi al corso, all’esame. Linee guida. Importante è la comprensione del testo. Si scazza particolarmente se qualcuno impara la traduzione a memoria. Non chiede il libro della Pierini in maniere capillare, ma lo ritiene fondamentale per capire il greco. Spesso chiede una domanda tipo “in base alle direttive di Capire il greco, dimmi come è strutturato questo brano”. Circa 10 lezioni introduttive riguardanti problemi letterari e culturali della Grecia. Anziché Tucidide si possono portare due orazioni di Lisia, oppure Polibio o Pausania. Il problema di Tucidide è la variatio e l’amore per le strutture prive di evidenti parallelismi. Il modo di trattare la lingua varia da autore ad autore. Filottète di Sofocle per il corso monografico. Nella figura di Neottolemo c’è quella di un giovane da educare – risvolti pedagogici. Crisostomo, un tardo narratore, ci ha lasciato la trama dei Filottète messi in scena da Eschilo, Sofocle ed Euripide, così che noi possiamo apprezzare le differenze profonde fra Sofocle e gli altri. Ai suoi tempi Sofocle era il più apprezzato, sia per il suo teatro che per il suo carattere: era un cittadino attivo nella politica di Atene ed era una persona gioviale. Chiede le linee fondamentali della letteratura greca. La domanda più terribile da lui fatta è “chi era Gorgia?”, oppure chiede le opere principali degli autori “le rane di Aristofane, il prologo degli Aitia” o ancora “chi era Teocrito? Chi Isocrate?”. Ai migliori chiede di tradurre un testo ad impronta (magari passi fondamentali dell’Antigone o di opere simili, chiedendo se c’è magari un brano che non si conosce ma a cui si è interessati – magari fingere). Chiede la lettura critica solo se l’alunno fa qualche accenno al saggio, chiedendo di esprimere anche il proprio parere (chiede di affrontare il testo in maniera critica). La lettura può essere scelta a di fuori dei testi da lui segnalati, anche libri che lui non conosce. G. Avezzù, Il ferimento e il rito, Bari 1988 e Variazioni sul mito. Filottete, a c. di A. Alessandri, M. Massenzio sono riferiti al Filottète. L’Antigone che ogni volta sentiamo citare non è quella di Sofocle, ma quella rivisitata di Brecht (Variazioni sul mito si occupa proprio di queste riprese). L’Antigone viene rappresentata nel 442 a.C., ma ha un forte impatto da sempre, perché ha in sé potenzialità non espresse, di cui nemmeno Sofocle era conscio, così che potesse essere ripresa e variata. Nei classici vi è sempre la possibilità di trovare qualcosa di nuovo, potenzialità prima non viste. Di Variazioni sul mito si possono scegliere altri passi. Di Benedetto, Euripide. Teatro e società, Torino (Einaudi) è uno studio sulla funzione sociale del teatro greco. Calame, I Greci e l'eros, Roma-Bari (Laterza) 2010, (NON L’Amore in Grecia, che è una riduzione. La percezione dell’eros è antropologicamente diversa dalla nostra, eppure in questa cultura nascono i topoi dell’amore ripresi da tutta la letteratura occidentale, come gli occhi come veicolo dell’amore: i Greci pensavano che la vista si basasse sul contatto di onde emanate dagli occhi e gli oggetti; il nostro Stilnovismo riprende il tema basandosi però su fattori fisici e concettuali molto diversi. L. Canfora, Tucidide. La menzogna, la colpa, l'esilio, Roma-Bari (Laterza) 2016; ha scritto per la prima volta su Tucidide e l’esilio negli anni ’70. Canfora non pensa che Tucidide sia andato in esilio: come faceva un esiliato a conoscere così tanti particolari della vita all’interno di Atene, almeno dal 415. 4 I participi aoristi possono essere tradotti quasi sempre come delle coordinate. Il tempo dello svolgimento e l’imperfetto, e da questo svolgimento viene tratto un punto, una fotografia non misurabile dell’azione che si svolge, e per questo è resa col participio. La comunicazione in età arcaica era orale. Negli anni ‘60/’70 M. McLuhan, un sociologo, prevede la cultura attuale con precisione, nel libro “La galassia Gutenberg”: una cultura è condizionata dai mezzi di comunicazione. Gutenberg aveva rappresentato una rivoluzione nella cultura: prende piede la lettura intima per il trionfo della scrittura. Prima ogni manoscritto era un testo singolo, costoso; con Gutenberg ci sono più copie degli stessi libri e sono tutte uguali, con gli stessi errori. I testi che ci sono pervenuti della Grecia erano fatti per l’oralità. Solo Tucidide alla fine del V sec. dice che la sua opera non deve essere un <<ἀγώνισμα ἐις τὸ παραχρῆμα ἀκούειν>>: ἀγώνισμα è legato a ἀγωνίζω, sono in contrasto, e come i sostantivi in –μα è perfettivo e indica la cosa in sé, l’agone, l’opera2. Significa quindi che <<la mia opera non è qualcosa inerente ad una competizione per l’ascolto momentaneo, ma è un acquisto per ogni momento (αἰει)>>. Questo discorso conclude la polemica che Tucidide fa contro la tradizione omerica: la guerra di Troia raccontata da Omero è finta, perché se avessero mirato subito a Troia l’avrebbero presa in 10 giorni, invece hanno fatto altro. I poeti basavano la loro opera sull’oralità. Vi è un’iniziazione nella cultura arcaica che vuole che il dio trasmetta al poeta la verità, e il poeta la trasmetta agli ascoltatori. Anche Platone polemizzerà con questa visione arcaica: il rapsodo nella Grecia arcaica aveva questa concezione dell’iniziazione, ma questa non portava portare ad una conoscenza profonda, che invece poteva provenire solo da un ragionamento filosofico. Il verbo φιλεω indica una stretta connessione (ormai in greco moderno significa baciare). Nel teatro greco questo processo è evidente. Nell’Edipo re di Sofocle la cultura oracolare dice la verità fin dall’inizio, ma Edipo vuole conoscere razionalmente di persona le cose. La cultura arcaica è prevalentemente orale. Solo nel V secolo le opere saranno pensate per la scrittura. Un passo delle Rane di Aristofane prende in giro chi durante la battaglia se ne stava sulla nave a leggere l’Andromaca di Euripide (esisteva quindi un copione scritto). I lirici arcaici sono trattati come veri e propri poeti, col concetto di poesia che abbiamo noi. L’idea della poesia come opera in sé non appartiene però alla cultura greca (un cambiamento si avrà solo con l’ellenismo e Callimaco). Nella cultura arcaica la poesia è sempre d’occasione: esiste un committente, un autore, un pubblico (quindi una performance). Ciò è evidente in Pindaro, autore del V secolo (non è arcaico, muore negli anni ‘40); le letterature lo trattano prima perché la sua poesia è legata al modo arcaico: viaggia per tutto il mondo greco laddove gli vengono commissionate delle opere, lavora per occasioni. Pindaro è trattato come poeta cortigiano, ma per la sua epoca era naturale comporre sotto commissione. Fino agli inizi del ‘900 di Pindaro si conoscevano solo gli epinici, canti di vittoria per le gare olimpiche, pitiche, (altri 2). Con la scoperta dei poteri si è recuperata la produzione per le festi religiose, come i 2 ἀγωνισις è la competizione nel suo farsi ed è imperfettivo, in -σις. πραξις è l’azione nel suo svolgimento, πραγμα è il fatto 5 peani (canto in onore di Apollo guaritore). L’epitalamo è il canto per le nozze. Le opere erano funzionali a qualcosa (feste religiose, civili), il poeta non componeva per sé. Vengono chiamati impropriamente lirici perché le loro opere erano sempre accompagnate dalla musica (meglio chiamarli melici). Lo strumento a corda era quello principale, ma un altro strumento importante era l’aulòs (che non è un flauto), strumento ad ancia: nei canti spesso abbiamo termini che in qualche modo riproducono il suono più cupo, con l’aggettivo pamponos (παμπονος?). Lo strumento a corda permetteva si suonare e cantare insieme. Quando i miti parlano dell’ αὐλός, dicono che lo strumento a fiato deforma il viso. Mito delle nozze di Cadmo e Armonia. Per il mondo greco le mura di Tebe sono una delle meraviglie del mondo perché i sassi sono disposti in maniera armonica. La parola ἀρμονία ricorda i verbi ἀρμονιζω e ἀλαριζω, indicano che le parti sono talmente ben congiunte fa di loro che si colgono solo nell’insieme. Questo concetto ritorna solo nell’Ottocento, come una musica immensa in cui non si distinguono le singole parti. Beethoven cercherà quanto più di raggiungere l’armonia. Le mura di Tebe nascono nella notte di nozze fra il fondatore di Tebe Cadmo e la ninfa Armonìa3. Un personaggio suona uno strumento a corda e le mura si ergono spontaneamente dal suono dello strumento a corda. In questo strumento gli intervalli sono misurabili esattamente, mentre nello strumento a fiato no (gli intervalli si perdono). È per la misurabilità che lo strumento a corda è più importante di quello a fiato. Nei vari proverbi il suonatore di aulòs è visto come un pezzente rispetto ai citaredi. Solo alla fine del V sec. cambia questa mentalità. Una nuova importanza degli strumenti a percussione di ha con Euripide: nelle Baccanti si dice che la grande scoperta di Dioniso è il τύμπανον, il tamburo di piccole dimensioni. Nuovi strumenti a corda tentano di riprodurre gli strumenti a fiato: si ha il fenomeno della nuova musica, con attestazioni in Aristofane ed Euripide. Nelle Rane vi è un coro degli elisi (degli iniziati) che presenta una metrica funzionale alla musica corrispondente al nuovo gusto (non letteraria). Gli schemi prefissati fin dall’epoca arcaica vengono rotti, con la possibilità di cambiare armonia nello stesso componimento. La musica è legata all’armonia del mondo, e una nuova musica significa rompere un qualcosa che riproduceva l’armonia del mondo. L’autore che più ostacola la nuova musica è Platone (Repubblica), perché per lui la musica tradizionale riproduceva l’armoni delle sfere celesti. Platone stesso dà regole molto fisse sulla musica della sua città ideale. Timoteo di Mileto compone I Persiani, ci è rimasto grazie ad un papiro ed è uno dei principali esponenti della nuova musica. Orfeo è il suonatore di lira (solo col cristianesimo suonerà l’aulos); lui riesce col suo suono a riprodurre l’armonia celeste. L’ammansire le belve significa riprodurre un’antica età dell’oro in cui uomini e animali vivevano insieme seguendo l’armonia del cosmo. Lo strumento di Apollo è lo strumento a corda; a sfidarlo con lo strumento a fiato è Marsia. I peani possono celebrare anche le vittorie di Apollo. Esistevano agoni poetico-musicali il cui centro culturale più importante è Sparta, fino alla fine del VI sec. Nei Parteni di Alcmane si ha una particolare descrizione delle stelle, cielo caratteristico di una zona compresa fra Lesbo e Sparta. Il 3 I nomi greci dovrebbero essere pronunciati con l’accento latino, quindi Armònia, e quindi anche Òrfeo (mentre in greco è Orfèo) 6 partenio era un coro cantato da ragazze (vergini nel senso di “non sposate”, non nel nostro senso4). Scuola francese di Psicologia storica. I principali esponenti erano J. P. Vernant, P. Videl, M. Detienne. Partono dall’idea che per studiare i testi antichi bisogna vedere le movenze psicologiche che hanno portato a questi testi; la psicologia non è immutabile, ma cambia col tempo e le società. Il nostro modo di pensare si sviluppa da quello greco, quindi i greci sono lontani, ma condividono le radici del nostro pensiero. Questa scuola si contrappone a quella per cui la psiche è sempre uguale a se stessa (psicanalisi di Freud). Che l’uomo fosse sempre uguale a se stesso è un pensiero che appartiene anche all’Idealismo: Pohlenz ha studiato il teatro greco. La scuola francese fa riferimento, dal punto di vista antropologico, a Gernet e, dal punto di vista metodologico, al metodo strutturalista di Lévi Strauss: si tratta del sistema binario, che cerca opposizioni binarie in qualsiasi realtà analizzata. Il principio di non contraddizione (o sì o no) era di Aristotele, ed è lo stesso su cui si fondano i computer. Parmenide dice che ci sono due strade, quella del non essere e quella dell’essere. Questo sistema logico nel Novecento viene messo in crisi, perché può andar bene per un mito o un progetto semplice, ma non per la letteratura, la retorica e le complesse sfumature non riducibili a problemi matematici. Lo strutturalismo nasce da una scuola russa, i Formalisti russi: per studiare un prodotto culturale bisognava studiarne essenzialmente la forma, il modo in cui si presentava (ciò che differenzia il linguaggio poetico è la forma). La scuola russa dà vita ad una nuova scuola, quella di de Saussurre (corso di linguistica generale): bisogna sì studiare la forma, ma capire che questa forma è una struttura (esempio della partita di scacchi); spostando un singolo elemento, si sposta in realtà l’intero sistema. Questo studio della letteratura (incentrato sui fatti formali) si contrappone ad uno studio basato sui contenuti. Fino agli anni ’70 la scuola italiana era impregnata dell’idealismo crociano. Ai poli opposti dello strutturalismo c’era la critica marxista, che badava al contenuto e analizzava tale contenuto in rapporto con la società. Critica paleo-marxista (da παλαιος, antico): la critica marxista diceva che il contenuto era un rispecchiamento dei rapporti di forza economica vigenti in una società; quindi si usa l’aggettivo “paleo” perché questa è un’analisi rozza che non tiene conto dell’opera d’arte. Il teatro greco è stato visto fino alla metà del ‘900 essenzialmente perché in esso venivano posti sulla scena problemi “dell’uomo di tutti i tempi”: è la posizione della filosofia idealista, quella di un uomo che è sempre uguale a se stesso, di tematiche di fondo che accomunano gli uomini in tutti i tempi (Pohlenz, La tragedia greca); fra i problemi dell’uomo c’è soprattutto quello religioso e il problema della responsabilità umana. Nel ’68 in U.S.A. Thomson fa un’analisi di Eschilo, in cui cerca di vedere per ogni elemento posto in scena un rapporto con avvenimenti storici. Questo nuovo approccio lega il teatro al momento a lui contemporaneo, ma questi rispecchiamenti di fatti 4 Brelich, Paides e Parthenai, si occupa dell’iniziazione delle donne prima del matrimonio. Sargent si occupa dell’omosessualità greca come un residuo dei riti iniziatici. Contro questo libro di Sargent è Vatone, che non la ritiene un residuo iniziatico. Viene impropriamente chiamata omosessualità, perché in Grecia vi era una disparità: un maschio adulto e un adolescente. Era quindi una pratica pederastica. L’omosessualità fra due maschi adulti (attestazioni nella commedia) era considerata aberrante. Un uomo chiamato cavallo è un film sull’iniziazione degli indiani. Secondo Tucidide non esisteva lo ἱερὸς λόχος, consistente in 1 anno di allontanamento dalla città del fanciullo: λόχος è un drappello militare e significa anche imboscata; ἱερὸς è il drappello sacro. 9 significa confrontare, ma soprattutto cercare di capire e intervenire tramite il confronto). Temistocle era il miglior ς, per questo aveva vinto la battagli di Salamina secondo Tucidide. Il metodo dell’induzione è quello della fisica, mentre il metodo della deduzione è quello della matematica: il primo scopre le leggi dai singoli casi, il secondo parte dalle leggi e le verifica nei casi. Nel V sec. nasce quindi una scienza medica, politica e sociologica; nasce la psicologia (il greco ha possibilità semantiche che altre lingue non hanno: σωφροσύνη indica temperanza e discernimento, ma come qualità – non l’azione mentale che permette di discernere, che invece è resa con φρόνησις). Si passa da una civiltà arcaica, ovvero la civiltà della vergogna, ad una civiltà della colpa (ma senza separazione netta). Un principio della cultura arcaica è il fatto che la volontà del singolo non conta, ma solo il suo gesto, non conta ciò che il soggetto pensa di sé, ma come è visto dagli altri. Nel V sec. si percepisce maggiormente il peso di se stessi: nel 405 nell’Edipo a Colono, Edipo dice di aver fatto tutte quelle azioni nefaste senza saperlo, e che i Tebani sono molto più colpevoli per averlo condannato volontariamente a una vita di miseria. Un motivo principale di questi cambiamenti è la guerra. A torto si pensa che le Rane di Aristofane non abbiano valore politico, perché la domanda politica finale riguarda una situazione in cui Atene non sa cosa fare, ed Eschilo risponde dicendo che bisogna tornare ai principi fondanti della democrazia: quindi il teatro deve essere sempre politico. I principi però erano messi in crisi. La Sofistica è un’élite intellettuale che metteva in crisi i principi tradizionali, innanzitutto la religione. Nelle Baccanti di Euripide, Tiresia difende Dioniso dicendo che egli è il principio naturale dell’umido, e quindi le divinità sono i nostri modi di vedere i principi naturali che ci danno la vita. Gli dei sono fenomeni naturali trasformati in qualcosa di superiore, questo è ciò che diceva la Sofistica. La nuova forza della retorica portava all’idea che ci fosse non tanto una Giustizia in sé, un valore assoluto, quanto tanti valori relativi. La crisi era acuita dalla guerra. Un gruppo sociale vedeva nella democrazia lo sfacelo completo. Un’opera, “Costituzione degli Ateniesi” dello pseudo-Senofonte, meglio rappresenta quest’idea; essa ribalta i principi e gli slogan della democrazia. Μυθος è un’espressione verbale misurabile, un racconto con inizio e fine. Λογος è la parola in generale, che ha in sé un ragionamento. Il vangelo di Giovanni comincia con logos. Rapporto fra la cultura del IV secolo e quella alessandrina. Nella cultura alessandrina nasce la grammatica (chi scriveva prima non seguiva una grammatica); nascono la lessicografia (quindi i dizionari), l’etimologia (sistemazione), i commenti ai testi. Prima di Callimaco non esiste l’idea del poeta raffinato che scrive un po’ per se stesso e per una piccola cerchia (viene meno l’ampia funzione sociale) L’alessandrinismo nasce con la morte di Alessandro Magno. Con Alessandro è la prima volta che si affaccia l’idea di un impero universale che espanda la civiltà greca. Alessandria capisce che il mondo greco è un’unità culturale, non politica, e quindi, per essere una città egemone, Alessandria deve avere unità anche culturale: così cominciano le sue operazioni di raccolta dei testi e il loro raggruppamento ad Alessandria come testi ufficiali. Nel IV sec. vi è una produzione teatrale che deriva dall’ultimo Euripide, ma anche una riproduzione delle opere del secolo precedente, rimesse in scena con revisioni e riletture 10 sempre nuove, nell’ottica del gusto della spettacolarizzazione, dando più importanza agli attori che al testo. Nel 330, Licurgo prende dei testi dei grandi tragediografi dicendo che sono testi classici, quindi ufficiali, non più fluidi e modificabili. Il compito dei filologi era il κρισις ποιηματα: κρισις da κρινω, ovvero scegliere, giudicare, e ποιηματα, opere, da ποιεω, fare; il meccanismo del giudicare le opere significava confrontare i testi per decretarne l’originalità. Uno dei criteri era la differenza fra la lingua del V sec. e quella attuale. L’operazione critica era funzionale alla scelta del testo. La 3° operazione era quella del commento, perché alcune parole (dette glosse) non si capiscono più. Le raccolte di glosse portano alla nascita la lessicografia. Jenett parla di “serbatoio di belle parole” per il Barocco e la lessicografia nasce come serbatoio di belle parole. Un problema della cultura alessandrina è il rapporto col Peripato, la scuola di Aristotele. Un allievo di Aristotele è Demetrio; egli arriva ad Alessandria e ne influenza la cultura. Nulla nel Peripato era dogmatico, perché Aristotele registrava tutto (ad esempio in Asia si trova davanti ad un episodio di parapsicologia, sciamanesimo, separazione dell’anima dal corpo, e nelle sue opere registra questo fenomeno). Jules Pfeiffer (in Storia della Filologia Classica) dice che la cultura alessandrina è uno scarto rispetto al Peripato, non ne è figlia, anzi si contrappone alla scuola di Aristotele. Per lui filologia è innanzitutto amore per la poesia (quindi sensibilità per il testo), che nasce in Alessandria. Dopo l’età di Agusto, il 2° volume della Storia della filologia classica riprende con Petrarca (quindi tutti gli studi degli anni di mezzo non sono filologia, ma retorica, filosofia, senza amore per la poesia). Nel Peripato non c’è amore per la poesia, quindi non c’è la filologia tipica alessandrina. Sulla glossa, Aristotele dice che essa è una parola non si capisce perché è lontana nel tempo o nello spazio; ma per il linguaggio queste glosse devono essere bandite, perché il suo linguaggio vuole essere chiaro, comprensibile a tutti e distinto (nel senso che ogni parola deve avere un significato preciso). Nella scuola di Aristotele era la scienza ad essere trainante. Eratostene è uno dei primi commentatori di Aristofane. È filologo, poeta, scienziato, geografo, matematico. Rappresenta un’idea di cultura ad ampio raggio (senza divisione fra cultura scientifica e umanistica). Collega Peripato e cultura alessandrina. Due sono i centri culturali importanti: Alessandria e Pergamo. - Alessandria > ANALOGIA. Alessandria è influenzata dalla scuola di Aristotele. Anche Orazio sarà analogista. Noi chiamiamo analogia un fenomeno per cui, data una certa regola, notiamo uno scarto da questa regola, perché foneticamente il parlante sente una corrispondenza con altro di diverso dalla regola. Il significato antico era diverso: o l’aoristo sigmatico non è tematico, perché la α è frutto della vocalizzazione di n indoeuropeo. La seconda persona dovrebbe avere solo σ, ma il parlante estende l’α a tutte le persone. Questo fenomeno per noi si chiama analogia, ma nell’antichità era l’anomalia. - Pergamo > ANOMALIA. Pergamo è influenzata dalla scuola stoica. La scuola di Pergamo pone come elemento essenziale non il paradigma grammaticale, ma l’anomalia, quindi l’uso dei parlanti, che in greco si chiama συνήθεια. 11 Ad Alessandria nasce la grammatica, ovvero il tentativo di dare alla lingua delle regole e dei paradigmi a cui adeguarsi. Aristotele voleva comprendere nelle sue opere tutto lo scibile, e per far questo era necessario avere regole fondamentali tramite cui raggruppare e descrivere. I classici interessano sul piano descrittivo. I filologi alessandrini valutavano e commentavano i testi per lo più su base linguistica. Aristarco espungeva però certi passi su una base morale. Siamo su un piano descrittivo: la lingua dei classici e quella attuale vengono semplicemente descritte e confrontate, senza imposizioni d’uso. Si ha gradualmente un passaggio dal piano descrittivo a quello prescrittivo, in particolar modo sotto l’imperatore Commodo. Gli scrittori vengono obbligati a scrivere secondo la grammatica dei classici. In questo modo la lingua delle opere non è più una lingua viva, ma resta ingessata nella grammatica del passato. La lingua greca non è più pura come quella del V sec. si è imbarbarita. Per questo gli scrittori mirano a un recupero di quella lingua: è il fenomeno dell’atticismo. Gli atticisti più rigorosi considerano quello di Menandro un greco barbaro, da non imitare (Frinico dice che un’espressione è talmente brutta che non l’ha usata nemmeno Menandro). Quelli meno rigorosi invece lo considerano un linguaggio possibile. Dei testi di Menandro ritroviamo i testi grazie alle scoperte papirologiche del 1975; ma Menandro non veniva più copiato nel medioevo (infatti non abbiamo praticamente nulla). Aristofane invece viene copiato, nonostante tutto il sesso delle sue commedie, perché rimane un modello linguistico. Menandro non viene copiato per la polemica atticista. Un autore chiamato Ignazio dice che gli autori classici e gli autori cristiani sono come i due figli di Abramo: gli autori cristiani sono come Isacco, figlio della moglie legittima; gli autori classici sono come Ismaele, figlio della schiava Agar, cacciata via col figlio per il suo vantarsi dell’essere rimasta incinta. Da Ismaele nasce il popolo arabo. L’idea della cultura bizantina (almeno fino all’IX sec.) è di copiare i classici come strumento, come modello linguistico, come Ismaele, ma guardare agli autori cristiani come contenuto, come morale. Questo permette di copiare anche i classici considerati amorali per la cultura cristiana, che si rivelano però modelli di forma. Fra 550 e 850 (trecento anni) l’Oriente è insanguinato dalle lotte dell’iconoclastia: contrapposizione religiosa, politica, economica; gli iconoclasti pensano che la divinità non possa essere rappresentata; l’iconodulia (δοῦλος, schiavo) vede nell’icona la forma in cui la divinità ha permesso all’uomo di essere riconosciuta. Dopo l’850 si ha l’inizio di una serie di fenomeni che passano sotto il nome di Rinascimento bizantino. Il 1° rinascimento avviene nella seconda metà del IX secolo. Fozio è uno dei principali uomini di questo periodo. Fu patriarca di Costantinopoli negli ultimi anni di vita. Dal punto di vista politico rappresenta il primo grande distacco dell’oriente dall’occidente (scisma di Fozio). Crea un centro in cui vengono recuperati i grandi classici, a partire da Platone e poi Aristotele. Passa l’idea che qualcosa di divino ci fosse ne grandi filosofi già prima di cristo. Non era interessato ai poeti. La Suda è un’enciclopedia del X secolo e mostra come si operava a Costantinopoli. Le voci nascono dall’agglutinazione di varie fonti: molti libri della biblioteca di Costantinopoli sono 14 Il Filottète è del 409. Presenta problemi sulla sua messa in scena (ad es. la scena della caverna). Dione Crisostomo, retore di età imperiale, riporta la trama di 3 datazioni del Filottete (Euripide, Eschilo, Sofocle): la differenza sostanziale è il fatto che il coro, nelle altre due tragedie, è rappresentato dagli abitanti dell’isola. La trama sostanziale è quella di Filottete abbandonato dai greci, che vanno a Troia, sull’isola di Lemno; Filottete era stato ferito, e questa ferita provocava o fetore o lamentele, e i greci stufi lo abbandonano. L’oracolo dice che Troia non cadrà se non tornerà Filottete con l’arco di Ercole. Una delegazione dei greci, con Odisseo, convince Filottete a tornare per amore della Patria. Odìsseo è una figura negativa in tutte e tre le opere: nell’antichità è di solito rappresentato negativamente, la sua un’astuzia fraudolenta negativa che contrasta con quella costruttiva di Palamede. In Sofocle c’è un nuovo personaggio, il figlio di Achille, Neottolemo (nelle Troiane a volere l’uccisione di Astianatte è Odisseo, mentre Neottolemo prende solo in schiava Andromaca). Neottolemo è un adolescente che, dopo la morte del padre, viene a combattere a Troia e per la sua età deve ancora crescere. Due sono i modelli di questa crescita: da una parte Odisseo, dall’altra Filottete, con un nuovo discorso sulla pedagogia. Lemno era una grande isola in una posizione strategica. Nel mito ha sempre un ruolo importante, ad esempio nel mito degli Argonauti, dove Ipsipile fa due figli con una donna e poi va via. Il coro nelle altre due tragedie era composto dai cittadini di Lemno. Sofocle invece la trasforma in un luogo selvaggio, in cui al dolore della ferita si aggiunge il dolore morale della solitudine. Il coro diventa quello dei marinai. Prologo. Esistono 3 tipi di prologo: - Espositivo (Ippolito7, Baccannti di Euripide) - Sull’antefatto (Alcesti di Euripide) - Dialogico (Filottete8, Edipo re; Cresfonte di Euripide), che pone il discorso in medias res. Le parti non corali della tragedia sono in trimetro giambico. Il piede giambico è formato da breve + lunga (∪ —). Il trimetro è composto di tre metra giambici. Il metro giambico è X –  – . (la X può valere 1 breve, 1 lunga, 2 brevi). Nella tragedia la lunga non viene sciolta in due brevi, mentre nella commedia è più vario. L’accento maggiore andrebbe sul secondo longum del metro. Correptio epica: vacalis ante vocalem corripitur; una vocale in iato davanti ad un’altra vocale, di abbrevia. Correptio attica: muta cum liquida; i suoni occlusivi (τ δ θ κ χ γ π β φ) davanti alle liquide (ρ λ) hanno due trattamenti: nella poesia attica la divisione è de tipo ε-πρ, mentre in altre occasioni è επ-ρ. Ἀκτὴ μὲν ἥδε τῆς περιρρύτου χθονὸς è – –  –  –  – – –  – Rifacimento di Fénelon (educatore del re Sole) del Filottete. André Gide scrive il prometeo male incatenato. Heiner Muller appartiene alla cultura tedesca che cerca nel mito greco di 7 Afrodite giunge in scena e spiega quanto accadrà 8 Ulisse e Neottolemo parlano fra di loro 15 capire come faccia un popolo di cultura (come quello tedesco) a diventare nazista (anche Brecht fa parte di questi intellettuali. PROLOGO Sulla scena ci sono due personaggi: Odisseo e Neottolemo. Lo spettatore non riconosce immediatamente Neottolemo, perché è poco rappresentato. Odisseo avverte quindi il pubblico. “Questo (ἥδε9) è un capo roccioso (Ἀκτὴ) della terra (χθονὸς10, indica la terra a vari livelli, una regione) con tutt’intorno l’acqua (περιρρύτου11, indica che è un’isola) di Lemno, che non è calpestata (ἄστιπτος) dai mortali (βροτοῖς12) e non è abitata (οἰκουμένη, condensa la perifrasi precedente); e qui, (ἔνθ'13) oh Neottolemo, tu che sei nato (τραφεὶς14) dal più forte padre della Grecia, figlio di Achille (Ἀχιλλέως παῖ), che15 io ho deposto strappandolo via (ἐξέθηκ'16) (dall’esercito), l’uomo della Malide, il figlio di Paiante, un tempo (ποτε), mi era stato ordinato (ταχθεὶς17) di far questo (τόδ' ἔρδειν), dai Signori (τῶν ἀνασσόντων), che gocciolava (καταστάζοντα18, stillava sangue o pus) nel piede (πόδα19) per una malattia (νόσῳ) che divora (διαβόρῳ20), quando (ὅτ') non (οὔτε… οὔτε) era possibile (παρῆν21, è il verbo principale della temporale) a noi (ἡμὶν22) tranquilli (ἑκήλοις, quindi “in pace”) metterci a fare (προσθιγεῖν23, infinito aoristo24) una libagione (λοιβῆς) né sacrifici (θυμάτων25), quanto teneva (κατεῖχ'26) per tutto l’esercito imprecazioni selvagge (δυσφημίαις27), urlando 9 ἥδε è un pronome deittico, e spiega al pubblico la scena o i personaggi 10 Gli dei ctoni sono quelli dell’oscurità, del profondo; sono i fecondati e quindi “femminili”. Pettazzoni scrive “l’essere supremo nelle religioni primitive”. 11 Περι indica “intorno”, in movimento o in stato. Il verbo ῥεω viene da ῥεFω, e indica lo scorrere. 12 βροτοῖς, è un dativo sì d’agente, ma ha anche una sfumatura di “vantaggio”/interesse/favore. 13 ἔνθ'α significa “dove” 14 Τρεφω, nutrire, allevare; unito a πατρὸς indica “l’essere figli” 15 Riferito al figlio di Paiante, FIlottete 16 ἐξέθηκα, da εκ-τιθημι, significa “porre strappando via da un’altra parte”; εκ indica “fuori da”, perché indica il punto di partenza; αποτιθημι, significa “porre” “riporre”. απο pone l’attenzione lontano dal punto di allontanamento; εκ- καλυπτω significa “nascondo bene”, è un rafforzativo, indica il fare qualcosa fin dall’inizio, fin dalle radici. Invece απο finisce per sembrare l’α privativo: αποκαλθπτςω significa “disvelare”, “svelare”, perché απο indica lontananza. 17 Participio aoristo passivo. Da τασσω, che significa “ordinare”; problema della contrapposizione fra l’ordine sociale e il dovere etico personale. 18 Accusativo legato a τον υἱὸν; σταζω significa gocciolare; κατα indica un movimento dall’alto verso il basso, oppure dal centro verso la periferia; questi due movimenti hanno in comune lo spostamento da un punto preciso (l’alto, il centro) in un luogo con più punti, per questo κατα ha valore distributivo. 19 Accusativo di relazione. I verbi in genere reggono l’accusativo o il genitivo; questo genitivo indica un significato partitivo, l’accusativo indica una completezza dell’azione verbale. Εχω, prima di “avere”, significa “stare”: εχω + acc. indica lo “stare ne confronti di qualcosa” e quindi può assumere il significato di “avere” o di “stare con”. 20 βόρῳ indica il mangiare, mentre δια significa “attraverso”; δια è il preverbio che indica completezza. 21 Para ha il significato di “vicino” “presso”, quindi essere possibile 22 È la forma attica con ι breve (per questo l’accento non è circonflesso) 23 Da θιγγανω, toccare, quindi avvicinarsi, in maniera astratta 24 L’infinito aoristo indica un’azione in sé e per questo segue espressioni di dovere, bisogno (δει, κρη) 25 All’inizio è il sacrificio cruento 26 Il soggetto è Filottete, che riempie il campo greco dei suoi lamenti. 27 L’α privativo indica la mancanza di parole (αφημια, essere muti) δυς indica una direzione sbagliata, contraria (δυσφημια, il parlar male); il plurale di un astratto indica gli elementi concreti derivanti dall’astratto (δυσφημιαι, le brutte parole) 16 (βοῶν), lamentandosi (στενάζων). Insomma (μὲν, valore rafforzativo) che bisogno c’è (δεῖ) di dire (λέγειν28) questo? Odisseo giustifica il suo operato dicendo di aver solo obbedito agli ordini. Odisseo e Neottolemo vanno a riprendere Filottete. Sofocle pone elementi fondamentali nei prologhi. Nell’Antigone, la ragazza si risvolge a Imene con l’espressione κοινον αυτα δελφον (“tu che sei la sorella nata dallo stesso ventre materne”); Edipo si rivolge ai cittadini di Tebe con τεκνα (“figli”) e la questione dell’essere figlio sarà centrale nella tragedia. Nel Filottete gli elementi cardine sono: - la solitudine dell’isola - la presenza di Neottolemo - le giustificazioni di Odisseo “Per noi non è il punto (ακμη) per lunghi discorsi,” γὰρ -> corrisponde a “in realtà”; lo si trova sempre per le spiegazioni, nel passaggio da generale a particolare (e viceversa). “perché non s’accorga (μὴ29 καὶ μάθῃ) che io sono arrivato (μ' ἥκοντα30) e perché io non sciupi (κἀκχέω31) tutto lo stratagemma (σοφισμα), con cui (τῷ32) penso che (δοκῶ33) lo prenderò (αἱρήσειν νιν).” L’oracolo diceva che bisognava portare Filottete a Troia con l’arco. Per tutta la tragedia Odisseo cercherà non di portare Filottete, ma di rubargli l’arco: è l’ambiguità della tragedia, sottolineata dal νιν. “Ma insomma (αλλ’ ηδη), del resto (τὰ λοίφ'34) è tuo compito (σον εργον) ubbidire (ὑπηρετεῖν), (θ per τε35) osservare (σκοπεῖν) dove c’è ('στ'36) qui (οπου) una roccia con due porte (διστομος), tale che/in modo che (τοιάδ’ ἵν’37) sia possibile (πάρεστιν38) nel gelo (ἐν ψύχει39, nell’inverno) una doppia entrata (διπλῆ ἐνθάκησις40) del sole (ἡλίου), nell’estate (ἐν θέρει) la brezza (ὕπνον) mandi il sonno (πέμπει πνοή) attraverso la grotta (δι' αὐλίου41) con 28 Infinito presente. Il presente al posto dell’aoristo indica la continuità dell’azione, quindi significa “che continui a dire”. 29 Introduce una finale negativa. Le finali si trovano di solito con οπως, ινα (quest’ultimo meno caratterizzato). Nella lingua latina c’è una netta differenza fra il fine (volontà) e la conseguenza (al di là delle volontà). Ciò non accade nel mondo greco, infatti finali e consecutive sono sostanzialmente le stesse proposizioni: è importante ciò che accade a prescindere dalla volontà. 30 Le forme οτι e acc+infinito sono oggettive; ως e il participio sono soggettivi. Qui il verbo accorgersi presuppone soggettività 31 Crasi per και εκχεω, verbo che significa “versar fuori”, quindi buttar fuori, sprecare, sciupare 32 relativo 33 δοκεω 34 Forma avverbiale 35 Τε è nella forma θ’ perché si trova davanti ad un’aspirazione, e quindi si verifica l’assimilazione, che è sempre regressiva (la 1° si adegua alla 2°). Il greco tende a dare più forza al 2° elemento anche nella sintassi e nel periodo. Nelle endiadi la maggiore correlazione è data da τε και, dove καιaggiunge e τε accoppia (nei vangeli si diffonde και) 36 È εστιcon aferesi ed elisione 37 Per ινα, introduce una consecutiva perché non c’è una vera distinzione fra finale e consecutiva. 38 Essere vicino 39 Saffo descrive la sintomatologia dell’amore con termini realistici. Nel frammento 31 c’è un fuoco che si insinua sotto la pelle, ma allo stesso tempo avverte un ψυκος, un gelo. 40 Momento in cui i raggi del sole entrano e si situano nella grotta 41 Spazio ampio, quindi la grotta 19 forse (εἴ, se) ha visto (κάτοιδέ) un’erba medicinale (νώδυνον65). Dunque, manda (πέμψον66) quest’uomo (τον παρόντα, colui che è presente) in esplorazione, in modo che (μὴ, sia finale che consecutiva) di nascosto (λάθῃ) quello non mi assalga (προσπεσών67): quanto più preferirebbe (ἕλοιτό68) prendere (λαβεῖν, colpire) me piuttosto che tutti69 i gli Argivi.” (Esce il 3° uomo) NEO. “Se ne va, e guarderà bene (φυλάξεται, custodire) le tracce: se lo vuoi dimmi quello che resta da dire” OD. “Figlio di Achille, bisogna (δει) che tu sia di nobile stirpe (γενναῖον70) per ciò per cui (σ’ἐφ' οἷς71) sei venuto (ἐλήλυθας), non solo con la forza (σώματι72, col corpo), ma devi ubbidire (ὑπουργεῖν) anche se (ἀλλ' ἤν73) ascolti (κλύῃς) un ordine strano (τι καινὸν) rispetto a quelli che (ὧν, gen.74) hai udito (ἀκήκοας) prima75, poiché (ὡς, val. esplicativo) sei qui come servo” NEO. “Cosa comandi?” OD. “Bisogna che tu inganni (ἐκκλέψεις) parlando (λέγων) con i tuoi discorsi (λόγοισιν) l’anima di Filottete” v.56 OD.: Quando (Ὅταν76) ti chiede (ἐρωτᾷ, presente) chi (τίς) sei (πάρει77) e da dove vieni (πόθεν), devi dirti (λεγειν78) il figlio di Achille: questo non bisogna nasconderlo (κλεπτεον79); dici (πλεῖς) che navighi verso (ὡς πρὸς80), abbandonando (ἐκλιπὼν, pt. aoristo) la flotta degli Achei, che hai odiato (ἐχθήρας81, aoristo) di un odio (εχθος) grande, dopo averti mandato (στείλαντες82) con preghiere a venire (μολεῖν83) qui dalla patria (ἐξ οἴκων), avendo (ἔχοντες) 65 Lett. “che va contro il dolore” 66 Imperativo aoristo 67 Lett. “venire addosso”, προσπιπτω 68 Ottativo aoristo da αιρεω 69 Πας/απας. L’α iniziale premessa agli aggettivi, in genere, è di due tipi: se ha spirito aspro, deriva da sm-i, rafforzativo; se ha spirito dolce, è privativo. In απας l’α ha spirito dolce, quindi rafforza l’idea del tutto espressa da πας, quindi proprio tutto, tutto insieme. 70 Valore morale e sociale dell’appartenere a una buona stirpe; quindi il comportarsi in maniera degna della stirpe di Achille 71 Il dativo si lega logicamente a γενναιος, mentre il relativo retto da επι dovrebbe essere all’accusativo. Non è un fenomeno di attrazione, ma di condensazione, perché vi è la forma del relativo e il caso del dimostrativo la costruzione è αυτοις (verso le cose) εφα (accusativo, per le quali). 72 La contrapposizione è fra la forza fisica e il resto, quindi quella spirituale, ma anche l’intelligenza e l’astuzia 73 ἤν sta per εαν, se 74 I verbi che indicano sensazioni hanno il genitivo partitivo perché la sensazione è parziale 75 Il πριν dà valore di azione passata al perfetto 76 Temporale con sfumatura eventuale 77 Da παρειμι, si usa tutte le volte che il verbo essere ha il significato di essere presenti in un posto. Se essere ha l’idea del divenire, è reso con γιγνομαι. 78 Infinito interpretabile in 2 modi: o dipende dal σε δει (bisogna che tu), oppure si tratta di un uso dell’infinito con funzione imperativa (abbastanza presente nel teatro) 79 Agg. verbale che indica il dovere 80 Ως ha una sfumatura soggettiva, come se l frase fosse “come se tu navigassi verso” 81 Da εχθαιρω, verbo dell’odio, con l’acc. dell’ogg. interno 82 Da στελλω 83 Aoristo da βλοσκω 20 questa sola (μόνην) presa di Ilio84, che (οι) non reputarono giusto (ἠξίωσαν85) [di dare] le armi di Achille a me che le chiedevo a mio diritto (κυριυς86), invece le diedero (παρέδοσαν87) ad Odisseo, dicendo tutto ciò che vuoi (θέλῃς, cong. eventualità) su di noi, i mali più gravi fra i gravi: con questo non mi offenderai (ἀλγυνεῖς88) per niente; e se non farai questo getterai (βαλεῖς) un dolore (λύπην) su tutti gli Argivi; se l’arco di costui non sarà preso (ληφθήσεται89), non ti sarà possibile distruggere (πέρσαι90) la pianura di Dardano91. Impara bene (ἔκμαθε) perché io non ho la possibilità di avere un incontro (ὁμιλία) con lui in modo fidato e sicuro, ma tu sì (σοι δε), perché tu sei qui avendo navigato (πέπλευκας92) senza un giuramento a nessuno, né per costrizione93, né perché appartenevi alla prima spedizione, nessuna di queste cose per me è negabile (ἀρνήσιμον): e così se (αἰσθήσεται94) mi sorprenderà lui con in mano (ἐγκρατὴς) l’arco, sono finito (ὄλωλα), e rovinerò anche te (προσδιαφθερῶ) visto che sei con me: bisogna che sia escogitato (σοφισθῆναι95, inf. aor. pass) questo stesso [stratagemma], che (ὅπως) tu sarai (γενήσῃ) il ladro (κλοπεὺς) delle armi invincibili (ἀνικήτων). E (και96) so bene (Ἔξοιδα) che tu per natura (φύσει) non sei (πεφυκότα) di dire tali cose, né di escogitare (τεχνᾶσθαι) stratagemmi vili (κακά): ma è un (τοι97) dolce guadagno (κτῆμα τόλμα) prendere la vittoria; poi appariremo (ἐκφανούμεθα, da εχφαινω) giusti98. v.83 OD.: “Ora dammi te stesso (δός μοι σεαυτόν) per una piccola parte (μέρος99) dl giorno (ἡμέρας) priva di pudore100, e poi (κᾆτα101) fatti chiamare (κέκλησο102) per il resto del tempo “il più pio (εὐσεβέστατος) tra tutti i mortali (βροτῶν)” v. 86 NEO.: “Io tra questi (τον) discorsi, che io ascolto (κλύων, pt.) con dolore (ἀλγῶ), figlio (παῖ) di Laerte, questi mi ripugna (στυγῶ103) fare: la mia natura è (ἔφυν, aor.) di non fare nulla che deriva (ἐκ) da una tecnica malvagia/vile (τέχνης κακῆς), non (οὔτ') lo sono io né (οὔθ’), come si dice, colui che mi ha generato (οὑκφύσας). Ma io sono pronto a prendere l’uomo con la 84 È una traduzione letterale, ma significa che avevano solo questo modo di prendere Ilio 85 Altre volte nel greco arriva al significato di chiedere. Qui da questo verbo dipendono οπλων e il verbo δουναι, inf. di aor. διδωμι (zeugma) 86 Corrisponde al latino iure, ma in realtà il passaggio delle armi non era ereditario: si trattava di un riconoscimento del più forte, quindi non è un diritto di Neottolemo. 87 Da παραδιδωμι 88 È un futuro. Può insultarli quanto vuole, tanto ad Odisseo non crea nessun dolore 89 Futuro passivo di λαμβανω 90 Da περτω 91 La regione di Troia (sineddoche) 92 Perfetto di πλεω (originariamente in sonante u, digamma, πλεFω) 93 Achille e Odisseo erano stati costretti a combattere a Troia 94 Da Αισθανομαι, verbo di percezione, seguito di solito da genitivo partitivo. Qui ha il valore del sorprendere, dello scoprire 95 Da σοφιζω, discorso della Sofistica 96 Και è il testo tradito; παι è un emendamento di Jebb nel senso di “oh figlio” 97 Indefinito, valore generico, un forse, come fosse “in qualche modo” 98 Per quanto una cosa sia κακος, il vincitore alla fine apparirà giusto (non solo nell’aver modo di dimostrarsi giusti) 99 Il genitivo è μερυς 100 ἀναιδὲς è riferito sì al giorno, ma in realtà si riferisce a Neottolemo (ipallage), Bers, Enallage in Greek Style 101 Crasi per και e ειτα 102 Imperativo pefetto da καλεω 103 Detestare, ripugnare, proprio nel senso di far schifo 21 forza e senza inganno: non potrà farcela (χειρώσεται104) su noi che siamo tanto (τοσούσδε) forti, lui con un solo piede. Inviato (Πεμφθείς105) come tuo aiutante ma non mi sento a mio agio (ὀκνῶ) a essere chiamato traditore; mi piace più, signore, perdere (ἐξαμαρτεῖν) agendo (δρῶν) bene piuttosto che vincere (νικᾶν) [agendo] male106.” OD.: “Figlio di un nobile padre, anch’io quando ero giovane (ὢν νέος) una volta, avevo (εἶχον, imp.) una lingua pigra (ἀργόν107) e la mano pronta ad agire: uscito (ἐξιὼν108) alla prova (εἰς ἔλεγχον), vedo che tra i mortali tutto guida (ἡγουμένην) la lingua, non le azioni. NEO.: “Cos’altro mi ordini, se non dire delle bugie (ψευδῆ, n.p.)?” OD.: “Io ti dico di prendere Filottete con l’inganno” NEO.: “Perché bisogna condurlo con l’inganno piuttosto che convincendolo?” OD.: “Non si lascerebbe convincere (πίθηται, cong.); tu non potresti prenderlo (λάβοις, ott.) con la forza.” NEO.: “In tal grado egli ha un coraggio (θράσος ) per la forza (ἰσχύος109)?” OD.: “ Ha dei dardi (Ἰοὺς) che non si riescono a evitare (ἀφύκτους) e che portano la morte” NEO.: “Dunque non è coraggioso combattere corpo a corpo (προσμεῖξαι110)?” OD.: “No, se non prendendolo con l’inganno, come dico io.” NEO.: “Non pensi che sia vergognoso (αἰσχρὸν) dire queste bugie (τα ψευδῆ111)?” OD.: “No, se la bugia porta alla salvezza” NEO.: “Come uno oserà dire (λακεῖν112) queste cose guardando (βλέπων)?” OD.: “Facendo qualcosa per il guadagno, non è conveniente esitare NEO.: “Quale vantaggio è a me del fatto che quello venga a Troia?” OD.: “Solamente queste sue frecce prenderanno Troia.” NEO.: “Non è vero che sono io che la prenderò, come andavate dicendo (ἐφάσκετ)?” Nel 700 i Filottete viene riscoperto grazia a Lessing e Herder; Herder lo riscrive per i figli di Bach OD.: “Né tu senza quelli (χωρὶς), né quelli senza te113” NEO.: “Bisognerebbe cacciarlo (Θηρατέ) se le cose stanno così”. Il problema di questo verso è metrico: la 3° sillaba e la 4° sono τέ' ἄ, ma sono entrambe brevi (la α è un neutro pl.); per questo viene inserito (da Hermann, Elmsley) un αν prima di γιγνοιτ’ per rendere la α lunga. Un dotto del 1300, Demetrio Triclinio, propose un οὖν dopo Θηρατέ, quindi un dunque, un elemento conclusivo. L’integrazione αρα secondo Jebb non è funzionale al testo. Nel testo tradito si presenta come Θηρατεα. 104 Legato al sostantivo della mano 105 Par. aoristo da μεμπω 106 καλῶς - κακῶς sono accostati per paronomasia, quindi per affinità fonica, ma non di significato. 107 Ha 2 terminazioni (successivamente ne avrà 3 e quindi una propria del femminile); sta per pigra, infruttuosa, impacciata, inutile. Nel nostro caso è una lingua inutile perché non sa ingannare, quindi buona. 108 Da εξειμι, uscire; qui lo tradurremmo “venuti al dunque”, nel senso di “avendo dovuto affrontare l’esterno” 109 Il coraggio deriva dalla forza 110 Anche accostarsi, infinito aoristo da προσμειγνυμι. 111 L’edizione Valla ha τὸ, una congettura di Vauvilliers, dove το si legherebbe a λεγειν, sostantivato. Invece τα è tramandato dai codici. 112 Da λασκω 113 Il senso è “tu non ci riuscirai se non avrai quest’aiuto”, con τόξα sottinteso 24 NEO.: “Ah sì (Ἦ γὰρ)? Anche tu hai partecipato (μετέσχες, aor.) a questa fatica (πόνου139)?” FIL.: “O figlio, non mi conosci me, su cui ora fissi lo sguardo (εἰσορᾷς)” NEO.: “Come potrei conoscerti io che non ti ho mai visto?” FIL.: “Tu non conosci (ᾔσθου140) neppure il mio nome, né la fama dei miei mali, per i quali io andavo in rovina (διωλλύμην141)?”142 NEO.: “ Sappi che a quanto pare io non so nulla di ciò che mi chiedi (ἀνιστορεῖς)”143 FIL.: “Oh me molto travagliato, odioso agli dei (πικρὸς θεοῖς)144, del quale (οὗ, rel.), che è in queste condizioni (ὧδ' ἔχοντος) neppure la fama giunse mai in patria né nessun luogo della Grecia. Coloro (οἱ) che mi hanno cacciato via (ἐκβαλόντες) in modo disumano (ἀνοσίως145) ridono (γελῶσι) stando (ἔχοντες) in silenzio146, e una mia malattia che sempre cresce (τέθηλε147) e diventa sempre più grande. Figlio, che vieni dal padre Achille, ecco (ὅδ’148) io sono per te quello (κεῖνος), di cui forse conosci la fama (κλύεις149) come (ὄντα) padrone delle armi di Eracle, il figlio di Peante, Filottete, che i due strateghi150 e il capo dei Cifelleni151 gettarono via (ἔρριψαν152) turpemente così solo, afflitto da un morbo selvaggio, colpito (πληγέντ153) dal terribile morso di154 una vipera assassina (ἀνδροφθόρου155), e con questa [terribile piaga] quelli (ἐκεῖνοι) mi hanno abbandonato (προθέντες, pt.) qua solitario (ἔρημον) e se ne andavano via (ᾤχοντ156), quando (ἡνίκ’) approdarono qui con la loro flotta dalla marittima Crise.” [v. 270] Il tribraco giambico del Filottete è molto regolare, con pochissime sostituzioni v.271 - seg. FIL.: Ma quelli volentieri (ἄσμενοί157), appena mi videro che dormivo (εὕδοντ’) sulla spiaggia [stanco] per la lunga traversata (ἐκ πολλοῦ σάλου) all’ombra di una roccia (κατηρεφεῖ 139 È un’azione che comprende sia fatica che dolore, gen. partititvo 140 aoristo di αισθανομαι 141 Imperfetto, le azioni sono poste su due piani differenti: una puntuale l’altra duratura. 142 il verso è metricamente monco, manca una sillaba perché inizia con 1 lunga + 1 breve (Οὐ-δ' ο-νομ’); si potrebbe completare con una breve in modo da avere un dattilo. Una possibilità è che sia saltata un αρ’ iniziale (nel senso di dunque), come propone Erfurdt. Altri, come Kamerbeek, scelgono οὔνομα, una lectio tradita. Tosi opterebbe per τοθνομα, il nome, di Matin: τοὔνομ’ sarebbe apprezzabile anche fonicamente per la presenza di timbri scuri (non si tratta di una lectio tradita, ma di una correzione), e quindi ουδ diverrebbe solo ου. 143 Sfumatura personale data da Ὡς + participio 144 Concetto dell’invisus dei, la persona non gradita agli dei; πικρὸς ha il senso di aspro, amaro. 145 Normalmente viene tradotto con empiamente, ama qui non è inerente alla sfera religiosa: indica qualcosa che va contro la norma, che può essere quella della tradizione, del vivere civile, non solo la religione, contro l’humanitas. 146 Il silenzio si lega al fatto che nemmeno la notizia dei suoi mali è arrivata in Grecia, perché i suoi nemici mantengono il segreto della loro azione empia 147 Perfetto di θαλλω, fiorire; il perfetto indica la situazione presente di un crescendo passato 148 Deittico 149 Ha il valore di perfetto: hai sentito e quindi conosci la fama. 150 Menelao e Agamennone, i due capi della spedizione a Troia. δισσοὶ indica qualcosa (il potere) che è diviso in due parti estremamente legate 151 Odìsseo, Iliade libro II, catalogo delle navi 152 Aoristo di ριπτω 153 Participio aoristo passivo di πλεσσω 154 I codici hanno τες, valido, mentre Musgrave congettura τηδ’, che si riferirebbe a νοσω, nel senso di “per questa malattia”. Ciò perché molti codici hanno τεσδ. 155 Che distrugge l’uomo, termine che troviamo per la 1° volta in Pindaro 156 Da οικομαι, imperfetto 157 Letteralmente significa “lieto”, “felice”, ma sta per “volentieri” 25 πέτρῳ158), mi lasciarono lì e se ne andarono, dandomi anche (προθέντες) stracci (ῥάκη) brutti (βαιὰ) come quelli che (οἷα) ha ([εστι]) un uomo disgraziato (δυσμόρῳ159), e un piccolo aiuto/scorta (ἐπωφέλημα) anche di cibo (βορᾶς): cose che (οἷα) possano capitare (τύχοι160) a loro (αὐτοῖς). Tu (συ δή161), figlio, {interrogativa enfatica ->} quale pensi che fosse il mio risveglio (ἀνάστασιν162) dal sonno (ἐξ ὕπνου στῆναι163), quando loro se n’erano andati (βεβώτων164)? Quali lacrime165, quali i lamenti? Io che vedevo le navi con le quali avevo fatto la spedizione (ἐναυστόλουν), tutte andate vie (βεβώσας), e che non c’è nessun uomo nel luogo, nessuno che fosse in grado di curarmi (ἀρκέσειεν166), nessuno che venisse in aiuto (συλλάβοιτο167) a me che stavo male (κάμνοντι) per la malattia (νόσου168), scrutando tutto, non trovavo (ηὕρισκον) nulla presente (παρόν) tranne l’angosciarsi/l’angoscia, la molta abbondanza (εὐμάρειαν) di questa, figlio. Il tempo attraverso il tempo andava avanti (προὔβαινέ) per me, e bisognava servirsi di qualcosa (τι διακονεῖσθαι) sotto questo (τῇδ') povero tetto: per il ventre, il necessario (σύμφορα) quest’arco trovava (ἐξηύρισκε), colpendo (βάλλον169) le colombe (πελείας170) mentre volano; e verso ciò che la freccia scagliata dalla corda (νευροσπαδὴς171) colpiva (βάλοι172) per me, io stesso disgraziato dovevo spingere trascinando il mio sfortunato piede, verso/oltre (?) quelle sempre (πρὸς τοῦτ' ἄν173): Sofocle è molto interessato alla psicologia dei personaggi. Vi sono personaggi acutamente delineati: Filottete è sì un personaggio positivo che crea compassione, ma è anche incattivito dalla sua situazione di dolore e solitudine psicologica. v. 192 FIL.: “Se bisognava prendere qualcosa anche (και174) da bere, se (που175) c’era il gelo (χυθέντος176), come in inverno, e [se bisognava] raccogliere legna (θραῦσαι), ahimé 158 Espressione che indica di solito una spiaggia rocciosa, formata da scogli, quindi forse non proprio è “in una grotta rocciosa”; lett. è una pietra coperta (vedi grott di palumb) 159 Stesse radice della Moira, qualcosa che va al di là degli stessi dei. Passo di Omero in cui Zeus vorrebbe salvare il figlio destinato a morire in battaglia, ma Era gli ricorda che, se lui lo facesse, l’intera struttura dell’universo verrebbe meno: anche gli dei devono soggiacere alla Moira. 160 Ottativo aoristo da τυγχανω; è un urlo improvviso di rabbia di Filottete, che vive il suo ricordo. 161 Sottolinea fortemente la parola precedente, quasi un’indicazione per gli attori 162 Termine che sarà poi importante nella cultura cristiana come risurrezione, da ανα+ιστεμι, quindi andare in alto. 163 Come fosse una spiegazione del precedente αναστασιν, come uno “stare del sonno” 164 Participio perfetto di βαινω, genitivo assoluto. 165 ἐκδακρῦσαι è un infinito aoristo, come ἀποιμῶξαι, quindi indica l’azione in sé, delle lacrime versate; significherebbe quindi “quali pensi siano stati i mie pianti” o “quanto pensi sia il mio piangere” 166 Ottativo aoristo da αρχεω; l’aiuto è inteso in senso medico, come cura 167 Da σθλλαμβανω, sovvenire 168 Genitivo che indica la provenienza del malessere 169 Participio presente di βαλλω, neutro, riferito all’arco 170 Indica in realtà tutti gli uccelli; può essere tradotto anche “piccioni” 171 Letto come soggetto di βαλοι, quindi nel senso di “e ciò che la freccia tirata colpiva”. Σπαδης indica la tensione, νευρος è la corda o il nervo; può quindi essere riferito a una persona in tensione oppure alla freccia. Ατρακτος significa propriamente traiettoria, e inteso concretamente sarebbe freccia. Altrimenti Tosi interpretava come “c’era un cammino con i nervi tirati” 172 Ottativo obliquo, eventualità nel passato 173 Αν sottolinea il carattere iterativo, perché la cosa avviene spesso 174 Qualcosa che si aggiunge 175 indefinito 176 Pt. aoristo da χεω, versare 26 disgraziato (τάλας), mi ingegnavo (ἐμηχανώμην) in questo (ταυτα) trascinandomi (ἐξέρπων177); e inoltre il fuoco non c’era (οὐ παρῆν), ma sfregando con forza una pietra fra le pietre, si mostrava (ἔφην’178) una luce invisibile, che mi salva ogni volta. Il luogo dove abito col fuoco (μέτα179) fornisce tutto, eccetto che io non abbia il morbo. Orsù (Φέρ’180) figlio, ora devi imparare (μάθῃς181) anche ciò che riguarda l’isola. A questa (Ταύτῃ182) nessun navigante s’accosta volentieri: non c’è un luogo dove è possibile (ἔστιν) ancorare, né dove navigando (πλέων) potrà commerciare con guadagno (ἐξεμπολήσει) o essere ospitato. Qui non ci sono le rotte pe gli uomini assennati. Uno vi approda senza volere: molte situazioni di questo tipo (τάδε) nel corso dei tempi sono accadute agli uomini. Quando arrivano, o figlio, a parole hanno compassione nei miei riguardi e, per così dire (πού τι), mi hanno sempre dato un po’ da mangiare, o una coperta183. E quando ne parlo, nessuno vuole quello, portandomi in patria. Me disgraziato, sono qui che perisco, già in questo decimo anno, nella fame (λιμῷ184) e nei mali alimentando il morbo insaziabile. O figlio, mi hanno ridotto (δεδράκασι185) gli Atridi in tal modo e la violenza di Odisseo, possano gli dei Olimpi dare loro da soffrire in cambio (ἀντίποιν) le mie stesse pene186. CORO.: “Anche per me è logico avere pietà di te, in modo simile a quanto hanno fatto quelli già venuti qui (ἀφιγμένοις187), o figlio di Peante” NEO.: (δε188) “Anch’io in persona (και αυτος) sono testimone in questi (τοῖσδε) discorsi, so che questi [discorsi] sono veri, perché ho a che fare con (συντυχὼν189) uomini malvagi, gli Atridi e il violento Odisseo.” FIL.: “Forse in qualche modo anche tu hai un risentimento verso i maledettissimi Atridi, e hai sofferto (παθών190) tanto da essere arrabbiato (θυμοῦσθαι191)” NEO.: “Un giorno (ποτε) mi capitasse (γένοιτο, ott.) di soddisfare la mia rabbia con le mie mani (χειρὶ), perché Micene e Sparta capissero (γνοῖεν192) che anche Sciro è (ἔφυ193) la madre di uomini valorosi.” 177 Il verbo ερπω era utilizzato per tutti gli esseri che camminano sulla terra, non solo dei serprenti. 178 Può essere inteso sia come una 1° p. (nel senso di “ho fatto scaturire”) che come 3° p. (“appare”). La figura etimologica, importante anche per la componente fonica, è una contraddizione, perché appare qualcosa che “non appare” 179 L’accento non è su α ma su ε perché è postposto 180 Φερε è un imperativo con valore avverbiale 181 Congiuntivo aoristo, esortativo, “sappi”. Alcuni codici hanno l’ottativo μαθοις (dovresti sapere). 182 Si riferisce a quanto appena detto, mentre οδη si riferisce a ciò che segue. 183 Il v. 309 comincia con un tribraco 184 Famoso il passo di Tucidide che riporta che l’oracolo avrebbe detto λιμῷ o λοιμω, passo che attesterebbe forse per la prima volta una forma di itacismo 185 Perfetto di δραω, pone l’accento sul risultato dell’agire degli Atridi 186 οἷ' sta per οις ed è ripreso dopo da αὐτοῖς. Secondo Jebb questa ripetizione enfatica non è propria dello stile sofocleo. È stata proposta una correzione in οια, che significherebbe “uguali” 187 Participio perfetto di αφικνεομαι, quindi quelli che prima erano stati sull’isola 188 Indica che la battuta è passata ad un altro attore 189Aoristo di συντυγχανω, gen. = avere a che fare con (incontrare); il συν- può indicare anche un’azione di analisi e cui segue un’azione di sintesi (come per gli storici) 190 Pt. aoristo di πασχω 191 Θυμος ha la stesa radice del latino fumos; indica l’anima, il soffio vitale, che parte dal diaframma. Il verbo significa in realtà “arrabbiarsi” “irritarsi” 192 Aoristo di γιγνοσκω 193 La città di Sciro viene presentato come un essere vivente 29 navigo verso casa, privato di ciò che era mio (τητώμενος228) da Odisseo, il più vile degli uomini e di (κἀκ229) stirpe di malvagi. E non accuso quello come quelli che erano al comando (ἐν τέλει230): una città è completamente, come pure un esercito, quella dei suoi comandanti, quelli fra i mortali che agiscono male (ἀκοσμοῦντες231), diventano cattivi per i discorsi dei maestri. È stato detto tutto: chi odia (στυγῶν232) gli Atridi, potrebbe esser caro a me e anche agli dei.” Interludio corale di 12 versi. È tipicamente musicale. Non è legato soltanto al discorso di Neottolemo. Come Γεα aveva ammansito gli Atridi, ora potrà ammansire Filottete. Il coro vuole che Filottete ritorni alla vita civile; quella in cui è adesso è una vita primitiva, che in qualche modo viene prima degli dei olimpici e per questo si riferisce a una dea primitiva. Il pubblico vive un’atmosfera religiosa che presenta grande interesse per le divinità asiatiche e per il sincretismo233. In ogni religione politeistica il panteon deve rispecchiare il mondo reale nella sua infinita varietà di situazioni. CORO. “Terra (Γᾶ234), signora dei monti (Ὀρεστέρα235), che nutri tutti (παμβῶτι236) madre dello stesso Zeus, che vivi sulle rive del grande Pattòlo237 dal bell’oro, anche allora, veneranda madre, noi ti invocavamo (ἐπηυδώμαν238), quando tutta l’arroganza degli Atridi (Ἀτρειδᾶν239) andava contro quello, quando diedero via le armi del padre, o tu che hai il seggio (ἔφεδρε) sui leoni che sbranano i tori, al figlio di Laerte, onore supremo240. FIL.: “Avete navigato fin qui da me, come sembra, avendo un chiaro segno (σύμβολον) di sofferenza (λύπης) e mi cantate (προσᾴδεθε) in modo che queste son le azioni che son fatte dagli Atridi e da Odisseo. So bene (Ἔξοιδα) che quello con la lingua afferra (θιγόντα241) ogni discorso malvagio e ogni astuzia (πανουργίας), grazie alla quale (ἀφ' ἧς) non potrebbe mai 228 Il lessicografo Esichio (V sec. d.C.) raccoglie elementi eruditi precedenti, che venivano dall’esegesi dei classici. Gli antichi avevano un’idea vaga sull’etimologia, non possedevano un’idea scientifica della grammatica (che nascerà solo nel Settecento). Con Esichio abbiamo spiegato τήτη, che significherebbe mancanza, aporia. Da questa interpretazione deriva quella di τητώμενος, “privato di”. Intervento di Giacomo Daichi: per τηταομαι Beekes riporta *teh2 e lo ricollega a τητη e al miceneo ta-ti-qo-we-u. dice che τηταομαι probabilmente è un verbo in -tao. 229 Crasi per και εκ 230 Letteralmente è il fine e indica tutto ciò che è “al culmine” 231 In disordine, non secondo l’Ordine 232 Il senso proprio è “provare ribrezzo” 233 Elementi di tradizioni diverse confluiscono in uno stesso interesse religioso/culto 234 Abbiamo questa forma perché si tratta di cori attici che cercano di parlare dorico tendendo al vocalismo α, come anche in μᾶτερ (abbiamo anche iper-dorismi) 235 Normalmente ci si riferisce a Cibele con ορεια 236 Vocativo di παμβωτις, παμβωτιδις; il suffisso ιδ indica il femminile 237 L’odierno fiume Sart Cayi (?) 238 Da επαυδαω 239 Plurale di Ατρειδης, maschile della 1° declinazione; il genitivo è α-σον > αον > ων con contrazione in attico; in ionico c’è anche un esito αον ηων, dove α lunga si chiude in η. 240 Onore supremo è apposizione delle armi. 241 Da θινγανω, prendere, afferrare 30 fare242 nulla di giusto. Ma questo non è per me una sorpresa (θαῦμα), se il maggiore Aiace243 sopportava (ἠνείχετο244) di veder questo.” NEO.: “Egli non era più in vita (ζῶν245), o straniero: con quello in vita io non sarei stato mai frodato” FIL.: “Che dici? Anche costui se n’è andato, è morto?” NEO.: “Pensa (νόει246) che quello non è più nella luce (φάει) FIL.: “Ahimè disgraziato. Ma non il figlio di Tideo, non il figlio di Sisifo comprato da Laerte247, non c’è nessuna eventualità che muoiano (οὐ μὴ θάνωσι248): bisognerebbe che costoro non fossero in vita.” NEO.: “Certo che no, sappi bene (ἐπίστω249) questo, sono invece in pieno rigogio nell’esercito argivo.” FIL.: “Dimmi: e il vecchio nobile amico, Nestor di Pilo, è vivo? Teneva indietro (ἐξήρυκε) le cattiverie di quelli dando consigli saggi NEO: “Quello se la passa male, perché Antiloco, che era suo figlio, è lontano (φροῦδος) perché morto (θανὼν).” FIL.: “Ahimè, tu mi hai detto due cose250 tristi, due persone delle quali io assolutamente nel modo minore avrei voluto sentir dire che sono morte (ὀλωλότοιν251).” La grande intuizione di Vincenzo Di Benedetto è quella di aver capito che il legame fra teatro greco e storia politica non va visto solo in relazione a singoli episodi, perché l’elemento essenziale è di tipo ideologico: l’idea che la comunità dovesse guidare l’individuo era un punto cardine della propaganda democratica dell’Atene di Pericle. v.428 FIL.: “Ahimè, cosa bisogna vedere (σκοπεῖν), dato che questi sono morti (τεθνᾶσ252), mentre Odisseo è in vita (ἔστιν) e ancora qui/in questa situazione (κἀνταῦθ253) sarebbe stato necessario (χρῆν254) che si sentisse dire (αὐδᾶσθαι255) che lui è morto al posto di (ἀντὶ) costoro.” 242 Μελλω+ infinito indica lo “stare per fare qualcosa”, con accento sulla volontà, la possibilità o l’imminenza 243 Aiace Telamonio 244 Da ανεiχομαι, composto da εχο, stare indietro in una data situazione, quindi trattenere 245 Da ζαω, vivere, o ζεω, bollire 246 Imperativo presente di νοεω 247 La versione non ufficiale del mito vuole che la madre di Odisseo fosse incinta di Sisifo prima di sposare Laerte, che si comprò anche il figlio non suo con l dote 248 Congiuntivo aoristo di θνησκω, eventuale 249 Da επισταμαι; la forma non contratta è επιστασω 250 Cerri intende due persone, anche perché poi continua parlando di Antiloco e Aiace. I codici riportano αυτως δειν ελεξας, ma alcuni, come Jebb, correggono in αυτωδ ανδρ’ ελεξας, con duale 251 Participio perfetto duale di ωλλυμι 252 Perfetto di θνησκω 253 Crasi di και ενταυθα 254 Imperfetto indicativo 255 Infinito passivo 31 NEO.: “Certo è un lottatore abile (Σοφὸς256), ma anche i pensieri (γνῶμαι) abili, Filottete, spesso inciampano (ἐμποδίζονται)” FIL.: “Dimmi per gli dei dove stava per te Patroclo, che era l’amico più caro (τὰ φίλτατα257) del padre?” NEO.: “Anche questo era morto; in poche parole questo ti racconterò: la guerra di per sé (ἑκὼν258) non uccide nessun uomo cattivo (πονηρόν), ma sempre uccide i migliori.” FIL.: “Te lo riconosco; ti chiederò per questa stessa cosa (κατ' αὐτὸ τοῦτό259) di un uomo di nessun valore (ἀναξίου), ma per la lingua abile (δεινοῦ260) e scaltro, come si trova/sta ora.” NEO.: “Di chi parli se non (πλην261) di Odisseo?” FIL.: “Non ho parlato di costui, ma c’era un tal (τις) Tersite, che non avrebbe scelto/voluto (εἵλετ262) di parlare una sola263 volta qualora nessuno glielo permetteva (ἐῴη264); sai (οἶσθ’) se costui è vivo? NEO.: “Non l’ho visto, ma ho inteso (ᾐσθόμην265) che c’era ancora/che è vivo.” FIL.: “Era chiaro che lo fosse (Ἔμελλ’266): nessun malvagio è perito, ma le divinità li proteggono (εὖ περιστέλλουσιν267); in qualche misura godono a far tornare dall’Ade le persone imbroglione (πανοῦργα268) e senza scrupoli (παλιντριβῆ269), e sempre tengono lontano chi è giusto e onesto. Come bisogna pensare/considerare queste cose, in che modo lodare (αἰνεῖν270), se (ὅταν271) tutte le volte che lodo (ἐπαινῶν) le divinità (τὰ θεῖα272) trovo (εὕρω) che gli dei sono malvagi.273” Nelle Nuvole di Aristofane il coro è costituito dalle nuvole: evidentemente Socrate e gli intellettuali da lui rappresentati pensavano che le divinità tradizionali non fossero dei fenomeni atmosferici, ma che gli uomini abbiano dato una spiegazione divina ai fenomeni che non capivano. 256 Si gioca sul significato di σοφος, sul contrasto fra l’abilità tecnica di un lottatore e la scaltrezza dei pensieri; molti traduttori preferiscono spostare tutto sul piano tecnico, quindi intendono che “anche le mosse abili” possono fallire. 257 È neutro. Nel latino il neutro ha anche una valenza spregiativa, mentre in greco il neutro ha una valenza generalizzante, quindi qui significa “ciò che era più caro”, colui che in assoluto era quanto di più caro avesse, in rapporto ad ogni cosa. Inoltre φιλος originariamente non indica l’amico, ma un legame (che può anche essere dovuto a un contratto) 258 Volentieri, volontariamente, sua sponte, quindi di per sé. 259 Quindi per il discorso sui morti in guerra di Neottolemo 260 Δεινος ha il valore di “tremendo” nel senso negativo o positivo, di qualcosa di buono o di brutto. Nel V sec. sviluppa anche il valore di abile, come sviluppo di “tremendo” in senso positivo. 261 All’infuori di si può dire anche παρεκτος, m nel greco tardo παρεκτος significa “mi è concesso” 262 Aoristo di αιρεω, scegliere; l’aoristo indica una scelta precisa, mentre l’imperfetto indica una preferenza. 263 Quindi sceglieva di parlare più volte, anche quando nessuno avrebbe voluto sentirlo parlare, con una sfumatura irreale. Un’altra interpretazione privilegia il valore iterativo 264 Ottativo, da εαω 265 Da αισθανομαι, ho inteso, so per aver percepito/sentito 266 È sottinteso ειναι, il verbo essere; indica un futuro immediato, un “lo sarà certamente”, un “per forza”. 267 Si pongono attorno a loro 268 L’astuzia in senso negativo 269 Significa “che è stato raschiato più volte” 270 Αινεω ha il valore anche di glorificare, valore che invece manca in επαινεω, che è una semplice lode 271 Col congiuntivo indica l’eventualità 272 Al neutro, indica proprio la religiosità, la lode alle divinità in generale 273 Vi è un’accusa profonda alle divinità tradizionali, preparata dalla precedente analisi delle morti nella guerra di Troia. 34 CO.: “Signore, abbi pietà (οἴκτιρε302): ha narrato di tante prove (ἆθλ303), di fatiche (πόνων) difficilmente sopportabili (δυσοίστων304), quali nessuno dei miei cari possa mai avere in sorte (τυχοι305).” CO.: “Signore, se tu provi odio per gli Atridi amari, io certamente (μέν306) scambiando (μετατιθέμενος307) il male fatto da quelli con un guadagno (κέρδος) per questo (τῷδε308), là dove desidera (ἐπιμέμονεν309), lo potrei portare (πορεύσαιμ’310) sulla veloce nave ben equipaggiata (εὐστόλου) proprio a casa, fuggendo la punizione (τὰν311 νέμεσιν) dagli dei.” NEO.: “Guarda che tu ora non sia (παρῇς) così alla mano (εὐχερὴς), ma quando tu sarai stanco (πλησθῇς312) per il contatto (ξυνουσίᾳ313) con la malattia, [guarda] che allora proprio tu non appaia (φανῇς) sicuro di questi discorsi.” CO.: “Per nulla: che mai tu abbia da dire (ἕξεις314) questo rimprovero.” NEO.: “Certamente, che io mi dimostri da meno (ἐνδεέστερον) per te sottoposto nel sostenere una fatica da fare (πρὸς τὸ πονεῖν) in quest’occasione (καίριον). Ma se sembra giusto, navighiamo, si muova veloce e la nave lo porterà e non si rifiuterà [di portarlo]. Basta che gli dei ci portino in salvo via da questa terra e che andiamo dove vogliamo navigare.” Esplosione di gioia di Filottete FI.: “O giorno carissimo, o uomo gentilissimo (ἥδιστος), o cari naviganti, come potrei con le azioni mostrare che mi avete reso (ἔθεσθε315) quanto mai affezionato a voi? Andiamo, figlio, dopo aver salutato (προσκύσαντε) la dimora in cui entriamo (εἰσοίκησιν316) che non è una casa (ἄοικον), perché tu capisca con quali mezzi vivevo, come mi sono dimostrato uomo dal cuore forte. Credo che nessun altro all’infuori di me poteva sopportare questa situazione, anche solo alla vista; io ho già imparato da molto a rassegnarmi al male.” Viene introdotto il personaggio del mercante. Odisseo aveva avvisato che, se il colloquio si fosse protratto a lungo, avrebbe mandato un uomo. Lo spettatore si aspetta che Filottete e Neottolemo entrino nella grotta, in un crescendo di pathos. Però abbiamo adesso un franamento: l’emozione viene sospesa; ciò serve a rendere più forte l’emozione stessa nel momento in cui verrà ripresa. 302 Tra ελεισον e οικτιρε vi è innanzitutto una differenza grammaticale: ελεισον è un indicativo aoristo e indica un’azione puntuale 303 Idea della lotta 304 Da δυσφερω, aggettivo verbale. Il prefisso δυς indica difficoltà, ma non nega il verbo. 305 È quello che capita; la τυχη sostituisce gli dei, ma si differenzia dalla Moira e dal destino. 306 Questo μεν non presuppone un δε successivo, perché vuole dare rilievo a ἐγὼ (Denniston, Greek Particles) 307 Τιθημι corrisponde al latino facio 308 Proprio la persona che è davanti 309 Μεμονα, radice che ha soli il perfetto; indica il desiderio e in composizione con επι indica qualcosa di molto forte. I linguisti lo collegano alla radice della memoria, interpretando desiderare come “fissare nella mente”, ma Tosi sottolinea che poi l’uso della lingua è diverso; inoltre ἐπιμέμονεν è un hapax 310 L’ottativo è usato dal coro quasi come una forma di rispetto 311 Dorismo. 312 Da πιμπλεμι, congiuntivo aoristo passivo 313 Dativo d’agente, con valore strumentale 314 Indicativo, indica l’obiettività del discorso che sta per fare 315 2° p. pl. dell’aoristo di τιθημι 316 Il suffisso -σις indica l’azione nel suo farsi 35 Il mercante racconta una falsa storia: l’indovino Eleno è stato catturato da Odisseo e ha profetizzato che i greci non avrebbero mai vinto la guerra se Filottete non fosse stato ricondotto a Troia. Il mercante aggiunge che Odisseo e Diomede si erano messi in viaggio per venire a rapire Filottete. Ciò spinge Filottete ad affrettarsi. Alla fine vi è una parodia del deus ex machina, che non risolve i problemi, ma anzi sconvolge le soluzioni trovate prima. Poetica del dolore, fisico e morale. La conversione di Neottolemo avviene alla vista della sofferenza di Neottolemo. L’ingresso nella caverna era stato frenato dall’episodio del mercante. v. 730 NEO.: “Cammina (Ἕρπε317), se vuoi. Perché mai senza nessun motivo (λόγου318) taci, e stai (ἔχῃ) così paralizzato (κἀπόπληκτος319)?” FIL.: “Ahi, ahi, ahi, ahi” NEO.: “Che c’è?” FIL.: “Niente di terribile: ma via, vai (ἴθι), figlio” NEO.: “Forse (Μῶν320) stai fermo (ἴσχεις) per il dolore (ἄλγος321) della malattia che è presso di te (παρεστώσης322)? FIL.: “No certamente, or ora mi sembra di star meglio. Oh, dei” NEO.: “Perché elevando i gemiti (ἀναστένων) così invochi gli dei?” FIL.: “Che vengano (μολεῖν) da noi come salvatori (Σωτῆρας), dolci. Ahi, ahi, ahi,ahi” NEO.: “Qual è mai la tua sofferenza? Non lo dirai, ma stari in silenzio? È evidente che c’è qualche male in te FIL.: “Sono finito323, figlio, non sarò più in grado di nascondere (κρύψαι324) il mio male a voi, ahi (ἀτταταῖ): mi attraversa tutto, tutto. Disgraziato, povero me. Sono morto, figlio, mi divor, figlio: aaaaaaah (ἀπαππαπαππαῖ, παππαπαππαπαππαπαῖ). Per gli dei figlio, se hai disponibile (πρόχειρον) tra mani (πάρα χεροῖν), figlio, una spada, colpisci (πάταξον325) dentro (εἰς) il piede (ἄκρον πόδα326) taglialo via al più presto: non risparmiarmi (φείσῃ327) la vita. Va’, figlio.” 317 Tutti gli uomini “strisciano” sulla terra, come gli animali, in contrapposizione con pesci e volatili 318 Λογος corrisponde a ratio e oratio, è il discorso generale, non misurabile (non una narrazione, che si indica con μυθος) e insieme la ragione 319 Un colpo che porta lontano (απο) dalla situazione normale, quindi indica un blocco fisico 320 Crasi da μη ουν, ma manca la coronide perché questa crasi si è standardizzata ed entrata nella lingua come particella interrogativa usuale nella lingua. Esprime il desiderio che Filottete risponda di non alla domanda, ma non è una certezza (come invece accade per le particelle delle interrogative retoriche latine). 321 Accusativo, di relazione riferito a ισχεις, che indica un’azione che si sta svolgendo, perché è un presente (traducendo “ti blocchi” indicheremmo un’azione puntuale, quindi è più “ti stai bloccando”) 322 Participio perfetto, sostanzialmente “la tua malattia” 323 Era stato abbandonato dai suoi compagni perché disturbava con i suoi lamenti per il dolore. Ora ha paura che, mostrandosi sofferente, possa ripetersi il suo passato 324 Infinito aoristo, prescinde dal discorso temporale, reso con un finto futuro 325 Imperativo aoristo da πατασσω 326 Può significare o la punta del piede o un’estremità del piede in genere, ma anche semplicemente il piede tutto, come punto finale (ἄκρον) della gamba 327 Congiuntivo aoristo di φειδομαι, quindi “non temere per la mia vita”, “non pensare a risparmiarmi la vita” 36 NEO.: “Cos’è questa cosa inaspettata per la quale (ὅτου) fai questo lamento? FLI.: “Lo sai, figlio” NEO.: “Cos’è?” FIL.: “Lo sai, figlio” NEO.: “Che hai? Non lo so” FIL.: “Come non lo sai? Aaaahi” NEO.: “Tremendo328 ciò che ti viene addosso (τοὐπίσαγμα329) della malattia” FIL.: “Terribile e non lo si può dire, ma abbi pietà di me” NEO.: “Cosa posso fare?” FIL.: “Nel timore (ταρβήσας330), non tradirmi (προδῷς331). Giunge di tanto in tanto, forse (ἴσως) quando si è stancata (ἐξεπλήσθη332) dei vagabondaggi (πλάνοις)” NEO.: “Tu che sei sventurato, tu sventurato che apparti pieno di tutti i mali, vuoi che io ti prenda e che ti tocchi?333” FIL.: “Questo no, davvero. Piuttosto prendimi (ἑλὼν334) quest’arco, come da me poco fa pretendevi (ᾐτοῦ335), finché (ἕως) a me questo dolore presente non si plachi (ἀνῇ336), tienilo (σῷζ’) e custodiscilo (φύλασσε): mi prende il sonno337, quando questo male se n va via (ἐξίῃ338); non è possibile che prima cessi (λῆξαι339), ma è necessario lasciarmi dormire (εὕδειν) tranquillo. Per gli dei, se per caso quelli340 arrivano (μόλωσ) in questo tempo, voglio assolutamente (ἐφίεμαι341) che volente o non volente (ἑκόντα μήτ' ἄκοντα), convinto da nessuno stratagemma, che tu non lasci (μεθεῖναι342) a quelli quest’arma, e che tu non sia (γένῃ) colui che uccide te stesso e insieme me, che sono colui che si affida in tutto a te (πρόστροπον).” 328 Tosi non trova corretto emendare in δειλος, perché trova estremamente espressiva e valida la ripetizione di δεινον per i due personaggi 329 Crasi. C’è una variante: τουπίσαγμα o τουπείσαγμα. Con τουπείσαγμα avremmo un collegamento col verbo σαττω, mettere un peso, e sarebbe un hapax sofocleo 330 Participio, reso con un sostantivo 331 Da προδιδωμι 332 Πιμπλημι, saziarsi, riempirsi, quindi stancarsi 333 Ritroviamo il v 762 nelle Trachimie 334 Participio aoristo di αιρεω 335 Imperfetto medio contratto da αιτεω 336 Da ανιεμι 337 Al v. 767 abbiamo lunga – lunga – breve – lunga – lunga – breve – breve (sostituzione) – breve - lunga – breve - lunga 338 εξειμι 339 ληγω 340 Diomede e Odisseo 341 Indica un desidero molto forte, perché è al medio 342 Μεθιεμι; nel passo ritroviamo più volte verbo ιεμι, con la sola variazione dei preverbi. απο=allontanarsi; επι = andare bene dentro; εις = dentro, συν=analisi e sintesi o compagnia; ανα = un abbandono meno forte; μετα=cambiamento 39 LEZIONE SUI LIRICI – SAFFO Archiloco, lingua ionica, quindi chiusura delle lunghe in η. Saffo e Alceo compongono in eolico. Due fenomeni tipici sono la psilosi e la baritonesi. La psilosi è la mancanza di aspirazione. La baritonesi è la ritrazione dell’accento, il più possibile. La vocale di appoggio è di timbro ο al posto di α. Saffo, frammento 31 “A me simile agli dei sembra essere (Φαίνεταί ἔμμεν’) quell’uomo che (ὄττις) davanti a te, siede (ἰσδάνει) e da vicino ascolta (ὐπακούει) te che parli (φωνείσας) da vicino e che ridi (γελαίσας); e ciò (τό) a me (μ’ sta per μοι) il cuore fa sobbalzare (ἐπτόαισεν) in petto, appena ti miro per poco (βρόχε’), ecco per nulla mi è possibile (εἴκει) emettere un suono (φώναις’), ma è spezzata (κὰδ - ἔαγε), un leggero (χρῷ) fuoco subito è sotto la pelle, non sto vedendo (ὄρημμ’) nulla coi miei occhi (ὀππάτεσσι), le orecchie ronzano (ἐπιβρόμεισι), un sudore freddo mi si riversa addosso, un tremore tutta mi prende; sono più verde dell’erba, mi sembra di essere di poco mancante dal morire (τεθνάκην). Ma tutto si sopporta, poiché…” - κῆνος è il corrispettivo dell’attico εκεινος manca la vocale protetica ε, mentre ει è sostituito da η; infatti l’ει dell’attico non è un dittongo, ma un “e” lunga chiusa - θέοισιν, dativo. In eolico l’accusativo plurale è soggetto ad uno sviluppo particolare: ο (voc. tematica) + νς (desinenza) in attico porta alla o lunga chiusa ους, in eolico lo sviluppo è una o lunga chiusa di tipo nasale che viene segnata con οις. Il fatto che l’accusativo plurale sia in -οις, fa sì che il dativo plurale sia sempre in οισιν. - ἔμμεν, infinito. La desinenza μεναι, unita alla sibilante che è nel tema del verbo ssere, porta ad una assimilazione regressiva, quindi -σμεναι > -μμεναι - ὤνηρ, crasi per ο ανηρ. In attico l’articolo ha l’aspirazione, mentre in eolico no (psilosi) - ὄττις, corrisponde a οστις, presenta assimilazione; - τοι, non c’è assibilazione in σοι - ἰσδάνει, la doppia non è ancora segnata con ζ, quando la sibilante sorda, davanti ad una sonora, diventa a sua volta sonora - φωνείσας e γελαίσας sono pt. f. genitivi dipendenti da ὐπακούει, riferiti al destinatario. Verbi come γελαω e φωνεω, che in attico sono verbi della coniugazione tematica, in eolico sono atematici, quindi abbiamo φώνημμι e γέλαμμι; il participio presente femminile sarà φων+ent+ja, che porta a φώνεντσα, dove -ντσ- tende a perdere la propria articolazione perché debole, quindi dà φώνενσσα e poi φωνείσα - μὰν corrisponde a μήν - στήθεσιν è un neutro in sigma elidente, da στήθεσος - ἐπτόαισεν, aoristo sigmatico di un verbo tipo πτοαμι, con l’allungamento segnato αι - βρόχε’ sta per βρόχεα; corrisponde all’attico βραχεα - φώναιςαι è un infinito aoristo - κὰδ sta per κατ, quindi κὰδ - ἔαγε, perfetto da κατ-αγνυμι; non si tratta propriamente di una tmesi, perché κατα è una particella con valore avverbiale (come i phrasal verb in inglese) - χρῷ, al dativo. Invece χρω senza ι sottoscritto sarebbe contrazione di χρόα 40 - ὐπα-δεδρόμακεν, forma di perfetto di τρεχω - ὀππάτεσσι, dativo. La desinenza -εσσι deriva dalle forme in sigma elidente. - ἐπιβρόμεισι, presente, ritrazione dell’accento, con desinenza ντι>νσι, caduta di ν e allungamento ει-σι - ἄκουαι, ritrazione dell’accento; la forma attica è ακοαι; la forma eolica ου non è allungamento (che invece si segna οι), ma è il residuo del digamma F - χλωροτέρα, colore fra il verde e il giallo - αὔτᾳ, forma originale che in ionico diventa αυτη ionico; il pallino sotto il τ indica che questa è lettera incerta nel papiro - τεθνάκην, infinito perfetto. In attico troviamo invece le forme τεθνάναι e τεθνηκέναι