Scarica Letteratura Latina, Citti e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Lezione 1, 21/11/2018 Funzioni jakobsoniane (e generi letterari) Discorso sui generi: il genere può essere una definizione utilitaristica per definire il rapporto dei testi, oppure qualcosa di insito nel testo già nella fase della scrittura. Jakobson, Saggi di linguistica generale ha proposto una definizione dei generi letterari (linguistica) a partire dalle funzioni del messaggio linguistico. Un testo si orienta in un rapporto per cui da una parte sta il mittente, al centro il messaggio che a sua volta ha un destinatario. Messaggio che si rapporta in un contesto: microcontesto/macrocontesto. Il primo considera una parte del testo, l’altro il genere di un’opera. Definizione del canale: elemento di connessione e di trasmissione: orale/scritta/seconda comunicazione. Il codice: sistema dei segni riguardanti il messaggio. Partendo dalla struttura delle funzioni definisce caratteri specifici-> MITTENTE (funzione emotiva e lirica)- MESSAGGIO (poetico), DESTINATARIO (conativa poesia supplicatoria (preghiera), esortativa alla seconda persona/ epistole, poesia didascalica che ha un destinatario primo). CONTESTO-REFERENTE forma in cui il narratore parla di una storia in terza persona, epica (il narratore può anche compartecipare assumendo il loro punto di vista: valenza soggettiva). CONTATTO-CANALE fatica e CONTATTO-CODICE: funzione metalinguistica (riflessione sulla poesia: poeti augustei (Orazio dispone un carme metapoetico alla fine o all’inizio delle sezioni) curano l’edizione delle opere; diversamente accade per i lirici greci e Catullo (edizioni postume). Nel passaggio dalla base orale allo scritto cambia il modo di raccogliere le collezioni poetiche. I generi di Jakobson (quando parla di messaggio poetico) non sono solamente poetici, sottolinea un carattere della lingua poetica: ovvero di operare una selezione (proietta il principio di equivalenza dall’asse della selezione alla combinazione), non propriamente semantica: la scelta di una parola è data dal passaggio alla combinazione. Passaggio Langue->parole (De Saussure). Può essere determinata da ragioni foniche (es. VENI, VIDI, VICI -> Cesare nel selezionare questa sequenza di caratteri ha scelto tre verbi (parole piene di significato, elimina parole vuote), sono bisillabi, allitterano e uguali per desinenza. Termini isosillabici e caratterizzati dall’omeoptoto: ovvero identità di desinenza. Anche nello slogan elettorale I LIKE IKE è una paronomasia nella pronuncia della catena fonosillabica, (con indebolimento della consonante non parcata L) con valenza espressiva del messaggio. CONTESTO (micro- considera una parte del testo/macro- considera il genere dell’opera) – REFERENTE Funzione referenziale -> epica (III persona) MITTENTE Funzione emotiva -> lirica (I persona) MESSAGGIO Poetica DESTINATARIO Funzione conativa -> poesia supplicatoria – esortativa (II persona); epistolografia; poesia didascalica CONTATTO – CANALE (elemento di connessione e trasmissione) Fatica CODICE (sistema dei segni riguardanti il messaggio) Funzione metalinguistica (riflessione sulla poesia) ➢ I generi di cui parla Jakobson non si riferiscono a elementi solamente poetici, ma sottolineano un carattere della lingua poetica, ovvero quello dell’operare una selezione, la cui sequenza di caratteri è basata non tanto sul principio del carattere semantico, quanto su elementi di carattere fonico => Dall’asse della selezione all’asse della combinazione (come la distinzione Langue-Parole di De Saussure). -Due esempi: 1. VENI, VIDI, VICI. Si tratta di 3 verbi allo stesso tempo (perfetto), quindi uguali per desinenza (la morfologia determina il suono), bisillabi allitteranti, parole piene, da cui l’eliminazione di parole vuote (caratteristica della lingua poetica) => isosillabici, allitteranti e caratterizzati dall’omeoptoto (figura retorica basata sull’identità di desinenza). 2. I LIKE IKE. Slogan di propaganda politica. Esempio di come la funzione poetica non riguarda solo la poesia, ma si realizza anche nella quotidianità, nella prosa. => Paranomasia nella pronuncia della catena fonosillabica, con indebolimento della consonante L. ➢ Dall’età post-ciceroniana c’è una convergenza sempre maggiore tra stile della prosa e della poesia. La frattura si deve all’introduzione dello studio della retorica. Es. Ovidio, ma anche nello stile sentenzioso di Seneca è evidente l’influsso delle scuole retoriche. ➢ Età di Nerone: letteratura espressionista- fiorire di uno stile fondato sulla retorica. ➢ Età di Marco Aurelio: autori come Gellio e Apuleio, autori di prosa che cercano di abbellire la loro prosa mediante il recupero della poesia arcaica (anche in Tacito). _______________________________________________________________________________________ Commedia plautina -Comico di Plauto: le creazioni verbali fanno scaturire un riso inatteso. => comicità dell’improvviso. -Commedia plautina: caratterizzata dal prologo espositivo, all’inizio della commedia un personaggio entra in scena e racconta cosa avverrà => gli spettatori dopo pochi minuti sanno già la trama della commedia. -A Roma non esiste un teatro stabile per le rappresentazioni fino al 55 a.C. => si fanno in un crocicchio (due strade che si incrociano, una verso il Foro e una verso il Pireo, con il frontone di una casa e un altare => pagliata ambientata ad Atene). Conseguenza: assenza di un’orchestra, spettatori distratti perché è una piazza e il palco montato è instabile. La funzione del prologo espositivo è quella di definire i temi della commedia in modo che lo spettatore si possa orientare all’interno della commedia nonostante l’ambiente non sia il più adatto alla rappresentazione. A differenza dello spettatore greco, che è abituato alle rappresentazioni, lo spettatore romano deve essere educato, aiutato a seguire questo nuovo genere. Mancanza di colpi di scena per: a) la presenza del prologo espositivo; b) schemi fissi. Si sposta il gioco, lo scherzo soprattutto sulle parole. Canticum: parte cantata della commedia (quasi il 40%) effettuata da un attore capocomico specialista di questa parte. Talvolta affidato al personaggio maschile, talvolta femminile, ma sempre affidata al capocomico, che entrava in scena vestito in modo diverso. -> Necessità dell’uso della parrucca, della maschera per le parti femminili (l’attore è sempre maschio). Cistellaria Un giovane mercante di Lemno, Demifone, trascorre una notte con Fanostrata dalla quale ha una figlia. Fanostrata la mette in bella vista, dentro ad una cesta, dopo che il padre se n’é andato. Il giovane mercante poi si sposa ed ha nuovamente una figlia. Morta la moglie decide di sposare la giovane donna che aveva Ludificat: composto da parte nominale ludus + radice del verbo facio. Verbo tipico di Plauto (43 occorrenze, 3 in Terenzio). Le commedie conservate di Plauto sono 21, quelle diTerenzio 6. Dunque l’opera di Terenzio è un 1/3 del corpus plautino. Se il corpus fosse di uguale grandezza, si avrebbe un rapporto di 43:9. => Plauto adopera di più questo termine (a differente corpus), è il verbo tipico del servo, quindi indica il fatto che Plauto dà più spazio all’azione del servo più di quanto faccia Terenzio. Fugat: da fugare, rispetto a fugio = ‘fuggire, mettere in fuga’, qui valore causativo della medesima radice del verbo fugio. Raptat: frequentativo di rapio. ➔ Azioni opposte di Amore, da un lato fugat, agit (sembra un amore contrario, infelice), dall’altra appetit, raptat, retinet (idea di richiamare indietro, afferrare) -> processi opposti, c’è un’alternanza. Lactat: verbo frequentativo di lacio, verbo che richiama l’immagine del lax = ‘prendere al laccio, adescare’. Quod dat non dat: concetto espresso mediante dei verbi semanticamente opposti (fugare, retinere), qui espresso ripetendo lo stesso verbo ma una volta in forma negata => più evidente. Deludit: immagine del gioco (ludificat). Modo: avverbio di tempo. ➔ Alternanza messa in rilievo mediante il poliptoto (dissuadet, dissuasit). Suasit, dissuadet: figura etimologica. ➔ Chiasmo: agli estremi idea di qualcosa che viene concesso, di positivo; al centro due verbi di significato negativo. ➔ Accanto al chiasmo semantico (positivo-negativo-negativo-positivo), si ha anche una contrapposizione passato-presente-passato-presente (alternanza temporale). Sul piano morfologico: composti al centro, verbi singoli agli estremi. => chiasmo complicato o antimetabole (usata da Seneca molto spesso). Ostentat: da ostentare, frequentativo di ostentere. {-canticum della palliata di Plauto, Cistellaria (attribuito a Nevio/Ennio); caratteristiche del linguaggio della commedia palliata. Palliata: da pallio: abito del servo protagonista delle commedie di Plauto (di argomento greco e ambientazione greca) -comico di Plauto: a far ridere sono le creazioni verbali dalle quali scaturisce un riso inatteso. Comicità dell’improvviso. -la commedia plautina è caratterizzata dai prologhi espositivi: un personaggio entra in scena e racconta cosa avverrà: gli spettatori sanno la trama della commedia. -Questo è rilevante perché fino al 55 a.C a Roma non esiste luogo per le rappresentazioni: conseguenza è che il teatro si fa in un crocicchio: dov’è presente un altare e due strade che si incrociano (una al foro, l’altra al Pireo-> ambientazione ad Atene). Manca l’orchestra, il palcoscenico dove si muove il coro, NON è un impianto stabile. Possono esserci delle distrazioni costanti: per cui la funzione del prologo espositivo è quella di definire i temi della commedia in modo che lo spettatore si possa orientare nella commedia, nonostante l’ambiente non sia adatto alla rappresentazione. A differenza dello spettare greco abituato alle rappresentazioni a teatro, lo spettatore deve essere educato e aiutato a seguire. >Non ci sono colpi di scena perché 1)c’è un prologo espositivo 2)schema fisso: le commedie seguono degli schemi narrativi fissi: il gioco scherzo si sposta sulle parole. -canticum: è la parte cantata; con Plauto si ha buona parte della commedia in forma cantata; teatro d’operetta rispetto a un teatro in prosa. Il capocomico era lo specialista della parte. Potevano esserci più parti: affidate a un personaggio maschile o femminile (era però sempre il capocomico). Le parti femminili erano sempre affidate a uomini! Uso della parrucca e della maschera: ha anche amplificazione sonora. Modi che rendevano riconoscibili gli attori. >Cistellaria (prende nome da una cesta), il protagonista Ancesimarco, innamorato di Selene ma il padre vorrebbe che sposasse la figlia del vicino, alla fine delle peripezie si scopre che Selene è figlia del vicino (un’altra figlia rispetto a quella promessa in sposa) ed è riconosciuta come tale da una cesta di giocattoli assieme alla quale era stata esposta da piccola. Elementi tipici del meccanismo plautino: il riconoscimento-AGNIZIONE; meccanismo per cui Selene dapprima è non- libera e poi viene riconosciuta dal padre, è una ragazza libera. Il riconoscimento è l’individuazione di una realtà profonda (all’inizio la realtà è molto apparente e transitoria: Selene non è una ragazza libera, il meccanismo fa sì che si possa sposare) -lo svelamento della realtà rende accettabile la realtà stessa: giovane che lotta o con giovane o con vecchio antagonista (vuole ottenere un bene: denaro/amore), ci sono aiutanti (servo: motore dell’azione), si oppone (il vecchio). Schema dei protagonisti semplice, tipico della commedia nuova greca. Il giovane si innamora o di un’etera o di una ragazza non libera perché il mondo dell’amore, della rottura dei buoni costumi viene relegato in un angolo, quello del greco: PER-GRAECOR: darsi all’amore e al bere: comportamento del greco vs. costumi tradizionali dei romani. Piacere spostato nel mondo greco (viene isolata: rimozione del problema) La commedia di Plauto si rivela dalla parte dei benpensanti: prende una situazione non tollerabile [realtà apparente] e la rende accettabile [svelamento della realtà profonda]: la commedia rivela che chi si comporta da greco o è servo non è vero che è in questa condizione o che si comporta realmente da greco (quella è apparenza), l’accettazione avviene attraverso la rimozione della situazione di marginalità per mezzo del disvelamento. Il meccanismo di svelamento della realtà profonda consente situazioni che altrimenti il mondo tradizionale contadino romano (letteratura delle origini, pre-ellenizzazione; da Terenzio in poi circolo degli Scipioni e biblioteca ellenistica porta a Roma il dibattito tra filoelleni e conservatori). Ci sono elementi costituiti in maniera protettiva. Ancesimarco può sposarla perché Selene risulta libera. Nel canticum, Ancesimarco riflette sulla condizione dell’innamorato. -commentum esse: comminiscor: inventare; protos euretes (topos dell’inventor, applicata alla carneficina); radice di mens: immaginare. -carnificinam: carnifex (molto raro; il latino non ama gli astratti: la rarità della parola è indice dell’uso allitterante del termine). -ni: ne neagativo + deittico i (forma rafforzata di negazione), spesso con congiuntivo esortativo o imperativo. -foris/foras: stato in luogo/moto a luogo; in parallelo a domi (locativo) per cui la selezione di ‘foris’. -cruciabilitatibus: parola che nella documentazione del latino si trova solamente in questo contesto; apax (bisogna però rapportare la parola in un mondo letterario (langue poetica)/parlato). Forse neoformazione; usa parole evitate per effetto di parole. Viene da crux (gogna), sofferenza che viene dalla tortura. -supero/antideo: sono sinonimi. Antideo è arcaico per anteo -verbi dell’innamorato: passioni subite (usa verbi al passivo) -iactor: sono sballottato, crucior: sono messo in croce, agitor: fequentativo, sono agitato, stimulor: viene da stimulus, è lo sprone per gli animali, ma indica anche la sferza per gli schiavi, sono punzecchiato, vorsor: frequentativo, sono rigirato nella ruota dell’amore; miser exanimor: infelice sono privato del soffio vitale/della vita- ha valore medio: sono privo, indica lo stato, non il risultato, resta tutto sul soggetto. (ES. Me moveo: riflessivo volontario/moveor: riflessivo involontario). Climax ascendente: prima forma di sofferenza, poi risultato finale: exanimor -feror/differor: sono collegati da figura etimologica, stessa radice, uno composto dell’altro, dis: da tutte le parti. ‘sono trascinato, sono trascinato in direzioni opposte’, distrahor: sono tirato da tutte le parti, diripior: rapio, velocità e violenza, sono fatto a pezzi. ‘preso con velocità i direzioni opposte’. >>Verbi collocati in modo da avere una similarità sull’asse orizzontale: omeoptoto, in certi casi frequentativi; i primi due collegati per figura etimologica, gli altri allitteranti e con identità di preverbio oltre che di desinenza. La sequenza ha ragioni foniche. -mentem animi: mente dell’animo; fa una distinzione tra mente e animo: animi è un genitivo partitivo (animo è tutto da cui si prende la mente). Una è la parte razionale (minore rispetto all’altra: animus: pensieri vaghi). Non riesce a padroneggiare la parte razionale del suo animo. -nubilus: non comune, più comune e l’idea della mente annebbiata. -ingenia: personalità: qualcosa legata al verbo gigno, nascere, indole naturale. -Ubi sum, ibi non sum: conseguenza dell’avere la testa fra le nuvole; c’è una scissione (ha più personalità), non è padrone di se stesso. >Passaggio dalla prima persona che subisce alla descrizione di Amore che agisce: -ludificat (prima parte nominale ludus+facio; verbo tipico di Plauto 43 volte in Plauto, 3 in Terenzio). Plauto adopera il verbo molto di più, a parità di versi; verbo tipo del servo, indica che viene dato molto più spazio all’azione del servo che ordisce gli inganni. -animi: attestazione di locativo (nell’animo) diverse da quelle consuete. -fugat: fugo,as (diverso da fugio, perché ha valore causativo) ‘mettere in fuga’ -agit: mi sospinge, appetit: cerca di riprendermi, raptat: mi rapisce, retinet: mi trattiene (AZIONI OPPOSTE DI AMORE: dapprima amore infelice, dall’altra lo afferra e lo richiama (preverbi re-). -lactat: fequentativo di lacio; immagine del lax (prendere a laccio, adescare) -largitur: mi concede. Quod dat non dat: questo concetto era già esposto da verbi semanticamente opposti; ora è espresso ripretendo il verbo ma una volta in forma negata (concetto ripetuto ma negato). -deludit: si prende gioco -modo: avverbio di tempo; or ora -suadit/dissuadet/dissuasit/ostentat: L’alternanza tra l’opposta azione di amore è messa in rilievo mediante il poliptoto (ripetizione di un verbo in forma differente: perfetto/presente). Figura etimologica: semplice/composto. -CHIASMO: agli estremi la concessione, al centro i due verbi con significato negativo. Questi verbi a parte il chiasmo semantico presentano un parallelismo passato/presente. Chiasmo complicato o anti-metabole: forma particolare in cui il chiasmo si gioca sia semanticamente ma anche morfologico (agli estremi abbiamo verbi semplici, al centro abbiamo i due verbi di significato negativo con preverbio e dunque composti). -ostento: frequentativo di ostendo: ostentare, mettere sott’occhio continuamente.} Lingua d’uso ma comunque poetica, ovvero ricercata (soprattutto nelle parti cantate) Mecum +expetitur: presenza della croce nel testo perché non è molto chiaro come questo verbo peto si possa legare al contesto. Tenendo conto che il soggetto è amore, una congettura è stata experitur, dal verbo experior (con i breve per questioni metriche: forma anomala che abbrevia) =’ fa delle prove con me’, ma il significato del verbo non ha molto senso -> la traduzione fornita cerca di ricostruire il probabile senso (ci sarà un verbo di azione). Non c’è una soluzione alternativa considerata risolutiva, ma così come è non funziona (peto non vuol dire nulla). ➔ Tema: il naufragio d’amore, l’amore in tempesta. Stessa immagine in Orazio, libro I, Ode V. L’ode si conclude con la dedica del poeta al dio potente del mare Poseidone alla fine della sua storia d’amore con Pirra. Topos della dedica al dio che protegge gli strumenti usati nel proprio lavoro, nel caso di Orazio, la veste. Il poeta ricorre alla metafora del mare per indicare l’incostanza femminile: il mare appare bello e Adnutat: nuto è un frequentativo del verbo nuo =’fare un cenno’, adnuo =’fare un cenno in avanti, quindi dire di sì, annuire’. Per dire no si ritira il capo all’indietro, abnuo =’dico di no, fare con il capo all’indietro’. Adnictat: verbo molto raro perché è il frequentativo del verbo ad-niveo* (semplice non attestato) si trovano i composti es. co-nivere (chiudere gli occhi), usato da Virgilio, Cicerone (oculis somnibus conniventus). Indica un cenno delle palpebre => ci si sta concentrando sui segni trasmessi con la gestualità, mediante i cenni del volto. Conniueo: connivente-> chiude gli occhi- è compartecipe, indulgente. Il frequentativo composto ad- nicto =’fare cenni con le palpebre verso qualcuno’. Tenet: carme 72 di Catullo dicebas quondam solum te nosse Catullum nec prae me velle tenere Iovem. ‘abbracciare’, verbo fisico sinonimo di amplector. Verso costituito di 4 chola, ogni parte è ritmata,perché I parte del cholon alius in anafora e variatio- poliptoto (alii/allii+alium/alium- dativo/accusativo), II parte azione verbale (nei primi due casi sottolineata dall’identità del preverbio e desinenza perché entrambi frequentativi) => isocolia. Alibi: avverbio composto da alius + suffisso con cui si formano gli avverbi di luogo. Manus: accusativo di relazione o alla greca. ‘occupata riguardo le mani’ Peruellit pedem: allitterazione. Verbo da vello (vuolsi, volsum) ha un primo significato ‘staccare’, tende ad assumere un valore attenuato ‘stuzzicare, pizzicare, richiamare l’attenzione’. Ovidio nell’Ars Poetica, I, v.604 velle latus digitis, et pede tange pedem (per richiamare l’attenzione dell’innamorato: pizzica il fianco e con il piede toccagli il piede) indica il toccare il piede, stuzzicare il piede, in italiano fare piedino. Recupero dell’allitterazione, rapporto tra piede e piede. Ovidio fa poliptoto, Plauto gioca con l’allitterazione. Verso diviso in 2 emistichi, anafora con poliptoto di alius (alibi/alii corradicali), caratterizzati da manus e pedem, via via si sta considerando tutti i gesti, le attitudini posturali e non solo della ragazza. V.5 Verso diviso in 2 parti con variazione, non più anafora di alius in posizione iniziale, qui alius è posto al centro della frase in vari casi. Parallelismo nel verso 5 e variazione rispetto ai versi precedenti. Spectandum: gerundivo: verbo con valore aggettivale di necessità =’che deve essere guardato’. Specto radice di species, di speculum, frequentativo, qualcosa che viene fissato con intensità. A labris: immagine molto visiva perché fa figurare le parole che escono dalle labbra, qui si può anche ipotizzare che non abbia proprio il valore di ‘chiamare’ e che esca davvero la parola, ma che semplicemente faccia il gesto di muovere le labbra (mima le parole): sorta di messaggio cifrato, nascosto, meccanismo tipico della situazione amorosa (dichiara l’amore senza farlo capire agli altri). Es Ovidio negli Amores, I, 4 parla di ‘cenni furtivi’ dati dal movimento delle sopracciglia. Furtiuas notas…dicam verba sine uoce loquentia superciliis. Ci sono parole tratteggiate e mimate con lo sguardo, nel nostro caso con il movimento della bocca. Cantat: frequentativo di cano, dal messaggio cifrato, a mezza voce, al canticchiare con un altro. Dat suo digito litteras: con un altro manda cenni scrivendoli per terra o in aria. Ovidio parla di parole che sono ‘notata mero’, banchetto in cui la persona scrive e traccia lettere. ->Situazione in cui Ennio scherza su questo amore scambievole, un lusus, Amore che non si fissa mai su un’unica persona. Si esplica attraverso azioni non solo dal punto di vista del significato ma della forma che rende visibile questo scambio. ->Questo testo si può confrontare con un brano della commedia di mezzo del IV a.C di Antifane, in cui si dice che l’etera che afferrava la palla e la lanciava ad un altro; abbiamo la palla e il concetto del fare qualcosa ora con l’uno ora con l’altro. Tοnμe/ν τονδέ [thomèn tondé]. Nel frammento di Ennio vengono moltiplicati i giochi fonici rispetto al greco, se guardiamo il modo in cui avviene la traduzione poetica dal greco al latino ci rendiamo conto di questo valore. Ad esempio l’inizio dell’Odusìa di Livio Andronico. Virum, mi Camena, insece versutum Άνδρα μοĩ e)/nneεπε (insece: spirare dettare dentro, è la stessa radice *sep/sek), Μουξα πολύτροπον , ος μαλα. Camena, la dea che ispira era legata alla stessa radice di carmen. Sostituzione dell’Olimpo greco con divinità Italiche, questo perché consente il gioco etimologico. Siamo agli albori della letetratura, opera in cui si cerca di portare la cultura greca a Roma ma per renderlo comprensibile c’è necessità di avvicinarlo culturalmente alla realtà romana per cui si sostituiscono le divinità italiche. Il testo viene avvicinato al lettore. Le Muse a Roma verranno introdotte da Ennio, con un’apostrofe diretta, insieme al metro omerico. ‘Musae quae pedibus magnum pulsatis Olympum’. Si rivolge alle muse con allitterazione della labiale che serve a invocare la danza delle Muse. Riporta in forma più ellenizzata la poesia di omero ma anche la pratica romana dell’allitterazione e dei giochi di parole. Livio Andronico usa il saturno, verso proprio di Roma, quello che usavano le persone non particolarmente colte, nei praecepta e nei vates. Verso più breve che gli consente di tradurre versutum: verto-> abilità legata alla capacità di cambiare continuamente. (Termine riferito alle Metamorfosi), pone agli estremi a incorniciare il verso la figura di Ulisse e dell’attributo in forma allitterante. Allitterazione è una delle caratteristiche fondanti della letteratura romana, insieme all’elemento patetico (legato al pensiero filosofico ed ellenistico). L’allitterazione è fondante, perché? La poesia di Roma ha origine in forme preletterarie: i carmina: è una forma di ritmo che non necessariamente significa ‘metro’, ma che implica che anche nella prosa ci sono forme legate sul piano della combinazione. Esempio: Cicerone definisce carmen anche le leggi delle 12 tavole perché caratterizzate da giochi di parole, allitterazioni => allitterazione sentita come elemento portante del ritmo. Ennio viene spesso biasimato dagli autori successivi per aver esagerato con le allitterazioni: scrive versi oloallitteranti riportati come esempio negativo (riportati dai grammatici, come uso eccessivo). At tuba terribili sonitu taratantara dixit (riproduce il suono della tromba), doveva suscitare effetto retorico e pieno di pathos, fattore di ritmo importante. Ennio si è ispirato ad un testo greco e che per noi è conservato nel frammento 231 di Antifane nell’edizione di Cass, ma verifichiamo che rispetto all’originale c’è una maggiore insistenza sugli elementi, figure retoriche e di suono così come possiamo verificare l’interesse per la forma fin dalle prime forme letterarie del latino. ROVESCIAMENTO DEL GENERE Caso del prologo dell’Anfitrione dove parla Mercurio che spiega l’antefatto: sono informativi, devono definire la situazione, spesso una divinità. ->Il tema di Anfitrione era stato trattato nell’Odissea. ‘Alcmena tra le braccia di Zeus generò il grande Eracle’ TRAMA: A Tebe, Assunto l'aspetto di Anfitrione, il quale sta facendo guerra ai Telèboi, Giove ha assunto le sue forme e accompagnato da Mercurio che assume le forme del servo di Anfitrione (Sosia, il vero servo di Anfitrione: si trova in scena con il suo doppio) si è recato a casa sua per godersi la sua sposa Alcmena che cade nella rete dei raggiri. Crea una lunga notte per goderne maggiormente, vista come la sposa ideale, con termini vicini all’elegia. Quando fanno ritorno, il vero Anfitrione e il vero Sosia restano vittime anch'essi dell'inganno, in straordinario modo: Sosia viene mandato avanti e si rende conto di avere un doppio davanti alla porta: furto di personalità. Mercurio alla fine convince Sosia che lui stesso è Sosia: se non sono Sosia, io chi sono io? Può essere una persona libera per cui ha effetto comico. Nascono una serie di equivoci all’arrivo di Anfitrione.]. Da ciò un litigio, una burrasca tra marito e moglie, sinché Giove, dall'alto del cielo, scagliando la sua voce in mezzo ai tuoni, confessa il suo adulterio. Il dio Mercurio nei panni di Sosia (servo di Anfitrione) sta sorvegliando la casa di Anfitrione, intanto il dio Giove, nei panni di Anfitrione, consuma il suo amore per Alcmena (rappresentata come la sposa ideale), anche la notte viene allungata per permettere al dio di giacere di più con la donna. Intanto Anfitrione è appena sbarcato dopo la vittoriosa spedizione contro i barbari, Sosia sta correndo a raccontare ad Alcmena del comportamento valoroso del suo padrone. Alcmena: personaggio tragico, in quanto personaggio irreprensibile (Eschilo, Sofocle, Euripide). Commedia degli equivoci: Amphitruo è un classico esempio di quella che viene chiamata commedia degli equivoci, basata sulla confusione, in questo caso creata tra i personaggi umani e le divinità che ne hanno assunto le sembianze. Parte centrale della commedia è mutila, ma si comprende che nella parte finale Alcmena partorisce due figli, di cui uno Ercole. Anfitrione si dice non disturbato di dover dividere i suoi beni con il padre degli dei che, alla fine, interviene come deus ex machina, chiedendo al tebano di perdonare sua moglie, la quale ha agito in perfetta buona fede, credendo di cedere alla corte del proprio marito. La scena rappresentata su una coppa anonima: Giove con un pallio, cioè mantello tipico dello schiavo, Mercurio con il pallio e ha in mano le insegne di Mercurio, alla finestra Alcmena. rimanda al fatto che tra III e IV a.C il mito era presente nella Farsa rintonica: prende il nome dall’autore Rintone che aveva combinato ➔ Vita di PLAUTO: 250-184 a.C (secondo dati ciceroniani) -> Tito Maccio Plauto. Fino al 1800, il nome in cui era noto era Marco Accio Plauto; una scoperta di un documento ambrosiano, un palinsesto (codice riscritto, data la carenza di supporti scrittori pregiati, nel Medioevo vengono ricopiati dei testi sacri, i codici di testi meno letti vengono cancellati e riscritti-Le trascrizioni diplomatiche per quanto invasive sono più complete e riescono a cogliere la scriptio inferior). Testimone tardo antico del testo che ha dato la possibilità di ricostruire il nome vero del poeta. Testimonia le 21 commedie di cui abbiamo il testo più o meno completo, perché la Vidularia è incompleta e l’Anfitrione ha parti perdute. ➔ Tito Maccio Plauto-> i tria nomina erano propri dei patrizi romani-> Maccus in realtà non è nome della gens della famiglia nobiliare ma si riferisce a una tipologia di rappresentazione a una maschera delle Atellane. Il Maccus era il buffone, lo sciocco. Plautus-> deriva da una caratteristica fisica, o alle grandi orecchie o ai piedi piatti, l’idea è che camminasse senza calzature (come nelle rappresentazioni di MIMI) ipotesi è che Plauto fosse un attore che recitava nelle forme più semplici di carattere comico della tradizione italica (Mimo o Atellane), poi ha iniziato a scrivere commedie. Nel II secolo gli venivano attribuite oltre un centinaio di commedie. In età ciceroniana, Varrone scrive due opere relative ‘De comediis plautiniis’ in cui distingue 21 commedie sicuramente plautine, alcune dubbie e altre spurie (falsamente attribuite). La conseguenza del trattato varroniano, fa sì che in età tardoantica in cui è stato confezionato il manoscritto ambrosiano, sono state copiate le 21 commedie canoniche, il resto cancellato. Duplice tradizione: l’ambrosiano (scoperto solo nel 1800) e i manoscritti che arrivano fino all’Umanesimo (numero più ridotto di commedie). ➔ Rispetto a un autore come Terenzio (che guarda a Menandro), scegli diversi modelli sia dalla commedia di mezzo che nuova. ➔ Caratteristica è riscrivere i modelli: sia a livello linguistico (stile innovativo) ma anche elementi non greci, ovvero innovazioni caratteristiche come allusioni alla vita romana, politica (si parla ius bellum), nello Pseudolus, il servo del lenone Ballione si presenta come un magistrato romano, che gestisce tutto. Riferimenti alla guerra che sono un rinvio alla contemporaneità. ➔ Importanza al servo ➔ Importanza della metrica: numeri in numeri, grande varietà di metrica; es. canticum (1/3 della commedia). ➔ Si discute sull’uso delle maschere (?): non c’era un teatro. Dal I secolo è certo. Esistevano elementi con cui si mascheravano; per la maschera vera e propria si discute-> dovevano esserci elementi che riconducevano al personaggio. Questo perché gli attori erano tutti uomini che dovevano mascherarsi. ➔ Non c’era un attore per ogni personaggio; le parti cantate erano affidate ad un unico attore che interpretava i diversi personaggi a seconda. TERENZIO ➔ Autore comico che vive tra il 190 e il 159 a.C ➔ Nella tradizione che racconta le vicende biografiche di autori dello stesso genere si fa in modo che la morte dell’uno coincida con la nascita dell’altro (traditio lampadis), i grandi autori di teatro si susseguono anche biograficamente. I dati dei grammatici antichi venivano ricostruiti senza scrupolosità. ➔ Caratteristica rispetto ad altri autori: Plauto e Terenzio sono specializzati in un solo genere letterario (Ennio scrive commedie, tragedie, opera epica-storica, filosofiche; es. metempsicosi si trova sia nel proemio degli Annales ma anche in altre opere). ➔ Vita di Terenzio scritta da Svetonio (raccolta-> DE VIRIS ILLUSTRIBUS-> DE POETIS (anche biografia virgiliana-> RUOLO ARCHIVISTICO). Tipo di biografie grammaticali piuttosto che storiche. Non abbiamo manoscritti del De viris, ci giungono delle biografie perché sono premesse al corpus delle opere poetiche di questi autori. Nel commento di Donato a Terenzio abbiamo la vita terenziana. Compare nelle edizioni critiche delle sue opere. ➔ I prologhi terenziani non sono informativi ma di carattere meta-letterario. ➔ I TITOLI: Andria, Heautontimoroumenos, Hecyra-> Terenzio a differenza di Plauto mantiene i titoli greci. Elemento che tiene conto dell’ellenizzazione nel teatro. ➔ Nei prologhi si racconta se la commedia ha avuto un buon successo oppure no. In alcuni prologhi, si dice che la rappresentazione è stata interrotta da vari giochi (pugilato, mimo, funamboli etc). Questo perché non c’è luogo chiuso, si svolgono come in una fiera. Nel prologo dell’Hecyra, si diche che nel 165 era stata rappresentata e poi sospesa perché gli spettatori sono andati a incontri di pugili e gladiatori; nel 160 viene rappresentata quando è portata in scena dal capocomico Ambivio Turpione, capo di una compagnia più abile. Merito perché nel 160 si celebrano i funerali di Lucio Emilio Paolo. Per questa occasione viene messa in scena. Risponde ad accuse di FURTUM (plagio), di aver usato una commedia di Plauto, seconda accusa CONTAMINATIO (rovinare), consiste nel non seguire un unico modello ma di combinare due modelli nella stessa commedia. Viene accusato di rovinare, di spreco perché il numero possibile di modelli disponibili è limitato: se si usano due commedie per una si spreca un modello. Diverso dal concetto greco di teatro (nei tragici è normale che i tre tragici si esercitino sullo stesso tema, es. Anfitrione/Ippolito; anzi, era una ragione di contesa, cercavano di gareggiare superando il risultato dell’altro tragico). Qui il concetto è diverso: un testo già adoperato è accusato di furtum. Come risponde? Dice che in primo luogo che la contaminazione era già usata da Plauto, è un’ammissione di colpa; per l’accusa di furtum dice di aver usato scene di commedie già usate da altri comici ma differenti, ovvero dalla stessa commedia ma scene differenti e trascurate da altri autori. Accusa di non essere l’autore delle commedie ma di essere un prestanome: PUBLIO TERENZIO AFRO (africano, del nord africa, che vive nel circolo degli Scipioni, viene accusato di fare da prestanome di qualche personaggio importante del circolo. La risposta è diplomatica: dice che tutti vorrebbero essere accusati del fatto che le opere non le hanno scritte loro ma personaggi così importanti-> la ragione per cui non si difende è che probabilmente questi personaggi si sentissero gratificati del fatto che venisse loro attribuita la realizzazione delle opere terenziane. Nelle commedie terenziane dunque si parte da informazioni concrete: qual è la compagnia, le condizioni delle rappresentazioni, il modello greco a cui fa riferimento (Menandro), oltre che a difendersi dalle calunnie. Lezione 4 – 28/11/18 ->le opere conservate sono 6 ->muore giovanissimo facendo naufragio di ritorno dalla Grecia. ->elemento caratteristico della formazione degli autori latini: compiere viaggio ad Atene o in altri luoghi della Grecia (Orazio, Cicerone). Forse introdotto dallo stesso Terenzio. Nel caso di Livio Andronìco si tratta di autore greco che porta la tradizione a Roma nel teatro e nell’epica. ->rispetto a Plauto, Terenzio mostra più attenzione ai modelli greci (titoli greci). Perché? È cambiato l’ambiente: circolo degli Scipioni (parallelo a quello di Ennio), in cui la cultura greca si sta diffondendo a Roma. PROLOGO DEGLI ADELPHOE ->come nel prologo dell’Anfitrione, c’è una rottura della finzione scenica e una riflessione sul contenuto: non narrazione ma riflessione. Personaggio del prologo dice che Plauto aveva usato la commedia Synapothneskontes, di Difilo, aveva trascurato una scena che Terenzio si appresta a rappresentare: risposta a un’accusa di FURTUM. Terenzio ammette di aver contaminato due modelli per un’unica commedia. ->il poeta si appella agli spettatori: e avverte che il prologo non contiene un riassunto della storia (per cui richiede maggiore concentrazione nel seguire la rappresentazione). Questa è una delle ragioni per cui il teatro di Terenzio si è imposto con più lentezza (disturbo di distrattori). ->Plauto usa lo schema generale della commedia nuova, Terenzio aggiunge novità sui caratteri dei personaggi. La suocera non è il tipo fisso della tradizione-> lo stereotipo viene modificato- questo va a destabilizzare le attese del pubblico. Infatti Sostrata è preoccupata per la nuora, la prostituta Bacchide è altruista, cerca di riconciliare la coppia che litiga a causa sua [situazioni inattese perché i tipi non rispettano i canoni tradizionali: stesse maschere ma le caratteristiche mutano rispetto a Plauto]. ->Gli Adelphoe costituiscono una commedia duplex: incrocio di due storie; due coppie di fratelli, due padri (uno è lo zio) Micione e Demea. Micione vive una vita da scapolo cittadino in una città ellenizzata, Demea più conservatore, vive in campagna. Demea ha due figli: Eschino e Ctesifone. Succede che Micione (antefatto) ha adottato uno dei due figli Eschino, il risultato è che un figlio è educato in modo libero e urbano, l’altro Ctesifone è educato nella modalità tradizionale. Specchio del DIBATTITO TRA CULTURA ELLENISTICA/ROMANA. Entrambi i figli aspirano a conquistare una ragazza; Ctesifone ha rapito una ragazza coperto da Eschino-> Demea rusticus accusa il fratello di aver mal educato il figlio; ma si scopre che proprio il ragazzo della campagna ha tradito le attese del padre-> crolla l’impalcatura educativa cui si era ispirato Demea. Terenzio scherza sul tema e dice che superare il limite nei comportamenti crea il RIDICOLO. La scelta personale è quella di una letteratura ellenizzata, rappresentata da Micione, ma nella conclusione mostra che quando Micione è troppo generoso anche in quel caso va oltre il limite e c’è errore; ricerca dell’equilibrio. Non c’è una critica all’ideale educativo romano; ciò che interessa è il ridicolo. La conclusione è ridicola: Micione scapolo per mostrare la generosità si sposa, vengono liberati tutti gli schiavi. (eccesso di liberalità che scade nel grottesco). ->personaggi comuni, intreccio doppio; se Plauto giocava sulle parole e sulla volgarità,Terenzio gioca sulla purezza della lingua e l’eleganza stilistica (viene considerato un esempio di puri sermonis amator (ellenismòs greco di Menandro) da Cesare (autore grammaticale), ma lo definisce un dimidiatus Menander, rispetto alla vena comica menandrea è inferiore). ->nelle commedie plautine ci sono 140 attestazioni di termini indicanti il bacio (amore centrale nelle commedie) con espressioni dell’ambito erotico. In Terenzio 1 sola [6 corpus Terenzio vs. 21 Plauto, il corpus di Plauto è 3 volte quello terenziano, quindi se consideriamo il rapporto Plauto-Terenzio dovremmo avere tre baci in Terenzio, e 43 in Plauto, ovvero 1/3 di 140]. Commedia a-sessuata (motivo per cui forse non ha grande fortuna). Il mondo del ventre e della gola, il piacere è assente in Terenzio-> la comicità volgare in Terenzio è assente, comune in Plauto. -> ci sono molti termini astratti: liberalitas-> generosità, carattere degli uomini liberi, aequanimitas (costanza), benevolentia, clemantia, iustitia, intelligentia. (indicano virtù e comportamenti). La poesia ama poco gli astratti, infatti questi termini dopo Terenzio sono solo nella prosa ciceroniana o senecana. Lessico purgato: lessico della riflessione di un’elite molto ristretta, che riflette sull’opportunità di recuperare il mondo greco. Il primo referente è proprio il circolo degli Scipioni. ->Terenzio e Plauto cercano di rappresentare il SERMO parlato quotidiano con punti di vista differenti (frutto di un’astrazione letteraria), perché si tratta di commedie, ma Terenzio usa frasi lineari ed epurate (elemento di sfortuna). Solo nel 161 Eununchus ha più fortuna delle altre; Terenzio detesta il personaggio del servus currens (gusti diversi rispetto a Plauto). ->diverso successo: Terenzio ottiene nel tardo-antico, viene copiato nel Medioevo in oltre 650 manoscritti: 2 ragioni-> 1) linguaggio puro (ragione linguistica nell’insegnamento del latino) 2) assenza del sesso [lettura -Ma questo non è nato da me ma è figlio di mio fratello: pur scrivendo con un metro poetico mantiene sempre una linearità): dal punto di vista narrativo questo monologo introduce nella situazione riassumendola: il figlio non torna a casa e ci viene detto che è un figlio adottivo; ora si caratterizzeranno i due modi di vivere dei due fratelli Micione e Demea: questi è così diverso da me per indole già a partire dall’adolescenza; io ho adottato questa piacevole vita urbana e una vita ritirata e cosa che costoro considerano una fortuna non ho mai avuto una moglie. -dissimili studio: ablativo: qualità morale -fortunatum: determina quod dichiarativo. -elemento di comico: ha parlato della uxor irata, però poi ammette di non avere nessun tipo di uxor. -isti: dalla prosemica possiamo capire il deittico di riferimento-> chi metteva in scena il teatro doveva individuare elementi della messa in scena per dare indicazioni agli attori. Il gruppetto che considera una fortuna non essere sposati: possono essere sia gli scapoli (scatta un meccanismo di identificazione) ma può essere indicato un gruppo di sposati-> l’uxor irata l’hanno provata per cui ritengono una fortuna non essersi sposati. Ciascuno spettatore può riconoscersi nella categoria indicata. -contra: preposizione con accusativo (il contrario di tutto questo), avverbio (lui al contrario è; preferibile). -agere uitam: infinito di tipo narrativo -v.45-49: sintassi franta, paratattica, carattere comune per la letteratura latina arcaica. - Ego hanc clementem vitam urbanam/ruri agere uitam: il profilo di Demea tracciato da Micione rovescia il proprio profilo. -hunc maiorem: qualcuno vicino al parlante, in scena. Ma c’è solo Micione; hunc è usato come connotazione spaziale ma anche affettiva (vicino, perché gli sta a cuore) -eduxi: Donato, commentatore antico IV d.C, dice che: quod nos educare diximus, educere veteres dixerunt -habui amaui: legame sintattico per asindeto (no congiunzione che lega). -v.49 in eo me oblecto, solum id est carum mihi: Climax. Prima si considera lui come persona e poi l’universo (comprende beni ricchezze e cose). -eo: potrebbe essere maschile o neutro; posto al di sopra anche delle ricchezze, (valore espressivo del neutro). Lezione 5, 3/12/18 v.50-52 Faccio in modo che lui mi contraccambi allo stesso modo: concedo, lascio correre, non ritengo necessario che lui compia ogni azione secondo il mio diritto. -Come si tiene legato un figlio: generosità (do, dono), pratermitto: idea della dimenticanza -diritto del pater familias: elementi terenziani-> rispetto al modello greco c’è un’insistenza sull’elemento giuridico che porta ad identificare l’auctoritas del padre (elemento rigido della legislazione romana); questa espressione doveva risultare inconsueta anche rispetto a un contesto greco-> si tratta di una rinuncia ai diritti del pater familias. v.52-54 E ho abituato mio figlio a non nascondere quelle azioni che fanno di nascosto ai genitori, che la giovinezza porta a compiere (elemento della confidenza e della fiducia reciproca). -clanculum: è un diminutivo di clam: avverbio o preposizione (di nascosto ai genitori); forma di diminutivo affettivo della lingua arcaica. v.55 Infatti chi si è posto nell’animo di mentire o oserà ingannare il padre tanto più oserà ingannare gli altri. >La famiglia viene considerata la base della società: un comportamento civico in casa è alla base di un comportamento etico nella società. Verso (55-56) problematico: si dice ‘insit[u]erit’ e ‘audebit’ -> il punto illogico è il legame tra i due versi (legame di conseguenza), il problema è legato al fatto che la tradizione avrebbe in una parte ‘insueuit’-> si è abituato. La logica vorrebbe prima l’osare (audebit) e poi l’abituarsi (insuevit): motivo per cui l’editore adotta insiterit. A seconda se questi due verbi sono accostati per consequenzialità o per una forma di accumulazione sinonimica. Nel caso in cui ci trovassimo nel caso di accumulazione allora non va individuato un rapporto causa-effettuale, uno rafforza l’altro: accumulo per sottolineare. Gli editori dunque si dividono in 2 gruppi di pensiero: 1) ci deve essere un rapporto di consequenzialità, per cui adotta institerit al posto di inseuit; 2) Traina pone insueuit (più documentazione manoscritta diretta; correzione non indispensabile) perché il rapporto non è necessario, l’autore preferisce accumulare sinonimi. Solo Marziano Capella per tradizione indiretta lo cita nella forma consequenziale ‘insiterit’. v. 57-58 Credo che sia meglio trattenere i figli con pudore e generosità piuttosto che con il timore. ->pudor: vergogna (del figlio) e liberalitas (del padre): generosità; presuppongono due azioni verbali diverse perché due sono gli agenti. Liberalitas è un termine che indica il comportamento degli uomini liberi. Liberalitate liberos: figura etimologica che sottolinea il valore etimologico di liberalitas; liberi sono i figli indistintamente dal genere ma anche la condizione del nascere (gnatus/natus: il generato, senza riferimento alla condizione). V.59-63 Queste cose non sono d’accordo con me e mio fratello (non siamo d’accordo su queste cose) e non piacciono ugualmente. Viene da me spesso agitandosi: che fai Micione, perché rovini il nostro ragazzo? Perché si dedica all’amore? Al bere? Perché favorisci tutto questo spesandolo? Perché sei così generoso nel vestirlo? Sei troppo debole/incapace/rammollito. -clamito: idea della continua agitazione del fratello: saepe+frequentativo. -nobis: dativo etico -agitazione si traduce in frasi brevi e interrogative: quor…quor in anafora. -indulgeo: regge il dativo; dovremmo avere –ui al dativo, ma il dativo in –u- è analogico a quello della seconda declinazione; è un dativo non solo di età arcaica, ma attestato anche nel I secolo in Cicerone, Cesare, Lucrezio e Virgilio. Cesare è un analogista: coerenza della lingua che elimina le variazioni eccezionali: selezione sinonimica. -ineptus: accuse fatte dal fratello: arrendevole, incapace di governare il figlio (vs. durus: severo). v.32-33-> si parlava della uxor: usava il verbo amo e poto. Le accuse di Demea sono quelle che nella prima fase aveva messo in bocca alla moglie bisbetica. In qualche modo il fratello ha assunto il ruolo della moglie (perché Micione non ha effettivamente una moglie). v.64 È lui che è troppo duro e lo è al di là di ciò che giusto e buono. Anafora del nimium: indica l’eccesso -ipse: rapporto oppositivo (è lui) -aequomque bonum: espressione che si contrappone allo ius e assume il valore di diritto naturale. Una discussione giuridica può basarsi sul fatto compiuto e le sue cause, poi se è opportuno o lecito. A seconda della trattazione si viola il diritto artificiale (ius) o naturale (aequitas); il diritto-> leggi dovrebbero comprendere il diritto naturale (condizione in cui aequos e ius possono interrompersi: Antigone, la peste di Tebe/Atene). Cicerone quando il diritto legale non può essergli di aiuto, fa appello all’aequitas. Qui Terenzio richiama un conflitto tra legge e diritto naturale: rinunciava il diritto alla patria potestas in virtù dell’aequom. Demea è duro al di là di questo diritto stesso che è il fondamento della legge di famiglia e del matrimonio (è fondata sul dritto naturale). v.65-67 Sbaglia largamente chi crede che sia più forte e più stabile un potere che si basa sulla violenza di quello che si contrae mediante l’amicizia. Paragone tra famiglia e stato: in entrambi i casi c’è una legge e un imperium; per Micione è più saldo quello che si ottiene sull’amicitia piuttosto che con la vis. Fit/adiungitur: uno è un potere che ‘risulta, si realizza’ senza coinvolgimento; potere realizzato dalla violenza. L’altra espressione: iungo-correlazione + ad-connessione: non c’è solo contrapposizione tra violenza e amicizia ma tra un potere che si esplica da solo e l’altro che richiede una forza collaborativa. v.68-71 Questo è il mio parere e così conduco i miei pensieri. Chi compie il suo dovere costretto dal male (dalla paura di una pena) ha paura per tutto il tempo in cui crede di poter essere scoperto. Se spera di rimanere nascosto, nuovamente ritorna alla sua natura. -rescitum iri: infinito futuro passivo -dum credit/cavet: rapporto ‘tantisper-per tutto il tempo’-> parallelismo cronologico (secondo dum) -l’idea di violenza è solo richiamata, qui invece il verbo viene ripreso: adiungas. v.72-73 Quello che si conquista trattandolo bene agisce volentieri, si sforza di ricambiare in modo uguale, sarà il medesimo vicino o lontano. -praesens si riferisce a idem: ‘sarà lo stesso’ v.74-76 Questo è proprio di un genitore piuttosto abituare un figlio ad agire per sua spontanea volontà che per paura di un altro. Questa è la differenza tra un padre e un padrone. -valore originario di intersum: essere differente+ acc. di relazione hoc v.77 Chi non sa fare questo ammetta di non sapere comandare ai figli -nequeo: neque+eo; normalmente un preverbo/prefisso è costituito da preposizioni/avverbio o radici verbali (distinzione tra composto e giustapposto). Neque: passaggio semantico per cui un verbo che significa andare -> potere. Ipotesi di ricostruzione è che si sia utilizzato nella forma negativa: si sia partiti da una espressione ‘neque it’ che nel contesto può avere valore di ‘non è possibile’, da neque it->nequit da cui retroformazione/retrodivisione del verbo: (preverbi di carattere negativo, come anche il ne: il ne è stato separato dal verbo: il risultato è NE+QUIT-> per una falsa divisione quando non si è compresa la radice verbale: si è creato nequeo e poi queo: ‘posso’. Evoluzione semantica e della divisione del verbo. Per i latini è molto più comune la forma negativa anche in tmesi questo perché il verbo affermativo comportava difficolta. SCENA CENTRALE v.638 ss. -storia d’amore di uno dei due fratelli: si parte da un rapimento, avvenuto nella notte (antefatto) del fratello innamorato coperto da Eschino; ora a sua volta anche lui ha una storia d’amore con la vicina di casa (incinta) e il vicino di casa ha svelato ogni cosa a Micione. -Eschino pensa che il padre adottivo non sappia nulla e si reca a casa dell’innamorata, mentre Micione si era accordato con il vicino di casa per trovare una soluzione: un matrimonio riparatore, ma vuole farla pesare al figlio adottivo. -misere amare=perdite amare: amare disperatamente -paresens, presenti: soggetto che subisce un’azione, tutto è incentrato su questo concetto di presenza (è soggetto di videbit ma anche riferito al sibi)- processo di auto-indentificazione (è Eschino presente che vede sottrarsi qualcosa). Lui è effettivamente praesens: lo spettatore decodifica quello che sta dicendo: coinvolgimento personale di una terza persona equivalente alla prima persona ovvero lui stesso. -ab oculis: elemento caratteristico dell’amore. Gli occhi sono il medium degli occhi: passo di Teocrito, tradotto da Virgilio delle Bucoliche, ut vidit, ut perit (come lo vide, morì); immagine degli occhi ‘oculis meis amari’ in Catullo. M. Per quale ragione questo? Chi l’ha promessa in sposa? Chi l’ha concessa in sposa? [nel caso dell’orfana, il parente più stretto o la sposa o autorizza (come tutore legale) le nozze della ragazza in mancanza il pater familias] -despondit/dedit: riferimento al fatto che un qualcuno con autorità legale ha promesso sposa e l’ha affidata. Anafora del quis oltre che verbi allitteranti. Mostrano come non sia possibile la scelta autonoma della ragazza, che avviene su affidamento. A chi e quando si è sposata? -i primi punti di vista riguardano il fidanzato, ora la ragazza; nubo: verbo riferito alla ragazza, che prende il velo e si sposa. Chi è che ha concesso (che aveva l’autorità per concedere) tutto questo? Perché ha sposato una straniera/una destinata ad un altro -alienus: potrebbe essere una ‘straniera’ (v.649 huc migrarunt); aggettivo derivato di alius: destinata ad un altro. E. forse serviva che una ragazza già adulta aspettasse in casa finché il cognato venisse lì? Doveva aspettare fino al momento in cui arrivasse il cognato. -l’obiezione rivela che in realtà Eschino conosce la ragazza perché ne rivela l’età. -dum: fino al momento in cui-> successione immediata (inizia subito dopo la sovraordinata) III DUM -nubo: verbo della ragazza che si sposa/ peto uxorem: chiedere in sposa (del ragazzo). ES.Carme 70 (riscrittura del carme di Callimaco sui giuramenti) mulier dicit mea nubere malle non si se Iuppiter ipse petat (Giove ->anafora del verbo dico: giuramenti scritti al vento e nell’acqua che scorre. Questo sarebbe stato giusto che dicessi, padre mio -si fa appello all’aequitas: ciò che è naturalmente giusto. M. Ridicolo! Dovrei intentare causa contro quello per il quale ero venuto come consigliere? Ma cosa ci riguardano queste cose? Cosa abbiamo a che fare noi con quelli? Andiamocene. Cos’è? Perché piangi? E. padre, ti prego ascolta M. Eschino, ho già sentito e conosciuto ogni cosa; infatti ti amo e tanto più sono mie le preoccupazioni che tu hai. E. E così vorrei che mi amassi così come me lo sono meritato finché vivo. -dicerem: congiuntivo imperfetto di tipo dubitativo. -audivi omnia: toglie l’imbarazzo del figlio. -promereor: legato all’idea di merces/ meritus (guadagnare) -dum vivas: azioni contemporanee. -> I genitori fanno da aiuto ai figli innamorati (in Plauto erano i servi); affidata a Micione, poi anche Demea cambierà atteggiamento. Demea si chiede come il fratello faccia ad avere una vita piacevole. La vita dura non paga ai fini dell’amore: rivoluzione per cui nella parte finale si concedono degli eccessi. È un contrappunto rovesciato della prima scena. Monologo di Demea che si presenta. V. 855 -bene subducta ratione; ratio: ragione/dottrina/condotta dell’esistenza; venire ad rem de ratione: fare i conti, valore concreto. Da questo valore concreto assume il senso di esame di coscienza in Seneca. Subduco: sottrarre il calcolo (calcolo della sottrazione: fare un calcolo sottraendo il debito (qualcosa); es. Cicerone, Ad Attico ‘subucamus summam’: dall’idea di sottrarre assume il valore di calcolare una somma. Valore concreto ma anche metaforico equivalente a facemus summam meditationis. (tirare le somme). v. 855-856 Mai nessuno fu di calcoli ben fatti riguardo la vita-> indica una qualità: persona in grado di fare calcoli. Nessuno è stato così bravo a fare i calcoli nella vita (a tal punto da impedire) che la realtà, la vecchiaia e l’esperienza non porti mai qualcosa di nuovo. -Num fuit quin: verba impedienti: nihil abest quin ‘non c’è alcun motivo per cui non’. Verbo essere seguito da quin: idea dell’impedimento. v. 857-8 In modo che le cose che credevi di sapere non le sai più, e quelle cose che ritenevi più importanti le rifiuti nel fare esperienza. -aliquid moneat (insegna qualcosa) ut nescias: valore consecutivo. -prima: primus-> superlativo di prior ‘le cose più importanti’. -quae credas/nescias- quae putaris repudies. 1. Disorientamento nel presente 2. L’esperienza guarda il consolidarsi di un sapere (perfetto congiuntivo ‘putaueris’). v.859 Cosa che accade a me ora. Infatti la vita dura che ho vissuto finora, la metto da parte (consequenzialità concreta dell’assunto sentenzioso) >>Tipico modo menandreo: autore anche dei MONOSTICI: sentenze, forme proverbiali in forma di un verso. Inserisce queste espressioni nelle commedie. ->Espressione proverbiale: può sempre capitare di imparare qualcosa di nuovo, la conseguenza è che si può rifiutare tutto nella vita -decurso spatio: il tempo della vita può essere rappresentato da una metafora lineare: spazio per rappresentare il tempo: es. punctum temporis (metafore spaziali). Vita come spazio da percorrere (morte: ultima linea rerum: traguardo); vita come una corsa. Decurso spatio: percorso tutto lo spazio della vita. V.860-861 Nella realtà dei fatti ho trovato che non c’è niente di meglio per l’uomo della facilitas e della clementia (l’indulgenza). -facilitas: termine che indica la tolleranza, che può esplicitarsi in generosità come concreto (donare). Non è sempre un verbo positivo: può indicare anche chi corrompe (questa estrema tolleranza può indicare spesso corruzione in una società rigida come quella romana: un disvalore). -facilitas/clementia: si riferiscono a Micione ‘vitam urbanam ac clementem’ (passaggio alla vita piacevole) v.862-865 E che ciò sia vero è possibile comprenderlo da me e da mio fratello. Lui ha condotto sempre la sua vita nelle piacevolezze, nei banchetti, sereno placido, senza gridare in faccia a nessuno, sorridendo ha vissuto per sé, per sé ha speso il suo denaro. Di conseguenza tutti ne parlano bene e lo amano. -egit vitam in otio (perfetto) - laedere/adridere (questi due sono infiniti narrativi con funzione durativa) -laedere os: gridare in faccia/ingiuriare. >si parte da un assunto (v.861) e poi si analizza ‘ille in contrapposizione ad ego’. v. 866- Io invece sono quel ben noto selvatico, duro, severo, avaro, scorbutico, ostinato, mi sono sposato, che infelicità ho visto! Nati i figli, altre preoccupazioni. (infelicità dovuta alla uxor raffigurata come bisbetica ovvero lamentosa) v.866 togliendo ego ille (esattamente uguale, egw con de (ille) con valore rafforzativo oppositivo), ciò che è pronominale, restano sei aggettivi (corrispondente menandreo ha 5 aggettivi: uno degli aggettivi di Menandro non ha corrispettivo in Terenzio, a 4 aggettivi di Menandro ne corrispondono 6 in Terenzio-> egw\ d agroikoj, [ergathj] skoqro/j, pikro\j feidwlo/j AGRESTIS- laborioso- TRISTIS (schizzoso)- violento SAEUOS e TRUCULENTUS – avaro PARCUS- ostinato TENAX. Dei cinque aggettivi uno viene eliminato, uno tradotto letteralmente (agroikòs-agrestis), uno con un corrispondente latino, gli altri due vengono sdoppiati con due corrispondenti ciascuno. Vengono selezionati tristis truculentus tenax (triplice allitterazione). La traduzione è sempre artistica e mai letteraria, si prediligono figure di suono come le allitterazioni. Ahimè, mentre mi sforzo per accumulare il più possibile per loro, ho consumato la mia vita nel darmi da fare. -contriui: còntero,-is (consumare) -quaerere: quam plurumum facere-> cercare del denaro, accumulare. -aetas: (dum loquimur fugerit inuida aetas, Ode 11 di Orazio) tempo della vita personale (aevum è il tempo ciclico, le generazioni). -uitam atque aetas: specifica il concetto, ma anche una dittologia, pone l’accento su ‘tutto ciò che ha sprecato della vita. Giunto al termine della vita ottengono questo frutto in cambio della mia fatica: il disprezzo (rigetto). -valore semantico di odium e odi: è sinonimo di displicet (in latino non ha forza di una repulsione violenta). -exacta aetate: lessico del campo militare da exigo: portare a termine il servizio militare, significa quando si entra in pensione. Espressione anche senecana nel De otio. -potitur: con la i è breve in questo caso, potior è usato con costruzione arcaica con reggenza accusativa come un transitivo. ->solitamente regge l’ablativo, ma nella letteratura arcaica (anche in Lucrezio) può esserci questa reggenza -commoda: neutro della II, è un accusativo plurale. Sono i beni, i piaceri (edonè in Lucrezio). Gli incommoda: sono invece gli impedimenti che mettono alla prova il saggio (De prouidentia) Lui si gode i piaceri di un padre: lo amano, da me scappano, a lui confidano tutti i pensieri, lo amano entrambi i miei figli stanno sempre da lui: CLIMAX: da quello che fanno gli altri a quello che fa lui-> conseguenza: desertu sum.’io sto solo’ ->Girolamo traduce la morte di Seneca per mano di Nerone in questo modo ‘a Nerone interfectus est Seneca’-> rilettura ideologica di un autore che in quanto suicida andrebbe condannato. (Seneca in realtà si suicida, viene indotto alla morte; descritta da Tacito negli Annales 15,62-64) ->Le tragedie andrebbero collocate o tra 49-54 o durante il ritiro: nelle opere di Seneca è forte la condanna del regno e del potere (nell’Edipo il sovrano è isolato in contrapposizione alla città, antitetico rispetto alla rappresentazione sofoclea del mito di Edipo, in cui il sovrano accoglie il coro della città e cerca di dare risposte); anche nel Tieste si assiste a lotte familiari per il potere anche truculente. 1) 62-65; funzione di critica contro Nerone non più contrappesato nella politica da Seneca e Burro: presa di distanza e critica del potere corrotto e tirannico. 2) 49-54; scritte nel periodo in cui affianca il principe dedicandogli alcune opere di tipo politico-filosofico ovvero il De clementia e il De beneficiis (non raccolti nel manoscritto dei Dialoghi)-> dà le caratteristiche del perfetto principe: il modello è Augusto-> nelle Res Gestae si autorappresenta come un tutore degli organi tradizionali (si presenta come console, come pretore etc.) seguendo questa immagine individua il corretto atteggiamento del principe, stabilendo i rapporti tra principe e suddito (nel dare e nel ricevere, che devono però consentire l’autonomia dei soggetti). La funzione delle tragedie sarebbe a questo punto esemplare: ciò che Seneca ha scritto sul De ira, verrebbe messo in pratica nelle tragedie-> sono tragedie del FUROR ovvero dell’eccesso, dell’incapacità di controllo delle passioni. >>ipotesi più credibile? 1) Il commentatore Boil propende per la prima dando una interpretazione STORICA e METAFORICA delle tragedie-> cercherebbe di individuare chi ci sta dietro ogni personaggio della cronaca del tempo (forzatura). Si protende per la prima anche per altra ragione: in quel periodo era molto in voga il genere declamatorio che riprendeva personaggi del mito con funzione esemplare (esercizio della prosopopea (diverso dalla figura retorica che fa parlare una cosa fittizia), in cui si rappresenta un carattere del personaggio. Avevano anche funzione di intrattenimento ed esemplare-> di scuola e di apparato. ->Non abbiamo notizie della rappresentazione e della loro datazione: Se fungono da critica a Nerone non potrebbero essere rappresentate. Per questo come il De clementia si tende a pensare che le tragedie offrono un modello, la rappresentazione doveva fungere da esempio per Nerone come perfetto governatore, indicando la pericolosità di alcuni comportamenti. Ma non abbiamo documentazione della rappresentazione: per cui nella fine degli anni ’70 del Novecento, ci si è posti il dubbio se le tragedie fossero nate o meno per la rappresentazione; di fatto il teatro di Seneca è costruito in modo da essere rappresentato. Infatti a partire dal Novecento, il teatro europeo ha messo in scena il teatro senecano. ->Friedrich Leo, editore del testo di Seneca ha premesso all’edizione un volume di critica letteraria alle tragedie: in cui definisce la tragedia di Seneca una TRAGEDIA RETORICA. Si osserva che anche dove ci sono 2 personaggi in scena, un personaggio funge da spalla più che da interlocutore: le parti monologiche sono maggiori; inoltre in alcune parti di dialogo, l’interlocutore interviene con poche battute per interrompere la monotonia di un monologo lungo. La critica fatta è: un teatro monologico non poteva tanto reggere sulla scena. ->Inoltre, le tragedie di Seneca hanno dei CORI tranne le Fenici. Nel coro abbiamo lo sviluppo di temi filosofici come l’ultimo dell’Edipo, oppure in quello della Medea dove si tratta del tema della navigazione AD NAVIGANDUM: origine dei mali->aver solcato mari non attraversabili. ! Il coro tragico romano non può essere come quello greco, si riduce al CORIFEO= CAPOCORO (quello greco era l’intera città che si accompagna al corifeo, il coro si reca da Edipo per trovare una soluzione), riduzione del coro per motivi scenici. È una forma più monologica che legata al canto corale vero e proprio. Il coro ha funzione limitata anche nel teatro greco, per esempio nella commedia greca il coro era un intermezzo musicale. >>Perché le Fenici non hanno il coro? Si può pensare: 1) tragedia incompleta (non aveva scritto i cori) -> questo sarebbe indice di che legame c’è tra testo e coro se possono essere aggiunti dopo; 2) la tragedia li aveva e che sia giunta incompleta perché non è arrivato il testo senecano ma il copione che rappresenta ciò che era rappresentabile da una compagnia [decide di elidere i cori e dare più leggibilità al testo; si ritiene che le tragedie non fossero messe in scena come apparato drammatico ma come lettura declamatoria drammatizzata]. 3) ipotesi di una omissione volontaria di Seneca. ->Non c’è un rapporto stretto tra i cori e il testo teatrale (infatti, eliminati dal testo, non compromettono l’economia della tragedia stessa). ->valore dei cori: Boezio nelle parti liriche del De consolatione riprende cori lirici senecani. >>TEMI: scontri di famiglia e di potere-> tematiche centrali. Il tema della famiglia è fondante della civiltà romana. In questa età tra Cicerone e Nerone, il tema dei contrasti familiari è in voga. È il periodo della restaurazione delle leggi sulla famiglia di Augusto, indica una forte tensione su questo problema che emerge anche sulla letteratura. ->presenza del VIOLENTO: Aristotele sosteneva la necessità di allontanare la violenza dalla scena, per cui le scene di violenza sono riportate e non portate direttamente in scena, come anche le scene di sesso (la proposta di Fedra a Ippolito veniva solo riportata nelle battute, in Seneca viene rappresentata), il suicidio di Giocasta avviene fuori scena in Sofocle, e in scena in Seneca. I figli di Medea buttati sulla scena alla fine della tragedia sono in Seneca, cosa che non avviene in Euripide. Nel teatro inglese da Marlow a Shakespeare, un elemento di recupero è l’interesse per il tragico e il violento. Il teatro di Seneca è incentrato nella PAROLA (definizione di Ilyod); il focus si sposta dall’azione alle parole-> significa che il dramma è SOGGETTIVO (della PSICOLOGIA del protagonista-> la scena si sposta dall’esterno all’interno, come presa di coscienza). I personaggi sono consci della realtà anche in maniera inconsapevole -> alla domanda ‘chi ha procurato la peste a Tebe?’ al v.31 Edipo risponde ‘abbiamo contaminato il cielo’-> per quanto non sappia le ragioni dell’affermazione, sente di essere reus. In Sofocle c’è l’acquisizione progressiva della realtà (dalla scoperta dell’assassino di Laio e chi sono i genitori-> assassinio e incesto). In Seneca, Edipo vive un dramma interiore: sa già di essere colpevole. Fin dall’inizio della tragedia emergono parole negative che si ripercuotono in tutta la tragedia (secondo quanto riportato dal saggio di Mastronarda). ->modifica del PLOT: esempio di Fedra (ispirata dall’Ippolito di Euripide) -> Fedra (matrigna) di Ippolito (devoto a Diana [dea della caccia] piuttosto che a Venere). Fedra denuncia Ippolito con una lettera prima di suicidarsi, Ippolito viene maledetto da Teseo, e assalito da un mostro istigato da Poseidone: alla fine avviene una riconciliazione perché il padre comprende la sua incolpevolezza. In Seneca viene messo in scena il dialogo tra Fedra e Ippolito-> la donna che si propone al figliastro (azione contro il codice tradizionale); alla scoperta del misfatto Ippolito trascinato da un carro e il corpo viene lacerato al punto che le ferite non sono più ricomponibili. Fedra alla fine della tragedia si auto-denuncia e si uccide con la spada in scena. Seneca ha cambiato l’ordine degli episodi ed è cambiato il modo della morte di Fedra-> il suicidio per impiccagione era visto come forma di viltà, mentre la spada è uno strumento di morte eroico. (come nel IV libro dell’Eneide, spada di Enea, simbolo di Enea stesso). Nella Fedra, l’eroina tragica culmina nel suicidio eroico con la spada. Inoltre c’è un cambiamento culturale tra l’Ippolito di Euripide e la Fedra->>Legislazione augustea sull’incesto. Per il mondo greco la narrazione di Ippolito non riguarda l’incesto perché una matrigna non ha legami di sangue (si tratta più che altro di adulterio), la legislazione romana introduce elementi per cui all’interno della famiglia, il rapporto anche con una matrigna è considerato al pari dell’incesto (viene equiparato). Per lo spettatore romano assistere alla storia di Fedra non è la stessa cosa dello spettatore greco-> cambia il riferimento culturale e legale. Lezione 8 - 10/12/18 Maggiore insistenza sugli elementi fisici della violenza. 1) Ippolito di Euripide; v.1220 in cui si narra la scena dei cavalli che trascinano Ippolito sulla spiaggia. ‘le pietre straziano il suo corpo’ [la parte descrittiva è in 2 versi]. 2) Fedra di Seneca; v.1021 fino al v.1115: descrizione dei mostri che vomitano fiamme, i cavalli imbizzarriti, caduta da cavallo=> maggiore insistenza sugli elementi fisici della violenza (determina l’impossibilità di Ippolito di riconciliarsi col padre). -Violenza nell’Edipo senecano (riscritto dal teatro francese del 1600 con opportuni tagli alle scene violente). -In Sofocle, la prima parte è incentrata sulla ricerca del responsabile della peste causata dall’uccisione di Laio, nella seconda parte si scopre anche il tema dell’incesto con l’identificazione di Edipo. -Sempre in Sofocle al verso 353, Tiresia accusa Edipo di essere il colpevole-> Aristotele in questo individua il difetto dell’Edipo sofocleo; ovvero il fatto che si conosce subito la verità. ->questo difetto viene superato dai tragediografi successivi, Seneca compreso: Tiresia stesso è caratterizzato dal dubbio, inoltre ci sono due episodi ritardanti che portano a scoprire il colpevole: 1) un sacrificio e l’extispicio delle viscere, (l’oracolo risulta incerto). 2) l’evocazione dall’Ade da parte di Creonte dell’anima di Laio (due modi di contatto con gli inferi: catabasi, sogno, evocazione: come nell’XI libro dell’Odissea attraverso un’ecatombe [ovvero un sacrificio]. Nella tragedia di Seneca, avviene all’interno di un bosco (lucus-la radura è il luogo di accesso all’Ade): si racconta come Tiresia abbia evocato il corteo di anime aperto da una serie di entità personificate dove per ultimo compare Laio che rivela l’assassino. -la parte finale è analoga tra Sofocle e Seneca, perché Edipo deve rendersi conto dell’incesto; questo si scopre perché prima viene narrata la morte di Polibo (quello che Edipo riteneva padre), poi si scopre tramite un messo che proviene da Corinto che è il figlio di Laio, per cui è colpevole sia di parricidio che di incesto. -In Sofocle: Giocasta decide di suicidarsi per impiccagione dopo essersi reso conto; Edipo invece prende le fibbie della veste e si colpisce gli occhi e si allontana dalla città. -In Seneca: Edipo, rendendosi conto di essere colpevole cerca una punizione (perché ha perso identità, in sé si sono confuse due identità, quella del figlio e del marito), per cui si dà una punizione lunga (solitamente nel racconto edipico il cieco è colui che sa, Edipo invece immagina una punizione data dal tormento eterno della cecità: possibilità di non vedere il male da lui compiuto. Nella scena finale Edipo incontra Giocasta e si rende conto dell’inutilità della punizione che si è imposto perché sente la voce di Giocasta che non sa se riconoscerla come madre o moglie. È diverso il senso dell’auto-accecamento dei due testi: qui è incentrato sul dramma psicologico del protagonista. Alla fine, Giocasta si uccide in scena usando la spada con cui Edipo sovrano per proteggere il suo trono: preoccupazione mai per la città ma per se stesso come individuo e re. =>La tragedia non è corale ma individuale. ->qualcuno si rallegra del trono? Quisquam pone in negazione l’esistenza. > quantum malorum fronte quam blanda tegis: Il tema del regno ha un valore negativo nella tragedia senecana. Le persone più alte sono affaticate e in pericolo. Nell’Agamennone si dice: che destino […] le persone troppo alte le collochi su un precipizio rischioso mai costoro dispongono di una placida quiete o di un giorno sicuro: una preoccupazione dopo l’altra li affatica. Tema del fato connesso al tema del regno. vv.8-10 Regno come un alto monte che soggiace al vento o come roccia colpita dalle onde (immagini legate anche alla figura del saggio: potere solitario che soggiace alla sorte, al fato-> tema tipicamente senecano. Tema ripreso nei v.980-997-> coro in cui si sottolinea come tutto sia sottoposto al potere del fato. -Ho fatto bene a fuggire dal regno del padre Polibo: la scelta di Edipo era quella di non essere un re, ma di essere curis solutus-> privo di preoccupazioni (scelta dell’otium) in esilio, senza paura, lontano dalla mia terra (chiamo a testimoni il cielo e gli dei), sono caduto nel regno-> Edipo non ha deciso di fare il re, è inciampato-> il fato ha determinato che lui divenisse re. v.13 uagans è una lezione documentata da A, uacans da E. -> Vagans è sinonimo di exul; uacatio-> è il disimpegno, al ritiro, più vicina all’idea del curis solutus. I due rami della tradizione hanno un testo diverso: Zw. Insiste più sull’exul, Giardini più su vacans-> come lectio difficilior rispetto al tema del vagare (più banale). Gli errori spesso sono di dettato-> non sono determinati nella fase di lettura ma dalla fase del dettato interno (anche di regionalismi, nella pronuncia). ->in regnum incidi: casualità. ->timeo: ne-> costrutto paratattico dei verba timendi ‘mea…manu…perimatur’. ->laurus delphicae: per metonimia intende l’oracolo di Apollo. ->aliquid maius: uso dell’indefinito con valore accrescitivo: qualcosa che esiste ma sconosciuto, ha sul piano psicologico come accrescitivo. ‘un qualche male’-> sul piano psicologico accrescitivo. ->patre mactato: patricidio-> del padre scarificato/ammazzato. Uso del sostantivo con participio piuttosto che usare gli astratti (al posto di patricidio, usa il concreto). ->mactare: ambito scarificale. Lezione 9- 11/12/18 Analisi vv.19-36 -in regnum incidi: tema già trattato da Seneca nell’Epistola 44: si parla di uguaglianza di natura e del carattere transitorio del potere e della condizione umana. -pro misera pietas: esclamazione. -termini che indicano questa violenza che rende incomprensibile il vaticinio: -dirus: violenza sovraumana -impius/incestos: richiama il contenuto di impius (ritorna 3 volte nella tragedia: ritorna riferito alla casa di Edipo v.645 e poi riferito a Giocasta (dal v.1026), tema che ricorre anche in relazione dei figli di Edipo e Giocasta). -v.23 costruzione centripeta: porta al centro del verso dove è collocato il verbo che ritorna sul tema dell’esilio ‘profugus’ -v.23 due lezioni dai manoscritti: non A; nunc E-> entrambe le forme non hanno senso, per cui è stata apportata una correzione in hoc di Bentley. Il testo tradito non è soddisfacente per senso: la correzione ristabilisce una anafora in poliptoto. -v.25 appello alla natura: Edipo dice di essersi allontanato da Corinto per ristabilire le leggi di natura (per sfuggire all’incesto e all’assassinio). Tema ricorrente anche in Fedra e nelle Fenice. La natura ha invertito le sue leggi stabilite per il solo Edipo (ritorna al v.942). -elemento caratterizzante è la paura: timor/parum fidens (scarsamente fidandomi) /horreas/metuas/expauesco -timore irrazionale: spinge anche la ragione (verbo puto) a temere. -meque non credo mihi: riflessivi nelle tragedie di Seneca: Traina fa osservare come qui ci sia espressione che combina un riflessivo diretto e indiretto (usato come accusativo e dativo). Concentrazione dell’azione sul se. Il verbo credo ha valori differenti a seconda se si presenti in forma transitiva (me credo= affidare) o intransitiva (con dipendenza dativa ‘non credo a me stesso’). Compresenza di due significati: dice di non essere la persona cui affidare se stesso. -expauesco: il personaggio di Edipo dell’Oedipus rex di Stravinky non ha delle caratteristiche propriamente sofoclee (c’è la mediazione di Seneca, infatti nel testo latino si ha la ripetizione della paura: Pavesco Jocasta, pavesco maxime. -molior: verbo concreto, indica l’organizzazione di qualcosa costruita contro. - mihi parcit uni? il re si sente solo difronte a una sorte comune che non risparmia nessuno. L’essere salvo è sintomo della sua accusa. -cui reseruamur malo?: idea che Edipo sia predestinato a una vita di sventura. -ruinas urbis (ruina indica solitamente un crollo; rovina è usato in senso metaforico: è la devastazione, la morte della città)/ populi sturem: espressione che si oppone a ruina (mura che cascano), indica il cumulo (struo= costruire). -reus: accusato-> l’accusa è legata al suo non essere contaminato. -v.1054 quando Edipo si allontana dalla città si dirà che una condizione più favorevole nel cielo resterà alle sue spalle. Immagine del cielo ammorbante è legata alla teoria stoica della diffusione della pestilenza: (idea del contagio tra atomi [epicurei]/vapori del cielo (determinano la pestilenza) [stoici]. Ha contaminato il cielo e ha reso pertanto possibile la diffusione dei vapori da cui la peste. -nocens: può voler dire dannoso perché porta la morte, ma anche qualcosa di scelerato e colpevole (Edipo parla di teneo nocentem), nessuno può essere considerato colpevole del suo destino (nocens) v.36 è una dichiarazione di colpevolezza del protagonista (si sente colpevole della contaminazione). ->tema della peste sviluppato da Seneca passando da Tucidide, Lucrezio e Virgilio (III libro) e Ovidio nel VII delle Metamorfosi (v.523-613); insiste sulle caratteristiche dei morti che non ricevono sepoltura; Seneca tratta di questo tema anche in un brano delle Naturales Questiones. V.212: Creonte dice: responsa dubia sorte perplexa iacent i responsi restano poco chiari per una sorte intrecciata. (Creonte non è riuscito a trarre il responso dall’oracolo di Delfi: questo determina l’inserimento del sacrificio e dell’evocazione di Laio). -perplexa: intreccio-> è l’enigma della sfinge e quello dell’incesto sono mali paralleli. Idea del monstrum, del contro natura perché intrecciato. v.303 e seguenti: dialogo tra Manto e Tiresia- Manto rappresenta gli occhi di Tiresia. Manto spiega gli avvenimenti che avvengono durante il sacrificio affinché Tiresia possa trovare l’interpretazione. Modalità tipica della declamatoria ‘dicariato’ qualcuno che funge da occhio o da mano (tema del corpo vivo in età ovidiana con le proprie deformità). M.Bettini-Affari di famiglia (cap.VII) – L’ARCOBALENO, L’INCESTO, L’ENIGMA a proposito dell’Edipo di Seneca. Il centro del testo è l’interpretazione del sacrificio nell’Edipo. Vengono messi in campo tutti i codici divinatoria: 1) piromanzia: analisi del fuoco; 2) capnomanzia: esame del fumo; 3) analisi del comportamento delle vittime sugli altari 4) studio delle viscere (exta). L’episodio non ha solo funzione narrativa ma esprime elementi della cultura romana. (reinterpretazione di un testo in una cultura diversa). Analisi v.307-333 -largas dapes: pasto rituale -la fiamma ad un tratto si è illuminata di luce e un attimo dopo si è spenta: non si mantiene-> primo elemento negativo -utrum…an: disgiuntiva interrogativa- il fuoco si è diretto chiaro e nitido verso l’alto e ha portato il suo puro vertice dritto al cielo e ha dispiegato la sommità della sua chioma riversandosi verso il cielo oppure serpeggia incerto della strada intorno ai fianchi mentre il fumo vacilla intorno. -summam comam: la parte più alta della chioma- immagine metaforica del fuoco come un albero. -stetit/labat-nitidus:purus/turbidus: gioco di opposti. -incertus: rientra nella terminologia del dubbio e della negatività. -v.309 e seguenti: insistenza sul suono “U” minaccioso. -imbrifera qualis: similitudine tra l’arcobaleno (l’Iride) e la fiamma -v.315 implicat: intreccia -quae magna parte poli: relativa; per gran parte del cielo incurvata col suo seno varipinto annuncia le piogge. La relativa non aggiunge ma espande termini enunciati. 1) Imbrifera – implicat varios colores =corrisponde a => 2) nuntiat nimbos- picto sinu. La ripetizione ha funzione emotiva, si vuole sottolineare l’idea della pioggia e dell’intreccio dei colori -mescolamento dei colori dell’arcobaleno: nell’iride i colori dell’arcobaleno si confondono per cui non sono elementi positivi. -caerulea: color ceruleo con note giallastre (mescolanza) -sanguinea: termine evocativo -tenebras: evoca la morte -l’iride rappresenta nelle Metamorfosi in termini positivi come insieme di colori diversi, qui sono sottolineati gli elementi negativi. Qui richiama l’intreccio di colori indistinto dell’enigma sfinge come la mescolanza del sangue dell’incesto. ->metro: asclepiadei minori-> prende il nome da Asclepiade (ci proviene una raccolta di epigrammi dell’Antologia Greca in 16 libri- costituita da 2 raccolte: 1) Palatina (15 del Palatino, il sedicesimo inserisce ciò che avanza del planudeo) 2) Plaudea [scritto da M. Planude, biblioteca marciana di Venezia, trasmette la lirica greca all’umanesimo: insieme di Antologie di epigrammi da Callimaco, Meleagro (corone: manoscritti contenenti epigrammi). Gli epigrammi di Asclepiade sono le opere di questo autore alessandrino conosciuto nella latinità: come gli altri epigrammisti scrive in distico elegiaco. Si parla di asclepiadeo perché era un metro usato dall’autore di cui però non arriva (come gran parte della lirica greca aldilà degli epigrammi- c’è stata una selezione). Ripresa della lirica greca arcaica e degli Epodi: Alceo, Saffo, Archiloco, Ipponatte -la lirica romana si rifà ai lirici greci arcaici ma anche ellenistici (perduti): il genere dell’elegia deve alle trasformazioni degli epigrammi e della lirica. -differenza: la lirica greca arcaica è orale, mentre quella ellenistica è scritta (compresa quella romana). >La lirica caratterizzata dalla poesia era orale e nasceva da una performance in cui il poeta accompagnato dalla musica cantava improvvisando nuove composizione nello spazio aristocratico. La lirica di Alceo (autore prediletto da Orazio) è lirica politica perché nasce all’interno di un luogo di politici aristocratici. Il luogo di nascita della poesia era il SIMPOSIO. A Roma, la poesia è scritta e non più una performance; non c’è un simposio ma la coena (= diversità di funzione- la poesia non nasce come improvvisazione nel simposio, ma è simposiaca, ovvero il simposio è un tema prevalente- es. uso di 17 vocaboli per indicare il vino, le etichette del vino sono 19). Il tema del simposio è presente come mimesi o situazione evocata, faceva ricordare il simposio (un lirico greco senza musica, dal saggio di Rossi). La poesia lirica oraziana è meta-simposiale (anche se non parla di simposio è comunque scritta in un metro lirico evocativo anche se il tema è una ‘renuntiatio’ come il carme 26). Modello di Alceo: nel carme 1,1 Orazio si vanta di poter essere inserito nel canone dei poeti lirici. Parla della lira di Lesbo-> Saffo e Alceo. Si auto-descrive come poeta lirico del genere individuabile da questi due poeti. Il modello più vero è Alceo perché si parla di simposio piuttosto che di amore. Mecenas: la prima parola del libro è Mecenate: con questa parola si apre anche il primo libro delle Epistole. Siamo nel 23 a.C, Orazio, che nel 41 era rientrato in Italia dopo il confino in Grecia avendo aderito ai cesaricidi, entra in contatto con l’ambiente letterario di Roma, avvicinato da Virgilio al circolo di Mecenate. Nel 33 a.C ottiene l’Ager Sabinus, una tenuta in una villa dove può ritirarsi (pace epicurea rispetto al caos della città, ma anche modo per avere sostentamento dalla campagna). Nel 23 a.c Orazio raccoglie le sue Odi, la prima parola è di ringraziamento e dedica a Mecenate, esaltato come discendente di re. -tema del priamel: ovvero della scelta di vita; nel primo carme indica qual è la vita che gli interessa: schema noto sia attraverso la filosofia che nella lirica (trattato da Saffo e Pindaro). -schema: analisi dei bìoi, ovvero modelli di vita: la domanda è ‘qual è la vita migliore?’ può essere: 1) bios filotimos 3-8 (sportivo-politico). [lirica celebrativa di gare sportive, le Olimpiche di Pindaro]. 2) bios filocremata (ricchezza) 9-18 (latifondista, mercante) 3) bios filedonos (piacere) 19-28 (epicreo, miles, cacciatore) 4) bios filosofos (saggezza) 29-34 (poeta teoretico). Due tipi di anime si salvano nel Somnium Scipionis: quelle del politico e del filosofo, come migliore vita. Ma Orazio mette alla sommità, non la filosofia ma la sua scelta di vita personal: il suo ideale è la poesia che coincide con la filosofia, ME in contrapposizione agli altri. >>GRADAZIONE ASCENDENTE degli stili di vita. -fronti dei dotti: non si tratta di sapienti, ma di dotti poeti, specificato dall’ambientazione in cui è associato agli dei e distinto dalla folla. Formulazione in cui odia il uolgus: significa intraprendere una lirica ‘bevo alle fonti intatte delle Pieridi (v.100 di Lucrezio e IV libro), ‘creai’ fonti intatte e alle strade mai battute (richiamo di Callimaco). Poesia aristocratica. Il richiamare le Muse: ottiene la corona se non tacciono (è una tipica invocazione trasformata in modo ellenistico, variazione come anche lo spostamento dell’innovazione nell’Eneide). -Afferma l’eternità della sua poesia. Nei proemi all’inizio e alla fine del libro, abbiamo la sfraghìs come firma delle raccolte auto-editoriali: decide di collocare i carmi in determinate posizione da lui selezionate. Fin dall’inizio Orazio deve affermare la poesia lirica che fa riferimento alla lira di Lesbo, oltre che affermare il dedicatario. ->Orazio indica di avere la fronte ornata con l’edera: pianta sempreverde dell’immortalità poetica. Carme 2,20 Rivendica di essere uscito da condizioni di basso livello e di essersi levato a volo con ali insolite. Immagine del poeta come cigno (immagine callimachea). Con la sua fama il poeta attraversa luoghi e tempi. Carme 3,1 Io odio il volgo profano e lo tengo lontano Carme 3,30 Ho eretto un monumento più durevole del bronzo. Riferimento a Melpomene (Musa). ➔ Pubblica i tre libri tutti assieme (pur avendo scritto le odi in tempi diversi). La prima e l’ultima ode hanno valore meta-poetico dove parla della sua poesia. E gli interi libri hanno un proemio iniziale e finale che racchiude l’intera raccolta. ➔ L’inizio del libro è l’affermazione della sua scelta, la conclusione è l’aver costruito un monumento eterno, poesia salvifica. Il tema della morte è centrale: ci sono vari modi per esorcizzare la morte: l’amicizia del simposio e la poesia immortale. Orazio rivendica in varie occasioni di essere stato il primo a portare a Roma i versi greci. Dice di essere il primo ad aver usato sistematicamente il metro lirico. =>Carme 11, e 51 di Catullo sono in strofi saffiche. Catullo usa diversi forme metriche variate. Tre sezioni dei carmina catulliani: 1) polimetri (disposti secondo criterio della varietas metrica), 2) carmina docta ed 3) epigrammata. ->Carme 51. Ille mi par esse; traduzione del carme di Saffo che descrive l’effetto fisico della patologia dell’innamoramento. Catullo prende metro e contenuto di un autore lirico: il suo modello è l’ode saffica. Soprannome Lesbia rimanda proprio ai lirici di Lesbo. Esisteva una tradizione lirica pre-oraziana. ->Carme 11. Invito a Furio e Aurelio (amici di Catullo) affinché in qualsiasi luogo lo assistano: alla fanciulla bisogna che riferiscono delle poche non buone parole- brevi insulti per l’infedeltà di Lesbia. Carme parodico costruito sull’iperbole. ‘Cùm suìs vivàt valeàtque mòechis (amanti in modo dispregiativo), quòs simùl complèxa tenèt trecèntos’. Catullo ha immaginato la sua biografia letteraria collocando due carmina in stile saffico: l’innamoramento e l’addio, segnati da una scelta di metro oltre che al riferimento alla poesia saffica. Distinzione tra la poesia di Catullo e Orazio anche solo dall’autore di riferimenti tenendo presente che entrambi hanno nel proprio bagaglio non solo la lirica arcaica ma la poesia scritta di Callimaco e degli alessandrini. ->Carme 1 di Catullo: Cui dono lepidum novum libellum? Carme proemiale con dedica del libellum a Cornelio Nèpote. Definire il proprio libro come un libretto: può avere valore affettivo, ma anche valore minorativo (breve libro). La ragione è anche nella contrapposizione tra epica omerica ripresa da un autore come Antìmaco (il gonfio), e la poesia callimachea (brevitas- mega biblìon mega cacòn: idea di un libro piccolo ma curato stilisticamente). Il libro deve essere lepidus: rimanda a un aggettivo callimacheo leptòs (=grazia) contrapposto a pakùs. Dichiarazione di poetica callimachea: brevi libretti curati. Novum: la poesia autobiografica dei contemporanei viene definita in modo non proprio elogiativo da Cicerone come poeti novi [ma egli stesso ha fatto poesia neoterica]. La novità della poesia di questo genere: è autobiografia, non epica (contrapposta alla tradizione romana della letteratura impegnata). -Modo pumice expolitum: Il libretto deve essere arrotolato e poi levigato ai margini affinché i margini siano pari: all’immagine materiale corrisponde un’immagine metaforica: vuol dire che l’ha curata. A proposito del carme di un amico dice che il suo libro è stato curato per nove anni. Non si deve scrivere come Omero, cento libri con un piede solo. -nugas: attestata solo al plurale. Modo con cui Catullo traduce il concetto di pàipinion (poesia da poco, scherzo). Si tratta di una poesia non impegnata ma per divertimento. -Cornelio Nepòte: dedicatario non perché ha scritto una cronologia universale in tre libri però Cornelio l’ha scritta in cartae (= rotolo- all’unità materiale si fa corrispondere una unità letteraria: 1 libro corrisponde a 1 rotolo), doctus: il fatto di non scegliere poesia banale o elementi non comuni è tipico della poesia callimachea. Lo dimostra anche Ovidio che ricerca la variante del mito. Laboriosus: sono curati con fatica. La connessione tra Cornelio e Catullo è la cura della forma dell’opera. -si chiede che il libro possa rimanere perennemente (di anno in anno) per più di una generazione; c’è comunque il tema della poesia eterna anche se diminuito. Nel carme 3,30: Orazio si è augurato un’eternità. Problema al v.9 patroni (corrotto) doveva esserci un’invocazione a una patrona Virgo=> Musa perché siamo in un carme proemiale. Oppure ‘per te che sei patrono’ patroni ut ergo. ->Catullo si rifà in particolare all’epigramma; Orazio riprende tutta l tradizione della lirica dei poeti nuovi e la fonde con la tradizione lirica greca. Idea di riscoprire gli inventori dei vari generi. Per esempio Orazio scrive Giambi/Epodi (17, come quelli di Callimaco), ma il vero modello ‘parios iambos’ della poesia di invettiva di Archiloco di Paro e di Ipponatte (tra VII e VI secolo a.C). Con temi che vanno dal tema politico a quello amoroso. Lezione 11 – 17/12/18 ULTIMA