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letteratura latina Orazio (epistole), Appunti di Letteratura latina

letteratura latina I su Orazio (epistole), appunti precisi, aa 2020-21

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/09/2021

lucrezia_manganelli
lucrezia_manganelli 🇮🇹

4.8

(4)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica letteratura latina Orazio (epistole) e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Epistole Raccolta di componimenti vari, alcuni brevi (anche 15 versi) e altri lunghi (ca 100), soprattutto quelle del secondo libro, che comprende solo due lunghe epistole di argomento letterario (come l’Ars poetica, di teorie aristotelico-peripatetiche). La raccolta in versi è genere nuovo, inaugurato da Orazio, che forse ha alle spalle qualche precedente, come in Lucilio (talvolta c'era l'apostrofe a un interlocutore come espediente per creare una variatio) e epistole in versi in Catullo (come carmina docta 85 a Ortensio Ortalo per accompagnare l'invio della traduzione della Chioma di Berenice e giustificare la scelta di misurarsi in una prova di traduzione anziché composizione autonoma per il lutto del fratello; o rivolta a un certo Alio, carmen 88, discusso nella sua unitarietà, forse due). Risente di influenze filosofiche prosastiche (Epistole di Platone e di Epicuro). Caratteristiche epistolari: ciascuna ha un destinatario e alcune hanno classiche forme di saluto e commiato, comunque non reali, se inviate per omaggio. Orazio le identifica come “sermones”, linguaggio della conversazione. Il primo libro si presenta come raccolta conclusa: « con 1.1 come carme introduttivo e che presenta una giustificazione della forma letteraria, protrettico alla saggezza; «* a cui corrisponde la 1.20, commiato e previsione sull'accoglienza futura. Vari temi: «argomentazioni morale (1.2 su poesia omerica) «* gnomici (1.10 su contrasto città-campagna e dialettica con Fusco) « aneddotici e precetti filosofici epicurei (ma 1.1.19 e ss: professione di ecletticismo, “non giuro secondo la forma di ciascun maestro”, va dove lo trascina il vento, non avrebbe senso trovare una filosofia precisa dove incanalarlo) «autobiografia e autoritratto, indulge alla rappresentazione psicofisica di sé. Giustificazione in 2.1.248 e ss, “le opere letterarie hanno più capacità rispetto a pittura e scultura di tracciare le caratteristiche interiori delle persone”. Tendenza autoritrattistica (1.20 e 1.1) rimandata, sul versante iconografico, all’abitudine di inserire il ritratto nel confezionamento materiale del liber e alla tendenza di inserire i busti all’interno delle biblioteche (all’epoca di Orazio pubblica vi era solo quella di Asinio Pollione, ma ce n'erano tante private). # 1.20. Nel finale, un bellissimo ritratto di sé, e rivolgendosi al libretto che se ne va dice (siamo nel 31): Orazio si firma, rievoca i suoi natali (condizione), i suoi meriti (essere caro ai potenti, omaggio a Mecenate e ad Augusto), tratti fisici (basso, canuto anzitempo, viso scuro) e caratteriali (facile all'ira e a calmarsi), età. Quando un sole tiepido ti procurerà ascoltatori, 20 dirai che io, nato da padre liberto e povero, ho spiegato ali maggiori del nido, e attribuirai alla virtù quanto togli alla nascita; dirai che piacqui ai cittadini migliori in pace e in guerra, ch’ero piccolo e precocemente canuto, 25 abbronzato, irascibile, ma pronto a fare la pace. E se qualcuno ti domanda l’età, tu dirai che avevo quarantaquattro anni, compiuti in dicembre*, al momento che Lollio proclamò suo collega Lepido?. + Motivo dell'età che è ringcomposition con Satire 1.1, vv.8 e ss: metafora in cui il poeta si autorappresenta con il motivo della vecchiaia, quasi un ritratto; tema della vecchiaia che viene presentato qui con le alette di una copertina di un liber, dove aleggia l’immagine dell’autore (ritratto senescente nei risvolti di copertina). È tempo di sciogliere il cavallo che comincia a invecchiare, onde non caschi e non tragga col fiato anche le viscere in modo da far ridere alla fine. 29/3-17 Dopo l’immagine della vecchiaia in 1.1, troviamo, dal v.10: Lascio così la lira e gli altri scherzi, mi studio di capire cosa sia il vero e la virtù e soltanto questo, messo da parte quello che giovarmi potrebbe un giorno. Poi segue la dichiarazione di eclettismo, non allineamento a nessuna scuola filosofica: E ti dirò perché tu non mi chieda quale scuola/dottrina m'assicuri che non sono obbligato a servire alcuna setta, dove mi porta il vento ospite giungo. Insomma troviamo un bilancio della propria poesia nelle varie fasi, incanalamento delle varie opere nelle diverse fasi della vita del poeta: O Orazio individua: = la produzione delle epistole come “della vecchiaia”, opposti a “lira e scherzi” = liraovverole Odi: akmè, del floruit poesia della maturità = scherzi: Epodi, giovanile = Le Satire le convochiamo, essendo sermones come le Epistole, tra l’akmè e la senescenza, i discorsi della piena maturità, volti a cercare il vero e la virtù. O Idea che rimonta all’età ellenistica (format della critica letteraria alessandrina), quando si era cercato di costruire una parabola riguardo a Omero: = giovinezza (poemetto Margite, sciocco, eroe-comico perché stilemi poesia eroica abbassati a stile comico), = maturità con Iliade, =. senescenza con Odissea. O Idea trasportata a Roma con Virgilio (“l'Omero romano” come lo consacra nel canone Quintiliano e altri prima che utilizza come fonti = Bucolichee il Kataleptòn (per noi Appendix Virgiliana ma per gli antichi autentica) della giovinezza, = Georgiche maturità, = Eneide culmine, che interrompe la parabola letteraria del poeta = che poisi sarebbe dedicato alla filosofia nella vecchiaia (Svetonio, cap36 Vita di Virgilio). O Modello di lì applicato anche a CFR Ovidio: = AmoresedHeroides alla gioventù, =. didascalica-erotica Ars Amatoria, Remedia, Medicamina a fase matura, ® apice artistico con le Metamorfosi e i Fasti = Epistulae ex Ponto, elegia dell'esilio, fase della senescenza. Svolta filosofica di Orazio ci avvicina le Epistole ai Sermones, oltre per la varietas di temi e occasioni che le generano. Comunque anche differenza delle Epistole dai Sermones, perché: - viè meno aggressività e vis comica, - la riflessione morale si scinde, oltre che dalla componente scommatica, dall’empirica osservazione della realtà tipiche delle Satire, - non vi è un pov privilegiato, come nel secondo libro delle Satire, in cui la voce autoriale si affievoliva e quindi oggettività non più come tale ma vacillare delle certezze, sensibilità oraziana per lo scorrere del tempo acuita ora, sete di verità la terza maniera/modo di declinare [discorso sulla flessione dei modi] è quella di accrescere (il nome), come da albus, bianco deriva albius, più bianco. Albius quindi individuato come comparativo di maggioranza della forma albus. Come mai albius diventa nominativo maschile, anziché albior, dal comparativo neutro dell'aggettivo? Il suffisso originario del comparativo, che il latino eredita dall’IE, è -ios (forma che noi ritroviamo in attestazioni epigrafiche di meliosem (poi meliorem per rotacismo, s sonora in posizione intervocalica passa a r), dall'uscita -em quindi m/f, non neutro). Quindi da albios si passa ad albius (chiusura in finale di parola della o breve); albior viene fuori per analogia, nel corso della flessione il suffisso -ios- essendo sempre in posizione intervocalica passa ad -ior- e quindi costruito anche il nominativo in -r (albior, melior, ricostruite per analogia che non hanno fondamento fonetico). Poi si è arrivati a una forma di nominativo perché probabilmente o consideriamo mantenimento della forma originaria o -ius avvertito come neutro perché forma degrammaticalizzata (non più percepita come forma flessa di comparativo) e lessicalizzata (interpretata come un lessema autonomo, ovvero nome proprio, con cui concordava l'uscita dei nominativi della seconda declinazione, omofonia e omografia). Segue il discorso sui nomi propri, che differiscono dai nomi comuni, perché indicano oggetti propri come Paride, Elena, mentre i nomi comuni indicano oggetti comuni (arc), come uomo o donna. Distinzione molto presente nella distinzione grammaticale antica come il nomen (nome proprio) rispetto al vocabulum (prosegorìa) che indica il nome comune. Discorso su quante erano le parti del discorso, disputa se vocabulum sottocategoria del nomen o parti diverse. (quadre = espunzione, uncinate = inserzione) Tra questi ci sono alcuni nomi propri che derivano da nomi propri, come Ilio deriva da ilo e Ilia da Ilio e altri che derivano da nomi comuni come Albio da bianco e Atrio da nero. Quindi distinzione tra nomi primitivi e derivati, che derivano a loro volta da nomi propri. Ad esempio Ilo, figlio di Tros, eroe eponimo della discendenza dei Troiani. Da Ilio deriva Ilia, altro nome di Rea Silvia, figlia di Numitore con cui viene chiamata anche negli Annali di Ennio. E altri da nomi comuni, come Albio e Atrio. E da qui gioco su presenza/assenza di luce, metafora della contraddizione di questa schiettezza del giudizio di Tibullo. - O comunque denota schietti rapporti di amicizia, testimoniato da molte fonti Oraziane, come Sat 1.5, una delle sue satire odeporiche, dove descrive il suo iter brindisinum, viaggio verso Brindisi durante il quale a Sinuessa (confine con Campania) gli si fanno incontro Vario, Tucca e Virgilio, della cerchia di Mecenate, e quindi candidus indica schiettezza e affetto che accomuna gli adepti della cerchia (delineati in negativo nella satira del seccatore): Mi si fanno incontro Plozio, Vario e Virgilio, dei quali la terra non produce mai anime più candide e ai quali nessuno è più legato di me. E anche in Epodi 14,5 nella chiusa in riferimento a Mecenate, dove Orazio si lamenta che non riesce per otium a portare in fondo il rotolo dei propri giambi e Mecenate glielo rinfaccia con schiettezza, candor, che sottolinea i rapporti di amicizia e critica letteraria. E così anche nell’Epistola 10,86: Furnio anche lui iudex della poesia di Orazio (cfr versi satira 1.10 di commento a ode 1.22, in cui elencato numero di poeti e amici a cui Orazio si augura possano piacere i suoi versi. La iuncura candide lector è una formula dedicatoria frequente nelle prefationes di opere letterarie con cui ci si rivolgeva al pubblico dei lettori. Ma qual è l’opera che Orazio pone all'attenzione di Albio? | nostrorum sermones (con omoteleuto), ovvero: - molti sostengono, siccome le Epistole non sono ancora state pubblicate, le Satire, e quindi indizio di datazione, prob intorno al 30 (datazione alta), vicini alla pubblicazione delle Satire; - ma sermo è espressione con cui si riferisce anche alle sue Epistole, es Ep 2.1 dove, 250 e ss: Né io preferirei scrivere questi discorsi che rasentano il suono (strisciano a terra), anziché cantare le sue imprese. Ovvero formula di recusatio excusatio in cui unisce, adottando una presentazione di basso profilo (scusandosi per la mancanza di doti poetiche, antifrasi, understatement dicendo che non ha le forze) una composizione celebrativa di Augusto e preferendo invece comporre l’opera presente, le Epistole. Ma siccome non ancora pubblicate, come faceva Tibullo a conoscerle? Pratica della circolazione preventiva delle opere all’interno di una cerchia di amici, rapporti di amicizia nel circolo cementati da comuni interessi letterari che non fa altro che far circolare l’opera in forma privata tra gli amici prima della consegna al librarius dell'opera, da immettere poi sul mercato, forse per saggiare il terreno su una ricezione futura dell'opera e rifinirla prima della editio ufficiale. Non esclusa nemmeno la pratica della recitatio, ovvero pubblica lettura dell’opera, cfr Satira 1.4.23, “vulgo recitare timentis”, lui che aveva esitazione a dare pubbliche letture delle proprie opere, non perché non fosse sicuro del valore ma perché sfiducia nelle capacità del pubblico di apprezzare l’opera. Poi domanda ad Albio, prosecuzione della finzione epistolare, idea di un destinatario lontano e di cui quindi non sai e devi chiedere notizie: circonlocuzione pleonastica (che cosa dirò che tu stai facendo = che cosa stai facendo) che però intensifica il tono affettivo della domanda a Tibullo (altro indizio sull'identità) e che rimanda al linguaggio comico del sermo, come: Plato, Curculio, battuta del parassita di Gorgolione: “Ma dove allora io dirò che tu vai?” = Dove vai? Trinunculus: “Vengo, ma non capisco dove dirò che sarà la fine” = Non capisco dove sarà la fine, dove fermarmi. Regione di Pedo: lo Pseudo-Acrone lo colloca nel Lazio, tra Tivoli e Preneste, oggi Gallicano (nella campagna romana dove si immagina Tibullo avesse una villa). 30/3 - 18 vv.3-5 Forse scrivere ciò che superi le operette di Cassio Parmense, oppure aggirarti tacito tra boschi salubri (arc) (anastrofe e iperbato) pensando a qualsiasi cosa sia degna di un uomo saggio e probo? L'amico è un amico poeta se accettiamo che sia Tibullo e quindi la prima delle attività che immagina lui faccia è la scrittura. Aemulatio (imitazione competitiva, entro cui i romani concepiscono l’arte poetica, cfr Quintiliano libro X cap.2 contendere tium quam sequi, mettersi in competizione con i modelli piuttosto che seguirli pedissequamente, per non porsi come secondi ma avere la possibilità di superarli). Cassio Parmense: probabilmente uno dei cesaricidi, seguace di Sesto Pompei passato poi a seguace di Antonio e poi mandato a morte da Ottaviano dopo la battaglia di Azio. Notizie su politica dai commenti tardo-antichi, ma poco sulla sua attività letteraria: - esdaVita di Svetonio: Cassio di Parma, poi, in una sua lettera, taccia Augusto (taxat desiderativo di tango, radice tag- con infisso nasale al presente a cui si aggiunge il suffisso desiderativo -so- (come video>viso/visito = desidero vedere), desidero toccare e ironicamente punzecchiare) in quanto nipote di un mugnaio, ma anche di essere discendente di un piccolo cambiavalute (munus=moneta). La farina (farinast perodelisione, lett. tu hai la f di tua madre dal) che vende tua madre viene dal peggior mulino di Areccia (località nel Lazio) e il cambiavalute di Nerulo (in Lucania) la impastava con le mani insudiciate dal maneggio del denaro (allusione che il denaro sia qulcsa di sporco) Quindi parenti di Augusto: madre da un mugnaio e un cambiavalute; Cassio quindi sarebbe stato uno scrittore di pamphlet polemici nei confronti di Augusto. - Diverse le testimonianze dei commentatori, es Pseudo-Acrone nel commento in loco, di questo passo: Esercitò lo stilo (praticò) diversi generi e tra queste opere sono lodate le sue elegie e i su epigrammi - Ciceroneriporta invece fosse un tragediografo. Alla luce della versione di Svetonio, perché un elegiaco come Tibullo dovrebbe gareggiare con un pamphiettista? Forse per le tire che il poeta elegiaco a volte sfoga contro l'amata nel palakauthrisos nei momenti in cui maledice la donna che gli ha inflitto sofferenze. / Se tragediografo, quindi Orazio starebbe ironizzando sulla Musa di Tibullo paragonandola a quella tragica di Cassio Parmense. / Ipotesi più accreditata quella dello Pseudo-Acrone, confermata dall'uso Orazio di opusculum in riferimento all'opera di Cassio, con il diminutivo che indica minore dimensione e minore in senso qualitativo con riferimento alla tradizionale collocazione dell’elegia tra i generi bassi in cfr a epica e tragedia, complesso sempre presente nei confronti di e da parte degli autori elegiaci. Or: c'è contesa tra i dotti su chi per primo abbia introdotto la tenue elegia (disputa sull’inventor, protos euretes; tenuis con riferimento al genere, la léptotes la colloca al di fuori di una poesia elevata) Ov: ora per la prima volta, o versi elegiaci, andate con maggiori vele; vi ricordo, poco fa eravate una modesta opera (si rivolge al suo stesso liber dicendo che ora procede con vele maggiore, metafora viaggio per mare della composizione poetica, riferimento del passaggio da elegia erotica a Fasti, più dotta). Ma perché avrebbe dovuto gareggiare con lui? morto 10 anni prima e non presente nel canone degli elegiaci, e la sua assenza non è dovuta a una damnatio memoriae per fatti politici perché la stessa sorte era toccata a Cornelio Gallo a cui viene riconosciuto invece il ruolo di inventor dell’elegia romana. Per queste problematiche, c'è chi sostiene che l’Albio non fosse Albio Tibullo, gareggiando con un poeta di scarsa fama come questo Cassio; oggi questa interpretazione è stata perlopiù abbandonata. Seconda attività è il vagare tacito tra le selve al fine di curare il fisico (per la salubrità dei luoghi) e l'animo (meditazioni sul retto modo di vivere per un uomo onesto). Immagine caustica, espressiva del v.4: reptare, frequentativo di repo, is, repsi, reptum, repere = strisciare, tipico del serpente (rettile, appunto). Come se il poeta, tutto chiuso nei suoi sentieri, volesse evitare il contatto con il mondo, desiderasse non essere visto. - Atteggiamento di pensosità filosofica che è probabilmente una proiezione di Orazio su Tibullo sui contenuti di esperienza di vita e poetica che è più vicina a lui mentre compone le Epistole, una sua inquietudine a cui cerca di trovare rimedio con una svolta etico-filosofica. - Qualcuno attribuisce a Tibullo una svolta filosofica in senso stoico, perché l'immagine statistica sul significato di sapiens (v.5) in Orazio rivela che ha quasi sempre il significato di “saggio” in senso filosofico e stoico, quindi qui Orazio starebbe rivolgendo una critica agli atteggiamenti anti-sociali del saggio stoico che nel mito dell’autarcheia si isola e ha un atteggiamento di chiusura nei cfr della società, e a questo immagine del serpente che nell'immaginario antico ha connotazione antica, come per bollare questo suo atteggiamento, forse una visione anti-stoica. È incoerente, avendo altrove abbracciato le idee stoiche, ma comunque Orazio non si dichiara affiliato a nessuna setta. - Caricatura dell’atteggiamento del poeta elegiaco, che come Tibullo trova nella natura una valvola di sfogo alle proprie sofferenze e patimenti amorosi (cfr Properzio, proiezione della propria storia nel mito). Rappresentazione di Tibullo pensoso tipica del melancolicus, affetto da una affezione psico- fisica, determinata dalla bile nera dove il prevalere degli umori corporei porterebbe a questo stato depressivo, taciturno e solitario. - Melancolia che potrebbe fare riferimento a un turbamento filosofico (1.33 Orazio consola l’amico per le sue sofferenze amorose) o anche vera condizione psicofisica, riferimento alla malattia che colpì in giovane età Tibullo e quindi suoi tentativi di curarla e questi pensieri tra i boschi sarebbero gradita sopraggiungerà l’ora che non hai sperato (lett. non hai data sperata). Emozioni in cui possiamo vedere gli affanni di un poeta elegiaco per il sentimento amoroso, o la melancolia (condizione psicofisica) o le inquietudini di un animo che si dibatte verso una filosofia ascetica che forse però non riesce ad abbracciare in toto (proiezione su di lui dell’ultimo Orazio filosofico), da cui però Orazio prende le distanze dandogli il rimedio di carpe diem, e gioco paraetimologico tra diem (viene da radice IE che significa luce) e diluxisse (preverbio dis- separativo/distributivo, spuntare dell'ultimo giorno come crinale di separazione tra la luce della vita e notte eterna) e inoltre parafonico superveniet e supremum: qualsiasi cosa in cui non si erano poste speranze viene in aggiunta e quindi risulta gradita (grata all’inizio, posizione forte, in iperbato con hora, sintagma che incornicia l’intero verso). Affermazione che ci ricorda ovviamente il carpe diem e altri passi delle Odi: 1.19 non chiedere cosa accadrà domani, ascrivi a guadagno qualunque giorno la sorte di concede; 1.11 cogli l'attimo, riponendo minore fiducia possibile nel futuro; 2.16: oggi l'animo lieto sfugga l'ansia del domani (non si curi di quel che avviene dopo) Non badare al futuro ma al presente, filosofia da molti individuata non come epicurea ma di stampo cirenaico, con riferimento alla filosofia di Aristippo di Cirene (V-IV sec ac), teorico di una filosofia di un edonismo diverso da quello epicureo (catastematico, puntava solo ai piaceri naturali che non turbano lo stato di atarassia) ma più spinto, che fa riferimento a piaceri sia catastematici sia dinamici, più pragmatica e basata sull’etica di vivere la quotidianità, l’ultimo momento che conta è l'hic et nunc, l'attimo fuggente, perché il passato non ci appartiene più e il futuro non ancora, quindi la gioia consiste solo nel godimento di questo. Orazio abbraccia nell'Epistola 1.1.18 i precetti di Aristippo, che punta al piacere ma pur sempre in un'ottica di autosufficiente, quindi ricerca del piacere senza però diventarne schiavi, lasciarsene dominare. Idea che giungerà gradito quello che non si è sperato anche nel Fornio di Terenzio: Qualunque cosa accadrà al di là delle mie speranze, io la ascriverò a guadagno. vv.15-16: Quindi atteggiamento sentenzioso che vuole far convincere Albio a cambiare filosofia, poi il finale stempera tutto questo atteggiamento con un'immagine autoironica, che allenta la tensione. Se vorrai ridere / quando vorrai farti una risata, mi troverai / se mi verrai a trovare grassotto e tutto lustro, con la pelle ben curata, insomma un porco nel gregge di Epicuro. Immagine che fa vedere che non si professa filosofo ma semplicemente è un amico che vuole dare bonariamente consiglio (funzione catartica del riso, quasi un medico nei cfr del suo amico), per questo la posizione insistita del me che rimanda a un exemplum sul piano personale, e ritorna la topica epistolare di invito dell'amico. Tendenza autoritrattistica: - obesità confermata nella Vita di Svetonio che ce lo definisce “di fisico piccolo e obeso, quale lui stesso si descrive nelle Satire”; - conanche pelle grasse e ben curata, CFR critica tradizionale agli epicurei (nel senso deteriore, setta edonistica) di avere la cute bella distesa; Epistole di Sidonio Apollinare (V sec dc, cristiano quindi contro l’epicureismo, “si presentano nei ginnasi Zenone (stoici) con la pelle corrucciata e Epicuro (stoici) con la pelle liscia”; - critica agli epicurei edonisti anche di Orazio, “porci epicurei” espressione deteriore con cui ci si riferiva alla componente edonistica della setta; cfr Cicerone, Pisonem: apostrofa Pisone in maniera ironica come “caro il mio Epicuro, uscito dal porcile e non dalla scuola”, immagine animalesca ripreso anche in grex (termine tecnico per indicare varie congregazioni, filosofiche o di attori, ma spesso termine spregiativo). Si auto presenta come uno gaudente, che vuole mettersi in mostra (Odi 3.19 nitidus, per indicare una persona raffinata; Satire, ha strappato la maschera a tutti coloro che avanzavano, tutti belli lustri in volto e brutti dentro). Porcello secondo alcuni opposto al serpente di Tibullo, in questa concezione autoironica quindi un'etica positiva pragmatica da opporre a quella dei tormenti filosofici.