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Lettere a Lucilio 1-14 +analisi grammaticale, Traduzioni di Lingua Latina

Traduzione letterale delle prime 14 lettere a Lucilio di Seneca +analisi grammaticale con verbi, temli verbali, paradigmi ecc.

Tipologia: Traduzioni

2022/2023

In vendita dal 23/06/2022

maria-andrea-foresta
maria-andrea-foresta 🇮🇹

4

(7)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Lettere a Lucilio 1-14 +analisi grammaticale e più Traduzioni in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Latino 2 : Seneca – LETTERE A LUCILIO Epistula 1 1. Fa’ così, mio Lucilio: rivendicati a te stesso, e custodisci e conserva il tempo che fin qui o (ti) era portato via o (ti) era sottratto o (ti) era sfuggito. Convinciti che ciò è così come scrivo: alcuni tempi ci sono strappati via, alcuni (ci) sono sottratti, altri (ci) sfuggono. Tuttavia, la perdita più vergognosa è quella che avviene per negligenza. E se avrai voluto stare attento, gran parte della vita sfugge facendo del male, una grandissima (parte) non facendo nulla e tutta la vita facendo altro. 2. Chi mi darai che dia qualche valore al tempo, che apprezzi il giorno, che capisca che morirà ogni giorno? Infatti, in ciò siamo ingannati, perché vediamo lontana/davanti la morte: (invece) la maggior parte di quella già è trascorsa; la morte domina su qualsiasi età che è dietro (di noi). Dunque, fa’, mio Lucilio, ciò che tu scrivi di fare, abbracciare tutte le ore; così accadrà che dipenda meno dal futuro, se nel presente avrai gettato la mano. 3. Mentre si rinvia, la vita trascorre. Tutto, Lucilio, è altrui, solamente il tempo è nostro; la natura ci mise in possesso di questa unica cosa fugace e scivolosa, dalla quale ci caccia chiunque vuole. Ed è tanta la stoltezza dei mortali che permettono, una volta ottenute, che si imputino a loro stessi quelle cose che sono minime e vilissime, sicuramente recuperabili, nessuno che ricevette il tempo ritiene che lui stesso debba qualcosa, quando invece questa è l’unica cosa che senza dubbio/(neppure) un grato non può restituire. 4. (Mi) chiederai forse cosa io faccia che a te insegno questa cosa. (Te lo) confesserò sinceramente: ciò che avviene presso un lussurioso ma diligente, mi è chiaro il conto della spesa. Non posso dire di non perdere nulla, ma direi/potrei dire cosa perda e perché e come; Darei/potrei dare le cause della mia povertà. Ma mi accade ciò che (accade) a coloro che sono ridotti in miseria non per colpa loro: tutti (li) perdonano, nessuno (li) soccorre. 5. Dunque, cosa è? Non reputo povero colui al quale è abbastanza quel minimo che rimane; preferisco tuttavia che tu conservi le tue cose, e inizierai a buon tempo. Infatti, come sembrò ai nostri antenati, ‘è troppo tardi il risparmio/risparmiare (quando si è) nel fondo’; infatti rimane nel fondo non soltanto il minimo ma il peggiore. Stammi bene. 1. facio,is,feci,actum,ere (imper.2ps) / vindico:1^ (imper.2ps) / colligo,is,legi,lectum,ere (imper.2ps) / servo:1^ (imper.2ps) / tempus,oris / qui,quae,quod / adhuc:avv / aufero,ers,abstuli,ablatum,auferre (impf.pass.3ps) / surripio,is,ripui,reptum,ere (impf.pass.3ps) / excipio,is,cepi,ceptum,ere (impf.pass.3ps) . persuadeo,es,suasi,suasum,ere (imper.2ps) / scribo,is,psi,ptum,ere / quidam,quaedam,quoddam / eripio,is,ripui,reptum,ere (ind.pass.3pp) / subduco,is,duxi,ductum,ere (ind,pass.3pp) / effluo,is,fluxi,fluctum,ere (ind.pass.3pp) . iactura,ae / turpissimus: sup. di turpis,e / fio,is,factus sum,fieri / per+acc: MxL . volo,is,volui,velle (fut.ant.2ps) / adtendo,is,tendi,tentum,ere / elabor,eris,lapsus sum,elabi (dep.pres.3ps) / ago,is,egi,actum,ere (part.pres. congiunto- temporale=abl.ass.) / malum,i / maximus: sup. magnus / alius,alia,aliud . 2. quis,qui (pron.interr.) / do,das,dedi,datum,dare (ind.fut.2ps) / pono,is,posui,positum,ere (cong.pres.3ps) / pretium,ii / aestimo:1^ (cong.pres.3ps) / intelligo,is,ixi,ictum,ere (cong.pres.3ps) / morior,eris,ortus sum,i (dep. Inf.) / cotidie:avv . fallo,is,fefelli,falsum,ere (pres.pass.1pp) / prospicio,is,spexi,spectrum,ere / praetereo,is,ii,itum,ire (pres.3ps) / aetas,atis (gen.part) / mors,rtis / teneo,es,nui,ntum,ere (pres.3ps). facio,feci,factum,ere (valore imper.) / scribo,is,psi,ptum,ere (pres.2ps) / complecto,is,exum,ere / fio,is,factus sum,eri (fut.3ps) (complet.) / minus:avv / pendeo,es,pependi,ere (cong.pres.2ps) / inicio,is,inieci,iectum,ere (fut.ant.2ps) / manus,us. 3. Differor,fers,tuli,latum,ferre (pres.3ps) / transcurro,is,i,ursum,ere . mitto,is,misi,missum,ere (perf.1pp) / fugax,acis / lubricus,a,um / expello,is,puli,pulsum,ere (pres.3ps) / volo,vis,volui,velle (pres.3ps) . vilis,e / reparabilis,e / patior,eris,passus sum,i / inpetro:1^ (perf.3pp) / inputo:1^ / accipio,is,cepi,ceptum,ere (perf.3ps) / debeo,es,bui,bitum,ere / reddo,is,didi,ditum,ere 4. Interrogo:1^ (fut.2ps) / facio,is,eci,actum,ere (cong.pres.1ps) / iste,a,ud / praecipio,is,epsi,eptum,ere (pres.1ps) . fateor,eris,fassus sum,fateri / evenio,is,i,ntum,ire / consto:1^ . dico,is,ixi,ictum,ere (cong.pres 1ps. potenz) / perdo,is,didi,ditum,ere (cong.1ps) / paupertas,atis / reddo (cong.1ps) . plerusque,aque,umque (abl.) / redactus,a,um (part.perf.dat di redigo,is,egi,actum,ere) / vitium,ii / omne,is / ignosco,is,ovi,otum,ere (pres.3pp) / succurro,is,i,ursum,ere (pres.3ps) . 5. Puto:1^ / quantulumcumque: ‘quel poco che’ / superum,es,fui,esse / sat,sat / malo,malui,malle / servo:1^ (cong.pres.2ps) / incipio,is,cepi,ceptum,ere (fut.2ps) / visum est: impers – videor,eris,visus sum,eri (perf.3ps) / maiores,iorum / sera:avv / fundus,i / remaneo,es,mansi,mansum,ere (pres.3ps) / imum,i / valeo,es,ui,litum,ere (imper.2ps) Epistula 2 1. Da quelle cose che mi scrivi e da quelle cose che ascolto nutro per te una buona speranza: non vai qua e là e non sei agitato da cambiamenti di luoghi. Questa agitazione è (propria) di un animo malato: ritengo prima prova di una mente composta/equilibrata il potere star fermi e soffermarsi con se stessi. 2. Però bada questo, che tale lettura di molti autori e di volumi di ogni genere non abbia qualcosa di vago e instabile. Occorre nutrirsi e soffermarsi su determinati caratteri, se vuoi trarre qualcosa che si sieda/depositi nell’animo stabilmente. Da nessuna parte è chi è ovunque. Accade ciò a coloro che passano la vita nella peregrinazione, che hanno molti ospiti, (ma) nessuna amicizia; lo stesso è inevitabile che accada a colori i quali (non) si applicano a fondo alla personalità di nessuno ma trascurano tutto di corsa e avendo premura. 3. Non giova né arriva al corpo il cibo che (appena) assunto subito viene rigettato; allo stesso modo niente impedisce la guarigione quanto il cambiamento frequente delle medicine; una ferita non diventa/giunge a cicatrice in cui si tentano/sperimentano i medicamenti; non si irrobustisce una pianta che viene spesso trapiantata; niente, per quanto sia utile, giova quando (è) di passaggio. Una moltitudine di libri distrae; e così, poiché non puoi leggere quanto avrai, è abbastanza avere quanto leggi/puoi leggere. 4. (ma tu) ribatti/dici: “ma voglio sfogliare ora questo libro, ora quello.” È di uno stomaco nauseato assaggiare molte cose; che quando sono varie e diverse, inquinano non nutrono. E così leggi sempre (quelli) apprezzati, e se talvolta (ti) piacerà dirigerti verso altri, ritorna ai precedenti. Procurati qualcosa di aiuto (qualche aiuto) ogni giorno contro la povertà, qualcosa contro la morte, e non meno contro altri danni; e quando passerai in rassegna molte cose, scegline uno che approfondisci quel giorno. 5. Anche io stesso faccio ciò; dai molti che ho letto apprendo qualcosa. È di oggi questo in cui mi sono imbattuto in Epicuro (sono solito infatti recarmi in un accampamento nemico, non tanto come disertore, ma quanto esploratore): si dice “è una cosa onesta la povertà lieta”. 6. Quella in realtà non è povertà, se è lieta; non colui che possiede poco, ma colui che brama di più, è povero. Infatti, cosa importa a quello/uno quanto si trovi nel forziere, quanto nei granai, quanto pascoli o aumenti, se brama l’altro, se fa calcoli non su ciò che si è non la puerizia ma, che è più grave, rimane la puerilità; e ciò di certo è peggio, poiché abbiamo la consapevolezza degli anziani, i vizi dei fanciulli, e non solo dei fanciulli ma dei neonati: quelli temono le cose leggere, questi quelle false, noi entrambe. 3. Solamente progredisci: capirai che alcune cose si devono proprio temere di meno poiché portano molta paura. Nessun male è grande se è l’ultimo. La morte si avvicina a te: sarebbe da temere se potesse rimanere con te: è necessario che è non venga o transiti. 4. “E’ difficile” dici, condurre l’animo al disprezzo della vita”. Non vedi che è disprezzata per frivole ragioni? Uno davanti alla porta dell’amico pende il laccio (si impicca), un altro si è precipitato dal tetto per non ascoltare più a lungo il padrone che inveiva/nauseante, un altro per non essere ricondotto dalla fuga si è cacciato un pugnale nelle viscere: non reputi che la virtù potrà ottenere ciò che ottiene una grande paura? Nessuno può avere in sorte una vita sicura che pensa troppo di prolungarla, che tra grandi beni annovera molti anni. 5. Quotidianamente medita su questo, affinché tu possa lasciare la vita con un animo sereno, così come molti si abbracciano e tengono come chi è rapito dall’acqua di un torrente le spine e le rocce. La maggior parte ondeggiano tra la paura della morte e i tormenti della vita e non vogliono vivere, non sanno morire. E così fa’ una vita gioiosa deponendo ogni preoccupazione per quella. Nessun bene giova a chi possiede se non quello alla cui perdita l’animo è preparato; ma la perdita di nessuna cosa è facilissima quanto quella, persa, non può essere desiderata. Dunque, esortati e indurisciti contro quelle cose che possono accadere anche ai potentissimi. 7. Un pupillo e un eunuco diedero la sentenza alla testa di Pompeo, un Parto insolente e crudele a Crasso; Gaio Cesare ordinò che Lepido porgesse il collo al Destro tribuno, lui stesso la diede a Cherea; mai la fortuna ha innalzato quello tanto da minacciarlo quanto lo aveva permesso. Non fidarti di questa tranquillità: il mare si agita in un momento; nello stesso giorno dove gareggiarono le navi affondarono. 8. Pensa che sia un ladro che un nemico possano muovere una spada verso il tuo collo; per quanto una maggiore potenza sia assente, nessuno neanche un servo ha il potere su di te di vita e di morte. Così dico: chiunque disprezzi la sua vita è padrone della tua. Ricorda gli esempi di coloro che morirono per le insidie domestiche, o per una grande forza o per inganno: capirai che non pochi morirono per l’ira dei servi quanto per quella dei re. E così per quanto sia potente colui che temi, cosa temi se ciò nessuno non può (farlo)? 9. Ma se casualmente cadrai in mano nemica, il vincitore ordinerà di condurti – lì dove sei stato condotto. Di cosa tu stesso ti inganni e cosa capisci ora per la prima volta ciò che a lungo hai patito? Così dico: da quando sei nato, sei condotto (verso la morte). Queste cose e su questi modi sono da riversare nell’animo se vogliamo aspettare sereni quell’ultima ora la cui paura rende inquiete tutte le altre. 10. Ma per porre fine alla lettera, prenditi quello che nel giorno odierno mi è piaciuto – e anche ciò ho raccolto dagli orti degli altri: “grandi ricchezze sono la povertà regolata dalla legge della natura” tuttavia sai quella legge della natura quali termini stabilisce per noi? Non soffrire la fame, non soffrire la sete, non soffrire il freddo. Per debellare la fame e la sete non è necessario stare di guardia a porte superbi né sopportare lo sguardo grave e anche un’umiliante commiserazione, non è necessario condannare i mari né inseguire gli accampamenti: è facile preparare ciò che la natura desidera e ci pone vicino. 11. Si suda per le cose superficiali; sono quelle che lacerano la toga, che ci fanno invecchiare sotto la tenda, che ci spingono in territori stranieri: è alla mano ciò che è abbastanza. Colui che conviene bene con la povertà, è ricco. Stammi bene. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. Epistula 5 1. Epistula 6 1. Capisco, Lucilio, che non solo mi correggo ma mi cambio; e non già prometto ciò o spero, che niente rimane in me che sia da cambiare. Come non potrei avere molte cose che devono essere raccolte, essere attenuate, essere rafforzate? E ciò è lo stesso argomento di un animo che cambia in meglio, poiché vede i suoi vizi che fino a quel momento ignorava; ad alcuni ammalati si fanno le congratulazioni quando loro stessi si accorgono di essere ammalati. 2. E così desidererei comunicare con te la così improvvisa mutazione di me; allora comincerei ad avere una più certa fiducia della nostra amicizia, di quelle che non la speranza, non il timore, non la preoccupazione di una sua utilità strappi, di quelle con cui gli uomini muoiono, per cui gli uomini muoiono. 3. Ti darò molti consigli che mancano non ad un amico ma all’amicizia: ciò non può accadere quando una pari volontà di desiderare cose oneste trae gli animi nella società. Perché non può (accadere)? Infatti, loro stessi sanno di avere tutte le cose comuni, e certamente di più avverse. 4. Non puoi concepire nell’animo quanto io veda che ogni singolo giorno mi dia miglioramenti. Dici “manda anche a noi(me) queste cose che hai trovato tanto efficaci”. Io in realtà desidero trasfondere in te ogni cosa, e perciò godo nell’imparare qualcosa, per insegnarlo; e nessuna cosa mi diletterà, per quanto sia esimia e salutare, se solamente io potrò saperla. Se la sapienza (mi) fosse data con questa eccezione, che la tenga nascosta e non la debba enunciare, la rigetterei: la gioconda possessione non è di nessun bene senza un socio. 5. E così ti manderò questi stessi libri, e affinché tu non impieghi molto di fatica mentre di qua e di là scegli quelli proficui, metterò delle note, perché tu acceda subito a quelle che io approvo e ammiro. Tuttavia ti saranno utili più una viva voce e la convivenza che un’orazione; occorre che tu venga alle cose presenti, per prima cosa poiché gli uomini credono di più con gli occhi che con le orecchie, e poi poiché il percorso è lungo attraverso gli insegnamenti, breve ed efficace attraverso gli esempi. 6. Cleante non avrebbe espresso Zenone se lo avesse solamente ascoltato: fu tra la sua vita, indagò i suoi segreti, lo osservò (per capire), se vivesse secondo le sue formule. Platone e Aristotele e tutta la schiera dei sapienti che vanno in diverse direzioni hanno tratto più dai costumi che dalle parole di Socrate; non la scuola di Epicuro ma la convivenza (con lui) resero Metrodoro, Ermarco e Polieno grandi uomini. E non solo per questo ti faccio venire, affinché tu progredisca, ma affinché tu sia utile (a me); infatti per molte cose gioveremo l’uno all’altro. 7. Intanto, poiché ti devo il mio piccolo compenso giornaliero, dirò cosa oggi mi ha dilettato presso Ecatone. Dice “Chiedi cosa ti hai fatto progredire? Ho iniziato ad essere amico di me stesso”. Ha fatto molti progressi: non sarà mai solo. Sappi che tutti possono avere questo amico. Stammi bene. Epistula 7 1. (Mi) chiedi cosa tu possa ritenere soprattutto da evitare? La folla. Non ancora puoi affidarti a quella senza pericolo. Io certamente ti confiderò la mia debolezza: mai riporto (a casa) i costumi che ho portato via; qualcosa tra quelle che ho ricomposto viene turbata, qualcosa tra quelle che ho cacciato ritorna. Ciò accade agli ammalati che li ha affetti una debolezza lunga fino al punto che da nessuna parte si presentano senza malessere, ciò accade a noi i cui animi si riprendono da una lunga malattia. 2. È nemica la conversazione con molti: non nessuno = (c’è) qualcuno che o raccomanda o imprime o spalmi a noi che non ce ne accorgiamo qualche vizio. Pertanto, quanto più è la gente con cui ci mescoliamo, tanto più c’è pericolo. In realtà niente è tanto dannoso per i buoni costumi quanto prendere il posto in qualche spettacolo; allora infatti i vizi più facilmente si addentrano attraverso il piacere. 3. Cosa ritieni che io dica? Ritorno più avaro, più ambizioso, più lussurioso? Anzi in realtà più crudele e disumano, poiché sono stato tra gli uomini. Per caso mi sono imbattuto in uno spettacolo di mezzogiorno, aspettandomi scherzo e battute e qualche svago per cui gli occhi degli uomini si riposino dal sangue umano. È il contrario: qualsiasi cosa che fu prima combattuta fu misericordia; ora, omessi gli scherzi, sono puri omicidi. Non hanno niente con cui difendersi; esposti al colpo con tutto il corpo mai mettono la mano(=attaccano) invano. 4. la maggior parte preferisce questo alle coppie ordinarie e postulatizie/richieste. Perché non (le) preferiscono? La spada non è respinta né dall’elmo né dallo scudo. Per cosa le protezioni? Per cosa le abilità? Tutte queste cose sono ritardi della morte. Di mattina gli uomini sono gettati contro i leoni e gli orsi, a mezzogiorno tra i loro spettatori si ordina che gli uccisori siano messi contro quelli che stanno per essere ucciderli e trattengono il vincitore nel massacro di un altro; la morte è l’esito dei combattenti. La faccenda si compie con la spada e col fuoco. 5. Queste cose accadono mentre l’arena è vuota. “Ma qualcuno ha commesso un ladrocinio, ha ucciso un uomo” E quindi? Poiché ha ucciso, quello merita di patire ciò: (ma) tu povero cosa hai meritato per assistere a ciò? “Uccidi, frusta, brucia! Perché tanto timidamente va incontro alla spada? Perché uccide poco audacemente? Perché muore con poco piacere? (lo) si conduca con percosse nelle ferite, prendano colpi a vicenda affrontandosi a petti nudi.” Lo spettacolo è sospeso: “intanto si facciano scannare gli uomini, perché non si faccia niente(=si faccia qualcosa). Andiamo, neppure questo capite, che i cattivi esempi ricadono su quelli che li fanno? Rendete grazia agli dei immortali poiché insegnate ad essere crudele ad uno che non può imparare. 6. È da tenere lontano dal popolo un animo debole e poco capace di tenere(tenax) la rettitudine: facilmente si passa ai più. Una dissimile moltitudine avrebbe potuto togliere (persino) a Socrate, Catone e Lelio i loro costumi: nessuno di noi fino a questo punto, che al massimo adattiamo l’ingegno, (che possiamo) sopportare l’impeto dei vizi che vengono in un così grande affollamento. 7. Un solo esempio di lussuria e avarizia crea molti mali: un commensale raffinato a poco a poco snerva e rammollisce, un vicino ricco scatena la cupidità, un compagno maligno attacca la sua ruggine (ad un altro) per quanto candido e semplice: cosa tu credi possa accadere a questi costumi contro i quali è stato fatto un assalto collettivamente? È necessario che o imiti o odi. Tuttavia, entrambe le cose sono da evitare: né sarai simile ai malvagi, poiché sono molti, né nemico di molti, poiché sono diversi. 5. Così il sapiente è contento di se stesso, non perché vorrebbe essere senza un amico ma perché può; e ciò che dico “può” è questo: sopporta la perdita con animo tranquillo. Certamente non sarà mai senza un amico: ha in suo potere di recuperarne uno in fretta. Come se Fidia avrà perso una statua, subito ne farà un’altra, così questo artefice del produrre amicizie sostituirà qualcuno in luogo della perdita. 6. Chiedi come si farà presto un amico? (Lo) Dirò, se si sarà d’accordo su questo tra me e te, che subito io assolva ciò di cui sono debitore e quanto a questa lettera facciamo pari. Ecatone dice “io ti mostrerò il filtro amoroso senza medicamento, senza erba, senza nessun carme venefico/magico: se vuoi essere amato, ama”. Tuttavia, ha/produce un grande piacere non solo la pratica di un’amicizia vecchia e certa, ma anche l’inizio e il rapporto di una nuova. 7. Questa è la differenza tra un agricoltore che miete e uno che semina, cioè tra quello che si è procurato un amico e quello che se lo sta procurando. Il filosofo Attalo soleva dire che fosse più piacevole farsi un amico che averlo, “come è più piacevole ad un artista dipingere che aver dipinto”. Quella impegnata preoccupazione nella propria opera procura un grande piacere nella stessa occupazione: non si diletta allo stesso modo chi ha allontanato la mano da un’opera completata. Già gode per il frutto della sua arte: godeva della stessa arte mentre dipingeva. L’adolescenza dei figli è più fruttuosa, ma l’infanzia (è) più dolce. 8. Ora ritorniamo all’argomento. Anche se il sapiente è contento/soddisfatto per se, tuttavia vuole avere un amico, se non altro, per esercitare l’amicizia, affinché non giaccia/non sia trascurata una tanta grande virtù, non per ciò che diceva Epicuro in questa stessa lettera, “per avere chi sta accanto a sè da sofferente, che lo soccorre (se) gettato in carcere o nella povertà”, ma per avere qualcuno per cui lui stesso sieda col sofferente, che lui stesso libera (se) circondato dalla guardia del nemico. Colui che mira a sé e per questo si avvicina all’amicizia, pensa male. Come inizia, così finisce: si è procurato un amico contro la possibilità che arrivino impedimenti, non appena la catena scricchiolerà, si allontanerà. 9. Queste sono amicizie che la gente chiama opportunistiche; chi è stato accolto a causa di un’utilità, sarà gradito fino al giorno in cui sarà utile. Per questa cosa una folla di amici circonda i fiorenti (di fama), la solitudine è intorno a coloro che sono abbattuti, e gli amici fuggono da lì dove sono messi alla prova; per questa cosa ci sono questi tanti esempi nefandi di alcuni che abbandonano per paura, di altri che tradiscono per paura. È necessario/inevitabile che gli inizi e la fine coincidano tra loro: chi inizia ad essere amico perché gli conviene – e smette perché gli conviene - sarà conveniente qualche premio (andando) contro l’amicizia, se in quella piace qualcosa oltre quella stessa. 10. “Per cosa ti procuri un amico? Affinché abbia qualcosa per cui possa morire, affinché abbia chi seguire in esilio, per cui io sia mi opponga alla morte sia mi sacrifichi: questa cosa che tu descrivi è contrattazione, non amicizia, che viene da un beneficio, che mira a qualcosa che verrà. 11. Senza dubbio ha qualcosa di simile all’amicizia il sentimento degli amanti; potresti dire che quella sia un’insana amicizia. Dunque, forse qualcuno ama per un guadagno? Forse per ambizione o per gloria? Lo stesso amore per sè, negligente di tutte le altre cose, accende gli animi ad un desiderio di bellezza non senza la speranza di un amore reciproco. E quindi? Da un motivo più onesto si riunisce un affetto turpe? 12. Dici “non si sta discutendo ora riguardo ciò, se un’amicizia si deve bramare per se stessa”. Anzi in realtà niente si deve provare di più; infatti, se si deve aspirare a quella per lei stessa, può accedere a quella colui che è soddisfatto di se stesso. “Come, dunque, si accede a quella?” come ad una cosa bellissima, non preso dal profitto né atterrito dalla varietà della sorte; toglie all’amicizia la sua grandezza chi se la procura per un’occasione buona. 13. “Il sapiente è soddisfatto di sé”. Così, mio Lucilio, la maggior parte interpreta erroneamente: dappertutto allontanano il sapiente e lo obbligano dentro la sua cute. Tuttavia, si deve distinguere cosa e fino a quando la queste parola promette: il sapiente è soddisfatto di sé per vivere beatamente, non per vivere; infatti c’è bisogno per per (fare) questo di molte cose, per (fare) quello soltanto di un animo sano, retto e che disprezza la sorte. 14. Ti voglio annunciare anche la distinzione di Crisippo. Dice che il sapiente non ha bisogno di nessuna cosa, e tuttavia per lui c’è bisogno di molte cose: “al contrario dello stolto ( per cui nessuna cosa è necessaria infatti non sa servirsi di nulla) ma ha bisogno di tutto”. E’ necessario al sapiente per un uso quotidiano sia le mani che gli occhi che molte cose necessarie, (ma) non ha bisogno di nessuna cosa; avere bisogno infatti è della necessità, (ma) niente è assolutamente necessario per il sapiente. 15. Dunque per quanto sia contento di se stesso, c’è bisogno per quello degli amici; questi desidera avere quanti più possibile, non affinché viva beatamente; infatti vive beatamente anche senza amici. Un sommo bene non richiede strumenti dall’esterno; si coltiva in casa, si crea tutto da se stesso; inizia ad essere soggetto alla sorte se richiede qualche parte di sé da fuori. 16. “Tuttavia qual è la vita futura del sapiente, se resta senza amici buttato in prigione o abbandonato in un paese straniero o trattenuto in una lunga navigazione o esiliato in un litorale deserto?” E’ come quella di Giove, quando, dissolto il mondo, e gli dei fusi in uno per breve tempo con una natura cessata si riposa abbandonato ai suoi stessi pensieri. Qualcosa di simile fa il sapiente: si nasconde in se stesso, è con se. 17. Certamente fintanto che è permesso a quello di regolare col suo arbitrio le sue cose, basta a se stesso e prende moglie; basta a se stesso e alleva i figli; basta a se stesso e tuttavia non vivrebbe se fosse destinato a vivere senza un uomo. Nessun suo interesse lo porta all’amicizia, ma uno stimolo naturale; infatti come c’è un desiderio innato per le cose degli altri in noi, così nell’amicizia. Come è in odio la solitudine e il desiderio di vita sociale, come la natura concilia gli uomini tra loro, così c’è in quella cosa anche lo stimolo che ci rende bramosi delle amicizie. 18. Nondimeno nonostante sia molto amante degli amici, li procuri se stesso, spesso li preferisce, limiterà a se stesso ogni bene e dirà quello che lo stesso Stilbone disse, Stilbone che la lettera di Epicuro maltratta. Questo infatti, presa la città, perduti i figli, perduta la moglie, uscendo dal pubblico incendio solo ma tuttavia beato, interrogato da Demetrio, per cui fu soprannominato Poliorcete per la distruzione delle città, se avesse perso qualcosa, dice “tutti i miei beni sono con me”. 19. Ecco un uomo forte e valoroso! Vinse la stessa vittoria del suo nemico. Dice “niente ho perso”: lo ha indotto a dubitare di aver vinto. “tutte le mie cose sono con me”: giustizia, virtù, prudenza, soprattutto, che non possa ritenere buono niente di ciò che ho strappato via. Ammiriamo qualche animale che passa in mezzo al fuoco senza danno dei corpi: quanto (è) più ammirevole l’uomo che attraverso la spada, le rovine, il fuoco uscì illeso e indenne! Vedi quanto sia più facile vincere tutto il popolo piuttosto che un solo uomo? Questa voce è comune anche ad uno stoico: equamente anche questo porta doni intatti attraverso città bruciate; infatti, lui basta a se stesso; in questi limiti delimita la sua felicità. 20. Affinché tu non stima che noi gettiamo solo parole generose, anche lo stesso Epicuro biasimatore di Stilbone emise per quello una simile parola, che tu accetti di buon grado, anche se in questo giorno già ho saldato il conto. Dice “se non sembra a quello (che siano) le sue cose grandissime, pure che sia padrone di tutto il mondo, tuttavia è povero”. O se ti sembra sia meglio dire in questo modo (infatti ciò bisogna fare poiché siamo servi non delle parole ma dei sensi), “è povero chi giudica se stesso non beatissimo, nonostante comandi per il mondo”. 21. Affinché tu sappia tuttavia che questi sensi sono comuni, senza dubbio dettati dalla natura, ti imbatterai presso un poeta comico: non è beato, chi non crede di esserlo . Infatti cosa importa di quale sia il tuo stato, se ti sembra brutto? 22. “E quindi?” dici “se quello si sarà detto beato, ricco turpemente e padrone di molti ma servo dei più, la sua sentenza lo renderà beato?” Non quello che dice ma quello che sente ha importanza, e non se lo sente per un solo giorno, ma assiduamente. Tuttavia non c’è qualcosa che tu temerai che arrivi una situazione tanto grande da un indegno: se non al sapiente le proprie cose non piacciono; ogni stoltezza soffre per il suo stesso fastidio. Stammi bene. Epistola 10 1. E’ così, non cambio parere: fuggi la folla, fuggi i pochi, fuggi anche il singolo. Non ho nessuno con cui vorrei che tu comunicassi. E vedi quale mio giudizio tu abbia: oso affidare te a te stesso. Come dicono, Cratete, discepolo proprio di quello Stilbone che ho menzionato nella epistola precedente, appena vide un ragazzo che camminava appartato, gli chiese cosa ci facesse da solo. “Parlo con me stesso” dice. Cratete gli dice “stai attento ti prego e presta attenzione diligentemente: stai parlando con un uomo cattivo”. 2. Siamo soliti custodire chi si addolora e chi ha paura, affinché non faccia (qualcosa) malamente per la solitudine. Non c’è nessuno tra gli imprudenti che debba essere lasciato a se stesso; ora compiono cattivi consigli, ora o per gli altri o per loro stessi accumulano pericoli futuri ora ordinano pensieri cattivi, ora qualcosa che o per paura o per pudore l’animo celava adesso mostra, ora acuisce l’audacia, eccita la libidine, istiga l’ira. In seguito, l’unico vantaggio che ha la solitudine, di non affidare niente a nessuno, non temere l’opinione, svanisce per lo stolto: lui stesso si tradisce. E così vedi cosa spero per te, anzi cosa riprometta a me (infatti la speranza è il nome dei beni incerti): non trovo qualcuno con cui vorrei che tu fossi quanto con te stesso. 3. Ripeto nella memoria con quanto grande animo tu abbia pronunciato alcune parole, piene di quanta forza: subito me ne sono congratulato e dissi “Queste cose non sono arrivate dalla punta delle labbra, hanno fondamento dalla voce; questo uomo non è uno dal popolo, mira alla salute (dell’anima)”. 4. Così parla, così vive. Vedi che nessuna cosa ti deprima. Benché tu renda grazia agli dei dei tuoi vecchi voti, formulane altri da capo: richiedi una buona mente, una buona validità dell’animo, e poi ora del corpo. Perché non fai spesso questi voti? Chiedi audacemente a Dio: non ci sarà niente che sarà pregato a lui di altri. 5. Ma affinché io invii, come da mia abitudine, la lettera con un qualche regalo, è vero quello che ho trovato presso Atenodoro: “ora sappi che tu sarai assolto da ogni desiderio, quando giungerai al punto che chiederai a Dio nulla se non ciò che puoi chiedere pubblicamente”. Ora, infatti, quanta demenza c’è tra gli uomini! Sussurrano agli dei dei voti turpissimi; se qualcuno movesse l’orecchio, si ammutinerebbero, e narrano a Dio quello che non vogliono far sapere all’uomo. Dunque vedi se questo si possa suggerire utilmente: vivi con gli uomini così come se Dio vedesse, parla con Dio così come se gli uomini ascoltassero. Stammi bene. Epistola 11 1. Un tuo amico di buona indole ha parlato con me, nel quale quanto ci fosse di animo, quanto di ingegno, anche quanto già (sia) progredito, l’inizio della conversazione (lo) mostra. Mi/ci ha dato un assaggio, al quale (cor)risponderà; infatti non ha parlato da qualcosa di preparato, ma compreso improvvisamente. Non appena si raccoglieva, la timidezza, buon segno in un dormire, lieti e ilari/sereni diciamo: ho vissuto e ho compiuto il cammino che la fortuna mi ha assegnato . Se Dio mi avrà dato un domani, lo accettiamo lieti. E’ beatissimo e sicuro possessore di sé chi aspetta un domani senza preoccupazione; chiunque disse “ho vissuto” quotidianamente si alza per un guadagno. 10. Ma già devo concludere la lettera. Dici “così senza nessun denaro verrà a me?” Non temere: qualcosa porterà con se. Perché ho detto qualcosa? Molto. Infatti cosa di più nobile di questa voce che le affido per consegnarla a te? “C’è del male nel vivere in necessità, ma non c’è alcuna necessità di vivere nella necessità”. Perché non ce n’è nessuna? Da ogni parte molte strade si aprono alla libertà, brevi e facili. Rendiamo grazia a Dio perché nessuno può essere costretto alla vita: è lecito calpestare questa stessa necessità. 11. Dici “Epicuro disse: cosa c’è tra te e uno diverso?” ciò che è vero è mio; persevererò nell’importi Epicuro, perché quelli che giurano sulle (sue) parole non capiscono ciò che è detto, ma per questo, sappiano che quelle che sono ottime cose sono comuni (a tutti). Stammi bene. Epistola 13 1. So che in te c’è molto coraggio; infatti anche prima che ti istruissi con precetti salutari e vincenti contro le cose dure, eri abbastanza contento di te stesso contro la sorte, e molto di più dopo che con quella sei venuto alle mani e hai messo alla prova le tue forze, che mai possono dare una fiducia certa di se stesse se non saranno apparse di qua e di là molte difficoltà, una volta sono arrivate veramente e più da vicino. Così quel vero animo è messo alla prova e non che sarà in potere altrui; questa cosa è la sua prova del fuoco. 2. Un atleta non può con grande spirito partecipare ad una gara il quale mai è stato colpito: quello che vede il suo sangue, i cui denti stridere sotto un pugno, colui che abbattuto dagli avversari ha portato con tutto il corpo e avvilito, non ha abbandonato l’animo, colui che ogni volta che è caduto è risorto più resistente, scende in battaglia con una grande speranza. 3. Quindi, affinché io prosegua questa similitudine, spesso già la sorte ti fu sopra, e tuttavia non ti sei arreso, ma ne sei venuto fuori e sei rimasto più severo; infatti la virtù, se stimolata, si accresce molto. Tuttavia, se ti sembra (giusto), accetta da me quei consigli con cui tu ti possa difendere. 4. Sono di più le cose, Lucilio, che ci spaventano quante quelle che dominano, e ci affatichiamo più spesso per un’opinione che per una cosa. Non parlo con te in una lingua stoica, ma in una più sommessa. Infatti noi diciamo che tutte queste cose che tirano fuori un gemito e un muggito sono leggere e trascurabili. Mettiamo da parte queste grandi parole, ma, buon Dio, vere: ti raccomando quello, che non sia infelice prima del tempo, poiché quelle cosa che hai temuto come imminenti, forse mai accadranno, certamente non sono venute. 5. Quindi alcune cose ci tormentano di più quanto debbano (fare), alcune ci tormentano prima di quanto debbano, altre ci tormentano quando non devono affatto; o accresciamo il dolore o lo anticipiamo o lo immaginiamo. La prima cosa la rimandiamo in presenza, poiché la situazione è in controversia e abbiamo una lite/causa attestata. Ciò che io avrò detto leggero tu lo dichiarerai essere gravissimo; so che alcuni ridono tra le fruste, altri piangono per uno schiaffo. In seguito vedremo se queste cose varranno per le loro stesse forze o per la nostra imbecillità. 6. Promettimi questo, che, ogni volta che ti circonderanno coloro che ti persuadono di essere misero, ragiona non su quello che ascolti ma su quello che senti, e con la tua sofferenza decidi e interroga te stesso, che conosci al massimo le tue cose, “cosa c’è perché questi mi compiangono? Cosa c’è perché temono? Perché temono il contagio anche di me”, come se una calamità possa trasalire? Lì c’è qualcosa di male, o questa cosa è più infame che maligna?” Interroga te stesso “forse che mi tormento senza motivo e sono triste e faccio un male ciò che non lo è?” 7. Dici “come potrei capire se mi tormento per cose vane o vere?” Accogli la regola di queste cose: o ci tormentiamo per cose presenti o per cose future o per entrambe. Per le cose presenti l’indizio è facile: se il tuo corpo è libero e sano, e non c’è nessun dolore per le offese, vedremo cosa accadrà: oggi niente ha di preoccupazioni (non c’è niente di cui preoccuparsi). 8. “Ma infatti accadrà”. Per prima cosa rifletti se ci siano certi indizi di mali futuri; la maggior parte, infatti, si affanna in supposizioni, e si prende gioco di noi quella fama che è solita terminare una guerra, tuttavia, ancora di più determina i singoli. Così è, mio Lucilio: in fretta aderiamo ad un’idea; non confutiamo quelle cose che ci portano alla paura né le cacciamo via, ma abbiamo paura e giriamo le spalle così come quelli che una polvere mossa dalla fuga del gregge ha allontanato dall’accampamento o quelli che qualche diceria sparsa senza un autore ha spaventato. 9. Non so le cose vane turbano di più; infatti quelle vere hanno una loro misura/limite: qualunque cosa viene dall’incerto si affida a congetture e capricci di un animo impaurito. E così nessuna paura è tanto rovinosa, tanto irrevocabile quanto il panico; le altre infatti sono senza ragione, (ma) queste senza senno. 10. Indaghiamo quindi attentamente nella questione. E’ verosimile che ci sarà in futuro qualcosa di male: ma non è subito vero. Quante molte cose inaspettate sono venute! Quante molte cose aspettate mai sono comparse! Infatti, se succederà, a cosa giova andare incontro al suo dolore? Abbastanza in fretta soffrirai quando arriverà: intanto prometti a te stesso cose migliori. 11. Cosa guadagnerai? Il tempo. Molte cose interverranno per i quali un pericolo vicino o quasi arrivato o si fermi o finisca o rivolga il capo ad altro: un incendio ha aperto ad una fuga; una caduta ha posto alcuni a terra delicatamente; qualche volta un gladio è tolto proprio dal collo: qualcuno fu superstite del proprio carnefice. Anche la brutta sorte ha leggerezza. Forse sarà, forse non sarà: al momento non è; proponiti cose migliori. 12. Talvolta, con nessun segno apparente che preannuncia qualcosa di male, l’animo immagina per se stesso false immagini: o distorce in peggio qualche parola di dubbio significato o si immagina un’offesa maggiore di quella che è, e pensa non a quanto quello sia adirato, ma quanto è lecito a chi è adirato. Tuttavia non c’è nessuna ragione di vita, nessun limite alle miserie, se si teme quanto può (accadere). Sia utile questa prudenza, con questa forza d’animo respingi la paura anche se evidente. Niente è tanto certo di quello che è temuto quanto è più certo che le cose temute scompaiono sia quelle sperate ingannano. 13. Dunque, esamina la speranza e la paura, e una volta che saranno tutte incerte, favorisci te stesso: credi ciò che preferisci. Se la paura avrà più sentenze, nondimeno inclinati piuttosto verso questa parte e smetti di turbarti e subito dopo volgi l’animo alla maggior parte dei mortali che nonostante non ci sia qualcosa di male e non accadrà per certo, si agita e corre qua e là. Infatti nessuno resiste a se stesso, quando inizia a turbarsi, e non riconduce il suo timore alla verità; nessuno dice “è un autore vano, non è attendibile: o lo ha immaginato o ci ha creduto”. Ci lasciamo portare dal vento; ci spaventiamo delle cose dubbie come certe; non conserviamo una misura delle cose, subito uno scrupolo diventa timore. 14. Mi vergogno di me per parlare con te così e nutrirti di rimedi leggeri. Che un altro dica “forse non verrà”: tu dici “e poi, se verrà?” vedremo chi dei due vincerà; forse viene per me, e questa morte renderà onesta la (mia) vita”. La cicuta ha fatto grande Socrate. Togli a Catone la spada difensore della libertà: toglieresti grande parte della sua gloria. 15. Ti esorto troppo a lungo, mentre per te è più opportuna un’ammonizione che un’esortazione. Non ti conduciamo ad una cosa diversa dalla tua natura: sei nato per queste cose che diciamo; accresci con questo di più i tuoi doni e perfezionali. 16. Devo porre però fine già alla lettera, se ho impresso a quello il suo sigillo, ciò è che le manderò una magnifica massima da mandare a te “tra gli altri mali anche questo ha la stoltezza: inizia sempre col vivere”. Considera cosa significa questa massima, ottimo Lucilio tra gli uomini, e capisci quanto sia deforme oggi la leggerezza degli uomini che ponendo i fondamenti di una nuova vita, intraprendono nuove speranze anche nella fine. 17. Esamina tra te i singoli: arriveranno a te vecchi che si preparano al massimo all’ambizione, alle peregrinazioni, agli affari. Cosa c’è tuttavia di più turpe di un vecchio che inizia a vivere? Non aggiungeremo l’autore di questa massima, se non fosse più segreta e né detta (da me) tra quelle comuni di Epicuro, che mi sono permesso di lodare e adottare. Stammi bene. Epistola 14 1. Confesso che è insito in noi l’amore per il nostro corpo; confesso che abbiamo cura di quello. Non nego che si debba essere indulgenti con quello, nego che si debba esserne chiavi; infatti è schiavo di molti chi è schiavo del corpo, chi teme eccessivamente per quello, chi riconduce tutto a quello. 2. Così noi dobbiamo comportarci, non come se dovessimo vivere per il corpo, ma come se non potessimo vivere senza il corpo; il troppo amore per quello ci inquieta con i timori, ci riempie di preoccupazioni, ci getta tra le offese; l’onesto è vile per quello a cui il corpo troppo gli è caro. Sia portata per quello una diligentissima cura, tuttavia così come, quando esigerà la ragione, quando la dignità, la fede, si dovrà mandare nel fuoco. 3. Nondimeno evitiamo per quanto possiamo anche gli inconvenienti, sono solamente i pericoli, e riconduciamoci al sicuro, capendo subito dopo con cosa si possano tenere lontane le cose da temere. Tre tra quelli, se non sbaglio, sono i generi: è temuta la povertà, temute le malattie e temute quelle cose che arrivano per forza dei più potenti. 4. Da tutte queste cose niente ci agita di più quanto ciò che dipende da un potere straniero; infatti arriva con molto strepito e tumulto. I mali naturali che ho riportato, la povertà e la malattia, subentrano in silenzio e né agli occhi né alle orecchie incutono qualche terrore: grande è l’apparato dell’altro male; ha intorno a sé la spada e il fuoco e le catene e una folla di fiere che immette nelle viscere umane. 5. Pensa a questo punto al carcere, alle croci e a cavalletti, all’uncino e un palo conficcato in mezzo ad un uomo che esce dalla bocca e membra occupate da carri lanciati in direzioni diverse, a quella tunica sia cosparsa che intessuta di alimenti di fuochi e qualsiasi cosa che oltre a queste la crudeltà ha commesso. Dunque non c’è da stupirsi, se il timore è massimo di quelle cose di cui c’è una grande varietà e un terribile apparato. Infatti come più fa il torturatore dove espone i grandi strumenti di dolore (infatti alla vista sono vinti coloro che pazienti resistono), così da quelli che spingono sotto e dominano i nostri animi sono più proficui quelli che hanno ciò che ostentano. Quelle pesti non sono meno gravi – parlo della fame e della sete e le suppurazioni delle membra e la febbre che brucia tra le stesse viscere – ma si nascondono, non hanno niente con cui minacciare, da mostrare: queste cose, come le grandi guerre, vinsero per l’aspetto e l’apparato. 7. Mettiamoci dunque all’opera, asteniamoci dalle offese. Talvolta è il popolo ciò che dobbiamo temere; talvolta, se in una città c’è la disciplina che molte cose passino attraverso il Senato, dobbiamo temere in quello gli uomini influenti; talvolta i singoli a cui è dato il potere del popolo e sul popolo. E’ difficile avere tutti questi come amici, è abbastanza non averli come nemici. Dunque il sapiente mai provocherà l’ira dei potenti, né anzi le schiverà, non diversamente da una tempesta mentre sta navigando. 8. Mentre eri diretto in Sicilia, hai