Scarica Lezioni di Storia Medievale - Della Misericordia M. G. e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Lezioni di Storia Medievale (Prof. Della Misericordia M.) Manuale di Claudio Azzara – Le civiltà del Medioevo Seconda lezione: 05 Marzo 2019 Parte Prima: L'Alto Medioevo Capitolo primo: Il tardo Impero Romano: un'età di trasformazioni Il capitolo primo ci parla di un periodo che è in realtà un po' preliminare al medioevo: il tardo Impero Romano. Primo paragrafo: Istituzioni e società del tardo Impero Romano Ciò che, dal punto di vista dell'argomento del corso, ci interessa chiarire della realtà dell’Impero Romano viene detto chiaramente all'inizio del primo paragrafo, nel primo capoverso. Si trattava di un grande impero con un forte riconoscimento delle élite in una complessiva unità politica però anche molto disomogeneo al suo interno cioè non si deve pensare che l'impero romano fosse una struttura politica che imponeva il dibellamento culturale e l'assimilazione forzata delle popolazioni ma era un insieme variegato di città che però conservavano i propri ordinamenti, le proprie tradizioni giuridiche; popoli che guardavano a Roma come elemento unitario ma in Grecia, si continuava a parlare greco. → E' sicuramente da mettere a fuoco questo primo elemento, questo mosaico di realtà locali integrate ma non necessariamente attecchite. Da questo punto di vista, una dei provvedimenti da considerare fu l'estensione della cittadinanza romana a tutti colore che abitavano all'interno del territorio dell'impero. Questa concessione di cittadinanza a tutti coloro che abitavano appunto all'interno dell'impero si deve all'imperatore Caracalla che nel 212 produsse un documento “Constitutio antoniniana” che in qualche modo riconosceva delle condizioni che potevano interessare perché comportavano dei vantaggi a tutti gli abitanti dell'impero. Che cosa significhi “cittadinanza” naturalmente dipende dai diversi periodi storici. Oggi, noi siamo in un'età in cui, un conto è abitare all'interno di un territorio nazionale ed un conto è avere la cittadinanza: non sono la stessa realtà. Per un romano del I secolo d.C, essere cittadino romano significava, per esempio, avere dei vantaggi sul piano del trattamento durante il processo, non poter essere torturato. Nel primo secolo d.C si poteva abitare nella stessa città, uno poteva essere un cittadino romano ed uno no. Il provvedimento del 212 è un provvedimento di apertura, oggi si direbbe di inclusione, è un provvedimento di estensione di una condizione a cui erano annessi dei vantaggi a tutta la popolazione dell'impero romano. Questa realtà complessa, multiforme ed anche capace di integrazione, aveva tuttavia diversi problemi. L'impero romano nel III secolo d.C era un impero che alla fine del secolo risolve alcuni problemi di instabilità però ne ha altri: • ormai non si espande più, è molto esteso; • ha un esercito che costa molto: avere molte spese sul piano militare naturalmente comporta anche un imposizione fiscale forte cioè queste spese bisogna affrontarle e quindi le risorse bisogna prelevarle da qualche parte. I problemi politici, i problemi sociali e le tensioni interne rendono alquanto problematico il quadro dell'impero romano in questa fase della sua storia. Ci sono delle rivolte sociali, dei moti di tipo ribellistico in alcune regioni dell'impero come in Gallia, nell'Africa Settentrionale (anche legate a questioni religiose). Dunque, c'era in parte un problema di tradizioni anche etno-culturali diverse ed in parte dei problemi sociali economici cioè il senso di appartenenza comune dell'impero romano era un senso condiviso soprattutto dalle élite ed in modo particolare dalle élite cittadine: In queste realtà dell'impero romano come un mondo di città e un mondo di famiglie che governavano su queste città, città provinciali, città piccole ecc., l'apparato dell'impero romano non schiacciava queste realtà ma queste ultime erano sempre dei mondi dentro ai quali c'erano dei gruppi eminenti e al di fuori di queste città, al di fuori di queste élite, c'erano anche strati della popolazione meno integrati come ad esempio alcune realtà della zona della Gallia (grosso modo corrispondente alla Francia), della Penisola Iberica, dell'Africa Settentrionale, in cui c'erano delle parti di popolazione meno assimilate, più irrequiete, meno disposte a riconoscersi nell'unità complessiva dell'impero. Circa le figure degli imperatori, il maggiore spazio che viene dedicato da questo paragrafo ad una delle più importanti figure di imperatori della storia romana è Diocleziano. Diocleziano visse alla fine del III secolo d.C e non era uno di Roma o uno della penisola italica, ma era un provinciale. L'imperatore viene da Spalato, in Croazia quindi una zona che era stata conquistata in seguito nel corso dell'espansione non solo fuori i confini di Roma ma fuori i confini di Italia. A Spalato, nella piazza centrale della città, si trova il Palazzo di Diocleziano. Di Diocleziano, viene ricordata nel 293, la riforma che divide l'impero romano tra una parte di Occidente ad una parte di oriente; è collegato ad una riforma del governo dell'impero, quello che viene chiamato l'ordinamento tetrarchico. Era una divisione dell'impero fra due parti e, per risolvere i continui problemi che c'erano sulla successione alla figura imperiale, di istituire due imperatori a cui erano già affiancati i due successori che avrebbero preso il loro posto. Questa riforma non ha funzionato a lungo o meglio: il sistema di successione non funziona perché la politica romana era dominata da violenti sentimenti di ambizione personale mentre la divisione fra una parte orientale e una parte occidentale di questo mondo mediterraneo , la quale era concepita in modo unitario, fa effetto e ci sarà una diversa storia tra la parte occidentale e la parte orientale dell'impero. Di Diocleziano, è importante tutta una riforma dell'amministrazione per cui egli organizza in modo nuovo il territorio dell'impero suddividendolo in circoscrizioni, una riforma del fisco ed inoltre un tentativo di imporre un calmiere dei prezzi cioè per alcune merci, il prezzo viene fissato dallo Stato e non viene rimesso a spontanei funzionamenti dell'economia. Dunque, di fronte ai problemi sociali, si interveniva sia cercando di accrescere la stabilità politica, sia organizzando l'amministrazione, sia intervenendo sulle tasse, sui prezzi, sia organizzando l'esercito e via dicendo. Si può dire che questo grande tentativo avesse vantaggi e svantaggi perché senz'altro diventa anche più pesante la macchina statale cioè il funzionamento dell'autorità politica diventa più gravoso per il complesso della società. Secondo paragrafo: Le stirpi barbare Altrettanto importante è capire cosa ci fosse al di fuori dell'impero romano, sopratutto su un fronte che è un fronte particolarmente complesso e mobile. → Questo è possibile visualizzarlo attraverso la carta numero uno (Fig. 1. Le diocesi dioclezianee e le province dell'impero romano cioè l'impero romano suddiviso nelle sue circoscrizioni amministrative). L'impero romano aveva naturalmente più di un confine: c'era un impero con cui confinava e cui c'erano stati alterni rapporti di conflitto e di pace nell'area che per noi è il Medio Oriente ovvero l'impero erede della Persia, l'impero sassanico. Nella carta numero uno, c'è tutta un'area bianca corrispondente all'attuale Germania e a paesi dell'est Europa. L'area bianca ovvero l'area oltre i confini del Reno e del Danubio, due grandi fiumi che avevano costituito il punto di arresto già dal II secolo d.C dell'espansionismo romano era il mondo delle stirpi barbare. E' importante sottolineare due punti: • pensare che questo mondo fosse un mondo completamente altro, completamente separato rispetto all'impero romano cioè fino a quando non c'è la fatidica caduta l'impero romano d'occidente e lo stabilirsi delle popolazioni barbariche nel territorio dell'impero romano d'occidente, cioè fino a quando non c'è un esito conflittuale del rapporto fra questi due mondi, questi mondi non fossero in rapporto cioè che fossero due entità senza scambi, senza legame, invece no, c'erano sia degli scambi di carattere economico in quanto c'erano dei flussi di prodotti che andavano nell'una e nell'altra direzione e soprattutto c'era il sistematico impegno di capi e guerrieri di origine barbarica nell'esercito romano. L'esercito dell'impero romano, esercito che in passato era stato costituito dai cittadini romani, vive grazie all'arruolamento dei barbari. I barbari fanno anche, in alcuni casi, delle carriere molto importanti all'interno dell'esercito: siccome tra esercito e carica imperiale c'è sempre stato un forte legame e l'esercito è stato in più occasioni capace di condizionare la scelta dell'imperatore, ci sono state fasi in cui, in sostanza, capi militari di origine barbarica erano capaci di influenzare al massimo livello lo stesso potere imperiale romano. Quindi, c'è una lunga presenza, anche funzionale ai disegni dell'impero romano, all'interno, soprattutto del suo esercito, delle popolazioni barbariche. Ci sono state due possibili forme di accordo: • foederatio: il foederatio è un accordo per cui Roma conveniva con un capo barbaro un pagamento di denaro che veniva assicurato da Roma in cambio di una fornitura di truppe al servizio di Roma stessa; ci si accorda, Roma paga l'ingaggio di combattenti barbari. • hospitalitas: l'hospitalitas è qualcosa di più in quanto è un accordo che prevede anche lo stanziamento propria tradizione, va anche ad incontrare la tradizione della cultura greca e romana, dando luogo ad una sintesi e rafforzando il suo prestigio intellettuale quindi ci sono stati atteggiamenti diversi, ci sono stati magari degli ispettori cristiani più inclini a sottolineare la loro lontananza e separazione dalla tradizione della cultura greca e romana ma per lo più il rapporto è stato un rapporto di sintesi Secondo paragrafo: Il formarsi delle istituzioni ecclesiastiche Il cristianesimo si organizza attraverso delle istituzioni quindi, non è solo spontaneità, non è solo un mondo di comunità ma è un mondo che ha delle gerarchie, che ha delle strutture che sono durate nel tempo. La figura davvero significativa del cristianesimo delle origini e dei primi secoli è il vescovo cioè il capo della comunità cristiana della città. In quegli insediamenti del mondo romano che avevano il titolo di città, a cui era riconosciuto il rango di città, in questa realtà c'è il vescovo, il capo di questa comunità mentre molto più lentamente si diffondono delle chiese anche nelle campagne, soprattutto nelle ville di grandi aristocratici romani o in centri un po' più importanti di altri; il nome delle prime chiese che si diffondono nelle campagne è pieve. Le pieve sono le chiese che sorgono al di fuori delle città e che rappresentano i primi punti di coagulo delle comunità cristiane delle campagne. Mentre oggi il Papa viene identificato con la Chiesa cattolica (Chiesa = Papa; il Papa è sovrastato da un punto di vista mediatico, prende delle decisioni ecc.), fino al 1100, la figura del Papa è quella di un vescovo tra gli altri con un particolare onore che gli deriva dalla sua sede a Roma, dal fatto che la sede vescovile romana viene collegata alla memoria di San Paolo e San Pietro che avrebbero portato il cristianesimo a Roma, ma non è che tutta la Chiesa è accentrata dalla figura del Papa da un punto di vista decisionale ecc., è più un mondo di comunità cittadine con i loro vescovi che, nella grande crisi del mondo romano occidentale, cominciano ad avere non più solo una funzione di un punto di riferimento religioso ma diventano delle autorità delle città cioè si occupano della città da diversi punti di vista, ad esempio, trattano con gli eserciti barbarici, difendono i poveri, cercano di procurare i generi alimentari nei momenti di carestia; diventano proprio dei leader delle città come lo è stato Ambrogio nella città di Milano. Terzo paragrafo: Il monachesimo Il terzo paragrafo ci spiega che non tutti all'interno del mondo cristiano si sono riconosciuti in queste strutture cioè, non è che fossero contro ma non gli bastavano, non bastavano alle loro esigenze spirituali e allora ci sono, dai primi secoli fino a quando il cristianesimo diventa la religione dell'impero romano, delle persone che vogliono invece lasciare la città, ritirarsi nel deserto, ritirarsi in solitudine o in piccole comunità per vivere una vita cristiana più austera, di rinunce, di testimonianza sentita come più autentica. → Questo è il monachesimo. Vi sono due definizioni: • eremitismo: tipo di monachesimo che si vive in solitudine (gli eremiti); • altre esperienze che hanno carattere di comunità. Il monachesimo nasce in oriente, nasce nei deserti della Siria e della Palestina ma poi si diffonde anche in occidente. Alcuni gruppi monastici come quello a cui da vita Benedetto nel VI secolo, i benedettini ed il monachesimo che si sviluppa in Irlanda, saranno anche molto importanti culturalmente perché poi all'interno del monastero, nel mondo occidentale, avverrà il grosso della trasmissione culturale e della conservazione dei manoscritti antichi. Il quarto (L'evangelizzazione dei barbari) e il quinto (La definizione del dogma) paragrafo riguardano alcune cose che cambiano profondamente la posizione del cristianesimo all'interno ed all'esterno del mondo romano. Nel 313, Costantino consente ai cristiani di praticare la loro religione, successivamente, il cristianesimo continua a diffondersi, continua ad affermarsi anche ai vertici dell'impero (gli imperatori erano ormai cristiani) e con due editti di un successore di Costantino, Teodosio, il cristianesimo viene proclamato unica religione dell'impero. Nel 380, da parte dell'imperatore Teodosio, che dalla città in cui viene emesso, viene chiamato Editto di Tessalonica, che è un editto che stabilisce il cristianesimo come unica religione ammessa. In cento anni, il cristianesimo passa dall'essere una religione perseguitata, ad essere una religione ammessa, ad essere l'unica religione ammessa; prima si rischia di morire per il fatto che si è cristiani, si può essere cristiani e si deve essere cristiani (→ possibile domanda matrice, ordinamento cronologico). E' una trasformazione di carattere religioso e culturale radicale cioè un impero non tradizionalmente capace di ospitare diversi culti arriva ad essere un impero che riconosce una sola religione e ammette la tradizione ebraica, per poi allontanare i culti pagani. Nell'ambito di questo processo, non bastava più dire di essere cristiani cioè essere cristiani ma come?, perché in realtà c'erano diverse opinioni su questioni fondamentali, quelle che venivano chiamati dogmi cioè i contenuti della fede; comunità diverse, persone diverse, autorità all'interno della Chiesa non necessariamente erano d'accordo su questioni importanti come la natura di Cristo, l'identità di Maria, la definizione della Trinità ecc. Il cristianesimo mentre diventa la religione ufficiale dell'impero romano, in un certo senso, sente anche il bisogno di specificare in modo più univoco il sistema delle proprie credenze: una religione nata da poco tempo su cui potevano esserci delle incertezze, delle diverse tradizioni di diverse città, considerando anche la natura policentrica che aveva il cristianesimo, diventa necessario specificare i contenuti della credenza attraverso dei concili cioè delle riunioni di vescovi (c'è tutta una sequenza di concili che prendono il nome dalla città in cui si sono tenuti cioè in cui i vescovi provenienti da diverse regioni del mondo cristiano si sono riuniti per definire i contenuti di queste credenze). E' importante ricordare nel 325 il concilio di Nicea per varie ragioni: 1. è proprio un concilio in cui si vede l'alleanza che ormai si sta stabilendo tra l'autorità politica e l'autorità religiosa perché l'imperatore Costantino, che era appunto un imperatore e non un vescovo, aveva un ruolo molto importante in questo concilio in quanto l'imperatore interviene, ha l'esigenza che i diritti cristiani si riconoscano in un orizzonte unitario di credenze che non siano divise tra mille comunità religiose; 2. a Nicea ci si pronuncia sull'identità di Gesù Cristo nel modo che verrà ritenuto definitivo nei secoli a venire cioè gran parte del credo che viene recitato oggi nelle chiese è stato stabilito a Nicea nel 325, ma nel momento in cui si definisce in questo modo la natura di Cristo, si condanna una specifica forma di cristianesimo che è l'arianesimo. L'arianesimo prende il nome da un sacerdote della grande città di cultura greca, in Egitto, di Alessandria, il quale pensava che Cristo non si situasse allo stesso livello di divinità del padre cioè non aveva la concezione della trinità che poi è quella della tradizione cristiana vincente. Questa posizione che considera Cristo inferiore al Padre viene condannata. I barbari conosceranno il cristianesimo proprio in questa forma. Se noi torniamo al tema delle relazioni tra i popoli e tra le loro culture, alle molteplici forme in cui può avvenire questa relazione, ci è molto chiaro che, anche a partire dall'attualità, una parte significativa dell'identità dei popoli viene affermata spesso attraverso la religione. L'arianesimo diventerà un fatto identitario cioè l'arianesimo non sarà la forma di cristianesimo del mondo di tradizione romana ma sarà invece il cristianesimo dei barbari perché colui che traduce la Bibbia nella lingua dei goti era un vescovo di fede ariana. Quindi, molti conflitti significativi da un punto di vista politico nel Regno dei longobardi d'Italia o nel Regno di Teodorico in Italia, saranno conflitti, vissuti, rappresentati se non proprio causati dal fatto che da un lato vi era il cristianesimo che si dichiarava appunto al credo di Nicea dei romani, dei loro vescovi, del Papa e dall'altro c'era il cristianesimo di tradizione ariana dei barbari. Il Re dei Franchi, Clodeveo, attorno al 500, si fa battezzare come cristiano cattolico: questo, in un mondo che per secoli, per tre secoli almeno, sentirà la divisione tra cristiano cattolico e cristiano ariano come una questione identitaria sarà molto significativo cioè il fatto che il Re dei Franchi e i Franchi in generale, fra gli altri barbari, non siano ariani ma cattolici, li avvicinerà in modo particolare alla componente romana dalla popolazione e li avvicinerà anche al Papato, nel suo lento processo di crescita e di acquisizione di importanza. Terza lezione: 06 Marzo 2019 Capitolo terzo: I regni dell'Occidente medievale Cosa succede nel mondo europeo e nel mondo mediterraneo? Vi sono delle specificità nelle diverse zone dell'Europa e del mediterraneo. Abbiamo visto come ad un certo punto delle visioni (?) geografica e politica, tra l'impero romano e il mondo che era fuori dall'impero romano per ragioni militari, sociali ecc. non regge più e chi era fuori, a partire dalla battaglia di Adrianopoli del 378, si mette anche in grado di affrontare efficacemente da un punto di vista militare le truppe dell'impero romano, si insediano nelle terre dell'impero (prima questo avveniva nelle forme negoziate come il foederatio e l'hospitalitas, in modo particolare l'hospitalitas e dopo anche in modo non negoziato). Da un certo momento in poi, almeno in Occidente, anche un simbolo come quello rappresentato dalla città di Roma viene violato (il simbolo unitario della superiore autorità politica come quello rappresentato dall'imperatore romano d'Occidente non c'è più) e quindi iniziano, tra V e VI secolo delle esperienze nuove da un punto di vista sociale, culturale e politico che noi possiamo anche guardare in un certo senso con una semplicità di partenza, con un certo senso intuitivo del tipo di cose che conseguono a determinati eventi cioè all'interno di una zona ormai di radicata tradizione romana come era la Penisola Iberica o come era la Gallia, si insedia un popolo diverso con il proprio re, con il proprio esercito, con delle proprie tradizioni e addirittura, per complicare ulteriormente il quadro, quasi sempre anche con delle religioni diverse (i barbari non erano cristiani ma erano convertiti al cristianesimo ariano, ad un cristianesimo che dava un senso di divisione rispetto al cristianesimo romano cattolico cioè quello della popolazione). Quindi, cosa sarà successo? Naturalmente è una situazione che evidentemente ha delle potenzialità conflittuali e come ben sappiamo, anche nel momento in cui succede che entrano, anche repentinamente in contatto culture diverse e tradizioni diverse, il conflitto non è l'unica possibilità; esistono gamme di esperienza umana ampie che sono di tipo negoziale, di scambio, di trasformazione. Ci sono state delle zone in cui il conflitto è stato più aperto e più violento, ci sono state delle zone invece in cui sono stati prevalenti processi di assimilazione ed inoltre c'è stata anche una situazione in cui si cercava di convivere senza mischiarsi; sono tante le possibilità e tante le situazioni che esistono in contesti segnati da delle convivenze tra culture profondamente diverse. Il problema principale è legato alla compresenza all'interno di uno stesso spazio, di tradizioni diverse sul piano del diritto; il piano del diritto non riguarda la legge in modo astratto ma la vita delle persone come ad esempio, secondo quale diritto sarà regolato il matrimonio? Secondo quale diritto l'eredità? Secondo quale diritto il ruolo femminile? Ad esempio, oggi in Italia non c'è il matrimonio poliadico (?) e quindi potrebbe esserci una rivendicazione in quanto in una tradizione specifica esisteva, ma la legge, come si pone rispetto a questa situazione specifica? Lo consente o non lo consente? Questo riguarda i diritti delle persone. Primo paragrafo: I nuovi regni dell'Occidente e la convivenza fra i barbari e i romani Il primo paragrafo racconta che convivono all'interno di uno stesso territorio, la popolazione romana di tradizione urbana con una grande aristocrazia terriera e amministrativa e delle popolazioni che in questi territori si erano trapiantate e che avevano la forza delle armi cioè l'esercito. I romani gestiscono la parte amministrativa mentre i barbari gestiscono le cariche militari. Quando in un Regno, un re emanava le leggi, era importante capire quale diritto seguire in quanto esistevano, in linea di massima ed ed in linea generale, diversi sistemi giuridici. All'interno di uno stesso Regno, romani e longobardi seguivano ognuno la propria tradizione giuridica (romani → tradizione giuridica romana e longobardi → tradizione giuridica longobarda). Questo è anche un fatto identitario: ad esempio, in una vendita, il venditore doveva dire che professava la legge romana o la legge longobarda e quindi, il venditore, per la tradizione nazionale, seguiva il suo sistema di leggi. Quando questi regni non esisteranno più con la loro struttura, l'evoluzione sarà verso regimi politico-giuridici. Può culturalmente toccarci di più l'idea di trovarci di fronte ad una fase di grandi trasformazioni politiche, di instabilità ma anche di violenza in quanto questi fenomeni non avvengono in modo tranquillo, in cui fanno attrito fra loro tradizioni giuridiche, consuetudini di popoli diversi nello stesso territorio e, di volta in volta, a seconda di come si comporteranno i re, a seconda di come si presentava il retaggio romano nelle diverse fusione. Quindi, il re Teodorico era la sintesi, intorno a lui c'erano sia guerrieri del suo popolo sia intellettuali romani di profonda cultura romana (alcuni degli autori più significativi vivevano sotto il suo Regno, uno di questi fu Cassiodoro, un suo collaboratore proprio negli affari di governo. Nell'entourage amministrativo di questo re barbaro operava un grande autore della tarda natività, un intellettuale romano in tutto e per tutto, un cattolico). Collaborazione, distinzione però non si ebbe fusione in quanto gli ostrogoti conservarono la loro tradizione romana e non si convertirono al cattolicesimo. Questo contribuì ad una certa conflittualità di fondo che non si risolverà in quanto con la componente religiosa e cattolica, con il vescovo di Roma ci furono dei conflitti, ci furono anche delle vicende personali tragiche, e questa componente della popolazione tenderà comunque a guardare all'impero romano d'oriente come al proprio referente naturale e quando Teodorico muore e gli succedono dei re che non hanno il suo carisma ecc, già negli ultimi anni del suo Regno, emergono dei conflitti, emergono delle tensioni che poi porteranno ad una lunga guerra combattuta sul suolo italiano, tra l'impero romano d'oriente e gli ostrogoti, in cui gli ostrogoti verranno sconfitti ed il loro Regno finirà. Tuttavia, l'impero romano d'oriente non uscirà vincitore in quanto fu una guerra pesante, in cui si esaurirono le risorse non solo materiali ma anche in termini di umani, di soldati dell'Italia e questo favorirà la penetrazione di un'altra popolazione, la popolazione dei longobardi che nel 569, si insediarono nell'Italia settentrionale. Domanda studente: In che anno finisce il Regno di Teodorico? Risposta professore: Sono due problemi diversi: un conto è quando finisce il Regno degli ostrogoti e un conto è quando finisce il Regno di Teodorico. Il Regno di Teodorico finisce con la sua morte. Il Regno degli ostrogoti si dissolve un po' alla volte, si estenua in questa lunga guerra con l'impero romano d'oriente che viene però combattuta in Italia (sono le truppe dell'impero romano d'oriente che invadono l'Italia). Fu una lunga guerra, di circa venti anni che sconvolge l'Italia, che la impoverisce e la divide. Questa guerra segna la fine del Regno degli ostrogoti e un breve momento di restaurazione dell'autorità dell'imperatore romano d'oriente. E' il momento in cui c'è una grande figura di imperatore come imperatore romano d'oriente che riesce a riconquistare alcune zone dell'occidente che erano passate sotto regni barbarici. In successione (si parla di decenni): Teodorico vive tra la fine del V e l'inizio del VI, ci sono altri re ostrogoti che non hanno il suo stesso carisma, la sua efficacia politica, c'è la riannessione dell'Italia all'impero romano d'oriente ed infine c'è l'arrivo dei longobardi. Dunque, potremmo dire che il Regno degli ostrogoti finisce a metà VI secolo. → Settimo paragrafo: Il Regno dei longobardi E' in questa Italia molto provata dalla guerra che arriva un'altra popolazione barbarica che riesce ad imporsi militarmente anche per questa situazione di debolezza politico-militare. La popolazione dei longobardi non ha la storia che aveva Teodorico cioè la popolazione dei longobardi non aveva alle spalle una consuetudine di contatto e di scambio con il mondo romano in quanto i longobardi erano partiti dalla Scandinavia, avevano fatto un lungo itinerario attraverso l'Europa, si erano fermati in luoghi corrispondenti alle zone dell'odierna Ungheria (almeno secondo la ricostruzione tradizionale, la quale è soggetta a critiche e revisioni) e quindi, questa popolazione che non aveva avuto il contatto con il mondo romano che invece avevano avuto altre popolazioni, aveva anche una linea di condotta molto diversa verso la componente romana e di tradizione romana. L'arrivo dei longobardi segna una discontinuità maggiore rispetto a quella segnata dall'arrivo degli ostrogoti in quanto hanno una condotta più aggressiva. In linea di massima, non ci sarà a lungo un tentativo di sintesi cioè il rispetto dei proprietari appartenenti all'aristocrazia romana e ai vescovi cattolici che poteva aver avuto, almeno all'inizio, Teodorico. I processi saranno molto più lenti che altrove o comunque si verificheranno più tardi. La prima importante messa per iscritto delle leggi longobarde risale al 643 ed è l'Editto di Rotari. L'Editto di Rotari è innanzitutto scritto in latino, quindi i longobardi scrivono le loro leggi in latino, la lingua dei romani ed inizia con una lunga sequenza che ricorda i re dei longobardi per generazioni: è un documento a metà tra identità tradizionale ed evoluzione dell'identità, tra memoria del popolo e acquisizione della lingua e degli aspetti della cultura romana. Attorno alla metà del VII secolo, che è un momento di passaggio importante per tutti questi popoli, c'è sia la conversione dall'arianesimo al cattolicesimo, sia dei processi di fusione sociale in quanto sembrerebbe che l'esercito dei longobardi, che era una tradizione che assimilava l'idea di un membro del popolo dei longobardi di condizione giuridica libera a combattente, e che si struttura per gerarchie economiche, contemplasse la possibilità che un proprietario di ascendenza romana potesse far parte dell'esercito. Inoltre, c'è anche un rafforzamento del potere del re, il quale all'inizio non è capace davvero di coordinare l'azione di tutti i potenti longobardi; quindi, questo rafforzamento del potere del re segnala una qualche tendenza di unitarietà. → Nella Fig. 3. Il Regno longobardo nel 744, si può vedere come il Regno longobardo fosse un Regno ormai di scala italiana. L'area colorata in bianco è la superficie del Regno; restano fuori alcune zone costiere della Romagna, delle Marche, di Venezia, la zona costiera di Roma, tutta la Calabria, la Sicilia, le quali sono zone dell'impero romano d'oriente teoricamente, ma di fatto hanno una certa autonomia come la zona di Roma e del Lazio, le quali ruotano attorno alla figura del Papa. Il fatto che il Regno possa tendere verso una maggiore integrazione sociale, che veda il rafforzamento del potere del re, un consolidamento geografico, un avvicinamento ai cattolici con la conversione del Regno, e quindi che si evidenzino degli elementi di stabilità e di coesione socio-politica, non significa che tutti i problemi siano risolti e soprattutto resta conflittuale il rapporto con il Papato. Il Papato si sente accerchiato dal Regno dei longobardi e la tendenza che avranno i papi nell'VII secolo, sarà quella di rivolgersi al popolo che ha stabilito un rapporto privilegiato con il Papato cioè i Franchi cioè sarà il Papato in opposizione ai longobardi, timoroso dell'espansione longobarda, che incoraggerà i Franchi a espandersi politicamente e militarmente in Italia. La caduta del Regno dei longobardi avviene nel 774 ad opera di Carlo Magno. Capitolo quarto: Lo spazio mediterraneo nell'Alto Medioevo: Bisanzio, l'Islam Primo paragrafo: L'impero di Giustiniano e Secondo paragrafo: Gli slavi e i bulgari. Terzo paragrafo: L'impero bizantino nei secoli VII-IX e Quarto paragrafo: Lo scisma della cristianità: cattolici e ortodossi L'impero romano d'oriente continua ad esistere e conserva a lungo una maggiore prosperità delle sue città, della sua vita economica e alla metà del VI secolo (527-565), ci fu una figura di grande capacità politica, Giustiniano, il quale fu uno dei protagonisti della vita politica del mediterraneo del suo tempo. Giustiniano operava in campo religioso in quanto è un imperatore nella tradizione di quegli imperatori che intervengono molto negli affari religiosi considerandoli parte degli affari politici. Operava nella sfera giuridica in quanto egli promuove il corpus iuris civilis, una codificazione del diritto romano; con Giustiniano si sistematizzano secoli di leggi, di pareri giuridici cioè è una grande opera di sintesi della tradizione giuridica romana, un'opera di ritorno alle radici della cultura romana e del loro sviluppo in senso giuridico. Inoltre, è importante la sua iniziativa militare e politica nel senso che a Giustiniano si devono tentativi di riprendere e di riassoggettare al potere dell'imperatore romano d'oriente con sede Costantinopoli (cioè Bisanzio e poi Istanbul), delle terre che erano state dell'impero romano d'occidente e lo fa in Italia, con enormi sacrifici e con esiti molto parziali, nell'Africa che era stata sotto i vandali ci riesce, in Spagna non riesce perché i visigoti sono capaci di resistere. Tutti questi territori devono anche essere riorganizzati amministrativamente e quindi alla conquista militare si accompagna un'iniziativa di carattere amministrativo. Pragmatica sanctio è il documento che nell'Italia che era stata temporaneamente riconquistata contro gli ostrogoti, tenta di introdurre una organizzazione amministrativa. Dopo un imperatore che riesce a promuovere un'azione sul piano religioso, militare, politico, amministrativo, ci saranno ancora imperatori importanti ma un po' alla volta, l'impero romano d'oriente andrà restringendo il suo territorio anche limitando le sue ambizioni politiche. Anche se continua a chiamarsi impero romano d'oriente, svilupperà una più chiusa realtà limitata al mondo mediterraneo orientale che non ha più la forza di proiezione che poteva avere con Giustiniano, e diventa un realtà separata sia sul piano religioso, sul piano linguistico. Nel 1054, ci fu la separazione tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli cioè la Chiesa ortodossa; precedentemente c'era stato un lungo processo di reciproco allontanamento anche conflittuale. Quindi, i cristiani ortodossi, i cristiani d'oriente precisano un'identità diversa. Nell'Europa dell'est, alcune zone erano di tradizione cattolica, come la Polonia mentre altre zone erano di tradizione ortodossa come l'Ucraina. Questo dipende dalle iniziative missionarie che risalgono al primo millennio di storia cristiana e che nascono da queste due chiese che tendevano a separarsi e che dal 1054 si separarono. Quarta lezione: 11 Marzo 2019 Continuo Capitolo quarto: Lo spazio mediterraneo nell'Alto Medioevo: Bisanzio, l'Islam Quinto paragrafo: L'Arabia preislamica e Sesto paragrafo: Maometto e la nascita dell'Islam Il processo di carattere religioso che avrà un fortissimo impatto su tutta la storia commerciale, politica, culturale del mediterraneo è il passaggio della Penisola Arabica, da un insieme di culti tradizionali di stampo pagano, alla conversione ad una religione monoteistica, la quale è oggetto della predicazione di Maometto, all'inizio del VII secolo. Maometto morirà nel 632. Nonostante la sua predicazione abbia anche incontrato delle resistenze, la fede da lui proclamata, viene accolta, si diffonde e questo si accompagna ad un grandissimo slancio di carattere militare, di conquista che si registra anche a partire dai suoi immediati successori. Dopo, c'è un periodo detto dei “quattro califfi”: alla guida degli arabi, si succedono dei capi che potevano vantare un legame di carattere familiare con Maometto; solo in seguito ci sarà invece un'altra dinastia. → In generale, il 632 è l'anno della morte di Maometto; successivamente, c'è un trentennio che corrisponde al periodo dei “quattro califfi” cioè una una fase espansiva. Settimo paragrafo: L'espansione dell'Islam Successivamente a questa fase, ci sono dei conflitti tra diverse correnti che non hanno la stessa concezione sul ruolo dell'autorità politica. Questo momento di divisione è una distinzione che ancora oggi esiste: Sunniti e Sciiti. Pagina 67 e 68 del manuale: “Scoppiò un conflitto aperto fra quanti sostenevano il principio che il califfo dovesse essere un membro della famiglia del Profeta e quanti pretendevano invece che gli dovesse essere scelto per meriti, su base elettiva. Nel 660, i fautori della seconda posizione, detti “sunniti” ebbero la meglio sui partigiani di Alì (gli “sciiti”, vale a dire i membri del partito, shi'a di Alì) che cadde ucciso.” In sostanza, una è una concezione che intende collegare direttamente il potere legittimo alla discendenza e della parentela di colui che lo detiene con la figura del profeta; i sunniti ritenevano che il califfo cioè la guida politica dell'Islam, potesse essere anche eletto in base alla considerazione della persona e quindi, un'idea più giuridica, pragmatica del potere piuttosto che una concezione di tipo carismatico del potere. Il paragrafo finisce ricordandoci che la frattura tra Sunniti e Sciiti perdura ancora oggi. → In generale, all'interno di queste vicende che riguardano il vertice del potere, si origina questa distinzione tra Sunniti e Sciiti. Gli sciiti erano i seguaci di Alì e ritenevano che il califfo cioè la guida politica della compagine araba islamica dovesse appartenere alla discendenza dei parenti del Profeta Maometto. Questo non era solo un fatto meramente dinastico ma una concezione del potere o meglio, il potere era concepito in termini più carismatici, in termini di carisma religioso. Ottavo paragrafo: I califfati degli Omayyadi e degli Abbasidi In questa fase, prevalgono i Sunniti (i secondi, gli Sciiti, governano più ad oriente e in un mondo in cui sono anche più numerosi gli sciiti) e si affermano due dinastie: Omayyadi e Abbasidi, le quali si alternano alla guida del mondo islamico (prima una e poi l'altra). → La divisione tra Sunniti e Sciiti è una divisione che si origina all'interno di questa successione di potere. → Le due dinastie, Omayyadi e Abbasidi, non governano una sui Sunniti ed una sugli Sciiti ma sono due dinastie che si succedono, una dopo l'altra. La dinastia degli Omayyadi segna l'affermazione dei Sunniti da circa metà del VII secolo (660) fino a metà dell'VIII secolo mentre a metà dell'VIII secolo vi è l'affermazione della dinastia degli Abbasidi che riporta in auge gli Sciiti. Per circa duecento anni, anche se ci sono delle realtà locali all'interno del mondo islamico che precisano la loro identità, questo sarà un grande impero cioè non sono persone che dividono lo stesso credo religioso, anche con delle distinzioni, ma un unità politica cioè un mondo largamente integrato che come nei Visigoti, arriverà a partire dal 711 a comprendere la Spagna e quindi, darà vita ad una unità politica commerciale o comunque un'area di scambio economico e di unità religiosa che va dal mediterraneo occidentale (la Spagna) fino all'Asia Centrale. Quindi, a partire dalla Penisola Arabica, che è il punto di partenza di questa espansione, sotto queste dinastie, verranno conquistate: la Persia, l'area della Siria, della Palestina, dell'Egitto che facevano parte dell'impero romano d'oriente, Nord Africa Occidentale e Spagna. Nella sua espansione, avrà le caratteristiche di mantenere a lungo una sostanziale unitarietà, una forma di governo accentrata fin che non impedisce che all'interno di questo impero ci siano anche delle comunità di fede cristiana o di fede ebraica cioè, l'esercito, il vertice amministrativo, la corte del Califfo sono di fede islamica ma nelle varie città dell'Egitto o altrove, continuano ad esserci delle comunità cristiane ed ebraiche che hanno le proprie tradizioni, pagano una speciale tassa e svolgono attività di carattere economico, anche di elaborazione culturale; questo sarà molto evidente soprattutto nell'area della Spagna. (Tassa che veniva richiesta a quelle comunità che non erano di fede islamica (ebrei o cristiani) alle quali si consentiva di praticare i loro culti tradizionali). In età Omayyade, la capitale è Damasco (città che fa parte dell'area mediterranea), la quale verrà portata più 1. esistenza di circoscrizioni di carattere amministrativo; 2. esistenza di leggi con validità generale: per molto tempo, erano state vigenti delle norme di tradizione etnica; per esempio, possiamo ipotizzare che all'interno del Regno longobardo ci fosse la componente longobarda della popolazione che seguiva le proprie leggi in materia di proprietà, successione e matrimonio e la popolazione romana. Queste leggi non vengono meno ancora per secoli in quanto la gente stipulava un contratto scritto in cui diceva che era di tradizione longobarda o di tradizione romana però a queste leggi si affiancano anche delle norme che riguardano il territorio dell'impero. 3. funzioni di controllo. Terzo paragrafo: Il rapporto vassallatico-beneficiario Il rapporto vassallatico-beneficiario è un rapporto di fedeltà tra due persone che non deve essere confuso come un contratto/rapporto agrario nel senso tra il padrone della terra e il contadino, ma è un rapporto di fedeltà personale, un rapporto clientelare in cui il signore cioè colui che è più potente, concede una terra o una rendita a qualcuno che si lega a lui come un nobile o un combattente, non un contadino. In questo rapporto, il signore concede un bene economico come una terra, una entrata di carattere economico che aspetta a lui al vassallo e quest'ultimo si mette a servizio del potente (si chiama proprio vassallatico- beneficiario perché c'è un vassallo che entra nel circuito di fedeltà di un potente e riceve in cambio un beneficio come la terra o un'entrata di carattere economico). Bisogna capire che: • non è un affitto; • il rapporto vassallatico beneficiario non ha un contenuto esclusivamente economico ma serve a stabilire un rapporto di fedeltà tra una persona potente ed una meno potente che non è un contadino. • non è che il fatto che ci siano questi legami personali, alcuni molto importanti per la politica o per l'esercito, significa che non ci fosse un funzionamento di apparato pubblico o meglio, ci sono legami personali, il re ha i suoi vassalli quando si fa la guerra e quindi, quanto il re deve contare su qualcuno per avere figure di fiducia per il governo fa riferimento ai legami vassallatico-beneficiari però, il fatto che ci sia questo sistema clientelare, non significa che non ci sia un apparato pubblico perché l'impero carolingio funziona anche con determinate funzioni che noi consideriamo appartenenti alla sfera della statualità. Il rapporto vassallatico-beneficiario è importante per il grande slancio di conquista militare che i Franchi dimostrano nel mantenere lo Stato e mantenere l'esercito ma non si riduce tutto a questo. Quarto paragrafo: L'Italia carolingia Nel 774, L'Italia viene a far parte di questa compagine imperiale. Il Regno longobardo conserva una sua specificità, una sua identità: al di sopra della popolazione longobarda e della popolazione romana che era rimasta ancora dall'età precedente, si insedia una élite di provenienza franca quindi Carlo Magno conquista il territorio e alcuni potenti, nobili e militari rimasero in Italia in posizione di comando, al di sotto della loro funzione di vertice, rimane una società italiana con i suoi elementi longobardi e romani i quali, si erano largamente fusi, e mantengono le loro proprietà. Non è che i longobardi e i romani rimasti vengono espropriati in quanto c'è una sorta di incorporazione del Regno ed allo stesso tempo il mantenimento di alcuni elementi identitari. Carlo Magno spesso si fa chiamare re dei longobardi. Quindi, si sovrappone questa élite ma si conserva anche una società locale. Quinto paragrafo: I successori di Carlo Magno Questa costruzione politica, anche dotata di notevole forza politica, ideologica e militare non avrà moltissima durata nella storia dell'Europa Alto-medievale. Nell'814, quando Carlo Magno muore, gli succede Ludovico Il Pio, suo figlio il quale era stato in grado di dare continuità al progetto del padre: è in continuità il rapporto privilegiato e di protezione della Chiesa ed è ancora sostanzialmente unitario il quadro politico complessivo dell'Europa che era stata carolingia cioè dell'Europa di Carlo Magno, ma tuttavia dopo la sua di morte, nel 840 (anno morte di Ludovico Il Pio), l'impero subirà una disgregazione su due livelli: • a livello della dinastia che aveva governato questo impero o meglio la famiglia, la dinastia regnante si divide e si spartisce anche i territori che erano appartenuti all'impero. Dopo l'888 non ci sarà più un sovrano carolingio, è l'anno in cui si estingue la dinastia. • a livello locale: o meglio, l'automatizzarsi dei poteri locali che in precedenza erano stati inquadrati all'interno dell'impero. → guardare primo e secondo paragrafo del capitolo sesto. Capitolo sesto: La dissoluzione dell'ordinamento pubblico Primo paragrafo: L'ordinamento signorile e Secondo paragrafo: La proliferazione dei castelli Il nuovo segno concreto e simbolico dell'organizzazione dei poteri di verifica del X secolo, è il castello. Il castello è una delle immagini stereotipate in quanto quando si pensa al Medioevo, si pensa ai castelli e tuttavia, il grande fenomeno di moltiplicazione della menzione e della documentazione dei castelli comincia nel X secolo, sicuramente c'erano anche prima, ma la menzione dei castelli nei documenti risale al X secolo. Ma come mai? Perché si costruiscono i castelli? Perché diventano così tanto più visibili da un punto di vista documentario? Quale è la trasformazione? Da un punto di vista materiale e documentario, non sono i castelli del basso medioevo ma sono delle fortificazioni che si costruivano anche in legno e quindi di natura provvisoria che però servivano a proteggere un abitato, un mercato o una sede signorile. → In una fase di crisi del potere pubblico, si moltiplicano delle strutture di difesa che spesso sono di origine privata perché è un potente locale, un grande proprietario fondiario che costruisce il castello e lo costruisce per sé o magari per gli abitanti che cominciavano a radunarsi attorno alla sua residenza. In questo periodo, i potenti, che potrebbero ancora avere il titolo di conte ma questo titolo non corrisponde più ad un apparato pubblico effettivamente funzionante, sono dei potenti privati, delle persone che hanno ricchezza, prestigio, terra e clientela che possono avere un titolo che rimanda alla tradizione dei comitati, dei marchesati (marche) ma che non inquadrano più effettivamente il loro potere al di sotto di un apparato pubblico ma sono isole di potere semi autonomo a base privata (anarchia signorile) → Questa è la situazione politica del X secolo che si accentua ancora di più nell'XI secolo: la famiglia imperiale si divide i territori dell'Europa ma a livello locale, non è più effettivamente operante una gerarchia di potere pubblico ma i territori sono in mano a potenti locali; il simbolo del loro potere e del servizio che essi possono rendere alla popolazione è proprio il castello. L'ordinamento signorile è un ordinamento in cui le condizioni che prima erano statali cioè il diritto di raccogliere le tasse, l'amministrazione della giustizia e l'organizzazione della forza militare vengono gestite da un potente locale con la sua forza, con la sua residenza senza fare capo ad una gerarchia del potere pubblico. La proliferazione dei castelli è un fenomeno che non riguarda solo le forme di esercizio del potere a livello locale ma investe moltissimi aspetti della vita come ad esempio, l'insediamento o gli scambi economici perché nella situazione di violenza e di crisi dell'ordine del potere pubblico, dell'ordine assicurato dal potere pubblico, la popolazione cerca protezione anche trasferendo le proprie case presso il castello. Ad esempio, il contadino che prima abitava in una casa isolata in campagna, tende a trasferire per il disordine che si sta diffondendo, la propria casa presso la residenza signorile fortificata, quindi, ci sono alcune regioni d'Europa come il Lazio, in cui la diffusione dei castelli ha proprio cambiato la geografia degli abitati e sul piano economico, spesso, le sedi di mercato si trasferiscono, si sviluppano nei luoghi che potevano essere protetti ed infine, anche la Chiesa verrà fondata all'interno dei castelli. Quindi, anche se da un punto di vista materiale, spesso non sono dei grandi apparati di muratura di tipo monumentale, in questo periodo di crisi del potere pubblico e di affermazione di un ordine signorile, questi castelli hanno cambiato il modo di vivere nelle campagne dell'Europa da un punto di vista economico, da un punto di vista insediativo e da un punto religioso con la costituzione di queste nuove chiese. Quinta lezione: 12 Marzo 2019 Continuo Capitolo sesto: La dissoluzione dell'ordinamento pubblico Ci troviamo nel periodo successivo a quella fase unitaria rappresentata dall'impero carolingio nella storia d'Europa e in quel periodo del X secolo di disgregazione sia dell'unità politica al vertice sia della più localizzata trama dei poteri che, invece di essere ordinati in un sistema territoriale a cui fa capo l'imperatore, si costituiscono a livello locale le signorie del castello. Terzo paragrafo: Normanni, ungari e saraceni Il terzo paragrafo chiarisce anche un'altra ragione delle difficoltà politiche del mondo europeo cioè oltre alla disgregazione del potere centrale, queste forme di difesa locale attorno a dei castelli cercavano di rispondere a delle minacce che arrivano dall'esterno cioè dei nuovi popoli o in sostanza, dei gruppi che non erano integrati all'interno del sistema carolingio come i Normanni, gli Ungari e i Saraceni. Essi rappresentano, in primo luogo, delle minacce di tipo militare ma anche alla vita della città, ai commerci perché sono in grado di aggredire militarmente il mondo carolingio con una rapidità, con una efficacia a cui queste tradizioni militari non erano abituate a far fronte in quanto la Carolingia è una grande cavalleria aristocratica mentre la tecnica di aggressione dei Saraceni, dei Normanni e degli Ungari è, o via mare, o via terra e quindi di rapide incursioni che fanno bottino. Queste minacce vengono da aree diverse: • la minaccia dei Normanni viene dal mare e in primo luogo dal nord. I Normanni sono una popolazione che si origina dalla Scandinavia e da questa loro origine arrivano ad avere basi, punti di insediamento nel nord della Francia, in Normandia ma anche in Sud Italia. Quindi, dal lontano nord, arrivano ad essere delle presenze importanti fino al cuore dell'Europa mediterranea. I Normanni sono protagonisti di razzie che spaziano da un luogo all'altro dell'Europa, dalle coste ai fiumi, colpendo città e monasteri. Un momento molto importante della loro storia è quando si insediano in Normandia e creano nel 911 il ducato di Normandia. → E' da mettere a fuoco nella storia dei Normanni: - provenienza dal nord e capacità di operare fino all'Europa mediterranea; - 911: ducato di Normandia - 1066: momento in cui i cavalieri Normanni, dalla Normandia (erano i Normanni che si erano già insediati e organizzati in Normandia) sbarcano in Inghilterra e la conquistano dando vita ad una monarchia inglese normanna con un'aristocrazia di provenienza normanna. Anche il Sud Italia verrà poi unificato da una monarchia normanna. • Gli Ungari sono una popolazione che non opera via mare ma via terra ed è capace di incursioni militari molto efficaci che sorprendono le città e rispondono alle campagne a saccheggio (è uno dei motivi per cui si sono diffusi i castelli cioè per difendersi ma non solo dagli Ungari), hanno una capacità di … molto grande perché dalle zone dell'Europa centro orientale arrivano fino all'Italia padana. Nella loro storia c'è una sconfitta militare: gli Ungari sono stati sconfitti dall'imperatore Ottone I nel 955, nella battaglia di Lechfeld, in cui gli Ungari vengono sconfitti e costretti a stabilizzarsi in quel territorio che poi si evolverà nell'Ungheria. Dopo la stabilizzazione, ci sarà anche la cristianizzazione. • I Saraceni sono popolazioni locali delle isole mediterranee o dell'Africa settentrionale che si sono convertiti all'Islam nel momento della grande espansione dell'impero Arabo e costituiranno dei competitori sul mare delle città italiane o meglio nell'XI e nel XII secolo, un obiettivo che si daranno le città italiane per affermare il loro predominio sul mare sarà espugnare le basi dei Saraceni. Essi svolgono la stessa attività di “trade”, di rapide incursioni a partire dal mare spingendosi anche molto in profondità, ad esempio, arrivano a saccheggiare dal Sud della Francia dei monasteri nelle valli alpine. → In generale, queste popolazioni rappresentano una minaccia esterna a questo mondo europeo, carolingio che si rappresenta come mono-cristiano: i Saraceni sono musulmani ed operano a partire essenzialmente dalle isole mediterranee mentre i Normanni e gli Ungari seguivano dei culti di tipo tradizionale, di tipo pagano. La storia di inclusioni di queste altre popolazioni nella rete delle relazioni politiche e culturali europee è segnata anche dalla conversione, dalla cristianizzazione. Questo si verifica sia nei Normanni sia negli Ungari (sconfitta → stabilizzazione in una determinata area → cristianizzazione verso il mille). Quarto paragrafo: Regni e principati dell'Occidente Emerge la difficoltà che hanno i poteri pubblici ad affermare un effettivo controllo sul territorio. In primo luogo, Regni e principati dell'Occidente sono in una fase di debolezza o meglio, non c'è una grande autorità del Re di Francia o una grande potenza dei sovrani ad eccezione del sovrano sassone che mantiene il titolo imperiale. Per paradosso, dopo che i Sassoni sono stati conquistati molto violentemente da Carlo Magno, esprimono un nuovo imperatore; questo impero sarà molto limitato rispetto all'impero di Carlo Magno. Emerge la debolezza di quella figura che si intitola Re di Francia e di quella figura che si intitola Re di Italia cioè il sovrano di quella Italia che era stata longobarda e che era stata anche inclusa mantenendo una propria Fino ad allora, l'elezione del Papa era qualcosa di incerto che coinvolgeva il popolo di Roma e che vedeva la forte presenza dell'imperatore quando questo era un imperatore autorevole. Questo è un altro caso in cui si dimostra l'evoluzione in istituzioni più certe e con funzionamenti più definiti da un punto di vista giuridico. Un momento successivo riguarda Papa Gregorio VII. Un documento importante è il Dictatus Papae (1075) ovvero un documento con una serie di punti con alcune affermazioni sulla prevalenza del Papa sia all'interno della gerarchia ecclesiastica sia tra tutti gli altri poteri come il potere politico del mondo cristiano. E' un concentrato di un programma di sviluppo del Papato in termini di forte proiezione di autorità. Nel Dictatus Papae vi è una affermazione della superiorità del Papa rispetto all'imperatore e quindi il Papa può deporre l'imperatore ed inoltre vi è la superiorità disciplinare, gerarchica e gestionale del Papa sui vescovi e quindi il Papa può trasferire un vescovo da una sede all'altra ecc. Questo documento riassume molto efficacemente il programma di rilancio del Papato nei termini di affermazione di prerogative nuove molto potenti. Quinto paragrafo: Lo scontro con l'impero Era abbastanza inevitabile che si arrivasse allo scontro in quanto ci si trova di fronte a due personalità molto forti come Papa Gregorio VII ed Enrico IV. E' uno scontro che si sviluppa con le armi del periodo ovvero Papa Gregorio VII scomunica l'imperatore (la scomunica è una forma di condanna che esclude una persona dall'accesso ai sacramenti e dall'essere parte della comunità cristiana). Quindi il Papa scomunica l'imperatore, l'imperatore chiede perdono al Papa ed inoltre nomina un altro Papa contrapposto di stretta eredità imperiale. E' importante capire il problema delle premesse: il Papa e l'imperatore sono in conflitto perché sono due figure contrapposte da secoli nella tradizione occidentale e quando il Papa cerca di scioglierla, c'è conflitto. Non dobbiamo pensare che l'imperatore si impicciasse degli affari della Chiesa per una semplice strategia di potere ma l'imperatore si sentiva sinceramente responsabile della vita religiosa. Anche Ottone III quando fa nominare quell'intellettuale di fiducia come Papa non lo fa con l'intenzione di degradare la funzione papale. Non solo i laici hanno partecipato alla riforma della Chiesa ma anche l'imperatore è un protagonista della riforma della Chiesa. Ma c'è un momento in cui la Chiesa non accetta più questa tutela. Un altra conclusione da non fare è quando si parla di lotta per le investiture. Si tratta delle investiture dei vescovi, riguarda la nomina dei vescovi. Papa ed imperatore avevano delle pretese e delle competenze sovrapposte e questo creò dei problemi. Secondo il Papa, l'elezione del vescovo doveva avvenire secondo la tradizione ovvero doveva venire eletto dal clero della cattedrale ma il concordato di Worms del 1122 risolve questa questione e riconosce la prevalenza del ruolo dell'autorità ecclesiastica o meglio vengono riconosciute delle funzioni dell'autorità politica però questo compromesso afferma l'appartenenza del vescovo ad una sfera ecclesiastica. Il problema era che i vescovi avevano una duplicità di potere o meglio erano i capi della comunità religiosa cittadina in quanto erano a capo del clero e a partire dal IV secolo, i vescovi erano una grande personalità di riferimento della città in quanto si occuparono di questioni non religiose come il rifornimento alimentare della città e, anche grazie alle donazioni dell'imperatore, essi avevano accumulato molte ricchezze materiali come ad esempio, le entrate sul mercato (le tasse del mercato non andavano allo Stato ma al vescovo). Quindi, in mano al vescovo c'è molto potere: c'è autorevolezza religiosa ma anche ricchezza economica. Influenzare la nomina del vescovo e far sì che il vescovo si senta all'interno di una gerarchia della Chiesa o dell'impero è importante per l'autorità politica e religiosa. Proprio per queste ragioni, Gregorio VII ed Enrico IV entrano in conflitto e proprio per queste ragioni, il conflitto dura anche dopo la loro morte ed alla fine, si arriva a sancire che pur riconosciuti determinati diritti dell'imperatore soprattutto nei territori tedeschi, il vescovo viene racchiuso all'interno di una sfera essenzialmente ecclesiastica e dopo Gregorio VII, dire sfera ecclesiastica valeva dire anche Papato. Infatti, nei secoli successivi, un po' alla volta, ci sarà un intervento molto condizionato sulle nomine dei vescovi del Papato. Sesta lezione: 13 Marzo 2019 Capitolo ottavo: Economia e cultura in Occidente e le civiltà dell'Asia I capitoli ottavo e nono segnano il passaggio dall'alto al Basso Medioevo cioè dalla prima alla seconda parte del medioevo. L'alto medioevo va dalla caduta dell'impero romano al mille. Primo paragrafo: L'economia tardoantica Da un punto di vista economico e sociale, il periodo è un periodo di difficoltà, di crisi, potremmo dire che è una situazione di depressione economica e quindi l'andamento economico è negativo. Ma perché questo periodo è economicamente negativo? Perché la caduta dell'impero romano d'occidente corrisponde ad un ripiegamento dell'economia? L'economia del mondo antico è una economia molto sostenuta dall'intervento e dal ruolo dello Stato in quanto è lo Stato romano (Giulio Cesare) che assicura la navigabilità dei mari combattendo eventuali pirati, è l'impero romano che impone la costruzione delle strade e ne fa sopportare i costi. Quindi, nell'economia antica, il ruolo del potere pubblico è molto importante ma nei secoli, questo cambia da economia ad economia in quanto ci sono economie che sono alimentate molto di più dall'iniziativa privata e ci sono economie in cui conta di più lo Stato. Siccome l'economia tardoantica era una economia in cui lo Stato aveva un ruolo molto importante, il fatto che ci sia una crisi e successivamente la definitiva scomparsa dell'impero romano d'occidente, fa si che dei servizi, delle richieste che alimentavano l'attività economica vengano meno e quindi le strade vengono abbandonate, le vie di mare diventano insicure ecc. Per poter leggere il secondo ed il terzo paragrafo, bisogna tenere presente un fenomeno comune a queste due diverse realtà, la città e la campagna ovvero l'andamento demografico, che è un aspetto dell'andamento economico, è negativo. → Secondo paragrafo: Le città Nell'occidente, molte città sono in crisi o meglio, la città riduce non solo la sua estensione ma anche i suoi abitanti. La qualità delle costruzioni diminuisce in quanto si passa dai grandi palazzi pubblici o privati a capanne o comunque a costruzioni materiali deperibili. Alcune città scompaiono proprio a causa dello spopolamento mentre molte città continuano ad esserci, ad essere importanti soprattutto in alcune zone della Gallia meridionale e dell'Italia Settentrionale ma non sono più abitate come prima, non c'è più la grande monumentalità dell'età imperiale romana. Quindi, non possiamo dire che la città scompare perché la città esiste, solo che ha meno abitanti, non ha più una vera e propria amministrazione pubblica e molte zone all'interno delle mura delle città, si riempiono di zone abbandonate con macerie o addirittura di campagna. Non bisogna pensare che siccome arrivano altri popoli, la popolazione sia aumentata perché nonostante i nuovi insediamenti, l'Europa occidentale è meno popolata e questo è accompagnato da una depressione di funzioni sociali, di benessere ecc. → Questo lo dimostra bene il testo di Perkins sulla caduta di Roma, la quale viene presentata nei suoi aspetti di radicale cambiamento della qualità della vita quotidiana. Terzo paragrafo: Le campagne Gli stessi andamenti della città li riconosciamo anche nelle campagne, dove si nota un degrado ambientale. L'ambiente si trasforma nelle diverse fasi storiche; ad esempio, quando arrivano i romani, si registra un cambiamento ovvero vengono bonificati paludi e boschi, vengono tracciate le strade, divisi i campi ecc. → Nel testo sulle culture alimentari, emergono i rapporti esistenti in una determinata fase storica, ad esempio, tra una dominazione, uno stile di vita e di economia ed un paesaggio agrario. Il paesaggio delle campagne romane è un paesaggio della cerealicoltura ovvero cereali e legumi. Mantenere questo paesaggio è molto impegnativo in quanto ci vuole una grande risorsa che l'economia romana aveva ovvero gli schiavi. Ma non tutto si conserva in quanto anche le campagne diventano meno popolate. Quarto paragrafo: Il paesaggio dell'Occidente altomedievale Anche se siamo portati a pensare che la natura sia immodificabile, la natura viene investita dal mutamento storico o meglio, vi è l'estensione delle paludi, dei boschi e la diminuzione delle zone coltivate, il contrario di quello che era successo quando il territorio era stato conquistato dai romani. La cerealicoltura è in parte in crisi ed in parte può essere cambiamento di regimi economici ed alimentari, nel senso che, ad esempio, la cultura alimentare dei barbari era più orientata verso i prodotti dell'allevamento come formaggio e carne. Quando i barbari dedicavano l'estensione del suolo all'allevamento e non alla cerealicoltura, stavano trasformando radicalmente il territorio. Quindi, in questo calo della popolazione (la gente è più rada del territorio), il territorio è meno investito dal lavoro come dal controllo delle acque o dalla coltivazione ed è abbandonato a fenomeni che possono essere intesi come degrado o riconversione ad altri settori economici ed alimentari. Quinto paragrafo: Il sistema curtense Il sistema curtense è il sistema della curtis ovvero della grande azienda agricola. La curtis non ha a che fare con il feudo in quanto il feudo rientra nel rapporto vassallatico-beneficiario ovvero quel rapporto di fiducia che riguardava l'élite e che poteva avere una remunerazione materiale, una concessione di terra. Il sistema curtense è un modello di organizzazione economica delle campagne. Grazie alla curtis, possiamo capire meglio l'andamento negativo dell'economia ed in particolare, la crisi degli scambi, una contrazione del commercio. Per l'età romana, il commercio era fondamentale; ad esempio, se nella città di Roma, la quale era una metropoli numerosissima, non ci fosse stato un grosso commercio di derrate alimentari, la città non si sarebbe sviluppata o meglio, non sarebbe stato possibile mantenere l'enorme popolazione della città di Roma se non ci fosse dietro un grande spazio da cui fare arrivare cereali, olio (l'olio proveniva dal Nord Africa) e vino. In questo senso si può parlare di una prima mondializzazione ovvero di un mondo economico di grandi spazi interconnessi tra loro. Il mondo altomedievale non era un mondo con questa mobilità, con questa capacità di trasportare merci e quindi vengono valorizzati commerci a breve distanza, commerci in cui sono importanti dei nuclei aziendali o delle reti aziendali che consentissero ad un signore, ad un sovrano o ad un monastero di disporre di molti dei prodotti di cui avevano bisogno. Non si tratta una economia chiusa ma di una economia con orizzonti più ristetti in cui la produzione locale diventa più importante rispetto al commercio. Quindi, una curtis ideale ha una parte di agricoltura, di vigne, di bosco ed una parte di dominicum e massaricium. Il dominicum è la parte padronale gestita dal proprietario mentre il massaricium è una parte lottizzata sempre appartenente al proprietario che quest'ultimo suddivide in parcelle di terra e le da a diversi coltivatori, i quali le gestiscono e trattengono una parte dei prodotti per sé e la propria famiglia ed una parte dei prodotti, la consegnano al proprietario a titolo di censo (attuale affitto). Quindi, una parte viene gestita direttamente dal padrone ed una parte viene divisa tra dei coloni che la coltivano. Per avere un'idea del tipo di economia, è importante sottolineare: • che c'è ancora una presenza di schiavi, i quali possono essere sia alle dirette dipendenze del padrone oppure essere destinatari, beneficiari di qualche assegnazione di terreno da parte del padrone che coltivano anche in parte per sé stessi. Quindi, in queste campagne, ci sono delle persone di condizione non libera, persone non libere giuridicamente che per secoli saranno vincolati per tanti aspetti alla volontà del padrone come ad esempio la libertà di sposarsi. • il carattere non monetario. Al tempo dei romani, si utilizzavano le monete d'oro ma, se in alcuni stati del mediterraneo, queste venivano ancora utilizzate, in Europa occidentale scompaiono definitivamente. Questo è un segnale della crisi economica in quanto non c'è più bisogno di un prezioso strumento di pagamento; questo vuol dire che gli affari si contraggono e che vi è meno volume di merci che si scambiano. Nella curtis sono possibili forme di rapporto economico che fanno a meno della moneta, come ad esempio, i fitti in natura e quindi il contadino, invece che pagare il padrone che gli ha concesso il terreno in monete, lo paga con una parte dei prodotti che egli ha dalla coltura del suo terreno, ma anche con le corvèè, il quale è il pagamento in lavoro e quindi, chi ha un terreno, invece di dovere del denaro o dei prodotti, deve delle giornate di lavoro (come la giornata della vendemmia) al padrone. Sesto paragrafo: L'aumento della popolazione e lo sviluppo delle attività economiche Nel X secolo, l'andamento economico negativo diventa positivo in quanto la popolazione torna ad aumentare, i commerci si sviluppano e la tecnologia (aratro, animali) aiuta la ripresa dell'agricoltura. Dall'ultima parte mondo dei mestieri e che appartengono al popolo ed in modo particolare, ad una importante struttura di rappresentanza politica di mediazione ovvero le arti o importanti strutture di quartiere. Le arti sono gli organismi di coloro che esercitavano lo stesso lavoro all'intero della città come ad esempio, l'arte dei calzolai, dei falegnami, dei mercanti di lana ecc.; le arti non erano soltanto strutture per condividere delle regole da parte di coloro che esercitavano lo stesso lavoro ma erano anche delle strutture rappresentabili politicamente e quindi persone non aristocratiche, che non erano cavalieri ed avevano il loro lavoro umile, attraverso questa forma di organizzazione, riescono ad avere un ruolo importante nella politica e nell'organizzazione della città. → Dunque, in questa fase, ci sono delle opportunità politiche anche per i non privilegiati. Inoltre, ci sono delle realtà in cui, in alcuni periodi, il popolo riesce non solo ad affermare sé stesso ma ad andare ben oltre la logica di equilibrio tra le diverse parti della fase potestarile e quindi, introducendo le leggi antimagnatizie (leggi contro l'aristocrazia), arriva ad escludere dalla decisione politica l'aristocrazia tradizionale, l'aristocrazia cavalleresca, l'aristocrazia dei vassalli del vescovo, di coloro che avevano il castello nel contado. Primo paragrafo: La ricomposizione del potere Dal IX al XI secolo, l'intero Occidente fu caratterizzato da esiti di frammentazione e segmentazione del potere pubblico con il proliferare delle entità signorili locali ovvero il fenomeno dello sviluppo dei castelli e di unità politiche fondate sui castelli come momento di disgregazione della precedente epoca carolingia. Dalla fine dell'XI secolo e per tutto il XII secolo, ebbe luogo un processo di graduale ricomposizione politica entro contesti territoriali più ampi ad opera di Regni (poteri monarchici) e del Comune Cittadino, i quali erano capaci di imporre un proprio dominio su aree più estese e di disciplinare sotto la propria autorità i signori che vi risiedevano. Riprendere il territorio significava porre sotto controllo le forme di autonomia politica che si erano sviluppate nei secoli precedenti come le signorie di castello e le città. Per quanto riguarda le signorie di castello, venne usato in forma nuova il rapporto vassallatico-beneficiario ovvero il signore di castello poteva esercitare determinate funzioni in un territorio ma doveva riconoscere l'autorità del Re sopra di lui. Per quanto riguarda invece le funzioni di base statali ovvero l'organizzazione dell'esercito, l'amministrazione della giustizia e la riscossione delle tasse, le monarchie hanno cercato di organizzare e di accentrare in qualche modo la forza militare; sul territorio erano presenti dei funzionari che si affermano e si riconoscono come incaricati del Re; il Re chiedeva ai sudditi di consegnare un parte delle loro risorse economiche per il bene comune. Un altro elemento è la legittimazione ideologica o meglio, attorno al Re vi sono intellettuali che attraverso i loro discorsi e le diverse rappresentazioni artistiche rafforzano sul piano simbolico l'autorevolezza del Re. Infine, bisogna tenere a mente che accanto al Re vi erano delle istituzioni rappresentative ovvero delle istituzioni in cui il Regno è rappresentato da delle appartenenze di status come i cittadini del Regno, i chierici ed i nobili. In questo periodo anche la Chiesa sta rafforzando la sua identità, le sue istituzioni e sta precisando le sue norme. Questi due poteri crescono in maniera competitiva e su tante materie, la Chiesa pretenderà di essere al di fuori della giurisdizione della monarchia, al di fuori del campo di dominio del Regno mentre il Re cercherà quanto più possibile di controllare gli uomini di Chiesa. Ad esempio, la Chiesa chiede l'esenzione della tassazione, l'immunità fiscale per le sue ricchezze, per le sue terre e per i suoi uomini ma i Re non accorderanno volentieri l'immunità fiscale; la Chiesa pretendeva che per reati comuni, i preti venissero giudicati dai tribunali ecclesiastici ma i Re affermeranno i loro tribunali sui tribunali ecclesiastici ed infine, i Re vorranno condizionare le nomine ecclesiastiche più importanti. Questo processo di ricomposizione politica (organizzazione dell'esercito, amministrazione della giustizia, riscossione delle tasse e legittimazione ideologica) si compie a partire da Re molto carismatici. Secondo paragrafo: La monarchia dei Capetingi in Francia In questi secoli, la Francia resta sotto la dinastia dei Capetingi, dinastia che prende il nome dal Re Ugo Capeto. Un episodio su cui soffermarsi è il conflitto che emerge a partire da problemi che riguardavano il controllo della Chiesa e del Clero tra il Re di Francia Filippo IV detto il Bello e Papa Bonifacio VIII attorno al 1300. Il conflitto. Per farsi sostenere in questo conflitto, il Re Filippo IV convoca la funzione rappresentativa del Regno di Francia ovvero gli Stati Generali, il luogo in cui erano rappresentati i cittadini del Regno, i nobili ed il clero. Terzo paragrafo: La monarchia normanna in Inghilterra Un altro Regno in cui era molto forte lo sviluppo politico era quello del Re di Inghilterra. C’è una battaglia del 1066 dove vincono i normanni, da questo momento è la monarchia normanna di Inghilterra quella di cui parlano, cioè una monarchia fondata da quei guerrieri vichinghi che poi si insediano in Normandia in Francia e poi sbarcheranno in Inghilterra. Da quel ducato in area francese che si era costituito con i normanni poi erano partititi guerrieri che hanno combattuto e vinto questa battaglia e che daranno luogo a una fase nuova della storia inglese; questa fase è lo sviluppo della monarchia inglese che viene sotto una dinastia che ha come esponenti i plantageneti. Nella storia inglese sono importanti due documenti a proposito degli sviluppi politici esposti prima. Il primo sono le Costituzioni di Claredon del 1164 che rappresentano un intervento regio sulla questione delle cariche ecclesiastiche e che generano uno degli scontri più gravi intervenuti in questo periodo tra autorità politica e autorità ecclesiastica, cioè sono delle norme che affermano il controllo del Re sulle cariche vescovili, e la giurisdizione laica sul clero. La maggiore autorità ecclesiastica del Regno cioè l’arcivescovo di Canterbury si oppone a questa politica e verrà ucciso da sicari del Re, quindi nel Regno di Inghilterra abbiamo una affermazione forte di queste prerogative monarchiche, sia un conflitto estremo che porta all’assassinio del maggiore ecclesiastico del territorio. Un altro documento da ricordare insieme al suo contesto, proprio per il tipo di sviluppi politici è quello che viene chiamato Magna Charta Libertatum (1215) avviene in un momento di debolezza della monarchia, dovuta all’assenza prolungata dal Regno del monarca, da sconfitte militari che lo avevano penalizzato e quindi questo Re molto più debole del suo predecessore, Giovanni senza terra viene indotto a fare una importante concessione che sancisce i diritti e i privilegi dell’aristocrazia che è spesso un interlocutore competitivo con il Re, e le città. Stabilisce poi che per certe questioni il Re dovrà ottenere il consenso di questi ceti e che dovrà governare ascoltando anche un consiglio accanto a lui. In sostanza se abbiamo detto prima che i Re devono misurarsi con delle forze politiche del Regno che vogliono difendere dei loro diritti, dei loro interessi in materia fiscale, ecc… questo è un documento molto importante; tanto è vero che viene simbolicamente posto all’origine del parlamentarismo inglese, cioè in seguito di costituirà una struttura parlamentare con una rappresentanza aristocratica che sarebbe la camera alta nota poi come Camera dei Lord, e poi una Camera Bassa che è quella dei Comuni ossia quella che rappresenta le città. Inizia una prassi di relazione politica negoziata fra il monarca e il Regno e le sue rappresentanze. Allora prima di fare una guerra, prima di imporre una nuova tassa il Re doveva avere l‘approvazione di coloro che rappresentano il Regno. Questo documento da le basi verso una monarchia che si pone a un negoziato di fronte al Regno. Quarto paragrafo: La monarchia normanna nell'Italia medionale Un’altra monarchia a cui danno vita guerrieri normanni che si insediano nel territorio e poi organizzano una rete di poteri è l’Italia meridionale. Proprio nel periodo in cui nell’Italia settentrionale si moltiplicano i comuni autonomi, nell’Italia meridionale c’è una monarchia accentrata e forte. Sul piano della legittimità il principale punto di riferimento di questa monarchia sarà il papato, quindi una monarchia legata in odo privilegiato al papato e infatti interpreterà anche un ruolo di monarchia combattente impegnata per la conquista di territori che erano sotto dominio islamico, in modo particolare alla Sicilia. I normanni insediati nell’Italia meridionale conquisteranno la Sicilia che era diventata terra sottoposta a un potere islamico. Qui il documento che fra gli altri nel 1140, le Assise di Ariano. Questa è una assemblea che si svolge in questa località Ariano, è aperta a tutti i vassalli del Regno, quindi è una occasione di rapporto di tipo politico tra il Re e i suoi aristocratici, e in questa assemblea vengono approvati degli ordinamenti che regolano i poteri locali, le giurisdizioni de Regno. Quinto paragrafo: I Regni della Penisola Iberica e la “Reconquista” Per quanto riguarda il capitolo sulla Riconquista, qua bisogna aggiungere qualcosa, cioè quello che succede nella Penisola Iberica ha un particolare rilievo, non solo sul piano della storia politica, ma anche di conferma di una identità religiosa che caratterizza già in precedenza per esempio la monarchia franca; la Spagna nel 711 viene conquistata da degli eserciti arabi e per alcuni secoli l’autorità politica sarà di religione musulmana e così la componente dominante della Penisola Iberica; cristiani e ebrei continueranno ad esserci nella Penisola Iberica, ma saranno delle minoranze religiose al di sotto di un potere che afferma una identità religiosa di fede musulmana. Questo con l’eccezione di alcuni piccoli regni nel nord della Penisola Iberica. Sarebbe difficile concepire aspetti significativi della successiva storia d’Europa senza avere chiaro questo ruolo delle monarchie spagnole e soprattutto della monarchia di Castilla come di monarchie militari e combattenti in nome della religione cristiania; questo è un tratto che la monarchia spagnola conserverà e che riemerge nel 900. Anche rispetto a tante vandalizzazione della contemporaneità sull’identità, l’Europa, ecc… succede qualcosa che riguarda in profondità la storia di ciò che l’Europa è diventata, cioè, la Penisola Iberica, che poi diventa il cuore di una monarchia che afferma che il cristianesimo cattolico, intransigente, e combattente, e che alla luce di questa convinzione sarà una delle monarchia che alla fine del 400 espellono gli ebrei dal loro territorio , oppure che interpreterà questo ruolo nel 500 nell’America del sud che viene appunto conquistata dagli spagnoli; questo connubio di potere politico, militare e cristianesimo si vede in questo periodo e segna la storia spagnola e non solo. È un lento avanzare, a partire da quei regni che erano rimasti cristiani nella Spagna del nord verso sud, verso un avanzare di questi regni con le armi ma anche con il ripopolamento delle terre conquistate, la fondazione di nuovi centri abitati. Proprio alla fondazione di nuovi centri abitati si collega quella tipologia di documento che si chiama “fueros”. sono carte di franchigia; delle condizioni privilegiate per incoraggiare il popolamento di questi centri di nuova fondazione. Un’altra parola importante del linguaggio politico da ricordare è quella di “cortes”. Le cortes sono ciò che sono gli Stati Generali in Francia o ciò che sono i Parlamenti in Inghilterra; è il nome che si dà alle monarchie alle assemblee che rappresentano il Regno di fronte al monarca con queste un po’ diverse identità culturali, cioè è più forte l’identità aristocratica nel Regno di Castilla, mentre sono più forti le città nel Regno di Aragona, però in questa fase ciò che è da ricordare è che i regni della Penisola Iberica hanno delle caratteristiche comuni agli altri regni europei, in più c’è questo dato che si situano su una frontiera militare in espansione che ne rafforza l’ideologia religiosa che si accompagna anche alla nuova fondazione di città ecc… e che questo processo va avanti fino alla fine del 400; nel XIII secolo è il periodo in cui ci sono delle decisive affermazioni sul piano militare, anche di questi regni sulla formazione politica della Spagna musulmana che poi si restringe sempre di più e che poi scompare alla fine del 400. Capitolo decimo: Apogeo e crisi degli universalismi Primo paragrafo: L'impero di Federico I e Secondo paragrafo: Federico II Sotto l’etichetta di universalismi si intende il Papato e l’Impero, quest’ultimo non era un qualsiasi Regno, ma era l’erede dell’Impero prima di Carlo Magno e poi degli Ottoni. Il libro si sofferma su due personaggi che sono due delle figure di maggiore importanza politica del medioevo sono Federico I e Federico II. Federico I è l’imperatore che vive nella seconda metà del XII secolo, e il periodo in cui lui esercita è su quel territorio che potevamo aver visualizzato come l’Impero degli Ottoni, cioè il territorio che Federico I governa è questa area di Germania centro occidentale, e il Regno d’Italia, ossia l’Italia centro settentrionale. Il problema di Federico I è da collegare con la lezione dei Comuni; le città dell’Italia centro settentrionale di costituiscono in un regime autonomo, gestiscono la giustizia, raccolgono le tasse, fanno tutto quello che fa un Regno nel territorio di una città e del suo circondario e nessuno dice niente? Le città vengono avvantaggiate attorno al 1100 da un momento di particolare debolezza dell’Impero. Ciò che c’è da ricordare è che quando risolvendo dei problemi dinastici, perché l’Impero non era una dinastia, non era una monarchia ( se l’imperatore moriva non succedeva sempre il figlio, ci dovevano essere delle votazioni) non appena si risolvono questi problemi di debolezza interna, di incertezza politica e sale al potere dell’Impero una personalità politica di particolare carisma come Federico I ecco che questi nodi vengono al pettine; infatti lui si occuperà di organizzare, disciplinare i poteri soprattutto aristocratici in Germania, però gran parte del suo impegno politico e militare sarà proprio di fronteggiare i comuni italiani. Anche nel caso dell’Impero c’è come abbiamo visto per altre monarchie un momento importante di affermazione delle prerogative del re e risale al 1158 quella che viene chiamata la “Dieta di Roncaglia”; Dieta in questo caso vuol dire assemblea e Roncaglia è una città del piacentino. In questa occasione il re emana quel documento che qui viene ricordato con il suo nome “Costitutio de Regalibus”, “de regalibus” sono i diritti regali e sono quelle cose che secondo lui devono essere riconosciute come prerogative del re e che i comuni hanno usurpato. Lui si fa aiutare da degli studiosi di diritto bolognesi proprio nel mettere a fuoco una idea giuridica forte di quelle che sono le cose che spettano in modo esclusivo al re (amministrazione della giustizia, diritto di costruire fortificazioni, diritto di battere moneta, diritti sui fiumi). Questa politica dell’imperatore che poi si manifesterà anche in una volontà di mandare i suoi funzionari dentro le città italiane per governarle. Questo scatenerà la guerra tra l’imperatore da un lato e gran parte delle città dell’Italia centro settentrionale riunite in una federazione politica attiva sul piano militare come la Lega Lombarda. Da ricordare la fase iniziale e il documento finale che è la Pace di Costanza che risale al 1183 e che sancisce la vittoria politica dei comuni. È un compromesso però in sostanza il contenuto di questo compromesso è che i comuni potranno continuare a gestire le autonomie politico-amministrative che avevano conquistato semplicemente riconoscendo il fatto di derivarle dall’imperatore. Dopo qualche anno, l’imperatore muore conflitto tra Papa e Re di Francia per la volontà del Re di Francia di avere il controllo della Chiesa locale dal punto di vista giurisdizionale e fiscale, sarà il Re di Francia a vincere questo scontro. Per settanta anni ci saranno Papi sotto la stretta influenza del Re di Francia e sarà un periodo in cui il rafforzamento del Papato si interromperà. Capitolo undicesimo: Rinnovamento della cultura e nuove espressioni religiose Primo paragrafo: Una nuova cultura per una società rinnovata, Secondo paragrafo: Il diritto e Terzo paragrafo: La riscoperta della cultura antica Il capitolo undicesimo riguarda la cultura e torna a parlare della religione, non dal punto di vista delle istituzioni ecclesiastiche ma dal punto di vista degli ideali, delle nuove esigenze di vita spirituale. Dal punto di vista politico, economico e sociale ed anche culturale, si esce da quella situazione di carattere critico, stagnante e di decadenza dell'Alto Medioevo. Nell'Alto Medioevo l'alfabetizzazione si era ridotta, la produzione culturale era stata meno vivace ed i centri culturali si erano ridotti ai soli centri ecclesiastici come le cattedrali, i monasteri ecc. Dal XII secolo in poi, diventa sensibile uno sviluppo culturale, una nuova capacità intellettuale. Questo sviluppo culturale si manifesta in tante forme come: • una rinnovata creatività letteraria; • un più ampio uso della scrittura, non solo della scrittura letteraria ma anche della scrittura documentaria. Tutti quegli sviluppi sul piano burocratico ed amministrativo che riguardano la Chiesa ed i Regni sarebbero stati impensabili se non ci fosse stata questa maggiore abitudine al corso della scrittura. → Quindi, un'espansione della scrittura, anche tra i laici, tra i maestri, che portano maggiormente negli usi della quotidianità la scrittura. • lo sviluppo del diritto: è una società interessata a problemi di ridefinzione giuridica, di chiarificazione legale. Il centro universitario che diventerà il centro universitario di studio del diritto più importante a livello europeo è a Bologna. Infatti, quando Federico I prepara il suo manifesto politico si avvale del sapere giuridico dei maestri bolognesi. Questo ambiente studia anche il “Corpus Iuris Civilis” ovvero la sistematizzazione di tutto il diritto romano effettuata da Giustiniano nel VI secolo, uno degli ultimi grandi Imperatori Romani d’Oriente (l'Imperatore Romano d’Occidente non esisteva più). Quindi, sono tutti collegati tra di loro: il ritorno allo studio del diritto romano, il rapporto tra la cultura giuridica e il rafforzamento dei poteri politici, lo sviluppo universitario, la sistematizzazione anche nell’ambito ecclesiastico del diritto o meglio, nel corso del XII secolo viene compilato un documento, il Decretum Gratiani, nome che deriva dal monaco Graziano che lo aveva compilato, ovvero una raccolta che cercava di fare ordine nella grande produzione di testi della Chiesa. E' da mettere a fuoco il rapporto tra diritto e potere, sia politico sia ecclesiastico o meglio, il potere si rafforza attraverso la produzione legale che appunto recupera il diritto romano come una grande eredità di cultura antica ed è un momento di un più generale ritorno ai testi classici, che cominciano ad essere conosciuti, si recuperano i filosofi e si rivitalizza la speculazione intellettuale del mondo occidentale. La cultura ebraica e musulmana ha avuto un ruolo in termini di mediazione per l'Occidente che non conosce ampiamente il greco. Quarto paragrafo: La nascita delle università In questo contesto di vivacità intellettuale, l’istituzione che si sviluppa e che diventa uno dei centri dell’avanzamento culturale del mondo Europeo è l’università. Come sappiamo, sono molte le istituzioni che si sono formate nel Medioevo come i Comuni, i quali esistono dal 1100 circa e le università. Le università nascono in un clima che vede favorevoli sia la Chiesa, sia agli Stati: entrambi capiscono che è un mondo dove si formano gli intellettuali che poi potranno essere impegnati nelle carriere civili ed ecclesiastiche; infatti, alcuni importanti Papi del 1200 saranno di formazione universitaria. In molti casi, le università rappresentano un’altra di quelle forme di organizzazione dal basso, di organizzazione spontanea che caratterizzano la vita sociale ed istituzionale medievale; sono come le corporazione dei mestieri o arti. Nelle città, coloro che svolgono lo stesso lavoro, si organizzano in una corporazione cioè in un organismo istituzionalizzato che ne rappresenta gli interessi e fanno una vita comunitaria nel senso che hanno un testo di regole, eleggono dei rappresentanti, fanno delle feste, hanno dei momenti assembleari, degli obblighi gli uni verso gli altri. → Questo vale anche per le università. Per università, universitas, intendono l'aspetto organizzativo ovvero l’organizzazione sia degli studenti sia dei professori. Quindi, le prime università non nascono dall’alto ma nascono per iniziativa di chi è interessato all'università, perché lavora come insegnante o perché si sta formando come studente. Esempi di alcune famose università europee: • L'università di Bologna, città dove si studiava diritto, nasce soprattutto per iniziativa degli studenti. • L'università di Parigi, città dove si studiava la teologia, viene sempre riportata al ruolo dei professori, anche se anche gli studenti si fanno sentire all’inizio del 1200 con dei disordini dove il Papa interviene a loro favore. Ci troviamo di fronte a dei luoghi di formazione qualificati nei campi del diritto, della teologia e della medicina (la medicina era l’altra grande disciplina universitaria; c'era un tradizionale centro di studio a Salerno e successivamente dopo la fine del 1300 anche a Pavia). Questi luoghi erano un insieme di insegnamenti che il singolo studente frequentava con un maestro riconosciuto e quindi non era una struttura fisica, non c'era un grande edificio ma era una rete di insegnanti accreditati e di studenti che ne seguivano le lezioni e che alla fine sostenevano una specie di esame di fronte a un collegio di maestri, e che riconoscevano un titolo effettivo, qualcosa di analogo all’odierna laurea. Quindi, l'università non è una struttura fisica, non è calata dall'alto ovvero da una università ma essa è organizzata come una rete dal basso per chi ci lavora e per chi ci sta studiando. Nell'università odierna, una istituzione statale o privata, sono presenti le rappresentanze studentesche, le quali sono ciò che di più simile si potrebbe trovare in questi funzionamenti medievali ovvero il fatto che gli studenti si facciano sentire. Nel Medioevo, il Rettore era una carica studentesca mentre oggi non lo è più e viene eletto dai docenti, dagli organi amministrativi. Quindi, invece che uno stabile ed una istituzione chiusa organizzata dall'altro, dobbiamo pensare ad una “comunità di studio” in cui docenti e studenti si rapportavano non solo individualmente ma attraverso strutture organizzate; infatti, c’erano degli organismi studenteschi ovvero delle rappresentanze che si occupavano dei loro problemi, sia di rapporto con la città, sia problemi relativi agli studi ecc. Questo era molto importante perché tantissimi studenti erano fuori sede, ma non fuori sede nel senso che si spostavano da Modena a Bologna, ma dalla Germania/Francia a Bologna, dall’Italia del Sud a Parigi e quindi facevano vita fuori casa, un po’ scapestrata, poiché erano tutti maschi e c’erano risse, problemi ma queste rappresentanze studentesche si occupavano anche dei caro affitti. → Se guardiamo la dispensa di Petti Balbi - “Comunità forestieri e nationes”, alcune rappresentanze studentesche erano chiamate nationes. Se andiamo al 1200, “nazione” era la parola che veniva usata per indicare queste rappresentanze di studenti fuori sede raggruppati a seconda della provenienza. Questo non vale solo per gli studenti. L'università di Napoli viene fondata dal Re Federico II. → Dobbiamo ricordare che Federico II era un uomo sensibile alla cultura che voleva avere dei validi ed utili funzionari per la sua politica di rafforzamento dell'autorità monarchica. Naturalmente, attorno all'università c'è tutto un mondo di vivacità culturale fatta di commercio di libri in quanto le lezioni universitarie non erano solo lezioni frontali ma erano lezioni in cui si discuteva su libri e quindi si lavorava sulla testualità in lingua latina. Quinto paragrafo: La religiosità eterodossa Con “religiosità eterodossa” si intendono le manifestazioni di religiosità cristiana che si ponevano, in qualche modo, in dissenso con la dottrina fissata dalla tradizione ecclesiastica e papale. Per via di questi dissensi, molte persone sono state condannate al rogo. Il XII ed il XIII secolo sono stati dei secoli particolarmente tormentati in quanto vi era una grande vivacità culturale, di dibattito, di dinamismo delle città, di cultura dei laici e ciò suscitò una volontà di vivere in prima persona il messaggio cristiano, per cui, ad un certo punto, la Chiesa dovette elaborare delle risposte sia di repressione sia di istituzionalizzazione di determinate esigenze. Vi sono stati personaggi che hanno molto insistito sulla povertà evangelica sull'esempio del Vangelo e degli Atti degli Apostoli; hanno insistito molto sulla povertà, sulla vita apostolica e sulla volontà di essere in prima persona testimoni e propagatori del messaggio cristiano. Si tratta di piccoli gruppi che nascevano in diverse città ma questi gruppi non contestavano apertamente la Chiesa anzi volevano vivere in comunità che praticassero la povertà, il Vangelo. A questi gruppi possono essere collegati gli “Umiliati” ovvero un movimento che si sviluppa soprattutto in Lombardia ed i “Valdesi” ovvero i seguaci di Pietro Valdo, un mercante di Lione. La Chiesa avrà una politica un po’ ondivaga, fra riconoscimenti e condanne ma, in sostanza, i Valdesi verranno perseguitati e si dovettero rifugiare in zone alpine. Oggi, esistono i Valdesi ma hanno aderito al mondo protestante. Invece, gli Umiliati, dopo essere stati condannati dalla Chiesa, vengono riconosciuti ma hanno delle regole rigide. Ci sono delle correnti definite dall'autore “profetico e millenaristico” o meglio, i millenaristi sono coloro che predicano una trasformazione radicale del mondo in arrivo dei tempi ultimi. Gioacchino da Fiore, un monaco di origine calabrese, predicava l'idea che si sarebbe arrivati all'età dello Spirito Santo in cui tutto si sarebbe rinnovato, o meglio, egli vedeva la storia formata da tre età, le quali corrispondono alla Trinità: l'età del Padre, che corrispondeva alla luce, l'età del Cristo, che viene inaugurata dalla vita terrena di Gesù e l'età dello Spirito Santo ovvero l'età dell'amore, della nuova giustizia, che avrebbe rinnovato la Chiesa. → Questa idea di un rinnovamento che viene predicato, viene anche contrapposto, in alcuni casi, ai vizi del mondo; questa idea durerà molto a lungo, fino alla fine del Medioevo e fino al Rinascimento e la Chiesa sarà sempre guardata con un po' di sospetto, verrà percepita come potenziale contestatrice. Il gruppo ereticale che viene considerato più antagonista rispetto alla Chiesa è quello dei Catari. I Catari avevano una forte presenza territoriale in due delle zone più dinamiche dal punto di vista dei commerci e sociale ovvero l’Italia Padana e la Francia del Sud; avevano un vescovo, tenevano dei concili, avevano una specie di sacerdozio ed inoltre erano famosi per la dottrina dualista ovvero una visione per cui vi erano sostanzialmente due divinità, una benigna ed una maligna, un Dio buono ed una figura demoniaca. Rispetto al cristianesimo, la dottrina dualista ritiene che il mondo sia stato creato dal Dio malvagio, il quale si identifica con il Dio dell'Antico Testamento. Quindi, ci sarebbe un Dio malvagio creatore del mondo, le cui opere sono quelle dell'Antico Testamento, ci sarebbe Gesù come figura della luce e loro due sarebbero i seguaci di questa religione della luce e del bene. Tutto questo si collega ad una visione del mondo per cui il mondo è malvagio in quanto è creato da una entità malvagia e perciò bisogna sottrarsi al mondo, fuggire dal mondo, fino ad assumere forme estreme come ad esempio, il suicidio per fame. I Catari saranno perseguitati durante la repressione; infatti, venne fatta una crociata ovvero una spedizione armata nel Sud della Francia, organizzata sotto Innocenzo III e sostenuta dal Re di Francia. Questa spedizione armata darà luogo alla distruzione culturale. Proprio in questo periodo viene creata l’Inquisizione ovvero un tribunale ecclesiastico speciale che fa capo direttamente al Papa e che si specializza nei casi di eresia, cioè nell’identificare e condannare coloro che professano un cristianesimo considerato erroneo dalla Chiesa di Roma e poi, alla fine del Medioevo, si occuperanno della stregoneria che viene concepita anch’essa come una sorta di eresia. → Quindi, i Catari sono stati guardati con sospetto e sono stati condannati dalla Chiesa. In sostanza, l’istituzionalizzazione riguarda quelle forme di accoglienza che la Chiesa è stata disponibile ad ammettere al suo interno, per alcune forme di vita che esprimevano ideali analoghi alla Chiesa e quindi che non si sono mai posti in contrapposizione con la volontà del Papa. Secondo la prospettiva dell'istituzionalizzazione, la quale è una forma di inclusione all'interno della struttura della Chiesa di queste esigenze, soggetti importanti sono i cosiddetti “Ordini Mendicanti”. → Sesto paragrafo: Gli ordini mendicanti Il periodo da tenere presente per gli Ordini Mendicanti è l'inizio del 1200. Gli Ordini Mendicanti sono: • i Dominicani: detto anche dei “frati predicatori”; • i Francescani: detto anche dei “frati minori”; • l'ordine delle Clarisse: detto anche “ordine femminile”. Parola chiave per questi tre Ordini è città: questi Ordini non si stabiliscono nelle remote campagne o valli in cui erano sorti i monasteri dei Benedettini, dei Certosini, ma si stabiliscono nelle città o nei centri intermedi. Un altro campo dove sono presenti gli Ordini è l’università; infatti, molti studenti e molti professori dell’università appartengono a questi ultimi. Questi Ordini rifiutano le ricchezze, non solo quelle personali ma anche le ricchezze dell'ente ovvero del monastero, del convento, non vogliono né terre né signorie, vogliono vivere del sostegno diretto delle comunità presso le quali si insediano. → Non dobbiamo pensare che i clunyacensi, rete di monasteri che fanno capo a Cluny, volevano professare la vita povera anzi si trattava di enti ecclesiastici ricchissimi con terre e signorie. Queste esigenze vengono sviluppate in modo diverso dai diversi ordini: dalla struttura della Signoria; si tratta di una crociata di cavalieri della Francia, del Meridione Normanno ecc. Dobbiamo ricordare che solo nel XIII secolo, ci saranno i più potenti Re di Francia e di Inghilterra impegnati nelle crociate. → Dobbiamo ricordare del fenomeno della prima crociata: 1. la composizione cavalleresca; 2. la prima crociata si riproponeva di riconquistare i luoghi santi ed essa riesce nel suo obiettivo militare in quanto sottrae Gerusalemme ad un potere, da un punto di vista religioso, musulmano ed afferma una realtà politica cristiana. Questi cavalieri che partono dall'Europa, che arrivano nella zona della Palestina e che combattono efficacemente, vittoriosamente, arriveranno ad instaurare delle realtà politiche in Medioriente ovvero i Regni crisitani d'Oriente. In sostanza, nella zona della Palestina, da queste campagne militari, si sono originati dei Regni cristiani in cui vengono importate ed esportate le forme feudali del potere in cui l'Europa si stava articolando in questo periodo. L'autore li definisce anche “ordini monastici cavallereschi”: essi saranno molto importanti per il controllo del territorio e per il mantenimento della presenza cristiana a Gerusalemme e negli altri Regni o Principati o Signorie cristiane nel Medioriente. Sono degli ordini speciali, degli ordini così come lo saranno i benedettini ed i cluniacensi in quanto in questo periodo, non si sono formati né i francescani né i domenicani ovvero quei nuclei religiosi che all'interno della Chiesa cattolica sono riconoscibili anche attraverso una speciale tradizione, una propria regola ed un speciale abito. → Dobbiamo distinguere la Chiesa secolare dalla Chiesa regolare: la Chiesa secolare è la Chiesa delle città, dei vescovi, dei preti che operano nelle parrocchie mentre la Chiesa regolare è la Chiesa fatta dagli ordini religiosi ovvero dai francescani, dai benedettini ovvero dai gruppi con una loro gerarchia interna, con una loro regola e con dei distintivi che li identificano. Negli ordini monastico cavallereschi ci sono al contempo i religiosi ed i cavalieri vale a dire che annullano una antichissima opposizione della cultura cristiana per cui, chi prendeva i voti religiosi non doveva esercitare le armi e la violenza; essi sono proprio destinati sia a pensarsi come gruppi religiosi e quindi con una vita comune, con preghiere in comune sia come dei religiosi combattenti. → Possiamo dire che l'espansione della cristianità è così importante in questo periodo anche per questa singolarità ovvero per l'esercizio delle armi. → In sintesi, intorno al 1100, in parte per vocazione religiosa, in parte per desiderio di espansione militare e di avventure o magari anche per stabilire rapporti economici, il mondo cristiano europeo si espande nell'area del Mediterraneo orientale. Punti di riferimento cronologico sono: la prima crociata e la successiva costituzione degli ordini monastico cavallereschi. Dall'XI secolo in poi, ci saranno ancora molte iniziative militari che vengono collocate sotto l'etichetta di “crociate” ma, da un punto di vista strategico o meglio, degli effetti conseguiti, tutte queste iniziative militari saranno fallimentari. → Quindi, possiamo dire che la prima crociata fu l'unico grande effettivo successo militare della cristianità, la quale introduce i Regni cristiani in Terra Santa che attestano la presenza cristiana in quella zona ma la presenza cristiana si ridurrà in quanto nel XII secolo, i cristiani perderanno terreno, perderanno aree di controllo e nelle crociate parteciperanno non solo i cavalieri appartenenti alle Signorie ma anche i Re. Infatti, dal XII secolo in poi, l'imperatore, il Re di Francia, il Re di Inghilterra saranno protagonisti nella crociata, nonostante la loro presenza non comporterà successo alla crociata stessa. → Quindi, dal XII secolo in poi, i cristiani perderanno terreno nel Mediterraneo Orientale. E' da ricordare una figura del mondo musulmano ovvero Saladino, combattente musulmano di origine curda a cui si vede una importante svolta ovvero la riconquista musulmana di Gerusalemme nel 1187. → Quindi, la città di Gerusalemme resta cristiana per 88 anni, dal 1099 al 1187. Dopo la perdita della città di Gerusalemme, si muoveranno i potenti dell'Europa del tempo: l' imperatore Federico I, il Re di Francia Filippo II Augusto ed il Re di Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. L'imperatore Federico I, dopo aver combattuto i comuni, dopo aver consolidato l'impero e dopo aver avuto una discussione con il Papato, muore durante la terza crociata del 1190 ovvero la crociata nata per riconquistare Gerusalemme dopo averla perduta e quindi una crociata per riaffermare il controllo cristiano su Gerusalemme. La crociata del 1190 non solo è stata fallimentare ma è stata anche la spedizione militare in cui è morto l'imperatore Federico I. In questa crociata era presente il Re di Inghilterra, Riccardo Cuor di Leone. → Dobbiamo ricordare uno dei documenti politici più importanti del Medioevo ovvero la Magna Charta Libertatum, la concessione che il Re di Inghilterra fa ai potenti ed alle città del Regno riconoscendo i loro privilegi, accettando qualche limitazione del suo potere e ponendo le basi dello sviluppo parlamentare. Questo documento approfitta della debolezza del Re di Inghilterra in quanto quest'ultimo si trovava in una situazione di debolezza anche per questo impegno fallimentare ed inconcludente della crociata o meglio, queste campagne militari condotte lontano, al di là del mare, non soddisfano l'effetto ma anzi costano e pesano sulla posizione del Re di Inghilterra. In questa occasione, era presente anche il Re di Francia. Il Re di Francia di cui si ricorda l'impegno nella crociata è Re Luigi IX, vissuto nel XIII secolo ovvero quando le crociate avevano consolidato una storia di fallimento. L'impegno crociato di Re Luigi IX concorrerà alla sua fama di Santo. → In sintesi, tra il XII ed il XIII secolo, la crociata diventa un affare importante tra i grandi detentori del potere in Europa o meglio, la crociata è un impegno di forte valenza simbolica per i Re e per i Regni d'Europa che si definiscono cristiani. Terzo paragrafo: Le crociate interne alla cristianità Questo paragrafo tratta la crociata contro i Catari. Vi è sempre l'idea di una guerra ispirata da una ragione di tipo religioso ma non è una spedizione militare contro un mondo religiosamente estraneo, che possiede un'altra tradizione religiosa come nel caso dei conflitti tra cristiani e musulmani, ma si tratta di una azione di repressione contro una forma di cristianesimo che viene condannata dalla Chiesa romana. Il modo in cui la Chiesa di Roma si rapportò verso i Catari fu quella di una repressione che giunse fino alla vera e propria spedizione militare condotta nelle terre in cui erano più radicati ovvero nel Sud della Francia, cominciata durante il pontificato di Innocenzo III e quindi uno di quei Papi massimamente determinati nell'affermazione dell'autorità papale e di una visione intransigente del cristianesimo. Per capire questo complesso di fenomeni che riguardano le crociate e le relazioni tra l'Europa e l'Estremo Oriente, bisogna tornare a parlare dell'economia. A partire dal X secolo, l'economia europea è in una fase di sviluppo e quindi il 1200 è un secolo di sviluppo, di apertura, di capacità di azione in mercati anche lontani, di affermazione di nuovi mercati. Se partiamo da questa idea di sviluppo economico che ha nel 1200 ancora una fase cruciale, possiamo capire innanzitutto la questione del Mediterraneo Orientale, Bisanzio e le città italiane. Quarto paragrafo: Il mediterraneo orientale: Bisanzio e le città italiane Vi sono due realtà che si fronteggiano l'una di fronte all'altra: • L'Impero Bizantino ovvero l'Impero Romano d'Oriente: quella parte orientale dell'Impero Romano che non era stata travolta dai barbari, che aveva continuato a desistere ma che, un po' alla volta, in modo decisivo nel VII per opera dell'espansionismo islamico, si è andata riducendo. → Quindi, l'Impero Romano d'Oriente si era ridotto fino a diventare un Impero greco con qualche appendice. • Le città italiane: le città italiane sono in una fase di sviluppo. Tra queste due realtà, una in fase di sviluppo (le città italiane) ed una in fase di declino (l'Impero Bizantino o Impero Romano d'Oriente) vi è un momento decisivo di confronto che viene di solito classificato come “quarta crociata” (→ Dobbiamo ricordare che la “terza crociata”, è la crociata del 1190, l'ultima crociata del XII secolo, in cui è morto Federico I). La quarta crociata del 1204 è una crociata che viene organizzata per la conquista di Gerusalemme direttamente dal Papa Innocenzo III, il quale dimostra, anche da questo punto di vista, la sua azione a 360 gradi per affermare un certo tipo di cristianesimo fatto di repressione all'eresia, di crociata anti-islamica, di organizzazione territoriale della fede religiosa attraverso la parrocchia. Fra le sue iniziative c'è la promozione dell'ennesima crociata visto che le spedizioni ideate nel XII secolo dai Re, e l'imperatore erano fallite per riconquistare Gerusalemme. In realtà, in questa crociata, si approfitterà della Città di Venezia per un obiettivo che con la crociata centra ben poco o meglio, nel corso di questa crociata, viene presa e saccheggiata la città di Bisanzio (o Costantinopoli). → Quindi, l'antica capitale dell'Impero Romano d'Oriente, fondata da Costantino (oggi Istanbul) viene conquistata dai crociati, i quali erano organizzati dal Papa ed erano sostenuti militarmente e logisticamente dalla flotta veneziana, si erano mossi per conquistare Gerusalemme. Questa era un evidente deviazione dallo scopo della crociata perché Gerusalemme era una città che era stata riconquistata dai musulmani e quindi le potenze cristiane avrebbero potuto pensare ragionevolmente che fosse un obiettivo militare importante ma Costantinopoli era già una città cristiana, l'Impero Bizantino era Impero cristiano, solo che avevano un cristianesimo separato da quello di Roma. → Dobbiamo ricordare che a seguito della scomunica del 1054, la Chiesa che faceva a capo a Costantinopoli e la Chiesa che faceva capo a Roma e quindi la Chiesa greca e la Chiesa latina, la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente erano separate. → Quindi, questa crociata viene distolta dal suo obiettivo originario e ragionevole e diventa una occasione per i crociati ma in primo luogo per la città di Venezia di affermare il proprio potere in quello che era il territorio dell'Impero Romano d'Oriente. Costantinopoli verrà conquistata e per un breve periodo ci sarà un organismo politico, l'Impero Latino d'Oriente che sarà sotto il controllo degli occidentali. In sintesi: L'Impero Romano d'Oriente o Impero Bizantino si riduce ad una esistenza territoriale ristrettissima e per alcuni decenni, a Costantinopoli e nel territorio della Grecia, si installa un “protettorato” di autorità politica sotto il controllo estraneo o meglio, sotto il controllo occidentale e veneziano che viene chiamato Impero Latino d'Oriente. Prestando il proprio sostegno militare a questa spedizione, Venezia riesce a condurre una azione militare non contro la città di Gerusalemme ma contro una città cristiana, la capitale dell'Impero Romano d'Oriente (Costantinopoli) ed affermare il suo potere. Bisanzio o meglio l'Impero Romano d'Oriente si trova ad essere quasi interamente sotto la dominazione di una città italiana. Le città italiane hanno una sufficiente forza espansiva dal punto di vista politico, economico e militare per arrivare a controllare l'Impero Bizantino. C'è un fenomeno generale che è rappresentato dal dinamismo di tre città italiane di mare come Venezia, Genova e Pisa, le quali arrivano ad esercitare una vera e propria egemonia sul mare Adriatico, Tirreno e su quella zona del mar Mediterraneo il cui controllo era consentito dall'affermazione del loro potere sull'Ex Impero Bizantino. Non dobbiamo pensare che queste tre città lo abbiano fatto in modo coordinato e solidale ovvero insieme ma lo hanno fatto conflittualment; infatti ci sono state anche delle battaglie tra queste città come la Battaglia della memoria. → Quindi, queste città erano altamente competitive per il controllo dei mari. Con “controllo dei mari” si intendeva il diffondere dei porti e dei luoghi controllati da loro nelle varie zone del Mediterraneo, il combattere contro i rivali ovvero i pirati. (→ Dobbiamo ricordare che a partire dal X secolo, lungo i mari, i pirati non erano appacificati in quanto vi erano dei gruppi in grado di condurre una attività molto aggressiva, di saccheggio, di incursioni sul territorio come lo erano in primo luogo i Saraceni). L'impegno di queste città andrà anche nello sconfiggere appunto questi nuclei di pirati, anche se poi loro, a loro volta, in qualche modo erano responsabili di azioni di pirateria ai danni delle città … ; sono città che combattono tra loro e sono città che tuttavia l'una contro l'altra riescono ad affermare il controllo di vaste aree del Mediterraneo e da questo punto di vista possiamo dare senso alla quarta crociata cioè questa spedizione crociata che viene trasformata da Venezia in una occasione per il proprio personale espansionismo politico. Proprio in questo contesto, nel XIII secolo, si verifica l'incontro tra il mondo culturale europeo ed il mondo cinese. (→ Dobbiamo ricordare che la scoperta culturale del Giappone avverrà nel XVI secolo). → Sesto paragrafo: L'impero dei mongoli Nel XIII secolo, la Cina è sotto il controllo della dominazione mongola, la quale, era stata in grado di attraversare degli spazi estesissimi. Infatti, i mongoli erano combattenti temuti, veloci ed efficaci che riuscirono a conquistare dalla Cina, zone che appartengono attualmente alla Russia ed altre zone asiatiche. Questi guerrieri riescono a penetrare in uno spazio estesissimo con effetti distruttivi in termini di saccheggio e di devastazione. La dominazione mongola garantì ad un gigantesco spazio euroasiatico una relativa unità. Sono significativi alcuni particolari di questo contatto tra Europa e Cina: 1. emerge ancora l'elemento religioso: ad esempio, le missioni (come nel caso del Giappone) o meglio, dei religiosi si spinsero in queste terre con il proposito dell'evangelizzazione, anche incoraggiati dall'attitudine non di preclusione dei mongoli in quanto questi ultimi non avevano delle preclusioni identitarie in termini di chiusura. Si tratta di religiosi che hanno creduto di poter convertire l'imperatore dei mongoli, la sua coorte e di diffondere in queste terre il cristianesimo. Nel XVI secolo, 1500, in Giappone sarà attivo l'ordine dei gesuiti mentre in queste missioni, saranno attivi più ordini (nel 1200, i Francescani); 2. la città di Venezia eserciterà un ruolo significativo: una delle figura importanti è quella di Marco Polo, mercante veneziano che ci ha lasciato un racconto del suo viaggio in Cina fino alla coorte dell'imperatore mongolo. Decima lezione: 26 Marzo 2019 Capitolo quattordicesimo: Il consolidamento delle istituzioni politiche Primo paragrafo: L'impero nel XIV secolo L’impero ormai si è ridotto alla sua identità di spazio tedesco, dopo Federico II non ci fu più l’imperatore con una così grande capacità di proiezione politica a livello universale, l’impero diventa un po’ un Regno tedesco. Non è uno dei grandi laboratori della statualità moderna, cioè rispetto a quel processo detto prima, l’impero non è una delle realtà più avanzate, resta molto frammentato, diviso con forti autonomie di città, in cui l’autorità centrale è più incerta, però anche l’impero partecipa un po’ a questa trasformazione. In evidenza un documento del 1356 che viene emanato da un imperatore e che si chiama Bolla d’Oro. È il documento che stabilizza e dà una regola all’elezione dell’imperatore che fino a quel momento era qualcosa di compromesso e problematico, la successione imperiale non era automaticamente dinastica, non era come quelle monarchie dove si sa già chi è il successore. Il documento precisa come deve avvenire l’elezione e chi sono gli elettori. Gli elettori sono dei grandi principi territoriali e dei grandi ecclesiastici della zona della Germania. Perciò quando moriva l’imperatore si sapeva che questi 7 titolari di potere e di cariche avrebbero designato il nuovo imperatore invece di dare luogo a un caos o delle guerre civili. Secondo paragrafo: Francia e Inghilterra nella guerra dei Cent'Anni, Terzo paragrafo: Il Regno di Francia e Quarto paragrafo: Il Regno d'Inghilterra Poi si parla di Francia e Inghilterra, che sono due nazioni di cui si è già parlato per dare il senso di quali erano le realtà in cui questi processi di crescita dello Stato, che significava affermazione del potere del monarca, però non solo suo perché c’erano anche delle istituzioni di rappresentanza del Regno di fronte al monarca come il Parlamento inglese, gli Stati Generali in Francia. Sono nazioni che vengono prese ad esempio come modelli di maturità di questi processi di tipo statale. La cosa particolare che le riguarda fra 300 e 400 è la cosiddetta Guerra dei Cent’Anni. Questi due paesi si sono trovati in una guerra lunghissima, ci sono dei periodi in cui il conflitto bellico si ferma e in altri si riaccendono, però al di fuori delle vicende militari che in un primo momento prevalgono gli inglesi e poi invece i francesi riescono ad affermarsi ed a uscire vittoriosi dalla guerra. Ciò che la guerra ha significato per i due paesi che è interessante. La guerra inizia perché sul Regno di Francia esistono degli estesissimi diritti di natura feudale detenuti dal re d’Inghilterra; questo dà l’idea della statualità medievale o premoderna, ossia una forma di potere diversa da quella della modernità della contemporaneità. Grazie a meccanismi feudali piuttosto complessi il re d’Inghilterra controllava una parte significativa del Regno di Francia. Il re d’Inghilterra inoltre può rivendicare la successione al trono di Francia. La situazione di partenza è di una statualità che per noi può essere arcaica, ossia un re che governa su un esteso territorio di un altro re. La guerra anche se costerà sacrifici molto pesanti, sarà una guerra distruttiva con la concomitanza della “Jacquerie”, la guerra porterà anche alla esasperazione dei contadini che si rivolteranno, quindi la guerra è molto pesante però da questa guerra usciranno due stati con una identità molto più moderna, con un profilo che assomiglia di più agli stati che possiamo avere in mente noi e questo sia da un punto di vista territoriale, perché la Francia espellerà dal proprio territorio le alee controllate dal re d’Inghilterra perché in entrambi i paesi proprio a causa della guerra e per antagonismo si svilupperà un maggio senso di identità nazionale. Per esempio, durante le operazioni militari la Francia trova una sua figura eroica in Giovanna d’Arco, ma anche in Inghilterra dopo la conquista normanna, l’élite parlava un suo francese d’oltremare. Sarà dopo la guerra che il francese incomincerà ad essere sentito come la lingua del nemico e l’Inghilterra tornerà ad una scrittura e ad uso generalizzato dell’inglese. Questa guerra può essere ricordata per questa situazione iniziale di una statualità che possiamo definire arcaica e poi però abbiamo una conclusione che finisce col modernizzare la struttura statuale di questi paesi sia dal punto di vista dell’organizzazione territoriale per cui sul Regno di Francia governa il re di Francia e su quello di Inghilterra governa il re di Inghilterra, ma anche da un punto di vista identitario ossia non dimenticare questi fenomeni a base nazionale. Quinto paragrafo: I regni della Penisola Iberica Anche nella Penisola Iberica continua il rafforzamento degli Stati. Con l'unione fra Castilla e Aragona si costituisce in parte il Regno di Spagna: Isabella de Castilla e Ferdinando d'Aragona si sposano e pongono le premesse per l'unità della monarchia Iberica, lasciando fuori il Portogallo. La monarchia che si costituisce con questa unione dà luogo ad un Regno iberico che ha nel proprio passato la memoria della Reconquista, cioè l’aristocrazia militare in particolare della Castilla e la monarchia stessa avendo questo mito di un’origine radicata nella guerra contro la Spagna musulmana, caratterizzerà molto profondamente questa monarchia dal punto di vista ideologico proprio nel senso di una legittimazione posta in una ideologia cattolica molto intransigente; cioè essendo nati almeno nel loro racconto identitario da una guerra di tipo religioso, questa monarchia resterà una monarchia molto caratterizzata da un punto di vista cattolico; questo per tutta l’età moderna si ritrova per esempio nella conquista dell’America, si ritrova nella identità dei re. Un esempio il palazzo Escorial di Filippo II che è un palazzo fortezza convento che bene esprime questa religiosità severa e un po’ cupa del re di Spagna in quel periodo. Questa idea di intransigenza cattolica della Spagna noi la vediamo nel momento in cui nel 1492 vengono cacciati gli ebrei dal Regno. Gli ebrei erano lì dall’età antica, c’erano state delle tensioni con i visigoti, poi erano rimaste delle comunità con l’islam, poi alla fine del 400 vengono espulsi, e c’è questa connessione, cioè nello stesso anno 1492 e quindi l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, la conquista dell’ultimo pezzo di terra che era rimasto musulmano in terra Iberica, ossia la caduta del Regno di Granada che era minuscolo, e la scoperta dell’America. Quindi una connessione che lega una identità cattolica anche alla proiezione planetaria della Spagna, infatti il Vangelo sarà uno dei simboli della conquista militare del Messico e che si rivolge in modo intollerante verso l’interno espellendo le comunità ebraiche, sviluppando anche l’inquisizione contro gli eretici. È una ideologia monolitica; poi si chiude il 400 in questo unificato Regno di Spagna come un Regno cattolico, in modo anche fortemente antagonistico su tutti i fronti, contro gli ebrei, contro i musulmani, nelle terre di conquista, contro gli eretici ecc… Sesto paragrafo: L'Est europeo La Boemia e l'Ungheria sono due realtà interessate allo sviluppo dell'identità nazionale. I territori slavi sono stati organizzati da parte dell'ordine teutonico, ordine di monaci cavalieri che quando non operavano in Terra Santa si dedicavano ad una guerra missionaria in un territorio esteso fra la Prussia e le zone del Baltico. Invece, la zona dell'Europa centro-orientale viene organizzata politicamente ed in questa zona forzata la conversione religiosa. Settimo paragrafo: La riunificazione aragonese dell'Italia meridionale ed Ottavo paragrafo: L'Italia centro- settentrionale: dalle Signorie cittadine agli Stati regionali L’Italia centro settentrionale aveva visto da un punto di vista politico come fenomeno più significativo lo sviluppo dei comuni. Se ci spostiamo alla fine del Medioevo (carta 11) ossia l’Italia dopo la Pace di Lodi. Se avessimo voluto rappresentare una carta politica dell’Italia centro settentrionale nel XIII secolo avremmo disegnato tanti punti corrispondenti alle città con un cerchio intorno che corrispondeva al loro territorio e questa sarebbe stata l’organizzazione politica dell’Italia del XIII secolo, tranne che per l’Italia del sud che nel XIII secolo era il Regno dei Normanni e poi ereditato da Federico II. Questa situazione, quella dopo la Pace di Lodi, che è un documento politico importante del 400 che stabilizza un po’ la situazione, è una Italia organizzata per stati territoriali, che però non sono gli stati nazionali, come Francia, Inghilterra, che hanno una ampiezza territoriale di tipo nazionale; l’Italia non è ampia. L’Italia è divisa in aree regionali e in una forma di equilibrio che poi attraverso delle conquiste da parte della Francia, della Spagna ecc… durerà nel tempo. Queste realtà vengono chiamati Stati Regionali. C’è da capire come si è passati da una situazione dove uno doveva disegnare tutti questi punti con cerchi intorno, ed era la Città Stato, ossia lo Stato era grande come il dominio di una città, invece negli stati regionali principali sono quelli che poi stipulano la Pace di Lodi; che viene stipulata tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, poi viene estesa ad altre realtà. La Lombardia del XIII secolo era un luogo organizzato politicamente dalle sue città principali, quindi c’era Bergamo, Brescia, Milano, Como, ecc.… e i territori annessi ad esse. La Lombardia dell’anno 1495 è (a parte Bergamo e Brescia che sono andate con Venezia) una unità politica; ci sono ancora le città, i comuni, ma c’è qualcosa sopra; un organismo di tipo statuale, c’è un principe. In sostanza invece di decine di città autonome c’è uno Stato principesco che incorpora queste città. La stessa cosa è successa nel Veneto dove non c’è più la completa autonomia delle città di Padova, Verona ecc… ma c’è uno Stato, in questo caso non è lo Stato di un principe ma è lo Stato di una Repubblica, la Repubblica di Venezia, che governa su una realtà regionale che va da Bergamo fino a oltre i confini dell’attuale Italia. Cosa è successo: 2 fenomeni interni ed esterni. Come fenomeno interno nelle città il conflitto politico si è molto accentuato e degenerato alla fine del 200 e alla fine quella storia di crescente partecipazione politica si è un po’ interrotta ed è successo che sulla città si è affermato spesso il potere di un signore. Il podestà non era un signore, lui governava la città perché chiamato dai consigli perché eletto e dopo un anno lo mandavano via, era un funzionario della città come una specie di sindaco che durava un anno. Dalla fine del 200 in queste città governa usando magari spesso all’inizio i modi della tradizione comunali, si chiama ancora podestà, si chiama ancora capitano del popolo, però di fatto è qualcosa di diverso, è un signore che non viene privato della sua carica dopo un anno, è un signore che magari già pensa a come lasciare in eredità il suo potere, oppure che unifica il suo potere, il potere ecclesiastico e il potere laico, questo succede sia a Milano che a Brescia dove il Vescovo è il signore della città per qualche tempo. Quindi invece di avere una città retta autonomamente dal suo organismo comunale abbiamo una città che si trova sottoposta ad un potere che ha una cura individuale e poi penderà a diventare anche dinastico ed ereditario; a Milano il Castello Sforzesco non è Stato costruito da comune, ma dagli Sforza, cioè da una famiglia di principi (in realtà costruito dai Visconti ma poi prenderà il loro nome). In una città al sistema di magistrature comunali si sovrappone l’autorità di un principe che interviene sulle leggi, sull’ordine pubblico, sulla scelta degli ufficiali, chi decide sulla pace della guerra, chi decide le tasse, chi può costruire un castello intimidatorio all’interno della città per far capire ai cittadini chi comanda veramente. Questo è il caso milanese; nel 300 usavano il nome di tiranni; come si chiama uno che governa una città individualmente con la prospettiva di lasciare in eredità il suo potere, che assume su di sé quelle funzioni pubbliche di tipo statuale, ecco che questa parola si usa nel 300 per esprimere questa figura. Oppure un’altra soluzione per porre fine alla grande conflittualità interna che si era verificata nella vita delle città è quella che viene chiamata “oligarchica”. Oligarchica è una parola che deriva dal greco che significa governo di pochi, e vuol dire che la città conserva una struttura politica di tipo comunale, senza avere un signore sopra questa struttura, però non c’è più quella grande partecipazione politica che aveva caratterizzato il 200 e si introducono delle norme per limitare l’accesso alle cariche politiche. Qui vi fa l’esempio di Venezia. Firenze invece è un regime oligarchico che si afferma poi un potere di tipo principesco che è quello dei Medici. Qui poi fa riferimento a un provvedimento che si chiama il “chiusura del maggior Consilio” cioè sono 2 provvedimenti che vengono presi a Venezia tra il 1297 e il 1323 che limitano la possibilità di sedere nel Consilio più importante della città ai discendenti di coloro che erano già stati consiglieri; questo per definire il gruppo di coloro che si tramandano il diritto di partecipare. Può essere intuitivo che in una città in cui per dire, oggi uno dice “io sono il sindaco però da questo momento in poi resto in carica a vita e poi il prossimo sindaco sarà mio figlio” oppure in cui si dicesse “il consiglio comunale sarà per sempre fatto dai figli, nipoti, discendenti, di coloro che sono già stati consiglieri comunali” ecco che è successo qualcosa di nuovo, qualcosa che va contro questa grande esperienza partecipativa che aveva caratterizzato il 200 e che per una crisi dovuta all’eccessiva conflittualità alle fazioni (guelfi e ghibellini) quel sistema va in crisi e dall’interno delle città nasce anche una domanda di maggiore stabilità politica. Questo però riguarda le vicende interne, cioè verso l’esterno è anche successo qualcosa perché noi come avremmo potuto continuato ad avere qui punti circondati da cerchi sulla mappa delle grandi città Stato, per essere comuni a grande base partecipativa potevano essere delle signorie di città. Così verso l’esterno di ciascuna di queste dominazioni essenzialmente un processo di selezione, e che essenzialmente è guerra, il 300 è un secolo di duri scontri militari fra signorie che porta a quella stabilizzazione come tra Milano e Venezia con la Pace di Lodi e poi l’anno successivo con quella che si chiama la Lega Italica che coinvolge anche il Papa e il Regno di Napoli, si arriva ad una stabilizzazione tra le entità esistenti, cioè le identità esistenti si riconoscono reciprocamente i rispettivi territori ed è un impegno alla non-interferenza. Se si pensa alle guerre continue del 300 e quelle del primo 400, la seconda metà del 400 è più pacifica, dal 1454 fino al 1492. Quando poi l’Italia sarà attraversata dagli eserciti francesi, inglesi, svizzeri, allora finirà l’ordine della Pace di Lodi, però per 40 anni si arriva in un nuovo ordine, cioè si è usciti da quel vecchio ordine delle città Stato indipendenti, di campagne militari, di selezione delle entità politiche; poche sopravvivono e vengono inglobate alle altre, quindi ci sono realtà statuali realizzate intorno alle città principali come Firenze, Milano, Venezia… e dopo essersi fatte la guerra fra 1454 e 1455 riescono a stabilizzare una forma di convivenza fra loro e a fissare un ordine che è creato attorno a questi stati regionali. A questo tavolo sono presenti anche lo Stato della Chiesa, la chiesa non come istituzione di carattere religioso, ma uno Stato territoriale che ha come suo principe il Papa. Lo Stato della Chiesa era molto esteso fra Lazio, Umbria, Marche. Poi c’era il Regno di Napoli che ha avuto una storia di divisione e di riunificazione. Da tenere bene presente come si passa da una città comunale autonoma ad una città guidata da un signore o da una oligarchia, e poi come queste città facendosi la guerra fra loro si trovano accorpate in più grandi unità territoriali. Esempio di Como che rimane una città ma che viene inglobata al territorio di Milano. Gli stati regionali sono la forma di sviluppo della statualità in Italia nelle forme analoghe a quelle riscontrate in Europa. l’impero latino d’Oriente. La data decisiva che ha anche una forte valenza simbolica è il 1453, quando i turchi ottomani conquistano Costantinopoli, cioè Bisanzio, la megalopoli dell’impero ottomano; quella che fu la città fondata da Costantino, quella che per 1000 anni era stata la capitale di un sempre più ridotto Impero Romano d’Oriente e il centro di radiazione della cristianità greca o orientale viene persa dalla cristianità e diventa una città turca e musulmana. A Istanbul uno dei monumenti più importanti monumenti è la Chiesa di Santa Sofia; questa fu trasformata durante il regime laico in un museo, quindi è una Chiesa della cristianità orientale che poi è diventata una moschea, che poi adesso è un museo. Il mediterraneo orientale è interessato da questa nuova realtà politica importante. All’interno del paragrafo bisogna avere il senso del significato culturale simbolico; le città italiane, i principati cristiani in realtà non fecero niente per evitare la caduta di Costantinopoli; il Papa che governò la Chiesa attorno agli anni 50 e 60 propose in modo insistito la crociata, ma la crociata non si fece. Perciò non è che i cristiani d’occidente si presero a cuore la difesa della Chiesa d’Oriente; però è vero che questo evento suscitò negli anni allarme, scoramento, quindi fa parte di quei fatti storici che al di là dell’evento in sé hanno anche un forte valenza psicologica come il saccheggio di Roma da parte dei Barbari. In che contesto la caduta di Costantinopoli ebbe molta eco? All’interno di quel fenomeno culturale e intellettuale in Italia dell’umanesimo con cui si chiude il libro. Capitolo sedicesimo: Società e cultura alla fine del Medioevo Il capitolo 16 ha un primo paragrafo che chiude il medioevo con una data simbolo di svolta che è quella della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492; inoltre è una data importante per eventi della Penisola Iberica, come la scoperta dell’America da parte di un italiano però sostenuto dalla corona di Castilla, l’espulsione degli ebrei e la conquista dell’ultimo organismo politico musulmano in terra iberica. Poi c’è un altro paragrafo che riassume la situazione sociale ed economica del basso medioevo (situazione simile alla crisi del 300). Ripete i fenomeni di ristrutturazione, l’allevamento… L’ultimo paragrafo è dedicato alla cultura, cioè a quella nuova atmosfera culturale che è molto evidente nell’Italia del 400 ma un po’ in tutta Europa tra 400 e 500, e che viene chiamata cultura umanistica Rinascimento perché si vogliono sottolineare alcune discontinuità rispetto all’età precedente. Alcune caratteriste principali sono il recupero dei classici, sia latini che greci. Il medioevo aveva conosciuto non direttamente la cultura greca, cioè nell’Europa medievale per lunghi secoli il greco non era più conosciuto, nemmeno dalle persone di cultura, neanche dagli ecclesiastici; questo perché questo periodo non era solo di ritorno alla lettura della classicità latina ma anche della classicità greca. Valorizzazione di determinanti stili di vita che hanno anche una caratterizzazione laica. La cultura non è più solo ecclesiastica. Un altro punto è che questa cultura non ha più tanto come sede le università, che erano state la grande istituzione del XIII secolo, ma hanno delle sedi meno formalizzate, che sono le sedi dei principi, sono le reti di amicizia fra studiosi. Il più grande intellettuale dell’Europa del XIII secolo Tommaso D’Aquino era un professor universitario, mentre nel XV secolo tra gli umanisti italiani non necessariamente venivano dall’insegnamento universitario, anzi emerge una critica al vecchio insegnamento della teologia che erano le grandi materie dello sviluppo intellettuale nei secoli precedenti come materie della pedanteria e non di un autentico approfondimento culturale umano e personale; è qualcosa che può collegarsi con le nuove forme di devozione; quella che si sviluppa in determinate confraternite , che non è più una religiosità tutta risolta nella pratica abituale ma è una religiosità che vuole alimentarsi di sentimenti personali, di lettura di preghiera individuale. C’è una religiosità esteriorizzata che prevale spesso che è ritualizzata. L’umanesimo è un periodo in cui si sviluppa una dimensione di ricerca interiore. In questo quadro di cultura laica emancipata da una tradizione religiosa, dalle istituzioni universitarie, di ricerca dei classici, di valorizzazione dell’uomo e dell’umanità, si può comprendere come mai ebbe anche molta risonanza negli animi degli intellettuali la caduta di Costantinopoli. C’è anche il tema della arte figurativa o della architettura che ha nel 400 un periodo di grande sviluppo. Una puntualizzazione sulla stampa a caratteri mobili nel 1455. In una tipografia della Germania viene stampata la prima Bibbia e rappresenta una fase di accelerazione decisiva nella circolazione dell’informazione culturale. Alla metà del 400 si pongono le condizioni per cominciare un lento passaggio da una cultura del manoscritto a una cultura del libro stampato, e tutta la cultura moderna sarebbero inconcepibili senza alle spalle questo strumento di divulgazione del pensiero; la cultura potrà incamminarsi verso circuiti i diffusione che prima erano impensabili e si imporranno per le autorità politiche ed ecclesiastiche delle esigenze di controllo che prima non c’erano; infatti nel 500 c’è tutta una gestazione da parte della Chiesa romana per produrre l’indice dei libri proibiti, cioè una serie di libri che era vietato possedere. Per quanto riguarda l’approccio per i classici latini e greci, si sviluppa un approccio critico che è importante per lo sviluppo storico. A questo proposito si ricorda da parte di un umanista, Lorenzo Valla, la dimostrazione che un documento famoso del medioevo, la “Donazione di Costantino” era un falso. C’era un documento che la Chiesa romana esibiva, anche se aveva già sollevato dubbi, che veniva attribuito a Costantino e riferiva alla donazione di tutto l’occidente al Papato. Questo documento non è Stato fatto veramente da Costantino ed è un falso che è Stato prodotto in età ottoniana, nel X secolo a Roma; era Stato fatto 600 anni dopo la morte di Costantino. Questo umanista dimostrò con la logica che il documento era falso poiché conteneva delle parole che potevano essere state scritte nel latino di Costantino del IV secolo. C’è Stato l’accertamento scientifico della struttura di un testo e la dimostrazione della sua veridicità. Monografie Storia Medioevale 02. Ariel Toaff - Il vino e la carne Una comunità ebraica nel Medioevo Nella scorsa lezione (Prima lezione: 01 Aprile 2019), abbiamo visto quali erano le condizioni di vita quotidiana delle comunità ebraiche all'interno di una realtà regionale italiana, alcuni problemi di carattere generale che riguardano il processo storico complessivo, la questione delle fonti ecc. In questa lezione vedremo alcune testimonianze che ci permettono di estendere il discorso anche alla realtà dello Stato di Milano e quindi di un altro Stato regionale italiano. 03.Missiva Il contesto è quello dello Stato regionale di Milano, un contesto in cui vi è la pluralità di poteri propria delle forme statuali dell'Italia del Tardo Medioevo, all'interno del quale si colloca la comunità ebraica. Questa prima fonte è una lettera ovvero una fonte di carteggio, una fonte di corrispondenza di rapporto scritto fra il Duca di Milano, Francesco Sforza e la comunità di Voghera, riguardante gli ebrei. Questa non è una legge, o meglio, non è che il Duca di Milano ovvero il principe sta emanando una norma ma messo al corrente di un problema, egli scrive all'autorità locale. L'intestazione della Missiva riporta la collocazione di quest'ultima ovvero l'Archivio di Stato di Milano; nello specifico, questa Missiva è collocata nei Registri delle Missive n.12 e n.493 (numero del documento edito). Inoltre, l'intestazione della Missiva riporta la data ovvero il 26 Aprile del 1452. Il documento è scritto interamente in italiano volgare, ovvero quell'italiano che può ricordare l'italiano letterario del secolo. Il Duca di Milano si rivolge al potestà, al comune e agli uomini cioè gli abitanti di Voghera. → Quindi, gli interlocutori sono, da una parte, il Duca di Milano e dall'altra parte, il comune con la sua potestà. E' un episodio del 1452 di manifestazione a livello locale di una qualche forma di insofferenza verso la presenza ebraica. Siamo in una località minore (che non è un villaggio e non è neanche una città) come Voghera in cui sono presenti degli ebrei. La presenza ebraica nello Stato di Milano era molto dispersa e anche molto disomogenea e quindi non dobbiamo pensare che erano tutti concentrati a Milano e che fossero in misura via via decrescente presenti anche nelle altre città dello Stato in quanto nell'area settentrionale del dominio, nei grossi centri delle valli, corrispondenti oggi all'attuale provincia di Como, di Sondrio e di Verbania in Piemonte, non c'erano con un numero significativo gli ebrei mentre verso la Pianura e nell'Oltre Po c'erano piccole località che avevano delle presenze ebraiche evidenti ed emergenti. E' una manifestazione a livello popolare di insofferenza verso la presenza ebraica ma vi è un intervento del potere centrare a loro favore, a loro protezione. Succede spesso che magari i gruppi di minoranza siano più osteggiati dalla popolazione locale ma in qualche modo difesi dal potere centrale, dal potere del principe, dal potere del Re che interviene come garante mediatore, come supremo arbitro, come garante (ruolo Super partes) della loro presenza ma molte volte succedeva il contrario ovvero era il principe ad emanare delle norme come per esempio contro la popolazione romanì in età moderna. Quindi, a livello locale ci sono delle minacce, ci sono dei danni fatti al patrimonio degli ebrei e la suprema autorità dello Stato, il Duca Francesco Sforza (Duca dal 1450) interviene a loro favore. Non sappiamo il motivo di questa insofferenza ma lo possiamo dedurre dal fatto che si tratta di ebrei attivi nel prestito in quanto il prestito è una delle attività più significative degli ebrei ed una delle attività che li esponeva all'insofferenza. Nel libro “Il vino e la carne” di Toaff Ariel si parla del ruolo del prestito ebraico. Spesso i detentori dei banchi di prestito sono le figure più prestigiose all'interno della comunità ebraica, sono tra le famiglie agiate. Questa attività è un'attività che viene richiesta dalle città e dalle comunità o meglio si chiede l'insediamento di una famiglia ebraica di prestatori perché l'economia locale ha bisogno di credito e inoltre, l'attività di prestito è una attività che suscita dei sentimenti come il prestito ad interesse e delle lamentele sull'identità dell'interesse in quanto sullo sfondo è presente un grande concorrente del prestito ebraico come Monti di Pietà ovvero delle istituzioni fondate spesso dai comuni e quindi con un profilo pubblico e volute, predicate e sostenute dai francescani per il prestito su pegno a persone di umile condizione. I motivi per cui i francescani promuovono i Monti di Pietà con le loro predicazioni, invitando a fare donazioni ecc. è quello di limitare l'importanza del prestito ebraico cioè creare dei circuiti di credito, una economia cristiana che non ha più bisogno di ricorrere al prestito degli ebrei. E' significativo che Todeschini Giacomo abbia intitolato uno dei suoi ultimi libri “La banca ed il ghetto”: il ghetto è l'area riservata alla residenza costretta degli ebrei dal 500; in una città si stabilisce che tutti gli ebrei devono risiedere in una via all'interno di un quartiere per poi rientrarvi di sera. Queste disposizioni di residenza coatta degli ebrei si diffondono dal 500 prima a Venezia, poi Roma e così via. Todeschini Giacomo ha intitolato il libro in questo modo perché riteneva che ci fosse una simultaneità tra l'origine di questi enti di prestito cristiani che si diffondono dalla fine del 400 e l'espulsione degli ebrei dallo spazio cittadino condiviso e quindi che nascano contemporaneamente il dispositivo per il credito cristiano ed il dispositivo di discriminazione residenziale degli ebrei. Si preuppone che all'origine di questo episodio di conflitto ci sia probabilmente l'attività di prestito. Tale società di prestito è organizzata su base non esclusivamente locale o meglio, c'è un socio a Pavia ed altri soci a Voghera. Quindi, da un lato, una famiglia di ebrei impegnata in una delle attività significative di questi gruppi nell'Italia del tempo e dall'altro, un atteggiamento di minaccia nei loro confronti da parte della popolazione. Ma come si colloca il principe? In questa situazione, il principe prende nettamente le difese degli ebrei e scrive alle autorità locali di Voghera e quindi al potestà ed al comune, di consentire agli ebrei di vivere secondo le loro usanze e le loro consuetudini in quanto è stato scritto nella condotta, la quale è l'accordo che si pone a fondamento della presenza della comunità ebraica in una determinata zona, città o comunità minora. “Nostra intenzione è che caduno iudeo possa vivere nel paese nostro securamente” Spiegazione: Questo è importante dal punto di vista di quella che è l'identità del potere pubblico nel 1452. Paese nostro è lo Stato in cui Francesco Sforza è principe. In questo documento, Francesco Sforza assume la posizione tradizionale del potere pubblico ovvero quella di supremo garante in quanto egli è garante della sicurezza della vita e del patrimonio delle comunità di minoranza all'interno del suo dominio secondo l'idea che l'autorità pubblica si faccia carico di chi è in una posizione di maggiore debolezza. Se ci spostiamo di qualche decennio, la situazione è già deteriorata. → 04. Ariel Toaff – Pasque di sangue Ebrei d'Europa e omicidi rituali Il libro “Pasque di sangue” di Toaff Ariel tratta un argomento più delicato e più preciso rispetto al suo stesso libro“Il vino e la carne” in quanto in quest'ultimo egli mostra nel complesso come poteva vivere una comunità ebraica in una zona d'Italia nel Tardo Medioevo mentre nel libro “Pasque di sangue” egli prende in esame una accusa specifica della cultura anti-ebraica ovvero l'accusa di praticare l'infanticidio rituale alla fine del 400. Gli infanticidi rituali sono, per quanto ne sappiamo, una accusa e non una pratica o meglio, una accusa di ricorrere a dileggio del cristianesimo a un sacrificio umano di bambino cristiano in prossimità della Pasqua; tale accusa viene alimentata da determinati ambienti cristiani nei confronti degli ebrei. Nell'episodio del 26 Aprile 1452 non è esplicitato un motivo di questo tipo. L'insofferenza anti-ebraica diventava sempre più estrema nel periodo della settimana santa e della pasqua. Questo tema è ricorrente nel libro di Toaff quando l'autore si riferisce ad una pratica rituale come la sassaiola santa dove, in occasione del venerdì santo, gli ebrei venivano fatti bersaglio di sassaiole, di tiri di pietra, in un clima in cui i riti della pasqua ovvero i riti del venerdì santo, i quali sono collegati alla passione, esasperavano un motivo di odio anti-ebraico che era l'accusa di essere collettivamente responsabili della crocefissione di Gesù Cristo. Infatti, uno dei motivi forti dell'anti-ebraismo medioevale è l'accusa di deicidio (uccisione di Dio) che finiva col il collegare, anche da un punto di vista del calendario, i riti della settimana santa e quindi, i tempo di settimana santa.” L'autorità della città si pone in sintonia con gli ebrei in quanto fin quando è un cerimoniale agito dai bambini va bene sia agli ebrei sia ai cittadini ma se la sassaiola santa cessa di essere esclusivamente una rappresentazione e si manifesta una ostilità, l'accordo cessa e l'autorità della città deve intervenire per reprimere questi comportamenti. Quindi, la pasqua è il momento di esasperazione degli attriti, i quali possono essere mantenuti all'interno del copione però c'è il rischio che si vada oltre e quindi che non siano tollerati né dalle comunità né dall'autorità. 05. Anna Antoniazzi Villa – Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488 Crescita e declino della comunità ebraica lombarda alla fine del Medioevo Questo libro riguarda un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488. Nel primo documento abbiamo visto che le comunità e quindi gli individui e le famiglie che si riconoscevano nel complesso di una comunità ebraica erano diffuse nelle varie località dello Stato di Milano. Se nel 1452, il Duca interviene a favore degli ebrei di Voghera che venivano osteggiati dalla popolazione e se nel 1479 il garante era ancora il punto di riferimento a cui la comunità ebraica dello Stato poteva rivolgersi nell'aspettativa e nella convinzione che avrebbe difeso la loro posizione, nel 1488 anche il Duca di Milano partecipa nel fronte ostile alla presenza ebraica. Questo processo riguarda per la precisione l'accusa di detenere libri in cui vengono irrise le figure principali del cristianesimo e la fede dei cristiani e quindi l'accusa di detenere libri proibiti anti-cristiani. Anche in questo caso, c'è un processo che viene fatto nei confronti degli ebrei residenti in varie località dello Stato ed anche in questo caso, il processo arriva alle condanne a morte però lo Stato di Milano era governato da un esponente della famiglia Sforza, Ludovico Il Moro, il quale era particolarmente bisognoso di denaro e quindi la condanna a morte è il pretesto per imporre alla comunità ebraica una sorta di contazione di riscatto di queste condanne a morte con il versamento di una ingentissima somma di denaro. Quindi, le condanne a morte non vengono eseguite ed il principe si fa dare un ingente riscatto economico che risparmi agli ebrei la condanna a morte. Il tema della detenzione di libri proibiti è il tema di una lettera successiva al processo di due anni, del 1490. Questo documento viene intitolato “Ordinatio pro combustione librorum ebreorum” quindi il problema è quello che ha dato vita al processo del 1488 in cui l'accusa era di detenere libri anti-cristiani e l'ordine è quello di bruciare i loro libri, è quindi la distruzione della loro biblioteca religiosa e per altro, in diversi momenti della storia, l'intolleranza verso la cultura delle minoranze si è espressa in questo atto, nell'atto del bruciare i libri. Il documento è un documento che l'autrice trascrive dai registri di un notaio, è una lettera del Duca di Milano (Litteras ducales tenoris huiusmodi). L'intestazione della lettera ducale è “Dux Mediolani” o meglio, è il Duca di Milano che si rivolge ai suoi ufficiali, ai suoi funzionari. Alla fine della lettera, prima delle formule di chiusura del documento notarile, si trovano i destinatari ovvero le autorità della città e una magistratura finanziaria dello Stato. In questa lettera ducale, troviamo un atteggiamento del principe che ormai è radicalmente mutato rispetto al passato. “Dilecte noster, avendo noi mollestissimo li riti et modi quali ne fo facto intendere usavano li ebrei del dominio nostro in sue cerimonie contra la fede christiana, ordinassemo che tutti li libri de la fede sua fossero portati a Milano inanti ad li commissarii quali elessemo et deputassemo ad la inquisitione de tali errori et mancamenti, ad cio, meglio se potesse intendere et manifestare la verità de questa cossa; et tandem per hispectione de dicti libri, dicti ebrei forno ritrovati colpevoli et condemnati, como defusius appare per el processo super inde agitato. Hora perchè dicti ebrei non possano piu usare depsi libri contra la lege de Dio, deliberamo che siano dispersi; per il che volemo et ve commettemo che tuti dicti libri conducti at Milano como he dicto, li quali veserano consignati et dati per el nobile Aluisio Cagnola di deputati de le Intrate nostre, presso el qualle forno reponuti et si ritrovano, debiati farli brusare et in modo che piu non si trovano.” Spiegazione: Visto che nei libri degli ebrei sono presenti parole e cerimonie contro la fede cristiana, Il Duca di Milano ha ordinato una inquisizione cioè una ispezione, un esame accurato di questi libri da parte delle autorità dello Stato. Gli ebrei sono stati riconosciuti colpevoli e a questo proposito, rimandiamo il processo del 1488. Una lettera di questo tipo rappresenta il momento in cui l'autorità pubblica raccoglie una delle convinzioni e delle voci dell'ostilità anti-ebraica cioè secondo un paradigma del complotto, l'idea che gli ebrei e i loro riti conservino cerimonie anti cristiane, che loro operino nel segreto di una lingua che i cristiani non comprendono immediatamente, anche l'autorità pubblica fa propria questa visione in un certo senso dell'accertamento della comunità cristiana da parte degli ebrei e non si pone più come ago della bilancia, non si pone più a difesa delle loro consuetudine come era avvenuto in passato, anzi interpreta un sospetto verso queste cerimonie. Quindi si dispone per la distruzione dei testi in cui viene tramandata questa tradizione religiosa; i libri sono stati confiscati, depositati presso un ufficiale dello Stato di Milano e sono stati destinati al rogo. Gli ebrei sono scampati alla condanna capitale però si esprime una istanza molto forte di cancellazione della loro tradizione culturale. Quarta lezione: 03 Aprile 2019 NO APPUNTI Quinta lezione: 08 Aprile 2019 07. Giacomo Todeschini – Visibilmente crudeli Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all'età moderna Nella lezione precedente (Quarta lezione: 03 Aprile 2019) abbiamo visto alcune suggestioni del libro “Visibilmente crudeli” di Giacomo Todeschini, in particolare la categoria di civilità e quindi di civilizzazione, come perimetro di modi di pensare, di agire, di parlare che definiscono delle inclusioni e delle esclusioni e la collocazione del lavoro culturale e del lavoro educativo rispetto a questi processi di inclusione o a queste sanzioni di esclusione. Inoltre, abbiamo fatto riferimento sia come punto di riferimento sia come metafora al ragazzo selvaggio, un ragazzo cresciuto nel bosco. Questo ci permette di riflettere sulle condizioni, sui limiti, sugli obiettivi e sull'etica del lavoro educativo. Le parole “civiltà” e “civilizzazione” hanno nella loro radice semantica dei riferimenti immaginari e simbolici molto forti: dietro alla civiltà, c'è la città dei romani e dietro la figura del selvaggio, c'è la selva dei romani; la città ed il bosco, cioè che è civile e ciò che non lo è. Capitolo primo: La crudeltà degli infedeli Paragrafo 1: Ferocia Todeschini vuole farci capire che cosa è la civiltà e cosa è il selvatico nella società medioevale. Da questo punto di vista, la società medioevale deve essere intesa nelle sue diverse componenti: • una forte eredità culturale del mondo antico, che valorizza la civitas civilitas, la civiltà della città, la città come spazio privilegiato del convivere umano; • la cultura cristiana: facciamo riferimento, sul piano della storia generale, ad un impero che con Teodosio diventa cristiano, in cui l'unica religione ammessa, a parte una tolleranza accordata all'ebraismo, è il cristianesimo. Inoltre, facciamo riferimento al monopolio della cultura che la Chiesa e gli uomini di Chiesa avranno per tutto l'Alto Medioevo ed anche in parte nel Basso Medioevo. Nel Basso Medioevo non c'è più un vero e proprio monopolio della cultura da parte degli ecclesiastici ma ci sono dei maestri laici, dei notai, ampi settori di popolazione che sanno scrivere, nel 1400 ci saranno gli umanisti che possono essere considerati degli intellettuali laici e nel XIII secolo, l'università viene largamente contraddistinta dalla presenza di intellettuali ecclesiastici. Quindi, tutta l'elaborazione dei concetti di civiltà e non civiltà, di appropriatezza culturale è molto condizionata dal pensiero di intellettuali cristiani. Questo viene detto dall'autore a pagina 24: “Al centro del discorso, tuttavia, e palesemente, vi era la progressiva e rapida edificazione di un soggetto collettivo e ben delimitato: quello costituito dagli esperti della fede”. Nell'immagine sociale di Todeschini, la centralità, il centro della società che giudica e classifica il resto della società e definisce i discorsi legittimanti e quindi delegittima è rappresentato dagli esperti della fede cioè gli intellettuali ecclesiastici. “Essi, a questo punto, non avevano fra i loro compiti soltanto quelli riguardanti la diffusione del messaggio cristiano e il governo della giustizia nell'ambito delle loro comunità, ma anche quelli che scaturivano dalla necessità di controllare il contatto tra fedeli e infedeli, ossia di stabilire un sistema di rappresentazioni della socialità in grado di fare della “città” cristiana un modello in grado di convalidare la loro autorità”. Il loro compito non era più semplicemente un compito di diffusione del vangelo e di governo di una istituzione cristiana ma hanno in sostanza l'autorità di controllare il contatto tra fedeli ed infedeli, ossia di stabilire un sistema di rappresentazioni della socialità in grado di fare della “città” cristiana un modello in grado di convalidare la loro autorità. → Quindi, loro sono i detentori della autorità, sono non soltanto coloro che devono diffondere un messaggio, ma coloro che si attribuiscono il potere di stabilire un sistema di rappresentazione della socialità e quindi il compito di classificare la società, di comprenderla, di definirne i linguaggi, di stabilire chi sono i fedeli e chi sono i non fedeli e come ci si deve regolare con gli uni e con gli altri. Dunque, al centro ci sono gli intellettuali ecclesiastici. A questa visione della società, si collega anche una selezione delle fonti, in particolare, autori della tradizione cristiana come, a pagina 15, l'apostolo Paolo, colui che ha contribuito enormemente a propagare il cristianesimo ed una forma specifica di cristianesimo con la sua presenza presso diverse comunità e con le sue lettere, le quali costituiscono una primissima ed importantissima formalizzazione scritta del cristianesimo ma anche Agostino, il più importante filosofo del cristianesimo occidentale del primo millennio di storia cristiana, un uomo di lettere romano del Nord Africa che si converte al cristianesimo a Milano sotto l'autorità e l'influsso del vescovo Ambrogio, scrive alcuni trattati sull'ortodossia che fondano la cultura e la filosofia cristiana. Inoltre, sono citati gli apostoli, qualche trattatista, qualche giurista, sempre con la netta prevalenza di autori ecclesiastici. Secondo Todeschini, da questa produzione intellettuale, emerge una divisione fondamentale, una spartizione del campo tra una civiltà che è essenzialmente cristiana, delimitata dall'obbedienza nei confronti degli indirizzi intellettuali che provengono dal centro di pensiero e di potere e tutto un contorno che mano a mano si allontana dal centro, di marginalità o esclusione che può essere via via più estrema a mano a mano che si passa dalla condizione di chi ha semplicemente una fama incerta o dubbia cioè di chi non è al sicuro nella sua posizione per il fatto di occupare il centro della società fino ad una esclusione che viene rappresentata con i contorni di una condizione subumana cioè fino all'animalità. Ma chi sono concretamente questi marginali, questi esclusi? Quali sono i motivi di debolezza della loro posizione? A queste domande è dedicato un po' tutto il libro. A partire dall'indice vediamo coloro che vengono da fuori ovvero coloro che non appartengono al corpo della città; le donne la cui vita può essere considerata equivoca o scandalosa, le quali non sono soltanto motivo di scandalo astrattamente ma la condotta scandalosa della donna è raffigurata e modellizzata nella figura della concubina del prete, di colei che rischia in qualche modo di costituire una minaccia per il carisma sacerdotale, quella che può macchiare la condizione del sacerdote; gli usurai ovvero coloro che usano delle risorse in un modo che l'autorità ecclesiastica considera non appropriato, non legittimo; i mestieri che possono essere necessari alla città ed al funzionamento della sua autorità ma che sono portatori a loro interno di una macchia di qualcosa di non puro, come per esempio, il mestiere del boia; gli ebrei; i poveri ed in generale dell'umanità periferica. → Quindi, al centro della società ci sono gli ecclesiastici che si auto-tutelano nella posizione di maggiore vantaggio culturale e poi coloro che fanno mestieri umili e in qualche modo considerati impuri della città, i poveri, coloro che gestiscono le ricchezze in modo inappropriato, gli ebrei e gli infedeli ovvero tutto un mondo che viene percepito alla luce della distinzione rispetto a questo centro sacro. A pagina 18, “D'altra parte un'altra frase chiave, se ipsos segregant (si separano da sé) enfatizzava in questi ragionamenti quella che sarebbe poi per secoli stata una nozione di base dell'identità di gruppo cristiana: i non cristiani, gli infedeli, oppure gli eretici e gli ebrei, erano separati, si distinguevano dai cristiani, perché così volevano e avevano scelto in conseguenza della loro non spiritualità”. → Quindi, la concezione complessiva della società che l'autore ritiene di poter identificare in queste opere è quella di gruppi segnati da una posizione di separazione, di non appartenenza, piena o parziale alla città e alla civiltà dei cristiani e quindi una non appartenenza all'umanità, una esclusione dalla condizione propriamente umana. In tutto il libro, c'è l'idea di fama, la quale importante nella società medioevale perché la società medioevale non ha alla base una scrittura anagrafica istituzionale che identifica le persone in modo stabile. Attualmente, noi abbiamo documenti di identità, documenti che ci consentono di espatriare, documenti che attestano il fatto che possiamo guidare in quanto abbiamo superato un esame che ci abilita a farlo, il titolo di studio ovvero una documentazione che si appoggia sul fatto che la nostra nascita, i momenti fondamentali della nostra formazione, dati che ci riguardano come la residenza sono sottoposti ad una continua trascrizione ufficiale, una continua messa per iscritto e quindi grazie alla documentazione si può andare a verificare se si è cittadini o meno, se si ha la fedina penale pulita o meno e così via, ma, il Medioevo, non ha la disponibilità sul singolo individuo di una massa così importante di informazioni affidate alla scrittura. Il Medioevo sviluppa molto l'idea della fama, di ciò che universalmente si pensa di una persona. La fama condiziona la posizione processuale e quando ci riferiamo alla fama, ci riferiamo alla documentazione di carteggio quando una autorità scrive ad un'altra autorità a proposito di una persona; ad esempio, il potestà della città di Como scrive al potestà della Città di Milano in quanto c'è una persona che crea disordine, mette in dubbio la sua accuse di infanticidio rituale, delle forme di intolleranza che possono sfociare in persecuzioni ma anche del versante dell'incontro, di cordialità della vita quotidiana. Todeschini, invece, è portato a vedere un mondo cupo e depressivo. • Fonti differenti: Il libro di Toaff è condotto su fonti pragmatiche di tipo documentario che vanno dagli atti notarili alle deliberazioni dei consigli delle città, agli statuti ecc. Si tratta di fonti prodotte dalla quotidianità nella decisione politica, dal rapporto economico, dai processi, fonti dell'amministrazione o della relazione economica tra privati. Il libro di Todeschini è costruito su fonti della teoria, della dottrina. Todeschini non cita gli statuti della comunità di Spoleto ma cita Agostino, l'apostolo Paolo ovvero fonti in cui emerge la rappresentazione dell'altro rispetto alla quotidiana vicinanza dell'altro. Quindi, c'è una maggiore rappresentazione del piano dei modelli rispetto al piano della pratica della vita quotidiana (campo analitico del libro di Toaff). In sintesi, Toaff e Todeschini hanno due modi diversi di vedere il mondo. Sesta lezione: 09 Aprile 2019 08. Giacomo Todeschini – Gli ebrei nell'Italia medievale Nella lezione precedente (Quinta lezione: 08 Aprile 2019), abbiamo discusso sulle definizioni di civiltà, le quali possono servire all'inclusione, alla produzione della relazione sociale e quindi alla cosiddetta relazione di cura ma possono servire anche a discriminare, a delimitare gruppi di persone che sono estranee alla civiltà. Il libro “Gli ebrei nell'Italia medievale” di Todeschini tratta la popolazione ebraica in Italia mentre il libro “Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo” tratta la popolazione ebraica in una data comunità regionale. In questo libro, sono da mettere a fuoco i seguenti elementi: • l'interpretazione storica che l'autore propone; • le fonti che l'autore usa; • l'ambiente specifico, l'ambito, lo spazio geografico a cui l'opera si riferisce; • il tempo. Uno dei punti di partenza di questo libro è quello di includere gli ebrei all'interno di una più generale storia italiana. Questo può significare due cose su due versanti: 1. non limitare l'Italia e la storia italiana nel Medioevo all'identità cristiana dei gruppi dominanti o meglio, bisogna pensare che la storia italiana è stata fatta anche da altre componenti della popolazione ovvero insediamenti di comunità musulmane in Sicilia e di comunità ebraiche, come parte integrante di questa storia complessa, di una Italia mosaico con più presenze culturali e religiose. → Questo significa qualcosa non solo sul versante italiano ma anche sul versante ebraico: non significa fare solo una storia interna della comunità ebraica e una storia che si risolva sempre e necessariamente nell'accerchiamento, nell'esclusione e nella persecuzione ma bisogna considerare anche tutte le occasioni di apertura di queste comunità di minoranza verso l'esterno, le loro ricche relazioni con l'ambiente circostante. 2. la distinzione e, al contempo, il legame tra Italia del Nord e Italia del Sud. Da un punto di vista politico, sociale e della storia ebraica, Italia del Nord e Italia del Sud sono parti di Italia che hanno avuto storie parzialmente diverse. Nell'Italia del Sud, vi è una persistente visibilità della presenza ebraica. Sia nell'Alto Medioevo sia nel Basso Medioevo, vi è una presenza documentaria più strutturata delle comunità ebraiche nell'Italia del Sud, questo perché nell'Italia del Sud si installa una monarchia, la monarchia normanna (tale monarchia diventerà successivamente Sveva, Angioina ed infine Aragonese), una monarchia molto forte che, rispetto all'Italia del Nord, la quale è frammentata in Città-Stato nell'età comunale e successivamente in signorie, assoggetta direttamente a sé, anche in un rapporto di protezione, le comunità ebraiche del Regno e quindi, gli ebrei dovevano dare delle entrate di carattere fiscale alla monarchia ma erano anche soggetti peculiari della monarchia ovvero venivano protetti da quest'ultima. → Quindi, nell'Italia del Sud, le comunità ebraiche sono collegate direttamente ad un potere forte, centrale e strutturato (la monarchia normanna) e questo collegamento di dipendenza ma anche di protezione, ci ha lasciato in eredità una documentazione che ci fa vedere meglio queste comunità. Invece, nell'Italia del Nord del X o XI secolo, non sappiamo precisamente se ci fossero e quanto fossero ampie le presenze ebraiche. Queste presenze sembrano intensificarsi più tardi, con un doppio movimento di ebrei che provengono o dalla Germania, o dall'Italia centrale, a cui si aggiungeranno anche gli ebrei della Spagna. → Quindi, si tratta di comunità che vengono dall'esterno e che si insediano nelle città dell'Italia Settentrionale, le quali conoscono un forte sviluppo economico e sociale e quindi possono essere uno spazio adeguato per le attività delle comunità ebraiche, comunità che provengono da zone meno ospitali che un po' alla volta li stanno allontanando e li stanno sottoponendo a condizioni pesanti di vita. Sulle comunità ebraiche, ci sono testimonianze sparse ma non c'è una documentazione di tipo aggregato ed omogeneo come quella che abbiamo nell'Italia del Sud. C'è una documentazione legata alla grande frammentazione del potere dell'Italia Centro-Settentrionale come ad esempio, singoli accordi tra una singola famiglia ebraica ed il tale comune affinché la comunità possa insediarsi in quella determinata zona, atti notarili, processi; in generale, una documentazione frammentata. → Quindi, nell'Italia del Sud, vi sono delle attestazioni continue, omogenee, aggregate, strutturate mentre nell'Italia del Nord vi è la sensazione apparente di presenze che restano per molti secoli, sporadiche, incerte, che sembrano assenze e quindi, vi è una forma di attestazione documentaria molto frammentata. Il libro evidenzia anche un altro elemento: la vita interna delle comunità ebraiche. Le comunità ebraiche hanno una loro vita culturale e rituale. Ad esempio, nella Toscana dell'Alto Medioevo e in altre realtà successive dell'Italia Settentrionale, vi è l'attestazione di una vita culturale significativa delle comunità ebraiche o meglio, l'attestazione di una vita interna che può avere carattere culturale, giuridico, rituale cioè religioso ecc. Queste attestazioni ci vengono date da autori importanti che ci hanno lasciato diverse fonti, fonti che appartengono alla tradizione ebraica e quindi fonti che non attestano il rapporto con i cristiani e con il mondo esterno, non si tratta di contratti con le autorità dei cristiani ma di testi giuridici, trattati, commenti religiosi, poesie ecc. che ci fanno capire che erano presenti delle comunità ebraiche, delle presenze di alta cultura ma non riusciamo a capire come mai, in un certo senso, sfuggissero all'attenzione, all'intervento delle autorità pubbliche, come mai è poco coerente e poco sistematico l'intervento dell'autorità politica dell'Italia Settentrionale sulle comunità ebraiche. Questo riscontro di testi che vengono dalla vita interna del mondo ebraico, questa diversa tradizione documentaria fa dire all'autore che non dobbiamo contrapporre troppo nettamente Nord e Sud cioè distinguere queste due regioni ma non ritiene nemmeno che si debba confermare una immagine dell'Italia del Nord come una realtà che per lunghi secoli nell'Alto Medioevo e nei secoli centrali del Medioevo, sembrerebbe non aver conosciuto presenze ebraiche. Secondo Todeschini, non bisogna ridurre l'attività ebraica al solo prestito in quanto le comunità ebraiche non erano formate solo da banchieri. Probabilmente c'è una immagine, non solo di senso comune ma anche storiografica, che pensa che l'impegno ebraico fosse essenzialmente limitato al campo finanziario quando invece vi erano anche medici, artigiani, vagabondi, diseredati e quindi, una comunità composita. Questo emerge anche dal libro “Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo” in quanto Toaff sostiene che per quanto la comunità ebraica è una comunità di minoranza, essa è una comunità differenziata al suo interno e non omogenea. Basta pensare al fatto che la società cristiana si avvalesse di medici ebrei e questo divenne motivo di denuncia e di scandalo da parte dei frati francescani dell'osservanza. In molte pagine di questi due libri, si ritorna all'immagine di un mondo molto variegato rispetto al solo impegno finanziario. Nelle pagine del libro di Toaff emerge che la storia degli ebrei in Italia è segnata da un deterioramento sostanziale. Anche Todeschini sostiene che prima ci sia una situazione di maggiore integrazione, di maggiore scambio e di maggiore organicità della presenza ebraica nell'ambito della città cristiana e successivamente ci sia una fase di deterioramento tardo-medioevale condizionata sia da scelte politiche sia dalla predicazione dei frati osservanti. Questo quadro può essere utile soprattutto per la lettura del libro di Toaff in quanto nel suo libro c'è una grande insistenza tra le fonti interne e le fonti esterne del mondo ebraico, c'è il problema di ricostruire come mai ad un certo momento sembra che si moltiplichino le presenze ebraiche anche in centri minori dell'Italia centrale e queste presenze sono praticamente una irradiazione della presenza ebraica romana ovvero quella di maggiore continuità, di maggiore tradizione storica all'interno della Penisola Italiana e da lì ci sono appunto dei piccoli gruppi che si diffondono, ed infine si fa riferimento alle diverse attività che coinvolgevano il mondo ebraico, oltre al mondo del prestito. Secondo Todeschini, l'attività di prestito è sopravvalutata dalle fonti ovvero dagli storici perché in genere la condotta ovvero i patti stipulati tra la città e la comunità ebraica o meglio, il documento che fonda la presenza ebraica in città è essenzialmente un accordo tra le famiglie di prestatori e le istituzioni cittadine ovvero le autorità della città favoriscono, acconsentono la presenza in città di tale persona affinché quest'ultima assicuri il prestito ed in cambio, le autorità cittadine gli assicurano la possibilità di avere una sinagoga, un cimitero. Questo accordo è il momento di definizione istituzionale ufficiale della presenza ebraica in città ma tutto il mondo ebraico non può essere fedelmente rappresentato dal linguaggio della condotta. Quindi, le autorità cittadine acconsentono che la persona x, la sua famiglia ed i suoi soci possano stare in città e danno a lui la possibilità di avere una sinagoga o un cimitero. La documentazione su questa situazione è reticente, è allusiva in quanto non ci fa capire bene se si tratta di un accordo tra la città ed un prestatore o è un accordo tra la città con la comunità ebraica; infatti, secondo Todeschini la documentazione è ambigua in quanto è interessata al servizio del prestito. Quindi, si tratta di una documentazione di emanazione cristiana che focalizza soprattutto l'attività di prestito e pone in rapporto la città con la famiglia del prestatore e sfuma i contorni di tutto il gruppo che c'è intorno ad essa. In generale, c'è una ambiguità della documentazione o meglio, non c'è chiarezza negli accordi che l'Italia Centro-Settentrionale ha stipulato con le comunità ebraiche e questa ambiguità, non ci permette di farci vedere chiaramente la comunità strutturata nel suo insieme e di vedere il ruolo sociale del prestatore di denaro. → Nel libro di Toaff è molto chiaro il deterioramento che si determina nel 1400. Il prestito viene visto non come un problema economico ma come un problema sociale. Quindi, il fatto che si disponga di denaro a prestito in determinate occasioni di bisogno individuale, familiare e imprenditoriale è una risorsa sociale, una risorsa della coesione della comunità e non una risorsa economica. → Il prestito è un problema che si pone alla fine del 1400. I francescani osservanti valorizzano la coesione attorno a valori cristiani e cominciano a sentire come un problema il prestito ebraico in quanto secondo loro, la comunità cristiana è dipendente da quest'ultimo. I francescani osservanti sono una corrente interna al francescanesimo che si origina dalla personalità, dall'esempio e dalla predicazione di Francesco. Come sappiamo, per secoli, il francescanesimo vive un problema di contraddizione tra la fedeltà e gli ideali originari ma alla fine del 1800, ci sarà l'istituzionalizzazione o meglio, il pieno inserimento del francescanesimo all'interno della Chiesa. Sta di fatto che nel 1400, i francescani osservanti cominciano ad indicare come problematico il prestito ebraico o meglio, nel prestito ebraico c'è un problema, così come c'è un problema nella relazione tra cristiani ed ebrei. La predicazione dei francescani osservanti trova una alleanza con i ceti dirigenti cittadini o meglio le autorità cittadine, le quali sentono che c'è il bisogno di una funzione sociale che consista nell'assicurare credito e quindi, con le decisioni istituzionali da parte delle autorità cittadine e con una “propaganda” mediante la predicazione dei francescani osservanti, si arriva alla formazione dei cosiddetti “Monti di Pietà”. Il primo Monte di Pietà risale nel 1462 a Perugia. Ma che cosa è il Monte di Pietà? “banchi pubblici di credito, il cui capitale era alimentato da donazioni quanto da trasferimenti di denaro dalle casse del prestito pubblico degli Stati, e il cui obiettivo era il finanziamento delle situazioni di bisogno di cui fossero protagonisti i cosiddetti “poveri meno poveri”, ossia gli appartenenti ai ceti meno abbienti delle città- Stato e dei regni che fossero riconoscibili come produttivi o potenzialmente produttivi. Si venne in tal modo trasformando il significato politico stesso della relazione creditizia e più in generale della dimensione caritativa” Il Monte di Pietà viene fondato per decisione del comune cittadino. Quindi, il comune cittadino decide la fondazione del Monte di Pietà. Il Monte di Pietà è un ente di prestito, fondato dal comune cittadino, il quale è dipendente e deve ad esempio revisionare periodicamente i conti, deve controllare le nomine e quindi deve decidere chi fa parte del comitato di gestione del Monte di Pietà. Quindi, all'origine c'è una decisione del comune cittadino che costituisce questo ente e continua a controllarlo. Questo ente funziona come un istituto di credito o meglio, le persone portano dei pegni, i pegni stimano e gli fanno il prestito. Si tratta di pegni come una pentola, un mantello ovvero oggetti che anche una famiglia modesta possedeva. Ma che cosa vuol dire che il prestito serviva ai “poveri meno poveri”? Vi era tutto un sistema di regole per far sì che questo prestito sia un prestito a consumo. Il meccanismo stesso del prestito su pegno ed il fatto che ci fosse un tetto all'entità del prestito identificava come clientela del Monte di Pietà non il mendicante, non il povero senza niente, non il diseredato ma nemmeno il grande imprenditore, il grande mercante ma una fascia di persone che potevano avere bisogno di piccoli prestiti per andare avanti. Un altro aspetto sociale importante era la limitazione del tasso di interesse. Si era molto discusso se il prestito dei barbari, i quali non conoscono il vizio. I germani apprezzano molto il dono, danno molta importanza al dono ovvero allo scambio sociale, al riconoscimento di status e all'operazione di solidarietà ma i romani gli hanno insegnato ad usare il denaro ma non si capisce se Tacito intende il denaro come una forma economica avanzata o se è portatore di una corruzione. Quindi, c'è un'idea di induzione sottile, coperta di trasformazione culturale ma c'è anche l'idea che la trasformazione culturale possibile è l'assimilazione, la quale è possibile nella cultura romana in quanto romani si può diventare. Tacito identifica dei momenti fondamentali in questo processo di civilizzazione: i portici, i bagni (fa parte della cura del corpo e della socialità dei romani) e i conviti (i convivia). → Quindi, a poco a poco, i britanni diventano dei romani cioè si vestono come loro, parlano come loro, si abituano a vivere in una città concepita secondo gli standard di vita dei romani fatta dal foro, delle piazze, dai portici, dai bagni e quindi concepiscono il rapporto tra le persone, il proprio tempo libero e la cura di sé come romani. Era una vita privilegiata: potevano permettersi di andare alle terme, ai bagni, di avere domus e giardini. Quindi, si tratta della fascia alta della popolazione, di gruppi elitari non ristrettissimi in quanto anche in città provinciali, in piccole città provinciali, c'erano i gruppi dominanti urbani che si riconoscevano in questo stile di vita. Questo grande processo di civilizzazione o di romanizzazione, viene concluso dall'autore con la frase: “...ignari, essi chiamavano civiltà tutto questo, che null'altro era se non un aspetto della loro servitù. Secondo Tacito, la civiltà che i britanni impararono ad apprezzare e che, in modo un po' subdolo, gli veniva suggerita come meta a cui guardare, era in realtà servitù. La parola latina per civiltà è “humanitas” ed ovviamente l'humanitas non è l'umanità nel senso di genere umano come la intendiamo noi oggi ma è quel campo di cultura e di interessi che vengono considerati umanistici. I romani chiamavano tutto ciò humanitas perché gli standard di vita e di cultura erano per loro la pienezza di realizzazione umana. Secondo l'autore, la civiltà, humanitas in latino, è servitù. 10. Alessandro Barbero – I barbari Immigrati, profughi, deportati nell'impero romano Il libro è dedicato alla presenza dei barbari nell'impero romano. “Un mondo che si considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze e squilibri al suo interno, ma forte di un'amministrazione stabile e di un'economia integrata; all'esterno, popoli costretti a sopravvivere con risorse insufficienti, minacciati dalla fame e dalla guerra, e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi ed immigrati; e autorità di governo che debbono decidere volta per volta il comportamento da tenere verso queste emergenze, con una gamma di opzioni che va dall'allontanamento forzato all'accoglienza in massa, dalla fissazione di quote d'ingresso all'offerta di aiuti umanitari e posti di lavoro. Spiegazione: Come dice l'autore, il mondo romano è un mondo civilizzato e prospero che fa posto a persone provenienti dall'esterno e le impegna nell'agricoltura e nell'esercito. I barbari vengono identificati come profughi ed immigrati. • Agricoltura: I barbari lavoravano su terre pubbliche che appartenevano al fisco e allo Stato o su terre che appartenevano ai grandi proprietari. Essi lavoravano non più in condizioni propriamente di schiavi ma in condizioni di contadini strettamente dipendenti, come coloni. → Quindi, si tratta di grossi contingenti di popolazione che si spostavano volontariamente o che venivano deportati dai romani (i romani utilizzavano ancora la deportazione come strumento di dominio), che si ritrovano a incamminarsi nei confini dell'impero romano per lavorare la terra in condizioni di dipendenza. • Esercito: L'altro grande spazio di presenza dei barbari e di incontro tra diverse culture fu l'esercito. L'esercito aveva un reclutamento molto vasto nell'impero romano: esso è costituito da persone impegnate più o meno a vita in termini professionali. L'esercito romano è un grande veicolo di mobilità sociale e geografica: poteva capitare che una persona che veniva da un piccolo villaggio dell'Egitto, prestasse servizio nell'esercito romano, venisse collocato sui confini nord-est dell'impero, nella zona della Lubiana e si fermasse per decenni in quella zona, si procurasse una terra, si sposasse e desse vita ad una nuova famiglia. → Quindi, l'esercito è un luogo di incontro culturale fra le diverse componenti territoriali interne ed esterne dell'impero in quanto l'esercito si apre sempre di più alla presenza barbarica sia nella forma di soldati arruolati nella struttura regolare dell'esercito, come contingenti regolari sia come barbari che non vengono fusi e redistribuiti all'interno della macchina dell'esercito, ma restano a seguito dei loro capi, conservano quindi la loro coesione originaria di tipo comunitario o di tribù e vengono arruolati come mercenari in cambio di denaro dagli imperatori ma anche tra imperatori tra loro rivali quindi tra aspiranti imperatori che si contengono il titolo nel drammatico III secolo d.C, quindi, gli aspiranti imperatori promuovono forze militari barbariche, si contendono le truppe costituite da queste tribù e le usano le une contro le altre. Quale posizione assume l'autore? L'autore sostiene che in fondo l'impero romano ha bisogno dei barbari come contadini e soldati. Si pone il problema di quale riconoscimento giuridico accordare ai barbari ed inoltre dibatte con gli altri intellettuali se è positivo o negativo che ci siano i barbari a svolgere ruoli importanti nell'esercito. Barbero, insiste molto su questi aspetti e nell'introduzione assume una posizione esplicita: “...Potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l'impero romano di fronte ai barbari, prima che si esaurisse, con conseguenze catastrofiche, la sua capacità di gestire in modo controllato la sfida dell'immigrazione." “...Al di là del fin troppo facile accostamento ai problemi di oggi, è evidente che la riflessione sul presente può rivelarsi vivificante anche per la nostra comprensione del passato, pur nell'ovvia differenza delle situazioni...” Spiegazione: L'autore ci dice che non bisogna temere di affrontare questo più lontano passato alla luce di problemi che noi oggi sentiamo come vivi, come importanti come ad esempio il rapporto tra culture differenti, la convivenza all'interno del territorio di tradizioni che magari sono anche animate da sospetto e diffidenza reciproca e i processi inevitabili di contatto voluti dall'impero romano. Basta guardare come l'autore parla della frontiera ovvero della linea che segue i fiumi Reno e Danubio dove, da una parte, c'è l'organizzazione delle province romane, delle diocesi dioclezianee con le loro città, con le loro circoscrizioni e dall'altra parte lo spazio bianco. “...Anche l'idea che la frontiera, comunque intesa, segnasse lo spartiacque fra due mondi radicalmente diversi rispondeva più alla propaganda che alla realtà: grazie agli scavi archeologici, oggi ci appare sempre più chiaro che l'influenza romana si estendeva ben oltre i confini dell'impero...” Da un lato, l'impero era attraversato da barbari che venivano deportati, da barbari che si spostavano in modo controllato ma anche da gruppi che sfuggivano al controllo perché, secondo l'autore, in alcuni momenti critici prima della Battaglia di Adrianopoli o in momenti che precedono il Sacco di Roma del 410, ci fu un errore di gestione dato dalla incapacità di valutare correttamente la pressione che veniva da popolazioni in movimento e a cui non si riusciva a dare una risposta o meglio una forma di stabilizzazione, di regolarizzazione. Se è vero che l'impero romano era attraversato in lungo e in largo da barbari, è anche vero che l'influenza romana superava il confine; ciò è attestato da scavi archeologici. → Quindi, l'autore parte dai problemi di oggi per dare senso alla storia. Questo libro è incline a sottolineare la continuità piuttosto che la discontinuità tra il mondo romano ed il mondo barbaro, ad enfatizzare le correnti che hanno unito questi due mondi, che li hanno resi reciprocamente interdipendenti. Il libro di Perkins collega la caduta dell'impero romano d'Occidente con la fine della civiltà o almeno la fine di una civiltà sottolineando gli aspetti di violenza e di conflitto e anche di disprezzo che avevano i romani per i barbari e l'estraneità che sentivano i barbari per i romani. E' un libro che analizza le testimonianze ideologiche di rappresentazione della sintesi, gli aspetti di sintesi tra la tradizione romana e la tradizione barbarica e fa l'esempio della moneta di Teodorico cioè in questa moneta d'oro, Teodorico è vestito come un romano e quindi esibisce la propria adesione alla tradizione di Roma attraverso l'abbigliamento come avevano imparato a fare i britanni nel racconto di Tacito ed aveva i baffi come i romani non usavano in quanto i barbari non portavano i baffi e la barba. → Quindi, il libro di Perkins valorizza la discontinuità e non la continuità come nel libro di Barbero. Toaff e Todeschini, Barbero e Perkins hanno evidentemente visioni del mondo differenti. Invece, il libro “Italia longobarda” di Gasparri Stefano è un libro che si pone vicino a quello di Barbero in quanto è un libro che intende valorizzare gli aspetti di compenetrazione, di continuità e di scambio piuttosto che di discontinuità e di conflitto. Ottava lezione: 15 Aprile 2019, Nona lezione: 16 Aprile 2019, Decima lezione: 17 Aprile 2019, Undicesima lezione: 29 Aprile 2019 e Dodicesima lezione: 30 Aprile 2019: NO APPUNTI Tredicesima lezione: 06 Maggio 2019 Fino ad ora abbiamo visto due grosse realtà, due comunità che hanno costituito un elemento di inquietudine per la cultura maggioritaria dell'Europa: 1. gli ebrei (l'altro religioso), una antica minoranza religiosa sempre nota alla società cristiana con cui la società cristiana ha intrattenuto rapporti che via via sono andati deteriorando; 2. coloro che sono stati vagamente chiamati egizi, zingari, popolazione romanì, che sono stati conosciuti solo alla fine del Medioevo, che non hanno mai costituito un particolare problema dal punto di vista religioso però erano portatori di tradizioni diverse, soprattutto di pratiche di mobilità che ormai la popolazione sedentaria delle città europee non conosceva più. Così come gli ebrei, essi hanno costituito una delle altre grandi ombre della storia europea e si sono avuti provvedimenti che vanno dalla reclusione all'espulsione fino alla persecuzione aperta. Gli ebrei hanno avuto posizioni molto importanti all'interno della città come prestatori di denaro, medici mentre la popolazione romanì mai. Queste due comunità hanno in comune molti stereotipi come l'accusa di diffondere malattie epidemiche. La figura dello straniero: Sia le comunità ebraiche sia la popolazione romanì hanno rappresentato lo straniero per eccellenza. Tutte le città della storia generale erano popolate da molta gente che non era originaria del luogo ma che operava al suo interno come mercanti, artigiani ecc. Una delle altre figure dell'alterità come il selvaggio, il barbaro, l'ebreo e lo zingaro che è quotidianamente presente nella vita di queste comunità e al contempo è portatore di qualche sfumatura di inquietudine è il forestiero. 18. Giovanna Petti Balbi – Comunità forestiere e “nationes” nell'Europa dei secoli XIII – XVI C'è una prima distinzione notevole dell'esperienza dell'università per gli studenti universitari attuali e gli studenti universitari del Medioevo. • Gli studenti universitari attuali frequentano una università collegata ad uno spazio di prossimità che può essere la propria città o la città capoluogo di Regione a cui si appartiene. • L'Europa medievale era attraversata da una corrente numerosissima di studenti forestieri. Ad esempio, a Bologna, a Padova e a Parigi convenivano studenti da tutta Europa, richiamati dai maestri celebri e dagli insegnamenti che uno studente universitario poteva frequentare. Questo vuol dire che, da un lato, un professore si sarebbe trovato di fronte delle classi con una provenienza estremamente composita, tanto è vero che si faceva lezione in una lingua veicolare come il latino e dall'altro, vuol dire che gli studenti non avevano reti familiari, legami di parentela e di amicizia a portata di mano e quindi, erano costantemente o spesso in una situazione di rischio sociale senza avere la protezione che normalmente poteva offrire una comunità di appartenenza. A pagina 20 del testo, l'autrice cerca di avvicinare la varietà delle categorie che potevano essere interessate da questi processi di mobilità: “studenti, mercanti, presenze qualificate, maestranze specializzate, manodopera generica, una diversa umanità forestiera colta nelle varie forme di aggregazione”. Le città universitarie, le città in cui operavano i mercanti e la manodopera generica, avevano una percentuale molto significativa di popolazione che non era popolazione locale. Quindi, non solo gli studenti universitari del Medioevo frequentavano università all'estero ma anche mercanti, artigiani ecc. lavoravano in città straniere. Il fatto che ci sia una percentuale significativa di persone che non studiano e non lavorano nella loro città di provenienza indica che queste persone si trovano in una situazione di fragilità sociale. Da qui, nasce il problema di capire che tipo di risposte sociali potevano mettere in campo i forestieri per difendersi ed auto- tutelarsi. Una delle risposte per trovare una occasione di tutela, di relazione con il contesto è non essere isolati ma essere in gruppo, quindi, essere in aggregazioni. A Pagina XIII, “E' comunque emerso come accanto alle nationes sorgano gruppi corporativi, confraternite, societates e altre forme di organizzazione”. quella città in quanto la natio diventa una sorta di club esclusivo che raccoglie e fa gli interessi degli operatori economici maggiori. Quattordicesima lezione: 07 Maggio 2019 Diversi soggetti o discorsi di rilevanza intellettuale hanno definito dei criteri di piena ammissibilità ad uno spazio di civiltà o meno. Resta da chiedersi lo Stato, uno dei soggetti, una delle struttura di organizzazione del mondo europeo tardo-medioevale, in che modo definisce l'altro alla fine del Medioevo. La Chiesa definisce l'altro un non cristiano mentre il mondo della cultura romana delle città definisce l'altro un barbaro; ma come definisce lo Stato l'appartenente o il non appartenente? Per capire come lo Stato definisce l'appartenente o il non appartenente, dobbiamo partire dalla parola “natio”, parola che definisce l'identità degli zingari o egizi o meglio, la comunità degli zingari viene definita “genus” o “natio”. Il termine “natio” identifica principalmente l'istituzione che organizza gli stranieri in una località dove essi operano ma non sono né originari né pienamente appartenenti, ma non solo.. Infatti, se pensiamo alla principale connessione tra la politica e l'identità o meglio, tra l'appartenenza politica e l'identità, pensiamo allo spazio della nazione. La nazione ci rimanda al nazionalismo, il quale definisce non solo l'identità ma definisce la politicizzazione dell'identità o meglio, la produzione di una identità culturale connessa ad una appartenenza politica. Il fenomeno della statualità tardo-medioevale comincia proprio nel Basso Medioevo. I Regni come la Francia o altre realtà europee sono Regni dove il Re ha più potere, ha più controllo del territorio, Regni che si sviluppano da un punto di vista politico ed istituzionale ma anche Regni dove diventa più forte il senso di appartenenza. Ad esempio, nel XIV secolo, l'élite inglese parlava francese ma durante la Guerra dei 100 anni, l'Inghilterra sviluppa il senso di un inglese come lingua della propria identità, della propria cultura. Fenomeno analogo accadde all'inizio del 1300 in Francia quando, grazie al mito di Giovanna D'Arco, si creò un sentimento di appartenenza francese. Questo accadde non solo in Inghilterra e Francia ma anche in realtà minori dell'Europa centro-orientale come la Boemia, la quale, sviluppò una propria identità nazionale, anche in riferimento ad una specifica eresia cristiana, dopo essere stata collegata all'area più estesa dell'Impero Germanico. Anche nell'Italia degli Stati Regionali accadde qualcosa di analogo. → Dobbiamo ricordare che l'Italia non è unita e lo sarà solo nell'Ottocento. L'Italia degli Stati Regionali può concepire una identità politica che non sia semplicemente un mero fatto esteriore rispetto alla persona ma sia qualcosa che la coinvolga nella sua appartenenza? Sì, questo accade nel 1400, secolo in cui si sviluppa un'idea nazionale o regionale caratterizzata in senso etno-culturale dall'identità politica. → 19. Natura della politica e politiche della natura in Italia alla fine del Medioevo Nel Basso Medioevo, nella politica italiana si faceva riferimento a delle categorie naturali. Dobbiamo pensare ad una costellazione linguistica ma anche concettuale tra natura – nascita – nazione in quanto; queste tre parole sono etimologicamente legate così come lo sono genus – generare – gente. La nazione indica un raggruppamento di persone che appartengono allo stesso Stato politico; quando parliamo di nazione parliamo anche dell'appartenenza che deriva dalla nascita e che quindi centra con la natura. Natura, nazione e nascita sono etimologicamente collegate, hanno la stessa radice. Ad esempio, oggi, in Italia, si è italiani per nascita e si diventa cittadini a 18 anni. Questo vuol dire che la cittadinanza è legata a qualcosa che ha a che vedere con la propria origine e non solo al dato anagrafico del luogo di nascita. La cultura del Basso Medioevo concepisce, per tanti aspetti, determinate forme dell'appartenenza politica in termini di parole che usano il concetto di natura. Nel 1200, la cittadinanza si acquisiva abbastanza facilmente; ad esempio, dopo qualche anno che un soggetto si era trasferito in un'altra città, egli diventava cittadino. Invece, nel 1400, vengono messi in campo concetti nuovi come quelli di origine e quindi la città non è più così aperta in quanto, ad esempio, dopo qualche anno che un soggetto si era trasferito in un'altra città, egli non diventava cittadino fino a quando qualcuno non si decideva di concedergliela. Nel 1400, non si diventava cittadini ma cittadini si nasceva e se non si nasceva cittadini, era molto difficile diventarlo. → Quindi, le città del 1400 erano meno inclusive rispetto alle città del 1200 in quanto le città del 1200 accolgono in modo immediato le persone che vengono dall'esterno mentre le città del 1400 discriminano in quanto i cittadini sono coloro che sono nati cittadini e coloro che si sono trasferiti in una città del 1400 sono abitanti ma non divengono automaticamente cittadini. Il 1400 è il caso dove vediamo usare una categoria naturale per definire la cittadinanza. Riguardo la nobiltà, si discusse molto se si fosse nobili per nascita cioè per sangue o se si fosse nobili per meriti. E' ovvio che una definizione su base di merito della nobiltà, è una definizione potenzialmente più inclusiva perché una determinata persona viene considerata nobile per particolari ragioni ma la nobiltà non riguarda la persona ed i suoi comportamenti ma riguarda il suo sangue, la sua ascendenza; si è nobili per natura. Invece, riguardo l'appartenenza politica a partiti politici, nella Roma del 1400, si era guelfi o ghibellini. Nessuno di noi considererebbe la propria opzione politica naturale o appartenente al proprio genere in quanto ognuno di noi decide volontariamente; non si nasce già votando un partito politico. Nella Lombardia del XV secolo, emergono questi discorsi o meglio, emerge l'idea che l'appartenenza ad una determinata tradizione politica è familiare, è ereditaria: ad esempio, un determinato soggetto, la sua famiglia estesa ed i suoi avi erano guelfi, erano naturalmente guelfi, erano di genere guelfo. La parola “genere” è una parola significativa che si inserisce nella costellazione assolutamente analoga a natura – nascita – nazione in quanto il genere è legato a generare – gente e quindi, come natio è collegata all'idea di popolo è anche collegata al genere dell'identità sessuale ecc. Altra questione riguarda essere immaginati sudditi di un determinato signore nella Lombardia del 1200. Un determinato soggetto non era suddito di un signore ma era un cittadino che si riconosceva nel potestà che governava la città. → Questa era l'idea che dominava la cultura politica della città comunale del 1200. Invece, tra il 1300 ed il 1400, i signori o meglio, i principi che si affermavano nelle città, davano vita allo Stato Regionale (come i Visconti) e cominciavano a promuovere altri linguaggi ed altre culture politiche in base alle quali più che un principe con gli appartenenti al dominio politico, c'è un padre con i suoi figli. Questo linguaggio paternalistico viene usato dai Visconti, i quali sono i padri simbolici dei loro sudditi ovvero dei loro figli. → Dunque, questo significa spostare la relazione politica da un quadro di tipo convenzionale ovvero da un quadro dominato dalle categorie di scelta, di volontà, di libera adesione e di voto, ad un quadro naturale che, in quanto tale, ci viene dato perché, nel caso del 1400, nessuno sceglie il padre ed i figli in quanto si è reciprocamente assegnati in modo naturale. Si passa da un mondo politico del 1200 in cui la cultura politica è fondata sulla convenzione, sulla relazione istituzionale, sulla scelta elettorale, ad un mondo in cui l'essere nobile o meno, appartenere ad un partito politico o meno, essere suddito di tale principe, dipendono non dal linguaggio dei documenti e quindi da una cultura politica diffusa ma da qualcosa che ha a che fare con il sangue, con le origini, con la famiglia, con la natura e quindi, nel 1400, si è assegnati per natura ad un determinato spazio politico piuttosto che ad un altro. In Lombardia, questo passaggio è accompagnato da una diffusione di nomi etnici, da una ridefinizione in senso etnico della politica e quindi da una diffusione di tutti quegli stereotipi del degrado culturale che conosciamo nel libro “Visibilmente crudeli” di Giacomo Todeschini. Ma come si parla dell'altro, di colui che non appartiene al mondo politico? Per definire l'altro ovvero colui che sta oltre il confine, nello Stato di Milano del 1200, veniva usata una parola esclusivamente geografica ovvero “ultra-montano”. La documentazione politica del 1200 non fa riferimento nessuna parola o nessun nome che dia l'idea che l'appartenenza politica di una persona sia connotata da un punto di vista etnico. → Quindi, nella Lombardia del 1200, quando si parla delle persone, dei popoli che stanno al di là delle Alpi, viene usata la parola neutra, povera di connotazione come ultra-montano. Nella Lombardia del 1400, l'uso della parola ultra-montano viene meno e coloro che nel 1200 venivano chiamati ultra-montani, vengono chiamati con nomi ricchi di connotazioni ovvero nomi etnici che implicano un qualche giudizio culturale; per cui, al di là dei monti non ci sono coloro che vi abitano effettivamente ma c'è un popolo a cui viene assegnato un nome etnico come Alemanni, Todeschi o Teutonici. Non significa più di stare al di là dei monti come un fatto geografico ma significa appartenere ad un popolo e quindi, non si sta parlando di una semplice collocazione geografica ma si sta parlando di una etnia che non necessariamente corrisponde alla realtà politica del luogo in quanto l'Alemannia era molto frammentata politicamente. Nel 1200 non viene usata la parola “alemanni” ma “ultra-montano” e duecento anni dopo, nel 1400, la parola “ultra-montano” veniva usata solo dalle persone più anziane del luogo e coloro che abitavano al di là dei monti erano etnicamente connotati, erano Alemanni, Todeschi o Teutonici. Nella documentazione lombarda del 1400, l'uso dei termini Alemanni, Todeschi o Teutonici è accompagnato da tratti negativi o meglio, da tratti di degradazione culturale; infatti, tutta l'opinione pubblica lombarda, tutti gli attori politici del tardo-lombardo si riconoscono come sudditi degli Sforza e cominciano ad associare alcune caratteristiche negative agli Alemanni come barbari, aggressivi, insolenti, perfidi, feroci che non conoscono le sottigliezze del diritto, del discorso e pretendono troppo, ovvero tutti quegli elementi che Todeschini identificava come segni dell'altro culturale a cui non viene riconosciuta piena dignità. In sintesi, nella Regione Lombardia: • Nel 1200, nel regime comunale lombardo, chi sta oltre i confini dello Stato è colui che sta al di là dei monti ovvero l'ultra-montano. • Nel 1400, il processo che accompagna il rafforzamento dello Stato Regionale è un processo di precisazione etnica dell'altro cioè di chi sta oltre i confini dello Stato, di chi sta oltre il confine segnato dalle montagne, dalle Alpi. Lo Stato nazionale va a sviluppare un senso di identità nelle persone che appartengono allo Stato, tale per cui, lo sguardo verso l'esterno, verso l'altro, è sempre più caratterizzato in senso etnico con stereotipi dell'appartenenza collettiva che si esprimono in modo degradante. → Quindi, chi sta fuori i confini dello Stato non è più un soggetto che sta semplicemente al di là dei monti ma è un soggetto che ha un'altra natura, una natura che appartiene alla sua diversa nazione e a cui vengono attribuiti determinati comportamenti come l'impulsività, l'aggressività e la scarsa propensione per le sottigliezze del discorso giuridico o intellettuale. Questo non vuol dire che ad uno Stato non si è più semplicemente associati da un fatto di cittadinanza ma vuol dire che si è collegati da qualcosa che riguarda, come diremmo noi oggi, il DNA delle persone, ovvero la natura. Le geometrie dell'oltremonte: oltre monte ovvero ultra-montano, denominazione dell'altro su base geografica La lunga latenza degli etnonimi: nel 1200, non si fa riferimento alla parola “Alemanni” Germani, teutonici, alemanni e galli: nel XV secolo si diffondono le denominazioni etniche per cui, gli altri sono Germani, Teutonici, Alemanni e Galli, coloro che abitano nelle valli della Svizzera, della Bassa Germania e del Sud-Tirolo e dunque la zona direttamente in contatto con la Lombardia. Lombardi e Italiani: Se da un lato ci sono i Germani, Teutonici, Alemanni e Galli, dall'altro ci sono i Lombardi e gli Italiani. Questi termini etnici sono sempre accompagnati da venatura di ostilità. Sarebbe impossibile pensare nel 1200 ad una manifestazione di ostilità collettiva verso un intero popolo come gli Italiani ma nel 1400, queste manifestazioni iniziano a succedere in quanto vi sono dei fenomeni di riconoscimento, di invenzione etnica per cui, vi sono dei gruppi denominati etnicamente e vi è sempre più una ostilità, una diffidenza concepita in senso naturale. Quidam teutonicus. L'indeterminatezza eloquente: Quidam teutonicus, in latino vuol dire un certo teutonico. In molti documenti quando di una persona si dice “teutonico” non si sente il bisogno di dire altro. Il prisma delle barbarie Per consuetudine e per natura Politiche dell'amicizia e dell'inamicizia Quidam lombardus. Scambi di prospettive: Quidam lombardus, in latino vuol dire un certo lombardo. Barbari del Rinascimento Governare la natura Ducheschi alias lombardi. Politica ed etnia: I ducheschi diventano lombardi e gli altri sono sempre i Germani, Teutonici, Alemanni e Galli. La natura ti consegna una identità, l'identità di lombardo, a questa identità corrisponde una posizione politica e questa posizione politica dovrebbe rendere particolarmente favorevole il tuo principe, il quale condivide con te la tua stessa identità. Questo modo di rappresentare la politica e questo insistere sull'etnia, sull'identità etnica, sulla diversità etnica e sull'idea che si appartiene ad una compagine politica per natura oppure si appartiene sempre per natura ad un'altra compagine politica doveva servire soprattutto al principe, a chi deteneva il potere. → Collegamento politica ed etnia. La nazione acquisita La nazione che persiste nel mutamento politico. Quindicesima lezione: 08 Maggio 2019 Granada. → Quindi, da un lato, l'Europa si proietta oltre i suoi confini e dall'altro, irrigidisce le sue posizioni nei confronti degli ebrei eliminando l'ultima presenza musulmana sul continente. → La conquista dell'America è un tema che rimane fuori dalla storia medioevale. L'America Centro-Meridionale è interessata dalla capacità di conquista degli spagnoli e dei portoghesi. → 21. Tzvetan Todorov – La conquista dell'America Il problema dell' “altro” La conquista dell'America, Il problema dell' “altro” è un libro scritto da un intellettuale di formazione filosofica, Tzveran Todorov. L'autore discute sulle ragioni, sui motivi per cui è lecito che gli spagnoli ed i portoghesi affermino il loro potere sulle comunità centro-meridionali dell'America. Che argomenti usa Francisco de Vitoria, teologo, giurista e professore dell'Università di Salamanca, uno dei vertici dell'umanesimo spagnolo del XVI secolo, per giustificare le guerre di conquista che gli spagnoli conducono in Messico? A pagina 181, “Egli ritiene, infatti, che un intervento sia lecito quando venga fatto per proteggere degli innocenti contro la tirannia dei capi o delle leggi indigene, che consiste, 'ad esempio, nel sacrificare uomini innocenti o addirittura nel mettere a morte persone non colpevoli per mangiarle'”. Quindi, secondo l'autore, è giusto sottomettere dei popoli che compiono sacrifici umani e si danno al cannibalismo. Si discusse molto di questo non solo nel 1500 ma anche oggi è ancora aperto il dibattito sull'imperialismo culturale, o meglio, nel momento in cui si hanno determinati valori, che cosa è lecito fare per esporsi in un luogo che vive secondo altre consuetudini? Ad esempio, quando ci fu la Seconda Guerra del Golfo ovvero la Seconda Guerra contro l'Iraq, uno degli argomenti di discussione era l'esportazione della democrazia, infatti, c'era chi diceva che il regime democratico non annullava la legittimità sul piano internazionale di uno Stato o meglio, uno Stato democratico non ha il diritto di rovesciare qualsiasi Stato non democratico. De Vitoria direbbe che un regime in cui si osservano dei costumi giusti e/o avanzati, ha il diritto a rovesciare un regime in cui si osservano dei costumi non giusti. Ad esempio, un regime in cui non viene praticato il cannibalismo ha diritto di vincere un popolo in cui il cannibalismo viene perpetrato affinché nessuno venga mangiato dai suoi simili. Oggi si pone questo stesso problema per le spose bambine: infatti, in alcuni Paesi ci sono dei costumi matrimoniali di accesso della donna all'unione in età infantile e noi veniamo talvolta raggiunti dai richiami, dalle proposte di associazioni affinché queste pratiche vengano superate. Bisogna vedere che valutazione dare a pratiche che sono al di fuori di un determinato perimetro culturale essendo all'interno di quel perimetro culturale. → In generale, si tratta di problemi che gli intellettuali del 1500 hanno già visto ed in questo caso, la posizione è chiara: si può rovesciare quel regime che attraverso delle pratiche di questo tipo è responsabile della morte di innocenti. L'autore, alla fine del paragrafo, fa presente quella che si potrebbe considerare la maggiore obiezione logica: “Gli spagnoli, a differenza degli indiani, non sono soltanto parte, ma anche giudice, perché sono loro che scelgono i criteri in base ai quali sarà pronunciata la sentenza; per esempio, decidono che è tirannia il sacrificio umano, ma non il massacro.” → Questo è il problema della civiltà o meglio, nel momento in cui una prospettiva di valutazione ci si pone dalla parte della civiltà e si dice “noi siamo la civiltà” e giudichiamo delle altre culture. “Benché questi barbari non siano affatto pazzi, non sono tuttavia lontani dalla follia. Non sono più capaci di governarsi da sé di quanto lo siano i pazzi, gli animali e le bestie feroci, visto che il loro cibo non è più gradevole, ed è appena migliore, di quello delle belve. La loro stupidità è molto più grande di quella dei bambini e dei pazzi degli altri paesi. E' lecito dunque intervenire nel loro paese per esercitarvi, in sostanza, un diritto di tutela”. Sono dei barbari e l'ambito a cui de Vitoria ritiene di appartenere è la civiltà; loro sono i folli (la legge Basaglia interveniva su un trattamento della follia che andava a spogliare il malato anche della sua umanità, della sua responsabilità). Tutta questa dimensione della ferocia, delle bestie feroci, delle belve, di animali, abbiamo visto quanto sono ricorrenti delle retoriche dell'animalità gettate sull'alterità culturale. → Lo abbiamo visto in termini generali nel testo “Visibilmente crudeli” di Giacomo Todeschini. Un'altra categoria della minorità è l'infantilizzazione. → Da che cosa si vede che sono dei barbari, che vivono in una condizione semi-animale? Dal loro cibo. Quindi, c'è una teoria della legittimità della conquista che si fonda sull'idea di tipo suprematistico sul piano culturale e questa idea si alimenta dagli stereotipi dell'animalizzazione, della barbarie segnate dal cibo ecc. Ci sono altri autori di minore livello che presentare gli indiani come esseri umani imperfetti. Cita un religioso, Tomàs Ortiz, un dominicano. Troviamo ad un livello intellettuale molto più basso, gli stessi stereotipi: “Mangiano, sulla terraferma, carne umana. Sono sodomiti più di qualsiasi altro popolo. Non vi è giustizia fra di loro. Vanno tutti nudi. Non rispettano l'amore, né la verginità. Sono stupidi e sbadati. Non rispettano la verità se non quando fa loro comodo; sono incostanti. Non sanno neppure cosa sia la previdenza. Sono molto ingrati e amici delle novità. Sono brutali. Amano esagerare i loro difetti. Non c'è, fra loro, alcuna remissività, alcuna obbedienza dei giovani nei confronti dei vecchi, dei figli nei confronti dei padri. Sono incapaci di ricevere delle lezioni. I castighi con loro non servono a niente. Mangiano pidocchi, ragni e vermi ovunque li trovino, senza farli cuocere. Non praticano arte alcuna, alcuna industria umana. Quando si insegnano loro i misteri della religione, dicono che sono cose che vanno bene per i castigliani, ma che a loro non servono, e che non hanno intenzione di mutare le loro usanze. Non hanno barba, e se talvolta esse cresce sui loro volti, la strappano e si depilano. Più avanzano negli anni, meno migliorano. Verso i dieci o dodici anni si ritiene che abbiano qualche gentilezza, qualche virtù, ma più tardi diventano dei veri bruti. Posso quindi affermare che Dio non ha mai creato una razza più ricolma di vizi e di bestialità, senza alcuna traccia di bontà e di cultura. Gli indiani sono più bestie degli asini, e non vogliono preoccuparsi di nulla.” – Vanno tutti nudi: in riferimento all'abbigliamento, nel caso degli ebrei, abbiamo visto in quale modo dei segni leggibili attraverso gli abiti andavano a precisare l'identità. – Non rispettano l'amore, né la verginità: questo ricorda gli stereotipi zingareschi ovvero il fatto che avevano delle relazioni matrimoniali di tipo promiscuo. – Sono brutali: i termini brutale, feroce, animale appartengono tutte allo stesso campo semantico ovvero quello dell'animalizzazione in quanto dire brutale vuol dire animale. – Non c'è, fra loro, alcuna remissività, alcuna obbedienza dei giovani nei confronti dei vecchi, dei figli nei confronti dei padri: non c'è ordine sociale. – I castighi con loro non servono a niente: non sono educabili. – Mangiano pidocchi, ragni e vermi ovunque li trovino, senza farli cuocere: la cultura costituisce una delle discontinuità simboliche tra il cibo dei barbari ed il cibo delle persone civilizzate in quanto i barbari mangiano carne cruda mentre le persone civilizzate usano la mediazione del fuoco e del trattamento. – Quando si insegnano loro i misteri della religione, dicono che sono cose che vanno bene per i castigliani, ma che a loro non servono, e che non hanno intenzione di mutare le loro usanze: nel Medioevo, la religione è lo spazio di ridefinizione sia dell'appartenenza sia della non appartenenza culturale. – Verso i dieci o dodici anni si ritiene che abbiano qualche gentilezza, qualche virtù, ma più tardi diventano dei veri bruti: campo semantico dell'animalizzazione. Quindi, con un linguaggio evidentemente molto più ad uso di quello di de Victoria, vediamo di nuovo addensarsi tutti degli stereotipi di sub-umanità, oltre al cibo entra in campo il modo di non vestirsi, aspetti delle relazioni sociali, che servono di nuovo a dire che essi non possono essere lasciati alla loro autonomia ma devono essere comandati da chi può condurli o costringerli a forme sociali più civilizzate. Chi detiene la forza, la forza militare e culturale, stabilisce quali sono i criteri della civiltà facendoli corrispondere alle proprie tradizioni culturali e constata che altri gruppi non rispettano questi standard e quindi afferma la propria superiorità ed il proprio diritto dovere di comandarli per indirizzarli correttamente, per cambiarli o per evitare che compiano queste cose riprovevoli. Si affrontano le parole di un altro intellettuale importante, Ginès de Sepùlveda. A pagina 184 e pagina 185, “Quindi quelli che differiscono tra loro quanto l'anima dal corpo o l'uomo dalla bestia (e si trovano in tale condizione coloro la cui attività si riduce all'impiego delle forze fisiche ed è questo il meglio che se ne può trarre), costoro sono per natura schiavi. In effetti è schiavo per natura chi in tanto partecipa di ragione in quanto può apprenderla, ma non averla”. De Sepùlveda dice che i nativi americani è giusto che siano sottomessi agli spagnoli perché loro sono in un rapporto analogo a quello che c'è tra il corpo e l'anima e tra la bestia e l'uomo. Quindi c'è corpo – anima, bestia – uomo, nativi americani – spagnoli. Questo ci fa capire in che misura il dualismo corpo-anima possa incubare affermazioni molto impegnative sulle relazioni di superiorità. Quindi, i popoli conquistati sono ciò che è il corpo rispetto all'anima, il conquistatore è l'anima, i popoli conquistati sono ciò che è la bestia rispetto all'uomo, il conquistatore è l'uomo. Coloro che sono in questa condizione sono schiavi per natura. → Abbiamo parlato di natura nelle scorse lezioni ed abbiamo visto che cosa significava all'interno delle relazioni politiche metterla sul piano della natura cioè dire che i lombardi sono per natura sudditi degli sforza così come i tedeschi sono per natura gli appartenenti ad un altro stato in cui non sono vigenti le stesse categorie di civiltà oppure dire che gli abitanti delle periferie montane, i rustici, i villani sono per natura disobbedienti, poco controllabili. Abbiamo visto come nella nostra concezione della relazione sociale e politica, si possono insinuare delle rappresentazioni di tipo naturale. Sono schiavi per natura cioè ciò che è per natura, non viene modificato dalla natura umana, dall'educazione, non si da una possibilità trasformativa. Non è che sono privi di ragione ma hanno una posizione esclusivamente passiva: possono apprendere ragione ma non possono averla. Qual è lo scopo di naturalizzare una polarità in cui ci sono i nativi americani da un altro e gli spagnoli dall'altro, esattamente come c'è il corpo da un lato e l'anima dall'altro, lo schiavo da una parte ed il padrone dall'altra. Evidentemente è una logica di dominio. A chi appartiene il dominio? → Questo è problema nel momento in cui si fa della civiltà uno strumento per affermare la superiorità o di inferiorità. “il dominio della perfezione sull'imperfezione, della forza sulla debolezza, della virtù eminente sul vizio.” Quindi, il dominio della civiltà che si autodefinisce tale sulle barbarie. De Sepulveda dà altri esempi di questa superiorità naturale. “il corpo dev'essere sottomesso all'anima, la materia alla forma, i figli ai genitori, la donna all'uomo, e gli schiavi ai padroni. Non c'è che un passo da fare per giustificare la guerra di conquista contro gli indiani”. Naturalmente, è questa la finalità pragmatica che si intravede dietro questi discorsi che hanno lontani antecedenti filosofico come Aristotele. “In prudenza e in accortezza, in virtù e in umanità questi barbari sono inferiori agli spagnoli come i bambini sono inferiori agli adulti e le donne agli uomini; fra loro e gli spagnoli corre la stessa differenza che vi può essere fra gente feroce e crudele e gente di eccezionale clemenza (gli spagnoli), fra esseri straordinariamente intemperanti ed esseri temperanti ed equilibrati, la stessa differenza che intercorre fra le scimmie e gli uomini”. – Barbari: vecchia parola che apparteneva al modo in cui i greci guardavano allo straniero, ai modi in cui i romani parlavano dei germani, al modo in cui per mille anni il Medioevo ha definito l'inciviltà, al modo in cui ancora nel XV secolo uno Stato rinascimentale italiano guardava gli stranieri come non italiani. → Quindi, una brutale animalizzazione dell'altro culturale. Da un lato, ci sono gli uomini e dall'altro, ci sono i non uomini. “I più grandi filosofi dichiarano che simili guerre possono essere intraprese da una nazione molto civile contro popoli non civilizzati, più barbari di quanto si possa mai immaginare, perché mancano di ogni conoscenza delle lettere, ignorano l'uso del denaro, vanno in giro generalmente nudi, comprese le donne, e portano come bestie pesanti fardelli sulle spalle e sulla schiena per lunghi percorsi. Ed ecco le prove della loro vita selvaggia, simile a quella delle bestie: le loro straordinarie ed esecrabili immolazioni di vittime umane ai demoni; il fatto di nutrirsi di carne umana; l'abitudine di seppellire vive le mogli dei capi insieme ai mariti morti; ed altri crimini simili a questi”. – Guerre: guerre come le guerre che gli spagnoli stanno intraprendendo in Sud America. Quindi, notiamo questa esplicitazione chiara di una contrapposizione tra la civiltà e le barbarie cioè la bestialità, il vivere nella selva, essere selvaggi in basi ai soliti criteri cioè di che cosa ci si nutre, come si va in giro vestiti o non vestiti e tutto quello che appartiene alla pratica religiose come immolazioni di vittime umane. → Il suo discorso è quello di legittimare la guerra di conquista ovvero una guerra tra la civiltà e le barbarie. Questo discorso serve a delegittimare le tradizioni culturali di un altro popolo, di un altro mondo che si vuole conquistare. Un altro autore che appartiene alla prima generazione di religiosi che riflettono sull'esperienza della conquista americana è Bartolomeo Las Casas, intellettuale e dominicano. Egli prese le parti dei nativi americani anche da un punto di vista empatico ovvero denunciò le violenze che venivano commesse ai loro danni, le sofferenze gratuite che venivano loro inflitte dai conquistatori ma andò oltre la testimonianza degli orrori della conquista e l'assunzione emotivamente partecipata del loro punto di vista perché elaborò delle posizioni radicali sul piano intellettuale; infatti, Todorov ne fa uno degli autori più