Scarica LIBRO 4 ENEIDE traduzione letterale con introduzione, note e paradigmi e più Traduzioni in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Analisi Scartato il poema epico-storico, la scelta cade sul fortunato mito di Enea – conosciuto anche dagli etruschi -, diffuso largamente anche tra i ceti meno abbienti, e che si potrebbe definire “nazionale”: attribuiva al popolo romano un'identità contrapponibile a quella degli altri popoli. Varrone considerava Lavinio la più antica città romana e la prima sede dei Penati romani; Livio ci informa che in riva al fiume Numicio esisteva una tomba di Iuppiter Indiges (divinità ctonia legata al luogo). Più difficile è stabilire in che epoca le vicende di Enea furono assimilate dai romani: pare a metà del IV secolo, dopo la sconfitta della Lega latina e il foedus tra romani e latini del 338 a.C. Nell'Iliade, l'eroe appare predestinato a sopravvivere alla distruzione di Troia, ma egli avrà un regno nella Troade; questa tradizione viene ripresa nell'inno omerico Ad Afrodite. Nel VI secolo, la figura di Enea che fugge dalla patria distrutta (si ritrova già in Stesicoro), compare nella pittura vascolare greca. Nel III secolo a. C., durante la prima guerra punica, la città siciliana di Segesta aveva cacciato i Cartaginesi e aveva giustificato l'alleanza con Roma, richiamandosi alla comune origine troiana – fondata su una tradizione locale. Si diffusero anche culti di Venere, connessi con la migrazione del figlio. Per Virgilio, la più evidente connessione tra origini della città e migrazione è nel Bellum Poenicum di Nevio e negli Annales di Ennio. Alcune famiglie nobili romane si facevano discendere da eroi troiani o da Albalonga e la genealoia veniva esaltata da personalità come Varrone ed Attico. Cesare discendeva da Iulo e Enea e questo significa discendere da Venere, avere origini divine. La scelta del poema di stampo omerico non escludeva assolutamente la presenza della storia: vi è compenetrazione di mito e aspetti storici (per esempio, con la profezia); la celebrazione di dinastie regnanti è tipica dell'epos ellenistico. Il mito non spiega soltanto le origini di un mito, ma offre un modello etico, religioso, politico per l'elite politica: Enea è il padre della patria e modello, incarnatosi perfettamente nella figura di Augusto. Questa funzione di archetipo è caratterizzata dalla sacralità del re, cioè della stretta unità di compiti sacerdotali (non si formò mai una vera e propria casta sacerdotale), prestigio morale e autorità politica. Virgilio ha plasmato il suo eroe sulla base dei primi re di Roma (Romolo e Numa Pompilio) e sui fondatori di religione (Mosè). Enea è il capo che garantisce l'identità della civitas, il cui simbolo divino e perpetuo sono i Penati. La continuità tra mito e storia fa risalire al mito alcuni riti religiosi:il Ludus Troiae. Egli utilizzando materiale di diverse storie, tutte legate alla fabula aenae ma distinto in episodi privi di collegamento fra di loro, Virgilio è riuscito a dare unità e coerenza alla variegata massa di unità narrative. Neppure qui, l'incanto dell'Arcadia viene meno: il poeta la ricrea sul Palatino, dove ha unito la purezza della vita pastorale con la virtus guerriera. Abbiamo già detto che il poeta si ispira ad Omero, anche se tutta l'epica antica è omerica. Anche se, nella seconda parte, invocando Erato, si rifà ad Apollonio Rodio, da cui eredita il gusto alessandrino per la brevitas, si concentrano gli eventi. Mentre Omero mirava alla rappresentazione dei fatti esterni, fisici Virgilio rivolge l'attenzione ai travagli psicologici, all'espressione dei sentimenti; ad esempio, lo scudo di Enea, fatto a somiglianza di quello di Achille e raffigurante scene della storia di Roma fino ad Augusto, serve a far gravare sulle spalle del fondatore tutto il peso dei tempi avvenire e la grande gloria d'Italia. Inoltre, il poeta latino davanti alle imprese di guerra e di conquista non si esalta, ma si duole per le sofferenze che esse apportano; perché la storia è lacrime e il soffrire umano commuove la mente. Tuttavia, appare difficile definire la natura dell'omerismo virgiliano. Non si tratta tanto di imitatio, quanto di emulatio (in passato non era rigorosa la differenza tra i due termini). Il processo di concentrazione riguarda anche i ruoli dei personanggi. Enea corrisponde ad Ulisse nella parte odissaica e ad Achille nella parte iliadica; presenta qualche affinità con Telemaco. I capi troiani hanno poco rilievo così come i compagni di Odisseo. Inoltre, per Virgilio la luce del vero eroismo è la violenza dominata dall'idealità dello scopo ideale, liberare Roma dal Furor impius (condizione non tragica per le divinità, ma per gli uomini: per Didone il suicidio è condizione necessaria), santificata dallo spirito di sacrificio, quasi incoronata dalla dignità morale del soffrire e dell'immolarsi per un fine più alto. Per lui, l'Impero è la pace imposta alle genti, la civiltà propagata sul mondo. Quanto il patriottismo romano di vecchio stampo aveva di troppo duro ed esclusivo, veniva in lui moderato da uno spirito ormai moderno e universale di umanità. Nel princeps, Virgilio esalta – così come Orazio – l'aspetto carismatico, che assimila ad un eroe liberatore, degno di essere divinizzato. I contatti con la filosofia non mancano assolutamente, nemmeno nelle altre opere: tuttavia, la coerenza filosofica non è presente e questo anziché creare aporie, nutre il testo. Allievo di Sirone, nell'Eneide non compaiono note di epicureismo (solo nelle Bucoliche e Georgiche per influenza lucreziana); vi è nel poema omaggio a Lucrezio poeta, non filosofo. Sono presenti insegnamenti e espressioni, che lasciano presupporre un'influenza stoica. Il fato nell'Eneide è il destino di Enea e dei Troiani: questo orientamento è nuovo nella poesia augustea, ma si pone in contiguità con una cultura nata a Roma nella seconda metà del II secolo a.C., cioè nell'età di Panezio e Polibio, accolta da Cicerone, che giustificava su fondamenti stoici l'impero ecumenico romano. Il razionalismo stoico resta sostanzialmente estraneo alle attese soteriologiche, verso le quali spingeva la terribile crisi politica e morale delle guerre civili. Ma, è possibile che il passo relativo all'oltretomba presupponga una cultura filosofica più recente di quella paneziana. Stoica è la concezione del mondo come pervaso da pneùma, che è mens; le anime sono particelle dello spiritus cosmico. Ma vi sono anche riferimenti all'orfismo e al pitagorismo: il corpo è una prigione per l'anima: la metafora della malattia indica il peccato, in maniera abbastanza simile alla concezione cristiana. Si ispira all'Accademia e ad Antioco. La larga presenza delle divinità è un'eredità richiesta dal genere epico. Il contrasto tra Giunone (in Omero è Poseidone), perseguitatrice dei troiani, e Venere, madre di Enea, costituisce un forte legame tra la farte iliadica e la odissiaca. Sia Omero che la tradizione latina inducono Virgilio a fare di questi dei personalità vive, non forze allegoriche o impersonali. In Giove è manifesta l'ispirazione stoica che plasma la sua funzione: è lo Zeus omerico, ma anche il lògos che governa il mondo, la ragione che doma il furor, il fato che garantisce il giusto dominio di Roma sulla terra. Più vitali, all'interno del poema sono gli auguri, più volte interpellati. Tuttavia, il mondo dei segni divini non è certezza, ma anbiguità, faticoso interrogarsi. Ha un ruolo importante anche la magia- soprattutto nel IV libro -, legata ad un contesto più primordiale. I Penati, invece, unificano la storia da Enea fino ad Augusto e costituiscono un solido elemento di identità. È opportuno precisare che il piano divino del poema diverge sia da quello teologico e ideologico, in cui il contrasto tra il fato, che è ragione e giustizia, e il furor impius (furor è accettato solo se si manifesta in guerra ed è la causa è nobile, per esempio quando uccide Turno per vendicare Pallante; etica aristotelica di legittimare gli istinti) è insanabile, sia da quello umano, dove il conflitto è impostato diversamente e ha esito tragico. Il protagonista, Enea, è una figura fortemente discussa. Di sicuro, ad illuminare l'ethos dell'eroe il più valido aiuto viene dalla riflessione sulle trasformazioni dei modelli etici nell'ultimo secolo della repubblica romana. Poi, la concezione stoica del cosmo governato dal lògos è usata come giustificazione dell'impero ecumenico romano: lògos è governo razionale, ordine, giustizia; di conseguenza, si afferma il modello etico di stampo politico, che sostiene il coraggio in guerra, l'impegno politico, l'alacrità, la parsimonia, l'humanitas (spesso le lacrime di Enea sono paragonate a quelle di Paolo Emilio, che accoglie il caduto Perseo). Con le sue fragilità e forze, Enea appare come un victor victus, la cui pietas – secondo Claudio Donato e Servio – si manifesta sia nella propensione alla clemenza sia nell'obbedienza al dovere della vendetta (l'Oreste eschileo). Altro aspetto importante della psicologia del personaggio è la solitudine: è l'eroe malinconico del dubbio; l'humanitas non ne fa un carattere comunicativo, né effusivo. L'azione dà anche spazio al maggior pericolo esterno e collega la salvezza con la più grande seduzione, l'amore per Didone, regina di quel paese che più tardi sarà il nemico ereditario dei Romani. Enea possiede, però, la castità, intesa come serietà dei sentimenti, riserbo e pudore dell'espressione, conservati financo in mezzo a ciò che sembra tradimento. A livello critico, alcuni hanno trovato Enea troppo passivo, dipendente dalla volontà del fato, emblema dell'anima rassegnata del mite Virgilio. Leopardi, scrive nello “Zibaldone”, che in lui vi è troppa rettitudine; e il fatto che un uomo giovane e bello abbia un così alto senso del dovere ci fa apparire fuori luogo la sua gioventù e bellezza, sprecata nell'abbandonare Didone. Quest'ultima è una figura di umanità profonda, appassionata e dolorosa, come la Clitemnestra e L'Elettra di Eschilo, l'Antigone sofoclea, l'Alcesti euripidea, l'Ofelia, la Giulietta e Lady Macbeth di Shakespeare. Si uccide e la sua condizione sarà ancora più tragica della Francesca dantesca, che almeno è condannata per l'eternità con il suo amato. Nel Medioevo, notevole è l'influenza di Virgilio su Dante, che scopre nel maestro un'anima affine a lui nella voce e nel gesto, introdotta nel cosmo cristiano. Inoltre, la parte iliadica è considerata dai grammatici antichi come tragicum opum (affinità con Sofocle ed Euripide, più raro Eschilo), la parte odissaica ha affinità con la commedia. Oggi, non ci si attiene a questa suddivisione: l'episodio di Didone non potrebbe mai essere comico; ma Servio identifica l'elemento amatorio con il comico. A livello filologico, si è compreso che l'ordine dei libri nel poema non coincide con l'ordine cronologico di composizione. Lo stile è nobile e si distingue per il ricorso a parole desuete, glossa, alla metafora e all'ampliamento. Virgilio ricorre alla formularità del linguaggio (già nelle Bucoliche). Dominano gli arcaismi lessicali, che vengono dai testi poetici tragici; una forte patina arcaizzante è data al poema dalla ricorrenza dell'allitterazione e, soprattutto, della similitudine (la natura che infuria; Didone come cerva infuriata). La lingua, tuttavia, fuga, percorre boschi e burroni Dittei41; l'asta letale le rimane conficcata nel fianco. Ora conduce con sè Enea lungo framezzo agli edifici e gli mostra le ricchezze sidonie e la città pronta, prende a parlare e in mezzo al parlare s'arresta. Ora, col tramonto del sole, torna ai soliti banchetti; e, dissennata, chiede di udire di nuovo le sciagure di Ilio e pende di nuovo dalla bocca del narratore. Poi, dopo che si sono separati, e viene l'ora che la luna oscurata vela il (suo) lume e gli astri, tramontando, invitano al sonno, nelle vuote stanze si strugge sola e si sdraia sui giacigli abbandonati. E lontana ascolta e vede lui assente, o – vinta dalla somiglianza col padre – tiene in grembo Ascanio, (per vedere) se riesce a illudere il tormentoso amore. Le torri incominciate non sorgono più, i giovani non trattano le armi, né predispongono i porti o i forti baluardi per la guerra42: restano interrotti i lavori e le grandi minacce di mura e le torri che toccano il cielo. E appena si accorse che ella era invasa da tale passione e che il buon nome non era d'ostacolo al furore, la cara moglie di Giove, Saturnia43, assale Venere con queste parole: “Egregia lode, invero, e splendidi trofei riportate sia tu che tuo figlio (divinità grande e memorabile), se una donna sola è vinta dall'inganno di due numi. Non mi sfugge che tu, temendo le nostre mura, avevi pur sospette le case dell'alta Cartagine. Ma quale sarà la misura o dove (si andrà a finire) ora con sì gran contesa? Perché piuttosto non celebriamo eterna pace e nozze pattuite44? Tu hai quel che bramasti con tutta l'anima: Didone arde, amando, ed è invasa fino alle ossa dalla forte passione. Reggiamo, dunque, insieme questo popolo e con uguali poteri; sia lecito sottostare al Frigio45 marito e porre in tua tutela come dote i Tirii”. Venere ( intese, infatti, che parlava falsamente per far divergere il dominio dell'Italia ai lidi della Libia) le rispose così: “Chi, pazzamente, rifiuterebbe ciò , ovvero preferirebbe far guerra46 con te? Purché la fortuna accompagni il fatto che (tu) auspichi. Ma sono incerta del fato47, se Giove consenta che una sola città abbiano i Tirii e i profughi48 da Troia, o approvi che si mescolino i (due) popoli o stringano i patti. Tu (sei) la moglie, puoi tentare il (suo) animo con le preghiere. Avviati, io ti seguirò”. La regale Giunone, allora, così soggiunse: “Questa sarà mia cura. Ora, in che modo si possa compiere ciò che preme, ascoltami, te lo mostrerò in breve. Enea e la sventurata Didone – insieme – si apprestano ad andare a caccia49 nei boschi non appena domani il sole nascente si alzerà e rivelerà il mondo con i raggi. Io rovescerò su di loro, dall'alto, una nera tempesta mista a grandine, mentre le schiere s'affannano e cingono di reti50 la boscaglia, e scuoterò tutto il cielo col tuono. I compagni fuggiranno di qua e di là e saranno avvolti da una fitta oscurità: Didone e l'eroe troiano giungeranno nella stessa grotta51. Io sarò presente e, se il tuo consenso è sicuro, (la) unirò (a lui) in duraturo connubio e (la) farò sua. Ci sarà Imeneo”. Senza opporsi alla richiedente, Venere annuì e sorrise, una volta scorto l'espediente. Intanto, l'Aurora sorgendo lasciava l'Oceano. Sorto il sole, la gioventù scelta viene dalle porte, (ci sono) reti, a larghe maglie, lacci, giavellotti dall'ampia punta, e accorrono i cavalieri Massìli52 e le mute dei cani dal buon fiuto. Presso le soglie, i principi Cartaginesi stanno ad aspettare la regina, che indugia nel talamo, e un destriero, adorno di porpora e oro, attende e morde, scalpitante53, il freno spumeggiante. Infine, tra un folto corteo, (ella) avanza, coperta da una clamide54 sidonia dal lembo ricamato55; d'oro56 (è) la faretra, i capelli sono annodati nell'oro, una fibbia d'oro tiene ferma la veste purpurea. E avanzano anche i compagni Frigi e Iulo, lieto. Bellissimo fra tutti, lo stesso Enea si unisce agli altri e mescola le (sue) schiere. Somigliante ad Apollo quando lascia la Licia57 tempestosa e il corso del Xanto, e torna a vedere la materna Delo58 e desta i cori, e 41 Del monte Dicte, presso Creta. 42 Bello: dativo finale. 43 Epiteto di Giunone, figlia di Saturno, antica divinità italica discendente da Cronos. 44 In questo contesto, il foedus ha lo stesso valore presente in Catullo. 45 Equivalente di Troiano, con connotazione dispregiativa, in quanto gli abitanti della Frigia, confinante con la Troade, avevano fama di vili e di traditori. 46 Bello: ablativo strumentale. 47 Fatis: ablativo di causa. 48 Profectis: dativo di possesso. 49 Venatum: supino con valore finale. 50 Indagine: ablativo strumentale. 51 Speluncam: accusativo di moto a luogo. 52 Popolazione del nord Africa. 53 Sonipes: composto tipico della lingua poetica. 54 Chlamydem: accusativo di relazione. 55 Limbo ficto: ablativo di qualità. 56 Ex auro: ablativo di materia. 57 Regione sulla costa meridionale dell'Asia Minore, detta Hiberna in quanto Apollo vi abitava nei mesi invernali. 58 Isola delle Cicladi, dove trova rifugio Latona e vi partorisce Apollo e Diana. intorno agli altari fremono, misti, i Cretesi, i Driopi e gli Agatirsi59 dipinti; egli stesso va per i gioghi del Cinto60 e raccoglie il fluente crine adornandolo con pieghevole fronda e (lo) lega con oro, i dardi (gli) risuonano sulle spalle: non meno animoso di lui veniva Enea, taltà bellezza risplende nel nobile volto. Dopo che si giunse agli alti monti e ai covili impervii, ecco le capre selvatiche, sbalzate giù dalla cima di una rupe, correre giù per le balze; e d'altra parte i cervi attraversano di corsa le distese pianeggianti e, nella fuga61, si raggruppano in branchi, coprendosi di polvere, e lasciano i monti. Ma il giovane Ascanio si diverte sul focoso cavallo in mezzo alle valli, e in corsa oltrepassa or questi or quelli, e si augura che, fra gli animali imbelli, gli s'offra uno spumoso cinghiale o un fulvo leone che scende dal monte. Intanto, il cielo comincia a sconvolgersi con un gran rombo, segue un temporale misto a grandine, i compagni Tirii e la gioventù troiana e il Dardanio62, nipote di Venere, paurosi63, qua e là, differenti ripari64 nei campi; i torrenti si precipitano dai monti. Didone e l'eroe troiano trovano riparo nella stessa grotta. Prima, sia la terra sia la pronuba Giunone65 danno il segnale; il cielo – consapevole – risplendette di lampi per l'unione e le Ninfe66 ulularono sull'alta cima. Quello fu il primo giorno di morte, e il primo, causa di sventure; Didone, infatti, non si preoccupa dell'apparenza o della fama67, né medita ancora un amore furtivo: (lo) chiama nodo nuziale, con tal nome velò la colpa. Subito la Fama va per le grandi città della Libia, la Fama, di cui68 non (c'è) alcun altro male più veloce: trae forza dall'agilità e acquista vigore con l'andare; dapprima, piccola per timore, poi s'innalza nei cieli e tocca la terra col piede e nasconde il capo fra le nuvole. La Madre Terra69, irritata dall'ira degli dei, partorì lei, come ultima sorella per Ceo e Encelado70, secondo la tradizione, veloce di piedi71 e di agili ali, mostro orrendo e grande, che72 quante sono le penne sul corpo73, (incredibile a dirsi), ha altrettanti occhi vigili sotto, altrettante lingue, altrettante bocche risuonano, rizza altrettanti orecchie. Di notte vola tra la terra e il cielo, emettendo un suono stridulo attraverso l'ombra, né chiude gli occhi al dolce sonno; Di giorno74 sta alle vedette o sulla cima di un alto tetto75 o sulle alti torri, e spaventa le grandi città, tenace messaggera tanto di menzogna e malvagità (così) come (messaggera) del vero. Questa, allora, esultando76, riempiva le persone di molteplici dicerie, e divulgava – in egual modo – cose vere e cose false: che era giunto Enea di stirpe77 Troiana, a cui la bella Didone si degna di congiungersi come a marito78; che ora passano l'inverno, per quant'è lungo, tra loro nella lussuria, immemori dei regni e presi da turpe passione. La dea malefica diffonde qua e là queste cose sulla bocca degli uomini. Ad un tratto, piega il volo verso il re Iarba e (gli) infiamma il cuore con i detti e (ne) accresce i motivi di collera. Questi, nato da Ammone79 (e) dalla ninfa rapita Garamantide80, ha innalzato a Giove, per l'ampio regno, cento grandi templi e cento altari e aveva consacrato un fuoco sempre acceso, eterna sentinella degli dei, e il suolo pingue grazie al sangue delle vittime sacrificate e le soglie fiorite con ghirlande variopinte. Egli, sconvolto nell'animo e acceso dall'amara notizia, davanti alle are frammezzo ai santi numi, si dice alzasse molte preghiere a Giove, supplice con le mani levate: “O Giove onnipotente, a cui ora il popolo Mauro81, convitato sui triclinii 59 I Driopi erano un popolo della Doride, vicino al Parnaso; gli Agatirsi una tribù sarmatica della Transilvania. 60 Monte dell'isola di Delo. 61 Fuga: ablativo strumentale. 62 Ascanio. 63 Metu: ablativo di causa. 64 Tecta: sineddoche per rifugi. 65 Nella “Pentecoste” manzoniana Giunone è la “bugiarda pronuba”. 66 Oreadi, abitatrici dei monti. 67 Fama: ablativo di causa. 68 Qua: ablativo di paragone. 69 Virgilio si affida alla Teogonia esiodea: la madre terra, irritata contro gli dei per lo sterminio dei figli Titani e Giganti, si vendicò generando il mostro della Fama. 70 Sono un titano e un gigante. 71 Pedibus: ablativo di limitazione. 72 Cui: dativo di possesso. 73 Corpore: ablativo locativo. 74 Luce: metonimia. 75 Tecto: sineddoche. 76 Gaudens: ha valenza predicativa. 77 Sanguine: metonimia. 78 Viro: dativo di fine. 79 Divinità venerata in Libia e in Egitto, originariamente in forma di Ariete, corrispondente a Giove. 80 Il nome indica la provenienza etnica della Ninfa: popolazione africana. 81 Nell'attuale Marocco. Ablativo di mezzo. ricamati, offre l'onore leneo, vedi queste cose? O forse te, padre, invano temiamo quando scagli82 i fulmini, e ciechi fuochi fra le nuvole atterriscono gli animi e suscitano inutili rimbombi? Una donna che, errante nei nostri territori, ha fatto sorgere dietro pagamento una piccola città, a cui demmo83 la spiaggia da arare, le consuetudini del luogo, respinse le nostre nozze e ha accolto Enea come signore84. E ora quel Paride con il seguito effeminato, con la mitra meonia85 allacciata sotto il mento86 e il profumato crine, diventa padrone di quel che ha rubato: noi, certamente, offriamo doni ai tuoi templi e alimentiamo una vana fama (di Giove)”. Dette tali cose, pregando e tenendo l'altare, (lo) udì l'Onnipotente e volse gli occhi alle mura regali e agli amanti dimentichi di una fama migliore. Allora così si rivolge a Mercurio e così gli ordina: “Va', suvvia, o figlio, chiama gli zefiri e scivola87 sulle ali e al dardanio88 duce, che ora indugia nella tiria Cartagine e non guarda alle città assegnategli dal fato, parla e per le rapide aure porta le mie parole. Non tale lo assicurò a noi la bellissima madre89, né (lo) sottrasse, due volte, per questo alle armi dei Greci; ma che egli reggerebbe l'Italia piena di tirannie e fremente per la guerra e rivelerebbe la stirpe discendente dal nobile sangue di Teucro e piegherebbe tutto il mondo alle leggi. Se nessuna gloria di tali imprese lo infiamma, né, inoltre, egli stesso affronta tale fatica di sua iniziativa, da padre negherà ad Ascanio le rocche romane90? Che cosa medita? O con quale speranza si trattiene fra gente nemica e non protende lo sguardo sulla prole ausonia e sui campi lavinii? Navighi! Questo è il comando, e tu sii (di ciò) nostro messaggero”. (Così) aveva detto. Questi si preparava ad obbedire al comando del gran padre; e, prima, s'allaccia ai piedi calzari alati d'oro, i quali lo portano (in) alto con le ali91 o sopra i mari o sopra la terra, veloce al pari del vento. Poi, prende il caduceo: con questo, egli evoca le pallide ombre dall'Orco92, altre (ne) manda sotto il triste Tartaro93, dà e toglie il sonno e schiude gli occhi dalla morte. Contando su questo, muove i venti e attraversa le burrascose nubi. E già volando scorge la vetta e gli ardui fianchi94 dell'instancabile Atlante95, che sorregge la volta celeste con il capo, d'Atlante, il cui pinifero capo96 sempre cinto d'oscure nubi è battuto dal vento e dalla pioggia, la neve sparsa copre gli omeri, mentre i fiumi precipitano dal mento del vecchio e l'irta barba irrigidisce per il freddo. Qui si fermò dapprima si fermò il Cillenio, librandosi sulle ali; quindi, con tutto il corpo si abbandonò a precipizio97 verso le onde, simile ad un uccello, che intorno alle spiagge, intorno98 ai pescosi scogli vola basso vicino ai mari. Non altrimenti volava fra terra e cielo, venendo dall'avo materno (Atlante), la prole Cillenia tagliava i venti, (alla volta) del sabbioso lido di Libia. Non appena con i piedi alati toccò le capanne99, scorge Enea, che fonda le rocche e che costruisce case100. E costui aveva una spada brillante di fulvo diaspro101 e gli fulgeva , sceso dalle spalle un mantello di porpora tiria, regali che la ricca Didone (gli) aveva fatto e aveva trapuntato i tessuti con del filo d'oro. Senza esitazione l'assale: “Ora, tu poni le fondamenta dell'alta Cartagine e, ligio alla moglie, rendi bella la città, o immemore del regno e delle tue sorti? Lo stesso signore degli dei102 mi manda a te dal luminoso Olimpo, che regge regge il cielo e le terre con la (sua) potenza, egli stesso mi comanda di portare (a te) questi ordini attraverso le rapide aure: che cosa mediti? O con quale speranza passi il tempo nelle terre libiche? Se alcuna gloria di tanto grandi 82 Torques: linguaggio militare, indica il lancio della armi da getto. 83 Pluralis maiestatis. 84 Dominum: predicativo di Enea. 85 Identificabile con la Lidia, in Asia minore. 86 Mentum: accusativo di relazione. 87 Labere: imperativo di labor. 88 Sinonimo di Troiano. 89 Pulcherrima genetrix: epiteto per Venere. 90 Arces romanas: fa riferimento ai 7 colli. 91 Alis: ablativo strumentale. 92 Antica divinità italica, corrispondente al greco Ade. 93 Nella tradizione greca indicava il luogo pubblico per le punizioni dei colpevoli, per poi indicare il mondo sotterraneo. 94 Latera: Virgilio alterna particolari antropomorficiad altri più propriamente geografici. 95 Anafora che amplifica la grandezza del monte. 96 Epiteto esortativo. 97 Praeceps: aggettivo con funzione avverbiale. 98 Ripetizione dell'espressione per dare l'idea della circolarità. 99 Magalia: termine punico secondo il grammatico Servio. 100Capanne, che Sallustio descrive nella Guerra Giugurtina. 101Pietra di colore verde. 102Regnator deum: perifrasi per Giove. farro, memori dell'inverno, e lo ripongono nella tana, la schiera bruna va per i campi143 e convogliano la preda tra l'erba in un solco angusto, una parte trascina con le forti spalle i grossi grani, una parte dirige le file e castiga i ritardi, tutto il sentiero ferve di attività. Qual (era) il tuo cuore, allora a tal vista, o Didone, o quali sospiri mandavi, mentre vedevi in largo fervere i lidi dall'alta rocca e osservavi – davanti ai tuoi occhi – tutto il mare esser mescolato da tanti clamori1 Spietato Amore, a che cosa non spingi tu i cuori umani! È costretta a tornare di nuovo alle lacrime, di nuovo a tentare con preghiere e a sottomettere, supplice i sentimenti all'amore, sicchè sul punto di morire, invano, non lasci qualcosa d'intentato. “Anna, vedi che in tutta la spiaggia si affrettano attorno, sono venuti da ogni parte; già la vela chiama i venti, e i naviganti allegri hanno messo le corone sulle poppe. Se144 io ho potuto prevedere questo così gran dolore, o sorella, potrò anche sopportarlo. O Anna, compiaci pure di ciò soltanto me, infelice145; infatti, quel perfido onorava te sola e confidava a te anche gli arcani sentimenti; sola sapevi le vie adatte e i momenti buoni di Enea. Va', sorella, e parla al nemico superbo, da supplice: non io con i Danai, in Aulide146, giurai di distruggere la stirpe troiana o mandai la flotta a Pergamo, né turbai la cenere o l'ombra del padre Anchise: perché rifiuta di aprire le dure orecchie alle mie parole? Dove corre? Quest'ultimo dono conceda alla dolorosa amante: aspetti l'ora buona per la fuga e i venti favorevoli. Non chiedo ancora l'antica unione che (egli) tradì, né che si privi del bel Lazio e abbandoni il regno: chiedo un tempo breve, quiete e tempo per il dolore, finché la mia fortuna insegni a me vinta il soffrire. Chiedo (abbi pietà della sorella) quest'ultima grazia, se me la concederà, gliela ricambierò ricompensata dalla mia morte”. Supplicava così, l'infelicissima sorella porta e riporta tali pianti. Ma egli non si commuove per nulla per i pianti, né ascolta – paziente- alcuna voce; si oppongono i fati e un dio chiude all'eroe le orecchie insensibili. E come quando i venti alpini147 ora di qua ora di là fanno a gara fra loro a sradicare una robusta quercia148 di vecchio legno con delle raffiche; va lo stridore e le alte fronde cospargono la terra di ramaglia scossa; essa sta ferma sulla rupe quanto s'innalza con la vetta verso il cielo (lett. al plurale), tanto affonda con le radici (lett. al singolare) nel Tartaro: non altrimenti l'eroe è percosso di qua e di là dalle assidue voci e sente profondamente le angosce nel suo animo grande; la mente rimane ferma, e le lacrime scorrono vane. Allora, in verità, l'infelice Didone – scossa dai fati – chiama la morte; l'annoia guardare la volta del cielo. Perché più149 s'accenda il proposito e abbandoni la vita, vide (orribile a dirsi), mentre poneva i doni sugli altari fumanti d'incenso, i liquori sacri farsi neri e i vini versati cangiarsi in osceno sangue; Visto ciò, non parlò ad alcuno, nemmeno alla stessa sorella. Inoltre, c'era nella reggia un tempio marmoreo dell'antico marito, che lei venerava con mirabile venerazione, circondato di bianchi velli e di fronde festive: di là le parve di udire voci e le parole del marito che chiamava, mentre la notte oscura occupava le terre, e il gufo solitario sui tetti lagnarsi spesso con grido lugubre e piegare in pianto i prolungati lamenti; e, inoltre, molti presagi di pii vati la spaventano con terribile monito. Anche lo stesso Enea – fiero – perseguita l'innamorata nei sogni, e sempre le pare d'essere lasciata sola, sempre – senza un seguito – andare per una lunga strada e cercare i Tirii nel suolo deserto, così come Penteo – fuori di sé – vede la turba delle Eumenidi e mostrarglisi un doppio sole e una doppia Tebe o Oreste, figlio di Agamennone, inseguito sulle scene, quando fugge la madre armata di faci e di scure serpi, mentre le Erinni vendicatrici stanno sulla soglia. Dunque, come150 vinta dal dolore, (la) invasero le furie e stabilì di morire, cerca fra sé e sé il tempo e il modo, e volgendosi alla meste sorella con le parole, cela con l'aspetto151 il proposito e assume la speranza nel volto: “Ho trovato, o sorella, la via (rallegrati con la sorella) che152 me lo restituisca o che liberi me – innamorata – da lui. Presso il confine dell'Oceano e il sole cadente, c'è l'estremo paese degli Etiopi, dove il massimo Atlante regge sulle spalle l'asse del cielo adorno di stelle ardenti: di là mi è stata indicata una sacerdotessa della gente Massila, custode del tempio delle Esperidi e che dava il pasto al drago e conservava i sacri rami sull'albero, spargendo rugiadoso miele e soporifero papavero. Questa, con i suoi incanti, si vanta di liberare – a sua volontà – la mente, in altri, poi, di 143Campis: ablativo di moto per luogo. 144Si: valore causale. 145Miserae: dativo di comodo. 146Porto della Beozia, dove greci e troiani combattono. 147La tramontana. 148Robore annoso: ablativo di qualità o causa. 149Quo magis: valore finale. 150 Ergo ubi: temporale che regge sia concepit che decrevit. 151Vultus: ablativo di limitazione. 152Quae: valore consecutivo, regge reddat e solvat. insinuare duri affanni, di bloccare l'acqua nei fiumi153 e di volgere indietro le stelle, e suscita i Mani notturni154: udrai muggire sotto i piedi la terra e (vedrai) scendere gli orni dai monti. Giuro per gli dei, cara sorella, per te e per il tuo dolce capo che mi sono accinta a malincuore alle arti magiche. Tu, segretamente, innalza – nella stanza interna – un rogo a cielo aperto (lett. al plurale) e gettaci sopra le armi dell'eroe, che l'empio lasciò sospese al talamo, e tutte le spoglie e il letto coniugale, nel quale (mi) persi: sta bene e la sacerdotessa vuole che si distruggano tutti i ricordi dell'uomo nefando”. Detto ciò, tace, subito il pallore si diffonde sul volto. Tuttavia, Anna non crede che la sorella – con strane cerimonie – prepari la morte (lett. al plurale), né concepisce con la mente tali furori né (lett. o) teme cose più gravi della morte di Sicheo. Perciò esegue i comandi. Ma, nel cortile interno, la regina, consapevole del futuro – elevata a cielo aperto una gran pira155 con pini e lecci tagliati – e adorna il luogo con corone e lo incorona con la fronda funerea; sopra (vi) pone le spoglie e la spada lasciata e sul letto l'effigie (di Enea). (Ci) sono gli altari intorno e, con i capelli156 sciolti, la sacerdotessa invoca a gran voce trecento dei e l'Erebo e il Caos e la triforme Ecate157, il triplice volto della vergine Diana. Aveva anche sparso le acque che figuravano (lett. simulate) quelli del lago Averno158, e si cercano le grasse erbe, con succo di nero veleno, mietute con le falci159 di bronzo sotto la luna; si cerca anche l'amore del puledro nascente, strappato alla (sua) fronte e sottratto alla madre. Lei stessa (usa) il farro e con pure mani presso gli altari, sciolto un piede160 dai lacci, in veste succinta, mentre è in procinto di morire, invoca gli dei e le stelle consapevoli del destino; poi, se un qualche nume – memore e giusto – ha a cuore gli amanti infelici161, (lo) prega. Era notte162 e gli stanchi corpi gustavano il sonno ristoratore per le terre, le selve e i temibili mari riposavano, quando le stelle volgono a mezzo del (loro) corso, quando tacciono (lett. tace) ogni campo, gli animali e i variopinti uccelli, quanti occupano in largo i liquidi laghi, quanti le campagne irte di rovi, posati nel sonno nella notte silenziosa (lenivano gli affanni e i cuori dimentichi delle pene). Ma non la Fenicia, infelice nell'animo163, né mai si abbandona nei sogni o accoglie negli occhi o nel cuore la quiete notturna: crescono gli affanni e imperversa di nuovo l'amore risorgendo e ondeggia nel gran ribollimento di ira (lett. al plurale). Così, appunto, persiste e medita fra sé in cuore: “E ora che cosa faccio? Schernita, ritenterò i pretendenti di prima e – supplice – cercherò le nozze dei Numidi, quei mariti che io tante volte già sdegnai? Seguirò, dunque, i legni troiani e gli ultimi comandi dei teucri? Perché, invero, giova a chi (è stato) prima sollevato dal (mio) aiuto e presso i memori rimane la riconoscenza dell'antico beneficio? Chi, poi, anche se io volessi, me (lo) permetterà o accoglierà me – odiata – sulle superbe navi164? Ahimè, non lo sai, sciagurata, non ancora conosci gli spergiuri della stirpe di Laomedonte165? Che cosa, allora? Sola, nella fuga, (mi) accompagnerei ai gioiosi naviganti? O, accompagnata dai Tirii e da tutta la schiera dei miei, trarrei con me anche quelli che a fatica ho strappato alla città sidonia166, (li) spingerei di nuovo sul mare e farei dare le vele ai venti? Perché non muori come hai meritato e non tronchi il dolore con la spada(?). Tu, vinta dalle mie lacrime, o sorella, tu per prima colmi la pazza con questi mali e (mi) esponi al nemico. Non mi fu concesso trascorrere la vita priva di nozze, senza colpa, a guisa di fiera, né evitare queste soofferenze; non (è) preservata la fede promessa al cenere di Sicheo”. Ella faceva uscire dal suo cuore così grandi lamenti: Enea, sulla cima della poppa, già deciso a partire, fatti i preparativi167 secondo l'uso, si concedeva il riposo (lett. al plurale). L'immagine del dio che tornava con lo stesso aspetto gli apparve nel sonno e di nuovo (gli) parve che (lo) ammonisse così, simile in tutte le cose168 153Fluviis: dativo di relazione. 154Nocturnos: aggettivo con funzione predicativa. 155Ingenti pyra: ablativo assoluto con valore causale. 156Crinem: accusativo di relazione. 157Divinità tracia adorata come luna, Diana e Proserpina, con tre teste. 158Lago cumano, accesso al mondo infernale. 159Falcibus: ablativo di mezzo. 160Pedem: accusativo di relazione. 161Non aequo foedere: ablativo di qualità. 162 Il notturno ricorda la Medea di Euripide e le liriche di Alcmane. 163Animi: genitivo di relazione. 164Superbis navibus: ablativo di mezzo. 165Dispregiativo per indicare la stirpe di Enea; antico re di Troia che, dopo aver fatto costruire le mura, rifiutò di pagare. 166Tiro, città di Didone, fondata da Sidone. 167Rebus iam: ablativo assoluto. 168Omnia: accusativo di relazione. a Mercurio, nella voce, nel colorito, nei capelli biondi e nelle giovani169 membra splendenti: “O figlio della dea, puoi abbandonarti al sonno (lett. al plurale) in tal caso, né – irresponsabile – ti accorgi (di) quali pericoli poi ti stiano attorno, né odi che gli zefiri spirino favorevoli? Ella, certa di morire, volge inganni e un atroce delitto nel cuore e suscita mutevoli tempeste d'ira. Non fuggi di qua a precipizio, finché c'è modo di farlo? Ormai, vedrai il mare esser turbato dalle navi e risplendere di fiaccole ostili, (vedrai) ormai ribollire di fiamme i lidi, se l'Aurora ti sorprenderà a indugiare in queste terre. Orsù, rompi gli indugi. La donna è sempre mutevole e incostante”. Detto così, disparve nell'oscura notte. Allora, in verità, Enea – spaventato dall'improvvisa apparizione – si sveglia di soprassalto e, senza indugio, incalza i compagni: “Veloci, svegliatevi, o prodi, e prendete posto ai remi; sciogliete velocemente le vele. Ecco, di nuovo, un dio mandato dall'alto del cielo (ci) esorta ad affrettare la fuga e a tagliare le funi ritorte. Ti seguiamo, o santo fra gli dei, chiunque tu sia e, nuovamente, obbediamo lieti al tuo ordine. Deh, assistici e aiutaci – benigno – e porta in cielo170 costellazioni amiche”. Disse (così) ed estrae dal fodero la fulminea spada e, con la lama sguainata, colpisce le funi. Tutti, in preda contemporaneamente allo stesso ardore, levano le ancore e fuggono; lasciarono le coste, il mare scompare sotto le navi, con forza fendono le onde e spazzano le acque azzurre. E già la prima Aurora spargeva una nuova luce sulle terre, lasciando il croceo giaciglio di Titone171. La regina – dalla torre -, appena vide albeggiare la luce e la flotta allontanasi a vele spiegate e scorse i lidi e i porti vuoti, privi di equipaggi, tre e quattro volte – percosso con la mano il bel petto e strappandosi le bionde chiome, esclamò: “In nome di Giove, costui andrà via e, straniero, farà insulto ai nostri regni? Altri non brandiranno le armi e non l'inseguiranno da tutta la città né strapperanno le navi dagli arsenali? Andate, lanciate subito le fiamme, scagliate frecce, fate forza sui remi!Che cosa dico o dove sono? Quale pazzia sconvolge la mente? O infelice Didone, ora ti toccano le azioni empie? Allora conveniva, quando gli affidavi lo scettro. Ecco, la destra e la fedeltà, che dicono rechi con sé i penati della patria, che portasse sulle spalle il padre sfinito dall'età! Non ho potuto – una volta afferrato – fare a pezzi il corpo e gettarlo nelle onde, non trucidare i compagni e lo stesso Ascanio e imbandirlo sulle mense patrie? Ma sarebbe stata dubbia la sorte della lotta. Fosse stato pure: chi potevo temere, quando stavo per morire? Avrei lanciato fiaccole nell'accampamento, avrei riempito di fiaccole le tolde ed estinto il figlio e il padre e la stirpe e avrei gettato me stessa sopra (di loro). O sole, che illumini con i raggi tutte le opere terrene, e tu, o Giunone, interprete e consapevole di questi affanni, e tu, Ecate, invocata con urli nei trivii notturni delle città, e (voi), Furie vendicatrici e dei della morente Elissa, accogliete queste richieste e volgete ai mali la giusta potenza ed ascoltate le nostre preghiere. Se è necessario che l'essere scellerato tocchi il porto e approdi a terra e così vogliono i destini di Giove, questo termine è stabilito, ma incalzato in guerra anche dalle armi di un popolo coraggioso, in bando dai confini, strappato all'amplesso di Iulo, implori aiuto e veda indegne stragi dei suoi; e, dopo aver accettato le leggi di iniqua pace172, non goda del regno o dell'amata luce, ma cada prima del (suo) giorno e (sia) insepolto in mezzo alla sabbia. Questo invoco, questa estrema voce emetto con il sangue. Voi, poi, o Tirii, perseguitate la stirpe e tutta la discendenza futura con gli odii e offrite questi doni al nostro cenere. Nessun amore, né patto ci sia fra i popoli. Possa nascere, quale tu sia, vendicatori dalle nostre ossa, che incalzi con il fuoco e con il ferro i coloni troiani, ora, in futuro, in qualunque tempo bastino le forze. Siano i lidi ostili ai lidi, le onde alle onde, le armi alle armi: combattano essi stessi e i nipoti”. Dice queste cose e volgeva l'animo da ogni lato, cercando di rompere al più presto l'odiosa luce. Allora – brevemente – si rivolse a Barce, nutrice di Sicheo, infatti (la nutrice), bruna cenere, stava nell'antica patria: “Fai venire qui, o mia cara nutrice, la sorella Anna: di' che s'affretti a detergere il corpo con l'acqua fluviale e porti con sé le pecore e le prescritte espiazioni. Così venga, e tu stessa copriti le tempie con bende votive. Ho intenzione di fare a Giove Stigio173 i sacrifici, che allestii – come d'uso – e porre fine agli affanni e dare alle fiamme il rogo del troiano”. Così dice. Quella affrettava il passo con sforzo senile. Allora, Didone – trepidante e furente per lo spietato proposito – roteando gli occhi insanguinati, le guance tremanti piene di macchie e pallida per la morte prossima, irrompe nelle stanze più interne della casa e sale – furibonda – sugli alti roghi ed estrae la spada dardania, dono non chiesto per questo scopo. Qui, dopo aver visto le vesti 169Iuventa: ablativo di causa. 170Caelo: dativo di moto a luogo. 171Figlio di Laomedonte, sposato con Aurora. Invecchia fino a consumarsi, resta solo una voce. Dante nel IX canto del Purgatorio. 172Allusione al patto tra Giove e Giunone, precedente al duello di Enea con Turno, nella decisione di fondere troiani e latini. 173Plutone, re degli inferi. Ostento, as, avi, atum, are; detorqueo, es, torsi, tortum, ere; incĭpĭo, incĭpis, incepi, inceptum, ĕre; incendo, is, cendi, censum, ere; Paro, as, avi, atum, are; pono, is, posui, situm, ere; rĕsisto, rĕsistis, restiti, rĕsistĕre; aspicio, is, spexi, spectum, ere; lābor, lābĕris, lapsus sum, lābi; horreo, es, ere; quaero, quaeris, quaesii o quaesivi, quaesitum, ĕre; potior, iris, potitus sum, potiri; Audio, is, ivi, itum, ire; obliviscor, eris, oblitus sum, visci; exposco, exposcis, expoposci, exposcĕre; respicio, is, spexi, spectum, ere; Pendeo, es, pependi, ēre; accendo, is, di, sum, ere; Narro, as, avi, atum, are; molior, loliris, molitus sum,iri; Digredior, eris, digressus sum, digrĕdi; invideo, es, visi, visum, ere; Premo, is, pressi, pressum, ĕre; struo, is, xi, ctum, ere; suādĕo, suādes, suasi, suasum, ēre; respicio, is, spexi, spectum, ere; Cado, is, cecidi, ĕre; pareo, es, ui, itum, ere; Relinquo, is, relīqui, relictum, ĕre; necto, is, xi, xum, ere; Audio, is, ivi, itum, ire; adimo, is, demi, demptum, ere; Video, es, vidi, visum, ēre; cerno, is, crevi, cretum, ere; Capio, is, cepi, captum, ĕre; fulcio, is, si, fultum, ire; dētĭnĕo, dētĭnes, detinui, detentum, ēre; tego, is, texi, tectum, ere; Fallo, is, fefelli, falsum, ĕre; rigeo, es, ere; Possum, potes, potui, posse; consisto, is, stiti, ere; cœpĭo, cœpis, coepi, coeptum, ĕre; niteo, es, ui, ere; Adsurgo, is, adsurrexi, adsurrectum, ĕre; seco, as, secui, ctum, are; exercĕo, exerces, exercui, exercitum, ēre; tango, is, tetigi, tactum, ere; Pendeo, es, pependi, ēre; conspicio, is, spexi, spectum, ere; Interrumpo, is, interrupi, interruptum, ĕre; discerno, is, crevi, cretum, ere; Aequo, as, avi, atum, are; invado, is, vasi, vasum, ere; extruo, is, xi, ctum, ere; molior, iris, litus sum, iri; debeo, es, debui, itum, ere; evanesco, is, nui, ere; obnutesco, is, nutui, ere; arrigo, is, arrexi, ctum, ere; ambio, is, ivi, ire; divido, is, visi, visum, ere; cogo, is, coegi, coactum, ere; nescio, is, ivi, itum, ire; rumpo, is, rupi, ptum, ere; for, faris, fatus sum, fari; praesentio, is, si, sum, ire; excipio, is, cepi, ceptum, ere; timeo, es, timui, timere; defero, fers, tuli, latum, ferre; decedo, is, cessi, cessum, ere; morior, eris, mortuus sum, mori; maneo, es, mansi, mansum, ere; mereo, es, ui, itum, ere; exuo, is, ui, exutum, ere; odi, diste, odisse; desero, is, rui, rtum, ere; destruo, is, xi, ctum, ere; capio, is, cepi, captum, ere; ludo, is, lusi, lusum, ere; premo, is, pressi, ssum, ere; piget, guit, ere; memini, meministi, meminisse, abscondo, is, di, ditum, ere; patior, iris, passus sum, pati; colo, is, ui, cultum, ere; pono, is, sui, situm, ere; maneo, es, si, sum, ere; admoneo, es, ui, itum, ere; terreo, es, ui, ritum, ere; operio, is, rui, opertum, ire; surgo, is, surrexi, ctum, ere; defero, fers, tuli, latum, ferre; desino, is, ivi, itum, ere; incendo, is, cendi, censum, ere; tueor, eris, tuitus sum, eri; volvo, is, volvi, volutum, ere; pererro, as, avi, atum, are; gigno, is, genui, genitum, ere; ingemisco, is, ingemui, ere; flecto, is, flexi, flexum, ere; antefero, fers, tuli, latum, ferre; aspicio, is, spexi, spectum, ere; excipio, is, cepi, ceptum, ere; reduco, is, duxi, ductum, ere; seduco, is, duxi, ductum, ere; fugio, is, fugi, fugitum, ere; averto, is, verti, aversum, ere; linquo, is, liqui, ere; suscipio, is, scepi, sceptum, ere; cupio, is, ivi, itum, ire; lenio, is, ivi, itum, ire; labefio, fis, befactus sum, fieri; reviso, is, visi, visum, ere; incumbo, is, bui, bitum, ere; cerno, is, crevi, cretum, ere; ruo, is, rui, rutum, ere; conveho, is, vexi, vectum, ere; trido, is, trusum, ere; cogo, is, coegi, coactum, ere; ferveo, es, vui, ere; prospicio, is, spexi, spectum, ere; misceo, es, miscui, mixtum, ere; impono, is, posui, positum, ere; perfero, fers, tuli, latum, ferre; colo, is, colui, cultum, ere; nosco, is, vi, tum, ere; exscindo, is, scidi, scissum, ere; revello, is, revelli, vulsum, ere; prodo, is, didi, ditum, ere; careo, es, carui, ere; doceo, es, docui, doctum, ere; concutio, is, cussi, cussum, ere; consterno, is, stravi, stratum, ere; haero, es, haesi, haerere; tendo, is, tetendi, tensum, ere; tundo, is, tutundi, tunsum, ere; persentio, is, sensi, sensum, ire; taedet, pertaesum est, taedere; nigresco, is, nigrui, nigrescere; verto, is, verti, versum, ere; effor, aris, atus sum, effari; colo, is, colui, cultum, ere; revincio, is, vinxi, vinctum, ire; videor, eris, visus sum, videri; exaudio, is, ivi, itum, ire; queror, eris, questus sum, queri; ostendo, is, stendi, stentum, ere; sedo, is, sessi, sessum, ere; exigo, is, egi, actum, ere; adgredior, eris, gressus sum, gredi; tego, is, texi, tectum, ere; reddo, is, didi, ditum, ere; solvo, is, solvi, solutum, ere; torqueo, es, torsi, tortum, ere; spargo, is, sparsi, sparsum, ere; sisto, is, stiti, statum, ere; verto, is, verti, versum, ere; mugio, is, ivi, itum, ire; descendo, is, scendi, scensum, ere; accingo, is, cinxi, cinctum, ere; erigo, is, erexi, erectum, ere; pereo, is, perii, ire; superimpono, is, rimposui, positum, ere; iuvo, as, iuvi, iutum, are; aboleo, es, levi, abolitus, ere; sileo, es, silei, ere; praetexeo, is, texui, textum, ere; timeo, es, timui, ere; pareo, es, parui, paritum, ere; intendo, is, tendi, tentum, ere; sto, stas, steti, statum, are; effundo, is, fudi, fusum, ere; spargo, is, sparsi, sparsum, ere; revello, is, velli, vulsum, ere; praeripio, is, ripui, reptum, ere; carpo, is, carpsi, carptum, ere; quiesco, is, quievi, quietum, ere; taceo, es, tacui, tacitum, ere; teneo, es, tenui, ere; lenio, is, ivi, itum, ire; insisto, is, stiti, ere; experior, eris, expertus sum, experiri; sino, is, sivi, situm, ere; licet, licuit, ere; dego, is, degi, ere; dego, is, degi, ere; rumpo, is, rupi, rupitum, ere; obfero, fers, tuli, latum, ferre; redeo, is, ivi, itum, ire; cerno, is, crevi, cretum, ere; attingo, is, tigi, tactum, ere; exterreo, es, terrui, territum, ere; corripio, is, correpui, ptum, ere; incido, is, cidi, cisum, ere; ferio, is, ire; lateo, es, latui, ere; albesco, is, ere; percutio, is, cussi, cussum, ere; obscindo, is, scidi, scissum, ere; expedio, is, ivi, itum, ire; diripio, is, pui, reptum, ere; impello, is, puli, pulsum, ere; aio, ais, ait; subeo, is, ii, itum, ire; divello, is, velli, vulsum, ere; abripio, is, ripui, reptum, ere; spargo, is, si, sum, ere; adsumo, is, sumpsi, sumptum, ere; metuo, is, ui, tutum, ere; impleo, es, plevi, pletum, ere; extingo, is, stinxi, stinctum, ere; adverto, is, verti, vertum, ere; haereo, es, si, sum, ere; avello, is, vulsi, vulsum, ere; fruor, eris, fruitus sum, frui; cado, is, cecidi, casum, ere; exerceo, es, cui, citum, ere; exorior, eris, exortus sum, exoriri; abrumpo, is, rupi, ruptum, ere; sisto, is, stiti, statum, ere; conscendo, is, scendi, scensum, ere; recludo, is, si, sum, ere; incumbo, is, bui, bitum, ere; statuo, is, tui, tutum, ere; ulciscor, eris, ultus sum, ulcisci; imprimo, is, pressi, pressum, ere; haurio, is, si, stum, ere; conlabor, eris, lapsus sum, labi; fremo, is, ui, tum, ere; extinuo, is, stinxi, nctum, ere; accendo, is, cendi, censum, ere; traho, is, traxi, tractum, ere; asto, as, astiti, are; recedo, is, cessi, cessum, ere;