Scarica Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! CAPITOLO 1. L’UNIONE E IL SUO DIRITTO. 1. La nozione di UE. Non è facile definire l’oggetto della disciplina proprio per le caratteristiche originali di questa entità: si è indicato l’obiettivo che essa persegue ma non in cosa consiste. I dibattiti in merito alla concezione dell’integrazione europea vedevano chi preconizzava un mero rafforzamento della cooperazione e chi propendeva per uno sbocco federale, un cambiamento qualitativo. Neanche i Trattati sono riusciti a risolvere il problema. La storia dell’Unione rappresenta un percorso volto a definire l’impianto istituzionale più appropriato per assicurare la convivenza tra Stati; tuttavia, si è preferito evitare di irrigidire l’Unione in uno schema predefinito – un modello non federale, ma che talvolta ha livelli di integrazione più avanzati di alcuni Stati federali. Dopo i tanti trattati (CECA, CEE, CE) oggi c’è un solo Trattato (TUE e TFUE), un impianto unico, anche se articolato al suo interno; c’è stato il Trattato di Lisbona, ulteriore tappa verso un’unione sempre più stretta tra i popoli europei, ma il processo è comunque dinamico, le diverse soluzioni istituzionali si adattano di volta in volta alle occasioni di crescita, in un continuo consolidamento e capacità di rispondere alle sfide come alle crisi. 2. Il diritto dell’Unione. In origine era il diritto delle Comunità europee o diritto comunitario, lo studio degli aspetti giuridico-istituzionali delle tre comunità allora esistenti: già da allora il processo di integrazione non si esauriva in queste ultime, perché si sviluppavano in parallelo altre forme di cooperazione (es. cooperazione intergovernativa). Le tre comunità sono infine sfociate, con Lisbona, nell’unica struttura formale oggi esistente – l’UE – anche se restano modalità di cooperazione tra Stati che non rientrano formalmente nel diritto dell’Unione, il quale ha oggetto non solo gli aspetti giuridici-istituzionali dell’Unione stessa, ma tutti gli strumenti volti a garantire il processo di integrazione europea. 3. La sua autonomia. Un problema posto soprattutto nel diritto internazionale: le Comunità erano identificati come organizzazioni internazionali a carattere regionale (es. NATO) ma con il processo di integrazione la materia ha acquisito sempre più rilievo nel DI, per le peculiari caratteristiche rispetto alle altre OI e la diversità rispetto alle altre cooperazioni istituzionalizzate tra Stati. Il suo funzionamento è più simile a un’entità statale che a una OI, e tende a fondarsi su principi e regole più vicini al diritto interno che a quello internazionale: una “costituzione”, valori, apparati organizzativi e processi decisionali, garanzie giurisdizionali, rapporti con i privati simili a quello degli Stati, possibilità di penetrare la sfera interna degli Stati membri, le loro variabili economiche e sociali, valicare la sovranità statale e attribuire diritti e doveri ai cittadini. Il collegamento con il DI è rimasto ma lo studio è ormai autonomo. Inoltre, il diritto UE ha dovuto rivendicare l’autonomia anche rispetto agli Stati Membri (SM). Sappiamo che esso interferisce in ogni branca del diritto interno, modificando, integrando o sovrapponendosi alla normativa nazionale: tuttavia, solo in parte regola autonomamente le materie oggetto della sua competenza, molto spesso si limita a interferire – col filtro del legislatore nazionale – sui diversi settori del diritto statale, imponendo norme uniformi o conformando quelle esistenti a principi comuni. Questo filtro non significa però che tale disciplina sia sottratta alla presa del diritto dell’UE, in quanto non solo trae diretta origine da una normativa europea, ma resta condizionata alla sua interpretazione e alle sue garanzie. Quindi, il diritto UE non è da leggersi attraverso la lente interpretativa dello Stato di appartenenza. 4. Lo studio della materia. Fonti di informazione. Rinvio Le principali fonti di cognizione del diritto UE: Gazzetta Ufficiale dell’UE per la legislazione, Raccolta della jus della CG e del Tribunale dell’Unione per la giurisprudenza. Si aggiunge la documentazione prodotta dai governi, ministeri, organizzazioni economiche, imprese, istituzioni – oltre a codici, raccolte di legislazione. CAPITOLO II – ORIGINI E SVILUPPI DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA. 1. Il processo di integrazione europea: dalle origini all’Atto unico europeo. La fine della WW2 apre una nuova era politica, c’è necessità di cooperazione tra Stati: nascono NATO, OECE, OCSE, UEO, Consiglio d’EU (49). Era chiara la volontà di collaborazione più stretta da porre solo tra alcuni paesi europei, già esplicitata nel Manifesto di Ventotene del 1941. Un primo processo di integrazione sfociò nella CECA (’51 Francia, Belgio, Germania, Lux, Paesi Bassi, Italia); vi fu poi il fallimento della CED nel ’52 e i Trattati di Roma nel ’57, che sfociarono nella CEE (Comunità economica europea) e nella CEEA (Comunità europea per l’energia atomica). Sono tre comunità distinte ma mosse da un disegno unitario: un mercato comune basato sulla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, oltre alla previsione di politiche comuni (agricola, commerciale, trasporti, prodotti carbosiderurgici ed energia nucleare). Il ruolo delle istituzioni è evidente sin da subito in queste tre comunità originarie. L’apparato istituzionale era simile in tutte e 3 le Comunità, con 4 istituzioni principali: due come organi di governo (Consiglio e Commissione) e le altre come organi di controllo delle prime due (corte di Giustizia e PE). Nella CECA l’istituzione chiave (potere esecutivo) era l’Alta autorità, organo indipendente dai governi; l’istituzione intergovernativa era il Consiglio speciale dei ministri ed era secondaria, semplice trasmissioni di pareri. Al contrario nella CEE e nella CEEA il centro era il Consiglio, e la Commissione aveva max un ruolo di impulso normativo e controllo, non paragonabile a quello della CECA. Ciò non ha impedito l’unificazione dei 3 apparati istituzionali. Nel 1965 con il Trattato sulla fusione degli esecutivi si istituiscono un Consiglio e una Commissione unici delle Comunità europee; vengono unificati il finanziamento delle attività comunitarie e la struttura di bilancio; nel ’75 il Trattato di Bruxelles istituisce la Corte dei conti delle Comunità europee. Nel 1979 si svolgono le prime elezioni e nel 1986 l’Atto Unico europeo rivede i Trattati originari in tre direzioni Semplificazione della presa di decisione del Consiglio, sostituendo l’unanimità con la maggioranza qualificata in alcuni settori (es. armonizzazione legislazione nazionale in vista della realizzazione del mercato interno). Al PE un ruolo incisivo per l’influenza sugli atti del Consiglio. Prima forma di cooperazione in politica estera con la formalizzazione, sotto la denominazione di Consiglio europeo, di vertici semestrali tra capi di Stato o di governo, con i ministri degli affari esteri. 2. Il Trattato di Maastricht e la creazione dell’Unione Europea. Nel 1992 a Maastricht viene firmato il Trattato sull’Unione Europea, che entrerà in vigore nel ’93. È una profonda mutazione della costruzione avviata nel ’57, ricollocata in un edificio più grande, l’UE, della quale le Comunità europee diventano parte costituente con due nuovi settori di collaborazione, PESC e GAI (giustizia e affari interni). L’Unione si regge su tre pilastri: pilastro comunitario (composto dalle Comunità europee), PESC e GAI. L’elemento centrale del trattato è la Comunità economica europea, che è simbolicamente ridenominata Comunità europea. Nel relativo trattato (TCE) viene inserita per la prima volta la nozione di cittadinanza, si ampliano le competenze della comunità (istruzione, industria) e si rafforzano quelle esistenti (politica sociale, coesione economica). Viene introdotta la procedura di codecisione con il PE, che da un ruolo paritario col Consiglio nell’adozione di alcuni atti comunitari. Il disegno di Maastricht viene perfezionato ad Amsterdam nel ’97: i trattati istitutivi vengono rivisti, vengono sanciti i principi di libertà, democrazia, indicati nel TUE come valori fondanti dell’Unione (con violazione che costituisce sanzione). Parte del 3° pilastro di Maastricht viene trasferito nel TCE: le materie di visti, asilo, immigrazione, cooperazione giudiziaria vengono assoggettati alle regole di quest’ultimo. Vengono poi previste le cooperazioni rafforzate: tale esigenza va di pari passo con progressivo ampliamento del numero di Stati (UK ’73, Grecia ’81..). 3. L’allargamento e il cammino verso Lisbona. L’allargamento è il tema dei successivi sviluppi dell’integrazione. Dopo la caduta del muro c’è stato un ulteriore ampliamento, in coincidenza con il Trattato di Amsterdam e l’apertura ai paesi ex sovietici. Nel 2003 Nizza entra in vigore, ma si limita a intervenire sulla composizione della Commissione, estensione del voto a maggioranza qualificata del Consiglio e sull’applicazione della procedura di codecisione – provvedimenti insufficienti, serviva una revisione radicale dell’impianto dei Trattati. Nel 2004 viene firmato il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, destinato a rimpiazzare i Trattati esistenti, che cerca di fornire un carattere costituzionale alla costituzione europea (rappresentanza esterna, inno, moneta), con la creazione di una nuova Unione europea, che riassuma in sé sia il pilastro comunitario che il secondo e terzo pilastro. Lo strumento è quindi quello di un unico Trattato diviso in quattro parti (principi, Carta dei diritti fondamentali, norme di dettaglio sul funzionamento, disposizioni generali). Viene bloccato dai referendum negativi in Francia e Paesi Bassi, e nel 2007 una Conferenza intergovernativa conduce al “Trattato di riforma” (Lisbona), che entra definitivamente in vigore nel 2009. 4. Dall’attuazione del Trattato di Lisbona al referendum britannico sulla Brexit. All’inizio del 2010 viene nominato tanto il nuovo Presidente eletto del Consiglio europeo, quanto l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, consentendo sa al Consiglio europeo che alla commissione (di cui l’Alto rappresentante è vice) di operare con i poteri loro attribuiti con Lisbona. Nel frattempo la crisi del 2008 si propaga in Europa, che modifica la sua agenda e introduce strumenti di solidarietà finanziaria per gli Stati più colpiti, oltre a operare una revisione dei meccanismi di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli SM. Il Consiglio europeo, che prende la leadership del processo di riforma della c.d. governance economica europea, negoziando gran parte delle misure di adottare. Dal 2014 si verifica una nuova crisi dovuta ai richiedenti asilo e ai migranti economici che arrivano in Europa attraverso il Mediterraneo: è difficile trovare soluzioni comuni e i principi del processo di integrazione sono rimessi in discussione. L’euroscetticismo diffuso ha culmine nel referendum del 2016 per la Brexit, nonostante l’adesione della Croazia e la richiesta di alcuni paesi Balcani. Dal 2019 il recesso prenderà effetto. CAPITOLO 1 – Profili generali. 1. Struttura e contenuti dei Trattati istitutivi dopo Lisbona Il Consiglio potrà sospendere alcuni dei diritti derivanti dall'applicazione dei trattati. Questo crea dei problemi perché ciascuno degli SM ha potere di veto, e il contesto si risolve in logiche di compromesso politico. Sono stati trovati dei meccanismi alternativi di dialogo, ad es. la Commissione trasmette allo SM un “parere sullo Stato di diritto”, eventualmente una “raccomandazione” formale circa le misure da prendere, e solo dopo si applica l’art. 7. Alternativamente, il Consiglio mette in atto un procedimento diverso, un meccanismo di Dialogo politico sullo Stato di diritto da svolgersi con cadenza annuale. Recesso (art.50 TFUE). Non richiede il consenso degli altri SM e richiede una procedura complessa, che inizia con la procedura di recesso negoziato: laddove uno stato notifichi al consiglio europeo alla sua intenzione di lasciare l'unione, si avvia un negoziato tra esso e l'unione per un accordo volto a definire le modalità del recesso, accordo di recesso. Anche in mancanza di tale accordo, lo Stato perderà lo status di membro e i trattati cesseranno di applicarglisi dopo due anni dalla notifica, durante i quali evidentemente non partecipa alle deliberazioni e alle decisioni del consiglio europeo e del consiglio riguardanti il recesso. L’accordo disciplina per un periodo transitorio una serie di situazioni giuridiche collegate allo status di membro nel loro passaggio verso il nuovo rapporto che verrà stabilito tra l'ex SM e l’Unione. La notifica può essere sempre revocata. Infine, il ricorso a questo articolo non sarebbe legittimo solo per parte dei Trattati. 5. Segue: L’ differenziata del diritto dell’Unione agli SM. In particolare, la cooperazione rafforzata. Lo status di membro comporta l'applicazione allo stato interessato dell'acquis comunitario - norme e principi ricavabili dai trattati, dalle prassi delle istituzioni e dalla giurisprudenza della Corte - quindi il sistema europeo è basato sul principio di applicazione generale uniforme del diritto. Vi sono eccezioni e deroghe di carattere transitorio, che sono anzi normali nel caso dell'adesione di nuovi stati che non hanno ancora questo acquis, in quanto consentono la piena integrazione. Non solo però, vi sono anche forme non necessariamente temporanee di applicazione differenziata del diritto dell'unione. Una deroga di carattere “territoriale” è l’art. 355 TFUE, che esclude l'applicazione integrale dei Trattati ad alcune zone del Regni Unito, o prevede un regime speciale per altri territori situati fuori dal continente europeo pur essendo parte integrante di alcuni membri (regioni c.d. ultraperiferiche in Francia, Spagna, territori d’oltremare). Vi sono inoltre alcune forme di applicazione differenziata che escludono l'applicazione di normative dell'unione o di interi settori di competenza della stessa nei confronti di interi Stati membri, es. la Carta dei diritti fondamentali non si applica a Polonia e Regno Unito nel momento in cui ha acquisito lo stesso valore giuridico dei trattati; lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (controlli alle frontiere, immigrazione, cooperazione giudiziaria in materia civile e penale) non si applica a UK, Irlanda, Danimarca. Queste ipotesi danno luogo sono motivate perlopiù da problemi di carattere politico: c’è però anche un’ esigenza di consentire a gruppi di SM Di avviare iniziative normative evolutive in alcuni settori di competenza dell’Unione, ossia di dar vita a tali iniziative in un numero più ristretto di Stati, sempre nel sistema dell’Unione. a) Amsterdam ha introdotto nei Trattati l’istituto della Cooperazione rafforzata, perfezionata con Lisbona. Un gruppo di SM realizza tra essi (nel quadro dei Trattati, dell'Unione, avvalendosi delle sue istituzioni) un obiettivo dei Trattati che Non possa essere conseguito per il momento dall’Unione nel suo insieme per mancanza delle maggioranze necessarie in Consiglio. Se nel caso precedenti uno SM si sottrae all'applicazione della normativa comune, qua al contrario abbiamo una cooperazione più avanzata, che continua a convivere con la normativa comune. Art. 20 TUE: l’iniziativa deve essere di almeno 9 stati e il suo oggetto deve rientrare nei limiti delle competenze dell’Unione, ma non riguardare una competenza esclusiva di questa. Deve quindi rispettare i Trattati e le competenze e gli obblighi degli SM, non può recare pregiudizio né al mercato interno né alla coesione economica territoriale. Le prime applicazioni hanno dato luogo a iniziative legislative specifiche e isolate (legge applicabile al divorzio, tutela brevettuale unitarie, Procura europea). L’avvio della cooperazione deve essere autorizzata dal Consiglio a maggioranza qualificata, sulla base di una proposta della commissione preparata su richiesta del gruppo di stati e previa approvazione del PE (Alto rappresentante in caso di settori PESC). La decisione deve essere adottata dal consiglio “in ultima istanza”, quando sia chiaro che non vi sono possibilità di realizzare con un'iniziativa dell'Unione in quanto tale l'obiettivo perseguito dalla cooperazione rafforzata. L’autorizzazione del Consiglio, tuttavia, è facile che sia influenzata da considerazioni politiche. Alcune norme prevedono, per i settori della cooperazione penale e in materia giudiziaria e penale di polizia, che in mancanza di accordo nel Consiglio europeo (freno di emergenza) o mancanza di unanimità nel Consiglio almeno nove SM possono informare PE, Consiglio e Commissione della loro intenzione di instaurare una cooperazione, che si considera automaticamente concessa. Una cooperazione deve consentire l’adesione di qualsiasi altro SM che desideri unirsi al gruppo iniziale, purché soddisfi eventuali condizioni di partecipazione e accetti gli atti già approvati. Una volta instaurata, la cooperazione funziona attraverso le istituzioni, gli strumenti e le procedure previste dai Trattati, che sono la base giuridica della materia oggetto; gli atti adottati devono essere fondati sulle basi giuridiche dei rattati e costituiscono diritto UE, ma vincolano solo gli SM partecipanti. b) Oltre alla possibilità generale di avviare cooperazioni in uno dei settori di competenza non esclusiva, i trattati prevedono ipotesi di cooperazione direttamente disciplinate al loro interno. La cooperazione strutturata permanente si avvia nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, tra Stati che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari, e disciplinano aspetti come missioni per garantire il mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza. L’altra cooperazione specifica riguarda l'eliminazione dei controlli alle frontiere comuni (nata nell’Accordo di Schengen), e gli unici membri non partecipanti sono UK, Irlanda e Danimarca, Se possono partecipare all'elaborazione o accettare le singole misure adottate in questo quadro. Infine la disciplina dell’euro, con criteri fissati nel TFUE e nel Protocollo sui Criteri di convergenza. Vi sono stati che non vi rientrano e stati che hanno deciso volontariamente di non farne parte (UK e Danimarca). CAPITOLO II – Il quadro istituzionale. 1. Profili introduttivi “quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi..” Art.13 TUE. Non si parla solo delle istituzioni classiche, ma di tutti gli organismi operanti nell’ambito dell’Unione: alle istituzioni originarie della CE sono state affiancati nuovi organi, come quelli istituiti da atti del Consiglio e del PE, che si rifanno ai principi di decentramento (es. agenzie indipendenti). Vi sono varie forme di rappresentanza, nonché di funzioni della stessa Unione: sotto il primo profilo, la composizione intergovernativa non è la caratteristica dominante degli organi appartenenti al sistema, che anche se sono nominati quasi tutti dai governi degli SM (o in quanto tali se membri di Consiglio europeo e Consiglio) sono formalmente indipendenti dagli Stati, nel senso che i loro membri non rappresentano il governo di appartenenza. Se vi sono organi (Commissione e CG) la cui indipendenza è unicamente a servizio dell’interesse dell’Unione, altri ancora rappresentano istanze del decentramento regionale o locale (Comitato delle regioni) o degli interessi delle istanze di categoria del mondo economico e del lavoro (Comitato economico e sociale), o delle BC nazionali (BCE), che all’interno dell’Unione godono di una rappresentanza primaria, non mediata dal canale governativo. Questi organi contribuiscono al funzionamento del sistema, e un esempio è la BC, organo tecnico sottratto al controllo degli SM. Con ciò si viene all’altro profilo, la varietà di competenze che l’Unione si è vista a segnare in virtù della sua crescente complessità: al suo interno ritroviamo funzioni tipiche degli stati, ripartite tra più organi, sulla scia della complessità dei sistemi statali e sempre più lontane da quelli internazionali. Il potere normativo ed esecutivo sono condivisi tra Consiglio e PE\Consiglio e Commissione. Infine, la funzione giurisdizionale, organizzata su più istanze e gradi di giurisdizione. Solo la PESC mantiene le caratteristiche istituzionali che l’hanno contraddistinte fin dalle origini. 2. Principi di funzionamento del sistema istituzionale. L’equilibrio istituzionale e la leale collaborazione. L’equilibrio istituzionale si riflette nelle attribuzioni conferite a ciascuna istituzione, da esercitare secondo “Procedure, condizioni e finalità” previste dai Trattati, in quanto “garanzia fondamentale” della posizione dei soggetti di diritto – SM o individui – cui si indirizza l’ordinamento. Ciascuna istituzione gode di auto-organizzazione, sempre nei limiti dei Trattati; quindi, le attribuzioni di un’istituzione non possono sconfinare in un’altra. L’altro principio è la leale collaborazione (art.13 TUE), che non impone solo di rispettare le attribuzioni rispettive senza pregiudicare l’esercizio di un’istituzione in favore di un’altra, ma autorizza anche procedure che permettono di assicurare il buon svolgimento del processo decisionale. Es. l’adozione di un atto del Consiglio senza attendere il parere del PE. 3. Sistema istituzionale dell’Unione e parlamenti nazionali. Le istituzioni dell'unione a carattere più marcatamente politico sono tenute a confrontarsi con i parlamenti nazionali, che i trattati coinvolgono in una serie di procedure. Nella maggior parte dei casi si tratta dell' esplicita previsione di una loro informazione da parte delle istituzioni dell'Unione responsabili di determinate procedure, accompagnata dall'obbligo di quelle istituzioni di sospendere la procedura per un tempo sufficiente a permettere un'eventuale reazione dei parlamenti nazionali. È poi prevista l’associazione di questi al controllo politico sulle due agenzie dell’Unione (Eurojust ed Europol), operanti nei settori di cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia, e alla valutazione sulle politiche nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. I Parlamenti nazionali possono infine bloccare le decisioni delle istituzioni nel quadro del procedimento legislativo di adozione di atti dell'unione, ad esempio, il diritto di famiglia (il parlamento nazionale formula entro sei mesi dal ricevimento della proposta della Commissione la sua opposizione a essa). Se prima i governi avevano il primato ed esprimevano la posizione del relativo Stato in seno all’Unione, adesso sono i parlamenti ad esprimere, se del caso, posizioni autonome. Il loro coinvolgimento finisce però per modificare la valutazione finora pervenuta della statua istituzionale: nonostante il PE sia il Discusso di partecipazione dei cittadini all'esercizio del potere, la scelta fatta da Lisbona di affiancare formalmente i parlamenti nazionali a quest’ultimo rischia di mettere in discussione la legittimità dello stesso PE. Queste dinamiche esistevano già prima es. con forme di cooperazione interparlamentare strutturata tra il PE e i parlamenti degli SM, venutasi a formare alla fine degli anni 80, o il COSAC, che permette lo scambio tra queste due istanze di informazioni e buone pratiche. 4. Le istituzioni politiche. In passato il rapporto tra istituzioni si giocava tra Consiglio, PE e Commissione, quali organi rappresentativi degli SM, dei popoli dell’Unione e dell’interesse generale di questa. Il rapporto tra di essi è venuto costruendosi all'insegna di un equilibrio tra la componente governativa e quella non governativa (PE e Commissione). Inizialmente il Consiglio europeo non era annoverato tra le istituzioni dell’Unione, era un organo informale e sottratto ai controlli, in cui i capi di Stato decidevano senza entrare nei meccanismi dell’Unione. Con il suo inserimento tra le istituzioni, ha subito un’evoluzione che oggi si riflette sugli equilibri complessivi; la sua composizione finisce per coincidere con quella del Consiglio, quindi ci sono due organi a composizione intergovernativa formalmente distinti ma sostanzialmente identici. 5. a) Il Consiglio europeo Riunisce i capi di Stato o di governo degli SM insieme al presidente della Commissione, dà all’Unione “gli impulsi necessari al suo sviluppo e definisce orientamenti e priorità politiche generali”. Tra i compiti: propone o nomina le cariche più rilevanti non affidate direttamente alla competenza degli Stati membri ripartizione tra gli Stati membri dei seggi al PE o modifica del numero dei membri della Commissione revisione dei Trattati o di modifica di alcune disposizioni di questi decisioni di rilevo politico per la membership dell’Unione: può infatti mediare, prima dell’adozione da parte del Consiglio di un atto a maggioranza qualificata, tra la posizione della maggioranza e quella di uno Stato che attivi il c.d. freno di emergenza per quanto riguarda l’attività legislativa, sul piano formale gli interventi del Consiglio europeo costituiscono una violazione del principio di attribuzione, in quanto da Trattato esso non esercita le funzioni legislative: hanno valore politico e non sono giuridicamente vincolanti per le altre istituzioni. Talvolta però l’intervento del Consiglio europeo è fondato su una disposizione dei Trattati, dunque vi sono conseguenze formali. Un esempio è la dinamica che si crea a fronte del coinvolgimento del Consiglio europeo da parte di uno SM che azioni il freno rispetto a una procedura legislativa ordinaria. Con l’inserimento nelle istituzioni elencate nell’art.13 TUE, il Consiglio vede la fine di una parabola iniziata negli anni ’60, quando i 6 Capi di stato dell’ex CEE iniziarono a riunirsi. Con Maastricht viene inquadrato ma non è ancora istituzione, tuttalpiù un organo che da impulso. A differenza di quanto accade nel Consiglio (dei ministri), i Capi di Stato partecipano intuitu personae\officii, ossia, è esclusa la possibilità di un capo di Stato di farsi sostituire da un ministro. Una novità di Lisbona è il Presidente eletto dallo stesso Consiglio europeo a maggioranza qualificata, per 2 anni e mezzo rinnovabile una volta. Il mandato del Consiglio europeo dura invece 5 anni e coincide con PE e Commissione, così da avere il cd ciclo istituzionale europeo. La nomina è incompatibile con un mandato nazionale, ma è ipotizzabile che possa essere eletto il Presidente della Commissione. Il Presidente gestisce i lavori, la continuità delle riunioni, guida il dibattito e rappresenta l’istituzione al PE, assicurando la rappresentanza estera dell’Unione nel settore PESC. Si riunisce a Bruxelles 2 volte al mese; le decisioni sono prese per consensus (salvo che i Trattati dispongano diversamente), ma in caso di atti formali i Trattati impongono regole di voto formali (maggioranza semplice o qualificata). L’unanimità si forma anche in presenza dell’astensione, la maggioranza semplice si applica alla delibera del regolamento interno, la maggioranza qualificata tiene conto del peso relativo di ciascuno degli Stati. La volontà finisce per coincidere con quella dei governi degli SM, finendo per annullare ogni differenza con il Consiglio. In passato non era neanche stabilita la forma che dovevano assumere le deliberazioni, ora i Trattati richiedono esplicitamente la decisione ogni volta che il Consiglio europeo è chiamato e prendere delibere formali, altrimenti si parla di “conclusioni”. Infine, il Consiglio ha perso il carattere di mera conferenza tra governi, per assumere quello di istituzione che esprime una volontà unitaria distinta da quella dei suoi componenti. Gli effetti delle loro conclusioni possono avere carattere meramente procedurale, essere “esortativi” quando indirizzano i membri affinché adottino una decisione, o avere effetti vincolanti quando gli è richiesto di pronunciarsi con una decisione. In ogni caso, quando producono effetti giuridici nei confronti di terzi, gli atti sono impugnabili. 6. b) Il Consiglio. È il centro di gravità dell’equilibrio istituzionale dell’Unione “esercita la funzione legislativa e di bilancio – funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei Trattati”. Quindi è un organo legislativo ed esecutivo, il protagonista del potere decisionale a livello dell’Unione, che fornisce indirizzi politici e definisce gli orientamenti generali; coordina le politiche economiche generali degli SM, conclude accordi int.li dell’Unione e gestisce la politica estera comune. È composto da un rappresentante di ciascun membro a livello ministeriale, che impegna il governo che rappresenta ed esercita il diritto di voto; si riunisce a Bruxelles e la sua composizione si modifica a seconda degli argomenti all’OdG. L’elenco delle formazioni (10) è deciso dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata: il Consiglio “affari generali” assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni e prepara le riunioni del Consiglio europeo, il Consiglio “affari esteri” elabora l'azione esterna secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo. Poi c’è l’Eurogruppo, che non è una vera e propria formazione e prevede che i ministri Degli Stati la cui moneta è l'euro si riuniscono insieme alla BCE e alla Commissione per questioni attinenti alla moneta unica. La scelta del rappresentante da inviare è rimessa al singolo SM, purché quelle rappresentante abbia livello ministeriale: al consiglio possono partecipare non Lisbona ha conferito alla BCE lo status di istituzione dell’Unione. Come la BEI, dispone di personalità giuridica, risorse e bilancio propri, organi decisionali cui spetta amministrazione e gestione in autonomia dalle altre istituzioni, in “Piena indipendenza sui mercati finanziari”. Restano comunque soggette alle norme e ai principi del sistema istituzionale, oltre che al controllo della CG, senza disporre di soggettività separata rispetto all’Unione. La BCE è il nucleo centrale del SEBC (BC eurozona), garantisce la stabilità dei prezzi e sostiene le politiche economiche generali dell’Unione. Consiglio direttivo: definizione indirizzi generali del SEBC e politica monetaria dell’Unione, comprende i membri del comitato esecutivo e governatori delle BC degli Stati euro, ognuno con un voto, decisioni a maggioranza semplice Comitato esecutivo: gestione corrente della Banca e attuazione degli indirizzi di politica monetaria decisi dal Consiglio direttivo, 1 Presidente (Presidente della BCE e del Consiglio direttivo), un Vice e 4 membri nominati dal Consiglio europeo. Consiglio generale, Presidente + Vicepresidente BCE + governatori BC di tutti gli SM, consultazione tra gli Stati non aderenti all’euro es. i tassi di cambio. La BCE può emettere le banconote della moneta unica e la sua sede è fissata a Francoforte. Ha il potere di adottare atti normativi e svolge un controllo sulle competenze altrui, deve essere consultata per parere su molte deliberazioni di spettanza del Consiglio o su progetti che gli Stati vogliano adottare in materie che riguardino le competenza della Banca. Talvolta ha potere di iniziativa legislativa nei confronti del Consiglio ed è dotata di potere sanzionatorio nei confronti delle imprese che violino gli obblighi imposti dai regolamenti e dalle decisioni da essa adottati. Anche il Consiglio gestisce la moneta unica: partecipa alle riunioni del Consiglio direttivo, coordina le politiche economiche degli SM. 13. b) la Banca europea per gli investimenti. È l’organismo finanziario dell’Unione, contribuisce a uno sviluppo equilibrato del mercato interno, finanziando progetti diretti alla valorizzazione delle regioni meno sviluppate, si occupa della riconversione di imprese. Ha sede a Lussemburgo, è dotata di un proprio Statuto, di un apparato organico e amministrativo. Al vertice c’è il Consiglio dei governatori composto da 1 ministro per SM, che fissa le direttive generali delle politiche di credito della BEI. La concreta concessione dei crediti è assicurata da un Consiglio di amministrazione, formato da 26 amministratori, e da un Comitato direttivo nominato per 6 anni al Consiglio. 14. Gli organi consultivi: a) il Comitato economico e sociale Attraverso queste organizzazioni (Comitato per l’occupazione, Comitato per la protezione sociale) il processo decisionale si svolge nella consapevolezza degli specifici interessi di volta in volta in gioco. A differenza di tutti gli altri organi consultivi, composizione e funzionamento sono disciplinati direttamente nei Trattati. Sono i soli ad avere una composizione intergovernativa, godere di autonomia regolamentare e finanziaria, sono i soli ad avere competenze ampie e non limitate a uno specifico settore. Il Comitato è un organo rappresentativo della società civile, in particolare nei settori socioeconomico, civico, professionale e culturale. Riunisce rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, lavoratori dipendenti e altri attori rappresentativi della s.c. I membri ne fanno parte a titolo personale, esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e nell’interesse generale. Il Trattato fissa in max 350 il numero dei membri, la cui ripartizione tra SM è decisa all’unanimità del Consiglio, in base alle dimensioni demografiche dello stesso. I membri sono nominati dal Consiglio per un mandato di 5 anni; spetta al Comitato designare il suo Presidente e adottare il proprio regolamento interno: il Comitato si articola in 3 gruppi di membri che rappresentano i datori di lavoro, lavoratori dipendenti e rappresentanti della s.c. organizzata. È organizzato in 6 sezioni specializzate (Agricoltura, sviluppo rurale, Unione economica e monetaria e coesione economica e sociale, Impiego, Relazioni esterne, Mercato interno, produzione e consumo). L’attività consiste nella formulazione di pareri su proposte di atti specifici o tematiche generali di competenza dell’Unione; possono essere formulati anche su richiesta del PE, del Consiglio o della Commissione, talvolta la mancanza è motivo d’illegittimità dell’atto. I settori nei quali il TFUE richiede la consultazione obbligatoria del Comitato economico e sociale sono il mercato interno, compresa l’armonizzazione delle legislazioni, trasporti, occupazione e politica sociale, politica industriale, sanità pubblica, protezione consumatori. 15. b) il Comitato delle regioni Maastricht ha affiancato al Comitato economico e sociale il Comitato delle regioni, per dar voce alle collettività delle politiche locali senza la mediazione degli Stati. È composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali degli SM, che agiscono in piena indipendenza nell’interesse generale dell’Unione. Dal trattato di Nizza, i membri del Comitato devono essere titolari di un mandato elettorale nell’ambito di una collettività regionale o locale, o politicamente responsabili dinanzi a un’assemblea eletta. Sono 350 membri, eletti per 5 anni; ogni SM designa i suoi candidati. Nomina il Presidente, adotta il regolamento interno; i lavori si svolgono per Commissioni specializzate e i membri si aggregano per gruppi politici, che riflettono i principali orientamenti presenti anche nel PE. È consultato dal PE, dal Consiglio o dalla Commissione nei casi previsti dai Trattati; quando la consultazione è imposta dai Trattati, l’atto adottato senza richiedere il parere del Comitato è illegittimo. Talvolta formula pareri di sua iniziativa. 16. Le agenzie europee. Sono stati creati da atti del PE e del Consiglio, sono 40, hanno personalità giuridica e autonomia organizzativa e finanziaria, al fine di assicurare una migliore attuazione della normativa europea in materie tecnicamente complesse, fornendo assistenza alle istituzioni con pareri e raccomandazioni, ovvero esercitando compiti ispettivi, o ancora adottando decisioni individuali. Non sono però indipendenti: sono più l’espressione di un decentramento in capo agli organi tecnici che la volontà di sottrarre l’esercizio di quella funzione al condizionamento del potere politico. Alcune sono previste dai Trattati (EUROPOL, EUROJUST, Agenzia europea per la difesa), altre sono previste da regolamenti del Consiglio che, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il PE. Dagli anni 2000 gli atti istitutivi delle agenzie sono fondati sull’articolo del TCE concernente la materia oggetto dell’attività dell’agenzia da istituire: tali agenzie non devono eccedere i poteri d’azione attribuiti alle istituzioni dagli articoli relativi al rispettivo settore. Le agenzie hanno il potere sempre più frequente di adottare decisioni giuridicamente vincolanti e destinate a produrre un effetto giuridico nei confronti di terzi. Le agenzie europee non vanno confuse con le agenzie esecutive (cap. IV par.10) 17. L’apparato amministrativo dell’Unione. Il rapporto di lavoro è regolato da uno Statuto unico adottato dal PE e dal Consiglio previa consultazione delle istituzioni interessati, che disciplina diritti e doveri, procedure di adesione, condizioni di lavoro, trattamento retributivo e pensionistico. Accanto ai funzionari e all’altro personale di ruolo, le istituzioni si avvalgono di personale contrattualizzato a tempo determinato nonché di esperti nazionali distaccati. Queste figure sono incardinate nel segretariato generale delle diverse istituzioni (organi o organismi), al cui vertice c’è il Segretario generale (il Cancelliere nella CG). I segretariati generali sono organizzati in direzioni generali (di carattere generale) e servizi (di natura orizzontale) a loro volta suddivisi in unità. L’accesso è disciplinato da concorsi interistituzionali, e i principali requisiti sono conoscenza della lingua ufficiale e cittadinanza; i funzionari devono essere reclutati su base geografica più ampia possibile, ma senza nessuna preferenza di nazionalità. Lo Statuto disciplina diritti e doveri del dipendente, in particolare vi è indipendenza nei confronti tanto degli Stati quanto di interessi privati, e di riservatezza rispetto alle informazioni di cui vengono a conoscenza. I principi a cui ispirarsi sono enunciati nella Carta dei diritti fondamentali, che fa della buona amministrazione un diritto di ogni persona che entri in contatto con l’apparato dell’Unione. 18. Il regime linguistico delle istituzioni. L'uso della lingua incide sulla fluidità dell'accesso al diritto e alle istituzioni, difatti è un elemento essenziale dell'identità europea dell’Unione. Un articolo dei Trattati istitutivi ha stabilito che il testo di questi fa ugualmente fede in ciascuna di tali lingue; d’altra parte, però, l’indispensabile pubblicità può essere garantita solo dalla regolare pubblicazione nella GUUE in tutte le lingue ufficiali degli atti in applicazione dei Trattati. La conseguenza è che va ricercata l’interpretazione basata sulla reale volontà del legislatore e sullo scopo da questo perseguito alla luce di tutte le versioni in questione. Per l’uso delle lingue da parte delle istituzioni, il TCEE riconosce quali lingue ufficiali tutte e 24 le lingue, ma si limita a rinviare ai regolamenti interni delle istituzioni stesse, prevedendo che nel loro quadro le istituzioni possano determinare le rispettive modalità di applicazione del regime linguistico generale. La Corte ha escluso che limitazioni le lingue ufficiali possano risultare giustificate quando applicate a rapporti esorbitanti la vita interna delle istituzioni. 19. Le finanze dell’Unione e in particolare l'adozione e l'esecuzione del bilancio e il controllo sulle frodi. Le spese di funzionamento dell'apparato istituzionale sono finanziate attraverso c.d. risorse proprie, piuttosto che con contributi versati dai membri come una volta, in ragione di maggiore esigenza di autonomia finanziaria. Si tratta comunque di imposte riscosse e prelievi operati dagli SM, e poi da questi trasferiti in una percentuale prefissata al bilancio dell'unione, ma il loro ammontare non è a discrezione degli stessi SM, ma frutto di un’imposta fissata direttamente a livello europeo e di percentuali predeterminate di un'imposta armonizzata a quello stesso livello (l’IVA). Gli SM si sono comunque mantenuti potere esclusivo sulla definizione della natura e delle dimensioni delle risorse: le disposizioni relative al sistema di risorse proprie (istituzione e soppressione di queste) sono adottate dal consiglio con decisioni prese all'unanimità su proposta della commissione e previa consultazione del Parlamento, ma entrano in vigore solo previa approvazione da parte di tutti gli SM conformemente alle regole costituzionali. a) L’insieme delle entrate derivanti dalle risorse proprie confluisce nel bilancio annuale dell'Unione, generale è unico, che deve dar conto di tutte le entrate e le spese previste per quell'anno, facendo sì che risultino in pareggio. Il bilancio corrisponde comunque a una cifra bassa sul totale dei bilanci nazionali dei membri, circa il 2%. L’ adozione del bilancio avviene con procedura legislativa speciale, che a partire da una proposta della Commissione vede il confronto tra consiglio e PE, sotto la responsabilità di quest’ultimo. I tempi sono stretti per evitare l’avvio di un nuovo esercizio finanziario annuale senza un bilancio debitamente adottato: tuttavia, ormai l’esercizio annuale del bilancio è da tempo inquadrato in una cornice programmatoria che copre più anni, c.d. quadro finanziario pluriennale, che precisa la composizione delle spese dell’Unione e riflette le principali priorità di bilancio. Il TFUE stabilisce che almeno ogni 5 anni il Consiglio adotti il QFP all'unanimità, con approvazione del PE. b) L’ esecuzione del bilancio generale dell’Unione spetta alla Commissione, ferme restando le responsabilità delle singole istituzioni o dei singoli organi per le singole sezioni di bilancio che li riguardano. L’esecuzione è oggetto di un controllo contabile (Corte dei conti, sulla legalità e regolarità delle entrate e delle uscite) e politico (PE, che delibera lo “scarico di bilancio”, ossia dà atto alla Commissione dell’esecuzione del bilancio, un vero e proprio giudizio). c) Il Trattato prevede poi l’obbligo sia di Unione che di SM di contrastare la frode e attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Il TFUE ha istituito l’OLAF (Ufficio per la lotta antifrode), che eventualmente si coordina con le autorità nazionali. Anche gli SM hanno infatti l’obbligo di contrastare le frodi e adottare le stesse misure previste per combattere le frodi ai danni dei propri interessi finanziari, con sanzioni analoghe a quelle previste per condotte interne. Vi è poi la possibilità del Consiglio di adottare misure specifiche, anche di carattere penale, per proteggere gli interessi finanziari dell’Unione in tutti gli SM. La Procura europea è competente per perseguire e rinviare a giudizio gli autori reati di questo tipo, nell’ ottica di una cooperazione rafforzata tra 20 SM. CAPITOLO III – LE FONTI. 1. Profili introduttivi. Il diritto primario e il diritto derivato. Il sistema creato dai Trattati annovera altre categorie di fonti oltre alla coppia diritto primario-derivato: alcune sono previste dai Trattati (es. accordi int.li con Stati terzi), altre scaturiscono dall’ arricchimento l'ordinamento, per successive modifiche dei Trattati originari ed elaborazione giurisprudenziale della CG. 2. I Trattati: il loro carattere “costituzionale”. Al vertice delle fonti vi sono i Trattati istitutivi. TUE e TFUE sono unitariamente considerati in quanto costituiscono l'atto fondante dell'Unione che disciplina da un lato le competenze di questa e le sue procedure di funzionamento, dall’altro i principi e le regole su cui è modellato l’intervento delle istituzioni. Le norme dei Trattati sono sovraordinate rispetto a tutte le altre, in quanto i procedimenti produttivi di queste traggono la loro idoneità a farlo dalle norme dei Trattati. La CG ha affermato che, benché conclusa in forma di accordo costituzionale, l’Unione è dotata di un quadro costituzionale proprio, in cui rientrano i valori enunciati nel TFUE di dignità umana, libertà, democrazia, Stato di diritto, e vengono integrati da norme sull’attribuzione delle competenze, sul funzionamento delle istituzioni del sistema giurisdizionale. TUE e TFUE hanno eguale valore giuridico e costituiscono un complesso normativo unico, peculiare rispetto agli altri accordi internazionali. Ciò è vero per l’interpretazione (la Corte ha più volte sacrificato la lettera della norma alla necessità di affermare principi o valori dell’ordinamento, per reinterpretare il diritto comunitario alla luce dei nuovi contesti) e per le limitazioni che incontra il potere di emendamento dei Trattati: gli SM possono modificarli, ma non sono liberi circa il procedimento da seguire per farlo, che deve essere l’art.48 TUE. La Corte, dunque, potrebbe trovarsi e non riconoscere come validamente avvenute eventuali modifiche decise dagli SM. L’art.48 prevede una procedura di revisione ordinaria: proposta di uno SM, PE o Commissione; il Consiglio europeo esprime il parere favorevole; dopodiché è convocata una convenzione di rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato, del PE e della Commissione, oppure una conferenza intergovernativa tra SM; si elabora un progetto, che entra in vigore una volta ratificato da tutti gli Stati secondo le rispettive procedure costituzionali; Vi sono poi due procedure di revisione semplificate: quelle di modifica della Parte Terza TFUE (politiche e azioni interne) che non comportino estensione di competenze, e quelle che riguardano il passaggio dall’unanimità alla maggioranza qualificata di decisioni del Consiglio (Disposizioni generali sull’azione esterna e disposizioni specifiche sulla PESC). Spetta al Consiglio europeo decidere all’unanimità su tali modifiche su consultazione del PE, Commissione, eventualmente BCE e SM. 3. Segue: I Trattati e le altre norme di diritto primario. I Trattati costituiscono un gruppo ampio, che nel tempo ha integrato e modificato i precedenti Trattati istitutivi. Sono esempi il Trattato di Bruxelles sulla fusione degli esecutivi (Consiglio e Commissione), i Trattati di Lussemburgo e Bruxelles sull’accrescimento delle competenze finanziarie, sui poteri di bilancio del PE Europeo e via dicendo. I Trattati istitutivi sono poi affiancati da una serie di Protocolli allegati, per meglio disciplinare alcuni aspetti del funzionamento dell’Unione e per evitare di appesantire ulteriormente il testo del Trattato (sui privilegi e sulle immunità dell’UE, sugli Stati tuti di CG e BEI, sull’applicazione del principio di sussidiarietà). Altri Protocolli hanno carattere transitorio, es. per l’integrazione dell’acquis di Schengen; infine, questi strumenti sono utilizzati per introdurre nel sistema discipline ad applicazione differenziata senza intaccare la portata unitaria dei Trattati principali e consentendo a singoli SM una posizione differenziata. Alla nozione di Trattati vanno poi ricondotti i c.d. atti di adesione, attraverso i quali i nuovi Stati acquistano lo status di membro: le norme corrispondenti all’atto di adesione integrano i Trattati istitutivi, e ad essi è riconosciuta una vera e propria natura di diritto primario, perché dietro vi è una diretta volontà degli Stati membri. La diretta riconducibilità a una volontà formale espressa dagli Stati implica che verranno ricondotte al diritto primario anche le integrazioni dei Trattati che sono avvenute sulla base di procedure semplificate ulteriori a quelle dell’art. 48: è il caso in cui i Trattati prevedono la definizione della relativa disciplina da parte del Consiglio per mezzo di una decisione, di cui viene raccomandata l’adozione da parte degli SM secondo le rispettive procedure costituzionali. Le norme che ne scaturiscono trovano la propria fonte questi stessi atti sono emanati su delega di un atto legislativo o in esecuzione di un atto giuridicamente vincolante dell'Unione, assumono la veste di atti delegati o di esecuzione. Vi sono poi ambiti (es. PESC) in cui è esclusa l'adozione di atti legislativi. Il carattere legislativo di un atto è dato dunque dalla procedura con cui viene adottato; infatti, in tutti i casi in cui è previsto il ricorso alla procedura legislativa l'atto da adottare è diretto a fissare la regolamentazione di base di un determinato intervento o materia di competenza dell'Unione. L’attribuzione di un carattere legislativo a un atto appare legata alla volontà dei redattori dei Trattati di sottoporre parte dell'attività normativa delle istituzioni a determinate regole in tema di trasparenza della stessa; i progetti di atti legislativi devono essere direttamente trasmessi ai parlamenti nazionali e possono essere impugnati direttamente da questi. La scelta tra regolamento, direttiva e decisione è basata sulle diverse caratteristiche di ciascuno di essi - talvolta la scelta è operata direttamente dai Trattati, altre volte quella scelta è rimessa al legislatore – ma in entrambi i casi la scelta è condizionata dalla rispondenza delle caratteristiche di ogni atto al contenuto e agli obiettivi dell'intervento normativo di cui si tratta. Soprattutto quando al scelta è rimessa al legislatore, si deve tenere conto del principio di proporzionalità, e qualora sia possibile una scelta tra misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva. 9. Segue: il rapporto tra gli atti normativi tipici Il rapporto tra i tre tipi di atti non è gerarchico: i trattati abilitano alle istituzioni a fare indifferentemente ricorso a uno qualsiasi degli strumenti normativi, nulla esclude che una decisione deroghi a un regolamento. Tuttavia, può esistere un rapporto di tipo gerarchico, che non dipende tanto dalla forma degli atti utilizzati (possono essere anche atti dello stesso tipo) ma da altre circostanze. Un’ipotesi riguarda le clausole passerella che integrano o modificano il diritto primario per mezzo di atti derivati. Tali atti, il cui contenuto può essere vincolato (es. passaggio dall'unanimità alla maggioranza qualificata per una determinata deliberazione del Consiglio) o lasciato alla discrezionalità delle istituzioni competenti, sono talvolta adottati definitivamente da queste e talvolta sono subordinate alla previa approvazione dei parlamenti nazionali, ma l'atto finale della procedura rimane l'atto dell'Unione. Dunque, benché subordinati ai Trattati (che ne costituiscono la base giuridica) tali atti integrano sostanzialmente il diritto primario, presentandosi come atti normativi rinforzati perché sovraordinati agli altri atti di diritto derivato anche di identici carattere e forma. Una situazione analoga riguarda le disposizioni dei trattati gli attribuiscono carattere “supralegislativo” a un atto delle istituzioni che si presenta qui come atto di mera applicazione di quelle disposizioni. Il regolamento “comitologia” del PE e del Consiglio stabilisce le regole relative alle modalità di controllo da parte dei membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione. Sarebbe da considerare illegittimo, per violazione di una regola di diritto relativa all'applicazione dei Trattati, l’atto di base che si discostasse da quanto prescritto nel regolamento di comitologia, ricorrendo a modalità di esecuzione diverse. Un’altra circostanza di rapporto gerarchico tra atti di diritto derivato riguarda il conferimento di competenze di esecuzione di un atto adottato ai sensi dei Trattati, o l’attribuzione di una delega all'esercizio di competenze normative. L’art. 290 TFUE precisa che l'atto legislativo delegante deve limitare esplicitamente “obiettivi, contenuto, portata e durata della delega di potere” mentre secondo la CG, per essere legittimo, in un atto di conferimento di competenze di esecuzione i punti essenziali della disciplina la cui attuazione viene delegata devono essere disciplinati nell’atto di base. Vi sono poi casi in cui gli stessi Trattati configurano l’esistenza di un rapporto gerarchico tra due atti, indipendentemente dal conferimento da parte del primo di una competenza a emanare il secondo in sua attuazione, es. quando il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta misure per contrasto al terrorismo. Nel settore PESC il TUE stabilisce che il consiglio possa adottare a maggioranza qualificata decisioni relative all'attuazione di una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'unione approvata da lui stesso all'unanimità. Indipendentemente dal rapporto che intercorre tra la misura di esecuzione e l'atto della cui esecuzione si tratti, il ricorso a una procedura non legislativa per l'adozione dell'atto di esecuzione si giustifica, in quanto lo stesso rimanga nei limiti di quanto previsto dell'atto da attuare. 10. Segue: Il regime comune agli atti normativi tipici. Gli atti normativi tipici sono soggetti a un regime comune per quanto riguarda requisiti di forma ed entrata in vigore. Obbligo di motivazione, formalità sostanziale la cui omissione comporta l'invalidità dell'atto, il suo scopo è mettere in grado i destinatari di apprezzare le ragioni che hanno indotto le autorità ad agire e gli eventuali vizi che inficiano la validità dell'atto (e permettere alla CG di esercitare un controllo legalità). La motivazione varia a seconda che si tratti di decisioni generali di carattere normativo decisioni cui manchi tale carattere. Non basta un’eventuale Dichiarazione daottata al momento dell’adozione dell’atto in questione; parte integrante della motivazione è l’indicazione della “base giuridica” dell’atto, la quale contribuisce a fornire elementi per una migliore comprensione della portata e della validità dell’atto stesso. La menzione dell'articolo dei Trattati su cui quest'ultimo è fondato dà conto dell'effettivo rispetto del procedimento richiesto per l'adozione. Pubblicità preventiva dell’atto; secondo la Corte una normativa dell’Unione deve consentire agli interessati di conoscere la portata degli obblighi che impone loro: pubblicazione sulla GUUE per gli atti legislativi o notifica ai loro destinatari nel caso di regolamenti, direttive indirizzate agli SM e decisioni. 11. a) I regolamenti. Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi è direttamente applicabile in ciascuno degli SM. Ha “natura essenzialmente normativa”, e tra gli atti e numerati nell’art.288 TFUE è quello che meglio concretizza il trasferimento di competenze dagli SM alle istituzioni, dato che gli SM sono tenuti ad astenersi da qualsiasi provvedimento che deroghi a tali regolamenti o ne pregiudichi l'efficacia. Ha portata generale, nel senso che si rivolge a una o più categorie di destinatari determinate astrattamente e nel loro complesso: questo non vuol dire che l’atto deve applicarsi a tutto il territorio dell’Unione, in quanto alcuni possono riguardare solo un membro. È poi “obbligatorio in tutti i suoi elementi”, ossia non può essere applicato in modo incompleto o selettivo e bisogna conformarsi in modo rigoroso, anche perché non vi è alcuna discrezionalità quanto al modo di applicare le sue norme. Ciò non vuol dire che il contenuto sia completo a tutti gli effetti, in quanto nulla esclude che la disciplina da esso dettata possa essere oggetto di integrazione mediante atti ulteriori; ad esempio, può essere prevista una normativa di dettaglio che gli Stati membri debbano integrare con provvedimenti di loro competenza, es. quelli che prevedono misure sanzionatorie necessarie per assicurare l’applicazione effettiva di divieti sanciti dallo stesso regolamento, o comunque ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. È poi direttamente applicabile, dunque l'entrata in vigore non ha bisogno di alcun atto di ricezione nel diritto interno; ciò implica che per loro stessa natura sono suscettibili di porre situazioni giuridiche soggettive in capo ai privati, tanto nei rapporti con altri privati quanto in quelli con gli Stati o le istituzioni dell'Unione, e che i singoli possono farli valere senza vedersi opporre delle disposizioni di carattere nazionale. Tuttavia, nell’eventualità della normativa di dettaglio precedentemente descritta, la Corte ha però escluso che i privati possano far valere diritti sulla base di tali disposizioni in assenza di misure di esecuzione adottate dagli Stati membri. 12. b) Le direttive La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi: c’è necessità dell’intervento delle autorità nazionali per tradurre in norme interne le sue disposizioni. Tuttavia, in molti casi la riserva di competenza a favore degli Stati è ridotta sul piano sostanziale, perché le direttive possono essere molto dettagliate. La Corte non ha considerato questa prassi in contrasto con l’art. 288, così come ha ritenuto che in talune materie è importante l’accuratezza di recepimento della direttiva da parte dello Stato. L’attuazione delle direttive nell’ordinamento interno è oggetto di un preciso obbligo che i membri sono tenuti ad adempiere – entro il termine - mediante l'emanazione e la comunicazione alla commissione di un atto di recepimento della stessa, che deve realizzare una trasposizione completa di tutte le disposizioni della direttiva, che ne garantisca l'efficacia su tutto il territorio dello Stato. L’attuazione deve avvenire con le forme e i mezzi più idonei a garantire l'efficacia reale e deve corrispondere alle esigenze di chiarezza e certezza delle situazioni giuridiche volute. Serve un atto vincolante a carattere normativo equivalente a quello che sarebbe stato preso nel diritto interno, non “semplice circolare” o “prassi amministrative”. Le stesse esigenze di chiarezza sono state prospettate anche se l'ordinamento nazionale sia già di per sé conforme a una determinata direttiva: l’obbligo di attuazione e soddisfatto, senza trasposizione formale della direttiva, a condizione che alle norme interne garantiscano la piena applicazione della direttiva ad opera dell'amministrazione nazionale, con una situazione giuridica chiara, e che i destinatari siano in grado di conoscere alla piena portata dei loro diritti. In ogni caso, quando la direttiva imponga di adottare disposizioni che contengano un riferimento alla direttiva stessa, una legislazione nazionale preesistente non può considerarsi di per sé sufficiente ad assicurare il pieno recepimento. I privati possono far valere dinnanzi ai giudici nazionali obblighi che le norme in questione pongono a carico dello Stato, ma la possibilità che si abbia in effetti diretti costituisce una “garanzia minima” a vantaggio degli individui. Tutti i casi in cui una direttiva è correttamente attuata, produce effetti nei confronti dei singoli attraverso le disposizioni di esecuzione adottate dallo Stato, e solo quando quel l'attuazione sia avvenuta in modo incompleto il singolo deve potersi avvalere in giudizio dei diritti che la direttiva gli vuole riconoscere. È quindi solo dalla scadenza del termine dato agli Stati per l'attuazione che questa potrà esplicare effetti diretti nell’ordinamento nazionale; prima di allora, l’unico obbligo per gli Stati è astenersi dall'adottare disposizioni che possano compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive. I singoli sono legittimati a invocare le disposizioni di una direttiva non solo nel caso di una mancata trasposizione, ma nell’ ipotesi in cui le misure nazionali non vengono applicate in modo da garantire il risultato al quale la direttiva è rivolta. All’interno di una direttiva vi sono tante disposizioni, quindi è necessario esaminare caso per caso se la disposizione riesce ad avere efficacia immediata nei rapporti tra SM e singoli. La Corte ha limitato la possibilità dei privati di far valere eventuali effetti diretti di norme delle direttive soltanto alle ipotesi che ciò avvenga nei confronti dello Stato (quindi non possono essere fonte di diritti individuali nei confronti di altri privati); viceversa, è escluso che le direttive possano essere fatte valere in quanto tali dallo SM contro i singoli. La limitazione degli effetti delle direttive ai soli effetti “verticali” (dal privato contro lo Stato) serve per impedire che lo Stato inadempiente al suo obbligo di trasporre la direttiva possa giovarsene a discapito del singolo. La Corte ha ritenuto applicabili tali effetti anche nel caso di un lavoratore che invoca disposizioni di una direttiva nei confronti del proprio datore di lavoro, che in questo caso assumerebbe il ruolo di “azienda pubblica”. L’obbligo degli SM di conseguire il risultato voluto da una direttiva non si esaurisce con la trasposizione di questa nell’ordinamento nazionale, ma si impone anche agli altri organi dello Stato, tenuti a garantire l’applicazione effettiva della direttiva: questo vale per gli organi giurisdizionali, che devono interpretare il diritto interno alla luce del testo e della finalità della direttiva, anche modificando una giurisprudenza consolidata se incompatibile con essa. Ciò vale a maggior ragione quando la controversia sottoposta al giudice nazionale verte sull’applicazione di norme interne introdotte al fine di recepire una direttiva volta a conferire diritti ai singoli; si deve presumere che lo Stato abbia avuto l’intenzione di adempiere pienamente agli obblighi derivanti dalla direttiva. Può quindi essere che una direttiva non attuata nello Stato finisca per esplicare la sua efficacia sui rapporti tra privati, grazie all’interpretazione conforme operata dal giudice. Il rischio è che, dipendendo quell’efficacia dall’attività interpretativa del giudice nazionale, prima dell’intervento di questo possa esservi incertezza per i privati con riguardo a quale tra le due normative conformare la propria condotta. 13. c) Le decisioni. La decisione è il terzo degli atti normativi tipici elencati nell’art.288 TFUE, ed è “obbligatoria in tutti i suoi elementi”. Nasce con portata individuale e come espressione di un’attività amministrativa dell’Unione, e ancora oggi è lo strumento con il quale le istituzioni applicano al caso concreto le previsioni normative astratte contenute nei Trattati o in altri atti dell’Unione, sia nei confronti di soggetti privati sia degli stessi SM. È un atto a portata individuale come la direttiva, ma a differenza di questa non ha destinatari predeterminati e può indirizzarsi a tutte le categorie di soggetti di diritto dell’Unione. È direttamente applicabili negli ordinamenti giuridici nazionali, fino a costituire titolo esecutivo da far valere negli SM attraverso le procedure nazionali. Il suo carattere obbligatorio “si impone a tutti gli organi dello Stato destinatario”, e “anche le decisioni del Consiglio hanno efficacia immediata nei rapporti tra SM e singoli in quanto producono diritti che i giudici hanno il dovere di tutelare. Ad ogni modo, sono vincolanti solo per gli Stati che ne sono destinatari e le norme non possono essere fatte valere imponendo obblighi nei confronti di un singolo. Oggi non sono utilizzate in chiave amministrativa, ma più propriamente normativa. Talvolta le decisioni sono rivolte alle stesse istituzioni dell’Unione: decisioni di nomina di membri delle istituzioni, istitutive di organi o organismi (Mediatore europeo), o riguardanti aspetti generali di funzionamento del sistema. In alcuni casi risulta essere l’unico strumento a disposizione delle istituzioni: il Consiglio europeo fissa con decisione le formazioni in cui si riunisce il Consiglio, ed è con decisione che esso è chiamato a disciplinare il sistema di presidenza dello stesso Consiglio. 14. Gli altri atti tipici dell’Unione e gli atti atipici. Alcuni sono contemplati dai Trattati, altri sono frutto della prassi. Alcuni di questi atti sono privi di efficacia obbligatoria, e questo è vero per gli atti tipici menzionati dall’art. 288 (raccomandazioni e pareri), che lo stesso articolo definisce non vincolanti. Mentre però i pareri sono lo strumento attraverso cui un'istituzione fa conoscere la propria valutazione su una questione o su un determinato atto, le raccomandazioni sono per lo più utilizzate da Consiglio e Commissione per indirizzare agli SM o ad altri soggetti norme di comportamento di carattere non vincolante. Nella categoria dei pareri ve ne sono alcuni con effetti giuridici assai significativi (es. pareri motivati nel quadro delle procedure di infrazione); per quanto riguarda le raccomandazioni, Corte ammesso che i giudici nazionali sono tenuti a prenderle in considerazione ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, a parte alcuni effetti riconosciuti ad alcune di esse dai Trattati (es. la Commissione può adottare con riguardo a disposizioni nazionali produttive di distorsioni della concorrenza nel mercato interno, o indirizzi per le politiche economiche degli SM). Consiglio e Commissione fanno spesso ricorso ad atti atipici come “conclusioni” o “risoluzioni”, nei quali preannunciano le possibili linee di sviluppo di una successiva attività normativa dell’Unione, ovvero fissano una posizione rispetto ad una questione particolarmente controversa di interpretazione del diritto UE. Spesso, conclusioni del Consiglio sono adottate per consacrare un accordo politico tra i membri di questo sul negoziato al suo interno su una proposta della Commissione. La Commissione ricorre poi a “comunicazioni\orientamenti\linee direttrici” per esplicitare all'indirizzo dei soggetti interessati (SM o privati) il proprio modo di interpretare una sua competenza. Alle conclusioni si ricorre all'interno del dell’iter legislativo per cercare di sviare una procedura in cui serve la maggioranza qualificata, ma il TFUE cerca di porre un freno a tale pratica. Nel caso degli atti atipici della Commissione appena citati, è legittimo il dubbio che attraverso la veste di strumenti privi di portata normativa, questi atti finiscano per porre a carico dei soggetti direttamente interessati obblighi ulteriori rispetto a quelli derivanti dai Trattati. Secondo la Corte, la Commissione può autolimitarsi pubblicizzando in anticipo le regole cui intende attenersi nei confronti degli SM. Ultimo cenno agli accordi interistituzionali che PE, Consiglio e Commissione possono concludere per definire le modalità di una reciproca collaborazione in settori delle loro relazioni (impegnandosi giuridicamente in tal senso) o esternare una posizione comune su una questione di rilievo politico. Questi atti non hanno rilievo diretto per la posizione dei singoli, ma il loro mancato rispetto può essere causa dell’illegittimità di un atto dell’Unione. Infine, tali accordi devono rimanere nei limiti di quanto previsto dai Trattati: possono integrarli ma non modificarli. CAPITOLO IV. IL PROCESSO DECISIONALE. poteva essere delegata alla Commissione le conferiva il potere di definire nozioni, imporre obblighi agli operatori economici, adottare tutti i provvedimenti per attuare la disciplina di base. Nei nuovi Trattati la competenza della Commissione vede modificata la sua portata dalla distinzione (introdotta con Lisbona) tra la c.d. delega alla Commissione di veri e propri poteri normativi e l'esercizio di meri poteri di esecuzione. L’art. 290 TUE prevede che un “atto legislativo” possa delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale per completare o modificare elementi non essenziali dell'atto legislativo; L’art. 291 conferisce “competenze di esecuzione”, laddove vi sia necessità di uniformare l’esecuzione a livello europeo di tali atti Prima di Lisbona questa distinzione era meramente teorica, e ancora oggi non è facile distinguere le due ipotesi. Tuttavia, il concetto di “modifica” di elementi non essenziali dell'atto legislativo può essere affidato alla Commissione solo per la via della delega disciplinata dall’articolo, In quanto identifica un'attività che sarebbe difficile definire di mera esecuzione. Analogamente, l’idea di “esecuzione” ex art. 291 prevede l'adozione di provvedimenti di attuazione a carattere individuale di un atto giuridicamente vincolante dell'Unione, che possono essere affidati alla Commissione invece che lasciate alla competenza dei singoli SM, in caso di necessità di condizioni uniformi di emanazione. Meno chiara risulta la distinzione tra necessità di integrare elementi non essenziali di un atto legislativo (art. 290) e dare esecuzione a quell'atto con disposizioni di portata generale. La CG ha fatto leva sul grado e sulla natura della discrezionalità spettante alla Commissione nel potere conferitole, in quanto l'esercizio di un'attività normativa implica un certo livello di discrezionalità politica. 9. a) La procedura di delega legislativa l’art. 290 TFUE permette al legislatore dell’Unione (Consiglio e\o PE), al momento di adottare un atto legislativo, di delegare la Commissione ad adottare a sua volta degli atti non legislativi di portata generale che completino o modifichino elementi non essenziali di quell'atto legislativo. Il legislatore decide, nel conferire la delega, quali elementi dell'atto devono essere considerati essenziali e quali non essenziali; l’atto di base deve delimitare esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega. In particolare, l’atto legislativo può stabilire che il PE o il Consiglio decidano di revocare la delega, o che l’atto delegato possa entrare in vigore solo se entro un certo termine nessuna delle due istituzioni ha sollevato un’obiezione – a questi fini, PE e Consiglio deliberano a maggioranza dei propri membri. A differenza di quanto vedremo in relazione all’esercizio di competenze di esecuzione, non è previsto qui un atto che debba predeterminare con valore vincolante per il legislatore condizioni e modalità di funzionamento: nell’art. 290 questo è lasciato al negoziato tra le istituzioni. Consiglio e Commissione hanno però concluso una “Convenzione d’intesa sugli atti delegati” che specifica nei dettagli il modo in cui le tre istituzioni intendono dare applicazione a tale articolo, precisando che la delega alla Commissione possa essere disposta tanto a tempo indeterminato che per una scadenza. Per quanto riguarda l'esercizio della delega una volta concessa, la Convenzione disciplina il potere di obiezione che il legislatore si riserva sugli atti delegati adottati dalla Commissione; solo in casi urgenti quest'ultima può eccezionalmente adottare l'atto immediatamente. L’art. 290 non distingue se l'atto legislativo è stato adottato sulla base della procedura legislativa ordinaria o speciale: i meccanismi devono adattarsi al tipo di procedura legislativa applicabile, diventando utilizzabili solo dall'istituzione che ha adottato l'atto legislativo di base (es. se l’atto fosse stato adottato con una procedura legislativa speciale che prevede la sola consultazione del PE, quest’ultimo eserciterebbe un controllo più intenso in fase di delega). 10. b) La procedura di adozione di atti di esecuzione. L’art. 291 disciplina la competenza a prendere a livello dell’Unione misure “uniformi” di esecuzione di atti giuridicamente vincolanti, adottati o meno dalle istituzioni sulla base di una procedura legislativa. La competenza di esecuzione spetta principalmente alla Commissione, con eccezione del settore della PESC (spetta al Consiglio). La competenza di Commissione o Consiglio di dare esecuzione a disposizioni di un determinato atto giuridicamente vincolante dell’Unione richiede di essere attivata da un atto del Consiglio o di Consiglio e PE; al pari degli atti delegati, l’attribuzione di una competenza di esecuzione è costituita dallo stesso atto della cui esecuzione si tratta, che definisce anche le modalità che Commissione o Consiglio devono seguire nell’esercitare la competenza attribuita. A differenza degli atti delegati (vedi sopra), in un regolamento da adottare secondo la procedura legislativa ordinaria le regole e i principi con cui gli SM possono controllare l’operato della Commissione devono essere fissate preventivamente. La disciplina precedente era la c.d. comitologia: un comitato di rappresentanti degli SM, presieduto da un rappresentante della Commissione, delineava le procedure di emanazione di misure esecutive da parte di quest’ultima. Dopo Lisbona (nel 2011) PE e Consiglio hanno adottato “Le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli SM dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione”. Il nuovo regolamento “comitologia” riserva a PE e Consiglio la possibilità di eccepire l’eventuale “Eccesso di delega” da parte di un progetto di atto di esecuzione che la Commissione sta adottando. Il controllo degli SM sull’esercizio delle competenze di esecuzione è imperniato sulle precedenti procedure di comitato: un atto di base che prevede la necessità di condizioni uniformi di esecuzione può decidere che la Commissione debba adottare i conseguenti atti di esecuzione applicando una delle due procedure di comitato procedura consultiva; la Commissione è unicamente obbligata a sottoporre il progetto di misura esecutiva all’esame di un comitato (SM + Commissione) procedura d’esame; il comitato esprime un parere che consente l’adozione dell’atto di esecuzione da parte della Commissione solo positivo. Se non viene formulato alcun parere la Commissione lo adotta (salvo non si parli di fiscalità, sicurezza umana, temi delicati). Eventualmente vi è un “comitato di appello”, o la possibilità di un’adozione immediata in casi eccezionali. PARTE SECONDA – LA TUTELA DEI DIRITTI. CAPITOLO I. Considerazioni generali. Questo sistema ha mantenuto nel tempo una sostanziale continuità; le innovazioni più importanti nella disciplina relativa alla Corte furono introdotte dal trattato di Nizza, mentre Lisbona ha dato al sistema un aspetto ancora più organico. 2. Cenni alla tutela non giudiziaria. In particolare, il Mediatore europeo. I cittadini possono rivolgere petizioni al PE, provocando anche l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, la quale può entro certi limiti esaminare le denunce di infrazione o cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto dell’Unione da parte di istituzioni e SM. Per gli stessi fini si fa ricorso a Mediatore, introdotto da Maastricht, esamina denunce del tipo indicato, ma solo se indirizzate alle istituzioni dell’Unione. In particolare riceve le denunce da qualunque soggetto abbia sede in uno SM riguardanti casi di cattiva amministrazione non solo delle istituzioni, ma di qualsiasi organo dell’Unione, al fine di assicurare una forma di tutela in mancanza degli strumenti giurisdizionali (si parla infatti di una tutela attenuata). Il Mediatore può inviare al PE e all’ istituzione interessata una relazione corredata di raccomandazioni, cui però questi ultimi non sono tenuti a dar seguito. Oltre a non avere poteri vincolanti, il suo potere di indagine trova una limitazione per la dicitura generica di “cattiva amministrazione”. Altri mezzi: qualsiasi cittadino dell’Unione o che risieda in uno SM può presentare una petizione al PE su una materia che riguarda il campo di attività dell’Unione o che lo concerna direttamente i privati possono indirizzare un reclamo alla Commissione per violazioni del diritto UE commesso da autorità nazionali, al fine di attivare la procedura di infrazione prevista dai Trattati (solo su iniziativa della Commissione o di un altro SM, non dei privati) in un’azione davanti alla Corte perché accerti l’ eventuale inadempienza 3. La tutela giudiziaria. L’istituzione di un organo giudiziario ad hoc. La CG. In generale Gli strumenti di carattere giurisdizionale, che fanno leva sull'apparato giudiziario dell'Unione, sono sicuramente più incisivi. Fin dalle origini le Comunità europee hanno potuto contare su un autonomo apparato in grado di assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale nell'ambito dello specifico ordinamento, con la creazione della CG, della CECA prima e delle Comunità europee poi. La Corte si caratterizza in termini assolutamente originali rispetto a tutti gli altri tribunali internazionali, perché per la prima volta è stato assicurato l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di un organo ad hoc, che afferma la propria competenza obbligatoria su questioni rilevanti per la vita dell'ente medesimo in termini esclusivi e non occasionali, presentando tutte le caratteristiche di un vero e proprio organo giurisdizionale. I Trattati attribuiscono alla CG il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione, è dunque un organo svincolato dall’influsso di considerazioni extra giuridiche. Nell’ambito dell’Unione sono rifatti presenti tutte le condizioni volte a rendere necessaria una funzione simile, ossia una funzione di controllo sia degli SM e degli obblighi a essi incombenti sia nei confronti delle istituzioni, al fine del reciproco controllo giurisdizionale sul rispetto delle rispettive sfere di competenza. Occorreva dunque un giudice che operasse esclusivamente per le Comunità\Unione, all'interno di un ambito d'azione cui corrisponde una limitazione, giuridica o di fatto, dei tribunali internazionali e interni su materie ad esse tradizionalmente riservate. Il monopolio della Corte è garantito attraverso l'imposizione ai membri dell'obbligo di non risolvere al di fuori del sistema le controversie eventualmente insorte circa l'interpretazione e l'applicazione dei trattati; si afferma dunque la competenza esclusiva del giudice dell'unione nelle materie ad essa assegnate e l'esclusione della giurisdizione nazionale. 4. Segue: il ruolo della Corte per il rafforzamento del sistema e delle sue garanzie. La tutela dei diritti fondamentali. La Corta ha svolto un ruolo importante nel processo di integrazione europea, non solo dal punto di vista giurisdizionale ma dal punto di vista strutturale. Ha innanzitutto contribuito alla ricostruzione del sistema giuridico europeo come ordinamento giuridico omogeneo e tendenzialmente compiuto, interpretando le disposizioni dei Trattati e integrandole con i principi fondamentali. Ha dato un input agli SM imponendo loro l'osservanza di regole comuni, rafforzando la portata di queste ultime in funzione della finalità del processo; si è occupata del riparto di competenze tra Unione e SM e tra istituzioni europee. Ha affermato alcuni principi qualificanti della costruzione europea: autonomia, primato ed efficacia diretta del diritto dell’Unione, soprattutto nel campo della tutela dei diritti fondamentali, da essa elevati al livello di principi generali dell'ordinamento giuridico europeo. A partire da Maastricht (1992), il principio è stato enunciato nei testi e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ma la protezione dei diritti fondamentali era già entrata nell'ordinamento giuridico dell’Unione grazie alla jus della Corte, in quanto “garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli SM (…) fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. Lisbona ha ora previsto l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1950), adozione per il momento sospesa. Ritornando al ruolo della Corte; si è occupata delle situazioni giuridiche individuali fondate sul diritto dell’Unione, in particolare dei diritti dei cittadini (status), attraverso il riconoscimento del diritto dei privati di ricorrere contro ogni atto produttivo di effetti giuridici nei loro confronti, persino nei confronti del proprio Stato. La Corte ha quindi avuto un ruolo nello sviluppo sistema comunitario la sua conformazione in coerenza con le finalità perseguite dalla Comunità prima e dall’Unione dopo, tanto che si parla di “attivismo della Corte”. CAPITOLO II. Organizzazione e funzionamento della Corte di giustizia dell’UE. 1. Origini e sviluppi La prima previsione di un organo giurisdizionale risale al Trattato istitutivo della CECA. I successivi Trattati di Roma (TCEE ed EURATOM) le attribuivano anche competenze più ampie, ma le due “nuove” Corti non vennero mai ad esistenza. Fu istituita una Corte di giustizia unica per le Comunità europee, che ereditava le competenze della Corte di giustizia della CECA. L’attività che la Corte unica svolgeva era imputabile di volta in volta all’una o all’altra Comunità, secondo che la Corte agisse come organo di una o dell’altra. Si creavano dunque tre Corti di giustizia, distinte ma fondamentalmente simili tra loro. Entra in vigore nel 1958 e nel 1989 viene affiancata da un “Tribunale di primo grado” (TPI); dopo il Trattato di Nizza al TPI si agganciano organi giurisdizionali di primo grado competenti a conoscere di materie specifiche, es. il Tribunale della funzione pubblica (soppresso nel 2016). La CG si è Connotata sempre più come supremo garante dell'unità giuridica del sistema, mentre il TPI ha assunto il ruolo di giudice di diritto comune (e di seconda istanza in caso di impugnazione). Questi organi sono insomma collegati sul piano organico, funzionale e strutturale: è l’art. 19 TUE che riassume all’interno della “Corte di giustizia dell’UE” tanto la “Corte di giustizia” quanto gli organi (Tribunale e Tribunali Specializzati), che prima erano solo affiancati alla Corte o al Tribunale di primo grado. 2. Gli organi: la CG Le norme relative alla composizione, al funzionamento e alle competenze della stessa si ritrovano, oltre che nei Trattati istitutivi, nel Protocollo sullo Statuto (art. 281 TFUE) e nel regolamento di procedura, stabilito dalla stessa Corte e approvato dal Consiglio. a) 1 giudice a SM membro, assistito nello svolgimento delle loro funzioni da 11 avvocati generali (AG), designati sulla base di un criterio di nazionalità, con 6 SM che hanno un posto permanente e gli altri a rotazione: il numero degli AG può Subire variazioni con delibera del Consiglio all’unanimità (previa richiesta Corte) b) Gli AG presentano pubblicamente, con imparzialità e indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della CG, richiedono il loro intervento. Tuttavia, ove ritenga che la causa non sollevi nuove questioni di diritto, la Corte può decidere, sentito l’AG, che la causa sia giudicata senza conclusioni. Gli AG assistono la Corte in quasi tutta la procedura, gestendo le attività amministrative. Il ruolo dell’AG è simile a quello del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione: le loro conclusioni costituiscono a pieno titolo l’opinione di un membro dell’Istituzione, motivata ed espressa pubblicamente. Non partecipano alla fase deliberativa della sentenza, ma collaborano all’elaborazione della stessa e dunque alla funzione attribuita alla Corte. Vi è poi un “Primo” AG che distribuisce le cause tra gli altri AG. c) Giudici e AG sono nominati per 6 anni dai governi degli SM, tra “giureconsulti di notoria competenza” e con “garanzie di indipendenza”. Nella nomina è importante la trasparenza della procedura di selezione dei candidati: in Italia il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei informano le Camere dell’atto della proposta o della designazione da parte dei Governo dei membri italiani della Corte, indicando la procedura seguita. Con Lisbona, la nomina è subordinata alla consultazione di un comitato ad hoc, secondo un rinnovo (parziale) triennale; il mandato può essere rinnovato ma può cessare volontariamente o d’ufficio, per decisione della Corte all’unanimità. l’indipendenza e la correttezza da seguire sono assicurate da un’apposita disciplina contenuta nello Statuto della Corte. d) Il Presidente della Corte è eletto fra e dai soli giudici: rappresenta la Corte, presiede le riunioni, le udienze e le deliberazioni della seduta plenaria e della grande sezione, vigila sul corretto funzionamento dei servizi e distribuisce le cause tra i giudici. Il Vice decide circa l'adozione delle misure provvisorie e di urgenza e) La Corte si riunisce in sezioni composte da tre o 5 giudici, eventualmente una grande sezione quando lo richiedano un membro o un'istituzione dell’Unione parti in causa. Si riunisce in assemblea plenaria quando deve decidere sul comportamento dei membri di alcuni organi dell'unione. La Corte delibera in camera di consiglio in presenza dei soli giudici membri del collegio giudicante, a maggioranza degli stessi. f) La Corte ha sede a Lussemburgo ed è assistita da un cancelliere, vertice dell'apparato burocratico, che cura la gestione amministrativa e finanziaria. Il regime linguistico e rimesso una disciplina ad hoc indicata nello statuto: tutte le lingue ufficiali sono lingue processuali, in linea di principio la lingua è quella del ricorrente 3. Segue: il Tribunale in esame, occorre solo che la Commissione “reputi” sussistere l’inadempimento. La Commissione non può essere obbligata ad obbligare la procedura in discorso, né da parte di uno SM (che può però muoversi autonomamente) né dei privati: anche questi ultimi possono denunciare le violazione del diritto UE commesse da autorità nazionali e chiedere l’avvio di una procedura di infrazione. Tutto ciò però, non attribuisce in alcun modo ai denuncianti il diritto di ricorrere alla Corte sulle successive scelte della Commissione, ed in particolare sul punto se avviare o meno la procedura in esame e sul momento in cui farlo. Ove comunque decida di contestare l’illecito, la Commissione avvia la fase precontenziosa, che si articola in due fasi: 1) Messa in mora. La Commissione comunica formalmente allo Stato interessato l’apertura della procedura, mettendolo in condizione di presentare le proprie osservazioni entro un termine fissato dalla stessa Commissione. Già prima della diffida però, la Commissione chiede spiegazioni allo Stato sull’inadempimento che essa ritiene sussistere (d’ufficio o sulla denuncia di terzi). Solo se insoddisfatta invia la lettera di messa in mora, che da avvio alla procedura. Questo passaggio garantisce il diritto di difesa dello Stato interessato e definisce i termini della questione che potrà poi essere deferita alla Corte. 2) Parere motivato. Lo SM non è tenuto a reagire alla lettera di messa in mora, ma in tal caso la Commissione emette un parere motivato con il quale sollecita lo Stato a porre fine al comportamento contestato entro un termine. A differenza di un parere “tipico” resta pur sempre un passaggio intermedio e non conclusivo: il parere non può modificare l'oggetto della contestazione indirizzata allo Stato nella diffida; inoltre, deve essere realmente motivato. L’ assenza o il difetto di motivazione rendono irricevibile l'eventuale ricorso giurisdizionale della Commissione. 4. Segue: la fase giudiziaria. Se dopo la decorrenza del termine lo Stato membro non si conforma al parere motivato, la Commissione può adire la Corte: anche la decisione sul se e quando introdurre il ricorso è a discrezione della Commissione – i testi non fissano alcun termine a riguardo, anche se la Commissione non può ritardare la propria decisione fino al punto di incorrere in uno sviamento di procedura. Anche il giudizio sul punto se lo Stato si sia conformato o meno al parere è rimesso alla Commissione che, valutando la portata e l’adeguatezza dei provvedimenti eventualmente adottati, decide liberamente se presentare il ricorso giurisdizionale o rinunciarvi. Nel merito, il ricorso può essere accolto se la Commissione prova la sussistenza dell'inadempimento contestato. Le persone fisiche e giuridiche non possono intervenire nelle controversie fra SM, fra istituzioni dell’Unione ovvero fra SM membri da una parte e istituzioni dall'altra. Inoltre, la Corte può adottare provvedimenti urgenti anche nei giudizi in esame, ad es. sospendendo l'applicazione di una normativa o di una prassi nazionale. 5. Segue: la pronuncia della Corte e i suoi effetti. Ove accerti l’inadempimento, la Corte pronuncia una sentenza, che comunque non è una condanna ma una sentenza meramente dichiarativa, in quanto si limita ad accertare l'esistenza dell' inadempimento. Lo Stato è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per l'esecuzione della sentenza, ma l’obbligo discende dall’art. 260 TFUE piuttosto che dalla pronuncia della Corte stessa. Spetta allo Stato decidere le misure e le modalità dell'adempimento: la Corte non può annullare od abrogare le leggi interne di uno SM o atti amministrativi dei suoi organi. Nulla toglie però che lo stato debba conformarsi pienamente alla sentenza, “per le autorità nazionali vige il divieto di applicare una disposizione nazionale dichiarata incompatibile col Trattato, e deve adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare l'efficacia del diritto dell’Unione”: destinatario dell’obbligo è lo Stato nella sua unità: tutti gli organi, nei settori di rispettiva competenza, devono assicurare l'esecuzione della sentenza. L’obbligo di modificare le disposizioni non conformi al diritto vale per tutti gli altri organi dello Stato - questo senza contare le eventuali responsabilità cui lo stato va incontro nei confronti di terzi, in particolare privati, per l’accertata infrazione. 6. Segue: i ricorsi per la sua inosservanza. Se lo Stato non assicurasse la piena osservanza della sentenza, la Commissione potrebbe presentare un nuovo ricorso alla Corte per d'inadempimento di tale obbligo e così via all'infinito. La prassi presentava molti intoppi, dunque, il sistema è stato rivisto a partire da Maastricht e ora rafforzato con Lisbona; la Commissione si è vista attribuire il potere, dopo aver messo lo Stato doppiamente inadempiente in condizione di presentare le proprie osservazioni, di ricorrere nuovamente alla Corte, questa volta per chiederle di imporre a carico dello Stato una somma forfettaria o una penalità. Le richieste della Commissione non vincolano il giudice dell’Unione, ma la Corte ha approvato il sistema di calcolo annunciato dalla Commissione, basato su tre criteri fondamentali: gravità dell'infrazione durata di quest'ultima necessità di imprimere alla sanzione un effetto dissuasivo onde prevenire recidive Lisbona aggiunge una disciplina per le ipotesi in cui d'inadempimento riguardi la mancata comunicazione dei provvedimenti nazionali di trasposizione di una direttiva. Nel caso in cui nel corso dell'esecuzione della seconda pronuncia di condanna sorgano divergenze tra Commissione e SM in ordine all'esecuzione della sentenza, la Commissione deve promuovere un nuovo ricorso alla Corte. Ossia, se le divergenze vertono su misure misure statali che non sono state ancora esaminata dalla Corte, si attiva una nuova procedura. 7. I ricorsi per inadempimento promossi da uno SM. Un membro può denunciare alla Corte una violazione del diritto dell’Unione da parte di un altro SM. In effetti, prima di poter ricorrere alla Corte lo stato deve rivolgersi alla Commissione, e questo per tentare di risolvere il conflitto senza rivolgersi alla Corte, nonché per far entrare in gioco l'interesse generale dell’Unione rispetto ad un conflitto che diversamente rischierebbe di restare tutto interno gli interessi dei due Stati. Per l’avvio di tali procedure non occorre che lo Stato agente abbia subito una lesione di un proprio interesse materiale: la legittimità a ricorrere alla Corte deriva dalla sua posizione di Stato membro: questo perché i membri devono essere messi in grado di concorrere direttamente ad assicurare il rispetto dei Trattati. La procedura è avviata da una domanda dello SM alla Commissione, contenente i motivi su cui base alle proprie contestazioni, La Commissione dà comunicazione allo Stato chiamato in causa e istituisce un contraddittorio in cui entrambi presentano le loro osservazioni scritte e orali. Al termine del contraddittorio, la Commissione emette un parere motivato (contenente anche l'esposizione dei fatti) con il quale esprime il giudizio sulla domanda dello Stato che ha iniziato la procedura. Il giudizio potrà essere Interlocutorio, se non ritiene sufficientemente provate le affermazioni dello Stato Favorevole alle tesi dello Stato accusato In questi casi lo Stato potrebbe comunque ricorrere alla Corte (la Commissione al max sconsiglia il ricorso) Conforme alle pretese dello Stato che ha avviato la procedura: si constata l’illecito e si invita lo Stato a prendere i provvedimenti opportuni. Decorso il termine, lo Stato può ricorrere alla Corte. In genere gli Stati (NB i privati non possono farlo) preferiscono sollecitare la Commissione, evitando di scontrarsi direttamente con l’altro SM. CAPITOLO IV. Il controllo sui comportamenti delle istituzioni dell’Unione. 1. Introduzione Oltre che sui comportamenti degli SM, la Corte esercita controllo giurisdizionale sui comportamenti degli organi dell’UE. La competenza si è affermata come strumento non solo di tutela dei diritti individuali ma di sviluppo dell'intero sistema giuridico, costituendo una delle garanzie dell'equilibrio dei poteri tra i diversi attori, realizzato dai Trattati. 1. I ricorsi di annullamento. 2. Premessa. Il controllo sulla legittimità degli atti dell'Unione e la più importante. L’art. 263 TFUE attribuisce agli SM e alle istituzioni dell’Unione da una parte, e ai privati dall’altra, il Diritto di ricorrere alla Corte per motivi di legittimità contro gli atti delle istituzioni medesimo al fine di chiederne l'annullamento. 3. La legittimazione passiva. Oggetto del giudizio sono i comportamenti delle istituzioni: innanzi al giudice non possono essere convenute le autorità nazionali, neppure quando adottano atti di esecuzione di norme dell’Unione. In passato, la legittimazione passiva era limitata a Consiglio e Commissione, adesso il numero dei soggetti che possono adire la Corte si è ampliato: sono sottoposti al controllo della Corte anche gli atti emanati congiuntamente dal PE e dal Consiglio con la procedura legislativa e quelli autonomamente adottati dal Consiglio, dalla Commissione o dalla BCE, nonché gli atti del PE e del Consiglio europeo che producono effetti giuridici nei confronti di terzi. In generale, gli atti di tutti gli organismi dell’Unione possono essere impugnati, se producono effetti giuridici in capo al ricorrente; Lisbona ha esteso esplicitamente la legittimazione passiva al Consiglio europeo, nonché a tutti gli organi e organismi UE. 4. Gli atti impugnabili. Se lei istituzioni possono essere facilmente individuate, lo stesso non si può dire per gli atti impugnabili: l’art. 263 prevede che sono impugnabili gli atti legislativi, nonché gli atti di alcune istituzioni che non siano raccomandazioni e pareri e che producano effetti giuridici nei confronti di terzi. I Trattati Impongono alle istituzioni di perseguire la realizzazione degli obiettivi statutari adottando atti tipici indicati da apposite norme: regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri: tuttavia, al controllo della Corte vengono sottoposti solo gli atti che rientrano in alcune di queste tipologie, con implicazioni processuali diverse che si tratti dell'una o dell’altra (vedremo in seguito). La questione non è risolta, perché non sempre i Trattati precisano quale atto adottare e non sempre è agevole ricondurre un determinato provvedimento ad una di quelle tipologie. Ancora prima, il problema è accertare se quello che la Corte si trova di fronte costituisca o meno un atto impugnabile. La giurisprudenza della Corte ha però affermato che ai fini del controllo giurisdizionale la tipologia non è importante: ciò che deve interessare sono il contenuto dell'atto ai suoi effetti, dunque la presenza di alcuni requisiti sostanziali che consentano la qualifica di detto atto come impugnabile e poi, all’occorrenza, ricondurlo ad una delle ricordate tipologie. In sintesi, la nozione di atto impugnabile che emerge dalla giurisprudenza può riassumersi nella formula secondo cui sono impugnabili gli atti definitivi emanati dalle istituzioni nell'esercizio del loro potere d'imperio e produttivi di effetti obbligatori nei confronti di terzi. Ciò significa che il comportamento dell'istituzione deve tradursi in un atto giuridico che sia espressione del potere d'imperio dell'organo; deve essere un atto autoritativo capace di produrre unilateralmente effetti obbligatori nella sfera dei suoi destinatari, innovando le preesistenti posizioni giuridiche. Un provvedimento che si limitasse a confermare o dare esecuzione a un atto precedente non è suscettibile di ricorso (non sono quindi impugnabili gli atti che si pongono come passaggi intermedi per l'emanazione dell'atto definitivo – atti preparatori). 5. I vizi degli atti. In generale. In ossequio al principio di legalità, gli atti dell'Unione devono essere conformi alle norme contenute nei Trattati o negli atti di applicazione degli stessi e la violazione di tali norme determina l'invalidità del provvedimento la possibilità di far funzionare i rimedi a tale scopo preposti. L’annullabilità opera in presenza dei vizi che inficiano la validità degli atti ed è espressamente prevista dai Trattati; anche nel sistema dell’Unione i difetti dell’atto non rilevano direttamente, ma in quanto si presentino con una determinata veste, definita dallo stesso Trattato, che elenca quali cause di invalidità dell'atto quattro figure di vizi con altrettanti motivi di ricorso da parte dei soggetti interessati. La prassi della Corte ha privilegiato anche in questo caso una valutazione dei vari vizi alla luce dei caratteri propri del sistema dell'Unione, con un richiamo solo indiretto ai diritti nazionale. È anche vero che non è sempre agevole distinguere fra i singoli motivi di ricorso, che spesso interferiscono reciprocamente. 6. Segue: I singoli vizi. Incompetenza. Un atto eccede i poteri conferiti dall’autorità che lo ha attuato (Es. invasione delle attribuzioni di un’altra istituzione, fuoriuscita delle competenze dell’Unione). Violazione di forme sostanziali. Ciò attiene a: a) Procedura di formazione degli atti stessi. Si parla dei casi in cui è imposta dai Trattati la consultazione (o l’iniziativa) di persone fisiche o giuridiche, degli SM o altri organi dell’UE ai fini dell’emanazione di un provvedimento; per i casi di partecipazione di più istituzioni alla formazione dell’atto, quest’ultimo non si considera validamente emanato se non vi sia stata prescritta consultazione o iniziativa dell’altro organo, ovvero quando il parere o la proposta prescritta siano stati disattesi. A tal fine, si richiede che gli atti facciano riferimento alle proposte, iniziative, raccomandazioni, richieste o pareri previsti dai Trattati. Altri casi riguardano, infine, l’irregolare costituzione dell’organo consultato. b) Requisiti formali degli atti stessi. Composizione dell’organo, modalità di votazione, quorum necessari, rispetto delle norme relative al suo funzionamento, scelta della base giuridica dell’atto, la sua pubblicazione\notificazione, il regime linguistico. Soprattutto però ci si riferisce all’obbligo di motivazione, imprescindibile per gli atti dell’Unione. Tale obbligo non riguarda soltanto la forma, in quanto da la possibilità alle parti di tutelare i loro diritti, alla Corte di esercitare il controllo giurisdizionale e agli SM di sapere come l’istituzione abbia applicato il trattato. Violazione dei Trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione. I vizi riguardano non l’esteriorità degli atti ma la sostanza, il contenuto materiale, in generale tutto ciò che riguarda la legittimità di un atto, anche difetti che non riconducono direttamente alla violazione di norme giuridiche. Accertare l'esistenza di una violazione del trattato significa anche superare la mera verifica formale della conformità dell'atto alla regola di diritto ed esaminare i presupposti di fatto: questo è importante se si considera che ci sono atti che hanno una natura più squisitamente politica. Ai Fini della valutazione della legalità non vengono in rilievo soltanto i trattati istitutivi, ma altre norme giuridiche come gli atti delle istituzioni, gli accordi stipulati dall'Unione, i principi di diritto, la Carta dei diritti fondamentali. Sviamento di potere. È l’adozione, da parte di un’istituzione comunitaria, di un atto allo scopo di Raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie. L’atto è conforme al dettato normativo, alla competenza dell'organo, alla forma e alla procedura ma contrasta con i fini perseguiti dalla norma sulla base della quale è stato emanato, dato che l'organo agente ne ha fatto un'applicazione diversa da quella voluta dalla norma medesima. Ci si concentra sui motivi che hanno guidato l'organo nell'esercizio dei suoi poteri (sempre che abbia agito in modo intenzionale). 7. La legittimazione attiva: - Delle istituzioni. In virtù dell’equilibrio tra istituzioni, il ricorso di queste ultime è uno dei mezzi più incisivi per assicurare il rispetto delle rispettive competenze. Inizialmente riservato a Consiglio e Commissione, poi esteso al PE, alla Corte dei conti, BCE, Comitato delle regioni, Sia pure limitatamente alla difesa delle loro prerogative. - Degli SM. Sono “ricorrenti privilegiati”, la loro legittimazione attiva è piena e non sono tenuti ad allegare la lesione di un interesse materiale (personale) per chiedere l'annullamento dell'atto impugnato, finché contribuiscono la tutela della legalità nell'ordinamento. La legittimazione è riservata allo Stato nella sua unità e non spetta ai singoli organi o enti locali, che potranno tuttavia ricorrere alla stregua di una persona giuridica con i ricorsi riservati ai privati. 8. Segue: - Il ricorso in carenza è subordinato a una procedura precontenziosa: la previa messa in mora dell’istituzione contro la cui inazione si intende ricorrere, per evitare un ricorso giurisdizionale e per permettere che sia fissato il momento di decorrenza dei termini di ricorso. Può essere presentata solo dai soggetti cui è possibile successivamente adire la Corte, e deve indicare il provvedimento la cui emanazione si invoca. - Dalla messa in mora decorre un termine di due mesi, entro il quale l’istituzione può adottare il provvedimento richiesto e impedire il ricorso giurisdizionale. - Decorsi due mesi la Corte può essere adita con un ricorso per carenza, anche se successivamente l’istituzione dovesse prendere posizione. La sentenza della Corte che accoglie il ricorso ha natura di sentenza dichiarativa dell’illegittimità del comportamento omissivo: l’istituzione deve dunque prendere i provvedimenti necessari ad assicurare la piena osservanza della sentenza. III. L’azione di danni. 15. Caratteristiche e specificità di tale azione. Completa il quadro degli strumenti di tutela diretta. È noto che in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni: le azioni promosse ai fini di tale risarcimento rientrano nella competenza del Tribunale e della Corte. Tali azioni sono distinte da ciò che concerne l’annullamento dell’atto: si tratta di un rimedio, afferma la Corte, dotato di una “propria funzione”. Nella prassi le due azioni vengono quasi sempre promosse congiuntamente, ma proprio in ragione della reciproca autonomia, l’irricevibilità del ricorso di annullamento non comporta l’automatica irricevibilità dell’azione di danni. Per quanto riguarda gli eventuali analoghi mezzi offerti dagli ordinamenti nazionali, il problema del loro rapporto con questa azione si pone quando il danno lamentato derivi dagli atti nazionali di esecuzione di un provvedimento dell’Unione. L’interessato può promuovere azione di risarcimento davanti ai giudici nazionali, che dovranno (o potranno) sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sulla validità di quella misura. In questa ipotesi, l’azione è subordinata all’esaurimento di rimedi giurisdizionali interni. Legittimate a proporre il ricorso sono le persone fisiche o giuridiche, nonché gli SM, senza distinzione tra ricorrenti privilegiati e non: è da escludere possano farlo le stesse istituzioni UE. Quanto alla legittimazione passiva: spetta a tutte le istituzioni cui possa essere imputato il comportamento illecito che ha provocato il danno, sarà ciascuna di essere a rispondere (e a stare) in giudizio. 16. Le condizioni per la sua promozione. Venendo alle condizioni cui è subordinata alla responsabilità extracontrattuale UE, il Trattato richiama “i principi generali comuni ai diritti degli SM”, ma nella prassi sia responsabilità ove si accerti illiceità del comportamento contestato alle istituzioni: non necessariamente violazione di norme giuridiche esistenza di un danno: qualsiasi comportamento illecito, anche di carattere omissivo. Il comportamento deve riguardare un settore in cui l'Unione ha potere discrezionale, e la responsabilità sorge solo se l'organo agente ha disconosciuto i limiti all'esercizio dei suoi poteri nesso di causalità tra il danno e il comportamento contestato: il danno deve essere attuale e “speciale”, Deve aver leso una categoria di soggetti ben individuata. Nesso di causalità “diretto” tra comportamento illegittimo delle istituzioni e danno subito dal singolo implica che la responsabilità ricorre solo se il comportamento è espressione di un intervento diretto delle istituzioni e se non vi sia stato un atteggiamento negligente del soggetto interessato. L’azione di danni Si prescrive in 5 anni alla prescrizione si interrompe con l'azione giudiziaria. CAPITOLO V. La competenza pregiudiziale. 1. Premessa. In sintesi: la Corte ha una competenza giurisdizionale a carattere non contenzioso, potendo pronunciarsi in via pregiudiziale su questioni di interpretazione di disposizioni del diritto UE, o di interpretazione e validità di atti delle istituzioni, a seguito di rinvii che le giurisdizioni degli SM sono obbligate (se di ultima istanza) o abilitate (negli altri casi) ad operare, ove la soluzione di simili questioni sia necessaria per risolvere la controversia innanzi ad esse pendente. Non è attivata su ricorso delle parti della controversia ma a seguito di rinvio del giudice nazionale, con riferimento alle sole questioni sottoposte da quel giudice; non risolve la controversia in atto, ma fornisce gli elementi per dare una soluzione al processo principale. La controversia si incardina e si conclude innanzi ai giudici nazionali, e la Corte svolge un ruolo di supporto di questi. Attenzione, non è una funzione “consultiva”: è une vera e propria competenza, una funzione giurisdizionale. Il rapporto tra giudice interno ed europeo si qualifica in termini non già di “sovra o sotto-ordinazione”, ma di collaborazione in un sistema normativo che si presenta molto complesso. L’uso della procedura pregiudiziale conferma che i giudici nazionali hanno compreso che non vi è stato ridimensionamento del loro ruolo, nonostante le difficoltà (interne per il giudice del rinvio, erronea comprensione del ruolo della Corte, divergenze di valutazione). 2. Le finalità della competenza pregiudiziale. La finalità è stata, dal principio, quella di assicurare l'uniformità dell'interpretazione del diritto, evitando una sorta di nazionalizzazione delle regole comuni e della loro interpretazione da parte delle singole giurisdizioni: il corpus normativo deve infatti resistere alle particolarità dei sistemi nazionali e la Corte deve assicurare l'unità e la coerenza del diritto anche rispetto agli ordinamenti nazionali, anche con l'uso della giurisprudenza che crea di volta in volta. Con il tempo la competenza pregiudiziale è stata utilizzata per finalità più estese: la Corte non si è limitata all’interpretazione delle specifiche nozioni in causa, ma ha potuto elaborare una giurisprudenza fondamentale per la definizione delle caratteristiche dell'ordinamento europeo (primato del diritto, efficacia diretta, responsabilità per violazione norme UE..). Soprattutto, la Corte ha potuto interessarsi dei rapporti fra il diritto di quest’ultima e il diritto nazionale, e soprattutto tra i rispettivi apparati giudiziari, coinvolgendo i giudici nazionali nell'applicazione del diritto dell’Unione. Questo è importante se si considera che, nell’evoluzione del sistema, l’applicazione e il controllo delle norme si realizzano soprattutto negli SM, e quindi bisogna fare leva sul loro apparato giuridico. I giudici nazionali agiscono quindi come una sorta di organi decentrati della giurisdizione europea. La competenza pregiudiziale è poi diventata fondamentale per la tutela dei diritti garantiti dalle norme UE e per la tutela giudiziaria dei privati (sia nei confronti delle istituzioni UE che del proprio Stato); il rinvio consente di rimettere in discussione la validità di atti anche nei casi in cui ai privati sia precluso impugnarli. L’uso “alternativo” della competenza consiste nel sottoporre alla CG di questioni che vertono formalmente sulla portata di una disposizione del diritto UE, ma che in realtà consentono di mettere in causa una norma o una prassi interna di uno SM, in quanto ritenute non conformi a quel dritto. La Corte può fornire al giudice nazionale gli elementi di interpretazione del diritto che gli consentono di rilevare eventuali profili di incompatibilità delle proprie disposizioni: se sulla base di tale interpretazione la misura statale risulta illegittima, potrà disapplicarla. 3. Le condizioni per il suo esercizio. La competenza pregiudiziale è una competenza esclusiva della Corte, anche se il Trattato prevede possa essere devoluta al Tribunale in materie specifiche. I giudici nazionali possono porre alla Corte questioni di interpretazione del diritto dell’Unione e d’interpretazione e validità del diritto derivato solo quando il diritto dell’Unione è in applicazione (ciò non avviene ad es. nel caso di questioni che riguardano la PESC). Le questioni di interpretazione possono vertere su qualsiasi disposizione del diritto UE, norme dei Trattati o degli atti di “tutti i suoi organi e organismi”, accordi stipulati dall’UE, principi generali del diritto. La Corte non può interpretare le norme nazionali per pronunciarsi direttamente sulla loro compatibilità con il diritto dell’Unione. Il controllo di validità si esercita sugli atti delle istituzioni e degli organi dell’Unione, e si sviluppa sul modello dei controllo di legittimità tipico dei ricorsi di annullamento. Questa ipotesi, nella prassi, è stata utilizzata come strumento a disposizione dei privati, e ha arginato il limite costituito dal fatto che questi non possono ricorrere al rinvio pregiudiziale. Legittimati a operare il rinvio pregiudiziale sono gli “organi giurisdizionali” degli SM: deve esservi l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, l’indipendenza e imparzialità. Se non è un giudice di ultima istanza ha solo la facoltà di operare il rinvio pregiudiziale. Se decide di non farlo, può procedere autonomamente all’interpretazione del Trattato. La Corte ha riconosciuto al giudice che opera un rinvio il potere di sospendere, in attesa della pronuncia della Corte, l’efficacia di provvedimenti nazionali fondati su atti dell’Unione alla cui validità nutra dei dubbi; di converso, ha anche il potere di sospendere l’efficacia di leggi della cui legittimità comunitaria abbia investito la Corte in via pregiudiziale. Il Trattato ha previsto che “per gli organi giurisdizionali avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso di diritto interno” il rinvio pregiudiziale è obbligatorio – tranne se la questione sollevata sia identica ad altra questione già sottoposta alla Corte, o esista già una giurisprudenza consolidata di quest’ultima. Al di fuori di questi casi, l’inosservanza dell’obbligo costituisce violazione del Trattato e può giustificare un ricorso per inadempimento da parte della Commissione. La decisione di sospendere il giudizio nazionale e sottoporre Alla Corte della questione pregiudiziale è competenza esclusiva del giudice nazionale, in quanto solo questi ultimi hanno conoscenza diretta dei fatti e si trovano nella situazione più idonea a valutare la necessità del rinvio e la pertinenza con l'oggetto della controversia alle questioni che si chiede di sottoporre alla Corte. Nell’esaminare la ricevibilità del rinvio, la Corte non può sindacare le valutazioni fatte dal giudice, è sempre tenuta a dar seguito alla sua ordinanza; restano comunque ampi margini di apprezzamento sulla verifica della propria competenza sulla ricevibilità dell'ordinanza di rinvio, deve accertare se l'ordinanza proviene dalla giurisdizione di uno SM e deve valutare aspetti che attengono direttamente al contenuto dell’ordinanza. accerta se il giudice del rinvio abbia fornito gli elementi di fatto e di diritto necessari per consentire alle altri parti autorizzate a intervenire nella procedura pregiudiziale verifica la rilevanza dei quesiti posti dal giudice ai fini della decisione del giudizio a quo; questo soprattutto quando le questioni siano manifestatamente irrilevanti o di natura puramente ipotetica 4. Gli aspetti procedurali. La procedura relativa al giudizio principale è regolata dal diritto nazionale, la Corte non può esercitare un controllo sulla competenza del giudice a quo: tuttavia, ha richiesto che esso vi proceda quando gli elementi di fatto e di diritto abbiano acquisito adeguata consistenza e chiarezza. Il rinvio, insieme con la contestuale sospensione del procedimento e l’adozione di misure provvisorie, è disposto con ordinanza motivata, notificata alla Corte dal giudice interno. Al procedimento che si apre dopo il rinvio sono autorizzate a partecipare le parti del giudizio a quo (inclusa quella intervenute nel giudizio), gli , la Commissione, PE, Consiglio, BCE, tutte parti che possono presentare osservazioni scritte entro due mesi notifica. Esiste poi una procedure giudiziarie di urgenza per rinvii nel settore del c.d. “Spazio di sicurezza, libertà e giustizia”, o nei casi in cui una persona sia in stato di detenzione. La Corte decide con sentenza od ordinanza motivata; la decisione è notificata al giudice a quo e alle parti cui è stata notificata l'ordinanza di rinvio. Gli effetti delle sentenze sono obbligatorie per il giudice, per il resto distinguiamo due casi - La corte si pronuncia sull’interpretazione di norme dell’Unione. La decisione produce effetti obbligatori per il giudice del rinvio, ma non vincola solo lui in quanto produce effetti erga omnes. Nel caso in cui la decisione statuisca l’incompatibilità di una legislazione nazionale con il diritto dell'Unione, lo SM interessato ha gli stessi obblighi di quelli risultanti a seguito delle apposite procedure d’infrazione; dunque, deve prendere le misure necessarie a conformare il proprio ordinamento alla decisione ed eventualmente a risarcire i danni - La corte si pronuncia sulla validità di un atto dell’Unione. La situazione cambia a seconda Che abbia o meno concluso nel senso della validità dell'atto: nel primo caso l'efficacia della sentenza è limitata alla controversia dedotta nel giudizio a quo, nel secondo caso la sentenza non comporti (come nei giudizi di annullamento) che l’atto sia “nullo e non avvenuto”, di fatto produce gli stessi effetti. Le autorità nazionali sono obbligate a non applicare l’atto dichiarato invalido, e le istituzioni dell’Unione sono tenute (come nell’annullamento) ad Adottare tutti i provvedimenti che la statuizione contenuta nella sentenza comporta. Le sentenze hanno effetto retroattivo, da limitare solo in via eccezionale (es. possibili ripercussioni economiche). 5. Le limitazioni della competenza pregiudiziale. Il meccanismo del rinvio pregiudiziale riguarda le materie tradizionalmente rientranti nelle competenze UE, ma vi sono materie “di confine” e soggette a limitazioni (SLSG). La coop giudiziaria in materie penale e quella di polizia – la validità delle operazioni condotte dalla polizia, le responsabilità degli SM per il mantenimento dell’ordine pubblico - continuano a restare escluse dal sindacato della Corte. Sono poi esclusi gli atti adottati dall’UE in sede di PESC. CAPITOLO VI. Le competenze “minori”. 1. La competenza sulle controversie relative alla funzione pubblica europea. Il Trattato afferma che la Corte può pronunciarsi sulle controversie tra l’Unione e i suoi agenti, alle condizioni fissate dall’apposito “Statuto dei funzionari”. La competenza corrisponde – strutturalmente – alla competenza per il controllo sulla legittimità degli atti (o delle omissioni) delle APIN, autorità investite dal potere di nomina (in sostanza, delle istituzioni), o alla responsabilità di queste per danni provocati ai loro dipendenti. Questa materia investe dunque quei soggetti legati all’Unione da un rapporto di lavoro. La legittimazione attiva si estende a tutti i dipendenti delle istituzioni UE, o ai soggetti che aspirano a tale status e hanno partecipato a un concorso; la legittimazione passiva riguarda le istituzioni UE (anche la Corte) e tutti gli organi ad essa riconducibili, anche ausiliari (BCE). La Corte giudica non solo dai ricorsi per l'annullamento di un atto delle AIPN o per l’illegittima carenza delle stesse, ma delle azioni per i danni da esse eventualmente procurati. Fino al 2016 il ricorsi erano di competenza del Tribunale della funzione pubblica, ora solo del Tribunale: il ricorso può essere introdotto solo se l'interessato abbia già presentato un reclamo alle autorità di nomina ed è sparito la conseguente procedura amministrativa. 2. Il potere di pronunciare le dimissioni di ufficio dei membri degli organi dell’Unione. La Corte può dimettere d'ufficio i membri della stessa Corte, della Commissione, Corte dei Conti, Comitato esecutivo della BCE, Mediatore europeo e Garante europeo per la protezione dei dati, ove siano venuti meno agli obblighi derivanti dal loro carica. L’ iniziativa può essere assunta dalle stesse istituzioni di appartenenza per quanto riguarda i membri della Corte e della Corte dei conti, dal Consiglio o dalla Commissione per i membri di quest'ultima, dal Parlamento per il mediatore e dal consiglio direttivo o dal comitato esecutivo per i membri della BCE. La decisione è presa dalla Corte in seduta plenaria. 3. La competenza in materia contrattuale. Ha oggetto le controversie in materia contrattuale che possono insorgere in relazione all'attività negoziale dell'Unione; la competenza ha origine da una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall'Unione o per conto di questa. I giudici nazionali sono così sottratti dalle controversie su questioni collegate all'attività “privatistica” dell’Unione. Non si tratta di una giurisdizione obbligatoria ma di una competenza facoltative della Corte, subordinata alla scelta delle parti, che comunque si rivolgono ad un giudice precostituito e dotato di proprie norme di competenza e procedura. Il giudizio davanti alla Corte si svolge secondo lo schema abituale, tranne per la particolarità dell'atto che lo attiva (la clausola compromissoria, di cui il ricorso alla Corte deve allegare copia) con le possibili contestazioni sulla validità sostanziale e formale si dovrà fare riferimento per individuare le condizioni e le modalità di azione di danni, in base al principio dell’autonomia procedurale di detti ordinamenti. 6. La qualificazione in Italia delle situazioni giuridiche soggettive fondate su norme dell’Unione. Nella giurisprudenza della Corte si parla di diritti o posizioni giuridiche individuali; non si menzionano gli interessi legittimi e questo ha portato disorientamento nella jus italiana. La Corte parla di “diritti che il giudice dell’Unione è tenuto a salvaguardare”: tuttavia, non dà al termine “diritti” una specifica valenza, non si limita di c.d. diritti soggettivi, ma rinvia alle qualificazioni attribuite a dette situazioni giuridiche dai singoli ordinamenti, e ai modi e alle forme di tutela che questi riservono alle medesime. Può variare tra ordinamenti, basta che sia adeguata ed effettiva. Anche nel caso di distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, vi sono state soluzioni idonee a conformare l’ordinamento italiano alle esigenze del diritto dell’Unione: la jus nazionale si è orientata nel senso della generalizzazione della tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Insomma, grazie all’impulso della jus della CG, la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si è imposta anche nell’ordinamento italiano malgrado la lunga tradizione di segno opposto. 7. Valutazioni conclusive. Le c.d. discriminazioni a rovescio. La Corte ha creato, intorno alle situazioni giuridiche tutelate dal diritto dell’Unione, una rete di protezione; gli stessi SM non godono più di quella impunità data dalla mancanza di strumenti di tutela. Non solo la Corte può sanzionare in modo diretto l’inadempimento di uno SM, ma dalla giurisprudenza che abbiamo descritto esce di molto rafforzata la posizione dei titolari delle situazioni giuridiche lese da tale inadempimento. Abbiamo visto che quei soggetti possono anche chiedere il risarcimento dei danni subiti. Talvolta si allude però al fatto che la tutela dei privati garantita a livello europeo determini all’interno degli SM situazioni di disparità in danno dei soggetti di tale Stato che, pur vantando le medesime pretese, non abbiano fatto uso delle libertà sancite dai Trattati e che non possono dunque fruire dei conseguenti diritti conferiti dalla normativa dell'Unione. L’applicazione di quest’ultima potrebbe tradursi in una discriminazione a vantaggio degli omologhi soggetti stranieri: è questa la situazione della “discriminazione a rovescio”. Secondo la Corte l’ordinamento dell’Unione non può occuparsi di simili ipotesi, perché le c.d. situazioni giuridiche interne (sorte ed esaurite all’interno di uno stesso SM) vanno valutate dal giudice nazionale alla luce degli strumenti offerti dal proprio ordinamento. PARTE TERZA. Obiettivi e competenze dell’Unione. Capitolo I. Valori e obiettivi dell’Unione. 1. Premessa. L’ampliamento delle attribuzioni dell’Unione richiedeva che questa si desse un’ “anima”, che si ispirasse ai principi dei moderni ordinamenti democratici. 2. Principi e valori. Sono enunciati in modo esplicito nei “Considerando” del preambolo TUE e nei suoi primi articoli, l’art. 2 afferma che l’Unione si fonda sui valori del rispetto della “dignità umana, libertà, democrazia uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani”, valori assunti in quanto comuni agli SM. La disposizione trova difatti il precedente nel vecchio Trattato costituzionale, che fondava una disposizione su detti valori. Ad oggi, la differenza tra principi e valori può dirsi superata a favore dell’esclusivo riferimento ai valori, al fine di esaltarne la valenza politica, prima che giuridica. Essi non sono distinti né gerarchicamente ordinati; si completano soprattutto in quanto valori comuni agli SM, visto il loro patrimonio costituzionale comune che definisce l’essenza dell’identità europea. L’art.2 TUE non è l’unica disposizione per i valori fondanti. Altri esempi trasparenza e prossimità art.1, pace e benessere dei popoli art.3, leale collaborazione, Stato di diritto; principio di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità, tutela dei diritti fondamentali, diritti legati alla cittadinanza. Questi valori non costituiscono mere enunciazioni politiche in quanto il loro mancato rispetto produce conseguenze giuridiche per le istituzioni e gli SM (sanzioni, perdita del diritto di voto in seno al Consiglio). Sono poi condizione per l’eventuale adesione di uno SM, e la violazione di tali valori può Riflettersi negativamente sulle relazioni di uno stato terzo con l’Unione (per accordi che prevedono cooperazione economica, assistenza o aiuti allo Stato in questione). A eccezione per la tutela dei diritti fondamentali, tuttavia, la Violazione non emerge mai in modo diretto ma si esprime in più specifici vizi di legittimità. 3. Gli obiettivi. I Trattati provvedono a elencarli, in conformità al ricordato principio delle competenze di attribuzione. È l’art. 3 TUE che enuncia gli obiettivi, senza gerarchia, includendo: a) Promozione della pace, dei valori UE e del benessere dei suoi popoli b) Creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne in cui siano assicurate misura appropriata in relazione i controlli alle frontiere, asilo e immigrazione, nonché lotta alla criminalità c) Instaurazione di un mercato interno basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’ economia sociale che mira alla piena occupazione, oltre che al progresso scientifico e tecnologico. L’Unione deve poi combattere l'esclusione sociali e le discriminazioni, promuovere la parità di genere, la coesione economica, la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica, la tutela dei consumatori, la garanzia della trasparenza della protezione dei dati personali d) Istituzione di un’unione economica monetaria che abbia come moneta unica l’euro e) Nelle RI, affermazione e promozione dei propri valori e interessi, per preservare pace e sicurezza internazionale, lo sviluppo del DI, a cominciare dalla carta delle NU. L’ enunciazione degli obiettivi assume rilievo per quanto attiene alla verifica della competenza delle istituzioni europee, in quanto questi possono agire solo ai fini del perseguimento degli obiettivi, così come è a questi fini che si può fare ricorso alla clausola di flessibilità dell'articolo 352 TFUE. Infine, la specifica indicazione egli obiettivi non può far nascere in capo ai singoli un diritto alla loro realizzazione direttamente invocabile dinanzi a un giudice nazionale. CAPITOLO II. La cittadinanza dell’Unione. 1. Natura e significato della cittadinanza dell’Unione. Nella storia dell’Unione questo obiettivo non è stato solo un obiettivo di politica legislativa ma uno strumento di affermazione dell’UE come spazio unitario e identitario. Un punto di svolta è stato segnato dalla formale previsione, dovuta originariamente al Trattato di Maastricht, dell’esigenza di una cittadinanza dell'unione, oggi contenuta nell’art. 9 TUE e art.20 TFUE. La Corte ha osservato che questo status consente a chi tra i cittadini degli SM si trovi nella medesima posizione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza, il medesimo trattamento giuridico. L’attribuzione della cittadinanza europea ha voluto certificare l’esistenza di un legame politico tra i cittadini degli SM e il loro riconoscimento di un ruolo di protagonisti attivi della costruzione europea. Con Lisbona, ciò è diventato chiaro già col TUE, nella “Disposizione relative ai principi democratici”, in cui viene enunciato che “ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”. La cittadinanza si aggiunge a quella nazionale, e fa sentire i suoi effetti più sulla posizione del cittadino all’interno degli SM che nei confronti dell’Unione stessa; quindi, difficilmente si riflette in un vincolo giuridico-politico diretto tra cittadino e apparato dell’Unione. Ne dà dimostrazione la difficoltà di prospettare un nucleo – anche minimo – di doveri del cittadino dell’Unione, che costituisce un elemento essenziale del vincolo di cittadinanza. Difatti, il TFUE afferma che “i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati”, ma difatti i Trattati non ne prevedono. Sul piano politico, la qualifica di cittadino non può che imperniarsi più sui diritti che sui doveri, mentre sul piano giuridico manca un rapporto di supremazia dell’UE nei confronti dell’individuo in quelle materie rispetto alle quali il principio di solidarietà politica, di cui i “doveri costituzionali” sono espressione, può operare. 2. Acquisto e perdita della cittadinanza dell’Unione. I Trattati non fissano criteri autonomi di attribuzione della cittadinanza dell’Unione, ma rinviano alle norme sulla cittadinanza dei singoli stati – il rinvio alle legislazioni statali è di tipo assoluto. Questo concetto è stato ribadito anche dalla Corte, ed è definito nell’art. 9 TUE “chiunque abbia la cittadinanza di uno SM” è cittadino dell’Unione. La dichiarazione sottoscritta a Maastricht dagli SM concerne che essi debbano precisare “quali sono le persone che devono essere considerate come cittadini ai fini perseguiti”, ossia, fornire un chiarimento alle istituzioni UE e agli altri SM su qual è la cerchia dei propri cittadini. Un’eccezione è il Regno Unito, la cui legislazione non conosce forme diverse di cittadinanza – disposizione peraltro ritenuta legittima dalla Corte. La competenza esclusiva degli Stati nella determinazione dei propri cittadini si impone innanzitutto all’Unione, ma soprattutto agli SM, che non possono contestare l’attribuzione della cittadinanza da parte di uno SM o trattare diversamente i cittadini di questo se, quando invocano il diritto dell’Unione, essi hanno la cittadinanza di quello Stato. Secondo la Corte, dunque, anche in caso di doppia cittadinanza di SM e paese terzo, uno Stato deve necessariamente riconoscere la prima. La Corte ha poi ritenuto che uno SM non possa limitare gli effetti sul suo territorio del possesso della cittadinanza di un altro SM. Ferma restando la competenza esclusiva degli SM in materia di acquisto e perdita della cittadinanza, il suo esercizio in relazione ai cittadini UE non è sottratto al controllo della Corte al fine di evitare restrizioni illegittime in merito ai gruppi di persone che potrebbero beneficiare della cittadinanza, insomma discriminazioni. La riserva di rispetto del diritto dell’UE implica che l’esercizio di tale competenza “qualora leda i diritti dell’ordinamento UE può essere sottoposto a un controllo giurisdizionale condotto alla luce del diritto dell’Unione”. Spetta alla Corte pronunciarsi sulle questioni che riguardano i presupposti in presenza dei quali un cittadino dell’Unione può vedersi privato di tale qualità di cittadino dell’Unione. La Corte ha poi osservato che, pur quando la perdita della cittadinanza di uno Stato fosse dovuta a motivi legittimi, sarebbe contrario al diritto UE la mancanza di un riesame delle condizioni che potrebbero portare al riacquisto ex tunc della cittadinanza stessa. 3. Lo status di cittadino dell’Unione. La cittadinanza dell’Unione è, secondo la CG, lo status fondamentale dei cittadini degli SM. Non si tratta di un’affermazione di mero valore politico, in quanto la Corte ha fondato il riconoscimento in capo agli individui di situazioni giuridiche di vantaggio ulteriori rispetto a quelle che scaturiscono dalla “semplice” cittadinanza di uno SM. Va infatti escluso che un cittadino di uno SM che soggiorni in un altro SM si veda negati da questo i diritti connessi alla cittadinanza UE. Il valore giuridico dello status di cittadino implica che questo possa essere invocato anche nei confronti dello SM di cittadinanza, purché la situazione rispetto alla quale si voglia far valere quello status sia riconducibile a diritto dell’Unione, e come sappiamo non rientrano nella competenza di quest’ultima le c.d. “situazioni puramente interne”, che riguardano materie non disciplinate dal diritto UE. Nella maggior parte dei casi la Corte si è pronunciata a favore della possibilità che un cittadino dell’Unione facesse valere il possesso di questo status nei rapporti con lo Stato di appartenenza. Ad esempio, nella sua giurisprudenza, la Corte ha ritenuto che il diritto alla libera circolazione possa essere assimilato a un diritto del cittadino in quanto cittadino UE, e non ha solo valenza interna: il cittadino verrebbe infatti privato del godimento dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione. 4. I contenuto dello status di cittadino dell’Unione e il principio di non discriminazione. Dall’art. 20 TFUE a) Entrare e risiedere in ogni SM b) Esercitandovi l’elettorato attivo e passivo nelle comunali e nelle europee c) Protezione diplomatica e consolare al di fuori del territorio UE d) Diritto di petizione al PE, rivolgersi alle istituzioni, al Mediatore europeo Si aggiunge il diritto alla buona amministrazione e diritto di accedere ai documenti. Questi diritti definiscono solo in modo parziale il contenuto dello status di cittadino: il diritto di petizione è ad esempio rivolto a ogni persona fisica o giuridica che risiede in uno SM. Altri elementi si rintracciano anche al di fuori dell’articolo 20. A parte il potere d’iniziativa legislativa dei cittadini dell’Unione, il diritto di elettorato attivo e passivo alle europee Diritto di votare ed essere eletto al PE Principio di non discriminazione per ragioni di nazionalità, una componente essenziale della cittadinanza europea, in quanto lo status è finalizzato a consentire a chi tra i cittadini si trovi nella stessa situazione, il medesimo trattamento giuridico. Il divieto è difatti sancito nell’art. 18 TFUE e si estende a tutte quelle normative nazionali che, pur rientrando in una competenza degli Stati, sono suscettibili di incidere negativamente sull’effettivo godimento dei diritti di cittadinanza, in particolare su quelli di libera circolazione e di soggiorno. Il divieto riguarda non solo le disposizioni di uno Stato che fanno riferimento al possesso della cittadinanza nazionale come criterio di applicazione ma anche quelle che producono ugualmente, nei fatti, una discriminazione nei confronti dei cittadini dell’Unione (ad esempio una discriminazione indiretta, che magari incide sui cittadini di altri SM, es. una disposizione che preveda un trattamento differenziato in ragione del domicilio o della residenza). Il divieto è suscettibile di creare diritti in capo al cittadino dell’Unione direttamente tutelabili dinanzi ai giudici nazionali. 5. Segue: I diritti che caratterizzano in modo specifico lo status di cittadino dell’Unione. a) L’elenco dei diritti dei cittadini enunciati all’art. 20 TFUE comincia dal riconoscimento di un diritto di circolazione e di soggiorno nel territorio degli SM. I diritti collegati alla libertà di circolazione e soggiorno (compresi i diritti derivati di cui godono i familiari) sono volti a favorire l’integrazione del cittadino interessato nella società dello SM ospitante. La libera circolazione fa parte del processo di integrazione già dai Trattati istitutivi dell’allora CEE (insieme con le merci, i servizi e i capitali), come diritto dei lavoratori subordinati a recarsi liberamente in qualsiasi SM per rispondere ad offerte di lavoro e prendervi dimora per svolgervi la propria attività lavorativa o dei lavoratori autonomi di esercitare liberamente la loro attività in uno SM. Oggi però la previsione della libertà di circolazione e soggiorno nel quadro della cittadinanza cambia la portata giuridica del diritto dell’Unione: essa non è riconosciuta solo ai lavoratori ma ad ogni cittadino, fatte salve le limitazioni previste dai Trattati. Una direttiva risalente al 2004 stabilisce che il diritto di soggiorno è riconosciuto anche ai coniugi e ai discendenti dei cittadini dell’Unione. Include il 1) diritto di soggiornare in uno SM fino a tre mesi senza condizione 2) soggiorni di più lunga durata per attività lavorativa, se studenti (se si hanno risorse ecco non mi che sufficienti ad evitare di divenire un onere per lo SM 3) dopo 5 anni il diritto di soggiorno diventa permanente b) L’elettorato attivo e passivo è stato introdotto nel TFUE contestualmente all'istituzione della cittadinanza europea. L’elettorato si esercita alle elezioni comunali, al fine di ottenere maggiore integrazione dell'individuo nella collettività di residenza a complemento della libertà di circolazione, e alle europee per incentivarne la partecipazione democratica. c) Ciascun cittadino gode, nel territorio di un paese terzo, della tutela da parte delle autorità diplomatiche consolari di qualsiasi SM, alle condizioni dei cittadini di detto Stato. Già con la Convenzione di Vienna nel 61 era previsto che uno Stato accreditante potesse assumere la protezione temporanea degli interessi dello Stato terzo e dei suoi cittadini col consenso dello Stato accreditatario; in questo caso questo meccanismo di rappresentanza assume carattere di permanenza e automaticità, diventando un vero e proprio diritto di quei cittadini nei confronti degli SM. d) L’elenco dei diritti del cittadino è completato da alcuni diritti che presentano la comune caratteristica di operare nei confronti della stessa Unione e non degli Stati membri e di essere non esclusivi del cittadino dell’Unione, ma condivisi con un qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno SM: petizione al ME, denuncia al Mediatore, diritto di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione. e) le norme sulla cittadinanza sono completate da una clausola evolutiva diretta a consentire un’ integrazione dei diritti elencati per mezzo di una procedura semplificata di revisione dei trattati. Il Consiglio, deliberando all'unanimità e previa approvazione del Parlamento può adottare disposizioni intese a completare quei diritti, che entreranno in vigore una volta approvate dagli SM secondo le rispettive norme costituzionali - tutte le restanti competenze sono concorrenti, art. 4 “l’Unione ha competenza concorrente con quella degli SM quando i trattati le attribuiscono una competenza che non rientra nei settori dell’art. 3 e 6 TFUE”. Infine, per quanto riguarda la PESC, le disposizioni contenute nel TUE lasciano “impregiudicate (…) le competenze degli SM per la formulazione della loro PE”, quindi si parla più che altro di competenze parallele. 5. I principi di sussidiarietà e di proporzionalità. L’espansione data al quadro delle competenze dell’Unione ha avuto come contrappeso questi due principi. Sussidiarietà. Già assunto con Maastricht, prima di Lisbona, “la Comunità interviene solo nella misura in cui gli obiettivi non possono essere sufficientemente realizzati dagli SM e possono essere realizzati meglio a livello comunitario”. L’articolo limita l’applicazione ai settori che non rilevano della competenza esclusiva dell’Unione, e l’applicazione non rimette in questione la titolarità delle competenze conferite alle istituzioni dai Trattati: l’eventuale decisione di non adottare un atto dell'unione in ragione del principio di sussidiarietà non fa venir meno o preclude il successivo esercizio della sua competenza. La sussidiarietà è un concetto dinamico. Quando gli atti UE vengono adottati, il nuovo Protocollo sull’ applicazione di tali principi richiede che prima della formulazione di una proposta di atto dell'Unione vi debba essere una valutazione alla luce del principio di sussidiarietà: in particolare, ogni progetto di atto deve essere motivato sotto questo profilo. Una novità del Protocollo risiede nel fatto che il suo ambito di applicazione è limitato ai progetti di atti legislativi. Tanto i progetti di atti legislativi dell'unione che le deliberazioni preparatorie dovranno essere trasmessi ai parlamenti nazionali e ciascuno di essi potrà eccepire la contrarietà del progetto al principio di sussidiarietà con parere motivato. In tal caso, l’autore del progetto legislativo (Commissione) dovrà riesaminarlo quando i pareri motivati corrispondono a 1/3 dei voti esprimibili: nel caso di procedura legislativa ordinaria e la Commissione decide di mantenere la proposta, il Consiglio o il PE possono bloccarla definitivamente. La tutela del principio di solidarietà si esplica nel fatto che gli atti UE possono essere impugnati dinanzi alla Corte per mancato rispetto di tale principio. La Corte è infatti competente per ricorsi di annullamento di atti UE per violazione del principio di sussidiarietà, introdotti sia da uno SM che dal Comitato delle regioni. Tuttavia, accertare se le azioni di un'istituzione rispondano o meno a tale principio pertiene a valutazioni di ordine più politico che giuridico: è dunque difficile una valutazione della Corte che sia diversa da quella su cui hanno convenuto gli organi politici. Proporzionalità. Art. 5 TUE: in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Il principio condiziona la scelta del tipo di atto (atto vincolante o no, regolamento o direttiva) attraverso il quale una certa competenza può essere esercitata; pone poi l’esigenza, sul piano del contenuto, che “gli strumenti predisposti dalla norma dell’Unione siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per raggiungerlo”. Esso opera sia sulle competenze concorrenti che su quelle esclusive, ma conferisce ampio potere discrezionale al legislatore che opera le sue scelte sulla base di valutazioni perlopiù politiche, economiche e sociali. Per la Corte è quindi difficile sostituirsi alla competenza del legislatore, salvo abbia veramente passato i limiti. Tuttavia, la Corte ha cercato di trovare un equilibrio nel bilanciamento di tali principi: bisogna tener conto di tutti gli SM, e un equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di uno solo SM, ma quella di tutti, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità. CAPITOLO IV. Le politiche dell’Unione. 1. Premessa. Ciascuna delle politiche è oggetto della Parte Terza TUE (politiche e azioni interne dell’Unione). Tracciamo una breve panoramica 2. Il mercato interno e le libertà fondamentali: in generale Il mercato interno ha rappresentato storicamente il primo obiettivo comune della CEE. Art. 26 TFUE: “L’Unione adotta le misure destinate all'instaurazione al funzionamento del mercato interno, conformemente alle disposizioni pertinenti dei Trattati”. Tale mercato comporta “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, persone, servizi e capitali secondo le disposizioni dei Trattati”. La nozione storica di mercato interno comprende le quattro libertà classiche di cui si è detto: queste libertà costituiscono libertà fondamentali dell'Unione, alcune di esse hanno il rango di diritto fondamentale e sono inserite nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La disciplina in materia si traduce nell'imposizione agli SM dell’obbligo di rimuovere qualsiasi forma di ostacolo o discriminazione che possa pregiudicare la piena realizzazione della rispettiva libertà e l'apertura delle frontiere nazionali, in virtù del principio di mutuo riconoscimento e fiducia tra Stati, le cui legislazioni devono armonizzarsi. Gli obblighi sono destinati a favorire i soggetti direttamente interessati da quelle libertà, dunque questi possono farle valere innanzi all'autorità amministrative e giudiziarie nazionali. Vi sono sicuramente alcuni limiti: non solo le deroghe previste dagli stessi Trattati, ma il fatto che tali libertà si riferiscano principalmente alle sole situazioni “transnazionali”. 3. La libera circolazione delle merci. È il primo strumento per la realizzazione del mercato unico, l'obiettivo principale era superare l'imposizione dei dazi doganali sulle merci importate. Art. 28 TFUE: l’Unione comprende un’Unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto dei dazi doganali all'importazione o l'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente. a) la libera circolazione delle merci comprende due aspetti, interno ed esterno. Il primo è il divieto dei dazi doganali a imp ed exp, che si applica sui prodotti provenienti da altri SM. Per l’aspetto esterno il Trattato prevede l’adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti con i paesi terzi, al fine di realizzare la parificazione degli oneri doganali gravanti sulle merci importate nell’Unione dai paesi terzi. Gli SM non possono più istituire e mantenere in vigore dazi o tasse di effetto equivalente b) divieto delle restrizioni quantitative all’exp o imp e di qualsiasi misura di effetto ad esse equivalente, ossia, di ogni normativa commerciale degli SM che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o potenza, gli scambi intracomunitari. c) Art. 37: obbligo per gli SM di riordinare i propri monopoli commerciali per escludere qualsiasi discriminazione tra i cittadini degli SM per l’approvvigionamento e lo sbocco dei prodotti 4. Segue: il regime speciale per agricoltura e pesca. Seppur nel quadro generale del mercato interno, il Trattato predispone una disciplina specifica in considerazione delle esigenze del settore. a) La PAC ha la finalità di assicurare l’autosufficienza alimentare e il miglioramento delle condizioni della popolazione contadina, tramite la creazione di organizzazioni comune di mercato, sostituite nella prassi da un’organizzazione unica a livello europeo, in un insieme di norme e meccanismi volti a garantire la regolazione del mercato di un prodotto o gruppi di prodotti, con un sistema di prezzi garanti all’interno per prodotti UE e di barriere daziarie all’esterno. Inoltre, il TFUE autorizza la creazione di fondi agricoli, in particolare un primo Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia. b) Per la pesca, la formazione di una politica ad hoc si è realizzata solo con Lisbona, che ha dichiarato che la conservazione delle risorse biologiche marine è di competenza esclusiva dell’Unione, e si svolge nel rispetto del principio di non discriminazione di accesso alle acque. 5. La libertà di circolazione dei lavoratori, dei servizi e dei capitali. a) Libera circolazione delle persone. In origine, era rivolta solo agli SM economicamente attivi al fine di svolgere la loro attività lavorativa: ad oggi si tratta di una direttiva generalizzata, ma vi sono sicuramente apposite norme per queste ipotesi. I lavoratori subordinati godono della libertà di circolazione per esercitare la propria attività lavorativa negli altri SM, con efficacia diretta ed eventualmente con effetti orizzontali nei rapporti con i privati. Quindi, le clausole di contratti che prevedono discriminazioni ei confronti di altri cittadini sono nulle. Il cittadino ha il diritto di rispondere a offerte di lavoro, di spostarsi a tal fine in altri SM e di rimanervi dopo aver trovato un impiego; godere dei vantaggi sociali e fiscali generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali. Un regime specifico è previsto per i familiari: la Corte mira, infatti, a mantenere l’integrità del nucleo familiare. La libertà di circolazione dei lavoratori potrebbe essere limitata per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. b) La libertà vale anche per gli operatori indipendenti (professionisti e prestatori di servizi), anche persone giuridiche, che possono spostarsi da uno SM all’altro per esercitare la propria attività. - Il diritto di stabilimento si concreta nel diritto del cittadino di uno SM a recarsi in un altro SM e ivi inserirsi in modo stabile per accedere alle attività non salariate alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato ospite per i propri cittadini. - Un’altra libertà riguarda il divieto di ogni restrizione alla prestazione di servizi all’interno dell’Unione da parte di “cittadini inseriti in uno SM che non sia quello del destinatario della prestazione”. Entrambe le libertà riguardano il fatto che devono essere soppresse le restrizioni esistenti all’esercizio del diritto di stabilimento dei cittadini in un altro SM. Per entrambe le ipotesi, la liberalizzazione deve avvenire gradualmente: servono specifici interventi del legislatore per rimuovere quegli ostacolo che sono legati non tanto alla nazionalità ma all’attività in causa e alle condizioni alle quali può essere esercitata (titoli, qualifiche). Il legislatore ha dunque varato delle apposite direttive (c.d. direttive di armonizzazione) volte a rimuovere non solo le restrizioni esistenti, ma a semplificare l’accesso alle attività in questione. Ad ogni modo, le due libertà si differenziano: l’attività effettuata in regime di stabilimento è assoggettata alla legge dello Stato ospitante, mentre la libera prestazione di servizi è meno assorbente, perché si tratta di una prestazione occasionale e temporanea. Per quanto attiene ai servizi. Le situazioni che si presentano potrebbero essere diverse: 1) prestatore di servizi si sposta in un paese diverso per rendervi la propria prestazione (libero professionista con cliente in un altro SM) 2) è il destinatario del servizio che si sposta in un altro SM per usufruirne 3) è solo il servizio a spostarsi, pensiamo alle consulenza fornite per corrispondenza 4) sia prestatore che fruitore si spostano in un altro SM (es. turisti). Entrambe le libertà sono precluse a qualsiasi forma di discriminazione: il divieto riguarda qualsiasi misura nazionale che restringa o condizioni lo stabilimento e\o la prestazione dei servizi rispetto ai cittadini dell’Unione risiedenti in un altro SM. Le uniche limitazioni sono individuate per l’ordine pubblico\pubblica sicurezza\sanità pubblica, e per motivazioni indicate dalla Corte da indentificare con l’interesse generale. c) Libera circolazione di capitali. La prima svolta negli anni ’80, quando il Consiglio sancisce che “gli SM sopprimono le restrizioni ai movimenti di capitali effettuati tra le persone residenti negli SM”. La liberalizzazione implica divieto di restrizioni ai movimenti di capitali e pagamenti tra SM, o tra SM e paesi terzi; il divieto concerne qualsiasi provvedimento nazionale che sia tale da impedire il beneficiare delle condizioni più favorevoli offerte in qualsiasi Stato dell’Unione per collocare i propri capitali ovvero fare investimenti in tale Stato. L’obiettivo, insomma, è proprio quello di incoraggiare gli investimenti nei vari Stati. 6. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il titolo V della Parte Terza TFUE riguarda quelle materie inerenti alla realizzazione di uno spazio giudiziario unico, che il TUE include tra i più importanti obiettivi dell’Unione. L’evoluzione è frutto di progressi del processo di integrazione, in particolare della realizzazione delle libertà di circolazione di persone e capitali, che hanno fatto emergere queste esigenze con maggiore urgenza. Simili risultati erano già stati raggiunti con i c.d. accordi di Schengen, volti a concordare misure attinenti alla libera circolazione; solo con Lisbona però, si sono articolati questi tre filoni a) Spazio di libertà, che si articola su - : abolizione dei controlli sulle persone tra territori degli SM, sorveglianza sull’attraversamento delle frontiere esterne, controllo delle persone e fissazione delle condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare nell’Unione per un breve periodo - Asilo: l’ingresso e il soggiorno dei cittadini degli Stati terzi deve fare i conti con gli obblighi internazionali imposti a questi ultimi e all’Unione in materia d’asilo. L’Unione deve “offrire un status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e garantire il principio di non respingimento”, quindi non può espellere o respingere i rifugiati ai richiedenti asilo verso luoghi in cui la loro vita sarebbe in pericolo. Il TFUE abilita il legislatore ad adottare le misure necessarie ad istituire un sistema europeo comune d'asilo, che prevede uno status uniforme in materia di asilo, in materia di protezione sussidiaria per i cittadini che non hanno i requisiti per chiedere l'asilo ma necessitano di protezione internazionale, un sistema comune per la protezione temporanea degli sfollati - Immigrazione. Il Trattato impone lo sviluppo di una politica comune per assicurare la gestione dei flussi migratori e il contrasto all'immigrazione illegale; per gli immigrati in situazione regolare è stata definita una procedura per rilasciare un permesso unico di soggiorno e lavoro, mentre per l'immigrazione clandestino l’Unione si è dotata di procedure comuni per i rimpatri b) Spazio di giustizia. L’Unione tende a rafforzare tra gli Stati una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, e tale cooperazione può tradursi nell'adozione di misure che riavvicinino le disposizioni legislative degli SM. Ciò concerne anche il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali di quegli Stati, principio che a sua volta si fonda sulla fiducia reciproca tra gli ordinamenti degli Stati stessi. Per conseguire tale risultato, il TFUE attribuisce al legislatore UE la competenza ad adottare misure a volte a garantire il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, la notificazione transnazionale degli atti giudiziari, la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri i conflitti di leggi e giurisdizione, la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli SM. c) Spazio di sicurezza. Dopo un lungo percorso si è incorsi nella quasi totale “comunitarizzazione” della - cooperazione giuridica giudiziaria in materia penale: reciproco riconoscimento delle decisioni penali, ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri e prevenzione della criminalità. Vi sono poi due organismi, Eurojust e Procura Europea: il primo sostiene il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità che interessa due o più Stati membri e richiede un'azione integrata, la seconda è finalizzata a combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'unione - cooperazione di polizia: associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, dai servizi di polizia, ai servizi delle dogane e ad altri servizi incaricati dell'applicazione della legge specializzati nella prevenzione e nella persecuzione dei reati e delle indagini. L’Ufficio europeo di polizia (Europol) potenzia l’azione delle autorità di polizia in relazione alla lotta contro la criminalità che interessa due o più SM, come il terrorismo 7. La politica dei trasporti Il TFUE prevede che il legislatore dell'unione può stabilire - norme comuni applicabili trasporti internazionali in partenza dal territorio di uno Stato membro a destinazione di questo - misure atte a migliorare la sicurezza dei trasporti - progressione delle antiche misure protezionistiche sulla base della nazionalità - sicurezza del traffico e problemi di tutela ambientale 8. Concorrenza, fiscalità e ravvicinamento delle legislazioni. Novità introdotte da Lisbona a) concorrenza e aiuti di Stato. L’Unione preserva la struttura competitiva del mercato e assicura un'efficiente allocazione delle risorse; uno degli obiettivi principali e l'istituzione di un mercato interno imperniato sul corretto gioco della concorrenza, tanto che nel TFUE c’è una parte apposita denominata “Regole di concorrenza”. La disciplina si impernia da un lato sul divieto alle - Per supportare la politica sociale è stato istituito il Fondo sociale europeo, con l’obiettivo di promuovere le possibilità di occupazione e mobilità geografica e professionale, facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale. - Infine, il Titolo XII TFUE si occupa di istruzione, gioventù e sport, nonché di formazione professionale. Già con Maastricht e con Lisbona i primi due settori erano ricompresi sotto le competenze dell’Unione, che in tutti questi settori è parallela. 11. Le politiche settoriali. Accanto a quelle “storiche” vi sono competenze che coinvolgono l’Unione in tanti altri settori: cultura, sanità pubblica, protezione dei consumatori, sviluppo delle reti transeuropee, industria, coesione economica, sociale e territoriale, ricerca, sviluppo tecnologico e spazio, politica dell’ambiente, energia, turismo, protezione civile e cooperazione amministrativa. CAPITOLO V. L’azione esterna dell’Unione. 1. Evoluzione e inquadramento della materia. La personalità internazionale dell’Unione e la complessità dell’azione esterna. L’azione delle istituzioni non poteva riguardare solo i profili “intracomunitari”; nel corso degli anni si sono sviluppate attività diverse, dai rapporti di natura diplomatica con Stati non membri, relazioni con OI, conferenze diplomatiche multilaterali e accordi con paesi terzi. Solo più recentemente però, si è affermata l'esigenza che questa azione internazionale fosse accompagnata da una forma di politica estera comune. Bisogna aspettare Maastricht e la nascita dell’UE perché la mera cooperazione si trasformi in un sistema strutturato nell’ambito del quale l’Unione è incaricata di attuare una PESC. Da allora, questa diventa uno dei tre pilastri sui quali il trattato riorganizza il processo di integrazione. Fino all’ entrata in vigore del trattato di Lisbona la partecipazione si è svolta attraverso due canali separati - da un lato la PESC, affidata all'unione e al metodo intergovernativo; - dall’altro le c.d. relazioni esterne delle Comunità, gestite dalle istituzioni di queste secondo l'originario metodo comunitario. Dopo Lisbona tale assetto è stato modificato: l’insieme delle attività che l’Unione è chiamata a esercitare sul piano internazionale afferenti a competenze comunitarie - o più propriamente politiche - sono inquadrate in un ambito giuridico istituzionale unitario: quello, appunto, dell’azione esterna dell’Unione. Col venir meno della Comunità europea e la nascita dell’Unione (che acquisisce “personalità giuridica”) Non avrebbe avuto senso tenere nettamente separate le due sfere di attività del unico soggetto dell’Unione. Le Disposizioni che riuscì pliniano l'azione esterna si trovano raggruppate nel TUE e nel TFUE. - Nel TUE si dà conto di Principi e obiettivi generali dell'azione esterna, così come della sua dimensione più strettamente politica rappresentata dalla PESC e dalla PSDC (Politica di sicurezza e difesa comune). - Nel TFUE si regolano tanto gli strumenti attraverso cui tale azione prende corpo, quanto le politiche settoriali e le specifiche azioni dell’Unione nel rapporto coi paesi terzi. Non solo, oltre a PESC e PSDC l’azione esterna comprende anche i profili esterni di tutte le altre politiche settoriali dell'Unione, a partire dalla conclusione di accordi con paesi terzi nell'esercizio delle competenze relative a tali politiche. L’azione esterna è improntata alla cd politica di vicinato: l’art.8 TUE chiama l’Unione a “sviluppare con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'Unione”. Insomma, dopo Lisbona l’azione esterna non è più una politica dell’Unione in senso proprio, ma si identifica con un insieme complesso e potenzialmente molto vasto di attività tra loro collegate. Non riflette una competenza specifica, ma si avvale di tutti diversi tipi di competenze che i trattati riconoscono alle istituzioni. Nella politica commerciale queste hanno competenza esclusiva, ma le competenze possono essere anche parallele e, nei settori in cui l’azione esterna consiste nell’attuazione sul piano internazionale di sue politiche interne, concorrenti con quella degli Stati. Per la PESC, non presentendosi come esclusiva o concorrente, si riconduce come “soggetta a norme e procedure specifiche”, una specificità che si manifesta nella caratterizzazione in senso strettamente intergovernativo dell'assetto istituzionale procedurale che presiede il suo funzionamento (ruolo del Consiglio, regola dell’unanimità, marginalità del PE, assenza di Commissione e CG). La PESC si configura ancora come un pilastro separato: tuttavia, fa comunque parte di un sistema giuridico unico fondato su TUE e TFUE. Si tratta di una parte complicata della gestione dell’azione esterna dell’Unione. Da un lato, data la diversità tra le regole e procedure cui è soggetta la PESC e quelle applicabili agli altri settori dell’azione esterna, la necessità di delimitare i rispettivi ambiti di applicazione delle diverse componenti di quest’ultima si pone in relazione alla PESC in maniera più forte di quanto non si prospetti nel rapporto tra le altre politiche e azioni esterne dell’Unione. Secondo il Trattato, l’azione ai sensi della PESC e delle altre politiche dell’Unione deve lasciare impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste per l’esercizio delle competenze dell’Unione. Dall’altro lato però, questa operazione è complicata (nel caso della PESC) dal fatto che il perimetro di questa competenza è vago, identificato con “tutti i settori della PE e le questioni relative alla sicurezza dell’Unione”, e d’altra parte la materia “Politica estera” è definita più dai fini perseguiti, che dai contenuti delle azioni ad essa riconducibili, che talvolta si avvalgono di contenuti propri di altre competenze dell’Unione. 2. Principi e obiettivi. Le diverse attività riconducibili all’azione esterna si svolgono nel quadro di principi e obiettivi generali comuni. I principi coincidono con i valori fondanti dell’Unione: Stato di diritto, diritti dell’uomo, rispetto del DI Gli obiettivi hanno finalità generali: indipendenza dell’Unione, salvaguardia di pace e sicurezza internazionale, sviluppo sostenibile e liberalizzazione La funzione di questi principi e obiettivi è inquadrare l’azione dell’Unione in una cornice di politica estera unitaria: il Trattato sottolinea l’esigenza di coerenza da attribuire all’azione esterna, e trova ragion d’essere nella pluralità di competenze che contribuiscono a tale azione nelle diverse modalità che continuano comunque a caratterizzare la PESC rispetto agli altri settori dell’azione esterna. Tuttavia, l’esigenza non può essere soddisfatta con la vaghezza di quei principi e obiettivi individuati dal Trattato; il TUE impone infatti di assicurare tale coerenza chiedendo in particolare al Consiglio e alla Commissione di provvedervi in cooperazione tra loro e con l’aiuto dell’Alto Rappresentante. Art. 22 TUE: chiede al Consiglio europeo di individuare, a partire dagli obiettivi generali, interessi e obiettivi strategici relativi a un determinato paese o regione. Il Consiglio europeo deve provvedervi con decisioni da prendere all’unanimità, sulla base di raccomandazioni del Consiglio; il Trattato prevede poi che Alto rappresentante e Commissione possano eventualmente presentare “proposte congiunte al Consiglio”. 3. I profili istituzionali. In particolare, l’Alto rappresentante e il SEAE. Ciascuna delle politiche e azioni da cui è composta l’azione esterna è governata da uno specifico apparato istituzionale e procedurale, oltre che da altre istituzioni politiche e di controllo dell’Unione, ricordate sopra. Il Consiglio europeo esercita la funzione di indirizzo politico di tutte le attività dell’Unione. Un ruolo è poi riconosciuto a Consiglio, Commissione e Alto rappresentante (che difatti è Vice in Commissione). L’Alto rappresentante finisce per essere il responsabile dell’intero ventaglio della dimensione esterna dell’Unione: è responsabile del portafoglio “Relazioni esterne” e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione in quanto Vice della Commissione, e ciò gli consente di influire sulla proiezione esterna delle singole politiche settoriali di competenza della Commissione stessa, seppur a mero titolo di coordinamento dei Commissari competenti. Un’ulteriore capacità deriva, oltre che dalla presidenza del Consiglio “Affari esteri”, anche dalla responsabilità del Servizio europeo di azione esterna (SEAE) e, attraverso questo, delle delegazioni dell’Unione presso paesi terzi od OI. È stato creato dal Trattato di Lisbona come corpo diplomatico europeo, ed è descritto dal TUE come organo di natura ibrida, comunitaria-intergovernativa per la sua composizione (funzionari dei servizi del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione + personale distaccato dei servizi diplomatici nazionali) e per le sue funzioni: assiste l’Alto rappresentante, il Presidente del Consiglio europeo e la Commissione nel settore delle relazioni esterne assicura la compatibilità della sua azione con le altre politiche dell’Unione assiste l’Alto rappresentante nell’esecuzione dei suoi mandati. Tra l’altro, la presidenza del Consiglio “Affari esteri” è infatti affidata a funzionari del SEAE. al SEAE fanno capo anche le delegazioni dell’Unione presso i paesi terzi e le organizzazioni internazionali. Mentre la rappresentanza diplomatica dell’Unione presso i paesi terzi è assicurata da queste delegazioni, non altrettanto avviene per gli altri livelli di rappresentanza esterna. Per le materie relative alla PESC è il Presidente del Consiglio europeo ad assicurare la rappresentanza esterna, ferme restando le attribuzioni dell’Alto rappresentante; quanto agli altri settori dell’azione esterna, il TUE attribuisce alla Commissione il compito di rappresentare l’Unione. Tutto però dipende dall’ambito di competenza interessato. Se per la PESC è generalmente l’Alto rappresentante a condurre il dialogo politico con i terzi ed esprimere la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, spetta al Presidente del Consiglio europeo assicurare la rappresentanza dell’Unione al suo “livello”. La diversa titolarità della rappresentanza implica che questa competa a una pluralità di soggetti, e questo potrebbe compromettere (almeno nella percezione degli interlocutori) l’idea dell’esistenza di una responsabilità unica nelle RI dell’Unione. A seconda che l’accordo riguardi esclusivamente o principalmente la PESC o le altre materie di competenza dell’Unione, spetterà all’Alto Rappresentante o alla Commissione rappresentare nel negoziato l’Unione, oltre a forme di rappresentanza congiunta, soprattutto in caso di incontri a più corte caratterizzazione politica. Quando gli incontri e i vertici vedono la partecipazione di capi di Stato o di governo l’Unione deve essere rappresentata congiuntamente dal Presidente della Commissione e da quello del Consiglio europeo. 4. Gli strumenti: a) le misure autonome. In particolare, le misure restrittive. L’azione trova realizzazione attraverso la conclusione di accordi internazionali con i paesi terzi od OI, oppure per misure “autonome”: atti della sola Unione, comunque produttivi di effetti per tutti o alcuni paesi terzi, in quanto disciplinano profili generali di una delle politiche o azioni che fanno specificamente parte dell’azione esterna, o danno attuazione a queste nel caso concreto. A queste misure autonome l’Unione ricorre nei casi previsti dai Trattati: per ciascuna delle politiche e azioni in materia è prevista una base giuridica specifica. Per quanto riguarda le politiche e azioni diverse dalla PESC, quella base giuridica prevede per tutte la possibilità che con procedura legislativa ordinaria siano adottati atti per la definizione del relativo “quadro di attuazione” Per la politica commerciale si adotta il regolamento Per le altre politiche il TFUE rimanda a generiche “Misure” e lascia al legislatore il compito di scegliere l’atto più consono Per la PESC il TUE fornisce indicazioni puntuali circa gli strumenti giuridici attraverso cui l’Unione conduce tanto l’azione di vera e propria PE, quanto la sua dimensione militare e di difesa. Questo settore, ricordiamo, è molto particolare: è esclusa l’adozione al suo interno di atti legislativi. Lisbona non ha innovato questo aspetto, ma un cambiamento deriva dal tipo di atti adottabili da Consiglio europeo e Consiglio: prima di Lisbona gli atti di cui le due istituzioni potevano servirsi per agire nella PESC differivano da quelli “tipici” dell’allora TCE. Adesso, la decisione è l’unico tipo di atto a disposizione delle istituzioni nel quadro della PESC. Queste possono assumere contenuti e finalità diversi e tipizzati: decisioni che definiscono le azioni da intraprendere; le posizioni da assumere; le modalità di attuazione dei due precedenti tipi di decisione. Vi è poi la possibilità di un uso “congiunto” di misure autonome PESC e misure autonome riconducibili ad altri settori di attività delle istituzioni, es. l’adozione da parte dell’Unione di sanzioni internazionali nei confronti di paesi terzi o singoli (restrizioni sui visti di ingresso). A tal fine, il TFUE stabilisce che laddove una decisione PESC preveda l’interruzione delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi, o “Misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità non statali”, il Coniglio debba prendere le misure necessarie. 5. b) Gli accordi con paesi terzi o organizzazioni internazionali. La c.d. “competenza a stipulare dell’Unione”. Tali accordi sono lo strumento principale attraverso cui ha preso corpo la proiezione esterna del processo di integrazione europea. I Trattati prevedono il potere delle istituzioni di stipulare accordi con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali; non solo nel quadro dell’attuazione di una delle politiche o azioni formalmente incluse nell’azione esterna dell’Unione, ma in relazione a tutte le altre politiche di questa. Il riconoscimento è operato talvolta esplicitamente con la previsione, in un’apposita base giuridica, della competenza dell’Unione a concludere uno specifico tipo di accordi internazionali. Più generalmente, tale potere è riconosciuto in quei casi in cui “la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare uno degli obiettivi fissati dai Trattati, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”. a) L’art. 216 introdotto da Lisbona ha dato luogo alla jus della Corte. Essa si è espressa nel senso dell’esistenza di un parallelismo tra competenze interne ed esterne, e comporta che queste sussistano in tutti i casi in cui siano necessarie per conseguire un obiettivo per il quale le istituzioni dispongano di poteri sul piano interno. Secondo la Corte, “la competenza a impegnare la Comunità nei confronti degli Stati terzi deriva, implicitamente, dalle disposizioni del Trattato relativa alla competenza interna, nella misura in cui la partecipazione all’accordo sia necessaria alla realizzazione di uno degli obiettivi della Comunità”. Il principio del riflette dunque l’impossibilità di separare il regime dei provvedimenti interni alla Comunità da quello delle relazioni esterne. b) Alcuni articoli dei Trattati prevedono in maniera formale il potere delle istituzioni di concludere accordi con paesi terzi e OI, anche per temi estranei alle politiche e azioni formalmente incluse nell’azione esterna dell’Unione, es. ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente, materia monetaria o valutaria. Altri articoli fanno riferimento agli accordi internazionali conclusi nel quadro della vera e propria azione esterna dell’Unione, nei settori PESC, della politica commerciale comune, di cooperazione allo sviluppo, economica, finanziaria e tecnica e nell’aiuto umanitario. Abbiamo poi gli accordi di associazione: “l’Unione può concludere con uno o più paesi od OI accordi che istituiscono un’associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e procedure particolari ”. A differenza degli accordi rientranti nelle categorie citate, questi accordi non risultano collegati a una competenza materiale dell’Unione: i contenuti degli accordi possono essere molto ampi. Alcuni sono stati conclusi con paesi europei non membri (Islanda Liechtenstein e Norvegia per lo Spazio economico europeo), con i paesi dei Balcani ex Jugo (accordi di stabilizzazione), con i paesi del Mediterraneo per la cooperazione economica, sociale e culturale; oltre ad alcuni Paesi di Africa e AL. Questi accordi rappresentano un vero e proprio strumento di politica estera, finalizzato a creare vincoli privilegiati con uno Stato terzo che deve, almeno in parte, partecipare al regime comunitario. c) Alcune osservazioni riguardano poi i rapporti esistenti tra la competenza delle istituzioni a stipulare con paesi terzi ed OI e le corrispondenti competenze degli SM. Nell’enumerare le materie di competenza esclusiva, il TFUE si limita ad affermare che questa riguarda anche la “conclusione di accordi internazionali, allorché questa sia prevista in un atto legislativo dell’Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”. Ad ogni modo la Corte ha affermato che, fintantoché non sia concretamente esercitata dalle istituzioni, una competenza dell’Unione a stipulare accordi diversa da quelle attribuitele in via esclusiva non preclude agli SM di assumere impegni internazionali nelle relative materie. Tuttavia, man mano che l’Unione esercita la sua competenza sul Spetta poi al Consiglio, nella sua formazione “Affari esteri” a prendere le decisioni necessarie a condurre nel concreto la PE dell’Unione sulle base degli orientamenti generali di cui sopra; adotta le decisioni che definiscono le azioni che l’Unione deve intraprendere e le posizioni da assumere. L’Alto rappresentante è il braccio operativo della PESC: contribuisce alla sua elaborazione e la attua. Può inoltre avvalersi dei c.d. “rappresentanti speciali” dell’Unione. Consiglio e Alto rappresentante sono affiancati dal Comitato politico e di sicurezza, organo del Consiglio composto da rappresentanti degli SM, che monitora la situazione internazionale e contribuisce alla definizione delle politiche del Consiglio. POLITICA DI SICUREZZA E DIFESA COMUNE. È considerata dal Trattato parte integrante della PESC. L’art. 42 TUE fa riferimento al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale da parte dell’Unione, che si concreta in missioni di vario tipo (umanitarie, di soccorso e gestione delle crisi) accomunate dall’obiettivo della prevenzione dei conflitti internazionali e della gestione delle crisi nel quadro del sistema di sicurezza collettiva delle NU. Lisbona ha ulteriormente integrato la PSDC, da un lato, con una “politica europea delle capacità e degli armamenti” diretta a sviluppare le capacità militari e operative degli SM e la “base industriale e tecnologica” del settore della difesa all’interno dell’Unione; dall’altro, con una clausola di difesa reciproca ai sensi della quale gli SM devono prestare aiuto e assistenza a chi di loro sia oggetto di un’aggressione armata sul suo territorio. La PSDC non comporta per il momento alcuna integrazione degli apparati militari nazionali, che restano sotto la responsabilità degli SM; le azioni esercitabili dall’Unione nel quadro della PSDC si configurano come espressione di competenza parallela, di sostegno e complemento di quelle degli Stati. Lo svolgimento di una missione dell’Unione può essere affidato anche a un gruppo ristretto di SM, che posseggano le capacità necessarie. In particolare, vi è la previsione di una cooperazione strutturata permanente (PESCO) tra un numero anche ristretto di SM, che rispondano a determinati criteri in termini di capacità militari la PESCO è stata istituita nel 2017 tra 25 SM e sono stati predisposti più di 30 progetti. Lisbona ha poi formalizzato l’Agenzia europea per la difesa (EDA), finalizzata a sviluppare la cooperazione in materia di armamenti e il rafforzamento della base industriale e tecnologica di difesa europea, che comprende gli SM che decidano di farne parte. La PSDC rappresenta ancor di più il carattere intergovernativo della PESC, mantiene fissa la regola dell’unanimità. La PSDC ha conosciuto un significativo sviluppo dell’apparato organico: comitato militare dell’UE composto da capi di Stato maggiore della difesa degli SM, Stato maggiore dell’UE costituito da personale militare degli SM Comitato per gli aspetti civili della gestione della crisi POLITICA COMMERCIALE COMUNE. Nasce insieme alla CE di cui è stata fin da subito il primo strumento di politica estera; è il risvolto esterno del mercato interno tra gli SM. La politica commerciale comune ha come oggetto la gestione degli scambi commerciali dell’UE con paesi terzi o, in altre parole, le condizioni in base alle quali i beni provenienti da paesi terzi possono entrare nel territorio dell’UE e quelli prodotti negli SM possono essere esportati nei Paesi terzi. Il TFUE elenca una serie di misure specifiche ricomprese nella competenza dell’Unione in materia, e il Trattato di Lisbona ha aggiunto gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e gli investimenti esteri diretti, nonché la precisazione che gli accordi commerciali possono riguardare gli scambi di servizi oltre che di merci. La competenza UE in materia di politica commerciale ha carattere esclusivo: le istituzioni ricorrono non solo ad accordi internazionali con i paesi terzi, ma a misure autonome di regolamentazione degli scambi con gli stessi. L’Unione persegue i propri obiettivi dotandosi da un lato degli strumenti giuridici necessari per la difesa dei propri interessi commerciali ma contribuendo, al contempo, alle relazioni commerciali internazionali in attuazione della sua azione esterna, es. con Sistema di preferenze generalizzate: trattamento doganale di favore alle importazioni di merci provenienti dai PVS, misure di carattere collaborativo Misure di difesa commerciale volte a contrastare comportamenti sleali come il dumping, o evitare che le imprese produttrici godano di aiuti e sovvenzioni pubblici concessi dai paesi terzi in violazione delle regole commerciali internazionali. Le misure di difesa commerciale mirano ad annullare quel vantaggio competitivo attraverso l’imposizione di un dazio anti-dumping: si tratta di misure di carattere più difensivo. Vi sono poi “misure di salvaguardia” da attivare in presenza di danno alle imprese dell’UE derivante da distorsioni del mercato, al fine di proteggere il mercato interno da fenomeni quali improvvisi flussi di importazioni ecc. La disciplina dell’azione esterna è poi completata da disposizioni relative alla cooperazione dell’UE con i paesi terzi e l’aiuto umanitario; le disposizioni riguardano da un lato i PVS, dall’altro paesi terzi diversi da questi. Per quanto riguarda la portata materiale delle competenze, si distinguono cooperazione allo sviluppo (riduzione ed eliminazione della povertà) e cooperazione economica, finanziaria e tecnica, oltre all’incentivazione al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, e al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Quanto all’aiuto umanitario, esso mira a fornire assistenza ai paesi terzi vittime di calamità naturali e non. La competenza è parallela, perché convive con quella degli SM: le politiche di una e degli altri si completano reciprocamente. L’art.222 TFUE contempla, infine, una clausola di solidarietà a favore di uno SM vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo, o un atto terroristico. L’Unione mobilita tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi mezzi militari messi a disposizione dagli SM; presta assistenza allo Stato attaccato e ne protegge le istituzioni democratiche. Il dovere di questa clausola è imposto non solo all’Unione, ma ai singoli SM. PARTE QUARTA. LA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA AL PROCESSO D’INTEGRAZIONE EUROPEA. Capitolo I. Profili generali. 1. L’assetto dei rapporti tra gli ordinamenti dell’Unione e italiano. In generale È un rapporto complesso e di evoluzione non lineare, non agevolata dal sostanziale silenzio della nostra Costituzione, che ha resistito malgrado le molteplici proposte. Un qualche assestamento è stato trovato nella modifica costituzionale del 2001 (nuovo art.117): occorre chiedersi se la situazione attuale possa migliorarsi a Costituzione invariata, così come non convince pienamente l’idea di un’integrazione costituzionale sull’integrazione europea, per far fronte a un processo che negli anni si è radicato in tutte le strutture istituzionali preesistenti. La soluzione sarebbe difatti trovare soluzioni meno rigide, del tipo appunto di quello che ora assicura lo schema della Corte costituzionale. 2. Segue: L’incidenza sui rapporti tra il Governo e il Parlamento nazionale. Particolare interesse riveste il tema che attiene all’assetto costituzionale dello Stato e all’incidenza del processo di integrazione europea sugli equilibri costituzionali. Il problema si è posto – e si pone – in riferimento ai rapporti tra PE e Governo. Inizialmente difatti, i centri decisionali sono stati quasi esclusivamente composti da membri degli esecutivi nazionali (Consiglio, Consiglio europeo); oggi però il ruolo del PE è aumentato, vedendosi co-legislatore in un numero crescente di materie, anche perché i parlamenti nazionali hanno rivendicato un ruolo più attivo nel processo decisionale. I Trattati hanno accordato ai parlamenti questa maggiore attenzione, esaltando il principio di sussidiarietà e prevedendo un maggiore coinvolgimenti: il nuovo art. 12 TUE riconosce il contributo dei parlamenti al funzionamento dell’Unione. Di pari passo, l’evoluzione ha marcato il ruolo dei parlamenti nei meccanismi istituiti all’interno degli Stati per l’elaborazione e attuazione degli atti dell’Unione. 3. Segue: E sui rapporti tra Stato e autonomie locali. Prima erano emarginate dalla partecipazione, si è inizialmente assistito a un’espropriazione delle competenze attribuite alla Regione dalla Costituzione a vantaggio delle istituzioni comunitarie, poi però il problema si è imposto sia a livello europeo che nazionale. Negli anni ’70 è stata varata la c.d. politica regionale comunitaria, che per la prima volta assicurava forme di partecipazione delle regioni. Si ricordi poi il Comitato delle regioni, come sede di rappresentanza degli interessi delle stesse, e ciò concerne la possibilità di partecipazione diretta di rappresentanti regionali addirittura in seno al Consiglio. A livello italiano, la pressione delle istanze regionaliste ha valorizzato il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, contro il monopolio che gli organi centrali intendevano esercitare sulle questioni europee. CAPITOLO II. Il diritto dell’Unione e l’ordinamento giuridico italiano. 1. Premessa: il rapporto tra diritto dell’Unione e diritto degli SM nella giurisprudenza della Corte L’ordinamento giuridico dell’Unione ha la caratteristica di avere come soggetti non solo gli SM ma i loro cittadini. I Trattati hanno portato all’instaurazione di organi dotati di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti degli SM e dei loro cittadini; trasferendo parte della loro sovranità, i membri hanno creato un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. Sul piano dei rapporti con il diritto degli Stati, questo ha evidentemente avuto delle conseguenze. Difatti, dal punto di vista dell’Unione non si pone la necessità di un intervento sui singoli ordinamenti che trasformi o recepisca quelle norme, e questo anche nel caso ad es. delle direttive, suscettibili di esplicare i suoi effetti indipendentemente dall’adozione di un atto interno di recepimento. C’è comunque un problema di rapporti con le legislazioni nazionali: i due ordinamenti vivono un rapporto di integrazione, che vede quello dell’Unione (in quanto parziale) avvalersi di quello degli SM per molti aspetti del suo funzionamento. Il risultato è stato interferenza e potenziale conflitto tra le rispettive norme. Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra norme europee ed eventuali norme interne contrastanti. La Corte ha fin da subito affermato la supremazia del diritto dell’Unione, osservando come il suo ordinamento sia “ integrato nell’ordinamento degli SM all’atto dell’entrata in vigore del Trattato (..) Il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza che ne risulti scosso il fondamento giuridico dell’Unione”. Non c’è gerarchia tra ordinamenti: il ragionamento non si fonda su una prevalenza gerarchica tra norme, ma sulla considerazione delle rispettive sfere di azione. Dice la Corte: “il trasferimento effettuato dagli SM a favore dell’ordinamento comunitario implica una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore e incompatibile con il sistema della Comunità sarebbe privo di efficacia”. È quindi lo stesso diritto UE a impedire la formazione di norme statali contrarie al diritto stesso: gli atti legislativi nazionali che, ad esempio, invadono sfere di competenza dell’Unione, vanno considerati privi di efficacia giuridica. Quindi, il giudice incaricato di applicare le norme di diritto UE ha l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, in particolare in caso di tutela di diritti che una di quelle norme attribuisce ai singoli in caso di obbligo chiaro, come nel caso di una direttiva ad effetti diretti verticali. A tale obbligo sono tenuti anche gli altri organi dello Stato, anche l’amministrazione. In questa prospettiva vanno inquadrati gli ultimi orientamenti della jus della Corte, che hanno portato all’affermazione dell’obbligo dei giudici di non applicare le norme dello Stato – anche di rango costituzionale – che, pur senza risultare direttamente in contrasto con la norma europea applicabile nella fattispecie, ne impediscono l’effettiva applicazione. 2. Diritto dell’Unione e diritto interno in Italia: la giurisprudenza costituzionale. La prospettiva utilizzata dalla Corte si è fatta strada tra le giurisdizioni nazionali con fatica. Vediamo, nel nostro caso, l’avvicinamento progressivo della Corte costituzionale alle posizioni della CG. L’adesione tanto agli originari Trattati istitutivi che ai successivi atti è stata sempre autorizzata e resa esecutiva con legge ordinaria; alcuni giudici hanno però iniziato a interrogarsi sulla sufficienza di questo strumento. L’interrogativo è stato sollevato in riferimento al Trattato istitutivo della CEE, in particolare per la disposizione che, attraverso la previsione di uno strumento direttamente applicabile come il regolamento, consente l’operare con forza di legge nell’ordinamento dello Stato di atti non provenienti dagli organi ai quali la Costituzione riserva la funzione legislativa. La Corte ha concluso che le leggi ordinarie di esecuzione in Italia trova fondamento di legittimità nell’art.11 Cost sulle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia . Questo articolo è stato originariamente formulato per l’adesione alle NU, ma nel corso dei lavori preparatori era stato fatto un riferimento anche all’UE. Sull’art.11, la Corte ha basato la soluzione del problema del rapporto tra norme UE e norme poste da legge dello Stato. In una prima jus, aveva interpretato l’art. 11 in chiave di mera autorizzazione a dare esecuzione con legge ordinaria a trattati comportanti limitazioni di sovranità, concludendo che tale funzione “non importava alcuna deviazione dalle regole vigenti in ordine all’efficacia del diritto interno degli obblighi assunti dallo Stato nei rapporti con altri Stati”. Quindi, le norme del diritto dell'Unione dovevano avere lo stesso rango (ordinario) della legge di esecuzione del Trattato attraverso cui erano “entrate” nell’ordinamento italiano. Esse erano dunque soggette ai principi comuni in tema di successione delle norme nel tempo. Subito dopo questa pronuncia, la Corte si è allineata alle conclusioni della CG in materia di supremazia delle norme europee sulle norme nazionali contrastanti, anche successive. C’erano comunque divergenze sul modo in cui interpretare quella supremazia: il contrasto delle norme interne con un precedente regolamento dell'unione diventa un problema di legittimità costituzionale di tali norme in rapporto alla conseguente violazione dell'articolo 11 che quel contrasto determina: nella giurisprudenza della Corte costituzionale, l’art.11 non serve a giustificare l'operare in quanto tale dello Stato dell'ordinamento scaturito dai Trattati, ma viene utilizzato come parametro di costituzionalità delle singole norme di legge. Il problema è che queste conclusioni si mettevano in rotta di collisione con il rapporto tra norme europee norme di legge incompatibili operata dalla CG. Essa aveva concluso che “qualsiasi giudice nazionale è obbligato ad applicare integralmente il diritto comunitario, disapplicando le disposizioni contrastanti della legge interna, sia anteriore che successiva”. A disapplicare le norme però sarebbe stata legittimata solo la Corte costituzionale e non il giudice. Insomma, una norme interne incompatibile con il diritto dell'Unione poteva essere rimossa solo mediante la dichiarazione di illegittimità costituzionale. C’è stata insomma una divergenza tra le due Corti, risolta con un nuovo mutamento di jus della Corte costituzionale. Il mutamento ha avuto luogo nel 1984, sentenza Granital. La Corte costituzionale ha riconosciuto il potere del giudice interno di applicare direttamente un regolamento, nonostante le norme statali successive con esso contrastanti. Quimdi, rispetto al diritto UE “la legge statale rimane (..) collocata in un ordinamento che non vuole interferire nella produzione normativa del distinto ordinamento della Comunità” e dunque “le confliggenti statuizioni di una legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento che il Trattato conferisce al regolamento dell’Unione”. Il cambiamento è evidente, anche se il modo di intendere il rapporto tra gli ordinamenti rimane diverso: per la CG l’ordinamento UE ha forza autoapplicativa, la CC non può continuare a fondare quel rapporto sull’art.11 Cost. Ciò che cambia evidentemente, è chi la norma interna non è costituzionalmente illegittima ma inapplicabile: l’eventuale ricorso alla Corte costituzionale sulla base di questo presupposto sarebbe inammissibile. Inoltre, il riferimento alla diretta applicabilità della norma europea va inteso nel senso che questo compie ipotesi diverse rispetto al regolamento. La CC ha affermato l’obbligo del giudice – ma anche degli altri organi – di non applicare la legge interna contrastante non solo con direttive europee dotate di effetti diretti, ma con norme dei Trattati cui possa riconoscersi la stessa efficacia. Tuttavia, la giurisprudenza Granital venne circoscritta solo ad alcune ipotesi: nel caso Granital si trattava di valutare la “conformità alla Cost. di una legge diretta ad impedire l’osservanza del Trattato”, è infatti diverso da quei casi in cui ricorre incompatibilità tra norme interne e singoli regolamenti comunitari. Si rimette in gioco la responsabilità della Corte costituzionale e l’obbligo del giudice nazionale di sollevare dinanzi ad essa la questione del “se il legislatore ordinario abbia ingiustificatamente rimosso alcuno dei limiti della sovranità statuale”. L’art.11 Cost continua a dover essere invocato quale parametro di legittimità costituzionale anche nell'ipotesi in cui il contrasto della legge italiana si manifesti rispetto alle norme dell'Unione non direttamente applicabili. La Corte ha più recentemente prospettato però, una nuova ipotesi di deroga al potere del giudice di merito di risolvere esso stesso l'eventuale contrasto tra norme dello Stato e diritto dell’Unione, disapplicando direttamente le prime a vantaggio delle seconde. Resta ferma, infine, la competenza della CC a pronunciarsi lei stessa sulla compatibilità di norme interne con il diritto dell'unione, quando la questione venga sollevata in un ricorso in via principale (es. Governo contro delibera di Consiglio regionale). Dopo la riforma dell’art. 127 Cost, il contenzioso in via principale davanti alla Corte costituzionale in caso di violazione di norme europee da parte delle regioni è aumentato in modo consistente Nel 2001 i vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'unione sono stati comunque integrati nel dettato costituzionale, nella direzione intrapresa dalla giurisprudenza costituzionale con la sentenza Granital: la prevalenza del diritto dell'unione è affermata con riferimento al suo ordinamento giuridico, quale sistema autonomo e distinto al cui pieno funzionamento la