Scarica linguistica generale Basile riassunto più dettagliato e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! La linguistica generale si occupa del fenomeno del linguaggio umano e di come questo si realizza all’interno di singole lingue, tutte profondamente diverse l’una dall’altra pur rispondendo a dei criteri di organizzazione generali. Viene giustificata, quindi, l’esistenza di una linguistica generale come una scienza in grado di stabilire le modalità di analisi di una qualsiasi lingua umana. Il principale strumento di comunicazione di cui ci serviamo è fornito dalle lingue verbali. Il numero delle lingue del mondo contemporaneo censite è compreso tra 6.000 e 7.000. Il continente che presenta il numero maggiore di lingua è l’Asia con il 32% delle lingue totali, poi Africa con il 30%, Oceania e Pacifico, Americhe (escluse le lingue coloniale ex. Francese, inglese, etc.) 14% e l’Europa solo il 4%. LINGUA E GEOGRAFIE: Più l’ambiente è ricco di biodiversità, maggiore è il livello la diversità linguistica. Le lingue umane non sono legate alla genetica, la diversità linguistica è dovuto a fattori culturali. Ma perché nelle aree con maggiore diversità biologica, anche la diversità linguistica è maggiore? La risposta è di natura storica: le aree con maggiore diversità biologica hanno anche dato luogo a piccoli gruppi che si sono differenziati linguisticamente DIFFUSIONE LINGUE DEL MONDO PER NUMERO DI PARLANTI Le lingue si distribuiscono in modo fortemente diseguale. Le solo 8 grandi macrolingue assommano in sè circa 2 miliardi di parlanti. In sintesi Il 27% delle lingue raggruppano solo l’11% del totale della popolazione. La lingua più diffusa nel mondo contemporaneo per parlanti madrelingua è il cinese mandarino che raggiunge circa un miliardo di parlanti. La seconda lingua per parlanti madrelingua è lo spagnolo e la terza l’inglese. L’inglese però raggiunge la massa parlante del cinese se non addirittura la supera se consideriamo tutti quei parlanti che hanno l’inglese come seconda lingua. Non soltanto l’Europa, ma anche gli stati in cui l’inglese ha avuto una presenza coloniale importante. Inoltre l’inglese svolge un ruolo fondamentale in senso veicolare internazionale all’interno di ambienti scientifici, politici, informatici etc. Tra le macrolingue, cioè quelle con un’elevata diffusione per numero di parlanti e numero di stati, si considera anche l’arabo (anche in Europa: il maltese è una particolare varietà dell’arabo). Una lingua più ristretta per numero di paesi ma molto popolosa è il complesso della Hindi+urdu+landa. Si tratta di lingue intercomprensibili l’una con l’altra con diversi stili di scrittura. La complessità del mondo linguistico ha sempre dato l’impressione che si trattasse di un grande disordine all’interno del quale non fosse possibile fare alcuna generalizzazione se non che ogni parte dell’umanità avesse appunto la sua lingua. Tutte queste sono lingue sono la realizzazione di un’unica facoltà comunicativa che la specie umana possiede: il linguaggio verbale. Tutte le lingue pur nella loro diversità hanno principi di organizzazione interna comparabili tra di loro. LA LINGUA E IL SEGNO La classificazione delle lingue Le lingue possono essere classificate in due grandi categorie: la classificazione genealogica e la classificazione tipologica. I due modi sono alternativi tra di loro, cioè gli argomenti di una classificazione non possono essere utilizzati sull’altra e viceversa; sono, cioè, due classificazioni che procedono con criteri autonomi. LA CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA: Il confronto di una serie di parole collegate ci permette di dire che determinate lingue hanno un’origine in comune. Attraverso una serie di somiglianze, possiamo classificare le lingue. Queste, quindi, costituiscono una famiglia di lingue perché hanno tutte origine dal medesimo progenitore. La prova dell’origine comune è data dalla ricerca etimologica: dal confronto di singoli lessemi. LA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA: le lingue sono raggruppate per le loro caratteristiche interne. La classificazione è basata quindi sulla struttura interna della lingua. Attraverso una rivoluzione sperimentale di fine 700 e inizio 800, viene stabilito che la ricerca linguistica non si sviluppa più attraverso la riflessione e la introspezione ma mediante la raccolta di dati, l’osservazione di fatti. Franz Bopp, a lungo professore di linguistica comparata all’università di Berlino, formulò il primo esempio convincente di classificazione genealogica. Wilhelm von Humboldt, politico e intellettuale del regno di Prussia, dedicò gli ultimi anni della sua vita allo studio del linguaggio scrivendo una grande opera su quello che sarà l’indonesiano. Egli scriverà un’edizione sull’introduzione sulla diversità delle lingue che sarà pubblicata postuma dal fratello; quest’opera verrà considerata la prima grande base per la classificazione tipologica delle lingue. Due lingue possono essere genealogicamente nello stesso gruppo, ma tipologicamente in gruppi diversi. Come possono essere tipologicamente nello stesso gruppo, ma genealogicamente in gruppi diversi. LA LINGUA Definiamo "lingua" ciascuno dei sistemi simbolici, propri della specie umana ma diversi da comunità a comunità e in qualche misura anche da individuo a individuo, trasmessi per via culturale e non ereditati biologicamente, basati su simboli vocali o, in casi particolari, su simboli gestuali, attraverso i quali gli appartenenti alle società umane conoscono la realtà, la categorizzano, sviluppano pensieri articolati, comunicano le proprie conoscenze e propri pensieri. 1) Le lingue sono trasmesse per via culturale, non ereditate biologicamente 2) Proprie della specie umana; questo non vuol dire che altri essere viventi non comunichino, ma solo la specie umana comunica mediante una linguae tramesse per via culturale. 3) Diversa da comunità a comunità 4) Mezzo per la conoscenza della realtà, la categorizzazione del mondo, lo sviluppo di pensieri articolati, la comunicazione della conoscenza e dei pensieri, basati su simboli vocali Il linguista svizzero De Saussure individua le proprietà della lingua che la rendono oggetto di uno studio: - La lingua è uno strumento di comunicazione. Ma è solo uno dei tanti sistemi di comunicazione umani e animali. - La comunicazione avviene mediante il segno. IL SEGNO Il segno è un legame tra due elementi: 1) Espressione 2) contenuto (il fatto che si propone ai nostri sensi) ( non si propone ai nostri sensi ma che viene legato al fatto percepibile) *Luce rossa del semaforo* ‘frenare e fermarsi all’incrocio’ 2) Rapporti paradigmatici: Un certo elemento è in rapporto paradigmatico con tutti gli elementi con cui esso può entrare in commutazione, che possono sostituirlo. “Marco” non è solo in rapporto con le altre parole della frase, ma è in rapporto anche con tutte le altre parole che potrebbero comparire all’interno della frase al suo posto. Ex: luca, il cane del mio vicino etc. LIVELLI DI ANALISI LINGUISTICA La lingua è dunque un sistema di sistemi, perché il segno è complesso, analizzabile in elementi e questi elementi sviluppano tra loro rapporti. Per questo dobbiamo distinguere tra 5 diversi livelli dell’analisi linguistica: - Fonetica: sostanza dell’espressione - Fonologia: forma dell’espressione - Morfologia: livello della prima articolazione; ha come unità massima la parola e unità minima il morfema - Sintassi: riguarda sempre la prima articolazione ma ha come unità minima la parola - Semantica: riguarda il piano del contenuto L’intera lingua è suscettibile di 2 diverse prospettive analitiche: DIACRONIA: la regolarità dell’oggetto dell’analisi è ricercata nel mutamento avvenuto nel tempo. Tutte le lingue cambiano nel tempo. SINCRONIA: la regolarità è cercata mediante un’astrazione dal mutamento temporale; la regolarità è nelle strutture attive in un determinato momento storico. (si finge che la lingua in un determinato momento storico sia immobile.) FONETICA LE TRE BRANCHE DELLA FONETICA La fonetica è il livello di analisi relativo alla sostanza dell’espressione: - Produzione dei suoni linguistici (fonetica articolatoria); - Trasmissione dei suoni nell’aria (fonetica acustica) - Percezione dei suoni (fonetica uditiva) Teoria articolatoria della fonetica: La teoria articolatoria è entrata in uso in Europa alla fine del 700, per effetto della conoscenza della fonetica indiana, dove questa teoria si era sviluppata nella tradizione grammaticale locale. Secondo la teoria articolatoria un suono linguistico è classificato sulla base degli organi fisici e dei gesti che servono a produrlo. Pertanto, per poter classificare i suoni linguistici, bisogna disporre di una conoscenza del meccanismo della loro produzione, dell’apparato usato a questo fine (apparato fonatorio), di una nomenclatura degli organi coinvolti nel meccanismo, di una conoscenza dei gesti compiuti da questi organi. In realtà la fonetica ha una sua modalità di classificazione dell’apparato fonatorio, di una nomenclatura degli organi coinvolti e dei gesti. APPARATO FONATORIO: - Polmoni - Bronchi - Trachea - Laringe - Pliche vocale (glottide) - Faringe - Velo palatino - Lingua - Palato duro - Alveoli dentali - Denti - Labbra Il meccanismo di produzione dei suoni utilizza il medesimo meccanismo di scambio dell’aria utilizzato per la respirazione. L’emissione di un suono è la produzione di una vibrazione di una colonna d’aria che si genera dall’interno del nostro corpo spinta all’esterno. Questa ha origine nei polmoni, sacche polmonari che servono per lo scambio d’aria tra interno e esterno. Da qui l’aria è incanalata attraverso la rete dei bronchi che conducono nella trachea, canale formato da anelli di cartilagine, che conduce la rete bronchiale alla laringe. In realtà il cosiddetto “pomo d’Adamo” non è altro che la laringe che negli uomini assume una diversa posizione. Questa diversa posizione provoca una diversità del tono di voce, più acuta nelle donne, più profonda negli uomini. LARINGE La laringe è l’organo più complesso del nostro apparato fonatorio, costituito da una serie di ossa e cartilagini tenute insieme da fasce muscolari. Le 3 grosse cartilagini sono la cricoide, la aritenoide, la tiroide. Poi l’osso ioide e infine la cartilagine dell’epiglottide. GLOTTIDE È detta glottide la parte della laringe che è compresa tra 2 piccole estroflessioni (dette pliche vocali) situate ai lati del condotto dell’aria che attraversa la laringe. La glottide può essere aperta o chiusa. Quando è chiusa può entrare in vibrazione se la tensione muscolare tra le 2 pliche vocali lo consente. La vibrazione della glottide è detta meccanismo laringeo ed è provocata da una spinta della colonna d’aria in uscita Il ritmo di cicli completi di apertura e chiusura può essere controllato volontariamente attraverso la minore o maggiore tensione dei muscoli vocali e di altri tessuti muscolari della laringe. (Per regolare la vibrazione della glottide bisogna agire sui muscoli dei poloni e delle fasce addominali.) Questo fa sì di poter modulare la produzione di suoni più o meno acuti. I TIPI DI VOCE: Glottide aperta, che consente il passaggio dell’aria → assenza di meccanismo laringeo (assenza di voce) Pliche accostate interamente che entrano in vibrazione (per parlare normalmente) → voce modale: tipo neutro di meccanismo laringeo Voce mormorata (per parlare sottovoce) → una parte delle pliche è accostate e in vibrazione, ma la parte cartilaginea (finale) è determinata da un’apertura triangolare dalla quale esce l’aria Voce cricchiata: ottenuta da una fortissima compressione delle pliche che provoca una loro vibrazione a ritmo irregolare. FARINGE: La faringe è il segmento del tratto vocale che si trova immediatamente al di sopra della laringe. La faringe ha un volume interno estremamente variabile dal momento che la sua parete anteriore coincide per lo più con la radice della lingua. Quando quest’ultima è spinta in avanti la faringe si dilata; quando è spinta indietro il volume interno della faringe si riduce notevolmente. LINGUA: organo di grande mobilità situato all’interno del tratto vocale. Si possono distinguere: - Radice: parte posteriore collocata in direzione della faringe - Dorso: la sua parte centrale - Corona: la parte anteriore mobile ↓ La regione della corona comprende a sua volta: - l’apice (l’estremità anteriore) - la lamina, ovvero la superficie superiore anteriore. La lingua può essere spostata lungo numerosi assi (orizzontale e verticale) e modifica il volume interno delle due cavita orale e faringea. VELO PALATINO: (o palato molle) organo che pende dal palato duro e che divide la parte superiore della faringe dalla cavità orale. Il velo palatino ha una grande capacità di movimento e regola l’accesso dell’aria alle cavità nasali. UGOLA: piccolo organo, visibile nella forma di un rigonfiamento, che si trova all’estremità inferiore del velo palatino. PALATO DURO: cupola superiore ossea della cavità nasale, sovrasta il dorso della lingua. ALVEOLI: rigonfiamenti della parete della cavità orale, in corrispondenza del quale si trovano le radici dei denti. In particolare si fa riferimento agli alveoli corrispondenti agli incisivi superiori. DENTI: i soli denti coinvolti nell’articolazione linguistica sono gli incisivi. LABBRA: possono assumere diverse posizioni CAVITA’ NASALI: coppia di cavità collocate al di sopra della cavità orale, all’interno delle quali può essere lasciata passare l’aria espirata mediante l’abbassamento del velo palatino. [ʌ] vocale medio-bassa, posteriore, non arrotondata; inglese ‘cut’ [ɒ] vocale bassa, posteriore, non arrotondata; inglese britannico ‘cot’ ‘stop’ ‘dog’ VOCALI NASALI [ɛ] vocale medio-bassa, anteriore, non arrotondata, nasale; francese ‘fin’ ‘brin’ [oe] vocale medio-bassa, anteriore, arrotondata, nasale; francese ‘un’ ‘brun’ [ɔ] vocale medio-bassa, posteriore, arrotondata, nasale; francese ‘mon’ ‘blond’ [ɑ] vocale bassa, posteriore, non arrotondata, nasale; francese ‘dans’ ‘blanc’ CLASSIFICAZIONE CONSONANTI Coefficienti: 1) Modo diaframmatico: - Ostruenti (occlusive, affricate, fricative) - Sonoranti (nasali, laterali, vibranti, approssimanti) 2) Luogo diaframmatico: - Bilabiale; vengono articolati tramite un contatto tra le 2 labbra - Labiodentale; vengono articolati tramite un contatto tra il labbro inferiore e i denti superiori - Dentale: vengono articolati tramite un contatto tra la punta della lingua e la zona retrostante gli alveoli - Alveolare: - Postalveolare; l’apice della lingua si muove nella zona posteriore degli alveoli - Retroflesse; la lamina inferiore colpisce la regione postalveolare - Palatali: sono i foni articolati con il dorso della lingua e la zona palatale della cavità orale - Velare: sono i foni prodotti con il dorso della lingua e la zona velare del palato - Uvulare: sono i foni prodotti con il dorso della lingua a contatto con l’ugola - Faringale: sono i foni prodotti con la radice della lingua e la parte posteriore della faringe - Glottidale: sono i foni prodotti con le pliche vocali. Ex. House A loro volta i luoghi diaframmatici possono essere sottoposti ad un’ulteriore suddivisione: classe organo articolatore luogo di articolazione LABIALE Labbro inferiore 1. Bilabiale 2. Labiodentale CORONALE Corona della lingua 3. Dentale 4. Alveolare 5. Postalveolare 6. retroflesso DORSALE Dorso della lingua 7. palatale 8. velare 9. uvulare RADICALE Radice della lingua 10. faringale GLOTTIDALE Pliche vocali 11. glottidale 3) Coefficienti laringei: I coefficienti laringei dipendono dalla presenza o meno della voce, dalla presenza dell’aspirazione e dall’eventuale tipo di voce (modale, mormorata, cricchiata): - Sorde, sonore, sorde aspirate, mormorate (sonore aspirate), eiettive Il diaframma può realizzare 2 diversi tipi di consonanti in base alla pressione che esercita sulla colonna d’aria in uscita. Negli ostruenti il diaframma costituisce un ostacolo all’uscita dell’aria, inserendosi all’interno del tratto vocale. L’ostacolo può essere completo (occlusive), sottoinsieme delle occlusive (affricate), oppure si può sviluppare un mutamento della pressione che si esercita sulla colonna d’aria ma non un blocco completo, cioè un ostacolo parziale, le fricative. OCCLUSIVE (i due organi fonatori formano prima un blocco totale, appunto una occlusione, per l’aria espiratoria, per poi aprirsi bruscamente.) 3 fasi: - impostazione o catastasi = gli organi fonatori assumono la posizione in cui il fono viene articolato - tenuta = gli organi articolatori producono il fono - soluzione o metastasi = gli organi articolatori si muovono dal luogo di articolazione del fono per raggiungere il luogo di articolazione del fono successivo. Le singole lingue hanno in genere più serie parallele di occlusive, distinti per i coefficienti laringei: cinese: [t, tʰ] italiano: [t, d] LUOGHI DI ARTICOLAZIONE: bilabiale Alveolari retroflesse palatali velari uvulari glottidale p b t d ʈ ɖ c ɟ k g q ʔ [p]: it. papà [paˈpa] [b]: it. babbo [ˈbabbo] [t]: it. tempo [ˈtɛmpo] [d]: it. dado [ˈdado] [ʈ]: hindī टटट ṭal [ʈal] ‘pila’ [ɖ]: hindī टटट ḍal [ɖal] ‘ramo’, calabrese sett. [kaˈvaɖɖu] ‘cavallo’ [c]: ungherese tyúk [cuːk] ‘gallina’ [ɟ]: ungherese gyep [ɟep] ‘prato’ [k]: it. caro [ˈkaro], china [ˈkina] [ɡ]: it. gamba [ˈɡamba], ghermire [ɡerˈmire] [q]: arabo قريب qarīb [qaˈriːb] ‘vicino’ [ʔ] tedesco Auge [ˈʔaʊɡə] ‘occhio’, arabo ارز‘ arz [ʔarz] ‘cedri’ Le AFFRICATE sono un sottogruppo delle occlusive → si tratta di una fonazione che avviene in due fasi: in un primo momento gli organi fonatori formano un’occlusione che però, in un secondo momento non viene rilasciata bruscamente (come nel caso dei foni occlusivi), ma si apre solo parzialmente (come nel caso dei foni fricativi). Il tempo di soluzione è, quindi, rallentato. LABIODENTALI ALVEOLARI RETROFLESSE POSTALVEOLARI pf ts dz ʈʂ ɖʐ ʧ ʤ [pf] tedesco Pfeffer [ˈpfɛfə] ‘pepe’ [ts] it. forza [ˈfɔrtsa], pezzo [ˈpɛttso] [dz] it. zero [ˈdzɛro], mezzo [ˈmɛddzo] [ʈʂ] siciliano patri [ˈpaʈʂi] ‘padre’, matri [ˈmaʈʂi] ‘madre’; [ɖʐ] calabrese (Catanzaro) gaddu [ˈɡaɖɖʐu] ‘gallo’, pedda [ˈpɛɖɖʐa] ‘pelle’ [tʃ] it. ciao [ˈtʃao] [dʒ] it. gioco [ˈdʒɔko] ALVEOLARE PALATALE l ʎ [l] it. lato, ing. leaf [ʎ] it. gli, sp. llegar [ɫ] ing. feel,cult (sollevamento del dorso della lingua e creazione di un secondo diaframma sul velo palatino; laterale alveolare velarizzata) Nelle approssimanti laterali o, più semplicemente, laterali, il diaframma è realizzato dalla lingua nella linea mediana (sagittale) della cavità orali. Il flusso dell’aria pertanto fuoriesce agevolmente da uno o da entrambi i lati della lingua. LABIOPALATALE LABIOVELARE PALATALE ɥ w j [ɥ] labiopalatale; it. quiete, fran. huit [w] labiovelare; it. uovo, fuori [j] palatale; it. ieri, fiamma Nelle consonanti approssimanti non si realizza un vero e proprio diaframma ma, gli articolatori sono solo avvicinati tra loro e il flusso d’aria non ha alcun tipo di ostacolo. Foneticamente sono piuttosto simili ai suoi vocalici ma occupano generalmente, rispetto a questi, una diversa posizione nella sillaba. I DITTONGHI Iato: sequenza di due vocali stabili. ex. Paura, aereo, zio, mio Dittongo: sequenza vocalica che cambia il timbro nel corso dell’articolazione. ex. Fuori, fiori, tiene, azione, noi, mai tra i 2 elementi in un dittongo uno è sempre preminente sull’altro: presenta una maggiore durata, è articolato più distintamente e con una maggiore energia. Si definiscono ascendenti i dittonghi che presentano prima l’elemento più debole e poi quello più forte [semiconsonante + vocale] (fuori, fiori, azione); sono definiti discendenti quelli che presentano l’ordine contrario, con l’elemento forte in prima posizione (noi, mai.) [vocale + semivocale] In italiano i dittonghi ascendenti sono rappresentati mediante una sequenza di approssimante (a cui si da il nome di semiconsonante) + vocale. Per i dittonghi discendenti si ricorre a una vocale seguita da una vocale non sillabica (definita anche semivocale e indicata da IPA mediante un arco collocato al di sotto della vocale corrispondente.) Prendono tradizionalmente il nome di trittonghi le sequenze di dittonghi ascendente e discendente o 2 approssimanti seguite da vocale [forte, debole, forte (miei, tuoi) oppure 2 elementi deboli seguiti da una vocale (quiete, seguiamo); in questi ultimi la prima approssimante, per il contatto con [j] è realizzata come labiopalatale [ɥ]: [‘kɥjɛte] [se’gɥjamo] ]. CARATTERISTICHE PROSODICHE: si tratta di quelle caratteristiche che non sono relative ad un unico suono ma che si distendono nel tempo e accompagnano più segmenti nel nastro fonico. Sono: - la lunghezza dei segmenti - la sillaba - accento, tono e intonazione I segmenti hanno una durata fortemente variabile nel tempo. Tale variabilità è dovuta in gran parte da fattori extralinguistici, dipendenti dalla velocità di eloquio scelta dal parlante. Se si parla più velocemente i segmenti durano meno. Alcune differenze di durata possono però svolgere un lavoro linguistico e solo in questo caso devono essere rappresentate nella trascrizione fonetica. L’IPA prevede la possibilità di indicare 5 livelli di lunghezza: [ĕ] [e] [e˙] [e:] [e::] Il suono breve non porrà ulteriori indicazioni, oppure è sormontato da una linea ricurva con le estremità rivolte verso l’alto (detta mikron); il suono lungo è sormontato da una linea lunga orizzontale (makron). Vocali consonanti I) [a], [ă] [ā] II) [a] [aa] [p] [pp] III) [a] [a:] [p] [p:] In realtà quando le lingue distinguono tra gradi di lunghezza diversi, si limitano a differenziare solo 2 gradi: breve e lungo. Il caso di 3 gradi di lunghezza è molto raro (es. estone): breve, lungo e stralungo. breve lungo Vocali [e] [e:] Consonanti [t] [tt] Affricate [͡ʦ] [͡tts] In italiano la differenza di lunghezza delle vocali dipende dalla posizione dell’accento: le vocali toniche sono sistematicamente più lunghe di quelle brevi. La differenza tra consonanti lunghe e consonanti brevi interviene in posizione intersonante (quando si trovano tra 2 vocali o tra una vocale e una consonante sonorante, cioè approssimante, vibrante o laterale): casa [‘kasa]/ cassa [‘kassa] tufo [‘tufo]/ tuffo [‘tuffo] copia [‘kɔpja¿/ coppia [‘kɔppja] ESISTONO 5 SEGMENTI CHE SONO SEMPRE LUNGHI IN POSIZIONE INTERSONORANTE: [ʃ]: coscia [‘kɔʃʃa], pesce [‘peʃʃe] [ʦ]: pazzo [‘pattso], azione [at’tsjone] [ʣ]: razzo [‘raddzo], azoto [ad’dzɔto] [ɲ]: segno [‘seɲɲo], segnare [seɲ’ɲare] [ʎ] foglia [‘fɔʎʎa], scegliere [‘ʃeʎʎere] La SILLABA rappresenta l’unità fonetica minima che il nostro apparato è in grado di produrre e percepire. La sillaba a sua volta è analizzabile in: - nucleo, la parte più prominente, più sonora della sillaba - margini, sono le parti della sillaba che possono precedere o seguire il nucleo. Più in generale: - l’attacco è il margine che precede il nucleo - la coda è il margine che segue il nucleo ex. Posto [‘pɔs.to] - sillaba [pɔs] - attacco [p] - nucleo [ɔ] - coda [s] SCALA DI SONORITÀ: L’organizzazione in sillabe dell’espressione linguistica riflette la diversa sonorità dei segmenti (i singoli suoni). I segmenti possono essere disposti lungo una scala generale di sonorità (definibile empiricamente): occlusive fricative sonoranti approssimanti vocali - + 1 2 3 4 5 Il nucleo è la parte della sillaba maggiormente sonora. In italiano è occupato da una e una sola vocale. In altre lingue sono possibili nuclei consonantici, in genere rappresentate da sonoranti; es. in inglese: [tl] little, [‘li.tl], [tn] button [‘bʌ.tn] SILLABIFICAZIONE Regole generali di sillabificazione: 1) Una sequenza VCV si sillabifica V.CV, ex ago [‘a.go] Forma dell’espressione Sostanza dell’espressione Se la fonetica ha una realizzazione universale e quindi si colloca sul piano del linguaggio, la fonologia invece assume come punto di vista la lingua, il sistema; si tratterà di caratteristiche proprie della lingua, che dipendono da essa e che possono presentarsi in un modo diverso in un’altra lingua. La fonologia si occupa, cioè di un sistema linguistico determinato. Italiano: (1) [uŋ kafˈfɛ], [uŋ korˈnetto], [un ˈtɛ], [um bisˈkɔtto], [uɱ venˈtaʎʎo] IN ITALIANO UNA NASALE, QUALSIASI SIA LA SUA POSIZIONE, SI ASSIMILA AL LUOGO DELLA CONSONANTE INIZIALE DELLA SEGUENTE PAROLA. EX. in “un” la n è una velare come la k che la segue. ↑ Inglese: (2) ten pens [tem ˈpenz] ‘dieci penne’, ten boxes [tem ˈbɒksɪz] ‘dieci scatole’, ten cups [teŋ ˈkʌps] ‘dieci tazze’ (3) some tables [səm ˈteɪbl̩z] ‘qualche tavolo’, some cups [səm ˈkʌps] ‘qualche tazza’, long-distance [ˌlɒŋ ˈdɪstəns] ‘che copre una lunga distanza’, song book [ˈsɒŋbʊk] ‘libro di canzoni’, ‘canzoniere’. IN INGLESE SI ASSIMILA AL LUOGO DELLA CONSONANTE INIZIALE DELLA SEGUENTE PAROLE SOLO SE LA NASALE, NELLA RAPPRESENTAZIONE LESSICALE ISOLATA, È ALVEOLARE. QUANDO È BILABIALE O VELARE NON SI ASSIMILA ALLA CONSONANTE SEGUENTE. LA PROVA DI COMMUTAZIONE Rappresenta il primo meccanismo formale di analisi e la cui portata si distende ben al di là della semplice fonologia. Tale prova rende espliciti i rapporti sintagmatici e paradigmatici in cui si trova un elemento. Essa si Processi fonologici (postlessicali) Realizzazione fonetica (o superficiale, o postlessicale) Forma fonologica (o soggiacente, o lessicale) basa sulla distinzione tra 3 grandi dati. Se prendiamo una sequenza del significante. Individuiamo un certo elemento minimo e cerchiamo di stabilir quale sia l’unità minima del significante collocata in quella posizione. (1) [ˈtetto] (2) [t] [ˈ_etto] ↑ ↑ elemento da commutare contesto Devo capire se tale elemento è effettivamente commutabile, cioè se sostituisco un elemento di tale parola con un altro elemento ottengo un altro significante. (3) [ˈtetto] ∼ [ˈdetto] Coppia minima o unidivergente, cioè che differisce per un numero minimo di proprietà. [∼] segno di opposizione; spiega come le due parole abbiano significati diversi. (4) pasto [ˈpasto] ~ tasto [ˈtasto] ~ casto [ˈkasto] (5) /p/ ~ /t/ ~ /k/ (6) bare [ˈbare] ~ dare [ˈdare] ~ gare [ˈɡare] (7) /b/ ~ /d/ ~ /ɡ/ (8) /p/ Come risultato possiamo affermare che le parole pasto e basto costituiscono una coppia minima (o coppia unidivergente), ovvero una coppia di parole che si differenzia in una, e una sola, proprietà fonologica. Tale sistema vale anche per le vocali. Posso applicare, cioè, il sistema delle coppie minime e osservare che in italiano la vocale tonica di vinti piò essere commutata con una vocale anteriore medioalta /e/ e con altre. (10) - vinti [ˈvinti] ~ venti ‘20’ [ˈventi] ~ vènti ‘movimenti di masse d’aria’ [ˈvɛnti] ~ vanti [ˈvanti] - butti [ˈbutti] ~ botti ‘recipienti per il vino’ [ˈbotti] ~ botti ‘rumori improvvisi’ [ˈbɔtti] ~ batti [ˈbatti] (11) Un’ulteriore prova a determinare l’inventario fonologico è costituita dall’esame distribuzionale. Dati 2 elementi A e B, questi possono logicamente avere le seguenti distribuzioni nel contesto linguistico: - Distribuzione complementare: in tutti i contesti in cui compare l’elemento A è escluso l’elemento B e viceversa. - Distribuzione sovrapposta: i contesti in cui compare A si sovrappongono solo in parte a quelli in cui compare B e viceversa. - Distribuzione coincidente: in tutti i contesti in cui compare l’elemento A compare anche B e viceversa. Nel caso in cui si trovino in distribuzione complementare, non possono costituire due unità separate, ma vanno considerati come due varianti della medesima unità fonologica. Infine se A e B sono in distribuzione coincidente, possiamo avere entrambe le possibilità: pertanto risulterà risolutiva per stabilire la presenza di opposizioni distintive solo la presenza di eventuali coppie minime. In realtà la prova di distribuzione è logicamente legata alla prova di commutazione: infatti solo dove c’è distribuzione sovrapposta o coincidente si possono formare coppie minime. Laterale dell’inglese: • [l]: leg [lɛɡ] ‘gamba’, long [lɔŋ] ‘lungo’, fly [flaɪ] ‘volare’, play [pleɪ] ‘giocare’ [sempre in attacco] • [ɫ]: health [hɛɫθ] ‘salute’, salt [sɔːɫt] ‘sale’, mail [meiɫ] ‘posta’, fool [fuːɫ] ‘stupido’ [sempre in coda] fonema: /l/ allofoni: [l] [ɫ] Dove compare A [l] non c’è mai B [ɫ] e viceversa. Per questo, solo in inglese, c’è un unico fonema costituita da un’unica laterale per la quale si prende come rappresentate la sua variante più generalizzata. Per questo il fonema /l/ ha diverse realizzazione, cioè allofoni = la medesima rappresentazione della stessa unità formale. Le occlusive sorde dell’inglese sono realizzate mediante diversi allofoni: 1) sono aspirate all’inizio della sillaba: • pie ‘torta’ [pʰaɪ] • tie ‘legare’ [tʰaɪ] • come ‘venire’ [kʰʌm] 3) sono glottidalizzate alla fine della sillaba: • lip ‘labbro’ [lɪʔp] • bit ‘pezzetto’ [bɪʔt] • oak ‘quercia’ [əʊʔk] 2) l’aspirazione non si verifica dopo /s/: • spy ‘spia’ [spaɪ] Il fenomeno è noto come neutralizzazione: l’opposizione funzionale tra 2 elementi è sospesa in alcuni contesti. Tale opposizione non può presentarsi davanti ad altri consonanti. L’opposizione si neutralizza davanti a consonante: /ˈasta/ ∼ /ˈazma/ Ogni singolo fonema ci appare, dunque, come un insieme simultaneo di proprietà diverse: ciascuna di queste consente di differenziare quel fonema dagli altri elementi dell’inventario. In questa prospettiva fu introdotta in fonologia la nozione di tratto come esito ultimo dell’analisi. Il tratto però non costituisce un’unità della lingua: i tratti non si possono presentare isolatamente nella sequenza dell’espressione, ma devono sempre combinarsi tra loro in fasci simultanei, cioè fonemi. L’arcifonema è una forma comune tra 2 fonemi che si sono neutralizzati che ha una serie di caratteristiche che permangono in sede di neutralizzazione. In una coppia di fonemi durante la neutralizzazione ci sono alcune caratteristiche che vengono neutralizzate ed altre che permangono. L’arcifonema si segna con una maiuscola. Arcifonema presenta solo le proprietà comuni ai due membri di un’opposizione neutralizzata: /ˈaSta/ ∼ /ˈaSma/ Roman Jakobson (1896-1982) sviluppò la fonologia in una direzione originale, come ricerca sugli elementi ultimi dell’analisi linguistica. Scomposizione del fonema in tratti distintivi: ad esempio, in due fonemi che si neutralizzano, ci sono alcune proprietà comuni (quelle che caratterizzano l’arcifonema) ma una sola proprietà che differenzia i fonemi (ad es. il coefficiente laringeo della sonorità). In questo modo si è già avviata la scomposizione del fonema in elementi ulteriori di analisi: i tratti. Egli comprende che il fonema è l’unità ultima del significante ma tale unità è analizzabile in elementi che non intervengono successivamente tra di loro ma simultaneamente. Questi esiti di analisi sono stati chiamati TRATTI DISTINTIVI o FONOLOGICI. Il fonema è dunque visto da Jakobson come un fascio di tratti distintivi simultanei. Il turco è la lingua nazionale della Turchia. Il turco si presta molto bene ad un’analisi del suo inventario vocalico in tratti. L’inventario fonetico del turco comprende 8 diverse unità. Ciascuna di queste può comparire in sillaba tonica e in turco è sempre l’ultima sillaba ad essere tonica. ARMONIA VOCALICA: le vocali di una parola possono appartenere solo a uno dei due gruppi fondamentali con cui si divide l’inventario degli 8 fonemi vocalici. Questi 8 fonemi danno luogo a 2 gruppi: uno di vocali anteriori e uno delle corrispettive posteriori. Inventario vocalico del turco: /i, y, e, ø, ɑ, o, ɨ, u/ L’armonia vocalica divide il vocalismo in due gruppi: anteriori /i, y, e, ø/ - posteriori: /ɑ, o, ɨ, u/ • toprak /topˈrɑk/ ‘terra’ • üzengi /yzenˈɡi/ ‘staffa’ • uyanı /ujɑˈnɨ/ ‘sveglio’ [arretrato] - + i y ɨ u e ø ɑ o Una seconda manifestazione dell’armonia vocalica si trova in 2 suffissi: suffissi con armonia a/e: il suffisso del plurale /lɑr/ /ler/: (a) [-arretrato] [ler] diș /diʃ/‘dente’, dișler /diʃˈler/ ‘denti’ gün /ɡyn/ ‘giorno’, günler /ɡynˈler/ ‘giorni’ ev /ev/ ‘casa’, evler /evˈler/ ‘case’ göz /ɡøz/ ‘occhio’, gözler /ɡøzˈler/ ‘occhi’ (b) [+arretrato] kız /kɨz/ ‘figlio’, kızlar /kɨzˈlɑr/ kutu /kuˈtu/ ‘scatola’, kutular /kutuˈlɑr/ ‘scatole’ baș /bɑʃ/ ‘testa’, bașlar /bɑʃˈlɑr/ ‘teste’ yol /jol/ ‘strada’, yollar /jolˈlɑr/ ‘strade’ a seconda della vocale ultima a cui si aggiunge la parola, se sia o meno arretrata, dipende anche se sia più o meno arrotondata Armonia delle vocali alte: suffisso derivativo -li: (a) [-arretrato], [-arrotondato] (voc. /i) • verim /veˈrim/ ‘rendimento’, verimli /veriˈmli/ ‘produttivo’ • ev /ev/ ‘casa’, evli /evli/ ‘accasato’ (b) [+arretrato], [-arrotondato] (voc. /ɨ/) • yıldız /jɨldɨz/ ‘stella’, yıldızlı /jɨldɨzlɨ/ ‘stellato’ • taraf /tɑˈrɑf/ ‘parte’, taraflı /tɑrɑfˈlɨ/ ‘parziale’ (c) [-arretrato], [+arrotondato] (voc. /y/) • tüy /tyj/ ‘pelo’, tüylü /tyjˈly/ ‘villoso’ • köy /køj/ ‘villaggio’, köylü /køjˈly/ ‘rurale’ (d) [+arretrato], [+arrotondato] (voc. /u/) • tuz /tuz/ ‘sale’, tuzlu /tuzˈlu/ ‘salato’ • fosfor /fosˈfor/ ‘fosforo’, fosforlu /fosforˈlu/ ‘fosforescente’ SISTEMA VOCALICO DEL TURCO /i/ /y/ /e/ /Ø/ /ɑ/ /o/ /ɨ/ /u/ ARRETRATO - - - - + + + + BASSO - - + + + + - - ARROTONDATO - + - + - + - + L’inventario di 8 elementi si lascia analizzare attraverso 3 soli tratti, ciascuno avente due valori: + o -. E tutte le possibilità logiche di comunicazione di questi segni sono utilizzate. Le 8 possibilità logiche sono dunque tutte attestare negli 8 fonemi del sistema. SISTEMA VOCALICO DELL’ITALIANO /i/ /e/ /Ɛ/ /a/ /ɔ/ /o/ /u/ ALTO + - - - - - + BASSO - - - + - - - TESO + + - - + + ARRETRAT O - - - - + + + In italiano tutte le vocali arrotondare sono anche arretrate. Quindi è sufficiente sapere che se nel tratto arretrato c’è + queste sono anche arrotondate. Dopo di che abbiamo bisogno di un tratto che distingua tra ‘e’ chiusa e ‘e’ aperta e ‘o’ chiusa e ‘o’ aperta. Quindi abbiamo bisogno di un unico tratto perché indichi la parte che viene neutralizzata; questo è chiamato teso e distingue tra le medio-basse e le medio-alte. In questo modo applicando all’italiano un sistema di analisi che, nelle altre lingue, si offre in modo più geometricamente applicabile, anche il vocalismo dell’italiano risulta scomponibile in un numero di tratti inferiori al numero dei fonemi → 7 fonemi che risultano analizzabili in 4 tratti ciascuno avente due valori possibili: - e +. Nella distinzione dei luoghi diagrammatici del consonantismo si sono succedute numerose soluzioni, ma si opera soprattutto attraverso la combinazione di 2 tratti articolatori: anteriore e coronale. Coronale che caratterizza positivamente gli elementi realizzati con la corona della lingua; avanzato che assume valore positivo in tutti gli elementi prodotti nella regione compresa tra gli alveoli dentali e le labbra. Perciò saranno caratterizzati da [+ avanzato] tutte le labiali, labiodentali, dentali e alveolari; da [- avanzato] le postalveolari, le retroflesse, palatali, velari, uvulari, faringali e glottidali. [+ avanzato] [- avanzato] /p, b, f, v, m/ /t, d, ʦ, ʣ, s, z, n, l/ /ʧ, ʤ, ʃ] /k, g, ɲ, ʎ] [- coronale] [+ coronale] [+ coronale] [- coronale] Definimoa un fonema come più avanzato se questo viene realizzato dalla cresta degli alveoli dentali in avanti. / p b f v m / / t d ʦ ʣ s z n l / / ʧ ʤ ʃ ] [ k g ɲ ʎ ] /j/ /w/ / i / / e / / Ɛ / / a / / ɔ / / o / / u / [sillabico] - - + + + + + + + [consonantico] - - - - - - - - - [basso] - - - - - + - - - [alto] + + + - - - - - + [teso] + + + + - - + + [arretrato] - + - - - - + + + LA RAPPRESENTAZIONE FONOLOGICA DEI TRATTI La rappresentazione fonologica come fascio di tratti distintivi simultanei; es. it. /ˈpɔsta/: p ɔ s t a Sillabico - + - - + Consonantic o + - + + - Sonorante - - - Continuo - + - Coronale - + + Avanzato + + + Alto - - Basso - + Teso - Arretrato + Tale principio esposto nella seconda casella è detto in fonologia PRINICPIO DI CONTRASTO OBBLIGATORIO cioè non si ripete una specificazione uguale ma si indica una nuova specificazione solo se questa si basa su un contrasto con la precedente. Le caselle vuote significano che per quel fonema un certo tratto non si attiva, rimane non specificato. Alla fine degli anni 7, grazie al libro di Goldsmith ‘Autosegmentical and Metrical Phonology’ si si iniziò a diffondere la autosegmentalità: autosegmento= l’idea cioè per cui un fonema di per sè risulta distinguibile su 2 diversi piani: Le X indicano il mero ordine sintagmatico. i due livelli sono collegati da convenzioni di associazione per le quali possiamo avere che un l’elemento del livello timbrico si collega a un elemento del livello scheletrico ad una determinata X. Ciascuno dei due livelli presenta dunque delle unità che sono dette autosegmenti, cioè autonomi, cioè anche in seguito alla caduta di un elemento scheletrico permane un elemento del livello timbro e viceversa. COSTITUENTI PROSODICI = LA SILLABA Struttura fonologica della sillaba σ (= sillaba) At (= attacco) Ri (= rima) Nu (= nucleo) Co (= coda) Si potrebbe dimostrare che la coda interagisce con il nucleo molto meglio di quanto lo faccia l’attacco. Un fenomeno che evidenzia il rapporto esistente tra nucleo e coda è l’allungamento di compenso cioè il passaggio di una vocale da breve a lunga provocata dalla caduta di una consonante. L’allungamento si verifica solo nel caso della caduta di una consonante situata in coda, e non quando viene meno l’attacco della sillaba; il nucleo, pertanto, si prolunga per prendere il posto della coda mancante, e salvaguardare quindi la lunghezza complessiva della rima. Ovviamente con il termine ‘rima’ in fonologia si intende una concezione totalmente diversa dalla rima letteraria. L’allungamento di compenso si è verificato nel latino arcaico. Dal passaggio dal latino arcaico a quello classico ha provocato la caduta di alcune consonanti a) caduta di consonante in coda sillabica: (fricativa alveolare sorda /s/) • osmen /ˈos.men/ > ōmen /ˈoː.men/ ‘presagio’ • *nisdus */ˈnis.dus/ > nīdus /ˈniː.dus/ ‘nido’ • *casnus */ˈkas.nus/ > cānus /ˈkaː.nus/ ‘bianco’ b) caduta di consonante in attacco sillabico: (fricativa glottidale sorda /h/; si dilegua completamente in tutte le posizioni e continuerà ad essere scritto solo in homo e wehis per il rispetto di norme ortografiche) • homō /ˈho.moː/ > /ˈo.moː/ ‘uomo’ • hortus /ˈhor.tus/ > /ˈor.tus/ ‘proprietà recintata’, ‘giardino’ • uehis /ˈwe.his/ > /ˈwe.is/ ‘tu trasporti’ • trahit /ˈtra.hit/ > /ˈtra.it/ ‘lui tira Sempre in latino l’accento della varietà classica di parole composte da più di due sillabe segue la regola di assegnazione comunemente detta “legge della penultima”; l’ultima sillaba è sempre atona, l’accento è collocato sulla penultima sillaba se questa è pesante, altrimenti sulla terzultima. Una sillaba latina è considerata pesante (P) se contiene un nucleo lungo o una coda (o entrambe). È leggera (L) quando contiene una vocale breve e la sillaba è priva di coda (aperta). Pertanto la sillaba pesante è una sillaba con almeno 2 elementi nella rima, mentre quella leggero contiene un solo segmento. 1) penultima L: es. concidō ‘cado’ /ˈkon.ki.doː/ σ At Ri Nu X X ‘kon k i do 2) penultima sillaba P (e quindi tonica): a) concīdo ‘taglio a pezzi’ b) contendo ‘mi tendo con forza’ / konˈkiː.doː/ /konˈten.doː/: Si capisce dunque come il peso sillabico non dipenda dall’attacco o dalla coda, ma dalla lunghezza del nucleo e dalla presenza della coda: il peso della sillaba è quindi unicamente determinato dalla rima. STRUTTURA DELLA SILLABA a) sillaba dell’italiano b) sillaba dell’inglese es. /ˈpjan.to/ es. strange ‘strano’ /streɪndʒ/ sono separati da uno o più elementi); infine si distingue tra assimilazione regressiva (il segmento successivo influisce su quello precedente), progressiva (il segmento precedente diffonde i suoi tratti su quello successivo) e bilaterale (detta anche reciproca; due segmenti su influenzano a vicenda) Esempio: Regola autosegmentale: • /ˈkwesto/ à [ˈkwesso] • /ˈpɔsto/ à [ˈpɔsso] Con dissimilazione si intende il processo inverso rispetto all’assimilazione; ovvero la differenziazione di un segmento rispetto alle caratteristiche di un segmento a lui simile. Un esempio può vedersi in un fenomeno piuttosto diffuso nei dialetti italiani, tradizionalmente chiamato geminazione astratta per cui una consonante lunga si muta in un nesso di due consonanti. Esempio: toscano /roˈtondo/ à [reˈtondo] /roˈmore/ à [reˈmore] LENIZIONE E FORTIZIONE Con lenizione si intende un processo di discesa nella scala di forza consonantica; si verifica in una posizione debole. La fortizione è una salita nella scala, che si verifica in posizione forte. Posizioni deboli e forti dipendono dalla struttura prosodica della lingua. Posizione debole: es. dopo vocale, coda di sillaba, sillaba atona, ecc. Posizione forte: es. dopo consonante, attacco di sillaba, sillaba tonica, ecc Occlusive sorde fricative sorde fricative glottidali Ø Occlusive sonore fricative sonore approssimanti Sono posizioni forte le sillabe toniche, quella immediatamente successiva ad una pausa, quella che segue una consonante, l’attacco di sillaba, l’iniziale di parola; sono posizioni deboli la coda di sillaba, la fine di parola, una vocale in posizione intersonante. Tale processo è notissimo nello spagnolo. Le 3 occlusive sonore /b/ /d/ /g/ sono realizzanti ciascuno mediante due diversi allofoni con distribuzione complementare. Vanno incontro ad un processo sistematico di lenizione quando si trovino in certe condizioni all’interno di parola. Lenizione delle occlusive sonore in spagnolo: (a) buscalo [ˈbuscalo] ‘cercalo’ (b) lobo [ˈloβo] ‘lupo’ voz [bɔθ] ‘voce’ sobre [ˈsoβɾe] ‘sopra’ envidia [emˈbiðja] ‘invidia’ alba [ˈalβa] ‘alba’ ombre [ˈɔmbɾe] ‘uomo’ desbrozar [dezβɾoˈθaɾ] ‘pulire’ domingo [doˈmiŋgo] ‘domenica’ crudo [ˈkɾuðo] ‘crudo’ mundo [ˈmundo] ‘mondo’ madre [ˈmaðɾe] ‘madre’ toldo [ˈtɔldo] ‘tenda’ orden [ˈɔɾðen] ‘ordine’ dezde [ˈdezðe] ‘da’ tomadlo [toˈmaðlo] ‘prendetelo’ gallo [ˈɡaʎo] ‘gallo’ seguir [seˈɣiɾ] ‘seguire’ venganza [beŋˈɡanθa] ‘vendetta’ alegre [aˈleɣɾe] ‘allegro’ cargo [ˈkaɾɣo] ‘posto’ colgar [kɔlˈɣaɾ] ‘appendere’ rasguño [razˈɣuɲo] ‘graffio Come caso di fortizione notiamo in italiano il mutamento di /s/ nell’affricata [ʦ] dopo consonante. Si ha quindi una crescita della forza consonantica dovuta alla posizione forte. Il fenomeno è testimoniato solo dopo sonorante dal momento che questa è l’unica posizione postconsonantica in cui compare lessicalmente /s/, per lo meno nel lessico ereditario. • /ˈpɛnso/ → [ˈpɛnʦo] • /penˈsjone/ → [penˈʦjone] • /ˈborsa/ → [ˈborʦa] • /ˈkorso/ → [ˈkorʦo] • /ˈfalso/ → [ˈfalʦo] • /ˈsalsa/ → [ˈsalʦa] L’inserimento di un segmento è ulteriormente classificato secondo la posizione assunta da quest’ultimo: si parla di protesi se il nuovo elemento è inserito in posizione iniziale di parole, di epentesi se l’inserzione avviene all’interno della parola, di epitesi per aggiunte in fine parola. Inserimento, classificato sulla base della posizione nella parola: 1) prostesi, in posizione iniziale di parola (una parola iniziante per s seguita da consonate determina l’introduzione di una vocale successiva che ristabilisce i confini) • /per ˈskritto/ à [per isˈkritto] • /in ˈspjaddʒa/ à [in isˈpjaddʒa] 2) epentesi, all’interno di parola: • /fanˈtazma/ à [fanˈtazima] • /psiˈkɔloɡo/ à [pisiˈkɔloɡo] • /alˈleɡro/ à [alˈleɡiro] 3) epitesi, in posizione finale di parola (sardo logudorese): (una parola in fine di frase non può termine per consonante. Quando una parola termina per consonante si aggiunge una vocale finale che ripete quella immediatamente precedente). (a) issu este ‘lui è’ (b) est issu ‘è lui’ issu finiti ‘lui finisce’ finit issu ‘finisce lui’ issos àndana ‘loro vanno’ àndan issoso ‘vanno loro’ issos sunu ‘loro sono’ sun(t) issoso ‘sono loro’ CANCELLAZIONE Anche questa è tradizionalmente classificata rispetto alla posizione dell’elemento soppresso rispetto alla parola: si parla quindi di aferesi per la caduta di un elemento all’inizio di parola, di sincope se a cadere è un elemento all’interno di parola o di apocope per il dileguo della finale di parola. 1) aferesi: in posizione iniziale di parola: inglese • I am /ˈaɪ əm/ → I’m [ˈaɪ m] • He is /ˈhiː ɪz/ → he’s [ˈhi z] 2) sincope, all’interno della parola: francese: • revenez ‘(voi) ritornate’ /ʁəvˈne/ à [ˈʁvne] • cela ‘ciò’ /səˈla/ à [ˈsla] • devant ‘davanti’ /dəˈv / à [ˈdv ]ɑ̃/ à [ˈdvɑ̃] ɑ̃/ à [ˈdvɑ̃] • retrouvez ‘(voi) trovate’ /ʁətʁuˈve/ à [ʁtʁuˈve] • jetez ‘(voi) buttate’ /ʒəˈte/ à [ˈʒte] 3) apocope, in posizione finale di parola (una sequenza bivocalica finale viene ridotta attraverso la caduta della vocale finale in posizione proclittica). • Antonio à Antò • Doménico à Domé Meno sistematico è infine il caso della metatesi, ovvero il mutamento di ordine degli elementi in una determinata sequenza. Un caso di metatesi sporadico, testimoniato dai dialetti italiani, è dato dallo spostamento da una sillaba ad un’altra di una vibrante collocata in un nesso C[r]. • /ˈfabbro/ à [ˈfrabbo] • /ˈvetro/ à [ˈvreto] • /ˈkapra/ à [ˈkrapa] • /ˈdentro/ à [ˈdrento] vero [ˈvero] [ˈvɛro] In italiano regionale sardo, il sistema di partenza è analogo a quello italiano meridionale estremo. C’è però una metafonia: le medio-basse diventano medio-alte se sono seguìte da [i] o [j] nella sillaba successiva: it. Standard it. sardo sento [ˈsɛnto] [ˈsɛnto] senti [ˈsɛnti] [ˈsenti] Metafonesi: in presenza di una finale [+alto], una tonica media diventa [+teso]: Consonantismo: italiano settentrionale I suoni [ʃ], [ʎ], [ɲ], in posizione intersonante, sono sistematicamente lunghi in italiano standard (e centromeridionale); ma sono brevi nell’italiano settentrionale: it. standard it. settentrionale coscia [ˈkɔʃːa] [ˈkɔʃa] bagno [ˈbaɲːo] [ˈbaɲo] maglia [ˈmaʎːa] [ˈmaʎa] Nell’italiano centro-meridionale la lista dei suoni sempre lunghi in posizione intersonante comprende anche [b] e [dʒ]: it. standard it. centro-meridionale roba [ˈrɔba] [ˈrɔbːa] fiaba [ˈfjaba] [ˈfjabːa] Nell’italiano centro-meridionale e in quello toscano, /tʃ/ intervocalico è realizzato [ʃ]: it. standard it. centro-meridionale dieci [ˈdjɛtʃi] [ˈdjɛʃi] camicia [kaˈmitʃa] [kaˈmiʃa] Nell’italiano centro-meridionale /s/ è realizzato /ts/ dopo consonante: it. standard it. centro-meridionale borsa [ˈborsa] [ˈbortsa] falso [ˈfalso] [ˈfaltso] Nell’italiano centro-meridionale le occlusive sorde intervocaliche /p t k/ sono realizzate come ‘deboli’: it. standard it. centro-meridionale capo [ˈkapo] [ˈkab̥o] andato [anˈdato] [anˈdad̥o] amico [aˈmiko] [aˈmi o]ɡ̊o] Nell’italiano toscano le occlusive sorde intervocaliche /p t k/ sono realizzate come fricative sorde (“gorgia” toscana): it. standard it. toscano capo [ˈkapo] [ˈkaɸo] amico [aˈmiko] [aˈmiho] A [dʒ] intervocalico dello standard, corrisponde [ʒ] nell’italiano di Toscana: it. standard it. toscano • prigione [priˈdʒone] [priˈʒone] 1) Realizzazione molto avanzata dei due suoni /tʃ/ e /dʒ/, che diventano quasi [ts], [dz]: • cena [ˈtsena], giallo[ˈdzallo] 2) /ts/ e /dz/ sono realizzate come fricative [s] [z]: • piazza [ˈpjassa], zero [ˈzero] 3) realizzazione arretrata di /s/ e /z/ (la cosiddetta “s salata”): • sospetto [ʂoʂˈpɛtto], sbaglio [ˈʐbaʎo] Sonorizzazione delle sorde dopo nasale: conto [ˈkondo] concetto [konˈdʒɛtto] compiere [ˈkombjere] incontrare [iŋɡonˈdrare] insetto [inˈdzɛtto] Palatalizzazione delle fricative preconsonantiche: 1) Napoli: • spero [ˈʃpɛro] • scopa [ˈʃkopa] • stomaco [ˈstomako] [ˈstommako] 2) Altre aree (p. es. Abruzzo): • spero [ˈʃpɛro] • scopa [ˈʃkopa] • stomaco [ˈʃtomako] Consonantismo Sicilia Realizzazione di r: 1) in posizione iniziale diventa intensa e retroflessa: • rosa [ˈɽɽɔsa], ricco [ˈɽɽikko] 2) in posizione interna intervocalica intensa –rr- diventa retroflessa: • terra [ˈtɛɽɽa] 3) realizzazione come affricata retroflessa dei nessi tr, dr, str: • treno [ˈʈʂɛno], dritto [ɖʐitto], strano [ˈsʈʂano] Raddoppiamento fonosintattico In italiano standard si ha raddoppiamento della consonante iniziale di parola se questa è preceduta da alcune particolari forme. 1) Dopo qualunque parola che finisca per vocale accentata: - città nnuova, - caffè nnero, - andò vvia, - arriverò ddomani 2) Dopo parola raddoppiamente: 2.1) tutti i monosillabi scritti con un accento grafico: è, già, dà, né, può, ecc. 2.2) Dopo i seguenti monosillabi: a, che, chi, da, do, e, fa, fra, fu, gru, ha, ho, ma, me, no, o, qua, qui, re, sa, se (congiunzione), so, sta, sto, su, te, tra, tre, va, vo; più tutte le note musicali (do,re, mi, ecc.). 2.3) Dopo i seguenti bisillabi piani: come, dove, qualche, sopra. Nella reggenza, l’elemento reggente seleziona alcuni valori di categoria nell’elemento retto, senza però condividerli. Es. tedesco: • mit mir con PRO.1.SG.DAT ‘con me’ • ohne mich senza PRO.1.SG.ACC ‘senza di me’ IL PARADIGMA DI FLESSIONE Il paradigma è una matrice: ogni categoria è una dimensione della matrice, ogni valore di categoria è un numero di celle. Ogni cella contiene una forma flessa caratterizzata da una determinata combinazione di valori di categorie grammaticali. SG PL Pied e piedi Nome italiano Aggettivo italiano verbo italiano I lessemi appartenenti a parti del discorso variabili possono raggrupparsi anche in diverse classi di flessione, dette coniugazioni per i verbi e declinazioni per nomi, aggettivi e pronomi. Una classe di flessione raccoglie un insieme di lessemi che formano le diverse forme flesse del loro paradigma nello stesso modo. IL MORFEMA Il morfema è l’unità minima di significante e significato, unità di prima articolazione. Per individuare i morfemi esistenti in una lingua si procede comparando espressioni che abbiano in comune delle porzioni di significante, per verificare se a una stessa porzione di significante corrisponde uno stesso significato. Per esempio possiamo comparare la parola cane con le parole canto, tucano e canile. Tutte contengono una sequenza /kan/ ma solo in cane e canile questa sequenza corrisponde al significato “animale domestico”, mentre in canto e tucano la sequenza /kan/ non sembra corrispondere ad alcuna parte del significato delle parole intere. Una prima distinzione è quella tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. I morfemi grammaticali sono quelli che hanno come significato i valori delle categorie grammaticali obbligatoriamente espresse in una lingua; i morfemi lessicali hanno invece come significato ogni altra possibile porzione di sostanza del piano del contenuto. Un’altra distinzione è quella tra morfemi liberi e morfemi legati. Si dicono liberi i morfemi che possono costituire una parola da soli, e legati quelli che si presentano solo all’interno di parole polimorfemiche, senza mai costituire parole da soli. In italiano la maggior parte dei lessemi sono legati, mentre in inglese la situazione è diversa. Morfemi liberi e morfemi legati: SG PL 1 Canto Cantiam o 2 Canti Cantate 3 Canta cantano M F SG Ross o Rossa PL Rossi Rosse • dog ‘cane’ • dog-s ‘cani’ cfr. scomposizione in morfi dell’italiano: • can-e • can-i Classificazione per posizione dei morfi grammaticali: • prefissi • infissi • suffissi I morfemi lessicali legati sono detti anche radici, i morfemi grammaticali e derivazionali legati sono detti affissi. In base alla posizione rispetto alla radice all’interno della parola, sono detti prefissi gli affissi disposti prima della radice all’interno della parola, e suffissi quelli disposti dopo. I morfemi grammaticali legati suffissati sono detti anche desinenze. ALLOMORFIA Sono detti due o più morfi che abbiano lo stesso significato allomorfi di uno stesso morfema. Nell’allomorfia si hanno diverse entità sul piano del significante che rappresentano un’unica entità sul piano del significato. Plurale dell’inglese: suffisso -/z/, con allomorfi /ɪz/ e /s/ (1) dopo /s, z, ʃ, ʒ, tʃ, dʒ/ si ha l’allomorfo /ɪz/: bus /bʌs/ ∼ pl. buses /ˈbʌsɪz/; buz ‘ronzio’ /bʌz/ ∼ buzzis / ˈbʌzɪz/; crash ‘fracasso’ /kræʃ/ ∼ pl. crashes ˈ/kræʃɪz/, edge ‘bordo’ /edʒ/ ∼/ˈedʒɪz/ (2) dopo altra consonante sorda si ha l’allomorfo /s/: cup ‘coppa’ /kʌp/ ∼ pl. cups /kups/; roof ‘tetto’ /ruːf/ ∼ pl. roofs /ruːfs/; pot ‘barattolo’ /pɒt/ ∼ pots /pɒts/; /z/ /s/ /[−sonoro] + ____# (3) in tutti gli altri casi si ha la forma base /z/: tree ‘albero’ /triː/ ∼ pl. /triːz/; day ‘giorno /deɪ/ ∼ days /deɪz/; room ‘stanza’ /ruːm/ ∼ pl. rooms /ruːmz/; leg ‘gamba’ /leɡ/ ∼legs /leɡz/. tale processo è detto allomorfia fonologicamente condizionata. Si tratta di formazione di tipo fonologico, non vi sono informazione di tipo morfologico. In questo caso le tre regole devono essere applicate secondo l’ordine enunciato (regole cicliche) ALLOMORFIA MORFOLOGICAMENTE CONDIZIONATA La consonante finale di un morfema lessicale italiano da [– coronale] diventa [+coronale] nel caso in cui abbiamo il segmento in questione associato ad un tratto [– avanzato] (velare), il quale è seguito da confine di morfema e poi da una vocale anteriore (i oppure e) ma che sia MASCHILE. Le allomorfie sono quindi, o condizionate fonologicamente, o condizionate morfologicamente. MORFI PROBLEMATICI Si è proposto di chiamare morfo ogni elemento di significato segmentabile all’interno di una parola, e di riservare il termine morfema solo per gli elementi di significato. Con questa nuova terminologia si può dire che nella forma flessa chiaro possiamo individuare un morfo –o che rappresenta due morfemi “maschile” e “singolare”. In questa terminologia vengono chiamati morfemi delle entità che appartengono al piano del contenuto, dei significati, mentre si usa morfo per indicare entità che appartengono al piano dell’espressione, dei significanti. Morfi che rappresentano contemporaneamente più di un tratto morfosintattico, sono detti morfi cumulativi, o a volte amalgami. Morfi di questo tipo rappresentano un problema per un modello a entità e disposizioni, in quanto a due entità sul piano del significato corrisponde a una sola entità sul piano del significante. M F SG /a’miko/ /a’mika/ PL /a’miʧi/ /a’mike/ Lessico e vocabolario Molto spesso i termini lessico e vocabolario sono usati come sinonimi. Ma il lessico è formato dalle parole astratta – i lessemi -, il vocabolario è formato dalle unità – i vocaboli -. Il vocabolario è dunque l’insieme dei vocaboli usati da un singolo parlante o da un gruppo di parlanti o, in senso ancora più restrittivo, l’insieme di vocaboli che compaiono in un singolo testo scritto o parlato. Il lessico invece è costituito dalla somma di questi insiemi, cioè dall’insieme di tutti i vocabolari, che formano la massa dei lessemi effettivamente esistenti e attestati nei testi e nei discorsi realizzati in una lingua. Il lessico inoltre è infinitamente più ampio di qualunque dizionario. La rappresentazione del lessico fornita da un dizionario non può che essere parziale, da un lato perché include solo lessemi effettivamente testati, escludendo unità lessicali possibili ma non attestate, dall’altro perché anche tra le unità attestate opera comunque una selezione. Di tutti i lessemi effettivamente attestati solo una parte è registrata nei dizionari: il più ampio dizionario di una lingua europea l’Oxford English Dictionary, registra 550.000 lessemi. Ciascuna unità lessicale registrata in un dizionario è chiamata lemma o entrata, e si chiama lemmario l’insieme dei lemmi e lemmatizzazione l’operazione con cui si registra una parola come lemma. La lemmatizzazione è raramente un’operazione automatica, soprattutto per la presenza di numerosi omonimi cioè lessemi che hanno la stessa forma ma diverso significato. Ex. piano (pianoforte) (superficie piana) (progetto) (lentamente). Se l’identità è solo grafica, i lessemi sono detti omografi; se riguarda solo la pronuncia sono detti omofoni. I lessemi sia omografi che omofoni sono detti omonimi, e omonimi assoluti o perfetti se appartengono anche alla stessa parte del discorso. Si chiama lessicografia l’attività di realizzazione dei dizionari, e più in generale, la disciplina che ha per oggetto i principi e le tecniche per registrare e descrivere i vocaboli di una lingua. La lessicologia è invece il settore della linguistica che si occupa dello studio generale del lessico, cioè della forma, della storia, del significato e dell’uso dei lessemi che formano il sistema lessicale di una lingua. LA FORMAZIONE DEI LESSEMI Ogni lessema è assegnato a una categoria lessicale. Categorie lessicali principali: N(ome) V(erbo) A(ggettivo) P(reposizione) Altre categorie: Det(erminante) Pro(nome) Avv(erbio) Comp(lementatore) Nuovi lessemi di una lingua vengono creati continuamente. La capacità di produrre e comprendere nuovi lessemi è stata spiegata ipotizzando che i parlanti abbiano a disposizione delle regole di formazione dei lessemi. La classe di lessemi cui una RFL si applica è detta dominio o base della regola. Nuovi lessemi possono essere formati attraverso diversi tipi di operazioni. In primo luogo si possono formare per composizione di due o più lessemi esistenti. Ad esempio sono lessemi composti dell’italiano caposquadra, buttafuori, cassaforte; in inglese redskin, earthquake , handmade etc. si possono formare lessemi anche con il procedimento della composizione neoclassica: in questo caso vengono uniti non più due o più lessemi esistenti, ma due o più elementi che hanno significati della stessa natura di quelli dei lessemi (dunque non sono affissi), ma non condividono un’altra caratteristica essenziale dei lessemi, quella di poter, nelle loro forme flesse, far parte di una frase. Esempi di questi elementi entità come CARDIO- o NEFRO- che hanno un significato coincidente con quello dei lessemi CUORE E RENE, e possono entrare in composizione ad esempio con elementi come -PATIA, -LOGIA, dando luogo a composti come CARDIOLOGIA, NEFROPATIA, ma non possono essere utilizzati in costruzioni sintattiche ( non diciamo *mi fa male un nefro*, *senti come mi batte il cardio*). Questi lessemi sono detti neoclassici perché hanno origine dalle lingue classiche greco e latino. La formazione neoclassica è utilizzata soprattutto per la composizione di termini tecnici di diverse scienze. Tre proprietà fondamentali per la loro definizione: • non inseribilità: *agro-molto-dolce • non interrompibilità: *un asciuga • ordine rigido: *armato carro Composti endocentri: uno degli elementi del composto svolge il ruolo di testa: 1) Testa a sinistra • [[PESCE]ɴ + [CANE]ɴ]ɴ • [[CAPO]ɴ + [STAZIONE]ɴ]ɴ • [[CARRO]ɴ + [ARMATO]ᴀ]ɴ 2) Testa a destra • [GENTIL]ᴀ + [UOMO]ɴ]ɴ Composti privi di testa (esocentrici) • [[ASCIUGA]ᴠ + [MANO]ɴ]ɴ • [[PELLE]ɴ + [ROSSA]ᴀ]ɴ I lessemi possono formarsi anche per aggiunta di un affisso ad un lessema già esistente: tale processo è detto derivazione, e i tipi di derivazione più diffusi sono la suffissazione e la prefissazione. Ex. lava-trice, post-ino, s- cucire, in-utile, anti-sismico, senti-mento, bell-ezza, best-iame, auto-gestione, ri-fare, sovra-pporre. CICLO DI DERIVAZIONE > Il processo di derivazione agisce in sincronia, partendo da un lessema esistente, che viene messo in rapporto paradigmatico con altri lessemi: • giorno • giornale • giornalista Ciclo di formazione dei lessemi: • giorno → giornale → giornalista Scomposizione: • [GIORN]ɴ + al]ɴ +ista]ɴ Classificazione dei morfemi: • {giorn} + {al}+{ist} + {a} mofema morfemi morfema lessicale grammaticali grammaticale derivazionali flessionale Definiamo testa di un lessema quel morfema che fornisce la sua categoria lessicale all’intero lessema. • norma → normale → anormale • [a [[NORM]ɴ + ale]ᴀ Mentre i suffissi derivativi intervengono sempre sulle categorie lessicali, i prefissi derivativi non intervengono mai sulle categorie lessicali. Pertanto i prefissi non possono mai essere la testa di un derivato. La testa di un derivato è sempre costituito dall’ultimo morfema che precede direttamente il flessivo. Si possono avere anche nella formazione di lessemi processi cosiddetti di raddoppiamento, nei quali un affisso è formato copiando in parte o in tutto i fonemi della base. Ad esempio in maori abbiamo le seguenti coppie di aggettivi: “pango” ‘nero’, “papango” ‘scuro, nerastro’. Un altro modo per formare nuovi lessemi è la conversione, un procedimento che consiste nel creare un nuovo lessema appartenente ad una certa parte del discorso a partire da un lessema esistente appartenente a una parte del discorso diversa, senza però utilizzare alcun affisso. Sono esempi in italiano nomi come arrivo, sosta (rispettivamente dai verbi arrivare e sostare) e verbi come martellare, cestinare, stancare, snellire. In inglese nomi come run da to run e verbi come to bottle da bottle. Combinando prefissazione e conversione si formano i verbi cosiddetti parasintetici, cioè verbi come abbottonare, imburrare, inaridire. Si tratta di verbi prefissati che derivano da nomi e aggettivi senza che sia attestato né un verbo denominale o deaggettivale formato per conversione delle stesse basi (*bottonare, *burrare, *aridire) né un corrispondente nome o aggettivo prefissato. LA SINTASSI La sintassi di una lingua è la parte grammaticale che regola la formazione e la struttura delle frasi e dei loro costituenti. Il programma scientifico dello studio della sintassi può essere riassunto in tre obiettivi principali: innanzitutto quello di rendere il più possibile esplicite le proprietà delle frasi che i parlanti di una lingua giudicano accettabili, e di dar conto di cosa non funziona nelle frasi che i parlanti giudicano non accettabili. Il secondo scopo è quello di rendere manifeste il più possibile tutte le proprietà sintattiche di una lingua, quelle cioè che fanno sì che ogni parlante sia in grado di produrre e comprendere non solo le frasi già usate in precedenza ma anche sequenze nuove, e anche mai usate da nessun parlante prima. Infine possiamo indicare un terzo obiettivo: la comparazione della sintassi di lingue diverse. La comparazione può essere circoscritta a lingue molto simili e imparentate, oppure identificare proprietà simili in lingue diverse, prescindendo dalla loro eventuale discendenza da una lingua comune: si può notare, per esempio, che il giapponese, il turco e il persiano, tendono a costruire la frase posizionando il verbo in ultima posizione. Quanto alle interrogative, si distinguono ulteriormente in interrogative totali (o interrogative sì/no) e le interrogative parziali. La struttura delle prime presuppone una risposta che può essere ridotta ad un sì o un no. Ex. esci presto stamattina? In italiano le interrogative totali si ottengono dalle corrispondenti dichiarative mediante il mutamento dell’intonazione o, nello scritto, con l’inserimento del punto interrogativo finale. Nelle interrogative parziali, è invece, uno dei costituenti della corrispondente frase dichiarativa a essere sostituito con un’espressione interrogativa collocata in apertura di frase. (chi, come, quando etc.) Ex. chi ha chiamato ieri? Cosa ha comprato Giovanni? DIATESI DELLA FRASE > è possibile avanzare un’ulteriore distinzione sulla base della diatesi della frase. Frasi attive e frasi passive: un complesso di regole consente di passare da un sottogruppo delle prime, quelle che hanno almeno un soggetto e un oggetto, alle seconde. (1) a. I vigili del fuoco hanno spento l’incendio in pochi istanti. b. L’incendio è stato spento dai vigili del fuoco in pochi istanti. 2) a. I dissidenti politici erano lanciati vivi in mare dagli aerei da parte della polizia del regime. b. La polizia del regime lanciava vivi in mare dagli aerei i dissidenti politici. Altre lingue, come ad esempio il greco antico, distinguono in parte del sistema dei verbi tre diverse diatesi: oltre all’attivo e al passivo è presente una terza diatesi detta tradizionalmente media. Alcune delle lingue, come l’italiano, sono prive del valore medio nella categoria grammaticale della diatesi, è presente anche la frase riflessiva: l’oggetto sintattico è rappresentato da un pronome atono che precede il verbo (si nel nostro caso) e che rimanda allo stesso referente del soggetto. LA FRASE NON MARCATA > ulteriori classificazioni possono essere avanzate prendendo in esame l’ordine degli elementi della frase. d) Pietro porta il dolce. Ecco Pietro col dolce. Il dolce è potato da Pietro. Queste frasi differiscono nel modo di presentare l’informazione e presentano variazioni più o meno profonde nella sintassi. Per ognuna delle rappresentazioni proposte è possibile individuare un tipo non marcato: se si sommano tra di loro le diverse opzioni non marcate si ottiene un tipo di frase, che sarà: indipendente, verbale, affermativa, dichiarativa, attiva. Questo tipo di espressione è detta frase non marcata. LA STRUTTURA ARGOMENTALE DELLA FRASE Le frasi non marcate, pur essendo in numero minore, sono le più importanti da analizzare. Esse sono riconducibili a un numero molto piccolo di strutture fondamentali, identificate sulla base dei seguenti elementi: il predicato e i cosiddetti argomenti, cioè quelli elementi che se soppressi rendono la frase agrammaticale e inaccettabile. Gli argomenti sono costituiti da almeno un nome. Il predicato è presente in tutte le frasi, per il resto si possono fare le seguenti distinzioni: 1. Frasi prive di argomenti, dette anche non argomentali o zerovalenti (ex. Oggi Piove. Nevica molto) 2. Frasi che presentano un solo argomento, dette anche monoargomentali o monovalente. (ex. Giovanni arriva presto. Il gatto dorme.) 3. Frasi con due argomenti, o biargomentali o bivalente (ex. La polizia arrestò i malviventi. Il personale ha compiuto una grande scoperta.) 4. Frasi con tre argomenti, o triargomentali o trivalente (ex. Il medico ha prescritto a Maria un lungo riposo. La vita mi ha regalato te.) Gli argomenti sono classificabili ricorrendo a tre nozioni fondamentali: il soggetto, l’oggetto e l’oggetto indiretto. Le relazioni grammaticali di soggetto, oggetto e oggetto indiretto sono argomenti del nucleo della frase. Queste funzioni si manifestano attraverso proprietà di diverso tipo: a) Proprietà morfologiche: nelle lingue che segnalano mediante morfi le diverse categorie del caso: ad esempio in latino il soggetto ha tra le sue proprietà quella di essere marcato nel caso nominativo, l’oggetto nel caso accusativo e l’oggetto interno nel caso dativo. b) Proprietà sintattiche: possono riguardare sia l’ordine dei costituenti nella struttura della frase, sia i collegamenti tra i vari costituenti. Per fare un esempio del primo tipo si può osservare che, soprattutto nelle lingue che non segnalano con appositi morfi i valori delle categorie del caso, il soggetto l’oggetto e l’oggetto interno possono presentare un ordine preferenziale rispetto alla posizione del predicato: ex. Paolo vede Luca. Luca vede Paolo. Un esempio del secondo tipo è dato dai fenomeni di accordo: ex. nella frase “Fabius adiudicaius solum populo romano” il nome populo è flesso al caso dativo perché quel caso gli è assegnato dal predicato, mentre l’aggettivo romano si trova al dativo perché retto dal predicato. c) Proprietà semantiche: possono essere di due tipi: un primo tipo, indipendente rispetto al contenuto della frase, è costituito dalle caratteristiche inerenti al sintagma nominale che rappresenta un argomento: ad esempio in spagnolo un complemento oggetto che indica una persona viene introdotto da preposizione, diversamente da uno che indica un’unità inanimata: he visto a mi hijo/ he visto el coche. Un secondo tipo è costruito, invece, dal ruolo che un argomento svolge nell’evento descritto dalla frase: si tratta di proprietà già individuate e adoperate nelle definizioni della grammatica tradizionale, secondo la quale “il soggetto è colui che compie l’azione”, poi raffinate dalla linguistica moderna. d) Proprietà pragmatico-informative: le frasi possono essere analizzate anche in base alla struttura dell’informazione che portano, distinguendo un tema, cioè più o meno “ciò di cui parla la frase” da un rema, cioè “ciò che si dice del tema”. STRUTTURE NON ARGOMENTALI: esempi di frasi senza argomenti si hanno in italiano, per lo più coi verbi cosiddetti “metereologici”. Ex. piove Ha grandinato Strutture monoargomentali: le strutture in cui il predicato è affiancato da un solo argomento sono normalmente intransitive. (1) Mio fratello parte. (2) Arrivava il treno. Due tipi di strutture monoargomentali: (1) Mio fratello è partito (2) Giovanni ha dormito. Altre proprietà della frase (1) assenti nella (2): (3) Partito mio fratello, Anna si è ripresa. (4) *Dormito mio fratello, Anna si è ripresa. Strutture biargomentali: il predicato è accompagnato da un soggetto e da un altro argomento. Queste costruzioni possono essere sia transitive che intransitive: 1) La professoressa ha preso il gesso. 2) Il viaggiatore abita in città. Strutture triargomentali: queste strutture presentano generalmente come predicato uno dei verbi comunemente detti “del dire e del dare”, oppure un verbo come mettere o mandare. In italiano standard l’oggetto non è introdotto da alcuna preposizione, mentre il terzo argomento presenta una preposizione: 1) La nonna racconta una storia ai bambini. 2) Il viaggiatore si è messo un biglietto in tasca. NUCLEO E AGGIUNTI Chiamiamo nucleo della frase l’insieme del predicato e degli argomenti. Tutti gli altri elementi presenti nella frase non marcata sono detti aggiunti (o anche espansioni). Gli aggiunti, a differenza degli argomenti, possono essere omessi senza compromettere la grammaticalità della frase. RUOLO SEMANTICO In linguistica, il ruolo semantico (o tematico) specifica la relazione (semantica e non sintattica) tra il verbo e i propri argomenti identificandone i ruoli svolti. Riguarda cioè il modo in cui il referente partecipa all’evento della frase. I ruoli sintattici maggiormente usati nelle descrizioni sintattiche sono: agente/attore: colui che intenzionalmente da inizio ad un’azione o ad un evento (ex. Marco calcia il pallone) paziente: la persona o cosa che subisce un mutamento per effetto di un’azione o di un evento non causato da essa. (ex. Giovanni ha rotto una tazza) tema: la persona o cosa che si trova in un certo stato di cose, o la cui posizione è modificata dall’azione espressa dal predicato (ex. Susanna è molto magra. - Lucia posa la penna sul tavolo) esperiente: l’entità senziente che sperimenta uno stato psicologico come conoscere, percepire, provare un’emozione (ex. Paolo riflette sulla proposta) beneficiario: l’entità che trae beneficio da un evento (Lisa prepara una torta per Gina) strumento: entità, normalmente inanimata, manipolata da un’agente nel compiere un’azione (Cristina apre la porta con la chiave) fine/meta: qualcuno o qualcosa a cui o verso cui si manda qualcos’altro (ex. Raffaele spedisce una cartolina a Mara) provenienza: il punto di origine di un processo (ho preso un libro dalla biblioteca) locativo: il luogo in cui sono situati un’azione o uno stato di cose (Roberto legge il giornale in cucina) c) *Lo zio preparò una torta molto per e davvero con. Inoltre le parole o i gruppi di parole uniti da una congiunzione partengono di norma alla stessa categoria lessicale o sintagmatica, mentre è inaccettabile una frase costruita congiungendo parole o sintagmi di categorie diverse: a) *Lo zio e per la zia prepararono una torta molto buona. b) *Lo zio preparò una torta e calda c) *Lo zio preparò una torta molto buona e per Maria 5) Test dell’ellissi: indica la possibilità propria dei costituenti di essere omessi all’interno di un enunciato a certe condizioni, qualora il loro contenuto sia recuperabile. a) Lo zio preparò una torta molto buona e la zia preparò un ciambellone. b) Lo zio preparò una torta molto buona e la zia un ciambellone. c) *Lo zio preparò una torta molto buona e la zia preparò ciambellone. 6) Test della sostituibilità: identifica i costituenti grazie alla loro proprietà di essere sostituiti da parte di altri elementi, tipicamente dei pronomi. a) Lo zio preparò una torta molto buona. b) Lo zio la preparò. c) Lo zio preparò una torta per Maria d) Lo zio le preparò una torta e) Lo zio mise i canditi nella torta. f) Lo zio ci mise i canditi. IL SINTAGMA NOMINALE Il sintagma nominale è un gruppo di parole organizzate attorno ad un nome, che ne costituisce la testa. Il sintagma nominale italiano è per lo più preceduto da un determinante. Per esempio il sintagma nominale lo zio è analizzabile nel seguente modo: Con i test sono stati individuati due ulteriori sintagmi nominali: una torta molto buona e il compleanno di Maria. Nel sintagma nominale l’aggettivo è di norma collocato dopo la testa nominale; alcuni aggettivi sono frequentemente collocati prima del nome; tra questi soprattutto i possessivi. Un sintagma nominale può essere realizzato da un pronome. Pronome (Pro): sostituente del sintagma nominale. Rappresentato dai pronomi personali. Io bevo solo vino rosso In italiano l’espressione del pronome nelle frasi non marcate non è obbligatoria, per cui il pronome io della frase ↑ può essere omesso. Molte lingue non hanno questa possibilità. Sulla base di questa differenza si è identificato un parametro sintattico, detto parametro del soggetto nullo (o in inglese Pro-Drop) per cui ogni lingua può appartenere a uno dei due gruppi: a) Le lingue a soggetto nullo (o Pro-Drop) b) Le lingue a soggetto obbligatorio (o non Pro-Drop), come ad esempio l’inglese o il francese. In questo ultimo caso, le lingue a soggetto obbligatorio prevedono la presenza di un pronome espletivo, ovvero un pronome di terza persona singolare (che ha genere neutro ove questo è disponibile), il quale occupa esclusivamente la posizione di soggetto, non ha alcun ruolo tematico e non può essere argomento della frase. La presenza dell’espletivo nelle lingue con espressione obbligatoria del soggetto chiarisce una proprietà fondamentale della frase: la struttura minima della frase è quella di un predicato accompagnato almeno da un soggetto anche se questo non ha la funzione di argomento. a. It annoyed them that John was late ‘Li infastidì che John fosse in ritardo’ b. It was obvious that John was hungry ‘Era ovvio che John avesse fame’ c. It remains to consider the possible causes ‘Restano da considerare le possibili cause’ d. It rains ‘Piove’ SINTAGMI VERBALI Il sintagma verbale è un composto che come testa una forma verbale. In italiano il verbo tende a precedere gli argomenti e gli aggiunti hanno una maggiore libertà di posizione. L’esempio rimanda ad una struttura biargomentale: l’oggetto, non è preceduto da preposizioni, ed è quindi costituito da un sintagma nominale (una torta molto buona). Nella frase è poi presente un sintagma preposizionale non argomentale: quindi un aggiunto (per il compleanno di Maria). IL SINTAGMA AGGETTIVALE= il gruppo che ha come testa un aggettivo. Questo, come nell’esempio, può essere preceduto da un avverbio. La testa, inoltre può essere seguita da un complemento, un sintagma preposizionale (ad esempio fiero del figlio, stanco della vita) SINTAGMA PREPOSIZONALE= molto a lungo esso è stato considerato un costituente privo di testa, ma progressivamente si è fatta strada l’idea che quando un sintagma è introdotto da una preposizione questa deve essere considerata come la testa dell’intero gruppo. L’argomento più forte è che molte parole possono essere utilizzate sia come preposizione sia in usi avverbiali. Ex. a. Maria arrivò dopo. b. Maria arrivò dopo cena. Sulla base di questi usi parole come ‘dopo’ sono state incluse nella categoria lessicale delle preposizioni. L’analisi del sintagma preposizionale (per il compleanno di Maria) dell’esempio: soggetto in italiano. Il soggetto non è l'unico controllore possibile dell'accordo del predicato. Esistono lingue in cui il verbo si accorda con l'oggetto indiretto. Accordo anaforico= Un terzo dominio dell'accordo è costituito dal contesto interfrasale. Si manifesta ad esempio in un pronome quando questo è usato come anafora, cioè quando richiama un sintagma nominale presente in una frase precedente, definito antecedente dell'anafora. L'accordo è controllato dall'antecedente e ha come target il pronome anaforico. La sintassi dell'enunciato È necessario introdurre la distinzione tra la “frase” definita come sequenza accettabile e completa dal punto di vista grammaticale, e “enunciato” definito come sequenza verbale prodotta oralmente o per iscritto in una situazione comunicativa concreta. Gli enunciati sono forniti di senso, mentre le frasi sono fornite di significato. L'adeguatezza di un enunciato si misura solo in base al contesto nel quale esso viene prodotto. Le dimensioni e gli ingredienti di un enunciato possono essere i più variabili: esso può essere costituito di più frasi oppure di una singola parola. I movimenti di costituenti più frequenti sono le “topicalizzazioni”, le “dislocazioni” e le “scissioni”. LA TOPICALIZZAZIONE La frase non marcata può andare incontro anche a fenomeni di topicalizzazione, cioè lo spostamento dell’ordine canonico dei costitutenti che porterà alla messa in evidenza di alcuni di questi costituenti che, quindi, spostati attirano su di sé l’attenzione del parlante e del ricevente nel capire la frase. a. Pietro porta il dolce. b. Ecco Pietro col dolce. Frasi scisse Nella frase scissa la messa in rilievo di un costituente avviene attraverso la scissione di una frase semplice in due frasi: una frase principale, avente per predicato una forma del verbo “essere”, che di solito viene messa in rilievo spostandola a sinistra, e una seconda frase, che mantiene il proprio verbo ed è introdotta da un complemento relativo. Ex. È Pietro che porta il dolce. Dislocazioni La dislocazione a sinistra è il procedimento che sposta nella prima posizione della frase il costituente su cui si vuole portare l'attenzione dell'interlocutore, trasformandolo in tema, e riprendendolo dopo con un altro elemento nella seconda parte della frase. Ex. Il dolce lo porta Pietro. Nella dislocazione a destra è un elemento che lo anticipa, mentre il costituente stesso è posto alla fine, in una posizione che può anche corrispondere a quella che avrebbe avuto nella struttura della frase “normale”. Ex. Pietro lo porta il dolce. Temi sospesi e temi liberi Gli enunciati a tema sospeso sono simili per struttura e funzione alle dislocazioni a sinistra, dalle quali si differenziano perché l'elemento spostato, corrisponde al tema, è dotato di ripresa pronominale ma resta privo di indicazioni che ne specificano il ruolo sintattico Ex. Il dolce è portato da Pietro. (frase passiva) Nella costruzione a tema libero lo spostamento del costituente enfatizzato non è segnalato da nessun elemento di ripresa all'interno della frase. LA SEMANTICA La semantica è il settore della linguistica che studia il significato. La definizione di significato è ancora oggi difficile da dare, in quanto il significato si trova all’incrocio nella relazione tra linguaggio, pensiero e realtà e dunque chiedersi cosa sia il significato comporta sollevare interrogativi filosofici millenari. Per illustrare il significato ci avvaliamo di un triangolo che mette in relazione i 3 elementi coinvolti nel processo di significazione: simbolo, pensiero e referente. Una prima lettura potrebbe essere: un'espressione linguistica (simbolo A) si riferisce a un'entità extralinguistica (il referente C) tramite la mediazione di un concetto (B). Questa lettura assegna un ruolo essenziale al pensiero come intermediario tra linguaggio e realtà. Tuttavia secondo un'altra interpretazione c'è una relazione diretta tra A e C e dunque non occorre postulare l’esistenza di un elemento concettuale che faccia da “ponte” tra linguaggio e realtà. In queste posizioni si possono scorgere gli assunti dei tre principali approcci contemporanei alla semantica: l'approccio cognitivista, l’approccio referenzialista e l’approccio strutturalista. LA SEMANTICA REFERENZIALE Nell'ambito degli studiosi logici nasce la filosofia analitica del linguaggio e con essa l'approccio referenziale alla semantica. La filosofia analitica è caratterizzata dal concepire la filosofia come indagine minuziosa e oggettiva dei problemi filosofici. Rientra in questo programma un interesse per il linguaggio. L'elemento che caratterizza le teorie semantiche analitiche è il loro referenzialismo: al centro dell'interesse della semantica filosofica c'è la relazione tra il linguaggio e il mondo extralinguistico al quale esso si riferisce. Il significato è inteso come qualcosa di oggettivo che nasce dalla relazione tra il linguaggio e la realtà. Consiste nella capacità del linguaggio di riferirsi a entità esterne. La nozione di riferimento resta prioritaria per la semantica referenziale, perché da essa dipende la possibilità di interrogarsi sulla verità del linguaggio. Non è rilevante che la rappresentazione sia effettivamente vera. Infatti capiamo il significato anche di frasi sulla cui verità non siamo in grado di pronunciarci. Ciò che conta è che siamo in grado di stabilire in linea di principio quali condizioni rendono una frase vera o falsa. E proprio in questo risiede la conoscenza del significato: conoscere il significato di una frase significa sapere quali condiziona la rendono vera o falsa e in questo senso possiamo dire che il significato di una frase è il suo valore di verità. Il concetto di verità e di valore di verità è cruciale nella semantica referenziale che perciò è detta anche semantica vero-condizionale. In base al principio di composizionalità il valore di verità di un'espressione complessa si ottiene componendo i significati delle espressioni semplici che la costituiscono. Un secondo compito sarà descrivere le regole che assegnano un valore di verità a connessioni di frasi: ad esempio la congiunzione di due frasi è vera se sono vere entrambe, mentre la loro disgiunzione è vera purché sia vera una delle due. LA SEMANTICA STRUTTURALE Il termine semantica entra nella linguistica moderna nel 1883 grazie a Bréal e significa “indicare, significare” per indicare la scienza dei significati. La semantica ottocentesca ha come obiettivo principale lo studio diacronico del significato, cioè l'analisi dei mutamenti semantici che le parole subiscono. Con Saussure la semantica trova una dimensione sincronica e una salda base teorica che ne condizioneranno tutta l'evoluzione. L'assunto centrale della concezione saussuriana e delle teorie semantiche strutturaliste che a essa si ispireranno è che il significato sia un'entità puramente linguistica. L'errore più grave che si possa compiere riguardo alla natura del segno linguistico consiste, secondo Saussure, nel partire dagli oggetti, cioè nel porre una corrispondenza tra nomi e cose, come quando diciamo che la parola albero sta per l'oggetto albero. Non c’è prima l’oggetto e poi il segno che lo identifica, anzi gli oggetti non hanno alcun ruolo nella genesi dei segni. Infatti un segno linguistico non unisce una cosa e un nome, ma unisce un significato e un significante. E poiché il legame tra significato e significante è arbitrario, il risultato della loro unione (il segno linguistico) è anch'esso arbitrario. Per Saussure il pensiero non è strutturato al di fuori della lingua. Prima dell'intervento della lingua, pensiero e suono sono due masse amorfe: è la lingua che dà forma a queste masse, creando in esse quelle unità fonico- concettuali che sono i segni linguistici. L'operazione con cui la lingua articola queste masse amorfe è arbitraria. Ciascuna lingua crea il proprio repertorio di significati articolando arbitrariamente la massa amorfa del pensiero. In questo senso il significato è un'entità puramente linguistica: non esistono significati prima della lingua. Su questa nozione di valore Saussure fonda la sua concezione differenziale e relazionale del significato. LA SEMANTICA COGNITIVA La semantica cognitiva è un approccio sviluppato nell'ambito della corrente chiamata linguistica cognitiva. La linguistica cognitiva deve il nome all'assunto che la caratterizza, cioè l'idea che vi sia una relazione imprescindibile tra il linguaggio e atri aspetti della cognizione umana. In questo approccio il linguaggio è visto come una facoltà mentale le cui caratteristiche dipendono dal complessivo funzionamento della mente umana. Le caratteristiche delle lingue e la capacità umana di usare il linguaggio possono essere descritte solo in relazione alle altre capacità cognitive. Questa ipotesi di non-autonomia del linguaggio vale tanto più per la semantica. La semantica cognitiva intende il significato come il risultato di un processo cognitivo: il significato ha una struttura concettuale. Questo approccio mentalista distingue la semantica cognitiva dalla semantica referenziale e strutturalista. La semantica strutturale ritiene che il piano linguistico sia autonomo da quello concettuale. La semantica cognitiva ritiene che i significati linguistici siano una delle forme in cui si manifesta un pensiero che esiste ed è strutturato già prima della sua espressione linguistica. La semantica referenziale ritiene il significato un'entità oggettiva. Il richiama alla percezione che porta a un secondo assunto della semantica cognitiva: l'ipotesi secondo cui le strutture cognitive traggono fondamento dal complesso dell'esperienza umana e in particolare dall'esperienza fisico-percettiva. La linguistica cognitiva assume che non vi sia separazione tra mente e corpo e che la dimensione mentale sia radicata in quella fisica. Il fatto stesso di avere un corpo, di poterci muovere con l'ambiente dà luogo a una serie di “schemi preconcettuali” che a loro volta sono la base del sistema concettuale. L'ipotesi della semantica cognitiva è che i concetti astratti sono comunque legati all'esperienza corporea grazie a processi metaforici. sedia + - + - + poltrona + + + + + divano + + - + + sgabello - - + - + pouf - - + + - Nell’analisi di Karz e Fodor tratti come UMANO, ANIMALE, GIOVANE E ADULTO sono chiamati marcatori e rappresentano la parte di significato che una parola ha in comune con molte altre. Tratti come questi sono ritenuti elementi atomici universali. Invece le parti che nello schema compaiono tra parentesi quadre detti differenziatori esprimono una parte di significato che è specifica di quella parola. Questa distinzione è simile a quella introdotta da Coseriu tra classemi e semi: • classemi: tratti semantici generali ([umano], [maschio]); • semi: definiscono solo un campo semantico (es. [schienale], [braccioli], ecc.). Per la semantica componenziale i classemi (o marcatori) servono a combinare le parole sintagmaticamente. Natura dei tratti: 1) sono delle parole, come quelle usate nei dizionari; • es. congelamento ‘atto, effetto del congelare’; ghianda ‘frutto secco rivestito alla base di un involucro a forma di scodella detto cupola’ 2) non sono parole: - proprietà universali innate della nostra psicologia; - costrutti teorici che servono a descrivere le lingue. I tratti che abbiamo introdotti sono binari, cioè ammettono solo i due valori sì/no, presente/assente rappresentati dai segni + e -. Il motivo per cui si dice che uomo presenta il tratto MASCHIO e donna no, anziché dire che donna presenta il componente FEMMINA e uomo no, è che si ritiene che tra questi due lessemi sia uomo quello più marcato. Anche la nozione di marcatezza viene dalla fonologia, dove si dice marcato, tra due fonemi, quello che ha il tratto che manca all’altro. Le forme non marcate sono più basilari di quelle marcate, come dimostra il fatto che sono anche più frequenti. L’analisi componenziale si basa sull’idea che il significato sia scomponibile in unità più piccole. Ma quanto più piccole? Alcune teorie sostengono che si possa arrivare a definire un inventario di tratti elementari, che costituirebbero le unità ultime, non ulteriormente analizzabili (e perciò atomiche) da cui sarebbe derivabile il significato di tutte le unità lessicali. Questi tratti fondamentali sono chiamati primitivi semantici. Queste ipotesi sulla natura dei tratti risalgono al progetto dell’ars combinatoria del filosofo tedesco Leibniz. L’ipotesi di Leibniz è che i concetti siano composti da idee semplici, che si combinano per formare le idee complesse così come le lettere dell’alfabeto si combinano per formare le parole. Una volta scomposte le idee complesse in idee semplici, si può assegnare a ciascuna di esse un “carattere” che le rappresenti e quindi comporre questi simboli attraverso la characteristica universalis, una lingua simbolica universale che opera tramite regole combinatorie simili a quelle matematiche. Gran parte delle semantiche componenziale assume che i tratti non siano parole o significati di parole, ma abbiano uno diverso statuto, riguardo al quale sono possibili due ipotesi. Secondo l’ipotesi concettualista i tratti hanno uno statuto psicologico, cioè sono concetti presenti nella nostra mente e variamente lessicalizzati nelle altre lingue. Secondo l’ipotesi metalinguistica, invece, i tratti sono costrutti teorici appartenenti al metalinguaggio con cui si descrivono i significati, l’esistenza dei quali è postulata dal linguista per descrivere i rapporti semantici esistenti tra i lessemi. Perché l’analisi componenziale sia praticabile bisogna poter stabilire esattamente quali informazioni costituiscono il significato di una parola, e ciò dovrebbe avvenire, secondo le semantiche componenziali, tramite la distinzione tra dizionario ed enciclopedia. Solo delle conoscenze dizionariali è possibile fornire un elenco finito, mentre le conoscenze enciclopediche sono infinite e dunque non rappresentabili. Tuttavia è molto difficile tracciare un confine tra i due che molti studiosi ritengono che tale definizione sia infondata. Il limite maggiore delle semantiche componenziali è la loro difficoltà nel rendere conto del carattere plastico, non rigido, dei significati linguistici. LA SEMANTICA DEI PROTOTIPI La teoria dei prototipi è una teoria della categorizzazione, cioè riguarda i processi con cui si formano le categorie che sono alla base di tutta la nostra attività cognitiva. Ad esempio compiamo un atto di categorizzazione quando diciamo che un certo animale è un gatto o che un certo oggetto è rosso. La teoria classica delle categorie risale agli albori della filosofia occidentale, in particolare ad Aristotele. Possiamo riassumere gli assunti della teoria classica in 3 punti: Le categorie classiche: • sono definite da un insieme di proprietà necessarie e sufficienti; • sono discrete, con confini netti e ben definiti; • sono internamente non strutturate; i singoli elementi o sono dentro o sono fuori dalla categoria. Proprio questo assunto è uno degli aspetti più criticati dai sostenitori di una diversa concezione del significato (di cui ricordiamo LaRosh), basata su una concezione delle categorie dei prototipi che possiamo così sintetizzare: • spesso i membri di una categoria non sono definiti dalle medesime proprietà, ma da una serie di proprietà contigue tra loro, o una rete di proprietà contigue tra loro (somiglianze di famiglia); • confini vaghi e sfumati; • struttura interna delle categorie: hanno membri più caratteristici di altri. In una delle più diffuse della teoria di Rosch il prototipo coincide con l’esempio migliore o l’esemplare più rappresentativo di una categoria: i passeri sono i prototipi della categoria uccelli perché concentrano il maggior numero di proprietà tipiche della categoria. I significati delle parole non coincidono con la categoria con i prototipi delle caratteristiche che rappresentano -> sarebbe alquanto bizzarro dire che la parola uccello significa “passero” o che mobile ha come significati più tipici “sedia” e “tavolo”. Dunque per poter utilizzare la nozione di prototipo per esprimere i significati linguistici, vari studiosi hanno proposto di modificare la nozione stessa di prototipo. Il prototipo non sarebbe un’unità concreta, ma un costrutto mentale, uno schema concettuale che riunisce le proprietà tipiche di una categoria e fa da punto di riferimento per rappresentare il significato della parola che la indica. Nel caso di uccello, ad esempio, il significato non sarebbe rappresentato da “passero”, ma dall’unione di proprietà come “saper volare”, “avere le ali”, “avere un becco”, “essere oviparo”, le quali formerebbero una sorta di prototipo astratto che si realizza nell’entità passero meglio che in altre. Bisogna però guardarsi da un errore piuttosto comune, che consiste nel far coincidere la nozione di prototipicità con quella di vaghezza. Un esempio della non coincidenza tra questi 2 elementi viene dallo studio di Armstrong sui concetti di numero pari e dispari: i soggetti intervistati dagli studiosi considerano un 3 un miglior esempio di numero dispari rispetto a 23, a sua volta giudicato un esempio migliore di 91, analogamente tra i numeri pari 2 e 4 sono giudicati esempi migliori di 18, a sua volta migliore di 806. Dunque “l’effetto prototipo” si manifesta anche in categorie non vaghe. Per rendere conto di queste distinzioni bisogna incrociare vari criteri, come propone Dirk Geeraerts, lo studioso che ha più lavorato su questo tema. Una categoria sarà a vario grado prototipica a seconda di quante proprietà tipiche delle categorie prototipiche possiede. Le proprietà tipiche di una categoria prototipica secondo Gerraerts sono 4: • la categoria ha un confine sfumato; • la categoria prevede diversi gradi di rappresentatività, cioè include membri più o meno rappresentativi; • non ci sono proprietà condivise da tutti i membri di una categoria; • la categoria è referenzialmente polisemica, ma semanticamente compatta. Tale fenomeno è detto “effetto prototipo” è molto pervasivo e l’intuizione alla base della teoria dei prototipi conserva la sua validità. Wittgenstein ricorre alla nozione di somiglianze di famiglia. Ciò che accomuna la teoria dei prototipi e quella delle somiglianze di famiglia, e le distingue dalla teoria classica, è che entrambe non assumono l’esistenza di proprietà necessarie e sufficienti. La differenza è che nella teoria dei prototipi c’è un insieme di proprietà che vengono condivise in misura maggiore o minore da tutti i membri della categoria, e rispetto alle quali il prototipo ne è il membro che ne presenta di più, mentre nella teoria delle somiglianze di famiglia i membri sono connessi linearmente senza che vi sia un denominatore comune; se consideriamo ad esempio affibbiare significhi (A) chiudere con fibia, (B) dare un colpo violento (affibbiare uno schiaffo), (C) attribuire qualcosa di sgradito (affibbiare un lavoro). Questa soluzione funziona però meno per lessemi monocentrici come uccello, frutta, rosso, tazza etc. una soluzione alternativa è avanzata da Lakoff secondo cui sia l’organizzazione delle categorie, sia la sua prototipicità sono un prodotto della natura degli schemi mentali che usiamo per dare senso all’esperienza del mondo. Questi sono chiamati modelli cognitivi idealizzati. Alcuni ICM hanno una categoria analoga a quella classica e producono categorie come dispari. Ci sono poi le categorie radiali: si tratta di strutture complesse, formate da vari ICM organizzati in una rete di sottocategorie centrali e periferiche, collegate tra loro da altri ICM metaforici. Un esempio è il verbo vedere: la sottocategoria che corrisponde al senso “percepire con la vista” mentre la sottocategoria corrisponde a “sapere, rendersi conto” (non vedo come posso aiutarti, non vedo il problema). I problemi aperti della semantica dei prototipi sono: - l’imprecisione che caratterizza la nozione di prototipo esempio, “hai una sigaretta?” se viene interpretata letteralmente la risposta è: “si ce l'ho”; interpretazione non letterale: no sta chiedendo un'informazione, ma sta ricorrendo a un modo indiretto per chiedere una sigaretta. Altri casi: espressioni metaforiche, espressioni metonimiche, casi di ironia. Per esempio se diciamo che un ragazzo è un fulmine, non possiamo intendere il senso letterale, dunque dovremmo far appello ai principi che regolano la costruzione e il funzionamento delle metafore. Analogamente, nel caso di espressioni metonimiche come ho ascoltato Mozart tutto il pomeriggio, bisogna far appello a conoscenze extralinguistiche del nostro interlocutore, quali la relazione di vicinanza, di contiguità etc. Infine i casi di ironia, ossia quei casi in cui si indica che una parola o una frase devono essere intese nel senso opposto a quello solitamente attribuito loro, giungendo ad un capovolgimento dell’intero senso dell’enunciato. La deissi Il termine deissi in senso letterale si riferisce alla funzione propria del segno, ossia il mostrare qualcosa, il ‘porre davanti agli occhi’. In linguistica è usato quando un elemento linguistico, detto appunto deittico, si riferisce a ciò che è esterno all'enunciato, ossia al parlante. Distinguiamo due categorie di deittici: • deittici trasparenti, come io, tu, ora, qua, qui che richiedono sempre il riferimento a una situazione enunciativa, esempio “io vado in palestra”, “metti pure la macchina qua” “io non ci sto più” sono interpretabili solo se sono riferiti a una situazione specifica di cui conosciamo i partecipanti. • deittici cosiddetti opachi, ossia quegli elementi della lingua che possono essere correttamente interpretati solo in virtù di un costante riferimento alla situazione di discorso: pronomi dimostrativi, avverbi e locuzioni avverbiali che si riferiscono a delimitazione spaziali e temporali. Esempio: se dico giocherò a tennis con te il giorno dopo, l’avverbio temporale dopo non è comprensibile se non è correlato a un altro punto di riferimento temporale. La deissi è la manifestazione tangibile del modo in cui la lingua e il contesto sono in relazione tra loro. Il non detto negli scambi comunicativi Nei nostri scambi comunicativi non tutto si traduce in espressione verbale, sia perché spesso affidiamo la comprensione di quanto diciamo in gesti, cenni del capo, tono della voce e sia perché presumiamo che il nostro ascoltatore sappia già o sia in grado di intuire. In questi casi di “non-detto” sono le intenzioni dei parlanti a intervenire in maniera decisiva nella determinazione del significato. Uno dei modelli più accreditati per dar conto di questi fenomeni è quello proposto dal filosofo Paul Grice. Egli pone l'accento sull'importanza dell'intenzione che sta dietro un atto linguistico, facendo dipendere il significato di un’espressione dall'intenzione di colui che la proferisce. Bisogna distinguere, secondo Grice: • significato dell'espressione, ossia il significato che un'espressione ha letteralmente o convenzionalmente; • significato del parlante, ossia ciò che il parlante vuole davvero dire. L'importante della teoria di Grice sta nel riconoscimento delle intenzioni dei parlanti che stanno alla base dello scambio comunicativo e che regola la cosiddetta logica della conversazione, per cui la comunicazione si dice riuscita quando le intenzioni del mittente vengono pienamente riconosciute e comprese dal ricevente. Ciò emerge nelle implicature conversazionali, ossia quelle informazioni che si possono inferire a partire dai contesti d'uso e dalle conoscenze condivise fra i parlanti. Secondo Grice i nostri scambi verbali costituiscono degli sforzi di collaborazione e sono retti dal principio di cooperazione. Tale principio si articola in 4 massime: • massima della quantità: dà un contributo tanto informativo quanto richiesto. • massima della qualità: cerca di dare un con tributo che sia vero, ossia non dire ciò che ritieni falso e non dire ciò per cui non hai prove adeguate. • massima della relazione: sii pertinente. • massima della modalità: sii perspicuo, ossia evita oscurità di espressione, evita ambiguità, sii conciso. Queste sono norme che il partecipante allo scambio comunicativo deve rispettare. Altri due casi di non-detto sono rappresentati dalle presupposizioni e inferenze. Le presupposizioni sono di solito usate per indicare qualcosa che un enunciato non dice in maniera esplicita ma presuppone che esista o che sia esistito. Le presupposizioni sono legate a particolari elementi lessicali e a particolari costruzioni sintattiche e quindi sembrerebbe trattarsi di inferenze semantiche. Il funzionamento linguistico Il funzionamento linguistico si contrappone allo studio puramente strutturale e formale delle lingue. Nella prospettiva funzionalista la prima domande che ci si deve porre è qual è la funzione svolta dalle singole unità linguistiche in riferimento agli elementi che sono in gioco nel processo comunicativo, proprio perché il linguaggio è, prima di tutto, uno strumento di interazione sociale tra gli individui e le strutture linguistiche sono strettamente correlate ai bisogni comunicativi degli utenti. Dobbiamo interrogarci su ciò che possiamo fare con linguaggio. Il termine funzione, in linguistica assume diversi significati, qui lo useremo per riferirci alle funzioni generali del linguaggio, ossia a ciò che per mezzo di esso siamo in grado di realizzare. Buhler ipotizza un modello in cui il linguaggio è considerato in relazione a coloro che se ne servono e sono i suoni operatori. Individua tre funzioni generali che caratterizzano il linguaggio umano: 1. rappresentazione (quando il messaggio è orientato verso la realtà. Funzione rappresentativa). 2. espressione (quando il messaggio è orientato verso il parlante. Funzione espressiva). 3. appello (quando il messaggio è orientato verso l'ascoltatore. Funzione di appello) Il modello è stato poi approfondito da Jakobson il quale individua sei fattori necessari a realizzare un atto linguistico: • al mittente corrisponde la funzione emotiva, che esprime lo stato d'animo di chi emette un enunciato. • al destinatario corrisponde la funzione conativa, che esprime l'influenza che si vuole esercitare sul destinatario al fine di guidarne il comportamento. • al messaggio corrisponde la funzione poetica, essa si realizza tutte le volte che sia vuole usare la lingua come una funzione creativa rispetto agli usi “normali”. • al contesto corrisponde la funzione referenziale, ossia quella volta alla descrizione del contesto, degli elementi che caratterizzano l'evento o lo stato di cose di cui intendiamo parlare. • al canale corrisponde la funzione fatica, la quale si realizza ogni volta che vogliamo verificare se il canale di comunicazione tra noi e il nostro destinatario funziona. • al codice corrisponde la funzione metalinguistica, la quale si realizza quando usiamo un codice per parlare di se stesso. Al livello di funzione troviamo libri di grammatica, dizionari e testi che parlano di codici non linguistici come la matematica, la chimica. L'ultimo modello delle funzioni del linguaggio è quello esaminato da Halliday, il quale parte da una concezione del linguaggio come forma di interazione tra essere umani, per cui il linguaggio è così com'è a motivo di quello che deve fare. Individua tre funzioni maggiori che regolano l'uso del linguaggio: 1. funzione ideazionale, che riguarda la trasmissione delle informazioni. E introduce al suo interno: • funzione esperienziale, funzione contenutistica del linguaggio, funzione relativa alla descrizione. • funzione logica, la funzione che riguarda l'organizzazione sintattica del discorso. 2. funzione interpersonale, che esprime e specifica le relazioni e i contatti tra i membri di una comunità linguistica. 3. funzione testuale, che è specifica del linguaggio e che riguarda la capacità del linguaggio di creare testi. Contributi sociologici alla pragmatica Per quanto riguarda la tradizione sociolinguistica, molti linguisti hanno messo in luce l'importanza dei condizionamenti sociali sui fenomeni linguistici. Da ciò si sono sviluppate le ricerche di sociolinguistica, dove sono in gioco il linguaggio e la società. Nell’ambito di linguistica generativa Chomsky ha posto l'accento sul parlante-ascoltatore ideale e sugli aspetti relativi alla competenza di quest’ultimo. Cosa vuol dire sapere una lingua? -Chomsky: coincide con competenza linguistica, ossia l'insieme delle conoscenze relative a una lingua posseduta, anche a livello inconscio, dal parlante. - Hymes: ha proposto la nozione di competenza comunicativa, che si configura come la capacità del parlante di: • usare in maniera appropriata la sua competenza linguistica, tenendo conto della formulazione di frasi ben formate e appropriate alla situazione comunicativa. • usare in maniera appropriata anche i canali non linguistici di cui disponiamo, quali gesti, sguardi etc. • le conoscenze condivise, ossia l'insieme delle credenze sociali e culturali che i parlanti condividono. • la situazione comunicativa contingente, ossia la situazione spazio-temporale in cui si verifica un elemento linguistico. • il contesto linguistico o cotesto, ossia il discorso, lo scambio verbale in atto che esso ha creato fino al momento dell'enunciazione. Nell'ambito degli studi sociologici si è accentuato l'interesse per l'analisi della conversazione, intesa come forma di organizzazione e interazione sociale. L'etnometodologia analizza le correlazioni tra i modelli di linguaggio, i ruoli sociali e la posizione sociale degli individui; in sostanza l’etnometologia indaga il modo in cui il comportamento verbale dei singoli individui varia a seconda del contatto con determinati gruppi. Parlare come modo di agire sociale La forma più frequente che questo passaggio assume si definisce commutazione di codice (in inglese code- switching). La possiamo definire come il passaggio da una varietà linguistica all'altra nel corso della stessa conversazione da parte del medesimo interlocutore. Esistono anche casi nei quali il cambiamento della varietà di lingua non può essere connesso con variazioni di ordine pragmatico o sociolinguistico. Questo processo è definito commistione di codice o code-mixing. In esso i passaggi da una varietà all'altra occorrono in qualsiasi posizione dell'enunciato, senza che sia possibile rintracciarvi alcuna soluzione di continuità, né dal punto di vista sintattico, né dal punto di vista della struttura dell’informazione. 4.2. Lingue in contatto: gli effetti sulle varietà La convivenza in situazioni di bilinguismo porta ciascuna delle varietà a fornire e assorbire elementi da quella con cui si trova in contatto. Uno dei meccanismi attraverso i quali le lingue rinnovano e adeguano il proprio lessico è l'adozione di elementi di provenienza straniera. I processi che permettono questo rinnovamento sono due tipi: • il prestito, si ha quando un lessema viene adottato come neologismo dalla lingua replica mantenendo una continuità nella forma del significante. • il calco, si ha quando un neologismo viene foggiato con materiale della lingua replica sul modello di un lessema già esistente nella lingua modello. 4.3. Lingue “di” contatto: le varietà nate dal contatto linguistico La convivenza all'interno di comunità linguistiche ricche di occasioni di scambio tra parlanti alloglotti, come quelle che si trovano nei porti, ha portato nel corso dei secoli alla formazione di “lingue di contatto”. I due tipi principali di varietà di contatto sono le lingue pidgin e le lingue creolo. Si chiama pidgin una lingua di contatto, nata e sviluppata in ambiti coloniali per scopi comunicativi relativamente ristretti, quali l'interscambio commerciale o militare, e che non ha mai raggiunto lo status di lingua materna, ma si continua ad apprendere esclusivamente come seconda lingua da parte di parlanti che hanno lingue materne diverse da essa. Quando un pidgin si consolida nel tempo e nella comunità parlante, estendendo la propria sfera comunicativa, può arrivare a essere trasmessa come lingua materna. Le lingue di contatto giunte a questo stadio si definiscono creoli o lingue creole. 5. Strumenti di analisi I principali concetti tesi a formalizzare la rappresentazione delle variabili sociolinguistiche: -Le regole variabili, sono un'estensione in ambito sociolinguistico delle regole di scrittura della grammatica generative. Lo scopo delle regole variabili è introdurre in una normale regola di riscrittura anche indicazione di tipo sociologico, che descrivano il contesto nel quale l’apparire di ciascuna variante risulti più probabile. -Uno sviluppo delle regole variabili è costituito dalle grammatiche di varietà, nelle quali si registra la percentuale di effettive realizzazioni da parte di un campione significativo di parlanti. -Un altro metodo di analisi molto usato in sociolinguistica è quello delle scale d'implicazione. Una scala d'implicazione è un espediente grafico che permette di rappresentare e formalizzare i rapporti che intercorrono tra le diverse variabili di un repertorio, verificando le eventuali solidarietà tra le varianti e identificando in questo modo i “confini” tra le varietà del repertorio.