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LINGUISTICA GENERALE - M. C. Gatti, Appunti di Linguistica Generale

APPUNTI COMPLETI del corso di "Linguistica Generale" della prof.ssa Gatti, con slides ed esempi dei manuali "La comunicazione verbale" e "La negazione in prospettiva semantico-pragmatica" per esame al primo anno.

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 10/09/2021

Chiara-Gianfreda
Chiara-Gianfreda 🇮🇹

4.6

(61)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica LINGUISTICA GENERALE - M. C. Gatti e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! La Linguistica generale: introduzione Che cos’è la linguistica generale? Esiste una dimensione generale e in cosa consiste? Le lingue sono di numero sterminato, numerosissime, i linguisti ne conoscono 6 000, parlate alcune da ciascuno di noi. Ognuno di noi è un parlante pluringue. Nessuno di noi è monolingue (= parla una sola lingua) > poliglottia dei parlanti (alcuni raggiungono una poliglottia di 15 lingue parlate). Le lingue sono sensibilmente diverse tra loro > questa numerosità e diversità ci porta a chiederci dove sta quella dimensione generale accennata poc'anzi. It. Andare, ing. to go, sp. Ir, fr. Aller > unico verbo per indicare il movimento È diverso dal tedesco gehen (= andare, nel senso a piedi) VS fahren (= andare, nel senso sui mezzi di trasporto) Così come anche il russo idti/chodit’ VS echat’/ezdit” Un altro esempio è Lat. zio lat. patruus (zio paterno) avunculus (zio materno) Dove sta una dimensione generale tra le lingue? Di che si tratta? Allora, di cosa si occupa la linguistica generale? La linguistica ha come oggetto il linguaggio umano (lingua = linguaggio), ovvero la competenza comunicativa che permette ai parlanti di produrre messaggi, oggetti ed eventi comunicativi. Fra gli eventi comunicativi prodotti nel mondo prendiamo in considerazione coloro che si appoggiano e privilegiano una lingua storico — naturale, ovvero i singoli mezzi che permettono di realizzare eventi comunicativi tramite il linguaggio umano. I nostri eventi comunicativi privilegiano il linguaggio storico-naturale, ma impieghiamo anche elementi che rientrano nella comunicazione paraverbale (gesti, espressioni facciali, postura del corpo), che rientrano nella Cinesica (gr. kinesis), che si interroga sui gesti del corpo nel processo comunicativo. La comunicazione è pervasiva: prendiamo come esempio la piazza greca, l’agorà, luogo della comunicazione in pubblica, arrivando fino ai nostri tempi di Internet, ci rendiamo conto che la comunicazione ci raggiunge perfino nelle nostre abitazioni. Si tratta di un fenomeno estremamente complesso, in quanto coinvolge delle dimensioni diverse e molteplici; coinvolge dimensioni linguistiche e semiotiche, contesti sociali e culturali, psicologiche ed antropologiche, ma anche tecnologiche > i parlanti comunicano attraverso le lingue storico-naturali. Ma ci sono altre cose che comunichiamo anche attraverso la moda, l’acconciatura, anche attraverso le arti figurative. Se pensiamo al progresso tecnologico, esso ha oltremodo favorito la comunicazione. Possiamo allora ricostruire una mappa delle scienze che si occupano della comunicazione. Scienze linguistico-semiotiche Scienze tecnologiche C Scienze umane Comunicatore VS comunicazionista Il comunicazionista è il soggetto che è consapevole delle leggi profonde e nascoste della comunicazione, le conosce in modo approfondito in modo da essere in grado di assumersi la responsabilità civile rispetto alla buona salute della comunicazione, là dove la comunicazione si inceppa, si impalla > la comunicazione va in crisi per diverse ragioni: = Ragioni di natura testuale > nel film La Strada di Fellini (1954), il film mette a tema la vicenda di Zampanò, proprietario di un circo equestre rampante, che chiede al suo interlocutore Gelsomina di 1 fargli pubblicità quando entrano in un villaggio > lei dovrà suonare il tamburo urlando “è arrivato Zampanò”, ma lei al momento della prova ufficiale dice “Zampanò è arrivato”, distruggendo l’efficacia comunicativa. Lei sposta il soggetto in prima sede, distruggendo il messaggio perché in italiano cambiando le intenzioni comunicative ® Gelsomina ha spostato il soggetto a sinistra, mettendolo in posizione tematica (fa passare Zampanò come qualcuno di famoso, quando in realtà non lo è), mentre sulla destra il soggetto si trova in posizione rematica (indica l’apporto informativo nuovo). = Ragioni di natura semantica è si intende la destituzione dei fondamenti della sensatezza Mia moglie è un’ottima cuoca! (detto da uno scapolo) Mio cugino è farmacista! (detto da uno sconosciuto che si avvicina a noi in metropolitana) Uno dei fondamenti della sensatezza è il rapporto che il senso deve avere con l’altro, con l'interlocutore + il contenuto che esprime deve essere pertinente e creare interesse (“involvement”) Possiamo introdurre la differenza tra NOTIZIA ed INFORMAZIONE: la frase detta dal tizio in metropolitana è una semplice informazione, ovvero un dato che aggiorna il nostro database. Si parla di notizia quando crea involvement ed è pertinente (ecco quando i giornalisti al TG dicono sempre “e queste sono le notizie di oggi!”). 08/10/2020 La comunicazione e la logica del munus ETIMOLOGIA = dal greco logos, è un discorso, una riflessione sulla storia di una parola, andando a ricostruire il percorso attraverso cui un popolo ha costruito le sue attualità. Con il termine categoria s’intende le parole che ci permettono di catturare la realtà nei nostri discorsi. Come è nato il termine comunicazione allora? Secondo quale logica è nato? Discende dal latino COMMUNICO e che attraverso COMMUNIO rimanda a MUNI, facendoci intendere un insieme. COM — MUNICO to ci unicate (il 60% del lessico è di origine latina) ci \uniquer k unizieren Attraverso COOMUNIO si rimanda a COMMUNIS > mettere l’altro a parte di Lavorando etimologicamente, distinguiamo due momenti diversi della parola: 1. COM=rimanda al latino cum (= con), preposizione che indica relazione > la comunicazione è un processo che mette in rapporto due realtà. L'aspetto sorprendente e paradossale che si evince è che la comunicazione presuppone che ci siano due soggetti diversi che hanno bisogno di comunicare tra loro. Il tedesco, oltre al verbo visto sopra, presente un verbo di matrice germanica, ovvero mit-teilen > la lingua tedesca ha ricalcato il verbo sul latino perché mit esprime cum e teilen significa condividere. Per quanto riguarda il russo, abbiamo soobscat, sempre sul calco del latino: la s esprime il con. Il verbo latino COMMUNICO aveva un significato più ampio + potevamo comunicare la casa, la mensa, ecc. facendo condividere con altri un oggetto. Peri latini la COMUNICATIO BONORUM, ad esempio, era lo SCAMBIO DELLE MERCI, perciò lo scambio comunicativo erano le merci. Oggi noi parliamo di messaggi, significati, e i beni materiali che venivano scambiati sono venuti a coincidere con significati e messaggi. 2. MUNUS = significa dono e compito, interpretate dal termine come due facce della stessa medaglia. Hai voluto la bicicletta, adesso pedala + questo proverbio ci fa vedere che le due dimensioni del dono e della responsabilità del compito sono esattamente due facce della stessa medaglia > tutto ciò che è amato e gradito, diventa un compito. La radice di MUNUS si trova anche in MUNICIPIUM, MATRIMONIUM, PATRIMONIUM, ecc. e anche in espressioni italiane (remunerare, munifico, munire, munizione, ecc.). In tedesco si ha GABE (= dono) con il prefisso AUFGABE (= compito). Altri esempi in italiano abbiamo CARO, inteso sia per persone amate (persone amate) ma anche per beni cari (costosi); la stessa cosa si esprime anche in francese (cher) e in russo (dorogoj), mentre 2 Quando la ragione discende ad un caso particolare, se siamo in sede NON logico, ma dimostrativo, questo modo deduttivo mette capo ad una struttura argomentativa chiamata entimema. >» Dal particolare all’universale = la ragione si muove per induzione. Osserviamo un gatto con la coda, poi un altro e un altro ancora: tutti questi gatti hanno la coda fino all’ennesimo gatto, perciò possiamo affermare che tutti i gatti hanno la coda. Abbiamo esteso una proprietà da uno a tutti, costruendo una generalizzazione. Le generalizzazioni sono impiegate in sede scientifiche, soprattutto nell’ambito naturale per definire leggi naturali, ma bisogna stare attenti affinché la generalizzazione non sia falsa. Quando ci muoviamo in ambito argomentativo, questa ragione che si muove induttivamente mette capo ad un procedimento chiamato exemplum. Ritornando all’entimema (dal greco thym6s), nel sillogismo non c’è spazio di adesione o libertà, perché dalla struttura, data una premessa maggiore anapodittica, contenente una verità inconfutabile, poi una premessa minore, necessariamente avremo una conclusione. L’entimema ha una specificità retorica, ovvero deve favorire l’adesione: si parla di sillogismo retorico, ovvero non esplicita tutti i passaggi. Non viene esplicitata la premessa maggiore (endoxon), ma deve essere ricostruita tramite un processo inferenziale (dal latino infero = porto in dentro), ovvero le inferenze sono i momenti della comunicazione dove ricostruisco tutti i momenti non detti e che il parlante non dice. Più è esteso il condiviso di esperienza che condividiamo con il destinatario, tanto meno è necessario esplicitare. L’inferenza è l’aspetto che caratterizza tutta la comunicazione: quando costruiamo gli entimemi, non tutti i messaggi sono comunicati, anzi viene taciuta la premessa maggiore. Il primo esempio di entimema usato nella vita quotidiana è: Luigi è pazzo. Vara100kmincentro cià. Tesi Argomentazione Il parlante prende posizione rispetto a Luigi e poi afferma la ragione. Troviamo una tesi e un argomento. La tesi è il momento in cui il parlante prende atto della realtà, mentre la seguente è l’argomentazione. Ricostruendo l’endoxon, possiamo affermare che noi conosciamo le regole del traffico e che quindi chiunque vada a 100 km in centro è pazzo. Proprio perché questo principio è condiviso, crea l'aggancio della comunicazione persuasiva con quel common ground cui fanno riferimento l’argomentante e il decisore. L’entimema presuppone l’uso deduttivo della ragione. PREMESSA MAGGIORE (costruita inferenzialmente): Chi va a 100 km in centro città, è pazzo. PREMESSA MINORE: Luigi va a 100 km in centro città. CONCLUSIONE: Luigi è pazzo. La retorica classica, anche in ambito politico, impiega gli entimemi come esemplificazione: analizziamo una bozza di mediazione del conflitto arabo-israeliano quando il presidente Bush inviò il segretario di Stato per mediare e trovare degli accordi (conferenza del 4 aprile 2004 a Rose Garden): dobbiamo capire il concetto di mediazione e negoziazione per ricostruire l’entimema e l’endoxon, la premessa taciuta. Negoziazione = negotium (business) Si ha la negoziazione quando avviene un conflitto di interessi tra due parti, in quanto vi è un interesse politico o economico in comune. È una trattativa di natura argomentativa. La mediazione è un tipo particolare di negoziazione: si ha quando tra le due parti interviene un terzo che è al di sopra delle parti e fa vedere una conclusione del conflitto con una vincita per entrambe le parti (win — win). Per avere la mediazione, ci DEVONO essere due confliggenti. Prima di analizzare il discorso di Bush, è importante considerare le stratificazioni che intervengono sia nel mittente che nel destinatario. Innanzitutto, individuiamo nel MITTENTE il vocalizer (ha proferito il discorso in pubblico, prestando la sua voce). Bush però non è solo “vocalizer”, ma insieme ad un gruppo di uomini politici, come Cheney, Rice, Powell, Tenet e Rumsfeld, ha steso il discorso, diventando un formulator. Inoltre, osservando il mittente, un altro fattore che emerge è la responsabilità che emerge dal suo atto comunicativo (quando noi pronunciamo discorsi, compiamo degli speech acts), per cui apre dei commitments al mittente, diventando un principal: Bush, infatti, è responsabile di diversi atti comunicativi a volte parla come presidente degli USA, poi come presidente dell'America, quando passa al we si riferisce al mondo civile. Il DESTINATARIO è l’uditore, che potrebbe essere un “puro”, un legittimato. Ma vi potrebbero essere dei casi in cui l’uditore potrebbe essere non legittimato, quindi un destinatario casuale (overhearer o eavesdropper). Quando l’uditore è legittimato, deve prendere una decisione rispetto all'atto comunicativo ricevuto, rivolgendosi a destinatari di vari livelli, gli stakeholders: a volte si rivolge a Israele (Sharon), a volte si rivolge ai palestinesi (Arafat), a volte agli Stati Arabi “moderati” (leaders), agli stati arabi fiancheggiatori del terrorismo, ai cittadini/elettori americani e altre volte alle potenze mondiali. Il destinatario deve inoltre rispondere al commitment rivoltogli dal mittente (respondent), ma non tutti gli stakeholders sono partner degli stessi atti comunicativi. Bush formula richieste ad Israele, altre volte critica e ammonisce Arafat, altre volte minaccia gli Stati affiancati al terrorismo, come Siria e Iran. Nel discorso, vediamo come esso segui un impianto classico che inizia con la narratio: ci introduce il peggioramento della condizione in Medio Oriente, dove sembrava di poter giungere ad un “cease — fire agreement”, ma c’è stato un evento che ha distrutto lo spiraglio che si stava aprendo, ovvero l’attacco terroristico. Parla poi a nome di tutto il mondo per piangere la tragedia. 22/10/2020 Nel discorso Bush apre un commitment: chiarisce e ribadisce l’alternativa di fronte alla quale si trova tutto il mondo civile. Bush dice che no nation can negotiate with terrorists, for there is no way to make peace with those whose only goal is death. Da qui dobbiamo ritrovare l’entimema: la negoziazione deve esistere ed interviene quando ci sono 2 conflittenti. Nel caso della mediazione, interviene un terzo che media in modo da operare un “win — win”. Lui dice che non si negoziare con coloro che hanno come obiettivo la morte, ma allora cosa presuppone la negoziazione? Vi devono essere due controparti, perciò Bush fa leva su questo principio generale, quindi questo è l’endoxon: dunque, non è possibile negoziare con coloro il cui obiettivo è la morte di una controparte. La premessa maggiore (endoxon) crea l'aggancio al common ground cui fanno riferimento il mittente e il destinatario, dove sono inclusi i principi di una comunità (endoxon comunicativo). La premessa minore emerge dal testo, ovvero l’obiettivo dei terroristi è la morte della controparte, DEDUTTIVAMENTE, si arriva alla conclusione che it’s not possible to negotiate with terrorists. L’entimema coincide con la tesi, da cui era partito Bush. Quando la ragione si muove induttivamente, procediamo da casi particolari arriviamo al generale. Un certo evento può aver luogo in quanto qualcosa di analogo è già successo (in quel caso decisivo A ha dato luogo a B, è ancora possibile che A dia luogo a B) è exemplum (parddeigma) L’exemplum procede induttivamente dal fatto alla regola, si ricostruisce che i fatti passati permettono di costruire dei fatti futuri possibili. Sempre nel discorso di Bush, egli dice che è consapevole della criticità della situazione in cui il mondo civile si trova ora e potrebbe essere un’occasione per prendere posizione in questa alternativa delineata precedentemente. Decide allora di mandare il Segretario di Stato Powell sul luogo. ESEMPIO: Se io voglio convincere qualcuno a comprare un prodotto X: Il burro è fatto con il latte fresco delle Alpi Qual è l’hooking point (aspetto della tesi che l'argomento chiama in causa): la materia di cui il burro è fatto, ovvero la causa materiale (Aristotele). L’endoxon è che il latte fresco delle Alpi è genuino, che crea l'aggancio tra l’argomento e la tesi. PREMESSA MINORE: la causa materiale di questo burro è il latte fresco delle Alpi CONCLUSIONE: questo burro è genuino. In un’altra pubblicità, la seguente tesi viene messa in discussione: questo orologio è di alta qualità? L’argomento è: è svizzero. Qual è l’hooking point? Noi associamo alta qualità di orologi agli orologi elvetici, perciò l'argomento si aggancia alla tesi per quanto riguarda la causa efficiente (determinante per la qualità del prodotto). ENTIMEMA: gli orologiai svizzeri sono noti per essere produttori di alta qualità. PREMESSA MINORE: questo orologio ha come causa efficiente gli orologiai svizzeri CONCLUSIONE: questo orologio è di alta qualità. PROVA TU: Questa casa è solida, è tutta di cemento armato. Questa piazza è molto bella, l’ha progettata il Bernini. 26/10/2020 I processi manipolatori Il potere della parola può essere usato in modo sano (auctoritas) o fondandosi sulla forza (violenza dell’inganno), che mette capo alla comunicazione persuasiva. Già Aristotele nella Retorica dice di prendere in considerazione i processi manipolatori. Quando si realizzano i processi manipolatori vi sono 3 tipi, considerati in modo diverso e corrispondono alle diverse fasi di avvicinamento al potere: ** testi fondativi: sono i testi programmatici in cui viene definita l’ideologia al potere; * testi mediatici: usati dai mass media per diffondere l’ideologia nell’ambito sociale; * libri scolastici e dizionari: testi che servono per perpetuare l’ideologia attraverso le generazioni, dove l’intervento è un logocidio o semanticidio, ovvero dove si fanno sparire quei termini ritenuti più “problematici” da parte dell’ideologia al potere o dove si prendono i termini valutativi e le definizioni di questi termini vengono piegate second gli intenti dell’ideologia al potere. Cosa si intende per manipolazione? Un messaggio viene definito manipolato quando piega la visione della realtà del destinatario e impedisce un atteggiamento sano rispetto ai suoi processi, alle sue decisioni. Il destinatario pensa di decidere per i propri interessi, ma in realtà agisce per gli interessi di chi lo sta manipolando. Analizzare le strategie manipolatorie è un processo complesso, perché la manipolazione opera in modo occulto, ovvero opera negli aspetti della comunicazione meno evidenti. Vi sono diversi tipi di manipolazione: 1. Dato che è occulta, esistono dei tipi di manipolazione che intervengono nella violazione delle presupposizioni: quando si usa un nome, la cosa di cui si fa il nome è percepita come esistente. Ad esempio, prendiamo “Luigi parte per Roma”, dove consideriamo Luigi e Roma, in cui “Luigi” corrisponde ad un'identità, qualcuno che esiste, che va a Roma, anch'essa città esistente > l’esistenza che scatta a partire dal nome grafico e proprio è un presupposto, quindi un significato taciuto, che si nasconde nel testo (implicito). Esiste una persona che viene designata mediante il nome: se noi esplicitassimo i nostri presupposti, confonderemmo il nostro interlocutore perché è ovvio che Luigi e Roma esistono. Anche i nomi comuni sono presupposizioni. GATTO = entità con una X Possiamo descriverlo in logica con Ax: PIA P2A P3A > noi sappiamo che gatto è un'entità vivente, non umana, ma animale, un mammifero, un felino, ecc. più ne sappiamo di scienze naturale, più possiamo caratterizzare questa entità. Il simbolo A è il simbolo usato in logica che indica la congiunzione logica “e”. La lettera “A” è il quantificatore esistenziale, ovvero il suo significato è “esiste una X tale che quindi ci permette questo presupposto esistenziale. Proprio per la natura semantica del sostantivo, i nomi hanno un forte potere comunicativo e immaginiamo la sua esistenza concreta, anche in termini manipolatori. Lo studioso ottocentesco tedesco Gottlob Frege nel suo testo Uber Sinn und Bedeutung (1892) mise in guardia rispetto all’espressione der Wille des Volkes — la volontà del popolo. Quando parliamo delle parole, esse hanno un significato e un denotato. Per definire il denotato, prendiamo espressioni in italiano come “Giacomo Leopardi” o “il poeta nato a Recanati” oppure ancora “l’autore di A Silvia”, ovvero con queste 3 espressioni io individuo nella realtà una stessa persona, quindi denoto lo stesso referente, cioè Leopardi, ma cambia il modo di esprimerlo. Frege inoltre fa l’esempio della STELLA DEL MATTINO (Morgenstern) e della STELLA DELLA SERA (Abendstern), mentre invece noi in italiano li chiamiamo “Lucifero” (lux + 7 utilizzata dal Big Brother. Per ridurre l’orizzonte del pensiero, uno dei principi adottati consiste in una vocaboluray reduction: si propone di ridurre i termini di base nel vocabolario attraverso la prefissazione negativa — ad esempio, prendendo il termine good non sarà necessario avere bad, perché lo stesso significato di bad viene espresso nel medesimo modo da ungood. Quindi abbiamo visto che la comunicazione persuasiva implica la pistis/fides, rivolgendosi ad un’adesione di ragione e di cuore del destinatario. Il messaggio persuasivo chiede di aderire, dandoci anche le ragioni per aderirvi. Vediamo perciò la dimensione dell’ affidabilità, che intessa la vita umana, ha un lessico molto ampio, giocando sulla dimensione della fiducia e dell’affidarsi. Questa dimensione è molto vasta, la vediamo nel nostro agire intero: supponiamo, ad esempio, che dobbiamo andare da Milano a Roma con l’auto, ma se dovessimo andare a New York dovremmo andare in aereo, affidandoci alla competenza del pilota + momento del nostro agire quando ci affidiamo a qualcuno o Seci si stacca un bottone, lo posso tranquillamente riattaccare io, ma se devo farmi un bel vestito mi affido alla competenza della sarta. o Se ho mal di testa, prendo l’OKI, ma se devo operarmi all’intestino, devo affidarmi alla competenza professionale del chirurgo. Se io chiedo la data di nascita a qualcuno (non alle donne perché non è educato) e si risponde, come possiamo sapere che siamo veramente nati quel giorno lì? Evidentemente sì, perché noi conosciamo la nostra data fi nascita attraverso la pistis/fides che noi diamo ai nostri genitori. La conoscenza della data di nascita è possibile grazie al credito che noi diamo a qualcuno: ad esempio, sappiamo che esistono i pinguini al Polo Sud e qualcuno ci sarà stato per riscontrare il dato sul campo. La conoscenza dei pinguini al Polo Sud ci arriva NON in maniera diretta, ma ci fidiamo di chi ce lo dice. Un piccolo gruppo ristretto li ha visti, ma per la maggior parte di noi sapere che esistono i pinguini al Polo Sud è una conoscenza che noi abbiamo attraverso reportage, documentari e prove scritte, quindi attraverso un credito datoci da una fonte intermedia autorevole. Nel nostro bagaglio di conoscenze, abbiamo una parte tramite presa diretta, un’altra parte attraverso informazioni, ma la maggior parte di esse sono / deda conoscenze che si fondano su un credito dato da qualcuno. / bedoyi , L’epistemologia Si occupa della caratterizza opzione del / pobedit'ipobeda metodo utilizzata da una certa disciplina e descrive, analizza le conoscenze raggiunte da una certa disciplina. Essa dimostra che solo una piccola parte delle nostre conoscenze # É / bitten Sidius le abbiamo effettivamente dimostrate (es. teoremi di “BIIDI 7 ; CAppien) geometria). Ma la maggior parte delle nostre conoscenze le “BHEIDH- i perfidus abbiamo ottenute grazie ad un intermediario autorevole, per x / cui la nostra conoscenza è enciclopedica + noi soggetti A NQ fides conosciamo un oggetto B grazie ad un intermediario C. foedus La linguistica storica ha ricostruito con vari studi le matrici delle lingue europee. péitho suadeo vs. convinco MAPPA DEL LESSICO DELL’AFFIDABILITÀ Ò . Notiamo come la radice *BHIDH e *BHEIDH si ritrova fede “pistis => pistios nelle lingue europee e classiche. La Linguistica nasce fede nuziale pistéuo.-T credo fiducia nell’Ottocento come disciplina autonoma (sebbene la fico bancacio, fideiussione (fidciubère) riflessione sulla lingua avvenisse già da tempi molto antichi), in un periodo caratterizzato da un orientamento storico particolare: si guarda alla lingua in una prospettiva federazione, federalismo, federale fido, fidato, fedele perfido diacronica, ovvero attraverso il tempo. La Linguistica storica confronta le lingue indoeuropee esistenti, riconoscendo una protolingua da cui hanno avuto origine, ovvero l’indoeuropeo. Da questo elemento *BHIDH - *BHEIDH nascono una serie di termini riguardo il lessico dell’affidabilità umana: 1. Condivisione e fiducia reciproca: già per gli uomini antichi, questa intesa reciproca era presieduta da Giove/Juppiter + era chiamato fidius, in quanto garante della fiducia reciproca a fondamento dell’intesa tra gli uomini. Chi fonda questo rapporto di fiducia reciproca è il fidus, ovvero una persona fidata e fedele. Mentre chi tradisce questo rapporto è il perfidus. Questa intesa fondata sulla 10 reciproca fiducia, quando diventa stabile, produce un esito, ovvero il foedus, (= patto/alleanza), termine importante in lingua italiana, basti pensare al termine “federazione”, “federale”, “federalismo”. Una federazione è un insieme di parti/regioni/stati che tendono ad unirsi sulla base di un patto. Questo significato di federalismo ha proprio un termine corrispondente ad uno Stato vicino all’Italia: la confederazione elvetica, dove troviamo il termine Eidgenossenschaft (= stare insieme dopo un patto di giuramento). Tornando sul termine “patto”, in greco troviamo diathéke, ovvero patto/contratto, ma anche testamento/disposizione testamentaria: con questo duplice significato, il termine per indicare i testi biblici, fu indicato nel latino testamentum, andando a perdere il significato di quel patto tra Dio e l’uomo. 2. Mondo bancario: abbiamo la documentazione del rapporto fides — mondo bancario in un passo del De Bello Civili di Cesare quando egli, giunto in un villaggio, afferma che nulla erat fides, ovvero non vi era nessuno disposto a prestargli denaro. Ritroviamo nuovamente questo rapporto nel termine fideiussione, dove una terza figura (garante di fides) si inserisce tra un creditore e debitore, facendosi garante del creditore: garantisce che il debitore adempierà agli obblighi del creditore. In italiano, troviamo un sinonimo in ambito bancario-finanziario, ovvero compare la radice legata all’espressione latina credo. 3. Credo: costituito da un primo elemento cre e do, cioè crescere per dare. In latino, il verbo credo si costruisce con il dativo, ma anche con il dativo seguito da accusativo e verbo transitivo: credo tibi pecuniam (ti presto denaro). L’accezione latina si è andata perdendo in italiano, ma è rimasta nelle figure del creditore e del credito. 4. Mondo matrimoniale: fondato sul fidarsi, affidarsi e fede. 5. Matrice tedesca: il termine BHIDH (= far fare qualcosa a qualcuno nel rispetto della sua volontà) continua nel verbo bitten (= chiedere a qualcuno con una certa forza/chiedere per avere) troviamo la matrice di “obbligare” e “convincere”. 6. Matrice russa: la radice indoeuropea ha sviluppato il verbo slavo antico da *BHIDH. In russo moderno è rimasto il sostantivo beda (= costrizione/necessità), da cui si è sviluppato il termine bednyj (= povero/colui che vive in costrizione), poi abbiamo pobedit’/pobeda (= sopraffare/vincere). Oltre alla retorica classica, troviamo altri modelli di comunicazione verbale sviluppati nel Novecento. Non esiste una definizione unica e consolidata di Tia “comunicazione” e neanche un modello condiviso di Source Tan comunicazione verbale. Nel Novecento troviamo diversi Sinai fa Sig Receiver Destination vedi mal modelli di comunicazione verbale: 1. Teoria dell’informazione 2. Riflessione linguistica 3. Riflessione pragmatica (comunicazione verbale come azione che compie l’uomo) Sburce Message Message MODELLO DI SHANNON (1948) Claude Shannon (1916 — 2001) inventa un modello alla base degli approcci matematici e informatici, dove non ci sono interagenti umani, ma si limita alla trasmissione dell’informazione. Abbiamo un device tecnologico (information source), da dove parte uno scambio informativo che va verso il destinatario (receiver 3 devicon ce tecnologico), ma qui non interviene la lingua. Poi, abbiamo il passaggio dell’informazione da un’information source a un receiver. La trasmissione dell’informazione avviene tramite un canale, che tuttavia può essere disturbato. Ci potrebbe essere un disturbo in questo processo, provenienti dal canale + noise source Poiché questo scambio potrebbe essere disturbato, Shannon cerca di individuare una situazione ideale di passaggio attraverso il suo teorema: questo teorema fissa la capacità di un canale (quantità massima di scambio informativo che può essere trasmessa). Con il teorema di Shannon, viene stabilita la quantità massima di scambio informativo che può passare dalla sorgente al receiver, perché la trasmissione sia priva di rumore, basterà che la quantità di informazione trasmessa sia inferiore/minore della capacità massima del canale. Questo modello di Shannon è un modello di tipo matematico — informatico, dove non intervengono né interagenti umani né le lingue storico — naturali, per cui l’informazione sarà codificata attraverso un sistema di codificazione che non coincide con la lingua storico — naturale. ul MODELLO DI SAUSSURE Modello della comunicazione verbale con interagenti umani con lingue storico — naturali. Ferdinand de Saussure (1857 — 1913) è un pilastro della linguistica del Novecento, in particolare con la sua opera Cours de linguistique générale, dove il suo metodo, circuit de la parole, diventa fondamentale. Saussure è fondatore dello strutturalismo, ovvero la ricerca della struttura della lingua. 05/11/2020 Il metodo di Saussure, chiamato circuit de la parole, da tradurre come circuito del discorso, segnala che abbiamo due interlocutori che si scambiano segni materiali, che hanno natura fonetica e acustica (volume e altezza), ma li decodificano anche grazie ad una conoscenza comuna della langue, che Saussure caratterizza: si tratta di un patrimonio mnemonico virtuale, che vive in sede mentale. Parlare significa all’interno di questa dinamica scegliere messaggi adeguati + il parlante va in sede mentale, sceglie all’interno di questa langue sceglie segni e regole, li attiva per trasmetterli all’interlocutore, il quale dovrà poi decodificarli. Abbiamo dunque un processo di decodificazione (destinatario; dal messaggio ascolta il suono e passa alla comprensione di tale suono, decodificandolo) e codificazione (parlante; il mittente parte da un’intenzione comunicativa per passare alla sua realizzazione fonetica, utilizzando il codice, ovvero la lingua.). Si tratta dunque di un processo di comunicazione caratterizzato come processo meccanico. Successivamente, questo sistema linguistico viene attivato al momento della parole, cioè del discorso che vive in sede virtuale. Questa langue vive in sede mentale, inoltre è qualcosa di virtuale, cioè esiste in sede psichica e attivata dal parlante nel discorso, è competenza del parlante, è un patrimonio condiviso dagli interlocutori e dall’intera comunità linguistica. In questo processo compare una prevalente meccanica in quanto l’azione tra i due interagenti si limita ad eseguire e ad attivare segni e regole, già esistenti in sede mentale, per cui i parlanti eseguono qualcosa di già esistente in sede mnemonica (Umberto Eco affermerà che i parlanti sono parlati dalla lingua). Tuttavia, i processi di comunicazione verbale sono ben più complicati di così. Il modello dello strutturalismo è stato applicato e ripreso anche ad altri comportamenti umani (antropologia, come modello che studia comportamenti umani e sociali). MODELLO DI BLOOMFIELD Leonard Bloomfield (1887 — 1949), importante esponente dello strutturalismo americano, afferma nella sua opera Language che il linguaggio è uno degli aspetti più importanti del comportamento umano, strutturato in stimoli e risposte di diversa intensità energetica. In quegli anni in America era diffuso il comportamentismo, che analizzava il comportamento umano in termini di stimolo e risposta. Lui immagina che passeggiando con la compagna, ella veda delle mele. Alla vista delle mele, lei avrà come primo stimolo dei succhi gastrici che si tradurranno, come secondo stimolo, nella richiesta della ragazza al ragazzo di darle delle mele. Per il ragazzo, invece il secondo stimolo è la richiesta della ragazza e la risposta è l’atto di andare a prendere le mele. Questo metodo di stimolo-risposta è adeguato a indagare fenomeni fisici di causa-effetto (modello generativo), che però nella lingua è problematico nel momento in cui devo analizzare le parole. MODELLO DI BÙHLER Si tratta di un approccio funzionalista, in quanto questi autori sono consapevoli che la lingua è uno strumento finalizzato alla comunicazione. Per noi questo effetto è scontato, quasi ovvio (tutti i modelli da Saussure in avanti sono elaborati in ambito linguistico). Ogni modello della comunicazione verbale scopre un determinato aspetto della lingua e si pone la domanda su come accade. 12 12/11/2020 Possiamo quindi caratterizzare la traduzione secondo Jakobson, che segnala tre tipi di traduzione: 1. Traduzione endolinguistica (intralinguistica): quando noi trasponiamo/interpretiamo un segno (“formaggio” + prodotto alimentare di latte cagliato), rimaniamo all’interno di un medesimo sistema linguistico. 2. Traduzione interlinguistica: si passa da un sistema linguistico all’altro (dall’inglese al francese; dal greco all’italiano). 3. Traduzione intersemiotica: da un sistema semiotico all’altro. Pensiamo come dai capolavori della letteratura abbiamo le trasposizioni filmiche, facendo passare da un sistema semiotico scritto ad un testo filmico con più sistemi linguistici (lingua, sistema iconico, immagini, suoni, ecc.). oppure pensiamo ai testi di storia dell’arte dove viene descritta l’opera d’arte nel testo, trasponendola in un altro sistema linguistico. La riflessione pragmatica Gli autori e i linguisti osservano il discorso come azione, soffermandosi su un aspetto particolare che finora non era stata presa in considerazione: il nostro dire è un agire. Allora, non è del tutto vero il proverbio “tra il dire e il fare c’è di mezzo il fare”, perché il dire coincide con l’azione. Questo concetto di “azione” deriva dal mondo antico e molti linguisti moderni riprendono intuizioni già sviluppatesi nel passato, all’inizio della riflessione della lingua non come disciplina autonoma, ma era un tutt'uno con la filosofia. Già Platone nel suo Cratilo 387b, in cui aveva detto che “il dire è un fare con le parole.” Apporto fondamentale fu quello di John Austin (1911 — 1960), autore del libro How to do things with words (1962 — Quando il dire è fare). Austin riflette sulle nostre azioni di dire e, in un primo momento, segnala una distinzione: dopo aver osservato i nostri enunciati, egli distingue fra » enunciati constativi (oggi splende il sole), che constatano/rappresentano la realtà. » enunciati performativi (lei è licenziato, ti prometto di mangiare sano, ti battezzo), ovvero azioni che accadono dicendole (non si può promettere se non con la parola). In un secondo momento, Austin rileva che tutte le nostre espressioni coincidono con azioni, anche quando abbiamo a che fare con enunciati assertivi. Ovviamente, ci sono ancora usi performativi come già visti precedentemente che accadono solo dicendole, PERÒ Austin si accorge che in qualche modo ogni enunciato del linguaggio ci permette di compiere un’azione: anche dicendo “oggi piove”, “oggi c’è il sole”, “Luigi parte per Roma” indicano un’azione. Dunque, Austin riformula la sua concezione, precisando che ogni uso del linguaggio permette al parlante di compiere un’azione, uno speech act, ogni atto del nostro dire è un atto di discorso > teoria degli atti linguistici. Noi quando parliamo compiamo e formuliamo atti linguistici. Infatti, ogni atto linguistico si divide in tre momenti 1. atto locutivo: noi diciamo “Luigi ama la musica”, cioè ho compiuto un atto linguistico con un certo contenuto sensato. 2. atto illocutivo: s’intende riferirsi all’azione precisa che il parlante compie con quel preciso atto linguistico. “Apri la porta”, “chiudi la finestra”, ovvero questo atto locutivo e nello stesso momento illocutivo ha una funzione ben precisa attraverso cui noi compiamo un’azione dando un comando. Con illocuzione s’intende l’azione che si compie con il discorso e con ciascun atto di tipo linguistico. 3. atto perlocutivo: s’intende gli effetti che il nostro speech act ha sul contesto. Per esempio, nel caso di un atto linguistico come comando, potremmo pensare che l’atto perlocutivo è l’effetto, dove gli effetti nel contesto sono le azioni compiute, ma in realtà con effetti perlocutivi che il nostro discorso produce s'intende che, quando noi diamo un ordine, può darsi che il nostro interlocutore non lo esegua. Questo atto comunque produce degli effetti, perché accade qualcosa: dopo aver formulato il comando, il rapporto fra i due soggetti coinvolti non è lo più stesso, poiché se io do un comando ma l’altro non lo esegue, posso evincere vari effetti (potrebbe essere un segnale che magari non riconosce l’autorevolezza di chi l’ha chiesto oppure un segnale di ribellione momentanea). 16/11/2020 MODELLO DI SEARLE John Searle (1932) riprende la teoria degli speech acts di Austin, ma approfondisce l’aspetto illocutivo > propone una tipologia di atti linguistici che il parlante può compiere attraverso il linguaggio: 15 ® ‘Rappresentativi: prendiamo l’esempio Paolo fuma abitualmente, ovvero un enunciato linguistico che rappresenta la realtà. ® Direttivi: se io prendo lo “speech act” chiudi la porta! Io chiedo un comando/un ordine a qualcuno. ® Commissivi: quando io dico ti prometto una ricompensa, che aprono un commitment, ovvero un impegno che il parlante si assume nei confronti della promessa. Quindi, cambia l’azione che intendiamo compiere, caratterizzata da diversa illocuzione o forza illocutoria. MODELLO DI GRICE Paul Grice (1913 — 1988) propone un modello della comunicazione che è fondato sul prindpio di cooperazione, dove egli mette in luce che i due interagenti cooperano/interagiscono guidati da questo principio. Nasce come cooperazione reciproca, dove Grice individua una serie di massime della comunicazione. Il testo in cui Grice forma questo principio cooperativo s’intitola Studies in the Way of Words, dove segnala che il messaggio deve essere reso comunicativamente adeguato, cioè formulato in un modo corrispondente a quanto è richiesto dall’apporto, quindi adeguato allo scopo/direzione dello scambio conversazionale in cui si è coinvolti. Questo principio della cooperazione si fonda su diverse massime: » Quantity = l’apporto comunicativo deve essere calibrato sulla quantità e all’apporto del nostro intervento comunicativo. » Quality = l'apporto comunicativo non deve essere falso, cioè non si deve formulare una comunicazione falsa, MA allo stesso tempo deve essere fondato su un’adeguata evidenza/prova. » Relation= “sii pertinente” > il messaggio deve essere pertinente e per esserlo deve avere un senso che colga l’interesse del destinatario, creando involvement. » Manner = è molto importante, sottolinea Grice, di non oscurare l’espressione, di evitare l'ambiguità, essere breve e procedere ordinatamente. Disattesa delle massime: cosa succede se una delle massime viene disattesa? » Recupero del senso grazie a procedimenti inferenziali: A: Dov’è Carlo? B: C’è una VW gialla davanti alla casa di Anna Si tratta di una formulazione che viola la pertinenza (relevance). Qui avviene effettivamente una disattesa della pertinenza, rispetto a quanto è stato chiesto da A. Tuttavia, applichiamo, di fronte alla risposta di B, il principio della cooperazione: è come se operasse in noi che ciò che è stato detto ha del senso > cooperazione fra ai due, dove il destinatario coopera con il mittente che dà avvio ad una ricerca del senso (co-costruzione del senso). Effettivamente, può essere che la VW gialla sia di Carlo, dove egli si trova 3 la risposta di B non è insensata, ma invita il mittente a recuperare il senso tramite procedimenti inferenziali. Ovviamente la pertinenza è soggettiva, perché vi deve essere un common ground comune. In particolare, i due linguisti Dan Sperber (1942) e Deirdre Wilson (1941) formulano la Relevance Theory sulla base della teoria elaborata precedentemente da Grice, ampliando il suo modello: segnalano che per individuare un messaggio, è molto importante il contesto per l’interpretazione del messaggio, in cui fanno parte i due interlocutori, il mittente e il destinatario. Infatti, i due autori sottolineano che il messaggio produce degli effetti contestuali che consistono in un cambiamento di mittente e destinatario = cambiamento della intersoggettività. Perciò, pertinenza è l’aspetto segnalato per fare in modo che il destinatario ricostruisca il senso con uno sforzo interpretativo minimo, quindi la pertinenza di un testo dipende dal rapporto fra gli effetti contestuali e gli sforzi cognitivi necessari per interpretarlo. All’inizio di questa riflessione comunicativa, abbiamo parlato di eventi comunicativi, ovvero eventi che si producono per comunicare e trasmettere un messaggio, ma allora cosa vuol dire che l’atto comunicativo è un evento? Per capire in che senso dobbiamo scavare nel suo significato (lavoro di etimologia, confrontando tra di loro parole appartenenti a lingue diverse). Confrontiamo quindi le lingue germaniche (tedesco) con le lingue romanze (latino): evento € e — venio Verbi di accadimento 16 Ereignis € eigen Impossessarsi Sich aneignen Da qui, capiamo che PEVENTO COMUNICATIVO è qualcosa che sopravviene e che, accadendo, si impossessa di coloro a cui questo avvenimento succede, producendo un cambiamento, caratterizzato come un habit change, chiamato così da Pierce. È un termine che deriva dal latino habitus collegato al verbo se haber ad (= relazionarsi con), intendendo un cambiamento di atteggiamento. I francesi, gli inglesi e i tedeschi parlano di “attitude” (fr., ingl.) e di Verhéiltnis. Questo cambiamento è intersoggettivo, cioè cambia il mittente, perché non è più identico al momento precedente in cui aveva detto una determinata cosa. Inoltre, questo cambiamento avviene anche nel destinatario: più è ricco il messaggio, più cambia l’atteggiamento. Cambia la posizione emotiva che noi abbiamo: quando un messaggio ci raggiunge, produce un cambiamento più superficiale, producendo un cambiamento dello stato emotivo (rabbia, preoccupazione, timore, ecc.). un messaggio ci sposta a livello più superficiale, in questo riscontro emotivo della realtà. Come dice Aristotele, il messaggio cambia la nostra diathesis, cioè la nostra posizione emotiva. Invece, ci sono messaggi che ci spostano in una posizione stabile più profonda (convinzioni e valori che affermiamo) nei confronti della realtà, trattandosi di un cambiamento di héxis. A questo punto, capiamo il significato vero e proprio del messaggio, ovvero una sollecitazione che ci arriva per lasciarci coinvolgere. Dunque, il cambiamento è un momento del senso dell’atto comunicativo e ne fa un evento comunicativo. I messaggi, infatti, sono scambi di senso. Dunque, il senso dei messaggi è centrale, perciò non possiamo prescinderne un senso e per definirlo dobbiamo seguire un approccio particolare. Imnanzitutto, definiamo il senso, osservando la polisemia del termine, ovvero più significati della parola. Creiamo dei brevi testi in cui viene utilizzata: 1. L’uomo ha cinque sensi. L’udito è un senso è l’uomo dispone di cinque organi percettori, che mettono capo ad una percezione della realtà. Il termine tedesco per percezione è Wahrnehmung (3 presa di rapporto). Questa strada è a senso unico > il termine indica la percorrenza/direzione di una strada. Ha buon senso è intendiamo una persona che valuta in modo ragionevole. La parola uomo in italiano ha due sensi: in un primo senso significa essere umano (Mensch, uomo), in un altro senso significa essere umano di sesso maschile (Mann, vir) 3 sto parlando dell’accezione di un termine, come lo intendo 5. Questa espressione non ha senso: mia moglie è un’ottima cuoca (detto da uno scapolo); mio cugino è farmacista (detto da uno sconosciuto sull’autobus) + insensatezza Noi dobbiamo partire dalla definizione di non — senso, cioè riusciamo a capire cos'è il senso di una realtà dopo aver circoscritto il non — senso. Osservando alcuni comportamenti della realtà: ad esempio, prendiamo un produttore di frigoriferi che apre una filiale al Polo Nord + è illogico, insensato è un comportamento per essere ragionevole, deve avere ragioni adeguate. Se noi andassimo al bar e chiedessimo un caffè, ma il barista ci dicesse “sì sì” e poi se ne andasse, come sarebbe giudicato il suo atteggiamento: IRRAGIONEVOLE! Non adempie al suo commitment di barista. Questi riferimenti alla nostra esperienza ci permettono quindi di definire un’insensatezza, cioè quando un comportamento non ha ragioni adeguate. A questo punto, possiamo dire cosa sia il senso: un messaggio ha senso perché ha a che fare con la ragionevolezza. Qualcosa ha senso quando ha un rapporto con la ragione, e questo vale anche per un messaggio. AWSN Ma esiste il non — senso in ambito comunicativo? > Non - sensi artificiali “costruiti” su misura dal linguista a scopo metalinguistico, non si tratta di testi reali. > Non — senso dell’ambito testuale > pensiamo alla letteratura che ha a che fare con il teatro dell’assurdo, ovvero il teatro del nonsense (Beckett, Waiting for Godot). Ma allora queste opere che attribuiamo in questo filone letterario sono opere insensate, non hanno veramente senso? In realtà, anche attraverso queste opere, gli autori ci vogliono comunicare il senso di disorientamento dell’uomo moderno del Novecento in rapporto con la realtà, che ha perso il punto della realtà. > Non-senso dei testi prodotti da soggetti psicotici: ci costringono ad andare ad un livello di interpretazione più profondo, facendoci capire il disagio di questi soggetti nella loro condizione. 17 che dimostrano a chi è più urgente, quindi rispetto alla necessità dell’interlocutore, quindi è molto meno prevedibile rispetto alle altre situazioni e spesso questa comunicazione è di natura argomentativa, cioè i due devono giustificare al meglio, adducendo ragioni più convincenti e valide che giustifichino l’ottenimento dell’oggetto di interesse. Il termine competizione deriva dal verbo petere + cum, dove i due vogliono ottenere un oggetto non divisibile (una sola fetta di torta, una sola macchina, ecc.). Si tratta di un momento violento dell’interazione, poiché i soggetti si scontrano per ottenere un oggetto utile per loro stessi, quindi dovranno saper argomentare meglio dell’altro in modo da entrare in possesso rispetto a colui che compete contro di me. Nel caso della competizione, gli atti linguistici non potrebbero servire anche per trovare un compresso? Potrebbe intervenire un terzo, ma in questo caso avremmo un caso di negoziazione e mediazione. I fattori della comunicazione verbale Mettiamo a tema gli eventi che si producono per scambiare i messaggi, che si appoggiano come strumento espressivo aduna lingua storico — naturale. La comunicazione verbale vive grazie all’interazione tra due soggetti. Introduciamo il tema di semiosi che si divide in due, ma non basta. La semiosi affida parte del suo significato alle parole, ma molto viene lasciato implicito, nelle pieghe del messaggio, del testo, ricostruiti dal destinatario inferenzialmente (inferenza). Abbiamo anche l’ostensione, cioè quel momento della comunicazione muto dove comunica la realtà con il suo semplice darsi/essersi. Questi fattori costitutivi devono essere presi uno dopo l’altro, ma in realtà dobbiamo pensare a questi fattori che interagiscono fra loro, non divisi (in particolare, semiosi e deissi). SEMIOSI » DIFFERENZA eventi semiotici VS eventi non semiotici Dobbiamo distinguere tra eventi semiotici e non semiotici. Prendiamo due eventi NON semiotici, come una penna e un microfono e chi chiediamo: questa penna e questo microfono hanno senso? Il senso di questi oggetti/eventi non semiotici si identifica con la loro implicazione immediata, coincide con la funzione che ci permette di svolgere, sono icone di qualcosa > ci permettono di scrivere o di raggiungere un interlocutore in un ampio spazio. Prendiamo due eventi semiotici, cioè la penna e il microfono, catturandoli nel discorso e facendoli diventare due parole: perché sono eventi? In che senso semiotici? Hanno una loro fisicità, ovvero se ci riferiamo alla parola orale che ci raggiunge, io ho pronunciato questi due segni che ci raggiungono, sono onde sonore che ci raggiungono, sono percepibili al nostro udito. Ma se consideriamo penna e microfono scritti su carta, sono fisici e visibili, assodata da grafemi scritti con l’inchiostro corrispondenti alle lettere di queste due parole. Per capire la differenza tra i due, dobbiamo chiederci quale sia il loro senso e come hanno senso. Eventi semiotici: catturiamo due oggetti del discorso, facendoli diventare due segni (seméion = segno). La semiosi è l’atto del processo con cui si costruisce un segno. La penna e il microfono sono due eventi di natura semica linguistica. Il senso di questi due eventi semiotici non è più una funzione immediata, ma è un concetto a cui ci rimandano, perché di fronte al segno “penna” abbiamo una successione di suoni che veicolano un concetto di penna + è l’atto con cui creo il segno. Con questo creo delle correlazioni semiotiche, cioè associo ad una successione intenzioni comunicative ad eventi fisici, concetti a suoni. Prendo l’esempio della CASA, dove associo il concetto ad una determinata successione di suoni: in italiano ho “casa”, in francese “maison”, in inglese “house”, in tedesco “haus”, in russo “dom”. Vediamo che attraverso la correlazione semiotica ho creato un segno che deve essere interpretato. Ha senso che un segno voglia tornare sulla dimensione del significato, ma non è l’implicazione immediata che l’oggetto ha per noi + interviene la semiosi. Di fronte ad un evento semiotici, è necessario interpretarlo per coglierne il senso (se noi non conosciamo quella lingua storico — naturale, non riusciremmo a coglierne il senso e l’intenzione comunicativa associata alla successione di suoni). Ogni comunità linguistica crea le proprie correlazioni semiotiche/ i suoi segni con le loro caratteristiche: 1. Arbitrarietà: non c’è nessuna ragione per cui al concetto di abitazione vada associata la successione di suoni “casa”, poiché nelle altre comunità linguistiche si usa la successione di suoni “maison” o 20 “house” o “haus”, quindi il rapporto tra il concetto e il suono è del tutto arbitrario. Il termine viene messo in luce da Saussure, il quale evidenzia la sua importanza. Ma allora il fatto che il nesso sia arbitrario è positivo è negativo? Queste correlazioni semiotiche sono stabilite in modo arbitrario, quindi non c’è una ragione precisa, per cui queste correlazioni semiotiche non vengono pattuite, poiché se ci fosse una ragione qualcuno nella comunità linguistica si comincerebbe un processo di rinegoziazione delle correlazioni semiotiche, a rideciderle + non ci sarebbe più quella condivisione di correlazioni semiotiche di parlare e comunicare. Le correlazioni semiotiche rientrano in quel common ground condiviso come il presupposto fondamentale perché ci sia comunicazione. Per cui, l’arbitrarietà garantisce la stabilità della lingua. Il fonosimbolismo cerca di trovare una motivazione nel suono, ossia giustifica il suono di una parola. Questa è una tentazione perché le parole hanno un determinato suono: anche le onomatopee non sono identiche in tutte le lingue, perché se prendiamo l’onomatopea del canto del gallo in italiano abbiamo “chicchiricchì” mentre in inglese abbiamo “cock-a-doodle-doo”, in francese “cocoricò”, per cui anche le onomatopee sono generalizzate e cambiano di cultura in cultura. 2. Convenzionalità: nesso stabilito all’interno di una comunità linguistica insieme all’arbitrarietà. Le correlazioni semiotiche vengono tramandate nel corso delle generazioni. Insegnare e dare nomi alle cose è un momento che fa parte del prendersi cura del piccolo, dell’allevarlo e educalo 3 è il momento dell’apprendimento della lingua materna, che avviene in quell’accoglienza nel nido familiare, fondamentale per la realizzazione dell’io. Un primo aspetto sorprendente è il fatto che quando insegniamo a dare nomi alle cose, mettiamo in mano ai piccoli la correlazione semiotica, ma passa anche tutto quell’affetto e benevolenza nei confronti del mondo dei piccoli. Salimbene da Parma racconta nella cronaca del XIII secolo un esperimento perverso di Federico II di Svevia: per ricercare la “lingua originale” lui prese dei piccoli, li allontanò dalle madri, affidandoli a balie che però avevano il divieto di parlare, pensando che avrebbero imparato da sé la lingua originale. Questi bimbi però si intristirono e morirono + questo perché mancava tutta quella dimensione affettiva che accompagna l'apprendimento della lingua. Insegnare e dare nomi alle cose ha un’altra implicazione: dare un nome alla cosa significa entrarne in possesso. Nel sud della Francia a fine Ottocento si trovò un ragazzino, Victor, che era stato allevato da lupi. Egli non sapeva parlare e il medico Itard non riuscì ad insegnargli il linguaggio, in quanto in lui era venuto meno il momento dell’accoglienza del nido familiare, per cui non sapeva dare nomi alle cose e questo aveva prodotto in lui una lesione profondissima a livello della psiche, per cui non riusciva a focalizzare lo sguardo sulla realtà, come se non gli interessasse. La semiosi è caratterizzata dalla cornice, ovvero una linea più o meno immaginaria che delimita una porzione d realtà. Nel caso del quadro, la linea non è immaginaria e delimita un ambito un segmento/porzione di realtà dove opera la semiosi iconica (non si usano parole o segni verbali, ma segni iconici per rappresentare la realtà). Pensiamo al piedistallo di una statua o a teatro la linea del palcoscenico a semicerchio che separa il palco dal parterre, che segnala che ciò che avviene sul palco è semiosi, ovvero ci sono attori che impersonano dei personaggi. Poi, vi è anche la cornice testuale (“c’era una volta...”, “Once upon a time...”), che varia a seconda della comunità linguistica e introduce il testo letterario. La comice, quindi, è proprio questa linea più o meno immaginaria che nel caso delle arti figurative è visibile, ma nel caso dei segni verbali non lo è, tuttavia opera la semiosi. Laddove ci sia la cornice, interviene la semiosi che ci chiede di interpretare quell’evento semiotico, cioè ricostruire la sua intenzione comunicativa. Una volta interpretato il segno, possiamo individuare nella realtà l’oggetto a cui quel segno rimanda: i segni stanno per altro (stat pro alio), poiché se coincidessero con la realtà, sarebbe simbolo di psicosi. Ad esempio, se i segni scritti del menù coincidessero con la realtà un soggetto psicotico mangerebbe il menù perché attuano un’equazione simbolica, cioè fanno coincidere un segno con la realtà > cancellare la linea semiotica è un chiaro segnale di follia. SEMIOSI DEITTICA — DEISSI Non tutti i segni rimandano a “casa”. CASA è una successione di suoni che rimanda ad un concetto conosciuto da tutti (questo vale anche per la parola “albero”). Al contrario, la parola IO usata da me o altri ha un significato diverso. Se io dico “ora splende il sole”, questo evento corrisponde al giorno 23 novembre 2020 alle ore 16:16, ma se io uso questo esempio per indicare il giorno successivo non funziona, perché io parlo in questo determinato momento di questo evento meteorologico. È un momento temporale che coincide con il momento del discorso, agganciandosi contemporaneamente alla deissi della situazione. 21 Il termine deissi deriva dal verbo greco deiknymi (additare, indicare). Sicuramente un non parlante italiano non potrebbe conoscere il significato delle parole IO, TU, ADESSO, ORA, QUI, COSÌ, ma se noi andiamo a cercame il significato nel lemma del dizionario, diventa il contenuto di quell’istruzione che ci dice “vai a prendere” > nella situazione comunicativa io vado a prendere colui che l’ha utilizzato, in modo che il segno abbia significato. Perciò, IO ha una parte di significato che deriva dalla categoria, ma è come se fosse il contenuto di un’istruzione che ci dice di andare a prendere/individuare la situazione comunicativa in cui sono state utilizzate. Il termine categoria deriva dal greco katà (a ridosso di) e il verbo agoréuo (parlo), facendo riferimento all’agorà, cioè il luogo in cui i Greci parlavano di fronte al pubblico. Dunque, secondo i Greci, le parole sono come delle strategie linguistiche con cui noi attestiamo la realtà. I deittici sono caratterizzati da un forte tasso di realismo, perché entra la realtà per precisare il concetto a cui è legata la strategia di manifestazione, infatti troviamo sia la semiosi categoriale sia la semiosi deittica, ma ci sono alcune parole (casa, albero, libro), che NON hanno una dimensione deittica. Le parole deittiche si precisano durante l’aggancio alla situazione comunicativa e, per funzionare, richiedono una condivisione dello spazio comunicativo. In questo esempio, ritroviamo come il principio di non contraddizione dica come non sia possibile dire che una certa entità A è e non è, nello stesso tempo e nel medesimo spazio. Questi due enunciati di Luigi e Andrea sono contradditori ? Rispetto al medesimo aspetto dell’oggetto, non può essere sia blu e rosso, ma di un solo colore. Se parlano di penne diverse, non si stanno contraddicendo perché ciascuno dei due parla di un qualcosa di diverso e ognuno dei due utilizza il deittico questa che significa “nelle vicinanze del parlante” Luigi o Andrea. La penna è rossa se si trova vicina ad Andrea, mentre blu se è vicina a Luigi. Infatti, i deittici sono ridotti nelle conversazioni telefoniche, ma molto frequenti nelle conversazioni faccia a faccia. 26/11/2020 Nei deittici parliamo della tipologia dei deittici diretti, ovvero: a) Pronomi personali (io/noi, tu/voi), aggettivi possessivi (mio, tuo, ecc.), perché il significato che viene dalla categoria (io) che ritroviamo anche nel dizionario diventa il contenuto di una semantica che chiede di andare a prendere nella situazione comunicativa colui che l’ha utilizzato, cioè il mittente; b) Deittici spaziali (questo, quello, qui, là); c) Deittici temporali (adesso, prima, oggi), con conversazioni che avvengono in momenti temporali diversi; d) Deittici di maniera (così), cioè la formulazione accompagnata da un gesto, dove si chiede di precisare il significato osservando il gesto prodotto nella situazione comunicativa; e) Dettici testuali (egli, ella, esso, essi), già gli antichi differenziavano i deittici precedenti, cioè i demonstrativi (deiktikà) VS i relativi (anaphorikà). Sono chiamati testuali perché permettono di svolgere funzioni importanti, tra cui Ho visto Chiara e le ho detto che domani c’è il seminario > il pronome va a riprendere il denotato instaurato nel cotesto che precede. Permettono di evitare ripetizioni, secondo un principio di economia, che afferma che una parola significativa veicola significato della parola se è inversamente proporzionale alla sua frequenza di occorrenza, quindi più una parola viene ripetuta, meno significato ha. A volte i deittici hanno funzione cataforica, cioè anticipano qualche cosa che verrà detto successivamente: ti telefono per dirti questo: è nato Saverio Enzo! > dal punto di vista dell’analisi grammaticale, QUESTO è un pronome dimostrativo. Come dittico spaziale, se io dico “questa penna scrive male” io colloco l’oggetto penna nelle mie vicinanze. Nel caso della frase precedente, questo apre una subordinata dichiarativa, ma non è un deittico spaziale, quindi dobbiamo osservare il contesto! In tal caso, QUESTO anticipa quanto viene detto poi nel cotesto che SE segue. Gli elementi ana-forici e cata-forici garantiscono la coesione testuale. Ma allora perché i deittici testuali hanno il genere, mentre î pronomi personali no? Noi dobbiamo pensare alla comunicazione come ad una scena teatrale: noi abbiamo i protagonisti che sono presenti vis-à-vis. I pronomi indicano i due interlocutori presenti sulla scena della + comunicazione. Il fatto di essere presenti nello spazio comunicativo esime © Andrea di dover comunicare il loro genere. Quando ricorriamo a “egli, ella, esso”, i due interlocutori parlano di un terzo diverso da loro, che non fa parte del + | due enunciati sono contraddittori? 22 cataforica, però, perché anticipa quando verrà detto î made the boy sad to see the old man come in each in seguito. I deittici testuali permettono di rendere il day sie Il skiff empty and he always went down testo coeso, una volta instaurati dei referenti, che to help carry either the coiled lines or the gaff vengono continuamente ripresi nel testo. and harpoon and the sail that was furled around the mast. Deittico temporale: indica contemporaneità con il momento dell’azione. In questa descrizione di un modello verbale, noi ci appoggiamo ai punti di arrivo di tutta la riflessione linguistica che ci precede, avendo alle spalle una ricca tradizione linguistica che rivisitiamo per poter esplicitare il concetto di ratio. Noi non siamo una “cattedrale nel deserto”, ma ora che siamo a conoscenza del fenomeno linguistico, siamo in grado di studiarlo. Verificando i risultati dei nostri predecessori, li sfidiamo con la contemporaneità: possiamo osservare come questo rapporto è stato messo a tema da Goethe nel primo passaggio di Faust. “Was du von deinen Viitern ererbt hast, erwirb es, um es zu besitzen” (= Quello che hai ereditato dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo.”), dove lui ci spiega il momento presente e tutta la ricchezza del passato che ci precede, cioè bisogna riandare a ciò che abbiamo ereditato dai nostri padri, sfidarlo con le nostre domande per potercelo riguadagnare. Lo strutturalismo Lo studio della lingua di per sé è antica quanto l’uomo, da quando egli riflette su se stesso e la lingua. La lingua è l'aspetto più significativo della ricerca umana. All’inizio avevano la Linguistica prescientifica, che era un tutt'uno con la filosofia. Nel 1816, nasce la Linguistica scientifica, in seguito alla pubblicazione dell’opera di Franz Bopp, intitolato “Il sistema di coniugazione della lingua sanscrita a confronto con il sistema di coniugazione della lingua greca, del latino, del persiano e del germanico” > la Linguistica nasce come disciplina autonoma, con un forte orientamento storicista, diventando una Linguistica storico- comparativa, ovvero in questa prima fase la Linguistica compara le varie lingue e ricostruisce attraverso comparazione una protolingua, ovvero una lingua originale da cui tutte le altre discendono, che coincide con l’indoeuropeo. Perciò, la Linguistica ottocentesca ha una prospettiva diacronica, confrontando e analizzando le lingue nel loro sviluppo. Se questo è l’orientamento nell’Ottocento, ad un certo punto emerge l’esigenza diffusa di studiare la struttura della lingua, che è il desiderio che muove anche Saussure, padre dello strutturalismo. Tuttavia, se dobbiamo a Saussura una teoria strutturalista sistematica, vi sono autori che, anche senza leggere Saussure, presentano un interesse analogo, presentandosi come precursori dello strutturalismo: Baudoin de Courtenay (1845 — 1929) e Kruszewski (1851 — 1887). In Baudoin distinguiamo due momenti di strutturalismo: » Duplice oggetto della fonetica: disciplina che studia i suoni di una lingua. Baudoin afferma che la fonetica ha come compito quello di studiare i foni dal punto di vista fisico (acustico — articolatorio), ad esempio nella parola PANE, la P è un’occlusiva bilabiale. Da un altro lato, indaga il funzionamento dei suoni nel meccanismo della lingua, quindi la loro funzione. » Fonema: il suono della lingua. Baudoin indaga il suono dal punto di vista del suo funzionamento, affermando che al di là del suono vi è un prototipo alla base di tutte le sue realizzazioni. Il suono non è ancora rilevante dal punto di vista acustico, ma per capire come operano i suoni dobbiamo analizzare il meccanismo della lingua. 03/12/2020 Allo stesso modo del suo maestro Baudouin, il suo discepolo Kruszewski formula riflessioni linguistiche che inaugurano un orientamento strutturalista. Nel passo della sua opera, fa emergere che la lingua è un tutto strutturato (stroje coele): se osserviamo una lingua (francese), in essa troveremo parole originariamente 25 francesi, ma anche di altra origine, come quella latina, italiana, piccarda, ecc. Sia dal punto di vista esterno sia da quello interno, ciascuna parola si deve adattare alle regole semantiche, quindi del significato. Kruszewski afferma che ciascuna lingua vede intervenire al suo interno delle leggi che governano la sua struttura (fonetica, strategia di manifestazione della parola, semantica). Kruszewski fa una considerazione rispetto al modo in cui un parlante apprende le parole della sua lingua: se dovessimo imparare le parole della nostra lingua così come impariamo i nomi dei fiumi, l'impresa sarebbe ardua. Al contrario, ciascun parlante impara e ricorda con naturalezza, senza difficoltà, un ampio repertorio di parole, perché non le impariamo isolatamente. Quando impariamo la parola conduce, una prima parte conduc è nota attraverso altre forme (conduc-i, conduc-iamo, conduc-ono, conduc-ente). La desinenza e è già nota a colui che sta imparando la forma di parola attraverso un insieme di altre parole che già conosce (viv-e, dorm-e, scriv-e). quindi, quando noi impariamo una parola, questa ci è già nota attraverso altre > similarità > ci aiuta nel processo di apprendimento del lessico delle parole. Kruszewski segnala che le parole non sono associate fra di loro per similarità, ma anche secondo un altro rapporto, ovvero per contiguità. Luigi ha corrisposto a Pietro una ingente ... > come completeremo la frase? Noi metteremo dopo i punti somma di denaro, completando la frase naturalmente, perché per contiguità si intende la loro disposizione sulla catena lineare. Questa contiguità si divide nei vari livelli della lingua (fonetico, semantico, morfologico). Kruszewski evidenzia che ciascun enunciato si colloca all’intersezione dei due assi della similarità/equivalenza e della contiguità: se prendiamo l’enunciato Luigi beve birra, ciascun elemento è associato per similarità ad elementi equivalenti Luigi è associato ad elementi come Mario, Giovanni, Martino, Maria. L’azione del bere è associata ad una serie di elementi equivalenti come mangia, dorme, dai quali è stato selezionato. Birra è associata ad un insieme di altre parole equivalenti come acqua, latte, caffè, vodka che potrebbero stare allo stesso modo in questo asse della catena lineare fonica. Se io avessi messo Luigi beve ... avrei completato naturalmente questi primi due elementi dell’enunciato perché le parole sono connesse tra loro per contiguità. Kruszewski ha uno sguardo alla lingua che evidenzia il modo in cui la lingua funziona, si tratta di uno sguardo sincronico, cioè si sofferma su un caso temporale ben preciso, indagandone aspetti del funzionamento della lingua. Ferdinand de Saussure (1857 — 1913) è considerato il fondatore dello strutturalismo. La sua opera, pubblicata postuma nel 1916, ovvero Cours de Linguistique générale, opera che in realtà viene scritta dai suoi alunni Bally e Sechehaye, che riordinarono gli appunti di Saussure. Indagando la struttura della lingua, bisogna seguire un certo metodo, perciò, leggendo la sua opera, si nota che Saussure precisa il metodo, opponendo due modalità > dicotomie saussuriane Per prima cosa, bisogna osservare la lingua in un suo momento temporale (linguistica diacronica), tuttavia ad egli interessa indagare il meccanismo attraverso cui la linguistica funziona: se siamo interessati al suo meccanismo, bisogna osservarla in un momento temporale determinato, prendere un solo stato di lingua (modalità sincronica). Dopo aver scelto la sincronia, Saussure afferma che quando scegliamo una lingua, essa è accompagnata da una serie di fattori concomitanti: la lingua è impiegata da dei parlanti che si collocano in un determinato tempo e spazio con caratteristiche politiche, sociali e culturali 3 linguistica esterna Se si vuole analizzare esclusivamente la lingua, bisogna uscire da questi fattori e concentrarsi sul suo aspetto intemo + linguistica interna (se vogliamo conoscere il funzionamento di una sveglia, non dobbiamo sapere chi l’ha prodotta e dove, ma concentrarsi solo su come essa funziona). Saussure decide di concentrarsi sulla linguistica interna. A questo punto, egli procede ai momenti costitutivi della lingua, evidenziando che una lingua è costituita da due momenti: langue e parole. Due momenti costitutivi che Saussure procede a definire, dando una duplice definizione. PRIMA DEFINIZIONE 1. Langue: sistema di segni usato dal parlante > è un sistema, non un insieme, cioè un gruppo di elementi tra i quali si instaurano dei rapporti reciproci di solidarietà semica. Ciascun elemento vive in questo sistema e si oppone a tutti gli altri. Saussure afferma che dans la langue tout se tient, proprio perché questi segni fanno parte di un sistema di elementi solidali tra loro, ciascun segno è quello che è perché si determina come tale e si oppone a tutti gli altri > il segno ha natura oppositiva Bosco Legno Bois Legna Legname Vediamo in questo caso come un segno è tale in quanto vive nella langue e vivendo in questa solidarietà semica, si oppone ad altri segni che lo limitano e lo circoscrivono. 2. Parole: esecuzione/uso di questo sistema di segni SECONDA DEFINIZIONE La langue però è associata ad un patrimonio mnemonico — virtuale, cioè al momento sociale, mentre la parole è associata al momento individuale > in realtà Saussure dà un’interpretazione che fa ricadere nella linguistica esterna, cioè in base ai fruitori esterni > questi sono momenti di aporia, dove si ricade in una contraddizione rispetto alla dichiarazione di metodo precedente. Saussure procede poi nella definizione del segno linguistico, che è dotato di due facce: 1. Signifié = concetto 2. Signifiant = immagine acustica (NON è qualcosa di fisico), ovvero la traccia che un segno lascia in sede psichica. Sono due facce della stessa medaglia che non si possono separare: se noi prendiamo un foglio di carta e lo tagliamo, otterremo una figura che presenta un diritto e un rovescio, poiché non siamo riusciti a superare i due lati del foglio. Dunque, il segno linguistico è caratterizzato da questa unione imprescindibile, pertanto anche il significante è di natura psichica. Il segno vive tutto in sede psichica > DIFFERENZA rispetto agli Stoici, in quanto Saussure riprende la nozione di segno degli Stoici, secondo i quali il semeion si divideva tra: * Semainon: il sensibile (è il signifiant che però per Saussure non è fisico) * Semainomenon: intellegibile Successivamente, il segno è dotato di certe caratteristiche: » Arbitrarietà: non vi è nessuna ragione per cui il concetto di “casa” sia associato alla successione di suoni C A S A, perché in altre lingue troviamo anche H A U S (tedesco), HOME (inglese)eM AI S O N (francese). Questo garantisce anche una certa spontaneità, altrimenti dovremmo ribaltare completamente tutte le connessioni tra le lingue. 10/12/2020 » Linearità: riguarda sia il significante sia il significato. Che il segno sia lineare sul versante del significante è evidente > il significante è una successione di suoni (traccia che la successione di suoni lascia). Tuttavia, anche il significato è lineare > Saussure si riferisce alla manifestazione della linearità dell’ordine delle parole, disposte sulla catena lineare quando noi costruiamo frasi. Egli si riferiva forse ai diversi significati che l’ordine delle parole può veicolare. Osservando contrastivamente i significati veicolati dall'ordine delle parole, prendiamo l’enunciato inglese John loves Mary VS Mary loves John > anche se troviamo gli stessi segni, cambia il soggetto > in inglese è fondamentale l’ordine delle parole per individuare ciò che è soggetto e differenziarlo dal complemento oggetto. In inglese, il soggetto occupa la “first position of the sentence”, infatti i due enunciati hanno gli stessi segni, ma le funzioni sintattiche sita. ita sono cambiate (= “word order”), dandoci diverse 7 ì informazioni morfosintattiche. f signifié ‘concetto Un altro esempio in italiano è Giovanni lesse il romanzo VS | ì | ì il romando lo lesse Giovanni 3 in italiano, a differenza | I i immagine | dell’inglese, è molto più libero per quanto riguarda la acustica posizione dei segni. L’ordine delle parole più libero è p permette di dislocare il soggetto sulla destra, facendolo diventare “rema”. Analizzando l’analisi testuale dell’enunciato, nel primo Giovanni è soggetto, il tema dell’enunciato, rispetto al quale è stata compiuta una certa azione (leggere il romanzo), dove il romanzo è l’apporto nuovo. Spostando il soggetto a destra, CAMBIA l’organizzazione testuale. Il tema (ciò di cui si parla ed è condiviso) diventa il romanzo, mentre Giovanni diventa il rema. In 27 che si viene a creare tra l’aver definito la parole come il “momento della libertà” e la sintassi, che si colloca nella parole avendo a che fare con i rapporti sintagmatici, dove però non siamo del tutto liberi. Saussure allora propone una via d’uscita: » esistono delle locuzione belle e fatte (spezzare una lancia in favore di, chemin de fer) che sono sintagmi, ma funzionano come singolo lessema. Allora, questi sintgami, coincidenti con queste locuzione belle e fatte (collocations in inglese), appartengono alla langue come singoli lessemi, ovvero, anche se hanno una struttura sintagmatica/una manifestazione plurilessematica, in realtà devono essere considerati come singoli lessemi. » Saussure considera i sintagmi formati su struttura regolare, come SN! + SV?, come il bambino dorme, oppure SN + SV + SN, come Luigi legge un libro > questi sintagmi, costruiti su forme regolari, corrispondono a tipi generali di struttura sintattica che appartengono alla langue. Nel momento della realizzazione della parole, il parlante riattiva questi tipi generali di sintagmi presenti a livello di langue. Operando una riflessione, quando siamo nell’ambito dell’esecuzione del discorso, la formulazione del discorso è veramente riconducibile al ricordo delle strutture presenti a livello mnemonico/a livello di langue? Questo funzionerebbe nei sintagmi più semplici, ma non nelle strutture molto articolate. Infatti, Saussure le limite a strutture sintagmatiche formate in modo regolare. aussure e la dimensione interlinguistica Saussure segnala che esiste un non-parallelismo tra i sistemi linguistici: ad esempio, riprendendo l'esempio dell’italiano e il francese nel segno bois, nella lingua francese non si oppongono tutti quei segni che ritroviamo in italiano > anisomorfismo > NON vi è parallelismo dei sistemi linguistici, ovvero ciascuna lingua distribuisce i significati a modo suo. Però, anche se non esiste un parallelismo perfetto, per cui a bois non corrisponde perfettamente il segno bosco italiano, esiste una dimensione interlinguistica che Saussure individua attraverso la nozione di signification, nozione che ha messo in difficoltà i critici della teoria di Saussure. Per introdurci al concetto di signification, Saussure fa il seguente esempio: Je mange du mouton I’m eating some mutton Mouton e mutton hanno uguale signification, ma signifié diverso + per signifié Saussure intende il concetto, ovvero, nella correlazione semiotica, l’altro rispetto al significante (siamo nell’ambito della langue, dove il seno vive). Queste due espressioni possono essere tradotte come io mangio/sto mangiando carne d’agnello: ma allora in che senso Saussure segnala che mouton e mutton hanno la stessa signification, ma, ma signifiant diversi? Confrontando i due sistemi linguistici, mutton interagisce con sheep, mentre mouton, in francese, domina incontrastato quest’area che in inglese viene distribuita tra mutton e sheep: Le mouton a été tué The mutton has been killed SBAGLIATO!!! devo dire the Sheep has been killed. Da questo confronto notiamo come mouton ricopri un’area semantica più ampia, coprendo il significato di pecora, inteso come animale vivo, sia carne di pecora, inteso come animale morto macellato, rispetto a mutton, a cui si oppone nel sistema sheep. ' Sintagma nominale ? Sintagma verbale 30 Ma Saussure che cosa intendeva per “signification”? Prima di analizzare l’interpretazione di Saussure, analizziamo l’interpretazione non proprio esatta di De Mauro, traduttore dell’opera di Saussure e critico: quando Saussure parla di signification, si pone su un piano linguistico, NON il denotato. Al contrario, De Mauro, inizialmente, pensava di interpretare signification come il denotato, ovvero l'oggetto referente nella realtà individuato dal segno. In realtà, Saussure, quando parla di signification, si colloca sul piano linguistico, NON ontologico. Per comprendere questo e l’esempio soprastante, dobbiamo distinguere la semantica di langue (livello virtuale) e invece i significati/sensi che vengono a precisarsi quando il senso viene utilizzato nella parole (livello testuale). » A livello di langue, abbiamo visto che, parlando di segno rr linguistico, il signifié è l’altro dal significante, il correlato del << Mio figlio nn guida. signifiant. 7 Has su » Passando poi alla parole, il termine mutton viene utilizzato nell’enunciato “I’m eating some mutton”, dove veicola un senso che coincide con il signifié associatogli nella langue (mutton è opposto a sheep, indicando came di pecora macellata). Quando invece dobbiamo contestualizzare mouton, proprio perché ha più significati, il “Je mange du mouton”, mouton entra nel testo MA attiva solo un solo significato, ovvero quello di came macellata. Dunque, nel passaggio dalla langue alla parole possiamo vedere un fenomeno per cui un termine con più significati ne veicola solo uno, un senso preciso e conclusivo. Questo senso si precisa all’apporto semantico che quel segno, mouton, dà nel testo. Pertanto, la signification introdotta da Saussure coincide con quel momento conclusivo del costituirsi del senso, passando dalla langue alla parole. Perciò, quando passiamo dalla langue alla parole, mouton, che ha un signifié molto vasto, precisa il suo significato e veicola un senso, ovvero carne di pecora macellata, e la signification, ovvero il senso conclusivo che veicola, è identico al senso nella parole veicolato da mutton. Per cui, in “Je mange du mouton” e “I’m eating some mutton”, mouton e mutton hanno la stessa signification + è lo stesso significato/senso conclusivo che viene a precisarsi nel testo quando si passa dalla langue alla parole. Pertanto, per Saussure, la signification coincide con il senso veicolato nel testo. De Mauro pensava che intendesse signification con denotato: riprendendo le strategie manipolatorie e il logico Frege”, che distingueva tra Sinn (senso) e Bedeutung (significato), egli individua in Bedeutung il denotato (esempio di Leopardi, poeta di “A Silvia”). De Mauro, quindi, pensò che signification fosse intesa da Saussure come denotato, ma, poiché Saussure, quando parla di signification, non si pone sul piano ontologico della realtà, ma è un concetto che introduce e che si riferisce al piano linguistico, tutto questo lavoro di riflessione degli studiosi della teoria saussuriana ha portato a questa precisazione del concetto di signification. L’inferenza La comunicazione verbale è fatta di semiosi, ma non solo di questo. Il termine inferenza deriva dal latino infero («porto dentro”). In un dialogo tra un automobilista e il suo amico, l’amico gli chiede come mai non lasci guidare suo figlio, dato che è stanco. L’automobilista afferma che suo figlio non guida. Ha 5 anni. Cosa rappresenta questo? Che nesso logico ha? Noi percepiamo un senso unitario, che scatta perché tutti noi sappiamo che, per guidare, bisogna avere la patente e la maggior età, requisiti che il figlio di 5 anni non possiede + queste due mosse comunicativa sono congrue e sono legate da un nesso logico di natura causale. Per ricostruirlo, lo abbiamo inferito, cioè abbiamo portato dentro un significato che non era presente. Nel secondo caso, invece, la frase “mio figlio non guida. È sposato.” non ha senso, perché l’essere sposati non implica non guidare. È importante questa insensatezza, perché ribadisce la presenza di un nesso che però viene leso. Dopo la prima mossa comunicativa, ci aspettiamo una ragione, che però non è pertinente come causa rispetto a quello che ha affermato precedentemente. Per cui, l’inferenza è quel processo per cui Vedi pagina 7 31 noi completiamo i processi lacunosi, in quanto ciò che non viene affermato nel discorso viene recuperato inferenzialmente, ma tutto grazie alla condivisione di common ground tra i parlanti. Prendendo un altro esempio, notiamo come, nella seguente interazione dialogica tra A e B, i due parlanti si capiscono con informazioni minime: A:I denti! B: Sta finendo! L’interazione è tratta da un bambino e il genitore, dove il genitore dice al bambino di andare a lavarsi i denti (può essere un comando), ma sta finendo il programma TV che egli sta osservando. Il bambino non dice nessuna informazione particolare, ma dice di aspettare, rifiutandosi di andare a lavarsi i denti. In questa interazione dialogica, lo scambio di battute è estremamente limitato, guidato però dal ruolo dell’inferenza. Dunque, l’inferenza è quel procedimento per cui da un’informazione ne derivo un’altra, anche se questa non è detto. Nel capitolo 14 del romanzo di Tolstoj Anna Karenina, vi è lo scambio di battute ideologiche tra Levin e Kitty, che, innamoratissima, si capiscono con le iniziali delle lettere. Osserviamo la versione italiana e poi russa. Sicuramente Tolstoj esplicita questo processo inferenziale in cui un autore è sempre consapevole. Anche nel caso di un messaggio semplice, come: =» Piove. Non esco. >. per capire il nesso logico, sostituiamo il segnale di interpunzione con un connettore, come quindi, creando un nesso di consequenzialità. =» Brutoè figlio di Cesare > nessuna inferenza è banale, ma anzi ci permettono di cogliere l’ intentio dicendi. Se Bruto è figlio, allora Cesare è il padre, dunque Cesare è più vecchio. o A: Quando arriviamo in cima? > È una frase interrogativa che però non è una richiesta B: Dammi lo zaino! temporale, ma B percepisce una richiesta di aiuto, L’inferenza è presente ovunque nella comunicazioneesplicitando nella frase esclamativa, permettendo di » strutture argomentative (entimema) ricostruire il senso veramente inteso. Luigi è pazzo. Va a 100km in centro città. » Inferenze volute: A: Stasera vieni in piscina? B: Sono raffreddata Nella comunicazione, non vengono utilizzate espressioni negative perché rischiano di “offendere la faccia” dell’interlocutore. B non rifiuta esplicitamente, ma lascia che sia A a cogliere il rifiuto inferenzialmente. >» Inferenza non volute: - Meridionale, però gran lavoratore! Ecco, diss'egli e scrisse le iniziali: q, m, a, r: q, n, E un’inferenza non voluta, che ci fa capire come il p,e,q,s,m,0,a? parlante abbia un certo pregiudizio rispetto ai meridionali. (Quando mi avete risposto: questo non può essere, questo significava mai o allora?) Bor, ciasan on u nanncan navanensie yes: —L’inferenza si fonda sul prea©—o fatt cern casa go Pio di csoperazione” Ci EEeBion pome rispondera in lr ed) Bbime, aHa4mno nu sto, Hukorga, un Torna?) Grice, parafrasato come il “principio della buona Ella sorisse: c, p, d, e, p, I, a Oka Hanvicana :T,A, H, M, M 0 volontà”, ovvero, come ha (Che possiate dimenticare e perdonare l'accaduto) {Torga A He MOrna MHAYE OTBETWTA) detto Grice nel processo na Hanwcana : 4, B, m, 3, 4, n, 4,6 comunicativo domina questa “cooperazione” fra i due interagenti che (Uro6bi ehi Morni saGeimà npocrume, to 6sino) vanno alla ricerca di un senso. Inoltre, il professor ginevrino Moeschler, riferendosi al principio di cooperazione, parla di “principe de charité”, dove fra i due interlocutori instaurano un rapporto di carità, cooperando per la costruzione di un senso. questo principio opera sia nel destinatario sia nel mittente: nel destinatario perché va alla ricerca dei segni non esplicitati nel testo. Opera anche nel mittente in quanto viene presupposto all’opera nel destinatario, ecco perché non viene esplicitato tutto il senso del nostro discorso. Il processo di comprensione viene inteso come processo di decodifica, ovvero “tirare fuori il senso”, MA in realtà il processo di comprensione è un procedimento euristico, cioè di scoperta graduale e continua del senso, inteso dall’autore, dal parlante e dal mittente. Tuttavia, vi è in agguato un rischio: il rischio dell’interpretazione, ovvero quando siamo di fronte ad un testo, noi ci avviciniamo gradualmente al suo senso. pensiamo al fenomeno della “seconda lettura” di un romanzo, dove la lettura non è mai ripetitiva, ma inferiamo sempre ulteriori significati. Questo rischio 32 Dopodiché, l'antropologo viene accompagnato sulla tomba del padre, dove lei, però, scoppia a piangere EEA ——=«{| > la ragazza sorride rispetto ad un dettato di molte correnti orientali, che danno delle indicazioni precise nell’espressione della dimensione emozionale. Per cui, lei sorride con una semiosi gestuale, dettata dalla sua cultura. Come ulteriore esempio, quando l’attore sorride a teatro, sta interpretando un personaggio e il copione gli impone di sorridere, si tratta di un atteggiamento di convenzione, di semiosi gestuale + siamo nell’ambito del Theaterspiel, ovvero dello Spiel o del play 0, come dicevano i Latini, il ludus. Ciò che si svolge sulla scena è simulazione della realtà. Il sostantivo ludus significa gioco, ma il latino vedeva concorrere due termini: ludus e iocus, ovvero lo scherzo. In italiano è rimasto iocus, mentre da ludus noi italofoni formiamo dei derivati (“ludico”) oppure prefissati verbali (“illudere”, “colludere”, “deludere”). Quando noi utilizziamo il termine ludus nella formazione verbale di verbi come illudere, intendiamo che ci hanno buttato nell’inganno. Ma allora, come siamo passati da gioco a inganno? Il gioco è un’attività molto importante, con cui si prende distanza dalla serietà dell'impegno quotidiano per “tirare un respiro”, ma quando l’uomo gioca (si riposa dalla fatica), questo gioco è un’azione complessa perlopiù regolata da regole. Il gioco stesso è una simulazione/imitazione della realtà (i bambini nei loro giochi imitano situazioni degli adulti), diventando, pertanto, un inganno + il verbo illudere utilizza ludus come lessema latente, ovvero come elemento latente nella costruzione del verbo. Epistemologia L’epistemologia è un /ogos, ovvero un discorso che si occupa delle scienze (epistéme), le caratterizza, le classifica e le studia in base alla tipologia e all’oggetto di indagine, proponendo quindi una tipologia di scienze. Vi sono le scienze empiriche che hanno bisogno di un riscontro nella realtà, dividendosi in due tipi: 1. Scienze descrittivo — classificatorie (filologia); 2. Scienze esplicative: ipotetico — deduttive (linguistica); Innanzitutto, quando formuliamo una disciplina, essa si occupa di un oggetto, reale e formale. Ad esempio, la comunicazione è un oggetto della realtà, preso in esame da una molteplicità di discipline, perché può essere analizzata da più punti di vista. Queste diverse discipline corrispondono con l’oggetto formale, ovvero ogni disciplina pone una domanda all’oggetto preciso e si risponde alla domanda con una prospettiva/angolatura particolare, che costituisce il contenuto formale di quella disciplina. Tutte le scienze si occupano di dati, cercando di spiegarli. La spiegazione del dato riguarda anche noi linguisti, perché abbiamo cercato di rispondere ad una domanda latente: come avviene quel passaggio per cui una raffica di suoni veicola contenuti, messaggi e significati? È misterioso e affascinante il passaggio da un supporto fisico ai sensi che esso veicola, è un nesso che suscita curiosità e meraviglia, che Aristotele sottolinea: il ricercatore problematizza il dato, dal greco proballo, ovvero mettere davanti, come domanda che suscita curiosità, meraviglia e sforzo cognitivo. Quando dobbiamo interpretare un dato, dobbiamo considerarlo sempre come un indizio. Consideriamo il seguente oggetto: che cos’è? Non lo sappiamo, perciò devo collocarlo in una totalità e, una volta inseritolo, notiamo come esso sia, in realtà, una gamba del tavolo. Allo stesso modo, consideriamo un iceberg, di cui vediamo solo la punta, non considerando invece che cosa ci sia al di sotto. Prendendo il termine lama, il suo significato dipende, perché si precisa nel contesto in cui si trova: significa lama del coltello oppure lama come l’animale mammifero proveniente dal Sud America. I dati sono indizi di una totalità e, per poterli interpretare correttamente, dobbiamo inserirli nella totalità a cui appartengono. Ad esempio, «Infatti gli uomini hanno Incominclato a ricercare, ora come In orlgine, a caus® abbiamo due archeologi che stanno della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle lavorando sul posto, portando a difficoltà più semplici, in seguito, progredendo poco a poco, giunsero a porsi galla una certa opera, ma uno problemi sempre maggiori, per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della studioso trova una pietruzza luna, e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione azzurra a 300km dallo scavo dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce archeologico, di cui lui non è a di non sapere.» 35 conoscenza. Lui riesce a descrivere questa pietra in modo dettagliato (datazione, composizione chimica, ecc.), però rimane per lui misteriosa. Ad un certo punto, a 300km scopre lo scavo degli archeologi che riportano a galla uno splendido mosaico che rappresenta un angelo bizantino: la pietra azzurra rappresenta un tassello dell’iride dell’occhio dell’angelo + lo studioso ha capito la funzione della pietra solo ricollocandola nella sua totalità. Quando si interpretano i dati, l’approccio più efficace è quello di staccarsi sempre di più dal dato: più ci si astrae dal dato, più lo si comprende e vi sono dei livelli di astrazione: 1. Generalizzazione: abbiamo un gatto, poi un altro e un altro ancora. Tutti questi gatti hanno la coda. Allora, io posso dire che tutti i gatti hanno la coda, generalizzando questo dato, ma partendo da una caratteristiche che da uno, viene estesa a tutti. 2. Dai dati al concetto non osservabile: noi nella realtà, non vediamo il concetto di “valore”. Ad esempio, noi vediamo una moto sportiva o un gioiello prezioso che costano 20mila euro. Noi non vediamo fisicamente il valore, ma esso nasce dallo scambio di queste due che hanno lo stesso prezzo > è un costrutto, ovvero un concetto non osservabile (allo stesso modo, noi non vediamo il fonema). 3. Dai dati alle entità nascoste: supponiamo di rientrare nella nostra abitazione, tutto è a soqquadro e la serratura è stata forzata > da qui ricostruisco un fatto + un furto. Analogamente, il processo di astrazione permette di scoprire entità nascoste. Maria è caduta. Pietro l’ha spinta = noi ricostruiamo un connettivo causale attraverso il segnale di interpunzione. Linguaggio e ragione: il /6gos Quando noi costruiamo messaggi, veicoliamo sensi, il tutto intriso dalla ragione. Il termine légos ha tre significati greci: 1. Discorso/parola/linguaggio 2. Ragione 3. Calcolo Secondo i nostri predecessori greci, questi tre significati erano perfettamente correlati tra loro. Prima, però, dobbiamo capire la differenza tra omonimia e polisemia. OMONIMIA: fenomeno per cui la stessa parola veicola più significati diversi e non collegati tra loro. lamal lama2 Lama3 > LAMA è una parola omonimica, cioè i significati sono irrelati, non connessi tra loro. lama del coltello animale Dalai Lama delle Ande Fieral fiera2 mercato nazionale/internazionale che si svolge nelle grandi città, che vede affluire venditori e clienti. Si rivolge ad un settore specifico (“Mercato del Libro” in Germania) oppure un piccolo mercato tradizionale legato a festività religiose Iouer > Non vi è alcun nesso tra i due x a significati. affittare lodare belva selvaggia POLISEMIA: da un significato originario si sviluppa un ulteriore significato, collegato a quello precedente. Prendiamo ad esempio il termine carta, che si divide in due veicolando due significati diversi. » Carta di Fabriano: supporto/entità che diventa poi supporto per la scrittura o altre azioni + materiale fatto da cellulosa prodotta da Fabriano; » Carta dei diritti umani: nessuno pensa al significato di “materiale fatto di cellulosa”, ma si intende il significato di “testo scritto/redatto con i diritti dell’uomo”. Esiste anche una polisemia in tedesco con il termine der Nagel, dove vi è un nesso in comune di materiale duro, coriaceo. 36 » chiodo; » unghia; Prendiamo anche il termine capo: » estremità iniziale del corpo umano (caput); » inizio di una certa realtà (capotavola); » direttore o dirigente; Dopo aver compreso la differenza tra polisemia e omonimia, torniamo alla triplice accezione di /6gos. I Greci percepivano che ci fosse, rispetto alle 3 accezioni di /6gos, che il termine fosse polisemico, ossia che ci fosse un nesso tra ragione e calcolo, ma anche tra ragione e discorso. Questo nesso tra ragione e calcolo è abbastanza ovvio, anche per noi, perché percepito come un’applicazione sistematica della ragione. Invece, fatichiamo a capire il nesso fra ragione e discorso: già i Latini avevano problemi a tradurre la parola, che non avevano a disposizione una stessa parola per dire, nello stesso tempo, discorso, linguaggio e ragione. Infatti, Cicerone, nel De Officiis, traduce l6gos con un’endiadi (un concetto in due termini), con due parole: ratio et oratio. Anche noi facciamo fatica a capire il rapporto tra linguaggio e ragione, perché /6gos continua, in italiano, nel termine linguaggio, attraverso alcune espressioni come epistemologia, glottologia, zoologia, ecc., dove abbiamo questo -/ogia, un suffissoide. I suffissoidi svolgono la funzione dei suffissi, ma si distinguono da essi perché erano originari sostantivi, che però si grammaticalizzano e svolgono la funzione grammaticale di suffisso, che permette di formare un derivato. Ad esempio, la glottologia è il l6gos, il discorso/scienza sulla lingua, che i Greci chiamavano glossa. In tutte queste accezioni, il suffissoide -/ogia indica discorso. Nelle espressioni italiane che contengono la radice di /6gos veicolano un solo significato, non anche quello di ragione. Dunque, avevano ragione i Greci a percepire un nesso polisemico in /6gos? Una parola è polisemica quando, fra i suoi significati, c’è nesso: la relazione ragione — calcolo la si percepisce anche in italiano, anche non la si usa più in questa accezione, se non in alcuni casi (a Brescia c’è il Palazzo della Ragione, che indica il municipio/il comune, ovvero il luogo dove si amministra la città, dove si fanno anche i calcoli dell’amministrazione della città; in latino a rationibus era il ragioniere, ovvero il funzionario che si occupava di amministrare i calcoli legati all’amministrazione della Res Publicae,). Per poter rispondere alla domanda dei Greci di percepire un nesso polisemico tra ragione — l6gos, inteso come discorso/linguaggio, dobbiamo definire cosa sia la ragione. Per capire, dobbiamo fare un confronto con gli organi percettori: fra essi, abbiamo la vista, che ci mette in contatto con una parte di realtà (mondo delle forme e dei colori), mentre d’altra parte abbiamo l’udito (i suoni). Questi organi percettori, vista e udito, mettono capo ad una percezione di forme e colori da un lato, di suoni dall’altro. I tedescofoni utilizzano il sostantivo Wahrnenhmung, composto da wahr (vero) e nehmen (prendere), che, con il suffisso -mung, per indicare la presa del vero, ovvero che la percezione è una presa d’atto di ciò che è vero e reale. Come gli organi percettori ci mettono a rapporto con parti della realtà, così l’essere umano, attraverso la ragione, è collegato alla realtà con la totalità dell’esperienza, con tutto ciò che c’è e che può essere, perché fa parte della nostra ragione di immaginare mondi possibili (mondo della fiction), quindi ciò che non è ancora e che potrà essere. Grazie alla ragione, a quest’organo del tutto, siamo collegati alla realtà, riuscendo a catturare il linguaggio. Perciò, la ragione è quell’organo che ci “linka” con la totalità di ciò che c’è e ciò che ci può essere. A questo punto, emerge in modo evidente il rapporto tra ragione e linguaggio, perché noi, attraverso la lingua, descriviamo, rappresentiamo e catturiamo la realtà del discorso, con cui siamo in rapporto grazie alla ragione > avevano ragione i Greci a percepire una polisemia tra ragione e /6gos. Però anche il modo con cui combiniamo le parole nel discorso ha a che fare con la ragione. Il nostro discorso è articolato, cioè è vox articulata, ovvero il discorso è costituito da parti collegate tra loro, presenta un'articolazione interna. Il linguaggio è un tutto organico, paragonato al corpo umano + nella lingua è presente una doppia articolazione, ovvero tocca sia il significante sia il significato. Ad esempio, prendiamo la frase il gatto beve il latte > questo enunciato è l’articolazione di più elementi, di varie unità linguistiche (il, gatto, beve, ecc.) aventi sia un signifié che un signifiant. Il linguista André Martinet parla di doppia articolazione della lingua, distinguendo tra: Prima articolazione: noi potremmo scomporre gatt - 0, con base lessematica (gatt) e il morfo -0, un significante che veicola dei significati, pur essendo una porzione più piccola del discorso, si tratta di una vocale che manifesta il genere maschile e singolare; Seconda articolazione: se noi prendiamo p e b, hanno funzione distinta, permettendo di distinguere un significato: un suono/fono è un elemento di seconda articolazione, toccando solo il livello del significante, non hanno un significato loro. 37 Quando noi violiamo la congruità, dicendo, ad esempio, “l’acqua cammina” in un’interpretazione letterale, combiniamo un modo d’essere con un’entità non congrua, non pertinente > insensatezza, definita da Husserl come Unsinn. Il non-senso non può essere detto (indicibile), li creiamo noi per poter capire come costruire il senso e come combinare le parole significative (“questa montagna è intelligente”, “il tavolo legge il giornale”, “lo scoiattolo scala il Mar Egeo”). L’insensatezza NON deve essere confusa con la contraddizione (Widersinn - Husserl), che scatta quando violiamo il principio di non-contraddizione: ad esempio, se diciamo “ho mangiato la pasta alla carbonara, ma sono a digiuno”, evidentemente il testo non è coerente, è contraddittorio, ma la contraddizione può essere detta e, a volte, vengono costruiti testi che contengono una contraddizione, proprio per correggerla e superarla, come viene esplicitato nell’enunciato “questo numero è pari e dispari” è contraddittorio. Quindi, il senso contradditorio è dicibile, mentre l’insensatezza no. Il principio di non-contraddizione (pnc) è un principio alla base del nostro modo di pensare, ragione e parlare. È qualcosa di evidente, che non possiamo prescindere in qualsiasi nostro pensiero e formulazione di discorso dal principio di non-contraddizione. Il principio di non-contraddizione dice che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto: ad esempio, supponiamo una bici nera. Noi possiamo prenderla e dipingerla di rosso. In un momento diverso, sarà rossa, ma nello stesso tempo non può essere anche nera. Inoltre, potremmo osservare che su un certo punto della bici, tutta nera, ci sia il logo dell’azienda che l’ha prodotta, tutto rosso + questo punto della scritta del logo può essere rosso, perché se noi consideriamo un solo punto della bici, esso, nel medesimo istante, non può essere sia nero che rosso. Però, vediamo che la bici, nello stesso istante e in un certo punto nella maggior parte dei suoi punti, può essere nera e in un suo punto, sotto un altro aspetto, è rossa. Il principio di non-contraddizione è stato messo in luce da Aristotele, un genio che riconosce e scopre ciò che è evidente. Il principio di non-contraddizione NON può essere negato: Aristotele, nel testo, immagina uno Scettico che voglia mettere in dubbio il principio, volendolo confutare e dimostrarlo falso. Aristotele segnale che, se vogliamo confutare il principio di non-contraddizione, anche nel momento in cui lo confutiamo, lo applichiamo perché dicendo la frase “il principio di non-contraddizione è falso”, anche lo Scettico lo sta applicando, perché se il principio di non- contraddizione è falso, potrà essere. nello stesso tempo, non-falso. Qualora cercassimo di confutarlo, il principio di non-contraddizione viene utilizzato lo stesso tanto è primitivo. 22/02/2021 Linguaggio e ragione: il l6g0s La lingua è un sapere non saputo, così come “l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile”, come cita Klee, così come ci sono indagini di natura linguistica che mirano ad osservare un aspetto della realtà non immediatamente osservabile (se noi aprissimo la calotta di un parlante mentre parla, vedremmo processi elettrochimici e meccanici, ma non i processi di comunicazione, che sono misteriosi). Per cui, noi indaghiamo il lato nascosto della lingua, quindi ciò che si nasconde dietro ai nostri messaggi, ovvero i principi organizzativi della comunicazione verbale. 1/03/2021 La natura del significato Dobbiamo capire le condizioni necessarie affinché si costruisca un testo sensato, analizzando i processi preposti alla costruzione del senso testuale. Come già ci diceva Platone, dobbiamo intrecciare parole di tipo predicato e parole di tipo argomento, ma la congruità di un testo dipende da cinque fattori che caratterizzano ciascun predicato. Se saranno rispettate queste cinque condizioni, allora potremo dire che il testo è sensato e congruo. Vediamo quindi la descrizione dello schema (frame) argomentale: SREPN Numero Qualità degli argomenti Ordine Campo d’azione (scope) del predicato Implicazioni del predicato (dobbiamo farle coincidere con il contenuto) NUMERO degli argomenti I predicati possono appartenere a diverse parti del discorso. I predicati permettono di individuare frammenti di mondo/di realtà. I predicati potrebbero essere verbi o aggettivi. Per individuare questo primo aspetto, dobbiamo pensare ad un predicato come ad una parola che individua un frammento di realtà/una scena e gli argomenti sono i partecipanti/protagonisti della scena (il linguista francese Émile Benveniste ha individuato l’atto comunicativo come una rappresentazione teatrale), una situazione extralinguistica con protagonisti imprescindibili perché si possa svolgere la scena (entità assolutamente necessarie perché si dia una situazione comunicativa individuata dalla parola predicato) e personaggi secondari. NON dobbiamo far coincidere il termine predicato con predicato verbale: non si tiene presente il livello di analisi a cui ci si sta ponendo quando si osservano i significati nella loro natura. Ci stiamo collocando ad un livello al di sotto della sintassi, ad un livello più profondo, quello logico-semantico delle parole che si intrecciano nei discorsi e che si realizzano poi a livello sintattico, perciò utilizziamo la parola predicato intesa come modo d’essere (una frase intera, un aggettivo, un nome, le congiunzioni, ecc.) » Innanzitutto, un predicato può aprire e selezionare un argomento + predicati monoargomentali (monoadici) d prendiamo i predicati dormire/camminare/passeggiare, chiedendoci quanti modi d’essere/quante entità sono necessarie perché ci sia una situazione che caratterizza la scena > selezionano UN SOLO ARGOMENTO! Px P I predicati vengono rappresentati con P maiuscola, altrimenti si tratta del simbolo p per le preposizioni. P x è una variabile oggettuale, ovvero la | formula logica che descrive ciascun predicato monoargomentale. In x Linguistica si utilizzano strumenti tratti dalla matematica e, in questo caso, impieghiamo la teoria dei grafi, che permette una visualizzazione più chiara 3 noi possiamo creare un grafosemantico, costituito da un nodo contrassegnato da P (qualsiasi predicato elencato), da cui esce una freccia avente una direzione, che però non è inutile, perché la freccia va dal P all'argomento x, indicando che è ciascun predicato ad individuare i suoi argomenti. Enrico passeggia con Simona > questo Enrico associa il suo passeggiare ad un’altra entità, ovvero Simona > un'entità coinvolta dal passeggiare può associare il proprio passeggiare al passeggiare da parte di un’altra entità, nello stesso tempo e nello stesso luogo. Perché si dia una situazione da passeggiare quante entità devono essere coinvolte nell'azione? Quanti sono i protagonisti imprescindibili sulla scena perché ci sia la situazione? Enrico e Simona passeggiano > è un’espressione ambigua, perché compare la congiunzione e, da disambiguare, quindi analizziamo la situazione intera > potrebbe essere che i due passeggiano assieme nello stesso tempo e luogo, quindi un’espressione sinonimica alla prima. > interpretazione distributiva, ovvero vediamo due scenari diversi, Enrico passeggia in tempi e luoghi diversi. Simona passeggia Al » Esistono anche i predicati biargomentali (diadici): ad esempio con leggere possono esserci due argomenti, ma molto spesso si tratta di una situazione solitaria. La situazione di mangiare presuppone colui che mangia e qualcosa che viene mangiato. Nel caso di maggiore/uguali/vicino/davanti devo sempre operare una comparazione, perché da solo non sussiste + aggettivi di natura relazionale. Un predicato biargomentale ha un frame argomentale di due argomenti, P rappresentando sempre il simbolismo notazionale grafosemantico: / P (x1 xX2) La direzionalità della freccia ci indica che è il predicato P a selezionare xi xa i suoi argomenti. Luigi è uguale È insensato dire ciò, per cui sappiamo che a partire dal riscontro della realtà A chi? che se stiamo operando una situazione di maggioranza che necessariamente x deve avere un termine di paragone, altrimenti questi aggettivi, se costruiti A nessuno. con un solo argomento, danno luogo ad un’insensatezza. Nella maggior parte dei casi di spoglio dei testi, molto raramente mangiare esplicita il suo secondo argomento se non in casi particolari: è ovvio che chi mangia, mangia cibo, ma il predicato che apre un secondo argomento lo esplicita solo quando deve dare particolari connotazioni, quindi a livello sintattico non compare il secondo argomento (oggetto interno). Se dico invece Luigi non mangia cibi grassi, emerge il secondo argomento. Teniamo presente che i predicati costituiti da aggettivi sono solo di tipo mono e biargomentale. » Abbiamo anche predicati triargomentali (triadici) con un protagonista, l’oggetto e il destinatario + dare (colui che possiede una cosa a favore di un destinatario), promettere (si promette qualcosa a qualcuno, MA NON SI PUÒ PROMETTERE SENZA DIRE, quindi io veicolo solo un’informazione ma veicolo un’azione vera e propria attraverso le mie parole), ma che differenza c’è tra promettere e dire? Prima di tutto, chi promette si impegna a realizzare, ma deve essere qualcosa che rientra nelle possibilità di realizzazione (non possiamo “promettere un infarto” ZIN o “promettere un 30 e lode”, ma possiamo promettere di “andare al xi cinema con gli amici”), inoltre possiamo usare un predicato per un altro predicato. Ritornando al modello grafosemantico possi dire P (xi x X3) » Abbiamo poi predicati tetrargomentali (tetradici), come vendere, P dove il venditore deve vendere la sua merce al cliente che a sua volta gli dà i soldi (prezzo); comprare è una situazione analoga, così come Vai tradurre, noi traduttori traduciamo un testo da una lingua di partenza Xioxg XX ad una lingua d’arrivo. P (x1 X2 X3X4) Ritroviamo il simbolismo grafosemantico, dove dal nodo P escono i quattro argomenti. » Arriviamo al penultimo caso di predicati pentargomentali (pentadici), come affittare: abbiamo un x; che affitta un x> ad un x3 seguendo un certo canone d’affitto (denaro — x4) e per un certo tempo (x3). xi x P (x1 X2 X3X4 X5) w » Abbiamo infine i predicati esargomentali (esadici), come il P termine russo komandirovat® (mandare in missione): quando un’azienda prende un dipendente e lo manda in missione, le entità T{ xe N Xs 42 Xx P (x1 X2 X3X4 X5X6) Anche le preposizioni corrispondono spesso a predicati diadici: nella frase mostrata, lo studiare di Luigi è volto/ha come scopo al superamento dell’esame. Vediamo che si tratta di un modo d’essere che seleziona come xi e x» come primo e secondo argomento queste due espressioni. D) QUALITÀ degli argomenti Stiamo analizzando quali sono le condizioni da rispettare affinchè un testo sia congruo testualmente. Dopo aver osservato il numero degli argomenti, passiamo alla qualità. Per capire la differenza di Luigi studia per superare l'esame qualità, proviamo a confrontare due predicati già analizzati nella precedente categoria: dare e dire.Sappiamo già che dare è un predicato triadico che seleziona una situazione comunicativa di scambio I (0 studiare di Luigi, è volto. |a superare l'esame, 3) 3 e aa un'entità (x;) in possesso di un certo oggetto (x:), la quale se spossessa in favore di una terza entità (x3) che entra in possesso di ciò che era originariamente posseduto da x. Provando a testualizzarlo, I LI L_I x x x3 Questi argomenti sono tutti di natura oggettuale. Certamente, qui li indentifichiamo con tre variabili, ma notiamo che individuano delle entità umane/animate (x; e x3) e inanimate (x) + gli argomenti vengono detti di natura oggettuale, ovvero sono oggetti animati o inanimati. Confrontiamo questi argomenti tutti di natura oggettuale con argomenti selezionati da un altro predicato Enrico dice a Simona che Nicolò dorme. Il predicato dice seleziona un Luigi dà un libro a Maria %» Ovvero il parlante, il destinatario (x3) e poi ciò che viene detto da xi a x3, dove dire è un predicato che introduce un discorso. Possiamo trovare dire nella categoria dei verba dicendi sono i verbi che introducono un ulteriore discorso, mentre il secondo argomento coincide con un’espressione discorsivo, dire è un predicato metadiscorsivo (metà significa a ridosso di, quindi è un predicato/modo d’essere che corrisponde ad un’azione del dire con cui si introduce un ulteriore discorso). Xe x3sono due argomenti che indicano due entità animate umare, pertanto si tratta di due argomenti di natura oggettuale, individuano un momento del dire. Questo secondo argomento (x3) corrisponde ad un argomento che, come qualità, è un oggetto discorsivo, ma non tutti i verbi sono introduttori di un discorso: “io dico che oggi splende il sole” oppure “io dico: oggi splende il sole”, dove notiamo i verba dicendi, i verbi introduttori di un discorso, questi coincidono con i predicati metadiscorsivi, si introduce un discorso. In questo caso, due argomenti hanno natura oggettuale, uno (il secondo) ha sì natura oggettuale, ma di tipo discorsivo, pertanto sono argomenti di natura discorsiva. Con questo grafosemantico, possiamo rappresentare questo dire come predicato metadiscorsivo che aggancia un discorso: il dire è un modo d’essere che seleziona tre entità. Abbiamo individuato un nodo, contrassegnato dal predicato dire, da cui escono le tre frecce direzionate che vanno dal predicato ai rispettivi argomenti (Enrico, dormire, Simona), perché il secondo argomento di dire è un verbo che introduce un discorso, quello che Enrico fa a Simona. Il secondo argomento coincide con un predicato, è un enunciato, per cui possiamo rappresentarlo con il simbolo logico p, ovvero una proposizione, termine utilizzato in ambito logico-semantico per indicare il contenuto di un enunciato. ORDINE degli argomenti a dire Gli argomenti hanno un certo ordine: se riprendiamo il modo Pa d’essere/predicato che individua la situazione di scambio di dare, vediamo che , ,;° questo predicato seleziona tre argomenti (predicato triadico con argomenti di Eni» natura oggettuale). Mirra Sara dà un libro a Giovami Dato questo enunciato, proviamo a permutare x; con x3, ma ciò non significa che dobbiamo cambiare la situazione comunicativa: Sara deve rimanere colei i Nicolò che originariamente è in possesso del libro e se ne spossessa in favore di Giovanni, colui che originariamente non possiede il libro e, attraverso quest’azione di scambio, entra in possesso del libro. Se noi prendiamo questa medesima situazione in cui i partecipanti hanno il medesimo ruolo con lo stesso oggetto di scambio, ma permutiamo l’ordine, ovvero leggiamo questa stessa situazione di scambio in ordine invertito a partire da Giovanni. Giovanni riceve un libro da Sara. Quindi, vediamo che abbiamo ottenuto, leggendo questa stessa situazione nella direzione opposta, abbiamo utilizzato un predicato conversivo. Permutando gli argomenti di dare, sostituendo l’uno con l’altro, abbiamo ottenuto un nuovo predicato che ci dà uno sguardo diverso in una medesima situazione. Ci sono altri predicati conversivi, come la situazione del matrimonio: Luigi è marito di Maria, ma anche Maria è moglie di Luigi > si tratta sempre di due predicati, in questo caso diadici, in cui, se cambiamo l’ordine degli argomenti otteniamo conversivi lessicali. I conversivi lessicali sono modi d’essere, evidenziano una situazione comunicativa in una diversa lettura: il permutare l’ordine degli argomenti ci fa leggere una situazione in chiave differente. Proviamo ad analizzare dei predicati a partire da quanto visto finora: » Vendere/comprare: il predicato vendere è un predicato tetrargomentale. Proviamo a permutare la frase “Luigi vende a Giovanni una casa per 300.000 euro”, per cui prima di tutto caratterizziamo la qualità di questi argomenti. Dobbiamo avere un argomento x1, ovvero il venditore, poi l’oggetto della vendita, la casa (x:), poi il beneficiario (x3), con l’implicazione del prezzo della merce venduta (x4). Ora, proviamo a permutare il venditore, ma senza cambiare la situazione comunicativa, caratterizzando la qualità degli argomenti: è oggettuale. Permutando il primo e il terzo argomento, otteniamo “Giovanni compra una casa da Luigi per 300.000 euro”, costruendo il conversivo lessicale. » Sotto/sopra: se x1è sotto a x, allora x» sarà sopra a xx + sono due predicati che individuano la medesima situazione, leggendola da una direzione opposta. » Destra/sinistra: se x1si trova alla destra di x; allora x2 si troverà a sinistra di x1. Non sempre esiste il conversivo lessicale, per cui, nei casi in cui non esistesse una parola/espressione lessicale che legga la stessa situazione in direzione opposta, possiamo costruire il conversivo, ma ricorrendo alla diatesi passiva, lo strumento morfologico di cui tutte le lingue dispongono per creare il conversivo. Prendiamo questa situazione e, non potendola cambiare tramite il conversivo lessicale, proviamo a leggerla a partire da Pietro, impiegando la forma passiva del verbo aiutare. Luigi aiuta Pietro. Tuttavia, dobbiamo Pietro è aiutato da Luigi. riflettere sull’ordine degli argomenti e l’ordine delle parole, che non dobbiamo assolutamente far coincidere. L’ordine degli argomenti è diverso dall’ordine delle parole. Prendiamo un predicato come promettere e una situazione di promessa: esso è un predicato triadico (una prima entità che promette qualcosa a qualcuno). considerando l'esempio, abbiamo una x; (primo argomento), poi x» (oggetto promesso) e x3 ovvero il destinatario. Questi sono i tre argomenti selezionati da promettere, che possiamo testualizzare in modo diverso, dandogli diverse realizzazioni testuali e inserirlo in testi diversi, che hanno una leggera differenza, che dipende dall’ordine delle parole. In questo senso, nel primo caso abbiamo La mamma promette lo skateboard a Pietro. mantenuto un odp corrispondente all’ordine degli x1 x2 x3 argomenti: in prima sede il primo argomento, la mamma, in secondo argomento skateboard e A Pietro la mamma promette lo skateboard. come terzo a Pietro, però noi potremmo inserire x3 x x questo promettere in un testo con la seconda realizzazione sintattica, mettendo in prima posizione il terzo argomento, ovvero il beneficiario. L’enunciato è sensato e viene messo in luce il 46 destinatario 3 possiamo riferirci all'esempio di Zampanò', con l’apporto comunicativo nuovo, mettendolo in prima posizione, ricollegandoci al concetto di tema e rema. Tema è ciò di cui si parla, noto ad entrambi gli interlocutori, non è l’elemento su cui vi è rilevanza, mentre rema è l’elemento su cui ci vogliamo focalizzare. La differenza è che fra i due, mettendo in posizione il terzo argomento - a Pietro, il parlante vuole segnalare che il rema è questo, ovvero il contenuto informativo nuovo, per individuare il rema di un certo testo dobbiamo rispondere alla domanda all’ordine del testo: a chi la mamma promette lo skateboard? Invece, nel primo caso, la mamma (il tema) promette lo skateboard a Pietro è abbiamo tema e poi rema, quindi la domanda sarà che promette la mamma a Pietro? L’ordine degli argomenti è a livello di rappresentazione semantica, ovvero stiamo ragionando sul predicato a livello logico-semantico, a livello profondo, mentre, quando il predicato viene testualizzato, dandogli una realizzazione sintattica, l’ordine degli argomenti viene manifestato in un ordine delle parole e può ricevere uno stesso ordine di argomenti, manifestato da diversi ordini delle parole, dove cambiano le funzioni comunicative del testo. CASE STUDY 1 1 2. Definite i predicati e gli argomenti; Analizzate dal punto di vista predicativo-argomentale le seguenti parole: o Dare o Bianco o Mangiare o Dire CASE STUDY 2 3. Analizzate i predicati evidenziati in grassetto nei seguenti enunciati: a) Luigi mangia. Pietro digiuna b) Luigi ha detto a Maria che domani nevicherà. CASE STUDY 3 4. 5. Analizzate la qualità degli argomenti dei seguenti predicati: o Dare o Dire o Vendere Definite il conversivo lessicale e date tre esempi. CASE STUDY 4 6. Esemplificate il fenomeno del conversivo morfologico 7. Analizzate i predicati nei seguenti esempi: a) Il nonno cammina piano. b) Probabilmente Luigi ha comperato una nuova casa 08/03/2021 4. CAMPO D’AZIONE (scope) DEL PREDICATO * Vedi pagina 1 47 Il computer legge il dischetto Il politico legge la situazione Leggo una vena di tristezza nei tuoi occhi Fufi legge il giornale In tutti questi casi, possiamo selezionare argomenti che di per sé non sarebbero congrui, ma avviene quel fenomeno in cui il parlante ha costruito delle metafore testuali: noi possiamo incontrare metafore lessicalizzate che 7 computer legge il dischetto NOÎ ereditiamo quando impariamo il lessico oppure metafore che il parlante crea. Il parlante inserisce in prima sede argomentale computer, ma non è un umano alfabetizzato, quindi non corrisponde ai requisiti, TUTTAVIA il parlante e il destinatario, di fronte a questa non congruità dell’argomento dei requisiti imposti, essi vengono indotti dalla non congruità a reinterpretare il predicato su un altro livello, per cui essi reinterpretano questo leggere, passando da un’interpretazione letterale ad un’interpretazione figuratica > è come se si piegasse il significato di leggere. Parafrasando leggere, noi intendiamo “decodifica”, “decifra”, “interpreta” le tracce presenti sul dischetto con cui un certo sistema decimale vengono codificate. Per cui, il parlante ha costruito una metafora testuale, ovvero un tropo (dal verbo greco trépo = decifrare, decodificare). Il politico legge la situazione Leggo una vena di tristezza nei tuoi analogamente, qui il politico interpreta/analizza la situazione, ritrovando quella situazione di non congruità che piega la È Fufi legge il giornale realtà. Qui posso dire di scorgere/avvertire/vedere. il parlante dice in modo ironico che il cane sta imitando azioni compiute dal padrone. Non posso dire il sasso legge il giornale perché è proprio insensata! L’insensatezza è legata alla violazione della congruità testuale: lo studioso Edmund Husserl ha chiamato l’insensatezza (Unsinn) nel suo scritto Logische Untersuchungen (1900; 1901) come la lesione del principio di congruità. Questa lesione comporta un’opacità totale del senso. L’insensatezza non è dicibile, non crea testo. In realtà, nell'esperienza comunicativa del parlante non crea testo, venendo a creare una differenza rispetto alla contraddizione. Husserl parlava di Widersinn come controsenso: la contraddizione è una lesione della coerenza del discorso. Per cui, “la coerenza ha uno statuto diverso rispetto alla congruità”, per cui quando il testo è coerente rispetta il principio di non-contraddizione, altrimenti è incoerente e lo viola. Una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto (esempio della bicicletta)". p p) non (p e non p) La coerenza è una qualità irrinunciabile del testo, ma un testo contraddittorio è pur sempre un testo. È un testo che manifesta una contraddizione magari per correggerla. Il senso contraddittorio è dicibile. Ho mangiato una pasta alla carbonara, ma sono a digiuno Questo numero è pari e dispari Bruto ha ucciso Cesare, ma Cesare non è morto 5 Vedi pagina 39 50 In questi esempi abbiamo la lesione del principio di non-contraddizione (pnc), perché questi testi non sono insensati, ma sono incoerenti. Il principio di non-contraddizione è evidente, viene applicato naturalmente: “è da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che è evidente” (Aristotele, De generatione et corruptione, 1,8 325 a 3-7). È alla base della comunicazione, perché ogni atto comunicativo lo presuppone e lo applica. È talmente primitivo che non può essere dimostrato. Però cosa possiamo fare? Possiamo solo confutare se qualcuno cerca di negarlo (lo scettico di Aristotele). Per negarlo, il nostro scettico dirà che “il principio di non- contraddizione è falso”, ma questa sua affermazione lo presuppone, non può fare a meno di usarlo. Di fronte a chi volesse negarlo possiamo confutarlo, facendo emergere che una certa posizione è in sé contraddittoria, insostenibile + per negare il pnc non si può evitare di usarlo. Ora, osserviamo gli esempi: La gioia cammina* La gioia cammina Colourless green ideas sleep furiously* (frase formulate da Chomsky, fondatore del generativismo) Purché il cammina* Purchè il cammina Dobbiamo distinguere due livelli, innanzitutto: Il primo enunciato non è congruo, la gioia non cammina, a meno che non siamo in un’interpretazione poetica. Ma, dal punto di vista grammaticale, è giusto. Colourless green ideas sleep furiously Abbiamo una violazione delle regole combinatorie del lessico + abbiamo una non congruità sintattica, l’enunciato non è grammaticale > grammaticalità > l’enunciato è grammaticale se le parti del discorso sono combinate in modo corretto. Dobbiamo distinguere il livello della grammaticalità dal livello più profondo della coesione logico-semantica, della congruità. L’enunciato è corretto grammaticalmente e sintatticamente, ma non dal punto di vista della congruità semantica, che nasce dalla combinazione dei predicati con i rispettivi argomenti. Vediamo quanti principi applichi un parlante quando costruisce un testo e noi lo facciamo naturalmente, per cui un linguista è un parlante consapevole delle dinamiche costitutive del discorso delle dinamiche che applichiamo nel nostro discorso quotidianamente! 12/03/2021 I termini possono essere usati con significato diverso, quindi potremmo avere un cambiamento del significato: =» È un vero uomo =» È unvero medico =» È unvero ladro » Quest’oro è vero Questo significa che oro è dotato non solo di proprietà apparenti, ma anche di proprietà essenziali. Dal punto di vista della natura di predicato, è un modo di essere che coincide con una qualitas, pertanto è manifestato come parte del lessico da un aggettivo, per il numero degli argomenti selezionati, è monadico. Abbiamo circoscritto il significato del termine, ma ora vediamo il termine che sembra lo stesso ma con una variazione: * Iltuo giudizio è vero = Il tuodiscorso è vero » Latuaaffermazione è vera =» Latuastoria è vera = È vero che sono arrivato in ritardo Sl Qui è conforme a verità, corrisponde a verità, ad un non falso, per cui cambia il significato del termine: abbiamo la stessa strategia di manifestazione, abbiamo lo stesso signifiant, ma diverso uso. È sempre un predicato monadico, ma metadiscorsivo: l’entità selezionata riguarda un discorso o un frammento del discorso, ma se guardiamo indietro alla qualità degli argomenti, ci sono due tipi di argomenti, ovvero di natura oggettuale (entità umane e non) e di natura discorsiva (si riferiscono ad elementi del discorso) e in questo caso gli elementi selezionati sono di natura discorsiva. Con questo diverso significato, è un predicato metadiscorsivo. Quando il predicato cambia di significato, abbiamo un altro predicato, ma non deve essere strano, perché l’altro predicato presenta una diversa strutturale argomentale, perché seleziona un argomento ma di natura discorsiva (predicato metadiscorsivo) e nei suoi usi cambia il contenuto del predicato, che coincide con le sue implicazioni, ovvero ciò che avviene quando il predicato ha luogo. Vediamo un altro esempio di cambiamento di significato di uno stesso termine, come dipingere: * L’artigiano dipinge il tavolo dipingere1 " Michelangelo dipinge il Giudizio Universale. . È Il predicato dipingere è diadico: nel primo caso significa verniciare, il predicato seleziona una prima entità umana e una seconda entità, un oggetto fisico preesistente perché l’artigiano lo possa dipingere. Nel secondo caso, ci sembra di avere lo stesso termine ma con un significato diverso, perché Michelangelo realizza un’opera pittorica # > con un certo soggetto, che dipingere2 x X2. noi possiamo vedere nella Cappella Sistina a Roma 3 È produrre un dipinto, dove dipingere è sempre un predicato diadico, che seleziona come primo argomento un’entità animata umana, dove inseriamo in prima sede argomentale al posto di x, Michelangelo, mentre x» è il progetto di un’opera d’arte (pittorica). Se osserviamo l’atto del dipingere, l’opera pittorica non è ancora esistente, perché %1 Michelangelo la pone in essere: quindi, la x non è preesistente. x2 Nel grafosemantico del PRIMO CASO, consideriamo come nodo dipingere da cui partono le frecce direzionali, selezionando le sede argomentali, dove vediamo i requisiti per soddisfare gli argomenti: che x1 esista e che sia umana, mentre la x. deve essere preesistente e dotato di superficie > questi due tratti , definiscono l’iperonimo. X: UXA MX Ax U umano M maschio Nel SECONDO CASO, la x; deve esistere e deve essere umana, mentre la A adulto x, essendo la sua opera pittorica in corso, non deve essere preesistente. Cambia allora qualcosa fra un termine e l’altro, innanzitutto cambia il contenuto del predicato e il significato del termine che, con le sue due accezioni, cambia la struttura argomentale. Andiamo a vedere il significato che si racchiude negli argomenti: al loro interno, gli argomenti racchiudono e nascondono un plesso di predicati, ovvero una serie di predicati (il senso che noi veicoliamo nei nostri messaggi si intreccia nel nostro discorso con parole-argomento, creando dei nessi). Prendiamo ad esempio: Un uomo cammina Noi realizziamo sintatticamente i nostri predicati. Nell’espressione matematica, identifichiamo l’uomo come x. Abbiamo descritto con la formula il contenuto di uomo, rappresentando il contenuto dell’argomento e individuando la caratteristica dell’argomento. Questo simbolo / è il simbolo che, in logica, si utilizza per indicare la congiunzione e. Un uomo è un'entità umana e di sesso maschile e adulta. Sono anche questi a loro volta predicati/modi d’essere che caratterizzano questa x, stabilendo che l’entità sia di tipo uomo, appartenente al type uomo. Abbiamo quindi preso il nostro argomento e l'abbiamo analizzato, facendo emergere i predicati nascosti, ciascuno dei quali potrebbe essere analizzato ulteriormente. Il primo predicato potrebbe essere scomposto ulteriormente e, a seconda della concezione più o meno profonda antropologica del concetto di “uomo”, potremmo analizzarlo in diverse maniere: Aristotele lo definisce come un animale 52 Oggi alla TV ci sono le gare di sci. Per cui, è compito della Linguistica esplicita questo sapere non saputo + la lingua vive in sede psichica (Saussure), nel senso che le strutture linguistiche e i procedimenti della lingua sono presenti nella mente del parlante come modelli (patterns di realizzazione). Noi in mente abbiamo un modello del lessico, della morfologia, della grammatica 3 se noi non li avessimo in mente, non saremmo in grado di riconoscere queste strutture linguistiche nel testo quando vengono costruite, non riconoscendone le realizzazione di questi modelli quando qualcuno parla. Com’è fatta questa lingua? Per capirlo, dobbiamo utilizzare la metafora del laboratorio: immaginiamo la lingua come un laboratorio per produrre messaggi verbali. Esso presenta una serie di reparti, ciascuno dei quali elabora in base a un precido modello (pattern) una determinata classe di strutture intermedie. Questi reparti sono il lessico, morfologia, sintassi, ordine delle parole e intonazione. Dal segno alla struttura intermedia: l’indeterminatezza delle strutture linguistiche La struttura intermedia è l’entità, di vario genere, con cui il parlante costruisce il suo messaggio, ma ora dobbiamo chiederci perché ricorriamo alla nozione di struttura intermedia e perché sia necessario passare dal segno alla struttura intermedia. Quando costruiamo i messaggi abbiamo a disposizione strutture linguistiche caratterizzate da un’indeterminatezza per una duplice ragione: a) Prendiamo in considerazione la segnaletica stradale: quando siamo di fronte al seguente segnale, capiamo immediatamente del segnale e quale messaggio trasmetti (dare la precedenza). Che tipo di rapporto si instaura tra il segnale e il messaggio? In un sistema semiotico di segni come quello della segnaletica stradala, il rapporto instaurato è biunivoco, cioè dato un segnale ad esso corrisponde uno e un solo messaggio. Il concetto di rapporto biunivoco viene ripreso dall’insiemistica e dalla matematica e si possono instaurare tre tipi di rapporto fra due insiemi: o Univoco: a ciascun elemento del primo insieme corrisponde uno e uno solo elemento del secondo, ma l’inverso non è necessario. Es. rapporto fra insieme dei figli e dei padri Potrebbe esserci un padre con un solo figlio o coco: a un elemento del primo insieme corrisponde uno e un solo elemento del secondo e viceversa. Es. rapporto fra mariti e mogi nelle società monogamiche e monoandriche. o Multivoco: a ciascun elemento del primo insieme corrispondono più elementi del secondo e viceversa. Es. rapporti fra mariti e mogli nelle società poligamiche Saussure è stato fortemente condizionato da codici poveri e fortemente riduttivi rispetto al linguaggio umano: dato un signifiant questo veicola uno e un solo signifié, ma in realtà esiste un controesempio, ovvero l’omonimia (lama e fiera). Analogamente, Saussure segnalava che dato un signifié esso è veicolato da uno e un solo signifiant, ma possiamo ancora dare altri controesempi, ovvero il fenomeno dei sinonimi (stella-astro, dentista-odontoiatra, cavallo-destriero), ovvero due sostantivi che hanno significato analogo ma non proprio lo stesso, altrimenti sarebbero ridondanti, cambia il registro > il nesso tra i significanti e i significati NON è un rapporto biunivoco di tipo 1:1. Questo aspetto ci fa notare che nella lingua c’è una sorta di indeterminatezza, perché un contenuto/una funzione linguistica può essere manifestata da più strategie di manifestazione e viceversa. Ad una strategia corrispondono più funzioni e a più funzione corrispondono più strategie. b) Ragioniamo ora sul senso che noi veicoliamo nei nostri messaggi e sulla fonte del senso. nei codici che Saussure prende in considerazione come termine di paragone, il senso è già iscritto e prestabilito da sempre nel codice/sistema (avviene lo stesso nella segnaletica stradale), presenti nel nostro 55 common ground, che non prevede ulteriori arricchimenti o approfondimenti. Quindi, ci sono codici che prevedono il senso come E Ns1szs3sh già iscritto nel sistema. Ri Î MVIV2VAYn Osserviamoci in azione come parlanti: il senso che esprimeremo è già n tutto incluso in sede psichica? Assolutamente no, perché noi non sappiamo quali saranno i sensi che formuleremo nei nostri messaggi, altrimenti avremmo il dono della preveggenza, non sapremo i significati = che dovremo esprimere + la fonte dei nostri sensi è dell'esperienza, per cui nel linguaggio umano il senso è legato ad essa, non può pertanto _ essere predeterminata dal codice/sistema linguistico. Nell’ambito x pe linguistico, il parlante non può sapere a priori che dovrà esprimere nel suo discorso. Ci sono nella storia della Linguistica dei modelli incentrati sul codice: si parla di codicocentrismo, dove si può arrivare a concezioni deterministiche. Per determinismo s’intende il fenomeno per cui è il sistema ad affermare l’uomo (rischio in moltissime discipline); c’è un determinismo in ambito biologico dove l’uomo è determinato totalmente dal suo DNA, ma l’io deborda il sistema biologico, è qualcosa di più grande. Oppure potremo dire lo stesso in ambito psicologico, ma l’essere umano non è determinato totalmente dai suoi psichismi. In Saussure non troviamo un determinismo di questo tipo, ma vi è un piccolo aspetto di determinismo nell’idea di langue rispetto al parlante: il parlante è un essere Joquens, rappresentato in questo modo, dove in sede mentale egli ha una serie di regole con gli specifici segni e li combina. Per esempio, si sceglie la regola R1 = N + V, ottenendo come risultato il tavolo ride, che crea problemi in fatto di congruità, per cui il parlante deve scegliere regole più raffinate che dato un predicato come ridere esso richieda determinate qualità > non cambia la procedura del parlante! In questo modo, il parlante attiva un sistema già dato, è un attualizzatore passivo di un sistema già dato, una sorta di “robot” che meccanicamente attiva regole già date di un sistema già dato. Umberto Eco affermò che la condizione codicocentrica porta alla determinazione dell’uomo dalla lingua, non è libero nella sua attività di parlante. Noi non sappiamo dei semplici attualizzatori di regole, perché l’uomo con la sua libertà, a partire dalla necessità comunicativa di esprimersi, dovrà scegliere le strategie linguistiche e il messaggio che gli | ] permetta di attestare al meglio la sua esperienza, cioè la lingua ha un aspetto.» ©*° Vv \ andare | singolare e qui entra in merito il fenomeno della creatività linguistica di E Chomsky. Nel paradosso dell’asino di Buridano, filosofo medievale, egli ci fa riflettere sul fenomeno della scelta: c’è un asino affamato che si trova di fronte a due mucchi di fieno identici, l’animale non sceglie né per l’uno né per l’altro 3 questo cosa significa? Buridano ci fa riflettere sul principio della scelta, in quanto l’asino non ha un punto di riferimento per scegliere; la scelta avviene sempre per un bene grande, a partire dalla libertà (vale per ciascuno di noi nella nostra esperienza). Noi scegliamo strutture linguistiche per formulare un discorso, in base a ciò che ci permette di esprimerci nel modo più adeguato + interviene la dimensione della libertà dell’uomo che sceglie in nome del messaggio più adeguato che gli permetta di aderire ad esperienza imprevedibile. Scopriamo quindi che c’è un forte nesso tra linguaggio, esperienza, libertà e creatività. Allora, il compito è quello di vedere in che senso la lingua ci offre uno strumentario che ci permetta di incontrare la realtà, quindi vedere per quali vie la lingua si offre a noi come strumento per incontrare la realtà, per dar voce all’esperienza. Nella lingua è presente una fondamentale indeterminatezza, cioè una plasmabilità dello strumento espressivo plasmabile. Quali sono gli strumenti che ci mette a disposizione il sistema linguistico per la costruzione di testi? Dobbiamo introdurre il concetto di strutture intermedie, ovvero più flessibili rispetto alle entità descritte in base alla nozione di segno saussuriano. Possiamo immaginare che la nostra attività di parlanti sia fatta da segni più flessibili? Osserviamo due parole: casa e andare. La parola casa rimanda a quel preciso significato; per andare, invece, non possiamo avere un significato unico e deciso, per cui dobbiamo recensire i vari significati: 1. Luigi va a casa + spostamento da un punto A ad un punto B. 2. La macchina va + indica funzionamento, quindi un significato che la macchina funziona correttamente. 3. Questo vestito mi va bene + indica “calzare”, quindi corrisponde al fatto che il vestito è adeguato e corrisponde alle mie misure ed esigenze. 4. Con l’esame di matematica mi è andata bene > indica buona riuscita. 56 5. Questi pantaloni vanno accorciati > indica il significato di “dovere” e di diatesi passiva. 6. Nonmi è andato di parlargli > indica che non avevamo voglia. Attraverso questa recensione, la parola veicola numerosi significati, per cui non possiamo indicare un unico concetto/significato associato al significante andare + è un termine polisemico. Si parla di polisemia quando i significati veicolati da una certa parola sono collegati tra di loro: sotto una stessa strategia di manifestazione troviamo una pluralità di significati, dove è riconoscibile un certo nesso, ovvero il nesso di motivazione. Possiamo ricostruire il nesso di “va” nelle frasi 1 e 2? Sì, poiché entrambi implicano movimento e se funzionano, possono muoversi. Uno spostamento nello spazio presuppone il funzionamento dello strumento che ci permette di spostarci > vi è un nesso motivazionale dello spostamento che implica il funzionamento di un certo apparato (motorio o del motore), quindi l’accezione di “funzionare” è collegato/relato al significato di andare come movimento. Possiamo trovare un nesso tra la frase 1 e 3? Il vestito, se calza, è adeguato alle mie esigenze, riconducendo all’accezione di funzionamento + svolge lo scopo, quindi funziona in modo appropriato. Vediamo come in una parola polisemica il significato originario si divide in altri. Possiamo ricostruire un nesso tra la frase 4 e tutte le altre? Sì, perché l’esame di matematica ha funzionato bene. Abbiamo scoperto quindi cos’è la polisemia, ovvero uno stesso segno, modificandosi, sviluppa a partire dal significato originario altri significati, relati a quelli precedenti attraverso il nesso di motivazione! Come parlanti, non dobbiamo confondere la polisemia con l’omonimia, perché gli omonimi hanno più significati, ma i significati veicolati NON hanno un nesso tra di loro, sono irrelati. Prendiamo la parola conti, che può essere Luigi legge con Silvia il plurale del nome comune conte oppure il plurale del calcolo E in compagnia di..... matematico conto. Il tedesco Kosten può significare Luigi legge con gli occhiali gustare/assaggiare ma anche costare > l’omonimia è un collasso di significati irrelati tra loro! € si serve di..... Vedendo un ulteriore esempio di polisemia: Luigi ha promesso di portarmi al mare. Quel tuo giovane amico promette di diventare un grande imprenditore. Il predicato promettere indica che noi rendiamo a parole un’azione: fra il primo e il secondo caso promettere è possibile individuare un nesso, ovvero ci sono indizi/fattori che ci fanno presagire che queste due azioni si avvereranno (nel secondo caso, possiamo notare magari delle doti particolari che gli permetteranno di diventare imprenditore); non c’è collasso di segni diversi in uno stesso significante, ma un segno, modificandosi, dà origine ad un altro significato. 19/03/2021 Parliamo di polisemia quando i significati veicolati da una medesima struttura linguistica sono correlati da uno stesso nesso, detto nesso di correlazione. Nel caso degli omonimi, questi veicolano più significati ma non sono correlati tra loro, abbiamo un collasso. Osservando un altro esempio di polisemia, analizziamo la congiunzione con. Se parafrasiamo il significato di con, lo possiamo sostituire con di. Questo con è una struttura linguistica polisemica, quindi tra i significati vi deve essere un minimo di significato condiviso. Notiamo un significato condiviso di in presenza di prima di una persona e poi di uno strumento > è un con presenziale. Test della sostituzione: per verificare la presenza di una componente simile nei due con (intervengono come reattivi semantici) > in entrambi i casi posso sostituire con mediante senza, che indica l'assenza: Luigi legge senza occhiali Luigi legge senza Silvia I due enunciati sono sensati: con l’enunciato in assenza di, abbiamo verificato che il con sostiuito era in entrambi gli enunciati veicola significato comune in presenza di. A volte ci sono casi in cui se incerti, fatichiamo a stabilire se si tratti di polisemia o omonimia: prendiamo contare, che può significare enumerare, ma anche avere molta importanza. Tu conti il denato Tu conti molto per me 57 1) Andavamo a lezione tutti i giorni alle 8.30 (valore di Struttur e iteratività- azione iterata nel passato) . . intermedie e 2) Quella mattina andavo a lezione di linguistica quando A TTT mi venne un malore (continuità dell’azione nel passato) loro requisiti Questi 3) Volevo un caffè (cortesia) requisiti ci faranno capire ancora di più la natura del nesso fra le due facce della funzione linguistica e della strategia di manifestazione > rapporto multivoco 1. POLISEMIA La stessa strategia di manifestazione può svolgere più funzioni linguistiche. La polisemia opera ai vari livelli linguistici: a) A livello lessicale (es. andare) Per — polisemia s’intende quando una stessa il)gartirò domani (azione futura) strategia di manifestazione manifesta una 2) Avrà 50 anni pluralità di funzioni (illazione) comunicative/significati e fra le varie 3) La casa disterà 300 m. dalla stazione 1) lup-0, operai-0 hil (approssimazione) (sesso maschile) 4) Dopo la laurea sosterranno l'esame di Stato 2) libr-0, tavol-o (comando) (categoria grammaticale) funzioni comunicative/significati è riconoscibile un certo 3) soprano nesso, detto di motivazione. (sesso femminile) Uno stesso segno, modificandosi, sviluppa a partire dal significato originario altri significati, relati a quelli precedenti. b) A livello morfologico (es. imperfetto italiano) La struttura intermedia ci permette di esplicare tutta la strumentazione linguistica. Osservando gli esempi, l’imperfetto veicola molteplici significati: >» Andavamo: questo imperfetto indica un’azione nel passato, ma vi è un dato che ci permette di capire ogni quanto, ovvero “tutti i giorni” > azione iterata nel passata; >» Andavo: imperfetto con azione nel passato, ma indica una continuità e in concomitanza nel passato. >» Volevo: veicola un valore di cortesia (potrei dire anche “vorrei”). Un altro esempio è il futuro italiano, che indica un momento successivo al momento dell’enunciazione e non solo: Abbiamo un caso di polisemia del futuro, con diverse funzioni linguistiche veicolate dal futuro. Osserviamo un altro esempio di morfologia, ovvero il genere maschile: 1) Luigi va a casa 2) La macchina va 3) Questo vestito mi va bene 4) Con l'esame di matematica mi è andata bene 5) Questi pantaloni vanno accorciati 6) Non mi è andato di parlargli 2. VARIANZA/SINONIMIA 8) Questa ricchezza va perduta . . ra . , La ‘oa Una stessa funzione linguistica si affida a più strategie di manifestazione. Varianza e sinonimia NON vanno confuse: per varianza s'intende una stessa struttura intermedia che si manifesta in modo diverso a seconda delle sue realizzazioni morfologiche. 60 3. Il verbo andare ricorre ad una base lessematica diversa, a manifestazioni it. -ai mangi-ai, and-ai differenti. A proposito di questo fenomeno, si chiama suppletivismo fui morfologico, cioè per realizzare una o alcune delle sue voci della fedi coniugazione, andare ricorre ad un’altra successione di suoni: ci sono casi ing. - ed listened neo Ie in cui la stessa struttura intermedie ate, did strabuono con un formativo lessicale ricorre a lessemi diversi, come io vad-o e noi and-iamo, che supplisce ted. - te brach-te buonissimo | con un morto a quella precedente. ging, fune, las buocoono con l'intonazione Nel caso della sinonimia, abbiamo un equivalenza a livello Serg semantico di strutture intermedie distinte. La sinonimia opera ai vari livelli linguistici, sono strutture intermedie diverse. La funzione linguistica è associata a più strutture intermedie n distinte: buono buono con reduplicazione ‘buono da morire. con una perifrasi a) Babbo, papà, padre Non sono identici dal punto di vista sinonimico, ma richiedono espressioni adeguate, perché noi parliamo di Babbo Natale, Santo Padre e festa del papà + combinazione lessicale che mette a tema la parola “papà”. Abbiamo sinonimi a livello lessicale. b) Plurale "Ti presto la penna È un significato di natura “Ti presto attenzione morfologico e può essere manifestato in molteplici strategie di " . manifestazione. Abbiamo anche il concetto di morfo zero o *Tipresto aiuto allomorfi, ovvero varianti a livello morfologico. “Prestare giuramento Anche in inglese, la stessa funzione linguistica di plurale può essere manifesta dal morfo s o apofonia (nella radice del sostantivo). Più una lingua è ricca di morfologia, più queste strategia di manifestazione sinonimiche è numerosa, come in tedesco > tutti questi morfi sono strategie di manifestazione sinonimiche. andare, io vad-0 Vediamo un altro esempio a livello morfologico, ; ovvero il passato: in italiano si può ricorrere ad sono fui . Do o . . . di un fenomeno di suppletivismo morfologico, tutte aller jevais, tuvas,ilva jirei strategie di manifestazione sinonimiche. In % . . - — togo went O inglese, abbiamo il morfo -ed o apofonia. Lo stesso accade in tedesco. Un altro caso è quello del superlativo, che esemplifica la sinonimia. Il superlativo in italiano può essere realizzato da numerose strategie di manifestazione, tutte sinonimiche: Tutte queste espressioni sono strategie di manifestazione sinonimiche della medesima funzione linguistica del superlativo. sein, ich bin, ich war lit -e case JNATURALITÀ «i tavoli Nel primo tratto, una struttura intermedia è polisemica, ma 29 città attenzione perché qualsiasi SI veicola una funzione preferenziale, normalmente ce n’è una che riconosciamo in modo più naturale, anche se ne può sviluppare altre. Bisogna quindi riconoscere la presenza di un valore più immediato, più naturale e canonico. Prendiamo l'esempio di prestare: ing. -s boy-s apofonia men ted. -en Student-en il valore canonico è il primo, cioè il valore che noi riconosciamo e Baume immediatamente. È vero che le SI veicolano più strutture «n Blumen linguistiche, ma una è più immediata, che facilita la er Kinder comunicazione. "e Tische «er Lénder -8. Kinos 61 Un test che ci può aiutare per riconoscerla è il test in cui prendiamo la struttura, azzeriamo tutti i complementi e li sostituiamo con variabili: X presta Ya Z Abbiamo un contesto 0 e le variabili, dove " insieme a emerge molto bene il significato di prestare, ovvero quello del primo » a/cospetto di enunciato, cioè dare qualcosa a qualcuno con un impegno a titolo temporaneo. » jn presenza di Collocando questo prestare in questo contesto, dove i partecipanti sono SD disattivati, emerge la funzione linguistica canonica. Con questo test, prestare non ci restituire il significato di aiutare o giurare o di rivolgere attenzione, ma la collocazione in contesto 0 fa emergere la funzione linguistica naturale. Un ulteriore esempio è leggere: Sicuramente, le ultime tre testualizzazioni ci presentano leggere con la sua funzione linguistica naturale. Leggere significa dar voce ad un testo scritto ed interpretarlo, poi la lettura potrebbe essere silenziosa o ad alta voce con espressività. Nelle prime due, invece, abbiamo il significato di interpretare/vedere/percepire. La funzione linguistica canonica referenziale viene riconosciuta immediatamente. Prendiamo la preposizione da. Nella prima frase, abbiamo il valore canonico referenziale, ovvero la funzione moto da luogo. Quindi, indipendentemente dalla polisemia, le espressioni linguistiche hanno un valore preferenziale, quindi svolgono una funzione plerumque (perlopiù), cioè veicolano un significato canonico. Per esempio, nel caso del tempo morfologico, il futuro ha una funzione preferenziale, cioè veicola un significato di azione futura. Possiamo vedere lo stesso per il soggetto, dove la funzione preferenziale la troviamo nella frase 1, dove Luigi compie l’azione in quanto agente, invece nella frase 3 il pavimento indica un locativo, mentre il martello indica lo strumento con cui si svolge l’azione. 12/04/2021 4 STRATEGIA DI MANIFESTAZIONE PREFERENZIALE Si riferisce sempre al discorso della preferenzialità: le SI hanno anche una strategia di manifestazione più tipica, preferenziale, canonica per quanto riguarda la strategia di manifestazione. 1) Lei non ha letto correttamente la Ad esempio, noi possiamo esprimere il significato situazione di compagnia con varie espressioni: 2) Leggo nei tuoi occhi una vena dî ma quale fra queste, è la più canonica e naturale? tristezza Con. Il parlante italiano pensa immediatamente a 3) Sa leggere con espressione corvinsieme a. Ce n’è una preferenziale. 4) Luigi legge il giornale . Collochiamoci in ambito morfologico e 5) Quello non sa leggere: è analfabeta grammaticale, considerando il genere. In italiano, il genere femminile ha come manifestazione tipica il morfo -a. 1) Da dove vieni? = Ragazza 0. = Spos-a 2) Da chi sei andato? = Cas-a 3) Da chi ceni questa sera? Ma abbiamo dei casi in cui il genere femminile è x manifestato dal morfo -0 (la man-0) e -e (la noc-e). ENDOLINGUISTICITÀ Ogni SI è endolinguistica, ovvero ha caratteristiche Luigi parte per Roma agente tipiche di quella lingua storico-naturale, cioè non ha Sh n Luigi riceve un libro recipient senso parlare difatti linguistici in generale, ma vanno specificati in ciascuna lingua storico-naturale. Ad ‘pavimento brulica di topi locativo esempio, il presente indicativo non è un argomento // martello rompe il vetro strumentivo di cui si parla in generale, dobbiamo precisare la 62 Questo aiut è una base lessematica che compare ricorsivamente, ovvero l’elemento che compare in diverse forme di parola che sono la realizzazione morfologica. Noi lo abbiamo chiamato per molto tempo radice. 3. FORMA DI PAROLA Ora ha Però, potremmo avere il lessema anche nel sostantivo: alber-o alber-i C’è un elemento ricorsivo nella forma del singolare e plurale, che presentano lo stesso lessema, ovvero la base che compare ricorsivamente. Allo stesso modo, è presente anche nel verbo cantare: cant-are cant-0 cant-a cant-erò I verbi sono parti del discorso variabile > siamo nell’ambito delle parti variabili del discorso, er quindi la forma di parola coincide con una delle Gili O N realizzazioni morfologiche del lessema. Le forme di aiut-erò parole sono le diverse realizzazioni del lessema. aiut-avo possiamo rispondere alla domanda come possiamo definire una parola: abbiamo tre parole perché chi ha risposto 3 ha considerato studiato una medesima forma di parola. ha aiut-ato era stato aiut-ato Cit Lied Luigi / ha / studiato / molto Luigi / ha studiato / molto Da linguisti, possiamo rispondere quante parole ci sono in un enunciato. Prendiamo il lessico come generatore, che ci permette di conoscere tutte le parole strutturate. Attraverso processi di strutturazione lessicale, noi parlanti consideriamo l’italiano come punto di partenza. Il lessico, in quanto generatore mette a disposizione dei processi di strutturazione lessicale: > Processi di formazione del lessico » Processi fraseologici Derivazione Sintemi Alterazione Funzioni lessicali Composizione Combinazione Per creare parole strutturate, consideriamo Lessemi elementari: parola non riconducibile ad un’altra parole da cui deriva (casa e sempre); Formativi: prefissi, suffissi infissi (de-, in-; -oso; leon-c-ino) Lessemi latenti: illudere, alludere, disilludere sono parole strutturate con diversi prefissi che utilizzano ludus e ludere. Questi termini latini indicano il “gioco”, ma non continuano in italiano. Sono elementi del passato, diacronici, utilizzati da noi in sincronia nei processi di strutturazione del lessico. Ludus rimane però nel nostro lessico come generatore lessicale. Prendiamo la mattanza dei tonni, che sfrutta il verbo latino mactare (ammazzare). Questi vengono introdotti nel generatore lessicale in modo da dare Lessemi strutturati: inscrivere, noioso, elefantino, ecc. Il generatore lessicale, elaborando questi elementi in ingresso, ci permette di costruire fraseologismi, divisi in o Sintemi (piede di porco) o Funzioni lessicali (prendere una decisione) CESSI DI FORMAZIONE LESSICALE ® DERIVAZIONE PRO Ogni lingua vede prevalere un processo di strutturazione. In italiano, il processo più frequente è quello di derivazione, mentre in inglese e tedesco si preferisce la composizione. 65 Bello > bellezza Sabbia > sabbioso Correre > corsa Da una classe del lessico si passa perlopiù ad una classe diversa: si parla di transcategorizzazione, fenomeno particolarmente produttivo in italiano. Nomen actionis: scrittura, letture Se prendiamo il derivato sabbioso, è un CLAN Te rE TINA ar 249 costruzione aggettivo, descrivendolo a partire dalla parte Nomen L eipAVei)ti Miro del discorso a cui appartiene (aggettivo CRI OA SUUGICI derivante da sabbia), precisando la classe di Nomen instrumenti: lavatrice, bollitore arrivo e l’aggettivo che denota la classe di partenza (de-ale). Noi designiamo il denotato a partire dalla classe di arrivo, che poi viene precisato con l’aggettivo che precisa di volta in volta la classe di partenza. 16/04/2021 Questi suffissi rientrano nell’ambito dei formativi (ciò che il generatore lessicale riceve in entrata), che sono elementi lessicali, cioè a cui ricorriamo se vogliamo sottoporre il termine ad un processo di strutturazione, utilizzati o no a seconda del fatto se si voglia trasformare il lessema in lessema lessicale. I formativi comprendono formativi di vario genere. In questo caso, usiamo dei formativi suffissi, perché seguono il lessema. Dobbiamo però stare attenti perché ci sono casi in cui la derivazione interviene, ma non fa intervenire alcun suffisso. Questo arrivo è un derivato che non intervenire alcun suffisso, per cui è una derivazione a suffisso 0: abbiamo un sostantivo nome de-ale che deriva dal verbo, quindi abbiamo un nome deverbale. noi possiamo formare derivati accumulando suffissi, per cui, prendiamo il sostantivo affidabilità, ovvero un nome, però esso è URLO AREE ISEE TUE SSA o es sabbioso (da sabbia)= aggettivo denominale ottenuto per processo derivazionale (da arrivare) nome deverbale attraverso due passaggi: 5 Awedbio 1. Deriva dall’aggettivo 5 affidabile, che è a sua volta un verdeggiare (da verde) verbo deaggettivale derivato da 2. Affidare, un verbo Per cui, affidabile è un aggettivo deverbale. Da cui formiamo un ulteriore derivato, che è il sostantivo affidabilità, ottenuto dal sostantivo deaggettivale. PRIVI < partire Anche totalitario è un aggettivo che deriva da totalità, che a sua volta è un derivato da totale, per cui totalitario è un nome deaggettivale. I derivati permettono di formare dei lessemi che permettono di individuare i partecipanti alla situazione comunicativa: Dal verbo scrivere possiamo individuare il nome agentis, ovvero colui che svolge l’azione di scrivere, lo scrittore e la scrittrice. Da scrivere possiamo anche derivare scrittura, che individua arrivo < Via aiVArA l’azione stessa, quindi possiamo denominare l’azione svolta dall’agente e individuata dal verbo (nomen actionis). A volte, il derivato permette di individuare, rispetto allo scenario comunicativo, il luogo in cui si svolge l’azione, ovvero il nomen lira iti loci. Ad esempio, possiamo trovare scrivania, che individua il Mriygtefal 171 -AME=gi apple lag2 luogo in cui si svolge l’azione dello scrivere. Possiamo trovare gli strumenti con cui si compie l’azione, ovvero il nomen instrumenti. Prendiamo in considerazione tutte le SI passate in rassegna, MEKorele ir si soia osservandole dal punto di vista del potere comunicativo che emanano, portando il tema della derivazione semanticamente marcata e non. iroso < ira statale < stato canto < cantare total-it-ario * Derivazione semanticamente non marcata (derivato freddo): ci sono casi di derivati, come i nomina agentis che rientrano nella derivazione semanticamente non marcata, ovvero Nomen agenti: fanno passare dal verbo all’agente, al n A nome di colui che compie l’azione. I ION IN) Abbiamo tutti questi derivati relativi ad comprare compratore un'azione o ad un sostantivo che si Fieig 142) scrittore riferiscono a ciò che viene indicato dalla È ; b n vendere Uniti di studiare studente cantare cantante derivato. insegnare insegnante * Derivazione semanticamente marcata (derivato caldo): abbiamo derivati che sono nomina actionis, ma, a differenza di prima, non indicano semplicemente il passaggio da una classe del lessico ad un’altra, ma indicano qualcosa di più. Quando noi mangiamo, beviamo o dormiamo, indicano l’azione, ma indicano un’azione precisa, li percepiamo nella loro portata comunicativa. Tutti queste azioni sono sostantivi che non indicano solo passaggio da verbo a nome, ma indicano l’intensità, l’intensificazione dell’azione > sono elativi, cioè indicano una situazione singola, ma intensificata. Dal punto di vista della forma, la differenza tra rimpatriata e rimpatrio, possiamo dire che rimpatrio è un derivato che non fa intervenire il suffisso, ma è un nome deverbale da rimpatriare. Rimpatrio è il nome che indica il ritorno in patria (dell’esercito, ecc.), è un derivato semanticamente non marcato, s’intende l’azione, mentre la rimpatriata è un incontro di vecchi amici che non si vedono da MWEtartea molto tempo, si ritrovano tra loro, è un incontro RiutiizA toi i a rin festoso e carico di emozioni. Vediamo quanto si arricchisce l’azione, perché rimpatriata non indica solo l’azione, ma enfatizza la carica emotiva dell’incontro, per cui il derivato è semanticamente marcato, perché aggiunge tutti questi significati. Boscoso VS boschivo: è importante operare una distinzione in italiano tra i termini ed esplicitare dal punto di vista semantico cosa succede quando utilizziamo questi termini. Noi possiamo parlare di un patrimonio boschivo e di un terreno boscoso. Il formativo -oso, individuato come marcato, è il formativo percepito da noi italofoni come indicante un terreno boscoso, caratterizzato quindi da una grande quantità di boschi (derivato semanticamente marcato e derivato caldo); mentre boschivo indica il patrimonio dei beni, costituiti da boschi. Boscoso transcategorizza, ma non segnala solo l’appartenenza del bosco, ma segnala anche il terreno ricco di bosco; boschivo indica che è relato a bosco, non dà un’aggiunta semantica in più di intensificazione. Teniamo presente che la SI unisce nella correlazione semiotica due facce, ovvero la funzione alla strategia di manifestazione. È quello che dobbiamo fare anche per la derivazione. Osservandoli dal punto di vista della strategia di manifestazione, il derivato agente ricorre ad una strategia di manifestazione preferenziale: Indica l’agente, ma ci sono casi in cui -tore e -trice non indicano l'agente, come bollitore e lavatrice, che designano lo strumento. Passiano ora alle strategie di manifestazione non preferenziale, ma potrebbe comparire anche con spazzino e imbianchino, così come anche nel colino, che designa lo strumento. Questo vale anche per le altre lingue, come l’inglese, dove utilizziamo -er. 67 »> Cameriere: colui che porta in camera, che rassetta la camera. Da questo significato vediamo una base che si è arricchita nel corso del tempo > oggi è colui che porta sul tavolo le vivande. Vediamo che il derivato subisce dei mutamenti, ma la lingua è sempre in continua evoluzione dal punto di vista semantico. 26/04/2021 Case study 1 - Alla scoperta degli impliciti Individuate le forme semanticamente marcate e non marcate nei seguenti TRA ETA TR ANCO Mela e RI ESTERIORE IL) La polisemia della base si ha quando pensoso abbiamo una parola di partenza polisemica e si formano derivati diversi: differire forma il derivato differenza (nome deverbale, nomen actionis che riprende il concetto di differire nel significato di “essere diverso”) e poi differimento. Comparire: significa “apparire momentaneamente” oppure ha a che fare con un’azione del Tribunale. Per cui, abbiamo due derivati, ovvero comparsa (apparire fugacemente) oppure comparizione (in Tribunale). Corrispondere: ha una polisemia molto ampia. Potrebbe significare un legame tra due entità (corrispondenza) oppure in termini economici (corresponsione). Corrispondenza significa la corrispondenza epistolare, ecc., oppure corrispondenza degli amorosi sensi, in accezione letteraria, oppure in termini ci versa il denaro corresponsione. Ora dobbiamo far emergere la rilevanza della derivazione dal punto di vista comunicativo: cosa succede nei nostri enunciati quando usiamo la derivazione? Prendiamo in esame il seguente esempio. La base -ivo non è un formativo, ma il verbo arrivare ha come base arriv-, per cui arrivo è un 3-8 3 derivato a suffisso 0. Confrontiamo i Luigi arriva primi due enunciati: è sempre Luigi ad L'arrivo di Luigi arrivare, però se rimane inalterata la E relazione semantica, che cosa Luigi liTei offeso Pietro cambia? Cambiano le relazioni a 0a MC sintattiche, in quanto nel primo L'offesa di Luigi a Pietro enunciato è Luigi il soggetto, mentre nel secondo è arrivo, ovvero il nomen actioni: Nel secondo esempio, possiamo prendere il verbo e sostituirlo con il suo derivato: rimangono inalterati i ruoli semantici, perché colui che offende è sempre Luigi, mentre l’offeso è sempre Pietro, MA dal punto di vista sintattico cambia tutto, in quanto nel primo caso il soggetto è Luigi e Pietro corrisponde al complemento oggetto. Nel secondo caso, il soggetto diventa l’offesa, Luigi complemento di specificazione e Pietro complemento di termine. Questo ci fa capire come sia importante la derivazione per spiegare gli stesi contenuti ma con derivati diversi: prendendo due enunciati e sostituendo il verbo con il derivato, abbiamo detto la stessa cosa ma in modo diverso, con espressione sinonimica. Essa permette al parlante di ampliare la sua strumentazione sinonimica. Facciamo un altro esempio, riferendoci alla preposizione di, che interviene quando formiamo i derivati e ci permette di introdurre il complemento di specificazione e il complemento di agente. 70 Essa ha matura sintattica, ovvero quando introduce un certo tipo di complemento che originariamente coincideva con il soggetto dell’enunciato di partenza, dopo aver trasformato il La partenza di Luigi vero La fabbrica di Agnelli Scarpe di coccodrillo Bicchiere di vino Negli ultimi tre casi la struttura intermedia è semantica: l’apporto di questa preposizione varia. Al posto di quel di, possiamo ricostruire casa casalingo inferenzialmente quel predicato. iure Riprendendo il concetto di latenza, tutto il nostro lessico deriva dal lavori dom latino, ma vi sono termini latini che non continuano ancora o, da domus come domus, che rimane come elemento guerra diacronico liacronia e sincronia, categorie saussuriane) e È opera per noi in di reg, n pera pi sincronia quando strutturiamo il lessico. Quando RS( ga ee) parliamo di lavori domestici, l’aggettivo riprende il latinismo, bellico da bellum facendo sì che esso diventi lessema latente, che entra nel generatore lessicale in modo da ottenere lessemi strutturati. Bellico è l’aggettivo che si rifà al latino bellum, indicando la guerra. COMPOSIZIONE ISEE atti Crea un nuovo lessema (lessema strutturato), unendo elsa lei ir rat due basi (lessemi elementari) o un prefisso. Condensa porione capoluogo (capoluoghi) una struttura sintattica lessicalizzandola. Ad esempio, MI capotreno è la “condensazione” di capo del treno. Può far intervenire nel processo parti del discorso diverse. Abbiamo SOSTANTIVO + SOSTANTIVO: abbiamo sottolineature per indicare il cambio nel plurale. La morfologia è molto precisa, per cui sarebbero errate formulazioni del plurale non coerenti. Dobbiamo operare una riflessione di tipo semantica: di fronte a questi termini, il significato del composto emerge la composizione delle due basi, per cui è vero che normalmente abbiamo una percezione della trasparenza semantica. Caporione indica “capo del quartiere”, ma si sta perdendo la percezione della composizionalità. Egli era il capo del rione, ma poi questo termine si è andato ad individuare con elementi un po’ facinorosi. Nella ISS3RE®” percezione dei parlanti italofoni, si nota essere CISA IIS TOA) OANTT TNT GATTA minore la percezione della composizionalità. Vi è Rui Oer) 270) questo scivolamento della perdita della trasparenza REZZQZIGRAZA OI SS della composizionalità. Fra i componenti si instaura Da un rapporto di determinazione: abbiamo un elemento che determina l’altro. I composti possono essere altopiano i/i ofi altorilevo i/i ofi costituiti anche da VERBO + 82 piano i/i o/i bassorilievo i/i ofi NOME. Notiamo una differenza M22/e2itiuoa= buontemponi tra le lingue, ovvero i tedeschi e i atta VANI prescrivere gli inglesi pongono il nome prima, descrivere Le si pongono prima l’elemento determinato. La dimensione contrastiva è importante perché dà una competenza maggiore nell’utilizzo delle diverse strategie di sovrascrivere circoscrivere Tara [i (0-loip 2203) manifestazione AGGETTIVO + SOSTANTIVO: PREFISSO + VERBO: Ci sono alcuni linguisti che considerano il prefissato come un composto del verbo e altri no. 71 Ricompare il fenomeno della latenza, per cui riconosciamo che questo ferire ha a che fare con il latino ferre (fero, fers, tuli, latum, ferre), che rimane come elemento diacronico che opera in sincronia nei processi di strutturazione del lessico. Allo stesso modo, questo durre è un lessema latente dal latino ducere (guidare). COMBINAZIONE È il processo di formazione del lessico meno noto, anche perché esiste in italiano, mentre in altre lingue confluisce nei fenomeni di composizione (tedesco, inglese, russo). La combinazione crea un nuovo lessema mediante semplice giustapposizione di due lessemi appartenenti alla stessa classe del lessico, tra questi si stabilisce un rapporto di tipo attributivo. Abbiamo esempi come bambino prodigio, cane lupo, pesce spada, pesce martello, pesce gatto, pesce palla, uomo ragno, donna cannone, spesso divisi tra loro da un trattino. Inoltre, cambia il nesso logico rispetto alla composizione, cambia la natura degli elementi che entrano nel combinato. Un combinato è anche agro dolce, grigio verde, grigio perla (i trattini sotto indicano dove cambiare per il plurale). Nelle nostre lingue germaniche, accade un fenomeno completamente diverso: Uomo ragno Spiderman / Spinnenmann Cane lupo Wolfhund / wolfdog Pesce spada Swordfish / Schwertfisch La combinazione può far combinare può aggettivi. ALTERAZIONE Caratterizzata dall’endolinguisticità (specifica di una lingua), a volte ci sono corrispondenze tra i lessemi, a volte no, ma non transcategorizza, si rimane all’interno della medesima categoria/classe del lessico. Inoltre, non vi è sistematicità del formativo. Ad esempio, se voglio dire “gatto piccolo” dico gattino > il generatore lessicale riceve in input formativi lessicali, tra cui prefissi, suffissi e infissi. Ad esempio, nel leon-c-ino, quella c è un infisso, ovvero si inserisce all’interno del lessema strutturato; non può essere leonino perché è un aggettivo denominale, derivato da leone. Questo infisso permette di formare il diminutivo alterato che non vada a coincidere con il derivato. Un lupo piccolo è un lupetto, non un lupino perché è un alimento. Allo stesso modo, avremo da tigre ‘un tigrotto e da rana un ranocchio. Possiamo formare diversi tipi di alterati a seconda della loro tipologia. Abbiamo gli alterati: o casina, omino, libretto, casetta; mone, donnone (parte da donna, ma si cambia al maschile, perché succede un N ERRE passaggio di genere, che indica un riccone steinre N rocesso di strutturazione); cattivone 1 A o : caffeuccio, casuccia, La GAL ersfoui casettina, omettino, caffettino; bellino o Peggiorativi: libraccio, postaccio, verdastro greenish, reddish verdastro. i ae ic] Gli alterati permettono di accumulare i suffissi. Ora, veniamo alle classi/parti del discorso colpite dall’alterazione, ovvero tutte. Possiamo colpire sostantivi (casina, casona), come anche nomi (Alessina, Alessiona, Alessietta). L’alterazione è poco produttiva nelle lingue germaniche e nell’inglese, perché esse ricorrono all’attributo (successone: big succes, groBer Erfolg). Colpisce anche gli aggettivi: _ Nel primo caso di riccone, il tedesco usa il prefisso RG indurre stein- che indica la pietra + a volte utilizziamo dei Ke43j/2ete2 tradurre prefissoidi che hanno una storia particolare. Essi ete,t(2241g2 ridurre indicano i prefissi che corrispondono ad elementi |tjggiz2 sedurre linguistici che non sono nati come elementi linguistici, ma erano altre parole. alcuni sostantivi subiscono processi di grammaticalizzazione, cioè da elementi linguistici tipici di sostantivi diventano funzioni linguistiche. Un prefissoide in inglese è anche -dom, che però rimane congelato in wisdom. Anche nel caso di pigrone, in tedesco abbiamo un prefissato, 72 parola che individua di volta in volta ogni atto, ma anche ricorrendo ad un’espressione fraseologica. Data una situazione comunicativa di decisione, quale sarà il verbo utilizzato dall’agente? Prendere. Nel secondo esempio di aiuto, ci chiediamo quale sia il verbo che mette in atto la situazione di aiuto e di qualcuno che viene aiutato, in italiano vediamo che si ricorre al verbo prestare. Tutti questi verbi sulla colonna di destra sono verbi che permettono di realizzare la situazione che, di volta in volta, cambia, situazione identificata dalla parola chiave. Al variare della situazione comunicativa che vogliamo mettere a tema ed esprimere la messa in atto, cambia il verbalizzatore 3 varianti combinatorie/allolessicali (allolessie = varianti) > questi verbi di destra sono varianti che emergono al mutare della parola chiave a cui si combinano. Se la parola chiave è aiuto, il verbalizzatore sarà prestare, ecc. Queste espressioni fraseologiche sono note, più che in italiano, nelle nostre lingue di specializzazione: nel mondo anglofono vengono chiamate collocations. Presentano una caratteristica dal punto di vista semantico: prestare interviene nella funzione lessicale non con il suo valore canonico, ovvero dare qualcosa a qualcuno con impegno alla resa. Qui, prestare non significa dare aiuto a qualcuno, chiedendogli qualcosa in ritorno, per cui viene usato desemanticamente, svolgendo esclusivamente la funzione sintattica di verbo, non più la sua funzione semantica di individuare la situazione comunicativa di prestito. Se pensiamo alle funzioni matematiche, *to borrow help *Hilfe leihen *davat’ v dolg ILLE to give help Hilfe leisten okazyvat’ felerutoXtei decision URL LO possiamo riprenderlo e riportarlo in sede help to give lessicale: questa OPER; è un significato che, } se noi applichiamo ad una x che varia, dà aid to render come esito una y. uestio to put i o F109=y conclusion to draw Se noi applichiamo sempre la medesima funzione lessicale ad una situazione che cambia, te An nuto) otterremo come y porre. Vediamo come tutte queste Byte ‘ondato espressioni, che otteniamo al variare della parola autor come un Ci chiave, sono riconducibili a questa formula. Quando passiamo da una lingua all’altra, non come un pesce possiamo riportarle o semplicemente translitterarle: MESTST2zA a catinelle come riportato nell’immagine, in inglese, tedesco e russo non possiamo riportare semplicemente l’espressione prestare aiuto. Infatti, come sottolinea Mel'îuk, dobbiamo chiederci come si esprime la messa in atto in ogni lingua. Riprendiamo gli esempi riportati sopra con la funzione OPER:: Ogni volta vi è un verbalizzatore diverso, però, come afferma Mel'éuk, queste espressioni vengono studiate isolatamente, ma diversa è la nostra consapevolezza quando le troviamo insieme. Il significato espresso è lo stesso, ma variano al mutare della parola chiave. Anche in tedesco, non possiamo partire dall’italiano è tradurre. Nell’esempio della decisione e dell’aiuto abbiamo verbalizzatori precisi + endolinguisticità delle funzioni lessicali. Vediamo ora un’altra funzione lessicale, ovvero la magn, che ci permette di intensificare le situazioni, si parla di elatività. Noi abbiamo uno strumento canonico, il molto, che ci permette di formare il grado di maggioranza, ma le lingue ci mettono a disposizione uno strumentario più ampio, usando espressioni fraseologiche. Data una situazione di bagnato, possiamo usare non solo molto bagnato, ma anche l’espressione fraseologica bagnato come un pulcino. Tutte queste espressioni di destra sono espressioni combinatorie, perché rientrano tutte nella stessa categorie, il rapporto ha una parola chiave che varia, indicando l’intensificazione della situazione. Anche qui riconduciamo tutte le espressioni alla formula, dando però esiti diversi a seconda della situazione: FI()=y Questa teoria ci permette di elaborare queste espressioni a ricondurle a funzioni lessicali, significati precisi che si realizzano in questi paradigmi funzione lessicale magn non si può tradurre nelle altre lingue ed è interessante capire come mai vi signo queste differenze fraseologiche diverse: 75 Queste differenze ovviamente dipendono dal background culturale, andando a ricostruire le ragioni culturali che stanno dietro a queste espressioni fraseologiche. La scuola di Praga Parliamo ora della scuola di Praga. A partire da quanto visto nel generatore lessicale, è bene parlare della nozione del fono e del fonema. La scuola di Praga vede interagire linguisti di matrice slava a linguisti di matrice occidentale. A Praga nasce una scuola strutturalista, in quanto la capitale, fin dall’antichità, era sede di dibattitti linguistici > Jakobson ci ricorda un dibattitto svoltosi nel Medioevo tra realisti (il segno non è flatus voci, ma permette di attestare la realtà ad un denotato) e nominalisti (le parole sono pure, semplicemente una realizzazione della voce), vedendo approcci filosofici e antropologici diversi. Praga fu la sede di scuole filosofiche molti rilevanti e luogo di riflessione filosofiche e linguistiche: il filosofo Brentano sviluppò il concetto di intenzionalità, nel senso che tutte le attività psichiche dell’uomo sono caratterizzate da un’intenzione, presentano una destinazione. Pertanto, non è un caso che i linguisti praghesi abbiamo un approccio funzionalista, ovvero guardano ai fatti di lingua ponendosi una domanda rispetto alla loro finalità. A Praga si parlava tedesco, molti testi linguistici sono redatti in tedesco, Jakobson stesso e altri si pongono una medesima domanda rispetto al fine, ovvero rispetto al wozu (a cosa serve), piuttosto che al weshalb (il perché). La scuola di Praga è stata fondata nel 1926 da Vilém Mathesius, poi a partire dal 1929 sono state pubblicate delle tesi, nel primo volume della rivista “Travaux du Cercle linguistique de Prague”, rivista prestigiosa e tuttora vivente. La Scuola di Praga racchiude tre componenti: a) Componente praghese: Havrinek, Mukafovsky, Tmka, Vachek; b) Componente occidentale: Bihler, Martinet, Benveniste, Tesnière; 0) Componente russa: Jakobson, Trubeckoj, Karcevskij. 03/05/2021 Trubeckoj Trubeckoj è un fonologista, gli dobbiamo l’esperimento rigoroso e scientifico attraverso cui ci dimostra se un fono è un fonema + teoria fonologica + questa esigenza di osservare il funzionamento della lingua nei suoi elementi costitutivi si sviluppa in ambito sincronico, non più diacronico. Il linguista polacco Baudouin de Courtenay aveva individuato nel suo saggio dedicato al fonema, affermando che esiste una matrice (una sorta di unità fonetica viva sul piano psichico), alla base delle miliardi di realizzazioni che avvengono. Egli non propose, dal punto di vista fonologico, un metodo rigoroso e scientifico per individuare il fonema, ma si appoggiava su un’introspezione psicologica. Trubeckoj si affida su una prova scientifica, la cosiddetta prova di commutazione: permette di verificare la pertinenza di un fono > un fono, finché non se ne individua la funzione nel sistema linguistico, non è altro che un rumore. Il fono/suono è pertinente quando svolge una funzione comunicativa. Per verificare la I pertinenza dei suoni, egli applica una prova di commutazione. Bisogna ricordare la DISTINZIONE tra wet as a drow ES Î wie ein Pudel fonema e fono (sinonimo di suono). Per UCRICILI! ecu prima cosa, Trubeckoj prende le opposizioni foniche: i foni sono Cia Se Loià Sin NOLI] oggetto della fonetica (scienza che descrive i suoni dal punto di fit asa fiddle vista acustico, definendoli in base al luogo di articolazione, gesund kerngesund all’apparato fonatorio coinvolto dal parlante quando noi articoliamo questi suoni). Prendiamo per esempio i foni zdorovyj kak byk td kg 76 Nel caso di p b, sono ocdusivi bilabiali, nel senso che noi creiamo un’occlusione con le labbra a cui segue un’apertura, pertanto questi foni sono chiamati in quel modo. ivaeg Seli articoliamo e mettiamo la mano alla gola, sentiamo che quando pronunciamo uno dei due non vibrano le corde vocali, mentre con l’altro sì + il suono può essere sordo o sonoro. gara Nel caso di t d, l’occlusione è realizzata con la punta della lingua che crea un’occlusione sugli alveoli > ocdusiva dentale Nel caso di kg, l’occlusione avviene nel dorso della lingua e l’ultima parte del palato, creando un’occlusione sul velo palatare > ocdusiva velare Ora dobbiamo vedere se queste opposizioni foniche sono anche opposizioni fonologiche: la prova di Trubeckoj consiste nel prendere un segmento di testo, che può coincidere anche con una sola parola. bere Questi due suoni non sono solo foni, ma intervengono con una funzione distintiva a livello di significato nella lingua italiana + il fonema è un fono (suono) che svolge una funzione diacritica/distintiva a livello di significato. Perciò, il fonema è l’estremo di un’opposizione fonologica, per cui si dimostra se questi foni sono fonemi. Nel secondo esempio dell’occlusiva dentale, i due estremi, se interviene una funzione distintiva a livello di significato. Trubeckoj propone vari tipi di opposizioni fonologiche, procedendo con il confronto tra i due estremi in un’opposizione fonologiche. Vediamo come ne proponga altri, confrontando un’opposizione fonologica con tutto il sistema fonologico di quella lingua. a) Partendo dall’opposizione p b, vediamo che p è sorda, mentre la b è sonora. Il fatto che sia sorda significa che è priva di sonorità (p -), mentre l’altra presenta sonorità (b +) > sono privative! Per cui, possiamo dire che l'estremo marcato è quello sonoro, mentre quello privo di suono si dice estremo non marcato. Questo termine di “marcato” e “non marcato” lo abbiamo già visto nel processo di derivazione con -oso, con la derivazione semanticamente marcato e non marcata. Il termine è nato in sede fonologica, sebbene lo utilizziamo in ambito semantico e altri. b) Un certo tratto è presente in gradi diversi. È il caso di pèsca e pésca, dove la prima è il frutto, la seconda è l’atto del pescare. Queste due e si caratterizzano per il grado di apertura e chiusura, confluendo nel tipo di opposizione fonologica, per cui applichiamo la prova di commutazione: proviamo a sostituire le due e nei due termini, per cui cambia il significato. Non sono solo foni, ma anche fonemi, perché intervengono con una funzione diacritica a livello di significato. Trubeckoj indica che sono di tipo graduale. c) Trubeckoj fa emergere altri tipi attraverso un confronto tra l’opposizione fonologica con almeno un altro fonema. Trubeckoj si chiede quale sia l'elemento che accomuna p b . Le prime sono occlusive, per articolarle dobbiamo creare un’occlusione, sono anche bilabiali, per cui la parte dell'apparato fonatorio sono le due labbra. Trubeckoj si chiede se esista un altro fono e fonema della lingua italiana che condivida questa occlusività e bilabialità > condividono questa base di comparazione (Vergleichungsgrundlage), ma non ritroviamo questo tratto in altri fonemi, per cui saranno bilaterali. Nel caso di t d, si tratta di occlusive dentali, ma se esista almeno un terzo fono appartenente al sistema fonologico italiano che condivida questi due tratti, ma, dato che non ve ne sono, sono bilaterali. Con k g, la loro base di comparazione è l’essere occlusive velari. d) Le multilaterali hanno una base di comparazione condivisa dal almeno un terzo fonema: prendiamo b d, condividono occlusività e sonorità. Ma questa base di comparazione è condivisa da almeno un terzo fono/fonema? Certo, se prendiamo la velare g, abbiamo un’occlusiva sonora. Dato che la base di comparazione è condivisibile in un terzo fonema, sono multilaterali. e) Prendiamo l'opposizione fonologica p b, possiamo dire che p:b=t:d=k: g, il loro nesso è sorda sta a sonora, ecc., individuando un nesso che compare ripetutamente in tutte le altre, permettendoci di scrivere una proporzione. Abbiamo a che fare con opposizione fonologica proporzionale. f) Andiamo adesso sul tedesco: 77 testo poetico dantesco, nel senso che nella catena fonica troviamo il ripetersi di strutture equivalenti, spiegando la particolare strutturazione dell’asse poetico. 10/05/2021 Jakobson e la traduzione Jakobson individua nella traduzione un ruolo fondamentale, facendo emergere che non è solo una pratica, ma vediamo in che senso egli ne scopre la portata linguistica e teorica nell’attività di noi parlanti. Jakobson muove una critica a Russell, filosofo che aveva affermato che era impossibile comprendere il significato della parola “formaggio” senza averne fatto esperienza extralinguistica + Jakobson obietta che invece il significato della parola possa essere compreso anche da chi non abbia mai visto/mangiato formaggio, perciò lo traduce in altri segni che abbiano un aggancio all’esperienza dei parlanti. Supponiamo che non abbiano questo alimento nella loro esperienza, ma basta trasformarlo in altri segni, come “cibo derivato dal caglio del latte” > il significato è traducibile. Nel testo, troviamo l'esempio del prof. Rigotti, che si riferisce ad una situazione reale quando i suoi figli erano al mare, conoscevano il lago, ma non il mare: “è un grande lago salato”, per cui vediamo che i bimbi non avevano aggancio diretto al mare, lo possono capire tramite la trasposizione in segni che erano per loro collegati alla loro esperienza. Infatti, noi parliamo di ippogrifi e ambrosia, sebbene non ne abbiamo mai fatto esperienza extralinguistica: l’ippogrifo è un cavallo alato, mentre l’ambrosia è il nettare degli dèi. Una parola ha un significato che può essere tradotto + Jakobson riprende Peirce, il quale aveva già detto che la destinazione del segno è la sua traduzione in altri segni, con il rischio, però, del rimando infinito. Jakobson afferma che il significato di una parola è traducibile, individuando la traduzione come il cuore del processo comunicativo, per cui Jakobson scopre vari tipi di traduzione: 1. Traduzione endolinguistica: coincide con la parafrasi, ovvero rimaniamo all’interno di una stessa lingua, prendiamo dei segni e li traduciamo nella medesima lingua. 2. Traduzione interlinguistica: si traduce da una Li ad un altro sistema linguistico L» (è l’attività che vede impegnati noi linguisti). 3. Traduzione intersemiotica: passiamo da un sistema semiotico all’altro. Ad esempio, in quanti casi opere teatrali o romanzi sono stati trasposti in film (trasposizione filmica)? Oppure, nei nostri manuali di arte con le descrizioni di opere d’arte o le stesse trasposte in un testo verbale. Jakobson si è anche occupato di afasia nel suo celebre saggio Linguaggio infantile e afasia. Si tratta di patologie dovute a lesioni cerebrali dove si possono avere due disturbi afasici: o Asse della similarità (selezione): afasici che non riescono a selezionare la parola precisa, ad esempio il segno “penna” non lo riescono a selezionare, quindi utilizzano una parafrasi, come “per scrivere”. o Asse della contiguità (combinazione): noi parlanti selezioniamo degli elementi per combinatli in una catena fonica. Il soggetto afasico è in grado di selezionare il singolo segno, ma non è in grado di combinarlo nella catena fonica. Morfologia La morfologia è un’altra SI, ovvero uno dei modelli di realizzazione che ci permettono di distinguere una sede linguistica: noi abbiamo nella mente questo pattern che ci permette di riconoscere le strutture morfologiche nei testi, ma anche di produrle quando siamo noi a formulare i messaggi. Anche la morfologia è lo strumento che elabora, come il lessico, i vari lessemi come un reparto di produzione. Innanzitutto, il suffissoide deriva dal greco /6gos, la scienza di cui si occupa è il morphé. Non tutte le parti del discorso hanno a che fare con la morfologia, infatti essa interessa le parti variabili del discorso (nome), che entrano nel generatore. 80 Il concetto forma di parola era già presente prima. Vediamo il componente morfologico, con alber-o e cant- o, dove ricorre la base lessematica, ma la desinenza/morfo cambia. Nei reparti variabili del discorso possiamo individuare diverse forme di parole, separando due elementi: la base lessematica e il componente morfologico. Alber-o Vediamo la base lessematica alber che ritroviamo in altri esempi, mentre il morfo -o è una struttura linguistica manifesta dei significati grammaticali, detti morfemi, ovvero genere (maschile) e numero (singolare). Cant-0 Anche qui ritroviamo lo stesso concetto, con il morfo che manifesta vari morfemi, con anche il tempo, modo, numero, genere, ecc. Ora, osserviamo i vari tipi di componenti morfologici che compaiono nella nostra lingua: Cant-0 Cant—av—o0 Nel secondo esempio, la base lessematica è cant-, poi il componente morfologico -avo, al cui interno troviamo due morfi combinati. Ci sono casi in cui il componente morfologico è combinato, caratterizzato da agglutinazione. Ci sono alcune lingue (ugrofinniche, come l’ungherese e il finlandese) che sono lingue agglutinanti, in quanto in prevalgono componenti morfologici che combinano numerosi morfi, sono numerosi e lunghissimi. Approfondiamo i morfemi, ovvero la faccia della SI. Prima di ciò, dobbiamo introdurre il concetto di categorie morfematiche: perché nelle lingue esiste la morfologia? Immaginiamo un albero, che ha delle determinate caratteristiche, ovvero è alto e non basso, poi è naturale e non artificiale, è un sempreverde e non a foglie caduche, non può prendere posizione naturalmente rispetto all’opposizione intelligente-stupido > l’albero presenta delle proprietà in opposizione. Nella lingua, osserviamo le parole, che devono prendere posizione rispetto ad altre proprietà: i sostantivi ci permettono di catturare le entità nel discorso, le denotiamo nella realtà. Prendiamo l’entità studente, che si dà nel mondo al plurale. Analogamente, il verbo, che — indica un’azione, deve prendere posizione rispetto al MORFOLOGIA soggetto che compie l’azione. Il nome deve prendere posizione rispetto alla categoria morfematica (o | paradigma morfematico) che caratterizzano i lessemi (genere, numero, ecc.). Alternative all’interno delle categorie morfematiche sono i morfemi, ovvero i significati manifestati dai morfi (singolare, plurale; maschile, femminile). La morfologia è a] endolinguistica, bisogna osservarla lingua per lingua. | ii | | Casone | Quindi, dopo aver chiarito questi aspetti, la morfologia è obbligatoria (ars obligatoria) ed è un sistema chiuso, perché ciascun paradigma i ; ESS morfematico contiene un numero preciso di morfemi Lana | o (in tedesco, russo e greco ne abbiamo tre, in italiano due). Il nome prende posizione rispetto al genere e al numero se siamo in lingue più flessive, ma anche al paradigma morfematico del caso e lì le alternative sono fisse. L’aggettivo si concorda con un nome, prendendo posizione rispetto al genere e al numero, analogo al sostantivo a cui si riferisce e al paradigma morfematico del grado. Nel caso dei verbi, essi prendono posizione rispetto a sei paradigmi morfematici: il genere (transitivo o intransitivo), la diatesi (attiva o passiva), modo, tempo, numero e persona. Noi possiamo fare una tipologia della lingue che conosciamo a partire dal punto di vista morfologico: 1. Lingue isolanti/analitiche: sono prive o povere di morfologia, come quella cinese o inglese. 81 2. Lingue sintetiche: sono ricche di morfologia, che si dividono in due gruppi a seconda di come organizzano la morfologia o Agglutinanti (ugro- Strategie di Morfo zero see nani festazione finniche), ovvero Mori ‘del inior feci caratterizzate da Categorie e componenti lunghe e merfemi complicate. o Flessive (italiano, N Morfò discontinuo francese, tedesco, russo Nami e latino), cioè rare De cei —_T— _—_ Alomorfia Fissi eliberi | | intrinseci ed Morfemi e [Fosiettei: ] estoinseo semantica Morfolessema agglutinazioni e meno complesse. Proprio perché la morfologia è un sistema chiuso, possiamo prevedere quante forme di parola avrà una certa parte variabile del discorso, stabilendo quante forme di parola presenta il sostantivo in un certo numero di lingue. Dobbiamo tener presente i paradigmi morfematici di ciascuna lingua e quanti sono i morfemi racchiusi, operando una semplice moltiplicazione. ITALIANO: il sostantivo prende posizione rispetto al numero, sono 2 (singolare e plurale), poi rispetto al genere, sempre 2 (maschile e femminile). FRANCESE: il sostantivo in francese prende posizione rispetto al numero, ovvero 2, e al genere, ovvero 2. INGLESE: osserviamo il numero, che prevede 2 alternative, tuttavia abbiamo morfo 0 e s. Per quanto riguarda il genere, l’inglese neutralizza il genere, mettendo davanti l’articolo the. TEDESCO: lingua più flessiva dell’italiano, abbiamo 3 generi (maschile, femminile e neutro), 2 numeri e 4 casi. LATINO: in latino, il sostantivo si presenta con 36 forme di parola: 3 per il genere, 2 per il numero, 6 peri casi. RUSSO: 3 generi, prende posizione rispetto al paradigma morfematico del numero e, rispetto all’italiano, abbiamo 6 casi. Abbiamo visto che l’inglese risulta essere quello più povero, c’è molta discrepanza tra l’italiano e il francese, poi tra il tedesco, il latino e il russo. Che riscontro ci danno? Si tratta di lingue sintetiche, però le lingue flessive possono essere più o meno ricche di flessione (non in tutte le flessive troviamo i casi). Ora, entriamo nel generatore morfologico, che ci guida nell’interpretazione dei dati, quindi elabora i lessemi e li arricchisce con i morfi, ottenendo le forme di parole. Il morfo è la strategia di manifestazione, mentre il morfema è la funzione linguistica. ENDOLINGUISTICITÀ: Nelle lingue romanze, abbiamo l’infinito manifestato dal morfo -are, -er (francese), -ar (spagnolo), mentre in inglese il morfo che interviene per indicare l’infinito troviamo to, in tedesco la strategia di manifestazione è sing-en, mentre in russo abbiamo l’accento dolce pe-t?. Ing.1x2=2 Quasi tutti noi abbiamo l’italiano come L1, per poi avere come L2 un’altra I (CCR lingua. Possiamo individuare una base lessematica rispetto al tipo di 1-10]: 275: ci componente morfologico, come cant-o. I morfemi manifestati sono il Ire Aa Sets genere verbale, diatesi, modo, tempo, numero e persona. Passiamo ora ai vari tipi di morfema: 1. Amalgama morfematico: lui da solo, manifesta, amalgama in contemporanea più morfemi (alber- o: genere maschile e numero singolare). 2. Morfo zero: sono i cosiddetti 0 della Linguistica. In inglese, osserviamo l'opposizione girl0-girls; niceO-nicer-nicest, il singolare è manifestato dal silenzio, che diventa fattore di comunicazione. Allo stesso modo, in latino, nei sostantivi della terza declinazione, abbiamo consul0-consulis, in tedesco abbiamo der Mensch0O; in russo abbiamo rek0 (= fiume). 3. Morfo discontinuo: 82 persone e numeri. Il morfema fisso nel verbo è il morfema del genere, perché un verbo o è transitivo o intransitivo. La transitività e l’intransitività sono morfemi fissi, tutti gli altri sono liberi. Rispetto al genere grammaticale, si dà una polisemia del morfema (una certa struttura ha più significati). Se noi consideriamo bambino, ragazzo, gatto, sono sostantivi maschili, ovvero SI che denotano entità 1) Analizzate dal punto di vist 2) Individuate quattro esempi di morfo morfologico le seguenti forme di | zero nelle diverse lingue a voi note. parola: I ONESTA es e ENTI) ati IBIS E Re RSI Micra O) serie ON Ro EMERSI mangi cantavo 4) Che cosa si intende per suppletivismo? sono andato Definite il fenomeno e date alcuni esem animate, umane e non umane di genere maschile. Ma, prendiamo sostantivi come libro, tavolo, albero, badile, dove sono sostantivi che denotano entità inanimate, per cui il genere è solo grammaticale, non naturale. Analogamente, prendiamo il genere grammaticale del femminile, confrontando il gruppo di sostantivi donna, madre, cavalla con l’altro gruppo casa, scuola, forchetta, dove abbiamo sempre sostantivi femminili + nel primo gruppo il genere grammaticale è presente in queste SI che denotano entità animate umane e non, per cui, in questo caso, il genere grammaticale è anche genere naturale. Nel secondo caso, invece, con entità inanimate il genere grammaticale non potrà indicare genere naturale. 7. 1 morfolessemi sono gli articoli (determinativi e indeterminativi). Anche nel sistema linguistico, c’è qualcosa di simile agli ornitorinchi: nella lingua e al di fuori di essa, dobbiamo prendere in considerazione dei momenti e aspetti che non si situano precisamente all’interno di una certa classe, ma fanno parte di un continuum tra due parti. Gli ornitorinchi sono mammiferi che depongono uova > criteri di decidibilità, dove abbiamo entità che non si collocano né dall’una né dall’altra parte, si collocano all’intersezione di due classi diverse (natura non facit saltus). Il linguista russo Péèskovskij ha ribadito questo concetto. Questi ornitorinchi del sistema linguistico sono gli articoli. o IL: indica determinatezza, genere e numero. o UN: indeterminatezza, genere e numero. Se noi togliamo queste informazioni morfologiche, rimane ben poco, per cui non possiamo dire che appartiene totalmente alla classe dei lessemi. Se noi avessimo albero, potremmo individuare i suoi componenti. Ironicamente, qualcuno dice che sono “meno parole di altre”, ma non è così, perché li possiamo articolare tranquillamente, ma non da soli, devono essere sempre accompagnati dal sostantivo di cui indicano determinatezza o indeterminatezza, al contrario del solo sostantivo. Diamo ora una classificazione per approssimazione: si tratta di definizioni rigorose? Ci viene in aiuto un indovinello fatto da bambini, ovvero “è più preciso un orologio fermo o un orologio sempre indietro di due minuti?” Ovviamente, è più preciso quello indietro di 2 minuti, però quello fermo segna l’ora precisa solo due volte al giorno (12 e 24). Quello indietro, anche se non è preciso, è giusto per la funzione che l’orologio deve svolgere, si avvicina di più alla realtà nel momento in cui mi deve indicare l’orario per approssimazione. Il problema è che in ambito scientifico, in casi di questo tipo, accettiamo una definizione per approssimazione, come quella dell’ornitorinco e del morfolessema 3 ci sono le logiche delle teorie sfumate (set of features). 17/05/2021 85 La negazione e la dinamica dello scope Questo percorso ci fa vedere la potenzialità del negare. La negazione interviene nei testi producendo effetti di senso diversificati che possiamo scoprire andando ad individuare il punto di attivazione dello scope. Il concetto di scope® è comparso nella descrizione della natura dei significati e descrivendo i predicati nei loro tratti costitutivi, vedendo come essi siano descritti a partire da certi argomenti e dal punto di applicazione della zona di attivazione, completando con la caratterizzazione dei predicati che coincide con le loro implicazioni. La negazione è un SI, che appartiene alla classe del lessico avverbio, vedendo come gli avverbi possano produrre effetti di senso diversi a seconda del punto di applicazione del loro scope > sarà proprio la dinamica dello scope a permetterci di spiegare i diversi effetti di senso dove vediamo apparire la negazione. Innanzitutto, non possiamo non sottolineare che l’uomo e solo l’uomo parla, mentre nel mondo animale esistono modalità di comunicazione del tutto diverse. La facultas loquendi, ovvero la competenza comunicativa è caratterizzata anche da questa facultas negandi: quando neghiamo, compiamo diverse funzioni comunicative. La negazione è universale: in Linguistica, si va alla ricerca dei “universali linguistici”, ovvero significati presenti in tutte le lingue, fra cui la negazione. Infatti, fra gli studiosi, soffermiamoci sulla studiosa polacca Anna Wierzbicka che opera da decenni in Australia, la quale è andata alla ricerca dei semantic primitive (semantici primitivi concettuali), cercando di individuare dei “cromosomi” del pensiero, ovvero elementi del significato lessicalizzati nelle diverse lingue attualmente parlate (come strutture linguistiche). Questi concetti semantici sono primitivi, nel senso che stanno all’origine di tutte le lingue, per cui, in questa ricerca, Anna e i suoi collaboratori hanno inizialmente individuato un gruppo (core) di primitivi semantici, che ipotizzandone altri e verificando la loro effettiva presenza in lingue notevolmente diversificate tra loro dal punto di visto tipologico. C’è un filone della Linguistica, chiamato filone tipologico, che si occupa di descrivere le tipologie delle varie lingue: possono essere molto diversificate e, in questa verifica della presenza di questi primitivi concettuali, hanno ristretto la proposta iniziale di semantic primitive, ma la negazione è stato un elemento sempre presente in ogni fase della ricerca, per cui è stato ipotizzato come uno dei primitivi semantici concettuali e le verifiche ne hanno sempre confermato la presenza nelle lingue che venivano via via verificate > la negazione è un universale linguistico il meno controverso possibile, cioè la sua universalità è stata sempre confermata dai lavori di verifica della negazione. Esistono diverse strategie di manifestazione della negazione, perché in italiano e in inglese abbiamo no e not: no è stato collocato da Anna in questo nucleo di semantic primitive fin dal principio delle loro indagini. Però, è interessante fare una precisazione che ci fa capire quale sia una delle funzioni principali della negazione e come sia già presente nell’attività linguistica dell’età infantile: inizialmente, Wierzbicka e i suoi collaboratori collocarono fra i primitivi semantici concettuali no, ovvero la strategia di espressione tipica del rifiuto (dal latino nolo). A partire da queste verifiche, era emersa la presenza di questo no, individuando anche nelle interazioni fra bimbi nel linguaggio infantile, raccontando di questo gioco in cui uno chiede all’altro che gli venga dato un camioncino, ma l’altro bimbo gli dà un’automobile; l’altro risponde con no truck, per cui Wierzbicka pensò che il bambino volesse rifiutare, ma in realtà il bambino intendeva comunicare che gli aveva dato una macchinina al posto del camioncino, volendo quindi far intendere che this is not a truck. Usava il no al posto del not, che è la strategia linguistica che noi utilizziamo per indicare la funzione logica della negazione “è falso che ...”. Evidentemente, qui emerge questo fattore: il bambino ha imparato la forma più semplice per esprimere un qualcosa di falso, non hanno ancora imparato il not, che compare in una forma successiva. Anche quando si studiano le interlingue, dove il not e il non compaiono dopo: le interlingue compaiono nei corsi di Sociolinguistica, s'intendono le diverse fasi di apprendimento di una L; da parte di un parlante + ad esempio, se un immigrato o ciascuno di noi sta imparando una L, la acquisisce attraverso diverse fasi di apprendimento, ciascuna delle quali si vede intervenire un’interferenza a partire dalla L, cioè fortemente influenzato dalla lingua madre. Man mano che si avanza, l’interferenza si riduce. Le interlingue vengono studiate nelle loro tre fasi: 1. Pre-basica: quella iniziale 2. Basica 3. Post-basica Quando si studiano le interlingue, si nota che la negazione non compare MAI nella fase pre-basica, ma nelle fasi successivi. Pertanto, Wierzbicka modificò la struttura negativa inserita in questi core semantici, proponendo di inserire la negazione come not, intesa come negazione che capovolge il valore di verità di ® Vedi pagina 47 86 un giudizio, in quanto lei pensava che non fosse presente questo tipo di negazione nel linguaggio infantile, mentre, accorgendosi che anche i bambini utilizzano la negazione come non, anche se lo sostituiscono, con tutto il loro spettro di significati e funzioni comunicative (rifiuto e negazione con funzione logica). La facultas loquendi degli esseri umani prevede anche la facultas negandi (competenza che permette al parlante di negare). In ambito di comunicazione animale, non sono da escludere manifestazioni della negazione nella comunicazione animale, però si tratta di negazioni intese come rifiuto, perché l’animale ha delle forme di negazione per esprimere rifiuto (con la zampa allontana la ciotola), caratterizzate da una componente ludica, tuttavia attenzione perché, anche nel mondo animale, esistono forme di comunicazione che vanno totalmente distinte dal linguaggio umano, in quanto solo l’uomo parla, gli animali no, ma hanno forme di comunicazione che vengono studiate nella Zoosemiotica, disciplina che nasce dall’intersezione degli bi della Semiotica con l’Etologia (scienza che si occupa dello studio Scope degli avverbi del comportamento degli animali). È importante mettere in evidenza la differenza tra la comunicazione animale e il linguaggio umano, e In e pe one descritta e approfondita da un grande studioso russo di semiotica di x, domuni parte per Roma 1 7 . DIC * Maria forse domani .. fama internazionale, Boris Uspenskij, il quale ha segnalato la IL differenza tra linguaggio umano e animale: gli esseri umani * Maria domani parte forse per Roma Di i alrali A coi SA utilizzano segni, gli animali segnali (differenza dal punto di vista dello strumento espressivo utilizzato). I segni linguistici vengono appresi, non sono innati, al contrario dei segnali (se stacchiamo un usignolo dal suo nido, canta perché è un segnale innato; se stacchiamo dei bambini dai loro genitori, non parlando, ricordando la cronaca perversa di Federico II, riportato da Salimbene da Parma”; esperimento dell’enfant sauvage, ovvero quel bambino trovato nei boschi del sud della Francia e cresciuto con i lupi, il quale non sapeva parlare e, oltre a ciò, aveva una lesione profonda a livello della psiche, non riusciva a fermare lo sguardo sugli oggetti della realtà, per cui non dava nomi alle cose e mancava il rapporto con la realtà). Noi usiamo segni — non segnali — per rappresentare la realtà e costruire rappresentazioni di frammenti di mondo. L’animale ha a disposizione segnali, che operano secondo il principio stimolo-risposta, per cui un segnale funge da stimolo che suscita una risposta, ma nella comunicazione animale non è possibile costruire rappresentazioni di mondo con i segnali. La possibilità di costruire questi frammenti di mondo ha un’implicazione rilevante: grazie al fatto che costruiamo una rappresentazione della realtà, possiamo distanziarci dalla realtà per riconoscerci come entità che fa parte di una realtà, come “io” immerso nella realtà che è “altro” da noi, quindi poterla rappresentare permette al parlante di essere “altro” rispetto alla realtà, questa percezione fra l’io e la realtà. L'essere umano è anche consapevole della realtà come qualcosa di esterno da sé nei confronti del quale si rapporta, mentre l’animale non ha questa possibilità di rappresentare la realtà, perché le sue forme di comunicazione sono povere, essendo segnali > l’animale è “incastrato” nella realtà e non può di distanziarsi/differenziarsi da essa, divenendo quindi consapevole della sua alterità rispetto al resto del reale. Inoltre, Uspenkij segnala una grande differenza tra umani e animali per quanto riguarda la comunicazione di secondo grado: ad esempio, noi soggetti conoscitivi sappiamo che ci sono i pinguini al Polo Sud, nel nostro common ground abbiamo questa conoscenza. Noi, soggetto conoscitivo A, sappiamo di un oggetto C quello che un soggetto B ci ha detto (giornalisti, scienziati, reportage, articoli, libri, ecc.). Grazie agli altri, possiamo sapere queste cose > conoscenza di secondo grado, cioè quando interviene un intermediario C. Tutto questo non esiste nel mondo animale, infatti Uspenkij fa un esempio: un’ape ha scoperto un campo di fiori, in una certa collocazione geografica rispetto all’alveare. Per comunicarne l’esistenza, non può tornare all’alveare e comunicarlo come avviene nel linguaggio umano, comunicandolo semplicemente all’ape regina. Quindi, l’ape comunica le coordinate geografiche attraverso movimenti che sembrano una danza. L’ape regina le intercetta, parte e raggiunge questo luogo, dove troverà il campo. Vediamo quante differenze tra il linguaggio umano e quello animale. Quando neghiamo, facciamo molte cose: generalmente, si pensa che la negazione abbia una sola funzione comunicativa, ma non è sempre la stessa. A seconda della zona di attivazione dello scope, cambia la funzione comunicativa della negazione e, da qui, cambiano gli effetti di senso che possiamo ottenere. Innanzitutto, inquadriamo lo scope: la negazione è un avverbio, allora riprendiamo un avverbio diverso dalla negazione, cioè “forse” e osserviamo la dinamica dello scope. Prendiamo questo avverbio, spostandolo in questi diversi testi contestualizzandolo diversamente. ? Vedi pagina 21 87 ® sul grado dell’aggettivo, nel senso che seleziona con il suo scope il grado positivo dell’aggettivo caldo/grande, dicendoci intensificazione e attività. Lo scope della negazione è molto pervasivo e invasiva, cioè entra a selezionare il grado che non viene esplicitato. Se noi ci fermassimo a “caldo”, il ° Mor hai comprato una polìzza ma una grado sarebbe esplicitato dal morfo zero, ma qui polizza vogliamo selezionare il grado positivo dell’aggettivo, per precisare che si tratta di un * Non hai mangiato i gnocchi ma gli grado intensificato (bollente/immensa). si 5 s. gnocchi SCOPE DELLA NEGAZIONE E DIREZIONE DI LETTURA DEL CONVERSIVO Questo esempio è quasi comico. “Marito” e “moglie” sono due predicati conversivi, che spiegano una situazione matrimoniale: essa può essere letta da marito verso moglie o da moglie verso marito. In questo caso, la negazione non non seleziona né il verbo né Maria, ma lo scope individua la direzione di lettura > in questa situazione matrimoniale che vede il marito Pietro e la moglie Maria, la si deve leggere non da Maria verso Pietro, ma da Pietro verso Maria. Vediamo come entra tra le pieghe del messaggio. SCOPE DELLA NEGAZIONE E IMPLICAZIONE La negazione seleziona un’ implicazione. Se analizziamo il contenuto di “piovere” sul dizionario, vediamo che è descritto come un evento meteorologico, in termici fisici in base alla differenza di temperatura tra la crosta terrestre e l'atmosfera, ma, analizzando il significato del verbo “piovere”, non troviamo “far freddo”, che invece è una possibile concomitanza. Esso non è un elemento costitutivo di “piovere”, è una sua implicazione, ovvero il significato che scatta da * Non è Maria che è moglie di - > quella parola. Nel secondo esempio troviamo un Pietro ma è Pietro che è cane come soggetto e nel significato di “abbaiare” marito di Maria non sarà contemplato il significato di “mordere”, è una possibile concomitanza, quindi un’implicazione. La terza frase è insensata, perché “dormire” non è un’implicazione possibile di “abbaiare”, quindi il testo non funzionerebbe. Nell’ultimo caso, si va al cinema per divertirsi, non siamo masochisti: il “divertirsi” è un’implicazione/possibile concomitanza, non il contenuto dell’andare al cinema. Luigi si è spostato dal punto di partenza A al punto di arrivo B, che è il cinema, con “divertirsi” come possibile conseguenza, un significato che scatta a seguito dell’andare ; > al cinema. Piove ma non fa freddo *Abbaia ma non morde **Abbaia ma non dorme *Luigi è andato al cinema ma non si è divertito SCOPE DELLA NEGAZIONE ED ERRATA REALIZZAZIONE FONETICA O MORFOLOGICA Spesso ci sono alcune persone che realizzano/pronunciano male certi termini. Quando sentiamo frasi di questo tipo, la negazione ha un effetto ulteriore, che si spiega andando ad individuare il punto selezionato dallo scope: qui, la negazione non nega “comprare” o la “polizza”, ma seleziona la realizzazione fonetica errata, ovvero “polìzza”, andando a correggerla. Nell'esempio successivo, ci troviamo di fronte a chi non sa gestire bene l’articolo determinativo, per cui la negazione, con il suo scope, non seleziona né “gnocchi” né “mangiare”, ma va a selezionare la realizzazione morfologica e la corregge. Osserviamo fin dove si insinua la negazione nei nostri messaggi. SCOPE DELLA NEGAZIONE E IMPLICATURA CONVERSAZIONALE (solamente) 90 Chi dice la prima frase, nega tre? Oppure si nega dieci volte? No, si nega qualcosa di diverso, ovvero ci dice che “non ha solo tre figli, ma di più”. Analogamente, nei rimproveri, quando si dice “te l’ho ripetuto non dieci, ma mille volte”, chi sta rimproverando non nega di aver ripetuto dieci volte, ma dice di aver ripetuto non solo. Se il parlante avesse detto “Luigi non ha tre figli”, l’interpretazione normale sarebbe che la negazione seleziona con lo scope “tre” e l’interpretazione è less than. Se, invece, nel testo compare “non ha tre, ma di più”, scatta un’implicatura conversazionale, ovvero il significato che scatta dalla conversazione/contestualizzazione, non negando l’elemento numerico ma dicendo di più. ® SCOPE DELLA NEGAZIONE E MORFEMA La negazione non seleziona con il suo scope * Non ha tre figli ma di più “bruciare” invece che è falso che la casa sia bruciata, così come Luigi non sia direttore. La negazione * Te l'ho ripetuto non dieci ma mille interviene sul morfema del verbo, intervenendo sul alte tempo verbale per dire “sta bruciando”, “è direttore adesso”, “sarà domani a casa” (l’ultimo esempio significa “Olga non era a casa, ma sarà a casa”). iii 8 8 ) Dopo questa carrellata di esempi, abbiamo visto quanto la negazione sia un potente strumento comunicativo che ci permette di compiere e svolgere diverse funzioni comunicative. Normalmente, in ambito soprattutto logico, la negazione è stata ridotta alla negazione che capovolge il verità, che dice “è falso che” > certamente, questa è la funzione canonica, ma in ambito linguistico la negazione non ha sempre questa funzione, perché ne ha altre, selezionando con il suo scope * La casu non è bruciata, stu bruciando —momenti diversi del messaggio, che non è detto siano tutti esplicitati in superficie, ma proprio perché essa si insinua nelle pieghe dei nostri messaggi, andando a selezionare i momenti semantici, logici, lessicali e morfologici. * Luigi non era direttore, è direttore * Olja ne byla doma, a budet 21/05/2021 Le parti del discorso e il loro potere comunicativo: le classi del lessico Il termine parti del discorso ci accompagna fin dall’antichità con i grammatici latini e greci, chiamandole partes orationes (lat.); in inglese abbiamo il verbo to parse, la cui etimologia si riallaccia al sostantivo latino (il lessico inglese per il 70% ha una matrice latina) e significa “analizzare”, “fare l’analisi grammaticale di un enunciato”, ripreso poi in ambito informatico per indicare “l’analisi dei dati informatici” svolta da un software (si parla anche di parse, ovvero software che permettono di analizzare sintatticamente gli enunciati nell’ambito dei processi di elaborazione informatica del linguaggio naturale). Le parti del discorso sono anche chiamate classi del lessico, ovvero classi in cui si articola il lessico. Ora vediamo come si vanno ad elencare le parti del discorso nella lingua italiana, osservando anche i nessi che si instaurano tra loro: ® Verbo: la posizione centrale spetta al verbo, svolge un ruolo fondamentale nella costruzione dell’enunciato. Viene caratterizzato come vertice sintattico, nel senso che, una volta riconosciuto il verbo nell’enunciato, si riescono ad individuare i nessi di dipendenza tra il verbo e i vari complementi presenti nella frase, in quanto emergono i ruoli sintattici degli altri elementi presenti nell’enunciato. Il verbo è strettamente collegato al nome, all’articolo e all’aggettivo, presenti sulla sinistra, poi prenderemo in considerazione la preposizione, l’avverbio, la congiunzione e l’interiezione. Abbiamo collocato articolo, nome, aggettivo e pronome a sinistra del verbo. Dal punto di vista sintattico sono predisposti a costituire il sintagma nominale: 91 Un ragazzo intelligente Abbiamo un sintagma nominale costituito da SOSTANTIVO (testa!! del SN) + UN (determinante) + AGGETTIVO (espansione del sostantivo). Questo SN potrebbe fungere da soggetto in una frase, del tipo “Un ragazzo intelligente analizza un testo latino”. Dal punto di vista semantico, queste parti del discorso sono predisposte a formare gli argomenti del verbo- predicato: Un ragazzo ha incontrato un amico Qui abbiamo questa struttura con SN (un ragazzo), che, dal punto di vista sintattico, svolge la funzione di soggetto, poi abbiamo un altro SN (un amico), che però svolge la funzione di complemento oggetto. Ora, dobbiamo andare oltre l’analisi a livello sintattico, dato che possiamo analizzare questi costituenti dal punto di vista semantico: osserviamo ha incontrato, vediamo che è un predicato biargomentale/diadico, pertanto questi due SN corrispondono a primo e secondo argomento di tale struttura predicativa-argomentale dal valore logico-semantico. Analizziamo ora gli elementi a destra del verbo: o Preposizione: segnala perlopiù i SN che fungono da complementi indiretti del verbo. Egli dà un libro a Maria. Abbiamo una preposizione a che segnala un SN Maria, ma con quale funzione? La preposizione introduce un complemento indiretto del verbo, in questo caso complemento di termine dal punto di vista sintattico. Invece, dal punto di vista semantico, dare è un predicato logico-semantico e apre a tre argomenti (triadico) + qui, a Maria realizza il terzo argomento del predicato. o Avverbio: si colloca vicino al verbo, relazionandosi ad esso come l’aggettivo. Sta al verbo come l’aggettivo sta al nome, ovvero l’avverbio è un determinante del verbo, come, analogamente, gli aggettivi sono dei determinanti del nome. Semanticamente, l’avverbio è il predicato di un predicato: Luigi corre velocemente. L’avverbio si riferisce e modifica corre. Analizzando l’avverbio dal punto di vista semantico, riandiamo alla gerarchia predicativa argomentale delle parole, in particolare dicendo che l’avverbio si comporta, nei confronti di un predicato, come un predicato. Correre apre una posizione argomentale monoadica, dal nodo facciamo uscire la freccia direzione che va all'argomento. Velocemente è anch’esso un predicato che aggancia come argomento il correre da parte di Luigi > si viene a creare la gerarchia dei predicati. o Congiunzione: serve a costruire sintagmi complessi. Luigi e Mario sollevano questo tavolo. o Interiezione: è una classe del lessico piuttosto ristretta, elementi che si collocano al confine della semiosi verbale e della espressività, come ahimé!, oh, wow!, che ci permettono di esprimere in modo particolare gli stati d'animo e le emozioni. velocemente Viste le classi del discorso, vediamone una in particolare, ovvero il nome. Molte volte, il nome | viene chiamato sostantivo, proprio perché viene dalla grammatica classica, dove questa ea classe del lessico veniva chiamata nomen substantivum (il nome di una realtà, cioè la substantia) per distinguerlo dall’aggettivo, chiamato nomen adiectivum (dal latino “aggiungere”, che significa “il nome che si aggiunge” a qualcosa). Possiamo dare al nome una triplice caratterizzazione: 1. Mortologico 1! Testa ed espansione sono termini introdotti dalla corrente linguistica chiamata generativismo, fondata dal linguista americano Chomsky. 92