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"Manuale di diritto amministrativo", Clarich (4^ edizione 2020)., Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

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Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

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Scarica "Manuale di diritto amministrativo", Clarich (4^ edizione 2020). e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! "manuale di diritto amministrativo" clarich quarta edizione 2020 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE Il diritto amministrativo è quella branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della P.A. Esso riguarda i rapporti che quest’ultima instaura con i soggetti privati per la cura di interessi della collettività. L’ evoluzione della P.A. in Italia In epoca cavouriana, fu adottato il modello dell’amministrazione per ministeri, con la concentrazione di poche funzioni pubbliche in capo a un nucleo ristretto di apparati organizzati in base al principio gerarchico e rappresentati al vertice da un ministro politicamente responsabile dell’attività complessiva nei confronti del Parlamento. Sul finire del XIX secolo il governo Crispi varò un primo programma riformatore che portò alla costituzione delle c.d. Opere Pie - che da enti e strutture private sorte spontaneamente dalla società civile o per impulso delle organizzazioni religiose operanti nel campo dell’assistenza sanitarie e sociale, - furono riorganizzate e trasformate in enti pubblici sottoposti a controlli da parte del Ministero dell’Interno. All’inizio del XX secolo, all’epoca giolittiana, furono potenziate le strutture ministeriali e istituite le prime aziende ed enti pubblici nazionale (per es. INPS). A livello locale molti comuni costituirono aziende per la gestione di numerose attività (trasporti, illuminazione, farmacia). La Grande Crisi determinò l’estensione della mano pubblica in numerosi settori economici. La Costituzione nel 1948, che rifondò su basi democratiche e secondo il principio dello Stato di diritto l'ordinamento italiano, incorporò una matrice interventista nei rapporti tra Stato, società ed economia (funzione sociale della proprietà, limiti all’iniziativa economica, provvidenze sociali). Nel secondo dopoguerra, sul versante dei rapporti tra Stato ed economia, le imprese di proprietà pubbliche vennero riordinate nel sistema delle partecipazioni statali. Esso assunse una connotazione stabile attraverso l’istituzione di enti pubblici nazionali con funzioni di holding finanziaria di controllo diretto o indiretto delle imprese pubbliche (IRI, ENI, EFIM). Nel 1962 venne nazionalizzato il settore dell’energia elettrica e istituito ’ ENEL. Nel 1978 venne istituito il Servizio sanitario nazionale. Negli anni settanta, con l’attuazione del disegno costituzionale del regionalismo, vennero istituiti nuovi apparati a livello regionale. A partire dagli anni Novanta, lo Stato imprenditore entrò in crisi dati i suoi costi sempre meno sostenibili. Vennero così avviati processi di liberalizzazione, imposti da direttive europee, e di privatizzazione di imprese ritenute non strategiche (Società Autostrade, Telecom). I processi di liberalizzazione portarono all’istituzione di autorità di regolazione (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Autorità garante delle concorrenza e del mercato), indipendenti dal potere esecutivo e dotate di poteri di regolazione, di vigilanza e sanzionatori assai estesi. Gli anni Novanta favorirono processi di decentramento e valorizzazione delle autonomie territoriali. Difatti, la L.Cost. 3/2001 ridisegnò l’assetto delle competenze legislative tra Stato e Regioni e le funzioni amministrative dei vari livelli di governo in base al principio della sussidiarietà verticale. Quest’ultima privilegia bell’allocazione delle funzioni, per quanto possibile, le unità organizzative più vicine ai cittadini destinatari delle attività e dei servizi. I caratteri generali del diritto amministrativo Il primo carattere distinto è il fatto che il diritto amministrativo è un diritto avente natura giurisprudenziale. Difatti, come ha chiarito lo stesso Consiglio di Stato, il diritto amministrativo non è composto soltanto da norme, ma anche da principi che dottrina e giurisprudenza hanno elevato a dignità di sistema (Cons. St. Ad. Plen.28 gennaio 1961 n.3). Per dirimere i contrasti giurisprudenziali, interviene l’adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con funzione nomofilattico. CAPITOLO 2 LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO Il parlamento è sempre meno in grado di elaborare testi legislativi completi e di operare tempestivamente gli aggiornamenti necessari. Così la legge si limita a porre i principi fondamentali della disciplina di una determinata materia e delega agli apparati amministrativi il compito di stabilire in via sublegislativa (regolamenti, linee guida, circolari), le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i comportamenti dei privati. Emerge così una distinzione tra «fonti sull’amministrazione» e «fonti dell’amministrazione». Le prime hanno come destinatarie le P.A., sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Esse disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri di queste ultime e fungono da parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti da essi emanati. Le secondo, invece, sono strumenti a disposizioni delle P.A. sia per regolare provvedimenti dei privati, sia per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. La Costituzione È la fonte giuridica di rango più elevato. Costituisce il parametro di legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge. La revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali richiede un procedimento aggravato con l’approvazione da parte del parlamento con maggioranze qualificate (art. 138 Cost.). La costituzione non definisce soltanto i diritti di libertà dei cittadini e delinea l’assetto generale dello Stato- ordinamento (Stato, regioni, autonomie locali, Corte Costituzionale, magistratura). Essa individua anche un’ampia serie di compiti dei quali lo Stato, e per esso la P.A., deve farsi carico nell’interesse della collettività (salute, istruzione pubblica, assistenza e previdenza sociale). La Costituzione non tratta, invece, in modo diffuso l’assetto della P.A., ma enuncia i principi essenziali in tema di organizzazione (imparzialità e buon andamento, nonché equilibrio di bilancio enunciati dall’art. 97 Cost.), di raccordi tra politica e amministrazione (art. 95 che pone il principio della strumentalità dell’amministrazione rispetto alla politica generale dell’attività amministrativa), di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 113, 125 Cost.). Sul versante organizzativo, la Costituzione pone l’accento sul principio autonomistico (art. 5), poi sviluppato nell’articolazione ascendente dei livelli di governo, a partire dai comuni fino allo Stato (art. 114) ed enuncia il principio di sussidiarietà (art. 118); sul versante finanziario, pone il principio del pareggio di bilancio (art. 81, ora rafforzato con la Lcost. n.1/2012) che impegna tutti i livelli di governo ad osservare vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. La costituzione contiene una disciplina compiuta delle fonti del diritto soprattutto di rango primario. La Riforma del Titolo V della costituzione ad opera della l.cost. n. 3/2001 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei seguenti principi: la equiordinazione tra competenze legislative statali e regionali, che devono essere esercitate nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Le fonti dell’Unione europea In base all’art. 117, comma 1 Cost. le fonti dell’UE si pongono ad un livello gerarchicamente superiore rispetto alle fonti primarie. Vige anzi il principio secondo cui le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate. Questo principio vale sia per i giudici nazionali, nell’ambito di una controversia, a cui spetta il compito di individuare la norma applicabile al caso concreto (principio jura novit curia) che per le P.A. quando esercitano un potere amministrativo per l'emanazione di un provvedimento. Per la P.A., il vincolo derivante dal diritto europeo è ancora più stringente di quello discendete dalla Costituzione. Essa infatti non può disapplicare le leggi contrarie alla Costituzione, né ha il potere attribuito ai giudici di sollevare in via incidentale la questione alla Corte Costituzionale. Il primato del diritto europeo si spinge invece fino al punto di vietare alle P.A. di dare esecuzione ad un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato, allorchè esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo dalla Corte di Giustizia. Le fonti europee sono costituite dai Trattati istitutivi delle Comunità (Trattato di Lisbona del 2009 di cui fanno parte il Trattato dell’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). In aggiunta ai Trattati vanno menzionate la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), richiamate espressamente dall’art. 6 TUE. I regolamenti, disciplinati dagli artt. 288 ss. TFUE, hanno portata generale e sono direttamente vincolanti per gli stati membri e per i loro cittadini. Non richiedono alcuna forma di recepimento da parte degli stati membri e non possono essere derogati da questi ultimi. I regolamenti europei devono essere motivati e costituiscono un parametro diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi. Le direttive emanate dal Consiglio e dalla Commissione hanno per destinatari gli stati e sono vincolanti per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Esse non sono dunque, di regola, direttamente applicabili. Impongono agli Stati membri soltanto un obbligo di risultato e non incidono sull’autonomia degli Stati nell’individuazione delle modalità concrete e del tipo di atti che devono essere adottati per raggiungere gli obiettivi. Le decisioni hanno un contenuto puntuale. Esse applicano a fattispecie concrete norme generali e astratte previste da fonti europee. Sono vincolanti per gli Stati membri, ma non hanno un’efficacia diretta. Il recepimento delle norme europee (ma anche delle sentenze della Corte di Giustizia) è disciplinato dal nostro ordinamento dalla L.n. 11/2005 e dalla L.n. 234/2012. Lo strumento specifico è costituito da due leggi annuali di iniziativa govemativa: la legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali vigenti contrastanti con il diritto europeo; la legge di delegazione europea, che attribuisce deleghe legislative al governo per il recepimento delle direttive europee. Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità La Costituzione pone una disciplina delle fonti statali di rango primario e cioè in estrema sintesi: la legge approvata dalle due Camere del Parlamento e promulgata dal PDR (artt. 71-74 Cost); il decreto legge, che può essere adottato dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza e che deve essere convertito in legge dalle Camere entro 60 gioni (art. 77 Cost); il decreto legislativo emanato dal Governo sulla base di una legge di delegazione che definisce l’oggetto e determina i principi e i criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata (art. 76 Cost.). In seguito alle modifiche introdotte dalla L.cost. n.3/2001 la potestà legislativa statale non è più generale, ma può essere esercitata solo nelle materie tassativamente indicate nell’art. 117 Cost., commi 2 e 3 (potestà legislativa esclusiva o concorrente). La riserva di legge Numerose disposizioni costituzionali prevedono che determinate materie debbano essere disciplinate con legge (o atti avente forza di legge) escludendo o limitando il ricorso a fonti secondarie e in particolare a regolamenti governativi. Le riserve di legge sono di tre tipi: assoluta, rinforzata e relativa. La riserva di legge assoluta, come per esempio quella in materia penale (art. 25, 2 comma Cost.), richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia ed esclude l’intervento di fonti sublegislative. Essa ammette solo i regolamenti di stretta esecuzione, cioè di mero svolgimento di precetti legislativi. La riserva di legge rinforzata aggiunge al carattere dell’assolutezza il fatto che la Costituzione pone direttamente taluni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario. Essa è prevista soprattutto in relazione ai diritti di libertà. La riserva di legge relativa, come per esempio quella in materia tributaria, richiede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l'emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la disciplina della materia. La qualificazione di una riserva di legge come assoluta o relativa dipende dai singoli casi da un’interpretazione letterale e sistematica delle disposizioni costituzionali che pongono la riserva. Per esempio, la formula “nei soli casi previsti dalla legge” sta ad indicare una riserva di legge assoluta; quelle più generiche “in base alla legge” o “secondo disposizioni di legge” connotano invece riserve di legge relative. Principio di legalità E’ uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo. Esso è richiamato dall’art. 1 Lin. 241/1990, secondo il quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. Il principio di legalità lo si ricava indirettamente dalla Costituzione (per es. nell’art. 113) ma riceve ‘un riconoscimento implicito anche nei Trattati europei (art. 19 TUE e art. 26 TFUE). Il principio di legalità assurge alla funzione di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità — garanzia). Il principio di legalità richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Essa deve attribuire in maniera espressa alla P.A. la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti. In assenza di una norma di conferimento del potere, l’amministrazione può far uso soltanto, della propria capacità di diritto privato. Il potere esercitato in assenza di una norma di conferimento comporta la nullità dell’atto emanato (per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies Ln. 241/1990). I regolamenti comunali approvati dal consiglio comunale, costituiscono una fonte di utilizzo assai frequente. Intervengono in materie importanti come l’urbanistica, l’edilizia, il traffico, il commercio, le pubbliche affissioni ecc. Gli atti amministrativi generali Di regola i provvedimenti amministrativi hanno un contenuto concreto e si rivolgono a uno o più destinatari determinati. Tuttavia di frequente la P.A. ha il potere di emanare atti amministrativi aventi contenuto generale che sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici. Essi sono propedeutici all’emanazione di provvedimenti puntuali. Si rivolgono in maniera indifferenziata a categorie più o meno ampie di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili sulla base di esso. Talora sono suscettibili di essere applicati a una ripetuta serie di casi e dunque hanno anche il carattere dell’astrattezza. La tipologia degli atti amministrativi generali è variegata. Tendenzialmente vengono fatti rientrare usualmente i piani, i programmi, le direttive, gli atti di indirizzo, le linee guida, le autorizzazioni generali, i bandi militari. Alcuni di questi atti esprimono scelte attuative dell’indirizzo politico- amministrativo e per questo motivo sono emanati dagli organi amministrativi ancorati in modo più diretto al circuito rappresentativo. A livello statale la competenza è attribuita al governo o ai ministri. A livello locale, 1 consigli comunali e provinciali approvano, tra gli altri, i programmi, i piani territoriali e urbanistici ecc. Gli atti amministrativi generali sono soggetti a un regime giuridico che deroga in parte a quello proprio dei provvedimenti amministrativi e che ricalca quelli degli atti normativi. Come i regolamenti non richiedono una motivazione; il procedimento per la loro adozione non prevede la partecipazione dei soggetti privati; l’attività dell’amministrazione diretta alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso. Di seguito verranno analizzati, in via esemplificativa, alcuni tipi di atti amministrativi generali. a) I bandi di concorso e gli avvisi di gara Tra gli atti amministrativi generali privi del carattere dell’astrattezza, dei quali è dunque certa la natura non normativa, rientrano i bandi di concorso per l’assunzione di dipendenti nelle P.A., oppure gli avvisi di gara per la scelta del contraente nei contratti stipulati dalle PA. b) Gliatti di pianificazione e di programmazione In molte materie, a monte dell'emanazione di provvedimenti puntuali o dell’erogazione di servizi, la legge prevede un’attività di pianificazione o programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti, contingenti e altri criteri che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi e all’attività degli uffici pubblici. Cosi, per semplificare, il rilascio di permessi di costruzione avviene nel rispetto dei piani regolatori comunali. L’attività di pianificazione e di programmazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo (Stato, regioni, comuni) secondo il metodo della cd. pianificazione a cascata. Così per esempio in materia di trasporti pubblici locali lo Stato predispone il piano generale dei trasporti, mentre le regioni emanano i piani regionali di trasporto e gli indirizzi peri piani di bacino provinciali. Il modello della pianificazione a cascata si è rilevato spesso oneroso in termini di adempimenti e di difficile attuazione data anche la difficoltà operativa di raccogliere e razionalizzare tutte le informazioni rilevanti necessarie per la formulazione dei contenuti del piano. Pertanto, in occasione del trasferimento di numerose funzioni dallo Stato alle regioni 9) in attuazione del modello del federalismo amministrativo, vari strumenti di pianificazione sono stati soppressi. Merita approfondimento il piano regolatore generale + è disciplinato oggi, dalle leggi regionali. Il piano regolatore suddivide il territorio comunale in zone omogenee (c.d. zonizzazione) con l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili (attività edificatoria ai fini abitativi, industriale, agricola). Il piano individua poi le aree destinate ad edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (c.d. localizzazione). Il piano regolatore è corredato dalle c.d.norme tecniche di attuazione che specificano, in particolare, le distanze, le altezze e le destinazioni d’uso degli edifici. Il piano regolatore generale è approvato all’esito di un procedimento aperto alla partecipazione dei privati. Il piano adottato è soggetto all’approvazione da parte della regione. Le proposte di modifica sono comunicate al comune il quale con delibera del consiglio comunale può approvare controdeduzioni delle quali la regione tiene conto in sede di approvazione definitiva. È controversa la natura giuridica del piano regolatore. Si discute cioè se abbia natura essenzialmente normativa (regolamentare), tale da condizionare soltanto l’adozione dei piani attuativi, oppure di atto amministrativo generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati. Prevale in giurisprudenza la tesi intermedia della natura mista dei piani regolatori che, da un lato dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all’utilizzazione dell’intero territorio comunale, e dall’altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione del comprensorio urbano. Le ordinanze contingibili e urgenti A livello subcostituzionale, numerose disposizioni di legge attribuiscono ad autorità amministrative il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti (nei settori di ordine pubblico, sanità, ambiente, protezione civile). Per esempio vi è il potere del prefetto nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica; oppure il sindaco, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli urbani che minacciano l’incolumità e la sicurezza urbana. Pur rispettose del principio della legalità formale, esse lasciano indeterminato il contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. L’autorità competente è dunque titolare di un’ampia discrezionalità. Le ordinanze in questione operano una deroga al principio della tipicità degli atti amministrativi, in base al quale la norma attributiva del potere deve definire in modo sufficientemente preciso presupposti e contenuti. È ovvio che le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione. Inoltre devono avere un’efficacia limitata nel tempo e devono essere adeguatamente motivate e pubblicizzate. Un limite interno è costituito dal principio di proporzionalità, e pertanto il contenuto delle ordinanze deve essere calibrato in funzione dell’emergenza specifica che deve essere in concreto fronteggiata. Da qui il carattere tendenzialmente provvisorio delle misure. Trattandosi di uno strumento exzra ordinem, il potere di ordinanza ha carattere residuale, nel senso che non può essere esercitato in luogo di poteri tipici previsti dalle norme vigenti già idonei a far fronte a quel tipo di situazione. Quanto alla qualificazione giuridica, essa hanno di regola natura non normativa in quanto si riferiscono ad accadimenti specifici. Tuttavia ove la situazione di emergenza dovesse protrarsi, le ordinanze acquistano inevitabilmente anche un carattere di astrattezza e perdono quello della temporaneità. Specie nel caso delle ordinanze emanate dai sindaci in materia di sicurezza e decoro urbano (per es. contenenti misure contro il commercio ambulante abusivo). d) Le direttive e gli atti di indirizzo Le direttive amministrative sono espressione della funzione politico- amministrativa. Caratteristica è il loro contenuto, che non è costituito da prescrizioni puntuali e vincolanti in modo assoluto, ma è limitato all’indicazione dei fini e obiettivi da raggiungere, criteri di massima, mezzi per raggiungere i fini. Esse dunque attribuiscono ai loro destinatari spazi di valutazione e di decisione più o meno estesi in modo tale da poter tener conto in sede applicative di tutte le circostanze del caso concreto. Si distinguono generalmente le direttive che si inseriscono in rapporti interorganici e le direttive che attengono a rapporti intersoggettivi. Nel contesto dei rapporti interorganici le direttive sono uno strumento attraverso il quale l’organo sovraordinato orienta l’attività dell’organo o degli organi sottordinati. Le direttive che si inseriscono nei rapporti intersoggettivi costituiscono un strumento attraverso il quale, per esempio, il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente coni fini istituzionali propri del ministero di settore o della regione. Le norme interne e le circolari Le organizzazioni complesse, anche quelle private, si possono dotare di regole interne volte a disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le varie unità operative (per es. COND). È bene ricordare che, in base alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, ciò che avviene all’interno di ciascun ordinamento particolare non ha sempre rilevanza nell’ordinamento generale. Il mezzo principale di comunicazione delle norme interne è costituito dalle circolari. Esse sono uno strumento di guida e di orientamento degli uffici. Le circolari “sono atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo degli affari d’ufficio”. Le circolari, dunque, costituiscono degli atti tipici aventi efficacia esclusivamente interna. Il contenuto delle circolari può essere il più vario. Possono contenere ordini, direttive, interpretazioni di leggi, informazioni di ogni tipo e genere. Nella prassi sono emerse almeno tre tipi di circolari: interpretative, normative, informative. Le circolari interpretative mirano a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da parte delle P.A. L’inferiore gerarchico si deve attenere all’interpretazione indicata dal superiore gerarchico. Le circolari normative hanno la funzione di orientare l'esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi. Esse hanno per oggetto gli spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa. Attraverso queste circolari, l’organo sovraordinato indirizza l’attività degli organi subordinati, specificando le finalità, indicando le priorità, fornendo criteri ecc. Le circolari informative sono emanate per diffondere all’interno dell’organizzazione notizie, informazioni e messaggi di varia natura. La Soft law, le raccomandazioni e le linee guida Lasoft lav consiste nell’insieme di strumenti, spesso informali (comunicazioni, inviti, segnalazioni, note informative) volte ad influenzare i comportamenti delle autorità amministrative e dei soggetti amministrati. La soft law chiaramente mette in discussione il principio di tipicità delle fonti e degli atti amministrativi. Per un verso, infatti, viene individuata una situazione giuridica soggettiva attiva, la potestà, che, a differenza di quanto accade per il diritto soggettivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento di un interesse altrui (tipico esempio è la potestà genitoriale). Per altro verso, una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo, che consiste nel potere attribuito ad un soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico (costitutivo, modificativo o estintivo) con una propria manifestazione unilaterale di volontà. La produzione di effetti giuridici segue usualmente lo schema norma- fatto- effetto giuridico. Il modo di operare (che è tipico del diritto soggettivo — obbligo) è il seguente: la norma definisce in termini astratti gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad essa si ricollega, ponendo direttamente essa stessa la disciplina degli interessi in conflitto in relazione ad un determinato bene. Il diritto conosce anche un’altra tecnica di produzione degli effetti che segue lo schema norma — fatto — potere — effetto giuridico. Questa sequenza si differenzia poiché viene meno l’automatismo nella produzione dell’effetto giuridico. Infatti, il verificarsi di un fatto concreto conforme alla norma attributiva del potere determina in capo ad un soggetto (il titolare del potere) la possibilità di produrre l’effetto giuridico individuato a livello di fattispecie normativa attraverso una propria dichiarazione di volontà. Tra il fatto e l’effetto giuridico si interpone un elemento aggiuntivo, cioè il potere, e il titolare di quest’ultimo è pienamente libero di decidere se provocare con una propria manifestazione di volontà l’effetto giuridico tipizzato dalla norma. Questo è lo schema proprio del diritto potestativo. Il diritto potestativo si distingue in diritto potestativo stragiudiziale e diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale. Nel primo caso la produzione dell’effetto giuridico discende in modo diretto dalla manifestazione di volontà del titolare del potere. Si tratta dunque di un potere unilaterale e autosufficiente. Nel secondo caso il prodursi dell’effetto giuridico presuppone, in aggiunta alla dichiarazione di volontà del titolare del potere, un previo accertamento giudiziale che verifichi la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello di fattispecie normativa. Il potere amministrativo può essere ricondotto alla schema del diritto potestativo stragiudiziale. Infatti, la produzione dell’effetto giuridico discende in maniera immediato dalla dichiarazione di volontà dell’amministrazione che emana il provvedimento. Inoltre, l’accertamento giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, cioè in seguito alla proposizione di un ricorso innanzi al giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto impugnato ha prodotto effetto. La norma attributiva del potere Occorre esaminare la struttura della norma attributiva del potere amministrativo. Secondo una classificazione tradizionale, le norme che si riferiscono alla P.A. sono di due tipi: norme di azione e norme di relazione. Le norme di azione disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della P.A., e hanno come scopo quello di assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri determinati e non hanno una funzione di protezione degli interessi dei soggetti privati. Esse seguono lo schema norma — fatto- potere- effetto già esaminato. Le norme di relazione sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l’amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, definendo direttamente l’assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e P.A. Esse seguono l’altro schema norma — fatto — effetto, tipico del diritto soggettivo. Però una siffatta ricostruzione dicotomica delle norme appare ormai datata. Appare dunque preferibile utilizzare la formula più generica di norma attributiva (o di conferimento) del potere. La norma attributiva del potere individua in termini astratti, gli elementi caratterizzanti il particolare potere (potere in astratto) attribuito a un apparato pubblico: il soggetto competente; il fine pubblico; i presupposti e i requisiti; le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma; gli effetti giuridici. 1.Quanto al soggetto competente, ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico dalla norma alla titolarità di uno e un solo soggetto e, ove l’organizzazione di questo prevede una pluralità di organi, a uno e un solo organo. L’atto emanato da un soggetto o un organo diverso da quello previsto è affetto da vizio di incompetenza. 2.I1fine pubblico costituisce un elemento che è specificato in modo espresso dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia. L’amministrazione non è dunque libera di esercitare il potere per il perseguimento di qualsivoglia finalità autodeterminata. Il fine pubblico è eteroimposto dalla norma e orienta le scelte effettuate in concreto dall’amministrazione. La violazione del vincolo del fine, cioè il perseguimento da parte del provvedimento emanato di un fine (pubblico o privato) diverso da quello previsto dalla norma, configura un vizio di eccesso di potere per sviamento. 3. Un terzo elemento consiste nei presupposti e requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato. Infatti, a seconda delle espressioni linguistiche utilizzate, il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o per converso, più o meno ampiamente discrezionale. 4.1 requisiti formali degli atti e le modalità di esercizio del potere, individuano la sequenza degli atti e degli adempimenti necessari per l'emanazione del provvedimento finale che danno origine al procedimento amministrativo. Va anticipato che, ai sensi dell’art. 27 — octies L.n. 241/1990, l’inosservanza delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determina in modo automatico l’annullabilità del provvedimento per violazione di legge, essendo richiesto di valutare se essa abbia influito o meno sul contenuto dispositivo del provvedimento adottato in concreto. 5. La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l’elemento temporale dell’esercizio del potere e ciò sotto più profili. Può in primo luogo individuare un termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio. In secondo luogo deve specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. In terzo luogo, le leggi amministrative scandiscono talora anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. 6. Infine, la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti giuridici che l’atto amministrativo può produrre una volta emanato all’esito del procedimento. Più in generale, i provvedimenti amministrativi in quanto manifestazioni del potere hanno l’attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. Il potere discrezionale La discrezionalità può essere riferita oltre che al potere, anche all’attività e al provvedimento amministrativo. — La discrezionalità Tale attività presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. Emerge qui una tensione quasi insanabile con il principio di legalità inteso in senso sostanziale, che nella sua accezione più estrema porterebbe ad attribuire all’amministrazione soltanto poteri vincolanti. Tuttavia, le situazioni concrete nelle quali l’amministrazione deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e di imprevedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di adattabilità della misura da disporre. Dunque, sorge il problema teorico e pratico di come conciliare due esigenze: attribuire all’amministrazione quel tanto di discrezionalità che consente la flessibilità necessaria per gestire i problemi della collettività; evitare che la discrezionalità si traduca in arbitrio. L’amministrazione, rispetto all’autonomia negoziale tipica del diritto privato, ha un ambito di libertà più ristretto, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni deve avvenire, non solo nel rispetto dei limiti esterni posti dalla norma di conferimento del potere e dei principi generali dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto del vincolo interno consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. Queste regole sono enunciate nell’art. 1 L.n. 241/1990 secondo il quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai criteri di imparzialità, di pubblicità e trasparenza. La discrezionalità amministrativa trova definizione in alcune disposizioni generali. Così per esempio l’art. 11 1.n. 241/1990, nel disciplinare gli accordi tra l’amministrazione procedente e i privati, specifica che essi hanno per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento. L’art. 21 — octies pone un limite di annullabilità del provvedimento affetto da vizi del procedimento o della forma allorchè esso abbia natura vincolata. Volendo porre una definizione di discrezionalità amministrativa, essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinchè possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene attraverso una valutazione comparativa (ponderazione) degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale. Tra di essi vi è innanzitutto il c.d. interesse pubblico primario (corrispondente al fine pubblico) individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere. Compito di quest’ultima è massimizzare la realizzazione dell’interesse primario valutato alla luce dei c.d. interessi secondari rilevanti. Tra gli interessi secondari si annoverano non soltanto gli altri interessi pubblici incisi dal provvedimento, ma anche gli interessi dei privati. In definitiva, la scelta operata dall’amministrazione deve contemperare l'esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento. L’amministrazione deve dar conto dell’attività di ponderazione degli interessi nella motivazione del provvedimento, e ciò al fine di garantire la trasparenza nel processo decisionale. La discrezionalità amministrativa incide su quattro elementi distinti: 1. Sull’an, cioè sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento. 2. Sulquid, cioè sul contenuto del provvedimento. 3. Sul quomodo, cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento (per es. procedere ad una determinata indagine istruttoria acquisendo un parere facoltativo). 4. Sul quando,cioè sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest’ultimo, per emanare il provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento. In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o vincolato in base ad uno o più di questi elementi. Occorre ancora porre la distinzione tra discrezionalità in astratto e discrezionalità in concreto. Si parla di vincolatezza in concreto quando la discrezionalità, nel corso del procedimento, può ridursi via via fino ad annullarsi del tutto. Si parla di vincolatezza in astratto, invece, quando la norma già predefinisce in maniera puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Il suo interesse ad evitare che si determini una compressione della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione non emani il provvedimento che produce l’effetto negativo (pretesa ad un non facere da parte dell’amministrazione). Negli interessi legittimi pretensivi il rapporto giuridico amministrativo ha una dinamica più collaborativa, nel senso che il titolare dell’interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a stimolare l’esercizio del potere ed a orientare la scelta dell’amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il suo interesse a far sì che si determini un ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione, all’esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l’effetto positivo (pretesa ad un facere specifico da parte dell’amministrazione). I due tipi di dinamica si riflettono sia sulla struttura del procedimento, sia su quella del processo amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il procedimento si apre usualmente d’ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un’istanza o domanda di parte che fa sorgere l’obbligo di procedere e di provvedere in capo all’amministrazione titolare del potere e che instaura il rapporto giuridico amministrativo. Anche il processo amministrativo e la tipologia di azioni in esso esperibili presentano caratteri propri in funzione del diverso bisogno di tutela. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita. L’annullamento dell’atto impugnato con efficacia ex #nc soddisfa in modo specifico tale bisogno. Infatti, il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell’emanazione del provvedimento. Nel caso di interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è legato invece all’interesse all’acquisizione del bene della vita. Rispetto a tale bisogno l'annullamento del provvedimento di diniego o, nel caso si silenzio — inadempimento, l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di concludere il procedimento nel termine stabilito con un provvedimento espresso si rilevano insufficienti. Soltanto una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto risulta pienamente satisfattiva. L’azione che consente un siffatto risultato è la c.d. azione di adempimento, cioè l’azione di condanna ad un facere specifico. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica (di annullamento del provvedimento illegittimo e di adempimento), si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. Con riferimento agli interessi legittimi oppositivi essa riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, infatti, pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non può porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi la tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti dalla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l’amministrazione sia rimasta inerte. La sentenza che accoglie l’azione di adempimento, condannando l’amministrazione ad emanare il provvedimento richiesto, non riesce infatti a porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. La distinzione tra i due tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i c.d. provvedimenti a doppio effetto che producono al contempo, cioè, un effetto ampliativo e un effetto restrittivo nella sfera giuridica dei due soggetti distinti e che danno origine a un rapporto giuridico trilaterale. Si pensi ad esempio al rilascio di un permesso di costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica al proprietario del terreno confinante. In questi casi, la dinamica dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo e oppositivo diventa più articolata, sia nell’ambito del procedimento, sia nell’ambito del processo, proprio perché si instaura una dialettica che vede contrapposti due interessi privati. Nella fase procedimentale le parti private tenderanno a sottoporre all’amministrazione elementi istruttori e valutativi che inducano quest’ultima a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrario all’interesse dell’altra parte privata. Nella fase processuale successiva all’emanazione del provvedimento che determina contestualmente un effetto ampliativo nei confronti di un soggetto e restrittivo nei confronti di un altro, invece, accanto alla parte ricorrente che impugna il provvedimento per chiederne l’annullamento e all’amministrazione resistente, interviene come parte processuale necessaria il controinteressato. Quest’ultimo è la parte che ha tratto un’utilità dall’emanazione del provvedimento e che affianca l’amministrazione nella difesa della legittimità del provvedimento emanato. I criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi Dottrina e giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri interpretativi. 1. Un primo criterio si incentra sulla struttura della norma attributiva del potere. Ricorre ancora la distinzione tra norma di relazione e norma di azione: la prima volta a regolare il rapporto giuridica tra P.A. e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo; la seconda volta a disciplinare l’attività dell’amministrazione ai fini di tutela dell’interesse pubblico e alla quale è correlato l’interesse legittimo. Nella norma di relazione la produzione dell’effetto giuridico avviene in modo automatico sulla base dello schema norma- fatto — effetto. L'eventuale atto dell’amministrazione che accerta il prodursi dell’effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti ha un carattere meramente ricognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito e lesivo del diritto soggettivo. L'accertamento della illiceità spetta al giudice ordinario. Nella norma di azione la produzione dell’effetto giuridico avviene attraverso lo schema norma- fatto — potere — effetto. Il provvedimento emanato dall’amministrazione ha carattere costitutivo dell’effetto giuridico nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione va qualificato come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo. L’annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo. 2.Un secondo criterio consiste nella distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale. In presenza di un potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente l’interesse legittimo. Ciò perché la conservazione o l’acquisizione del bene della vita in capo al soggetto privato, lungi dall’essere garantito in modo diretto dalla norma, è rimessa alla valutazione dell’amministrazione titolare del potere. Di fronte ad un potere discrezionale il soggetto privato non è in grado di prevedere con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta dall’amministrazione all’esito del procedimento. Nel caso in cui invece il potere sia vincolato, il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui si trova, è in grado di prevedere certezza se l’amministrazione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. La situazione in cui versa il privato è in questo caso assimilabile a quella in cui si trova il titolare di un diritto soggettivo. 3. Un terzo criterio, introdotto dalla Corte di Cassazione, si fonda sulla diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell’atto emanato. Ove venga contestata la c.d. carenza di potere, cioè l’assenza di un fondamento legislativo del potere (c.d. carenza di potere in astratto) o una deviazione abnorme dallo schema normativo (c.d. straripamento di potere), l’atto emanato dall’amministrazione è in realtà una parvenza di provvedimento, privo dell’idoneità a produrre l’effetto tipico nella sfera giuridica del destinatario (provvedimento nullo o inesistente). La situazione giuridica soggettiva di cui quest’ultimo è titolare, in particolare il diritto soggettivo, resiste di fronte al potere e non subisce un affievolimento (o degradazione) tramutandosi in un interesse legittimo. Ove invece il soggetto privato lamenti il cattivo esercizio del potere, senza però contestarne in radice l’esistenza, deducendo un vizio di legittimità del provvedimento (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge), la situazione giuridica fatta valere nei confronti dell’amministrazione ha la consistenza di un interesse legittimo. Il «diritto» di accesso ai documenti amministrativi L’accesso ai documenti amministrativi consiste nel «diritto degli interessati a prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi» (art. 22, comma 1, lett. a), 1.n. 241/1990). Esso inoltre è definito come un principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza. Si distingue tra accesso procedimentale e non procedimentale. L'accesso procedimentale, rientra tra quelli attribuiti a soggetti che partecipano ad un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare al meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e i documenti acquisiti al fascicolo. L'accesso non procedimentale può essere esercitato in via autonoma da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una P.A. Con riguardo all’accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richiede l’accesso dimostri un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. L’accesso non è attribuito a chiunque: non basta, come ha precisato la giurisprudenza, la semplice curiosità. È necessario invece che la richiesta di accesso abbia alla base un interesse in qualche modo differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante (non necessariamente un diritto soggettivo o interesse legittimo in senso proprio, ma anche una situazione giuridica soggettiva ancora allo stato potenziale). Sotto il profilo oggettivo, l’accesso non procedimentale è escluso in una serie tassativa di casi e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l’adozione di atti amministrativi generali. Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamenti di delegificazione là dove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici, quali la sicurezza e la difesa nazionale, la politica monetaria ecc. Allorchè siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l’amministrazione deve compiere una duplice operazione. Deve anzitutto comparare l’accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi. Deve inoltre valutare se l’accesso ha il carattere della “necessarietà”, poiché la l.n. 241/1990 prescrive che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti la cui conoscenza «sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici». L’accoglimento dell’istanza di accesso sembra dunque, essere subordinata, almeno nel caso in cui siano presenti esigenze di riservatezza, a valutazioni dell’amministrazione che sembrano avere natura in qualche modo discrezionale. Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133, comma 1, lett.a) n.6, cod.proc.amm.) e ciò costituisce un sintomo che in questa materia possono porsi questioni di diritto soggettivo. In conclusione, la giurisprudenza è incerta nel ricostruire la natura giuridica del diritto di accesso. Recentemente sembra prevalere l’interpretazione che non si tratti di un diritto soggettivo in senso proprio, ma che l’accesso vada inquadrato nella categoria dell’interesse legittimo. I principi generali Vanno innanzitutto distinti i principi che presiedono alla distribuzione delle funzioni tra i vari livelli di governo e che sono rivolti al legislatore (statale e regionale); dall’altro i principi che hanno come destinatarie dirette le amministrazioni. I principi generali si ricavano da più fonti: la Costituzione (art. 97); la Carta dei Diritti fondamentali dell’UE (art. 41); i Trattati europei; la L.n. 241/1990. — I principi sulle funzioni Il principio fondamentale che presiede all’allocazione delle funzioni è il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’, menzionato nei Trattai europei e, in seguito alla legge costituzionale 3/2001 anche nella Costituzione. L’art. 5 TUE enuncia il principio di sussidiarietà verticale con riguardo ai rapporti tra Stati membri i istituzioni dell’Unione. Dal principio di sussidiarietà deriva che l’UE agisce esclusivamente nei limiti delle competenze assegnate (tassatività delle competenze) e che, per contro, gli Stati membri sono titolari della generalità delle competenze residue. Inoltre, le competenze attribuite all’UE non devono eccedere quelle necessarie per conseguire gli scopi dell’Unione che non possono essere meglio curati dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello locale. L’art. 5 menziona anche il principio di proporzionalità in base al quale il contenuto e la forma dell’azione dell’UE non devono eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Nel diritto interno, l’art. 118 Cost. richiama i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che vanno a rafforzare il principio posto dall’art. 5 TUE. La sussidiarietà verticale L’art. 118 Cost. prevede che la generalità delle funzioni sia attribuita al livello di governo più vicino al cittadino e cioè al comune. Solo le funzioni delle quali è necessario assicurare un esercizio unitario che supera la dimensione territoriale dei comuni possono essere attribuite ai livelli di governo via via più elevati e cioè alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato. Le funzioni amministrative vanno dunque allocate tra gli enti territoriali secondo il criterio della dimensione degli interessi (locale, regionale o nazionale). Da qui l’espressione sussidiarietà verticale. Oltre a richiamare il principio di sussidiarietà, la 1.n. 59/1997 definisce il principio di adeguatezza che attiene all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente, e il principio di differenziazione, che mira a tener conto delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi. La costituzione richiama anche la c.d. sussidiarietà orizzontale che serve a definire i rapporti tra poteri pubblici e società civile. L’art. 118, comma 4 stabilisce infatti che lo Stato e gli enti territoriali favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. La ratio di questa disposizione è far in modo di escludere che i poteri pubblici detengano il monopolio nella cura degli interessi della collettività, e dall’altro, di valorizzare le forme di autorganizzazione della società civile. Sul piano logico la dimensione orizzontale della sussidiarietà precede quella verticale. — I principi sull’attività Secondo l’art. 1 1.n. 241/1990 ‘l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. Tali criteri o principi, anche se riferiti testualmente all’attività, possono valere in realtà anche per l’atto e il procedimento amministrativo. Il PRINCIPIO DI EFFICIENZA, richiamato dall’art. 1 L.n. 241/1990 attraverso il riferimento all’economicità, mette in rapporto la quantità di risorse impiegate con il risultato dell’azione amministrativa e focalizza l’attenzione sull’uso ottimale dei fattori produttivi. È efficiente l’attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego di mezzi. Si distingue tra efficienza tecnica o produttiva (che attiene al modo in cui i fattori sono utilizzati nel processo produttivo) ed efficienza allocativa o gestionale. Il PRINCIPIO DI EFFICACIA misura invece i risultati effettivamente ottenuti rispetto agli obblighi prefissati (livelli qualitativi di un servizio, soddisfazione dell’utenza) in un piano o in un programma. Il principio di efficienza e quello di efficacia operano in modo indipendente, perché può darsi il caso di un livello elevato di efficacia, raggiunto però con un impiego inefficiente delle risorse e viceversa. Il PRINCIPIO DI ECONOMICITA’ si riferisce alla capacità di lungo periodo di un’organizzazione di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi e, in qualche modo, condensa gli altri principi. Il PRINCIPIO DI PUBBLICITA’ E TRASPARENZA è enunciato a livello europeo nel TFUE laddove esplicita che le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile. Il principio di pubblicità e trasparenza rileva in due ambiti: Il primo ambito si riferisce all’organizzazione e all’attività della P.A. che è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessati, con modalità di pubblicazione predeterminate da parte dell’amministrazione (albi, bollettini, siti ecc...) un’ampia serie di informazioni. Il secondo ambito, si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che la l.n. 241/1990 definisce come principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Il diritto di accesso è stato ampliato con l’introduzione dell’accesso civico. Ed è stata anche prevista la nomina all’interno di ogni P.A. di un responsabile per la trasparenza che ha il compito di monitorare il rispetto degli obblighi di pubblicazione segnalando le inadempienze all’organo di indirizzo politico e all’Autorità nazionale anticorruzione. — I principi sull’esercizio del potere discrezionale I principi che presiedono all’esercizio del potere discrezionale sono il principio di imparzialità, proporzionalità, ragionevolezza, tutela del legittimo affidamento, precauzione. Il PRINCIPIO DI IMPARZIALITA” è richiamato dall’art. 97 Cost. e dall’art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Riferito al potere discrezionale, esso consiste nel “divieto di favoritismi””. L’amministrazione non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi politici, da gruppi di pressione privati (lobby) o da singoli individui o imprese. Il principio di imparzialità (o di non discriminazione, secondo il linguaggio europeo) è posto a garanzia della parità di trattamento (par condicio) e, in definitiva, dell’eguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione. Spesso il principio di imparzialità può entrare in tensione con il principio della responsabilità politica delle amministrazioni volte a inserirle nel circuito politico amministrativo. I vertici delle P.A. (ministri, presidenti di regione, sindaci) che costituiscono in punto di raccordo tra politica e amministrazione, sono portati a perseguire obiettivi coerenti con le priorità della propria base elettorale, avendo spesso ingerenze nella gestione; ecco perché con la riforma del pubblico impiego è stato introdotto il principio della distinzione tra indirizzo politico amministrativo e gestione. Il PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’, che assume particolare rilievo nel caso di poteri che incidono negativamente nella sfera giuridica del destinatario, richiede all’amministrazione di applicare in sequenza tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della misura prescelta. L’idoneità mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire. In base a tale criterio vanno scartate tutte le misure che non sono in grado di raggiungere il fine. La necessarietà, detta anche “la regola del mezzo più mite”, mette a confronto le misure ritenute idonee o orienta la scelta su quella che comporta il minor sacrificio possibile degli interessi incisi dal provvedimento. L’adeguatezza consiste nella valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del provvedimento. In base al PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA anche la P.A. è un agente in grado di perseguire determinati obiettivi ponendo in essere azioni logiche, coerenti e ad essi funzionali. Anche il principio di ragionevolezza vincola la discrezionalità del legislatore, come più volte chiarito dalla Corte Costituzionale. Il PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla P.A. con un suo atto o comportamento. Il principio della tutela del legittimo affidamento si ricollega al PRINCIPIO DELLA CERTEZZA DEL DIRITTO che mira a garantire un quadro giuridico stabile e chiaro. Tale principio ha come destinatario innanzitutto il legislatore (non retroattività, stabilità e coerenza delle norme), ma implica anche che l’agire dell’amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Infine il PRINCIPIO DI PRECAUZIONE enunciato in materia ambientale ed elevato dalla giurisprudenza comunitaria a principio di carattere generale applicabile nei campi di azione che involgono interessi pubblici come la salute e la sicurezza dei consumatori. Il principio di precauzione comporta che, quando sussistono incertezze in ordine all’esistenza o al livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. — I principi sul provvedimento In aggiunta al principio di legalità, il provvedimento è retto altresì dal principio della motivazione e dal principio della sindacabilità degli atti. Il PRINCIPIO DI MOTIVAZIONE è ricavabile dalla Carta fondamentale dei diritti dell’UE laddove sancisce l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. Secondo la giurisprudenza amministrativa esso costituisce il presupposto, il fondamento e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo. Attraverso la motivazione il destinatario del provvedimento e il giudice amministrativo sono messi in grado di ricostruire le ragioni poste a fondamento della decisione. Il PRINCIPIO DELLA SINDACABILITA’ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI è sancito dagli artt. 24 e 113 Cost.: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. — I principi sul procedimento I principi relativi al procedimento sono il principio del contraddittorio, il principio di certezza dei tempi, il principio di efficienza, il principio di correttezza e buona fede. I 1PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO trova fondamento nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE secondo il quale ogni individuo ha diritto di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. IlPRINCIPIO DI CERTEZZA DEL TEMPO nell’agire amministrativo e di celerità attribuisce a ogni individuo il diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole. La ln. 241/1990 lo rende concreto nella disciplina volta ad individuare per ciascun tipo di procedimento un termine massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento finale che conclude il procedimento amministrativo. La l.n. 241/1990 richiama anche il principio di efficienza, prevedendo che l’amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. 4. Il contenuto consiste in ciò che con esso l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare. Il contenuto dell’atto può essere integrato con clausole accessorie che fissano prescrizioni e condizioni particolari (c.d. elementi accidentali). Esse devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla legge. Tra gli elementi dell’atto amministrativo, a differenza di quanto accade per i negozi giudici privati, non ha rilevanza autonoma la causa, intesa come fimzione economico- sociale, ciò perché i poteri amministrativi sono tutti riconducibili a schemi tipici individuati per legge. 5. La motivazione è parte del provvedimento e secondo il contenuto dell’art.3 1.n. 241/1990, enuncia ipresupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria. L’obbligo di motivazione, la cui violazione può essere causa di annullabilità, costituisce uno dei principi generali del regime degli atti amministrativi. La motivazione adempie a tre funzioni principali: - Promuove latrasparenza dell’azione amministrativa perché rende palesi le ragioni sottostanti alle scelte amministrative; - Agevola l’interpretazione del provvedimento; - Costituisce una garanzia per il soggetto privato che subisce dal provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull’operato dell’amministrazione. Nella motivazione devono emergere le valutazioni operate dall’amministrazione sugli apporti partecipativi dei privati (art. 10, lett.b), 1.n. 241/1990). In ogni caso, dalla motivazione deve essere possibile ricostruire in modo puntuale l’iter logico seguito dall’amministrazione per pervenire ad una certa determinazione. La motivazione può essere anche per relationem, cioè con un rinvio ad un altro atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni. La motivazione assume particolare importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati essa può essere limitata all’enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’esercizio del potere. L’art. 3, comma 2, ln. 241/1990 esclude dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Si pone anche la questione del se ed entro quali limiti sia superato il divieto tradizionale dell’integrazione della motivazione nel corso del giudizio, e dunque dell’ammissibilità della c.d. motivazione successiva (o postuma) > ‘ammessa dalla giurisprudenza più recente: l’amministrazione può integrare ex post la motivazione del provvedimento già sottoposto a sindacato giurisdizionale. 6. L’atto amministrativo richiede di regola la forma scritta. In alcuni casi l’atto può essere esternato oralmente (l’ordine di polizia, la proclamazione del risultato di una votazione). In giurisprudenza emerge talvolta la nozione di provvedimento implicito. Quest'ultimo costituisce il presupposto necessario di un provvedimento espresso o di un comportamento concludente. L’art. 21-septies ln. 241/1990 contiene un richiamo agli elementi essenziali del provvedimento, la mancanza dei quali costituisce una delle cause di nullità. Gli elementi essenziali dell’atto amministrativo non sono elencati in modo puntuale dalla legge e dunque essi vanno individuati in via di interpretazione. I provvedimenti ablatori reali, i provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative Le principali categorie dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari sono i provvedimenti ablatori reali e personali, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori. — I provvedimenti ablatori reali Tra i provvedimenti ablatori reali va ricordata innanzitutto l’espropriazione per pubblica utilità. Essa consiste nel trasferire coattivamente il diritto di proprietà dal privato all’amministrazione o al soggetto beneficiario dell’espropriazione; dall’altro attribuendo al privato il diritto a un indennizzo. L’indennizzo non coincide necessariamente con il valore di mercato, ma non deve essere neppure imisorio. Tra i provvedimenti ablatori reali si annoverano anche l’occupazione temporanea preordinata all’espropriazione di opere dichiarate indifferibili e urgenti, che consente così la presa in possesso e l’avvio immediato dei lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriativo; la requisizione in uso di beni mobili e immobili per periodi di tempo limitati, che può essere per gravi e urgenti necessità pubbliche militari o civili; le servitù pubbliche disciplinate da leggi speciali e dal codice civile, che annovera tra i modi di costituzione delle servitù coattive, oltre che la sentenza pronunciata a favore del privato titolare del diritto, un atto dell’autorità amministrativa nei casi specialmente determinati dalla legge. — I provvedimenti ordinatori Tra i provvedimenti ablatori personali rientrano gli ordini amministrativi e iprovvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare (divieti) puntuali. L’ordine è un provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata. (Come precisa in termini generali il Testo unico degli impiegati civili dello Stato, l’impiegato deve eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico. Se l’ordine appare palesemente illegittimo, l’impiegato è tenuto a farne rimostranza motivata al superiore, il quale ha sempre il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo caso, l’impiegato deve darne esecuzione, a meno che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale). Gli ordini amministrativi sono previsti talora anche al di fuori dei rapporti interorganici e dunque riguardare rapporti intersoggettivi tra l’amministrazione titolare del potere e i soggetti privati destinatari (per es. gli ordini di polizia). Una sottospecie di provvedimento ordinatorio è costituita dalla diffida che consiste nell’ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. La diffida può comportare, in caso di inottemperanza, l’applicazione di sanzioni di tipo amministrativo. — Le sanzioni amministrative Sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva. Le sanzioni amministrative sono previste dalle leggi amministrative sia: - nel caso di violazione di precetti; molti casi di sanzioni di questo tipo sono contenute nel codice della strada. - nel caso di violazione dei provvedimenti emanati sulla base di tali leggi — molti casi di sanzioni di questo tipo si trovano nel Testo unico degli locali. In realtà sussiste un certo grado di fungibilità tra sanzioni penali e sanzioni amministrative: entrambi hanno l’analoga funzione di prevenzione generale e speciale di illeciti. Per di più, la disciplina generale delle sanzioni amministrative, contenuta nella L.n. 689/1981, richiama una serie di principi tipicamente penalistici: quali il principio di legalità, in base al quale nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione dell’illecito amministrativo; il principio di personalità, il concorso di persone ecc... Da qualche anno, la distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali è stata messa in dubbio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Infatti secondo la Corte di Strasburgo le sanzioni amministrative hanno natura sostanzialmente penale nei casi in cui, per il tipo e la gravità della sanzione irrogata, abbiano un carattere particolarmente afflittivo. Le sanzioni amministrative sono riconducibili a più tipi: le sanzioni pecuniarie, che fanno sorgere l’obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e massimo stabilito dalla norma; le sanzioni interdittive che incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della patente, decadenza da una concessione); le sanzioni disciplinari. Le sanzioni pecuniarie presentano alcune specificità. Anzitutto, l’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito. Inoltre l’obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60 giorni dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per l’accertamento dell’illecito. L’oblazione evita dunque che si arrivi ad un accertamento definitivo dell’illecito. Le sanzioni disciplinari si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le P.A. (dipendenti pubblici, professionisti iscritti in albi ecc.) e sono volte a colpire comportamenti posti in violazione di obblighi speciali collegati allo status particolare (doveri di servizio, doveri deontologici). Esse consistono, a seconda della gravità dell’illecito, nell’ammonizione (o censura), nella sospensione dal servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato, dalla radiazione dall’albo o nella destituzione. Le sanzioni amministrative sono applicate di regola soltanto nei confronti del trasgressore e ciò in coerenza del carattere personale della responsabilità (art. 3 L.n. 689/1981). La persona giuridica può essere chiamata a rispondere solo a titolare di responsabilità solidale e, in ogni caso, l’ente che paghi la sanzione può esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’autore dell’illecito. Una particolare forma di responsabilità amministrativa è prevista a carico delle imprese e degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (art. 1 comma 1 d.lgs. 231/2001). Questa responsabilità sorge direttamente in capo all’ente per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Dagli amministratori e dai dipendenti (c.d. responsabilità amministrativa degli enti). La responsabilità amministrativa degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive come la revoca e la sospensione di autorizzazioni e licenze. Le attività libere ma sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La certificazione di inizio attività I provvedimenti amministrativi con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo autorizzativo. La fattispecie delle attività regolate e sottoposte a un regime di comunicazione preventiva è disciplinata dall’art. 19 ln. 241/1990 che prevede l’istituto della segnalazione certificata d’inizio attività (c.d. SCIA). Le attività sottoposte al regime della SCIA sono libere, anche se conformate da un regime amministrativo. Difatti, la SCIA non costituisce un regime autorizzatorio. La SCIA riconduce una serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo (ex ante) sotto forma di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta, a un regime meno intrusivo di controllo successivo (ex posò), effettuato cioè dall’amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell’attività. Dunque la SCIA è un modello di controllo successivo (ex post) effettuato dall’amministrazione sull’avvio di un'attività da parte di un privato. La SCIA ha soltanto la funzione di consentire all’amministrazione di verificare se l’attività in questione è conforme alle norme amministrative. L’avvio dell’attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA allo sportello unico indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione (art. 19-bis). Il privato deve corredare la segnalazione con un’autocertificazione del possesso dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività dell’amministrazione, nel termine perentorio di 60 giorni, emana un provvedimento La ln. 241/1990 (art. 18) e il Testo unico sulla documentazione amministrativa (d.p.r. n. 445/2000) prevedono due modalità alternative alle certificazioni che dovrebbero essere preferite. Da un lato, le P.A. sono tenute a scambiarsi d’ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i soggetti privati dell’onere di ottenere il rilascio dei certificati. Di recente, proprio per obbligare le amministrazioni a fornirsi reciprocamente i dati di cui sono in possesso, è stato introdotto il principio secondo il quale 1 certificati non hanno alcun valore giuridico nei rapporti con le P.A. Dall’altro, in molti casi le certificazioni possono essere sostituite con l’awtocertificazione, cioè tramite una dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità dal soggetto. Le c.d. dichiarazioni sostitutive di certificazione (autocertificazione) possono avere a oggetto la data, il luogo di nascita, la residenza, la cittadinanza, l’iscrizione in albi, la qualità di studente o di pensionato ecc. Le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà sono relative invece a stati, qualità personali e fatti dei quali l’interessato sia a conoscenza e che si riferiscono ad altri soggetti. L’amministrazione che utilizza il dato autocertificato nell’ambito di un procedimento può verificarne, almeno a campione, la correttezza. Se l’autocertificazione è falsa possono essere irrogate sanzioni anche di tipo penale. Inoltre in caso di dichiarazioni mendaci e di false attestazioni, sempre con funzione sanzionatoria, all’interessato è negata la possibilità di conformare l’attività alla legge sanando la propria posizione. 2. Tra gli atti dichiarativi rientrano i c.d. atti paritetici, cioè un atto meramente ricognitivo di un assetto già definito in tutti i suoi elementi dalla norma attributiva di un diritto soggettivo, serviva a superare la regola della necessità di impugnare l’atto nel termine di 60 giorni, con la conseguenza che la pretesa del privato poteva essere fatta valere in sede giudiziale nel normale termine di prescrizione. 3. Un’altra specie di atti dichiarativi è costituita dalle verbalizzazioni, che consistono nella narrazione storico giuridica da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e operazioni avvenuti in sua presenza. Tra gli atti amministrativi non provvedimentali rientrano i pareri e le valutazioni tecniche. Esse sono manifestazioni di giudizio da parte di organi o enti pubblici contenenti valutazioni e apprezzamenti in ordine a interessi pubblici secondari o a elementi di carattere tecnico che l’amministrazione titolare del potere deve tenere in considerazione. Altre classificazioni: atti collegiali, atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione I provvedimenti amministrativi possono essere classificati in base a ulteriori criteri. 1. Un primo criterio riguarda la provenienza soggettiva del provvedimento. Infatti, il provvedimento può essere emanato da un organo di tipo monocratico (un decreto del ministro o un’ordinanza del sindaco), oppure da una volontà di più organi o soggetti e ha dunque natura di atto complesso (per es. il decreto interministeriale). Vi sono poi gli atti collegiali nei quali il provvedimento è emanato da un organo composto da una pluralità di componenti designati con vari criteri. 2. Un secondo criterio è quello dei destinatari del provvedimento. Si hanno innanzitutto gli atti amministrativi generali che si rivolgono, anziché a singoli destinatari, a classi omogenee più o meno ampie di soggetti. Abbiamo poi gli atti collettivi che si indirizzano a categorie, generalmente ristrette, di soggetti considerati in modo unitario i quali però, a differenza degli atti generali, sono già individuati singolarmente con precisione. Gli atti plurimi (o a contenuto plurimo) sono rivolti ad una pluralità di soggetti, ma i loro effetti, a differenza di quanto accade per gli atti collettivi, sono scindibili in relazione a ciascun destinatario. 3. Un terzo criterio prende in considerazione la natura della funzione esercitata e l'ampiezza della discrezionalità. In base ad esso è stata elaborata la categoria degli atti di alta amministrazione e di atti politici non sottoposti al regime del provvedimento amministrativo. Nella nozione di atto politico rientrano gli atti che, a differenza di quelli amministrativi, sono liberi nel fine e sono emanati da un organo costituzionale (in particolare il governo) nell’esercizio di una funzione di governo e proprio perché emanati dal governo nell’esercizio del potere politico non sono impugnabili. Gli atti di alta amministrazione hanno invece natura amministrativa, anche se sono caratterizzati da un’amplissima discrezionalità. Tra di essi rientrano i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministeri. Essi devono essere motivati e sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, il quale si limita solamente a rilevare le violazioni più macroscopiche dei principi che presiedono all’esercizio del potere discrezionale. L’invalidità dell’atto amministrativo Non tutti i casi di difformità tra il provvedimento e le norme che lo disciplinano danno origine ad invalidità. Nei casi di imperfezioni minori, l’atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di rettifica o regolarizzazione. Si ha invalidità allorchè la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati da queste ultime e incide sull’efficacia dell’atto in modo più o meno radicale, sotto forma di nullità o annullabilità. L’invalidità trova una disciplina compiuta nella L.n. 241/1990. L’invalidità può essere definita come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata, in funzione della gravità della violazione, secondo due modalità: l’inidoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell’ordinamento (nullità); l’inidoneità a produrli in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice (o un altro organo) che, accertata l’invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore (annullabilità). Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo distingue appunto la nullità e l’annullabilità. La NULLITA” del provvedimento amministrativo è prevista solo in poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del potere viene attratta nel regime ordinario dell’ANNULLABILITA?” (sotto il profilo della violazione di legge). In definitiva, il regime dell’annullabilità costituisce il regime ordinario del provvedimento amministrativo invalido, mentre la nullità è categoria residuale del diritto amministrativo. L’invalidità può essere totale o parziale: la prima investe l’intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non affetta dal vizio. Anche il provvedimento amministrativo può essere colpito da invalidità totale o parziale. Quest'ultima evenienza si può avere nel caso di provvedimenti con effetti scindibili, per esempio come in quello degli atti plurimi. Un esempio è l’atto di nomina di una pluralità di vincitori di un concorso: l’esclusione non comporta la caducazione dell’intero atto di approvazione della medesima. In genere si ritiene applicabile al provvedimento amministrativo il principio enunciato dall’art. 159 c.p.c., secondo il quale l’invalidità di una parte dell’atto si estende alle altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. L’invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. Nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Nel caso di invalidità derivata, l'invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto presupposto. L’invalidità derivata può essere di due tipi: 1. invalidità derivata a effetto caducante, quando travolge in modo automatico l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; 2. invalidità derivata a effetto invalidante, quando l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. L’effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta causalità (o consequenzialità diretta e necessaria) tra i due atti: il secondo costituisce una mera esecuzione del primo. Se invece l’atto successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti che segnano la discontinuità fra due atti, l’invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere attraverso l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. Così, per esempio, l’invalidità dell’atto di ammissione di un candidato a una prova concorsuale si propaga agli atti successivi della procedura fino all’approvazione della graduatoria, ma quest’ultima è affetta da un’invalidità derivata viziante e non caducante. Ciò perché la formazione della graduatoria richiede valutazioni più ampie riferite anche agli altri candidati. Passando a considerare /’invalidità originaria e l’invalidità sopravvenuta, va premesso che anche per il diritto amministrativo vale il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Peraltro, poiché l’esercizio del potere avviene nella forma del procedimento, cioè attraverso una pluralità di atti funzionalmente collegati e strumentali all’adozione del provvedimento finale, si pone talora la questione delle conseguenze del mutamento delle norme vigenti sui procedimenti avviati, ma non ancora conclusi. Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende, ora per allora, viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti, cioè di fattispecie ormai interamente realizzate. Occorre a questo punto analizzare altri due temi circa l’invalidità; in particolare si parlerà del contributo della giurisprudenza sul tema dell’invalidità, e dei comportamenti della P.A. sul medesimo tema. Quanto al primo tema si può affermare che la l.n. 241/1990 ha razionalizzato le acquisizioni giurisprudenziali. Infatti la teoria dei vizi dell’atto amministrativo è il frutto dell’elaborazione della IV sezione del Consiglio di Stato. Il giudice amministrativo dovette riempire di contenuto le scarse disposizioni che attribuivano alla sua competenza i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge. Così, in primo luogo, la giurisprudenza interpretò la formula eccesso di potere come << sviamento di potere>>, che riguarda i casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere. La IV sezione del Consiglio di Stato fece cioè ricorso all’eccesso di potere per sindacare la legalità intrinseca dei provvedimenti discrezionali e non soltanto la legalità estrinseca, cioè la loro conformità formale a disposizioni di legge. In secondo luogo, la giurisprudenza individuò ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di una base legislativa tanto da non poter essere inquadrato all’interno del regime dell’illegittimità. Emerse così una tipologia di vizi più gravi sussunti nella categoria della carenza di potere. In presenza di tali vizi, il provvedimento perde il carattere imperativo e dunque non è in grado di travolgere i diritti soggettivi. Gli atti assunti in carenza di potere vennero pertanto attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, mentre gli atti con riferimento ai quali veniva contestato soltanto il cattivo esercizio del potere restarono affidati alla cognizione del giudice amministrativo. Una seconda osservazione generale è che la teoria dei vizi del provvedimento nel nostro ordinamento è stata condizionata dalla questione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. In questo contesto è stata elaborata anche la distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell’amministrazione. Da un lato vi sono i “meri comportamenti” (o comportamenti senza poteri) assunti in violazione di ‘una norma di relazione, cioè lesivi di un diritto soggettivo, e ascrivibili alla categoria della illiceità. In questi casi quindi la giurisdizione è del giudice ordinario. L’art. 21 — octies, comma 2, ln. 241/1990 enuclea tra le ipotesi di violazione di legge la «violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti», cioè una subcategoria di vizi formali (errores in procedendo) che, a certe condizioni, sono dequotati a vizi che non determinano l’annullabilità degli atti. La disposizione pone più specificamente due condizioni: 1) che il provvedimento abbia natura vincolata, 2) che sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il secondo periodo dell’art. 21 — octies, comma 2 ln. 241/1990 individua una fattispecie particolare costituita dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento disciplinata dagli artt. 7 s.s. della stessa legge per la quale è previsto un regime in parte uguale e in parte diverso da quello del primo periodo del medesimo articolo. Eguale è l’operazione richiesta all’interprete e cioè la ricostruzione di quello che sarebbe stato l’esito del procedimento ove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la conclusione di questa sorta di simulazione è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l’atto non può essere annullato. La disposizione presenta però due specificità: 1) manca il riferimento alla natura vincolata del potere; 2) si richiede all’amministrazione che ha emanato l’atto di dimostrare in giudizio che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento. Quanto al primo aspetto, solo qualora risulti ex post, tenuto conto di tutte le circostanze specifiche, che l’amministrazione non aveva altra scelta legittima se non quella di emanare un atto con quel contenuto (vincolatezza in concreto), può operare il principio della non annullabilità per violazione delle norme formali e procedurali. Quanto al secondo aspetto, l’onere della prova grava sull’amministrazione nei confronti della quale sia stato proposto un ricorso per l’annullamento del provvedimento viziato. Spetta al ricorrente l’onere di allegare in giudizio gli elementi che sarebbero stati prodotti nell’ambito del procedimento ove la comunicazione di avvio del procedimento fosse stata effettuata. L’IRREGOLARITA'’ del provvedimento può essere definita come un’imperfezione minore del provvedimento che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d’azione. Danno origine ad irregolarità, per esempio, l’erronea indicazione di un testo di legge o di una data, un errore nell’intestazione del provvedimento, la mancanza di una firma ecc. L’irregolarità non rende invalido il provvedimento che è suscettibile di regolarizzazione, attraverso la rettifica del provvedimento. C) L'’eccesso di potere L’eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. Esso mette in condizione il giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli puntuali posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere e che può spingersi invece fino alle soglie del merito amministrativo. L’eccesso di potere riguarda l’aspetto funzionale del potere, cioè la realizzazione in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione. L’eccesso di potere è definito come un vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. Può succedere, infatti, che all’interno delle fasi del procedimento (istruttoria, fase decisionale), possono emergere anomalie, incongruenze, disfunzioni che danno origine all’eccesso di potere. La figura primigenia di eccesso di potere è lo sviamento di potere che consiste nella violazione del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione si ha allorchè il provvedimento emanato persegue un fine diverso (non importa se pubblico o privato) da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all’amministrazione. (Esempi di sviamento di potere sono il trasferimento d’ufficio di un dipendente pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio che in realtà hanno una finalità punitiva; oppure l’ordinanza di un sindaco che impone un divieto di fermata degli autoveicoli in alcune strade motivato con l’esigenza di evitare intralci alla circolazione, che persegue in realtà il fine di disincentivare la prostituzione su strada). Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare, in quanto il provvedimento, all’apparenza, si presenta come perfettamente conforme alle disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio in via indiretta, attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale costituiti dalle c.d. figure sintomatiche. Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere costituiscono una categoria aperta, non tipitizzata dal legislatore. Le principali sono: a. Errore o travisamento dei fatti. Se il provvedimento viene emanato sul presupposto, richiamato nell’atto medesimo, dell’esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta invece inesistente, o viceversa, della non esistenza di un fatto o di una circostanza che invece risulta esistente emerge la figura dell’eccesso di potere per errore di fatto (o anche travisamento dei fatti o falso supposto in fatto). L’errore di fatto può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in seguito all’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo. Quest’ultimo non incontra più alcun limite giuridico a un accertamento pieno dei fatti autonomo rispetto a quello operato nel provvedimento impugnato. Non rileva se l’errore è inconsapevole o volontario. b. Difetto di istruttoria. Nella fase istruttoria del procedimento l’amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. Ove questa attività, svolta dal responsabile del procedimento, manchi del tutto o sia effettuato in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria. c. Difetto di motivazione. Nella motivazione del provvedimento l’amministrazione deve dar conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. Per quanto sintetica, la motivazione deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere, cioè dell’iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento. Il difetto di motivazione ha varie sfaccettature. La motivazione può essere in primo luogo insufficiente, incompleta o generica, illogica o contraddittoria. La l.n. 241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il contenuto minimo della motivazione. Così l’amministrazione è tenuta a valutare (e dunque motivare) gli apporti partecipativi di chi interviene nel procedimento e a dar conto delle ragioni per le quali non accoglie le osservazioni presentate dall’interessato al quale sia comunicato il preavviso di rigetto di un’istanza. In realtà non esiste un criterio univoco per determinare se una motivazione sia sufficiente. Si può peraltro ritenere che quanto più ampia è la discrezionalità dell’amministrazione e quanto più gravosi sono gli effetti del provvedimento nella sfera soggettiva dei destinatari, tanto più elevato è lo standard quantitativo e qualitativo imposto alla motivazione. La motivazione può essere inoltre i/ogica e contraddittoria, allorchè essa contenga proposizioni o riferimenti ad elementi incompatibili tra loro. Può essere infine perplessa 0 dubbiosa là dove non consenta di individuare con precisione il potere che l’amministrazione ha inteso esercitare. Anche nel caso di difetto di motivazione, non è da escludere che, una volta annullato il provvedimento, l’amministrazione possa emanare uno di contenuto identico, emendato dal vizio rilevato. Peraltro, non è consentito all’amministrazione di integrare o emendare la motivazione del provvedimento in sede di giudizio. Nel caso in cui la motivazione manchi del tutto, il vizio può essere qualificato come violazione di legge, in quanto l’obbligo di motivazione è previsto espressamente dall’art. 3 l.n. 241/1990. d. IMogicità, irragionevolezza, contraddittorietà. Emerge un vizio di eccesso di potere tutte le volte che il contenuto del provvedimento e le statuizioni del medesimo (enunciate nel dispositivo) fanno emergere profili di illogicità o irragionevolezza, apprezzabili in modo oggettivo in base ai canoni di esperienza. Per es. un bando di concorso per l’assunzione di dipendenti pubblici non può richiedere il possesso di titoli che non siano correlati alle mansioni che i vincitori saranno poi richiamati a svolgere. Può essere considerata come sottospecie dell’illogicità e irragionevolezza la contraddittorietà interna (intrinseca) al provvedimento. Questa emerge se non vi è coerenza tra le premesse del provvedimento e le conclusioni tratte nel dispositivo. La contraddittorietà può essere anche esterna (estrinseca) al provvedimento, quando è ricavabile dal raffronto tra provvedimento impugnato e altri provvedimenti precedenti dell’amministrazione che riguardano lo stesso soggetto. e. Disparità di trattamento. Il principio di coerenza e il principio di eguaglianza impongono all’amministrazione di trattare in modo eguale casi eguali. Il vizio può emergere sia allorchè casi eguali siano trattati in modo diseguale, sia allorchè casi diseguali siano trattati in modo eguale. Per stabilire in concreto se le situazioni da confrontare siano identiche o differenziate va utilizzato il criterio della ragionevolezza. Il vizio in questione emerge di frequente nei giudizi comparativi, nelle progressioni di carriera o nel riconoscimento di altri benefici ai dipendenti pubblici. Perché possa essere censurata la disparità di trattamento è necessario che il provvedimento sia discrezionale (il vizio non è deducibile nel caso di atti vincolati). Inoltre la comparazione deve riferirsi ad provvedimenti legittimi. f. Ingiustizia grave e manifesta. In alcuni rari casi la giurisprudenza, per ragioni equitative, si spinge fino al punto di censurare provvedimenti discrezionali il cui contenuto appaia manifestamente ingiusto. L’ingiustizia manifesta è una figura sintomatica che si colloca al confine tra sindacato di legittimità e il sindacato di merito. Altre figure sintomatiche hanno una configurazione più dubbia. Talora in essi vengono infatti inclusi anche i vizi della volontà, la violazione dei principi di proporzionalità e del legittimo affidamento. La giustificazione teorica delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere è controversa. Secondo alcune teorie, esse rilevano essenzialmente come prove indirette dello sviamento di potere e hanno una valenza essenzialmente processuale. Possono cioè essere ricondotte allo schema civilistico delle presunzioni. Secondo altre teorie, le figure sintomatiche hanno raggiunto una completa autonomia dallo sviamento di potere e hanno una valenza sostanziale, prima ancora che processuale. Esse cioè sono riconducibili alla violazione dei principi generali dell’azione amministrativa e più precisamente ai principi che presiedono all’esercizio della discrezionalità. Di recente, le figure sintomatiche sono state ricondotte alle clausole generali (buona fede, imparzialità) che, analogamente a quanto accade nelle relazioni giuridiche privatistiche, fanno sorgere obblighi comportamentali nell’ambito del rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la P.A. e il cittadino. In definitiva, le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, pur essendo consolidate nella prassi della giurisprudenza, hanno ancora uno statuto incerto. quest’ultimo l’amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non vi sono motivi per riaprire il procedimento e procedere ad una nuova valutazione. L’atto meramente confermativo non può dunque essere considerato come un nuovo provvedimento suscettibile di essere impugnato. — La revoca Anche i provvedimenti validi sono passibili di un riesame che ha per oggetto il merito (opportunità), cioè la conformità all’interesse pubblico dell’assetto degli interessi risultante dall’atto emanato. Il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela della P.A. ed è ammesso sempre dalla giurisprudenza. Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento amministrativo. L’art. 21 — quinquies ln. 241/1990 precisa i presupposti e gli effetti della revoca. L’art. 21 — quinquies, comma 1 l.n. 241/1990, distingue due fattispecie: 1. revoca per sopravvenienza -> Sono riconducibili due ipotesi tipizzate dalla disposizione: 1) la prima è la revoca per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, che interviene allorchè l’amministrazione opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenute, cioè non presenti al momento in cui l’atto era stato emanato. 2) Costituisce revoca per sopravvenienza anche l’ipotesi di “mutamento della situazione di fatto” non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento. 2. revocaespressione dello jus poenitendi riguarda l’ipotesi di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”, che si ha nei casi in cui l’amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui ha emanato il provvedimento. Questo tipo di revoca è stato vietato in relazione ai provvedimenti di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici e ciò al fine di attribuire almeno in alcuni ambiti maggiore stabilità e certezza al rapporto giuridico amministrativo. Sotto il profilo soggettivo, la revoca può essere disposta dallo stesso organo che ha emanato l’atto ovvero da altro organo previsto dalla legge. A differenza dell’annullamento d’ufficio che ha efficacia ex tunc, la revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti (ex nunc). La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti “a efficacia durevole”, come per esempio le concessioni di servizi pubblici. L’art. 21 — quinquies prevede un obbligo generalizzato di indennizzo nei casi in cui la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati. Prima dell’introduzione di questo articolo nel 2005, l’indennizzo era previsto dalla legge solo in rare fattispecie. L’indennizzo è limitato al danno emergente, escludendo così il lucro cessante, ed è suscettibile di un’ulteriore riduzione anzitutto in relazione alla conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto oggetto di revoca all’interesse pubblico. Le controversie relative alla quantificazione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133, comma ], lett.a),n.4 cod.proc.amm). Trattandosi di un atto discrezionale, la revoca richiede una motivazione. Sotto il profilo procedimentale, è un procedimento di secondo grado che si apre con la comunicazione di avvio e che è aperto alla partecipazione dei soggetti interessati. La revoca disciplinata dal dall’art. 21 — quinquies va distinta dalla c.d. revoca sanzionatoria (o decadenza) e dal mero ritiro. Larevoca sanzionatoria può essere disposta dall’amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento amministrativo favorevole (autorizzazione, concessione ecc.) non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti, oppure non intraprenda l’attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto. Il mero ritiro ha per oggetto atti amministrativi che non sono ancora efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell’interesse pubblico e degli interessi dei destinatari del provvedimento, e ciò proprio perché non ha ancora inciso in modo diretto su situazioni giuridiche soggettive di soggetti terzi. Il recesso dai contratti L’art. 21— sexies ln. 241/1990 disciplina anche il recesso unilaterale dai contratti della P.A. prevedendo che esso sia ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto. CAPITOLO 5 IL PROCEDIMENTO Il procedimento amministrativo può essere definito come la sequenza di atti ed operazioni tra loro collegati funzionalmente in vista e al servizio dell’atto principale. Il procedimento amministrativo assolve ad una pluralità di funzioni. Una prima funzione, è consentire in controllo sull’esercizio del potere (soprattutto ad opera del giudice), attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e delle operazioni normativamente predefinita. Una seconda funzione è quella di far emergere e dar voce agli interessi incisi direttamente o indirettamente dal provvedimento. Ciò sia nell’interesse dell’amministrazione che può così colmare le asimmetrie informative che spesso sussistono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell’interesse di quest’ultimi che hanno la possibilità di rappresentare e difendere il proprio punto di vista. La partecipazione acquista così una dimensione collaborativa. Una terza funzione del procedimento è quella del contraddittorio. Il contraddittorio può assumere una dimensione verticale o orizzontale. La prima si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amministrazione titolare del potere e il destinatario diretto dell’effetto giuridico restrittivo. La dimensione orizzontale del contraddittorio emerge nei procedimenti nei quali i privati sono portatori di interessi contrapposti e nei quali pertanto l’organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi. Una quarta funzione del procedimento è quella di costituire un fattore di legittimazione del potere dell’amministrazione e di promuovere pertanto la democraticità dell’ordinamento amministrativo. Le leggi sul procedimento e la Ln. 241/1990 Il campo di applicazione della L.n. 241/1990 è individuato sulla base di un criterio soggettivo e oggettivo. Sotto il profilo soggettivo essa si applica a tutte le amministrazioni statali, agli enti pubblici nazionali e anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente alle attività che si sostanziano nell’esercizio delle funzioni amministrative. Inoltre, le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti dalla ln. 241/1990. Sotto il profilo oggettivo, la l.n. 241/1990 si applica nella sua interezza ai procedimenti di tipo individuale. Invece, le disposizioni sull’obbligo di motivazione (art. 3, comma 2), sulla partecipazione al procedimento (art. 13 comma 1) e sul diritto di accesso (art. 24, comma 1 lett.c)) non si applicano agli atti normativi e agli atti amministrativi generali. Alcune categorie di procedimenti come quelli tributari non sono sottoposti alla 1.n. 241/1990, bensì alle regole contenute nelle discipline speciali (art. 13, comma 2). Le fasi del procedimento Il procedimento si articola in tre fasi: l’iniziativa, l’istruttoria e la conclusione. a) L’iniziativa L’iniziativa è la fase dell’avvio del procedimento destinato a sfociare in un provvedimento finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. Va innanzitutto posta la distinzione tra obbligo di procedere e obbligo di provvedere, entrambi espressione del principio generale della doverosità dell’esercizio del potere amministrativo. In base all’obbligo di procedere, l’amministrazione competente è tenuta ad aprire il procedimento su istanza di parte o d’ufficio e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale. addirittura stabilito per legge che i certificati rilasciati da un’amministrazione non hanno valore se prodotti presso altri amministrazioni e ciò al fine di costringerle allo scambio reciproco delle informazioni necessarie. L’attività istruttoria può essere effettuata anche con modalità informali. Per esempio, qualora sia opportuno un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento, l’amministrazione procedente può indire una conferenza dei servizi istruttoria (art. 14 comma 1 ) nella quale ciascuna amministrazione interessata può esprimere le proprie valutazioni. Delle attività istruttorie compiute e delle risultanze delle medesime viene dato conto attraverso la redazione di un verbale. L’istruttoria è aperta alla partecipazione di soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al procedimento (art. 10 1.n. 241/1990). Questi ultimi sono i soggetti ai quali l’amministrazione è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento. La partecipazione e l’intervento si sostanziano in due diritti. Il primo è quello di prendere visione degli atti del procedimento (c.d. accesso procedimentale) non esclusi dal diritto di accesso ai sensi delle norme generali. Il secondo consiste nella possibilità di presentare memorie scritte e documenti. Nel loro insieme essi concorrono a fondare il diritto alla partecipazione informata. L’amministrazione ha l’obbligo di valutare documenti e le memorie presentate e deve pertanto darne conto nella motivazione del provvedimento. Sotto il profilo organizzativo l’istruttoria è affidata al responsabile del procedimento, assegnato di volta in volta dal dirigente responsabile della struttura subito dopo l’apertura del procedimento. La nomina del responsabile del procedimento consente al cittadino di avere un interlocutore certo con il quale confrontarsi e rende meno spersonalizzato il rapporto con gli uffici. I compiti del responsabile del procedimento sono elencati nell’art.6 1.n. 241/1990 e includono tutte le attività propedeutiche all’emanazione del provvedimento finale e l’adozione di ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In aggiunta a quelle relative all’accertamento dei fatti, va richiamato il potere di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Emerge quindi una funzione di supporto nei confronti del soggetto privato che è spesso sfornito delle conoscenze e dell’esperienza necessaria. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento (o l’autorità competente ad emanare il provvedimento) è tenuto ad attivare una fase istruttoria complementare nei casi in cui, sulla base degli elementi già acquisiti sia orientato a proporre o ad adottare un provvedimento di rigetto dell’istanza (art. 10 — bis l.n. 241/1990). Al soggetto che l’ha proposta, e che ha dato dunque inizio al procedimento, deve essere data comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda (c.d. preavviso di rigetto). Entro 10 giorni l’interessato può presentare osservazioni scritte nel tentativo di superare le obiezioni formulate dall’amministrazione. L’eventuale provvedimento finale negativo che rigetta l’istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. Di norma il responsabile del procedimento non adotta il provvedimento finale, ma trasmette tutti gli atti, corredati da una relazione istruttoria, all’organo competente a emanare il provvedimento finale. Quest’ultimo si deve attenere alle risultanze dell’istruttoria. c) La conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi Conclusa l’istruttoria, l’organo competente ad emanare il provvedimento assume la decisione all’esito di una valutazione complessiva del materiale acquisito nel procedimento. Se il potere esercitato ha natura discrezionale, nella fase decisoria avviene la comparazione e ponderazione degli interessi propedeutica alla scelta finale tra più soluzioni alternative. L’art.2 ln. 241/1990 pone in capo all’amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Né il procedimento può essere indebitamente sospeso, rallentato o deviato dalla sua meta naturale, cioè il provvedimento amministrativo. Il c.d. arresto procedimentale è legittimo solo in casi eccezionali. Il provvedimento può essere emanato, a seconda dei casi, dal titolare di un organo individuale (come il sindaco o un ministro), oppure da un organo collegiale (giunta comunale, consiglio di amministrazione di un ente pubblico). Accanto ad atti semplici (o monostrutturati) è frequente nelle leggi amministrative il ricorso ad atti complessi (o pluristrutturati: es. il decreto interministeriale nel quale converge la volontà paritaria di una pluralità di amministrazioni). Con riferimento alla fase decisionale, i temi principali da approfondire sono: 1. il termine del procedimento e i rimedi in caso di mancato rispetto del termine; 2. il silenzio della P.A.; 3. l’accordo come modalità consensuale alternativa al provvedimento unilaterale. 1. Il termine del procedimento. Il provvedimento deve essere emanato entro il termine stabilito per lo specifico procedimento. L’art.2 pone una disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti che è generale e completa: generale, perché essa si applica là dove manchino disposizioni legislative speciale in tema di termini di conclusione del procedimento; completa, perché l’applicazione della medesima vale per tutte le fattispecie di procedimenti. L’art. 2 rimette anzitutto a ciascuna P.A., nei casi in cui i termini dei procedimenti da essi curati non siano già stabiliti per legge, l’obbligo di individuarli per ciascun tipo di procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici. Di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni. Se le amministrazioni non provvedono a porre una propria disciplina, si applica un termine generale residuale di 30 giorni. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni. Accanto ai termini relativi alla conclusione del procedimento individuati sulla base dell’art. 2 Ln. 241/1990 (termini finalî), le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti prevedono talora termini endoprocedimentali relativi ad adempimenti posti a carico di soggetti privati o relativi ad atti attribuiti alla competenza di altre amministrazioni (termini endoprocedimentali). I termini finali ed endoprocedimentali hanno di regola natura ordinatoria, perché la loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo (o nullo) il provvedimento finale emanato in ritardo. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come perentorio e a pena di decadenza il provvedimento tardivo è considerato viziato. Peraltro in alcune fattispecie di poteri che incidono negativamente su diritti di soggetti privati, la natura perentoria del termine si ricava in via interpretativa (es. in materia di beni culturali, il caso del potere dello Stato di esercitare la prelazione allorchè un privato intenda vendere un bene culturale ad un altro privato). I termini previsti per gli adempimenti a carico di soggetti privati nell’ambito del procedimento hanno invece di regola natura più cogente: il loro decorso fa decadere il soggetto privato dalla facoltà di porli in essere o in caso di inadempimento tardivo consente all’amministrazione di non tenerne conto. Il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può provocare conseguenze di vario tipo. Può far sorgere una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario o una responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura. Nei casi più patologici può essere fonte di responsabilità penale (art. 328 c.p. che disciplina il reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio). Il mancato rispetto del termine può costituire anche motivo per l’esercizio del potere sostitutivo da parte del dirigente sovraordinato (artt. 16, comma 1 lett. e), e 17, comma 1, lett. d), d.lgs. n.165/2001). Il potere sostitutivo è disciplinato anche dall’art. 2 ln. 241/1990. In primo luogo l’organo di governo di ciascuna amministrazione individua tra le figure apicali il soggetto (di regola un dirigente) titolare del potere sostitutivo (comma 9 —bis). In secondo luogo, in caso di ritardo, il privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo che deve concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto attraverso le strutture competenti o nominando un commissario ad acta. In terzo luogo, entro il 30 gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica all’organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine (art. 9 — quater) e ciò al fine di sensabilizzarlo e indurlo ad intraprendere le iniziative necessarie per risolvere questo tipo di problema. L’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento può anche far sorgere l’obbligo di risarcire il danno a favore del privato. Il comma 1 — bis dell’art. 2 — dis prevede, anche a prescindere dalla sussistenza dei presupposti per il risarcimento, il riconoscimento di un indennizzo automatico per il ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite da un regolamento (peraltro mai emanato). 2. Il silenzio. La conclusione del procedimento con l’emanazione del provvedimento espresso è l’evenienza prevista come fisiologica dalla 1.n. 241/1990. Tuttavia, può accadere che l’amministrazione non concluda il procedimento entro il termine previsto e la situazione di inerzia si protragga nel tempo. Si pone così la questione del silenzio della PA. Fino ad anni recenti il regime ordinario del silenzio della P.A. di fronte ad istanze o domande presentate da soggetti privati è stato quello del cd. silenzio — inadempimento ( o silenzio — rifiuto). In questi casi l’inerzia mantenuta oltre il termine assume un significato giuridico di inadempimento dell’obbligo formale di provvedere posto dall’art 2 ln. 241/1990, cioè di concludere il procedimento con un provvedimento vuoi di accoglimento, vuoi di rigetto dell’istanza. L’inadempimento di tale obbligo non far venir meno il potere-dovere di provvedere, considerata la natura, di regola ordinatoria, dei termini. Ciò significa che l’amministrazione può emanare il provvedimento anche in ritardo. Nei casi di silenzio- inadempimento il privato interessato può proporre al giudice amministrativo un’azione allo scopo di accertare l’obbligo di quest’ultima di provvedere, e un’azione di adempimento volta a condannare l’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto. La ln. 241/1990 prevedono due regimi di silenzio significativo: il silenzio - diniego (o rigetto) e il silenzio — assenso (o accoglimento). Il decorso del termine di conclusione del procedimento produce un effetto giuridico ex /ege, nel primo caso di diniego dell’istanza, nel secondo caso di accoglimento della medesima. In entrambi i casi il procedimento si conclude con quello che viene definito come provvedimento tacito. Le fattispecie di silenzio — diniego sono tassativamente stabilite dalla legge (per es., la l.n. 241/1990 ne prevede una a proposito del diritto di accesso ai documenti amministrativi. L’art. 25, comma 4, stabilisce infatti che decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta, questa si intende respinta). Le ipotesi di silenzio — assenso sono molte più numerose e disciplinate dall’art. 20 Ln. 241/1990. Il campo di applicazione del silenzio — assenso definito dall’art. 20 1.n. 241/1990 è individuato in base ad alcuni criteri di tipo negativo. Il regime non vale anzitutto nei casi di provvedimenti autorizzatori (di tipo vincolati) sostituiti dalla segnalazione certificata d’inizio di attività di cui all’art. 19, soggetti ad un regime di liberalizzazione. Non vale inoltre per i procedimenti che riguardano un elenco piuttosto lungo di interessi pubblici (comma 4): patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza. L’amministrazione può evitare che si formi il silenzio — assenso non soltanto provvedendo nel termine previsto, ma anche indicendo entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza una conferenza dei servizi. Può essere questo un modo agevole per l’amministrazione di guadagnare tempo. 1. La conferenza di servizi istruttoria è sempre facoltativa ed ha la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti medesime attività o risultati (conferenza di servizi interprocedimentale). HPI. Nel caso di procedimento attribuito alla competenza di una sola amministrazione, la conferenza di servizi serve a raccogliere in un unico contesto, e cono il confronto di tutti gli uffici interni interessati, gli elementi istruttori utili che saranno posti poi alla base della decisione finale adottata dall’organo competente ad emanare il provvedimento finale. HP2. Nel caso di conferenza di servizi interprocedimentale la convocazione è operata di regola dall’amministrazione che cura l’interesse pubblico prevalente. È da ritenere che le posizioni espresse in sede di conferenza non possano essere poi disattese in sede di emanazione dei singoli atti. 2. La conferenza di servizi decisoria è volta a sostituire i singoli atti volitivi o valutativi delle amministrazioni competenti ad emanare intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati, che devono essere acquisiti per legge da parte da parte dell’amministrazione procedente. La conferenza è convocata dall’amministrazione procedente, anche su richiesta del soggetto privato interessato, nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzativo che condizionano l’avvio di un'attività. La conferenza dei servizi si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amministrazione partecipante. Sulla base del verbale l’amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti. Di regola la conferenza si svolge in forma semplificata, cioè in modalità asincrona. In pratica, l’amministrazione procedente acquisisce entro termini stabiliti (decorsi i quali opera il silenzio — assenso tra amministrazioni) le determinazioni motivate (assenso, dissenso, proposta di modifica) di competenza di altre amministrazioni. La conferenza si conclude con una determinazione motivata. Se gli atti di dissenso pervenuti non possono essere superati, la conferenza si chiude nei procedimenti ad istanza di parte con il rigetto della domanda. La modalità asincrona contraddice in parte la logica di questo istituto, il cui pregio principale è quell’esame congiunto e contestuale delle questioni. Nel caso di determinazioni di particolare complessità, la conferenza dei servizi è convocata in forma simultanea e con modalità sincrona, convocando cioè una riunione alla quale sono invitate tutte le amministrazioni interessate. Gli aspetti più rilevanti della disciplina della conferenza dei servizi decisoria, che deve concludersi entro 45 giorni dalla data della riunione, sono due. 1. Il primo riguarda la partecipazione obbligatoria di tutte le amministrazioni invitate i cui partecipanti devono essere muniti dei poteri necessari per assumere determinazioni vincolanti. L’assenza della conferenza dei servizi regolarmente convocata determina un effetto di silenzio — assenso (art. 14 —fer, comma 7) in relazione all’atto attribuito alla competenza dell’amministrazione non partecipante. 2. Il secondo attiene al dissenso manifesto da una o più amministrazioni partecipanti alla conferenza dei servizi. La regola ora vigente è che la determinazione finale motivata all’esito della conferenza dei servizi adottata dall’amministrazione procedente è formulata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti. Esito 1 > In caso di approvazione unanime la determinazione è immediatamente efficace. Esito 2 > L'efficacia della determinazione finale è invece sospesa nel caso in cui i rappresentanti di amministrazioni che curano interessi pubblici ritenuti di rango primario propongono una opposizione al presidente del Consiglio dei ministri il quale convoca una riunione per cercare di trovare una soluzione condivisa. Se il dissenso non è superato, la determinazione finale viene rimessa al Consiglio dei ministri. 3. La conferenza dei servizi preliminare (art. 14, comma 3) può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi. Accanto alla conferenza di servizi l'ordinamento prevede altre forme di coordinamento. 1. Il Testo Unico sugli enti locali disciplina uno strumento di coordinamento simile alla conferenza di servizi decisoria costituito dall’ accordo di programma, promosso a seconda dei casi, dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco. È finalizzato alla definizione e attuazione di opere, interventi o programmi di intervento che coinvolgono una pluralità di amministrazioni. 2. La ln. 241/1990 prevede, in termini più generali, gli accordi tra P.A. come strumenti per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. L’oggetto di questi tipi di accordi è definito in modo volutamente generico (attività di interesse comune) e consente quindi di coprire una vastissima gamma di situazioni nelle quali le amministrazioni si trovino ad interagire. 3. Un altro strumento per attuare un coordinamento è la c.d. autorizzazione unica, nella quale confluiscono una pluralità di atti di assenso attribuiti alla competenza di più amministrazioni. 4. Uno strumento organizzativo concepito per rendere più agevole il coordinamento e semplificare i rapporti tra amministrazioni e soggetti privati è il c.d. sportello unico, cioè un ufficio istituito con la funzione di far da tramite tra questi ultimi e i vari uffici e amministrazioni competenti a emanare gli atti di assenso, i pareri e le valutazioni di volta in volta necessari. Tipi di procedimento: a) l'espropriazione per pubblica utilità Esaminiamo i provvedimenti che producono effetti restrittivi nella sfera giuridica del destinatario. I lprocedimento espropriativo originariamente era disciplinato dalla L.n. 2359/1865 (Espropriazione forzate per cause di utilità pubblica). L’espropriazione per motivi di interesse generale è richiamata anche nell’art. 42, comma 3 Cost. Oggi la materia è contenuta nel Testo unico in materia di espropriazioni (d.p.r. n. 327/2001) che prevede un procedimento suddiviso in 4 fasi: 1) l’apposizione di un vincolo finalizzato all’esproprio che consegue all’approvazione del piano urbanistico generale o a una variante; 2) la dichiarazione di pubblica utilità; 3) l'emanazione del decreto di esproprio; 4) la determinazione dell’indennità di esproprio. Il Testo unico enuncia anzitutto il principio di legalità precisando che l’espropriazione può essere disposta nei soli casi previsti dalla legge o dai regolamenti. Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni (Stato, regioni, comuni) competenti a realizzare un’opera pubblica. 1. Ilvincolo preordinato all’esproprio instaura un raccordo tra l’attività di pianificazione del territorio e il procedimento espropriativo. L’apposizione del vincolo è circondata da alcune garanzie. È infatti prevista la partecipazione dei proprietari ai quali deve essere inviato con congruo anticipo un avviso di avvio del procedimento affinchè essi possa formulare nei 30 giorni successivi le proprie osservazioni (art. 11). L'avviso deve essere comunicato personalmente agli interessati o, allorchè il numero degli destinatari sia superiore a 50, la comunicazione deve essere fatta mediante avviso pubblico. Quest’ultimo deve essere affisso all’albo pretorio dei comuni e pubblicato su uno o più quotidiani di diffusione nazionale e locale e sui siti informatici della regione allo scopo di garantire il massimo di pubblicità. Il vincola ha la durata di 5 anni ed entro questo termine deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilità. 2. La dichiarazione di pubblica utilità è volta ad accertare la conformità dell’opera da realizzare all’interesse pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà dei terreni sui quali è prevista la costruzione dell’opera. In molti casi la dichiarazione di pubblica utilità è implicita, perché costituisce uno degli effetti automatici prodotti da alcuni atti come l’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica, oppure l’approvazione del progetto particolareggiato o di lottizzazione. Si ritiene infatti che con questi atti risulti accertato în re ipsa l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera. La dichiarazione di pubblica utilità ha a sua volta efficacia limitata (5 anni, suscettibile di proroga, oppure il diverso termine apposto nella dichiarazione) e prima della scadenza del termine deve intervenire il decreto di esproprio. La scadenza del termine ha natura perentoria e comporta l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. 3. Ildecreto di esproprio determina il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato al soggetto nel cui interesse il procedimento è stato avviato. L’efficacia del provvedimento non è immediata, ma è subordinata a due condizioni sospensive. Infatti, l’effetto traslativo si produce in seguito alla notifica e all’esecuzione del decreto, che deve avvenire nel termine perentorio di due anni mediante l'immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio. 4. Il decreto di esproprio deve indicare l’importo dell’indennità che è quantificato all’esito di una fase in contraddittorio con gli interessati. L’autorità procedente, valutate le osservazioni degli interessati, determina in via provvisoria la misura dell’indennità. Nei 30 giorni successivi i privati possono comunicare all’autorità espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla proposta. In questa ipotesi il beneficiario dell’espropriazione il proprietario possono stipulare la cessione volontaria del bene, con il pagamento immediato dell’indennità concordata. Se il privato non accetta la proposta, o comunque trascorsi i 30 giorni dalla notifica dell’atto che determina l’indennità provvisoria, l’autorità competente emana il decreto di esproprio e deposita l’indennità provvisoria rifiutata presso la Cassa depositi e prestiti. Da questo momento in poi il procedimento per la determinazione in via definitiva dell’indennità ha uno svolgimento autonomo, con un’ulteriore fase in contraddittorio. Se anche all’esito di quest’ultimo contraddittorio, il proprietario intende ancora contestare può avviare un procedimento innanzi alla Corte d’appello per ottenere una determinazione in via giudiziale dell’indennità. Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente unilaterale. Tuttavia, l’ordinamento tende a favorire soluzioni consensuali attraverso l’istituto della cessione volontaria del bene. Quest’ultima è configurata come un diritto soggettivo dell’espropriando nei confronti del beneficiario dell’espropriazione che può essere esercitato fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio (art. 45). I vantaggi per l’espropriando sono essenzialmente di tipo economico, visto che il prezzo di cessione è commisurato all’indennità di esproprio con alcune maggiorazioni. La vicenda espropriativa può dar luogo al fenomeno dei procedimenti collegati in parallelo. Infatti, subito dopo che sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità e prima dell’emanazione del decreto di esproprio, l’amministrazione può avviare il procedimento di occupazione d’urgenza al fine di acquisire immediatamente la disponibilità materiale del bene e di intraprendere i lavori di realizzazione dell’opera pubblica (art. 22 — bis). L’occupazione d’urgenza può avvenire in 3 casi: 1. Allorchè l’amministrazione ritenga che l’avvio dei lavori rivesta carattere d’urgenza tale da non consentire il perfezionamento del procedimento ordinario; 2. In relazione ai progetti delle grande opere pubbliche previste dalla c.d. legge obiettivo per le quali l’urgenza è già accertata per legge; 3. Allorchè la procedura espropriativa riguardi più di 50 proprietari. Anche il procedimento di occupazione d’urgenza si svolge in contraddittorio con i proprietari interessati nella fase di immissione nel possesso dei beni. Nel caso di sanzioni irrogate a dipendenti esclusi dal regime di privatizzazione, la giurisdizione è del giudice amministrativo. c) Le autorizzazioni. Il permesso a costruire e la valutazione di impatto ambientale Tra i procedimenti che si concludono con provvedimenti che producono effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, vi è la disciplina delle autorizzazioni che ricadono nel campo di applicazione della direttiva Ce 123/2006 relativa ai servizi di mercato interno. La disciplina europea è una disciplina generale che vale per tutte le autorizzazioni e prevede innanzitutto il principio secondo il quale le procedure e le formalità per l’accesso a un’attività di servizi devono essere sufficientemente semplici. Gli Stati membri devono istituire sportelli unici presso i quali gli interessati possono espletare le procedure e acquisire le informazioni. Deve essere garantita la possibilità di effettuare gli adempimenti a distanza e per via elettronica. La domanda di autorizzazione deve essere trattata con la massima sollecitudine e comunque entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente. La mancata risposta entro il termine stabilito fa scattare il silenzio — assenso. Ogni domanda di autorizzazione deve essere riscontrata con una ricevuta inviata al richiedente. Se una domanda è incompleta, i chiedenti sono informati quanto prima della necessità di presentare ulteriori documenti. Le istanze, le segnalazioni e comunicazioni devono essere protocollate e deve essere rilasciata una ricevuta, anche in via telematica. Le singole leggi amministrative che individuano regimi autorizzatori prevedono sequenze procedimentali più o meno articolate. Un esempio di procedimento autorizzatorio disciplinato dal diritto interno è quello relativo al rilascio del permesso a costruire disciplinato dal d.p.r. n. 380/2001. Il procedimento si apre con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del comune una domanda sottoscritta dal proprietario. La domanda deve essere corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali, da altra documentazione tecnica. Entro 10 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento. Quest’ultima ne cura l’istruttoria acquisendo i pareri interni degli uffici comunali, dei vigili del fuoco. All’esito dell’istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento formula una proposta al dirigente del servizio il quale nei successivi 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Della determinazione è dato avviso pubblico mediante affissione all’albo pretorio. Decorsi i termini sopra menzionati si intende formato il silenzio — rifiuto (art. 20, comma 9). L’interessato può a questo punto proporre un ricorso in sede giurisdizionale. In alternativa, può richiedere, con un’istanza formale avente valore di diffida, che il dirigente si pronunci entro 15 giorni. Decorso inutilmente tale termine, l’interessato può chiedere alla regione di esercitare il potere sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta che provvede nel termine di 60 giorni. In materia edilizia, molti interventi di minor impatto sono sottoposti a regimi semplificati di segnalazione certificata d’inizio di attività. Un altro procedimento, a struttura complessa, è la valutazione di impatto ambientale (VIA). Esso deve essere avviato da chi intende realizzare progetti con un impatto elevato sul territorio. d) I procedimenti concorsuali Nei procedimenti di tipo competitivo o concorsuale per assegnare una risorsa scarsa valgono alcuni principi generali: la pubblicità che consente a tutti i potenziali interessati di avere notizia della procedura che sta per essere avviata; la parità di trattamento (o della par condicio), che mira a porre sullo stesso piano tutti gli aspiranti; la trasparenza della procedura, che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri di selezione; l’oggettività dei criteri, che richiede parametri e criteri predeterminati che limitino la discrezionalità. e) L’accesso ai documenti amministrativi I profili procedimentali del diritto di accesso sono disciplinati oltre che dalla l.n. 241/1990 anche dal d.p.r. n. 184/2006. La richiesta di accesso ex artt. 22 ss. ln. 241/1990 va rivolta ad una P.A. e può riferirsi soltanto a documenti ben individuati e già formati. Il d.p.r. 184/2006 distingue due modalità di accesso: formale e informale. L’accesso informale si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di riservatezza. La richiesta può essere anche verbale, è esaminata immediatamente e senza formalità ed è accolta senza l’adozione di un particolare atto, ma, più semplicemente, mediante l’esibizione del documento o l’estrazione di copia. L’accesso formale è necessario nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati, o quando sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo dell’interesse diretto, concreto e attuale connesso all’oggetto della richiesta che fa sorgere in capo al richiedente una situazione giuridica soggettiva individualizzata. Il procedimento prevede anche una fase in contraddittorio con i soggetti controinteressati. L’accesso è gratuito e consiste nell’esame dei documenti presso l’ufficio con la presenza, ove ritenuta necessaria, di personale addetto. L’accesso è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata. È consentito prendere appunti oppure trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in visione. La copia dei documenti è rilasciata dietro il pagamento, di regola, del solo rimborso del costo di riproduzione. Il procedimento di accesso deve concludersi entro 30 giorni dalla richiesta. Decorso il termine la richiesta si intende respinta (c.d. silenzio — diniego). Il provvedimento che rifiuta, limita o differisce l’accesso deve essere motivato. L’atto di accoglimento della richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 giorni) concesso per prendere visione o per ottenere copia dei documenti. Il procedimento può concludersi, oltre che con un provvedimento che concede o nega l’accesso, anche con un provvedimento che dispone il differimento dell’accesso. Quest’ultimo si giustifica nei casi in cui l’accesso possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa, fermo restando che una volta concluso il procedimento non vi è alcuna ragione per non rendere disponibile agli interessati l’intera documentazione. Contro il diniego espresso o tacito (ma anche contro il differimento) può essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 giorni innanzi al giudice amministrativo (investito della giurisdizione esclusiva). Il processo segue un rito speciale accelerato che si può concludere con una sentenza di condanna che ordina l’esibizione dei documenti richiesti. In alternativa al ricorso giurisdizionale, la l.n. 241/1990 prevede un ricorso di tipo amministrativo esperibile, a seconda dei casi, davanti al difensore civico o alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che si devono pronunciare entro 30 giorni. Decorso inutilmente tale termine, il ricorso s’intende respinto e può essere proposto ricorso giurisdizionale. Se ritengono illegittimi il diniego o il differimento dell’accesso, il difensore civico o la Commissione lo comunicano all’autorità amministrativa. Se quest’ultima non emana un provvedimento confermativo motivato entro 30 giorni, l’accesso è consentito, cioè si forma il silenzio — assenso. L’accesso civico (ex art. 5 d.lgs. 33/2013) si caratterizza per il fatto di non richiedere la titolarità di una situazione giuridica soggettiva in capo al richiedente. La richiesta di accesso civico non riguardante documenti la cui pubblicazione è obbligatoria deve essere comunicata dall’amministrazione a eventuali controinteressati che possono presentare una opposizione motivata. Il procedimento deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di 30 giorni (comma 6). Nel caso di diniego il richiedente può presentare una richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. CAPITOLO 6 I CONTROLLI 1. Premesse Definizione di controllo + consiste in un monitoraggio dell'attività posta in essere dalle strutture operative di una organizzazione * viene svolta in via accessoria e strumentale alle funzioni principali dell'organizzazione Le p.a sono sottoposte ad un sistema di controlli + volti a verificare se il loro funzionamento è orientato agli interessi pubblici ed al principio di legalità: * l'attività di controllo spetta ad un organo insediato presso le p.a * l'attività di vigilanza e controllo è esercitata anche nei confronti di soggetti terzi privati — al fine di proteggere interessi pubblici messi a rischio dalle attività di questi (es il nucleo antisofisticazione dell'arma dei carabinieri) Le tipologie di controlli + vengono identificate in base a dei criteri standard: 1. il criterio del soggetto titolare del potere di controllo * inbasea questo criterio i soggetti titolari del potere devono trovarsi in una posizione di indipendenza e terzietà rispetto al destinatario del controllo © l'organo per eccellenza che ricopre tale carica è la Corte dei Conti (che si pone al di fuori dall'organo controllato) che secondo la Costituzione ex art. 100 esercita: un controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo + controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato + controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria 2. il criterio dei destinatari del controllo * inbasea questo criterio si distinguono due tipologie di controlli: © controlli intemi — quando i destinatari e controllori appartengono alla medesima organizzazione; © controlli esterni + quando i destinatari e controllori appartengono a organizzazioni differenti (come il la Corte dei Conti nei confronti delle amministrazioni statali o la CONSOB nei confronti delle società quotate in borsa) 3. il criterio dell'oggetto del controllo * inbasea questo criterio si distinguono due tipologie di controlli: © controllo sugli atti + che riguarda il singolo atto emanato dall'amministrazione © controllo sull'attività + che riguarda il complesso dell'attività e i risultati conseguiti da un apparato 4. il criterio dello standard di valutazione esercitato dall'organo: * inbasea questo criterio si distinguono due tipologie di controlli: 3. I controlli gestionali Sono dei controlli obbligatori per tutte le amministrazioni statali e non statali + disciplinati dal dlgs 286/1999 + e sono di 4 tipologie 1. controllo di regolarità amministrativa e contabile * servea verificare la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa © è esercitato dagli uffici di ragioneria (nei ministeri) o agli organi di revisione (negli enti locali) 2. controllo di gestione * serve a verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa > con particolare riferimento al rapporto tra costi e risultati © è esercitato da un organismo di supporto dei dirigenti 3. valutazione della dirigenza pubblica «è uncontrollo periodico annuale + avente ad oggetto la valutazione delle prestazioni dei dirigenti (anche sulla base dei risultati del controllo di gestione) 4. controllo strategico * è un controllo volto a verificare l'adeguatezza delle scelte compiute in attuazione dei piani-programmi-strumenti di determinazione dell'indirizzo politico + con i risultati conseguiti © in poche parole serve a verificare se vi è congruenza tra il contenuto degli atti (piani-programmi-strumenti) e le scelte attuate: ad esempio la congruenza con le missioni affidate, le scelte operative effettuate, le risorse umane e finanziarie assegnate. CAPITOLO 7 LA RESPONSABILITA' 1. PREMESSA Fonti della responsabilità della pubblica amministrazione in tema di responsabilità: 1) nell'ordinamento italiano, già prima della Costituzione, esisteva la tesi secondo cui + la pubblica amministrazione era responsabile verso i terzi in relazione agli atti di gestione; 2) trattato sul funzionamento dell'Unione Europea ex art 340 — in materia di responsabilità extracontrattuale l'unione delle risarcire i danni cagionati dalle sue istituzioni o dei suoi agenti nell'esercizio delle sue funzioni; 2. L'ART. 28 DELLA COSTITUZIONE 3) Costituzione art. 28 — i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili (civile-penale-amm.va) degli atti compiuti in violazione di diritti * intali situazioni la responsabilità si estende allo Stato e all'ente pubblico di appartenenza Problemi generati dall'art. 28 (!)- Ad una prima lettura sembrerebbe sussistere una responsabilità su due livelli: a livello primario responsabilità personale del dipendente; in via sussidiaria della pubblica amministrazione * tale problema è stato generato dai padri costituenti i quali volevano creare un modello di na responsabilità di rango costituzionale per lesione di diritti fondamentali — tuttavia gli emendamenti introdotti snaturarono l'articolo © è servito l'aiuto dell'interpretazione per delineare la natura di codesta responsabilità: una lettura corretta dell'articolo 28 ritiene che il dipendente e l'amministrazione rispondono in via solidale (sarà poi l'amministrazione a rivalersi in via di regresso sul dipendente) 3. LA RESPONSABILITA' CIVILE DA COMPORTAMENTO ILLECITO La responsabilità civile della pubblica amministrazione è retta da tre regole principali: 1) tra amministrazione e dipendente pubblico intercorre una responsabilità di carattere solidale — il danneggiato può attivarsi indistintamente sia contro il dipendente, sia contro l'amministrazione, sia contro entrambe; 2) il dipendente risponde personalmente solo per dolo o colpa grave (se non sussistono tali elementi non c'è la sua responsabilità personale); la pubblica amministrazione qualora fosse chiamata a risarcire il danno, deve rifondere anche nelle ipotesi di colpa lieve; 3) l'amministrazione una volta risarcito il terzo — può esercitare nei confronti del suo dipendente azione di regresso. L'illecito civile ex art. 2043 cc cagionato dalla p.a. è caratterizzato da alcuni elementi propri rispetto alle regole di diritto comune: 1. la condotta + la responsabilità sorge in presenza del compimento di atti o operazioni e in caso di comportamenti omissivi; * inoltre configura condotta illecita anche il c.d. mero comportamento (es. il danno cagionato ad un autoveicolo a causa della difettosa manutenzione della strada) l'imputabilità (vale lo stesso principio del c.c.) + la condotta illecita deve essere riconducibile all'agente capace di intendere e di volere al momento in cui la condotta è posta in essere; tra il soggetto dell'amministrazione e l'amministrazione stessa deve intercorre un rapporto > di immedesimazione organica: * tale rapporto si può spezzare solo se l'agente agisce per finalità proprie il nesso di causalità + deve intercorre tra le mansioni pubbliche del dipendente e l'attività illecita: * il comportamento illecito deve inserirsi nell'insieme delle attività pubbliche che è chiamato a svolgere per l'espletamento dei fini istituzionali dell'ente; la colpa — rappresenta l'aspetto più delicato della responsabilità dell'amministrazione: come possono configurarsi ipotesi di colpa nel settore della discrezionalità amministrativa? * la risposta è offerta dalla giurisprudenza + anche nell'esercizio di attività discrezionali la p.a è tenuta al rispetto del principio generale del neminem laedere il danno ingiusto: l'aspetto del danno ingiusto ha subito una importante modifica con la sentenza della Corte di Cassazione 500/1999: * prima della sentenza + il danno ingiusto era solo quello conseguente alla lesione di un diritto soggettivo © in tal modo veniva esclusa totalmente la risarcibilità dei danni cagionati da provvedimenti illegittimi (e quindi lesivi di interessi legittimi) * dopola sentenza: o sentenza fondamentale nell'ordinamento italiano + per la prima volta si è stabilita la risarcibilità del danno provocato da provvedimento amministrativo illegittimo! = la Cassazione per arrivare a ciò ha rielaborato il concetto di danno ingiusto ex art. 2043 cc + per risarcire il danno non bisogna più guardare esclusivamente alla lesione di un diritto soggettivo — il danno è risarcibile nei casi in cui sia riscontrabile una lesione di un interesse giuridicamente rilevante, compresi gli interessi legittimi = si ha lesione di un interesse giuridicamente rilevante + quando questo lede ‘un interesse strettamente collegato al bene della vita: * caso di difficile interpretazione riguarda il risarcimento di un interesse legittimo pretensivo + la valutazione se questo sia un interesse giuridicamente rilevante richiede un valutazione denominata “giudizio prognostico”: ® tale giudizio è così condotto ex ante cercando di capire se l'interessato che ha depositato l'istanza nel procedimento amm.vo + sia titolare di una mera aspettativa (non tutelabile) * maanche il danno cagionato da un soggetto alle amministrazioni o enti cui non appartiene: caso emblematico il danno del dipendente pubblico distaccato o comandato presso un'altra amministrazione La quantificazione del danno * per la quantificazione del danno bisogna tener conto + del decremento patrimoniale (o mancata entrata) da parte dell'amministrazione © a tale quantificazione può aggiungersi anche il danno all'immagine subito dall'amministrazione * nella quantificazione del danno opera l'istituto del c.d potere riduttivo ex art. 52 Testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti: © la Corte dei Conti può modulare (dopo aver accertato il danno) l'importo dovuto dal dipendente in relazione alle sue finanze: si pensi al caso di un militare che per imperizia distrugge un aereo o un mezzo blindato CAPITOLO 8 L'ORGANIZZAZIONE 1. Nozione, fonti normative e principi generali L'organizzazione pubblica è disciplinata nel nostro ordinamento da una pluralità di fonti: * alivello Costituzionale: o art. 97 Cost — sia l'attività che l'organizzazione della p.a devono ispirarsi ai criteri dell'imparzialità e del buona andamento; art. 97 comma 2 + l'ordinamento degli uffici determina: le sfere di competenza + le attribuzioni + la responsabilità dei propri funzionari; © art. 5 Cost principio autonomistico (vedi dopo) © art. 114 + che individua i diversi livelli di governo e chiarisce che la Repubblica è costituita dai comuni-province-città metropolitane-regioni-Stato © tutto i Titolo V + è dedicato all'organizzazione ed ai poteri di regioni-province-comuni * alivello legislativo primario: esistono diverse fonti che disciplinano l'organizzazione dei ministeri e della presidenza del Consiglio dei Ministri — leggi 300 e 303 del 1999 legge che disciplina l'organizzazione degli enti locali + dlgs 267/2000 © l'attuazione delle disposizioni di livello legislativo + è rimessa a fonti normative sublegislative e fonti aventi natura non normativa: l'organizzazione dello Stato ha la fonte: * nei regolamenti governativi (es legge 400/1988 attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) * in atti organi organizzativi interni che indicano le linee fondamentali dell'organizzazione degli uffici» emanati secondo i rispettivi ordinamenti (secondo i loro statuti o regolamenti) * digs 300/1999 — che si occupa dell'organizzazione dei ministeri (individua le strutture di primo livello (dipartimenti e direzioni generali) + disciplina le agenzie + individua le singole attribuzioni dei ministeri) * regolamenti di delegificazione — che individuano gli uffici dirigenziali e definiscono le piante organiche * decreti ministeriali di natura non regolamentare + che definiscono i compiti delle unità dirigenziali l'organizzazione sub-statale: * èrimessaa statuti e leggi regionali l'organizzazione di comuni e province * èrimessa allo statuto Sia le fonti costituzionali che le fonti legislative hanno in comune alcuni principi cardine della disciplina dell'organizzazione: * principio del buon andamento © per esempio nelle disposizioni che prevedono il reclutamento del personale in base a concorso e secondo effettive esigenze rappresentate da piante organiche * principio di imparzialità © tutte quelle regole volte a far si che la politica non si ingerisca nell'amministrazione * principio di pubblicità e trasparenza (riferito al procedimento amministrativo) © per esempio il dlgs 33/2013 impone alle p.a di pubblicare sui propri siti le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione * principio autonomistico (ex art. 5 Cost) © irapporti tralo Stato e le regioni non sono ispirati a criteri di centralismo amministrativo e preminenza dello Stato sugli altri apparati — viene lasciata autonomia agli enti territoriali in determinati campi, compresa l'organizzazione degli apparati 2. Persone giuridiche, organi e uffici Quando si parla di persone giuridiche in campo pubblicistico + la fonte da tenere presente è l'art. 11 cc * èunarticolo secondo cui + province — comuni — enti pubblici: © sono riconosciuti come persone giuridiche © ma godono dei diritti (stabiliti dalle leggi e dagli usi) di diritto pubblico + vuol dire che hanno la medesima capacità giuridica delle persone giuridiche private SALVO il regime derogatorio previsto da norme speciali La struttura dell'organizzazione pubblica ruota attorno a 3 concetti fondamentali: persona giuridica; organo; persona fisica dell'organo. 1. Personalità giuridica © le persone giuridiche pubbliche (come le private) si distinguono a seconda che abbiamo struttura associativa (ove prevale l'elemento personale: le federazioni sportive, le camere di commercio industria e artigianato) o struttura con natura patrimoniale (aziende sanitarie, enti previdenziali...); ©. per quanto riguarda l'istituzione degli enti pubblici distinguiamo 2 modalità: = perlegge— nelcaso dienti a statuto singolare (enti disciplinati da una legge ad hoc come il CONI e l'ISTAT) = per delibera amministrativa + per gli enti previsti da una legge generale (le università o le camere di commercio) 3. Le amministrazioni pubbliche Nel nostro ordinamento manca una definizione legislativa di pubblica amministrazione alla quale sia possibile ricollegare un complesso omogeneo di regole e principi: * diverse definizioni sono espresse dalle leggi di settore in base al loro campo soggettivo di applicazione + da queste è possibile trarre in via interpretativa un elenco di amministrazioni in senso stretto: © amministrazioni dello stato + le regioni + gli enti locali + gli enti pubblici non economici + le autorità indipendenti I settori speciali da dove emerge la nozione di pubblica amministrazione sono: il pubblico impiego, il procedimento amministrativo, i contratti pubblici, la finanza pubblica, il patto di stabilità. * digs 165/2001 pubblico impiego + che pone la disciplina dell'organizzazione dei pubblici uffici e dei rapporti di lavoro © l'ambito di applicazione definisce come pubbliche amministrazioni un elenco tassativo di enti —> le amministrazioni dello stato + gli enti territoriali + una serie di enti pubblici specifici (come università ed aziende del servizio sanitario) * legge 241/1990 legge sul procedimento amministrativo © l'ambito di applicazione ex art 29 + menziona le amministrazioni statali + gli enti pubblici nazionali + le regioni + gli enti locali * dIgs 50/2016 codice dei contratti pubblici © per quanto riguarda le parti dei contratti pubblici menziona diversi soggetti + soggetti aggiudicatari + enti aggiudicatori + amministrazioni aggiudicartici + stazione appaltante + imprese pubbliche * patto di stabilità concordato in sede europea + che vincola gli Stati a porsi obiettivi di pareggio di bilancio © l'Italia ha approvato il patto di stabilità interno con legge 448/1998 + la quale attribuisce al governo gli strumenti per vincolare regioni ed enti locali agli obiettivi di finanza pubblica = le pubbliche amministrazioni cui si applica la legge 448/1998 sono individuate dall'ISTAT e sono riportate con aggiornamenti periodici in Gazzetta Ufficiale In conclusione, non essendo possibile dare una definizione compiuta di pubblica amministrazione, è almeno possibile sintetizzare i caratteri comuni a tutte: * tutte le amministrazioni producono beni pubblici materiali o immateriali che il mercato non è in grado di fornire e garantire in maniera adeguata (si pensi all'ordine pubblico — sicurezza — istruzione) con finalità anche redistributive + il cui finanziamento è prevalentemente a carico della collettività A questo punto è possibile dare conto dei principali apparati e enti pubblici: lo Stato e gli enti territoriali. 4. Lo Stato La struttura amministrativa portante dello Stato sono i ministeri + al cui vertice si colloca il ministro quale punto di raccordo tra politica e amministrazione * in precedenza + erano organizzati secondo criteri gerarchici * oggi— sonotregolati secondo il principio della distinzione tra politica e amministrazione Fonti art. 95 comma 4 Cost — spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri: * digs 300/1999 detta la disciplina generale dei ministeri (con le numerose devoluzioni delle competenze amministrative statali a regioni ed enti locali: c.d. federalismo amministrativo): © contiene l'elenco completo dei ministeri e le singole attribuzioni nelle aree funzionali © art. 6 dispone che in tutti i ministeri sono istituti uffici che collaborano direttamente con il ministro (gabinetto — segreteria tecnica — ufficio legislativo) * legge 400/1988 art 17 — ciascun ministero è disciplinato da un regolamento governativo che ne specifica l'organizzazione + la dotazione organica + individua gli uffici dirigenziali * accanto ai ministeri elencati dal dlgs 300/1999 + possono essere assegnati ai singoli uffici o dipartimenti della presidenza del Consiglio dei ministri + i ministri senza portafoglio © tali ministri non sono a capo di un dicastero (di un ministero in senso stretto) > ma esercitano funzioni in virtù di delega dal presidente del CDM I ministeri possono essere di 2 tipologie + a seconda della struttura di primo livello che li compone: 1. modello dipartimentale + adottato dai ministeri con pluralità di ambiti di intervento = i dipartimenti + assicurano assicurano il coordinamento di grandi aree di materie omogenee: al vertice di ogni dipartimento c'è un capo dipartimento che attua gli indirizzi di governo e coordina gli uffici del suo dipartimento * il capo dipartimento + è una nomina fiduciaria tramite decreto del presidente della Repubblica previa deliberazione del CDM 2. modello per direzioni generali + adottato da ministeri con competenze circoscritte = le direzioni generali + sono singoli uffici coordinati tra di loro da un segretario generale che funge da raccordo tra i dirigenti ed il ministro I ministeri hanno anche strutture periferiche a livello provinciale (o regionale) + che realizzano il decentramento burocratico: * la Prefettura — ufficio territoriale di governo con compiti di assicurare il corretto esercizio dell'azione amministrativa degli enti locali © adessa è preposto il Prefetto + sottoposto alle direttive del presidente del CDM e dei singoli ministri (art. 11 dlgs 300/1999) © ilraccordo dell'azione amministrativa a livello regionale + è assicurato dal commissario di governo con sede nel capoluogo di regione * iprovveditorati agli studi * la direzione provinciale del tesoro * la direzione regionale delle entrate L'organizzazione dei ministeri si completa con le agenzie (dlgs 300/1999): * le agenzie — sono strutture preposte ad attività di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale © inabito operativo godono di ampia autonomia: = sono disciplinate da un uno statuto approvato con regolamento governativo © sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un ministro = i rapporti tra il direttore dell'agenzia ed il ministro sono regolati da un convenzione — la quale contiene i risultati attesi + gli obiettivi © esempi di agenzia: Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture ©. particolare agenzia + Agenzia del demanio = preposta alla gestione e valorizzazione dei beni del demanio e del patrimonio dello Stato — ha personalità giuridica di diritto pubblico autonoma (le altre agenzie no) * ha natura di ente pubblico economico + in quanto ad essa spetta la gestione dei beni immobili e di trarre un ricavato Assimilabile per autonomia e flessibilità organizzativa ai ministeri c'è — la presidenza del Consiglio dei ministri * è strutturata in dipartimenti e uffici > posti alle dipendenze di un segretario generale che si occupa di organizzare le risorse umane e strutturali © le singole strutture si occupano di curare i rapporti tra la presidenza e il parlamento, gli altri organi costituzionali, le istituzioni europee, le autonomie * concerne la presidenza dei consiglio dei ministri + l'avvocatura dello Stato © organo ausiliario dello Stato di rango non costituzionale con funzione di consulenza generale e rappresentanza legale I comuni cooperano tra di loro + il Tuel ex art. 30 prevede delle convenzioni per l'esercizio coordinato di funzioni e servizi: * i consorzi art. 31 — per l'esercizio associato di funzioni (amministrati da una assemblea degli enti) * le unioni di comuni art. 32— per l'esercizio in comune di una pluralità di funzioni © es le comunità montane per la valorizzazione delle zone montane + che esercitano funzioni delegate dai comuni di organizzazione di piani ed opere d'intervento LA PROVINCIA * la provincia — è l'ente intermedio tra regione e comune © esercitano funzioni amministrative assai limitate (a seguito della ridefinizione operata dalla legge 135/2012) — ricomprese nell'area della programmazione e sotto l'indirizzo regionale: ® pianificazione territoriale provinciale = tutela e valorizzazione dell'ambiente ®_ pianificazione dei trasporti in ambito provinciale = regolazione della circolazione provinciale © alle provincie aspettano anche attività più concrete di gestione: = costruzione e gestione delle strade provinciali = gestione dell'edilizia scolastica = promozioni delle pari opportunità © inoltre ai sensi dell'art. 118 (sussidiarietà verticale) + Stato e regioni possono delegare alle province ulteriori funzioni * gli organi di governo della provincia © presidente della provincia © consiglio provinciale o assemblea dei sindaci LE CITTA' METROPOLITANE * le città metropolitane ex art. 114 Cost + art. 22 ss Tuel + istituite solo con le leggi 135/2012 e 56/2014 © assorbono le funzioni della provincia in quelle aree caratterizzate dalle presenza dei comuni italiani più popolosi * organi digoverno delle città metropolitane: © il sindaco metropolitano © il consiglio metropolitano © la conferenza metropolitana * le funzioni © le città metropolitane hanno le funzioni tipiche delle province + ed altre funzioni particolari necessarie a gestire i grandi conglomerati urbani: = adottano un piano strategico del territorio metropolitano triennale = pianificazione generale del territorio = mobilità e viabilità = promozione dello sviluppo economico e sociale LE REGIONI (cenni) * icenni sulle regioni vanno tratti dalle disposizioni costituzionali: o art 121 — gli organi di governo regionali: il consiglio regionale — la giunta — il presidente eletto direttamente dalla popolazione art 122 — le regioni possono disciplinare con legge regionale il sistema di elezione delle proprie cariche art 123 — lo statuto individua la forma di governo regionale e i principi di funzionamento e organizzazione art 126 comma 1 — con decreto motivato del presidente della Repubblica può essere sciolto il consiglio regionale e rimosso il presidente: per atti contrati alla Costituzione; per gravi violazioni di legge; per motivi di sicurezza nazionale art 120 comma 2 — il governo è titolare di un potere sostitutivo nei confronti degli organi delle regioni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica 6. Gli enti pubblici Gli enti pubblici vengono classificati secondo diverse tipologie: * primadistinzione a seconda della fonte che gli istituisce: 1 2. enti pubblici disciplinati da leggi generali * es le camere di commercio, industria e artigianato; le aziende sanitarie locali; le università enti pubblici disciplinati da legge ad hoc (o anche a statuto singolare) * es: l'ENAC ente nazionale di assistenza al volo, CONI comitato olimpico nazionale italiano; ISTAT istituto nazionale di statistica, ANPA agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente * seconda distinzione a seconda del livello in cui sono istituti 1. enti pubblici nazionali 2. enti pubblici regionali * esaziende sanitarie locali * terza distinzione a seconda della prevalenza dell'elemento associativo o patrimoniale 1. enti pubblici di tipo associativo * rappresentano gli interessi di categorie o gruppi di persone: es le camere di commercio 2. enti pubblici di tipo non associativo * sono enti con natura patrimoniale e gestiti da un consiglio di amministrazione * quarta distinzione a seconda se operano o meno nel mercato 1. enti pubblici non economici * istituiti per realizzare uno scopo specifico (e non una vocazione generale) © devono sottostare a penetranti poteri di vigilanza e indirizzo da parte dei ministeri o delle regioni © illoro sostentamento proviene essenzialmente da fonti erariali © laloro attività è esercitata mediante atti amministrativi di natura autoritativa 2. enti pubblici economici * la caratteristica principale + svolgono attività avente natura imprenditoriale regolata dal diritto privato pur se la loro organizzazione è retta dal regime pubblicistico ©. peril fatto che la loro organizzazione ha natura pubblicistica + sono sottoposti a poteri di indirizzo e controllo da parte dei ministeri (o altri soggetti della p.a) * in passato erano numerosi (IRI-ENI-EFIM-ENEL-FERROVIE DELLO STATO- POSTE) — poi oggetto di privatizzazione negli atti ottanta e novanta che li ha trasformati in società per azioni * unesempio ancora in piedi oggi — l'Agenzia delle entrate-riscossione 7. Le autorità amministrative indipendenti Le autorità amministrative indipendenti + sono una categoria di enti pubblici: * chesi connotano + per elevato tasso di tecnicità e professionalità + indipendenza dal potere esecutivo Lo studio delle autorità indipendenti prevede l'analisi di 4 loro aspetti gestire le diverse partecipazioni statali + IRI-ENI-EFIM (enti pubblici economici) i reali titolari in modo diretto o indiretto delle azioni nelle società pubbliche, aventi diritto di voto e potere di nomina degli amministratori!) 2. la privatizzazione formale degli enti pubblici a partire dagli anni Novanta del '900 * le sorti degli enti pubblici economici che gestivano le partecipazioni statali cambiarono: © alcuni vennero trasformati in società per azioni (c.d privatizzazione fredda) > con attribuzione della titolarità delle azioni allo Stato © altri vennero ceduti ad azionisti privati (c.d privatizzazione calda) + come i casi dell'ENEL e ENI 3. la fuoriuscita di attività che prima venivano svolte direttamente dall'amministrazione * sempre negli anni Novanta — si è verificato il fenomeno delle c.d esternalizzazioni © alcune p.a hanno ritenuto affidare a società (esterne) da esse controllate > attività che invece venivano organizzate al proprio interno = ad esempio la SOGEI che cura per conto del ministero dell'economia la riscossione delle imposte Le società a partecipazione pubblica hanno visto un riordino della disciplina + con la riforma Madia della pubblica amministrazione (dlgs 19 agosto 2016 n. 175) * la riforma è retta dal principio cardine di — fermare il proliferare delle società a partecipazione pubblica © le società a partecipazione pubblica —> hanno il divieto di costituire società + acquisire o mantenere azioni in società commerciali aventi ad oggetto la produzione di beni o servizi non necessari per il perseguimento di finalità istituzionali o le amministrazioni pubbliche che intendono costituire o acquisire una partecipazione societaria (le azioni) —> devono adottare un atto deliberativo che giustifichi la necessità di partecipazione e la congruenza con il perseguimento dei propri fini istituzionali = le delibere devono essere inviate alla Corte dei Conti e all'Autorità garante della concorrenza e del mercato * la riforma stabilisce la disciplina dello Stato azionista + delineando le modalità che le pubbliche amministrazioni devono rispettare per acquisire, mantenere o alienare le partecipazioni societarie © a partire dal dlgs 175/2016 le società a partecipazione pubblica si dividono in: 1. società quotate © le quali rispettano in generale la disciplina privatistica per non alterare l'equilibrio di mercato con le altre società private + e in sporadici casi si applicano gli articoli del dlgs 175/2016 2. società meramente partecipate © dovele pubbliche amministrazioni detengono pacchetti di minoranza delle azioni e sono regolate dal diritto comune 3. società in controllo pubblico o dove le pubbliche amministrazioni detengono la maggioranza dei pacchetti azionari e a loro si applicano in prevalenza norme pubblicistiche = adesse è imposto dotarsi di regolamenti interni + uffici di controllo interno + codici di condotta + volti a garantire la conformità dell'attività della società alle regole del mercato 4. società în house © quelle che derogano in maniera più profonda al regime del diritto civile e che si avvicinano molto alla disciplina delle pubbliche amministrazioni 5. società a partecipazione pubblica a disciplinate da leggi particolari © sono società istituite per la gestione di servizi a carattere generale o altre finalità pubbliche + es la RAI o l'ENAV le cui disposizioni si continuano ad applicare anche dopo l'entrata in vigore della riforma Madia Società in house * sono società che strettamente legate (sia sul piano organizzativo che operativo) ad una amministrazione + il legame è talmente stretto che possono essere considerate come uffici interni (!) * il problema che si è posto di recente + è se possono essere affidatarie dirette di attività delle amministrazioni senza che si proceda ad una gara a evidenza pubblica © la Corte di giustizia europea nella sentenza TECKAL del 1999 ha stabilito che le società in house possono essere affidatarie dirette se rispettano 2 requisiti: 1. il controllo analogo © significa che il rapporto tra p.a e società in house è così stretto che la società in house è considerata come un organi interno della p.a + ciò si realizza se: = la partecipazione della p.a è totalitaria nella società in house (anche se recenti direttive europee consentono limitazioni moderate alla partecipazione totalitaria) = il socio pubblico ha un potere di influire sulle strategie e decisioni fondamentali della società in house 2. lo svolgimento della parte più rilevante della loro attività deve essere svolta a favore delle amministrazioni pubbliche © nel senso che l'attività svolta non si inserisce nel circuito del libero mercato + ma è svolta solo per soddisfare un interesse della p.a di appartenenza il regime giuridico + sono sottoposte a regole di diritto pubblico più incisive rispetto alle società sottoposte a controllo pubblico o devono rispettare l'applicazione integrale del codice dei contratti pubblici ricadono nel regime della responsabilità amministrativa per danno erariale per tutto quello che non è disciplinato dal regime pubblicistico + sono soggette al diritto ordinario (es possono essere soggette alle procedure fallimentari) * quei servizi che non si collocano nel mercato in regime di concorrenza (istruzione- sanità-servizi sociali-etc...) + e vengono svolti in forma non imprenditoriale 3. La regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici La disciplina dei servizi pubblici si articola in 3 fasi: assunzione — regolazione - gestione 1. assunzione * assumere una attività come servizio pubblico è il frutto di una decisione politica © constatato che il mercato non è in grado di fornire e garantire alla collettività un servizio si mettono a disposizione risorse pubbliche 2. regolazione * un servizio assunto come pubblico necessita in secondo luogo di essere regolato nella sua concretezza — i principi che deve rispettare la regolazione del servizio sono: o doverosità = perl'amministrazione — garantire direttamente o indirettamente l'erogazione del servizio » il fornitore + è sottoposto a obblighi di servizio stabiliti in modo puntuale da atti di regolazione © continuità = l'erogazione del servizio non può essere interrotta arbitrariamente — lo stesso diritto di sciopero subisce limitazioni al fine di garantire livelli minimi di erogazione ©. parità di trattamento ® tutti gli utenti hanno pari diritto ad accedere al servizio e ottenere prestazioni di uguale entità © universalità = le prestazioni correlate ad un pubblico servizio devono essere garantite tendenzialmente a tutti + a prescindere dalla localizzazione, fascia sociale o reddito * anche se l'erogazione del servizio generi perdite per il gestore — il servizio deve essere ugualmente garantito seppur nelle sue prestazioni minime dettate dall'ente regolatore © abbordabilità = il servizio deve essere fornito agli utenti a prezzi accessibili con previsione di agevolazioni a favore di categorie di utenti meno abbienti © economicità = il gestore deve essere messo in condizione di svolgere l'attività in maniera imprenditoriale con la possibilità di poter conseguire un utile * nel caso di servizi strutturalmente in perdita + l'amministrazione deve farsi carico degli oneri medianti compensazioni o contribuzioni 3. gestione Le principali forme di gestione dei servizi pubblici sono: 1. gestione diretta * quando l'attività è esercitata dallo stesso ente titolare del servizio 2. gestione indiretta * quando l'attività è affidata ad un ente pubblico incaricato per svolgere quel servizio (si vedano tutti i servizi in materia di poste, telecomunicazioni, energia affidati agli enti pubblici sino agli anni novanta) 3. società in house 4. società mista — ex dlgs 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) — forma di gestione preferita nel campo dei servizi locali dove viene operata una esternalizzazione parziale del servizio * il modello della società mista richiede l'avvio di una procedura che richiede due requisiti essenziali: 1. il socio privato deve avere le migliori caratteristiche tecniche ed economiche = la p.a sceglie il socio in base al Arow low che egli può apportare alla gestione del servizio = la quota di partecipazione del privato può essere minoritaria o maggioritaria (comunque non inferiore al 30%) 2.il servizio è affidato sulla base del rilascio di una concessione = alla scadenza della concessione il socio privato deve cedere la sua partecipazione 5. il partenariato pubblico-privato * il partenariato è un accordo stabile e di lunga durata tra un soggetto pubblico e uno privato — esso si distingue in: © partenariato istituzionale (quello che si verifica nella società mista) = larelazione pubblico-privato è molto stretta > e si realizza nell'interazione in sede assembleare o nella scelta dei rappresentanti degli organi rappresentativi © partenariato contrattuale » si verifica quando l'amministrazione si rivolge al mercato per acquisire un bene o servizio + operando una esternalizzazione completa: trova la sua fonte nell'art. 180 del Codice dei contratti pubblici 6. autorizzazione a più gestori del medesimo servizio * intale ipotesi esistono più gestori che erogano il servizio in concorrenza tra di loro nel rispetto degli obblighi stabiliti dal regolatore 7. la concessione di servizi a soggetti terzi * questa forma di gestione del servizio riguarda il caso in cui il servizio si presta ad essere erogato da un solo gestore + per tale motivo il rapporto da vita ad una relazione di lunga durata tra concedete e concessionario Il gestore scelto deve erogare il servizio nel rispetto: * del contratto di servizio © cheregolairapporti tra p.a e gestore =» economici: talvolta il gestore paga un canone all'amministrazione, o l'amministrazione eroga contributi al gestore per le attività in perdita = gliinvestimenti cui è tenuto il gestore = icontrolli esercitabili dalla p.a = le sanzioni in caso di inadempimento = le cause di scioglimento del rapporto * delle carte dei servizi © che definiscono i livelli qualitativi e quantitativi dei servizi (e le conseguenze in caso di inadempimento) * dei contratti di utenza © i rapporti gestore e utenza sono regolati dal diritto privato per mezzo di contratti di utenza spesso formulati sulla base di contratti-tipo 4. Le autorità di regolazione Le autorità di regolazione si occupano di verificare la gestione di un servizio pubblico (anche con poteri di intervento): * laloro presenza si è resa necessaria con la privatizzazione degli enti pubblici agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso + in quanto si è passati da un regime di monopolio legale alla concorrenza: la necessità di regolare i rapporti del mercato ha fatto sorgere la loro presenza (!) Il sistema della regolazione deve essere affrontato sotto 3 profili: 1. irapporti trai gestori e l'autorità di regolazione * in tale ambito i regolatori devono predisporre una cornice di regole per il mercato + volte a creare una situazione artificiale di mercato concorrenziale Le aziende sanitarie locali (ASL * sonoaziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale © assicurano l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro + l'assistenza distrettuale + l'assistenza ospedaliera ® tali compiti possono essere talvolta svolti anche da ulteriori strutture > aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, aziende ospedaliere universitarie; istituti di ricovero e cura a carattere scientifico «gli organi chele compongono sono: © il direttore generale = nominato dalla regione con una procedura selettiva tra candidati iscritti in un albo nazionale = sioccupa della gestione complessiva dell'azienda = nomina alcune figure cardine: * il direttore sanitario + responsabili delle strutture operative ©. il collegio sindacale Le strutture private accreditate * anche strutture private possono concorrere ad erogare prestazioni sanitarie per conto del servizio pubblico e sulla base del sistema delle tre A (autorizzazione-accreditamento-accordi contrattuali) 1. autorizzazione + per la realizzazione della struttura e per l'esercizio dell'attività 2. accreditamento — rilasciato dalla regione sulla base di valutazioni discrezionali sulla base del fabbisogno regionale 3. accordi contrattuali (tra la regione e la struttura) — che individuano programmi di attività e prestazioni che le strutture si impegnano ad erogare per conto del SSN e che sono remunerate dallo stesso Al termine della sequenza — le strutture private sono inserite nel sistema sanitario regionale ed assumono la qualifica di gestori del servizio pubblico IL SERVIZIO SCOLASTICO * definizione + è un servizio pubblico sociale: a fruizione individuale coattiva + erogazione gratuita © è un obbligo dello Stato + che ha il compito di organizzarlo e gestirlo con proprie strutture per ogni ordine e grado *. il servizio scolastico da origine ad una amministrazione complessa cui partecipano: © lo Stato © laregione o glienti locali © le istituzioni private (come espressione del principio di sussidiarietà orizzontale) le fonti costituzionali + dettano i principi della materia o o art 33 cost — libertà di insegnamento art 33 comma 2 + lo Stato deve istituire le scuole statali art 34 comma l — diritto all'istruzione la natura del diritto all'istruzione: * diritto soggettivo (riconosciuto a tutti) + dovere sociale ex art 4 comma 2 il servizio non è offerto in regime di monopolio © i privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione (senza oneri per lo Stato) — ed ottenere il riconoscimento statale ex art 33 comma 3 e comma 4 Cost il sistema di riconoscimento si basa su requisiti di qualità ed efficacia le scuole private + possono rilasciare titoli di studio aventi valore legale la competenza legislativa o a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione + vige una competenza legislativa concorrente Stato-Regioni lo Stato + determina le norme generali + livelli essenziali delle prestazioni + effettua il monitoraggio e la valutazione del servizio reso * icompiti di monitoraggio e valutazione sono affidati al ministero dell'istruzione — che esercita le funzioni a livello periferico attraverso gli uffici scolastici regionali © ilcapo dell'ufficio scolastico regionale — è il dirigente dell'ufficio scolastico regionale: = ilquale nomina il dirigente scolastico di ogni scuola (il preside) le regioni + si occupano della programmazione della rete scolastica * adesempio si occupano della collocazione del personale tra le scuole CAPITOLO 10 IL PERSONALE 1. Premessa Le pubbliche amministrazioni (in quanto organizzazioni) hanno necessità di volgere le loro attività tramite il personale: fonti: il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a è disciplinato da un complesso di norme speciali + oggi riordinate nel dlgs 165/2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro nelle pubbliche amministrazioni) considerazione storiche sulla disciplina del rapporto di lavoro (tra orientamenti privatistici e pubblicistici): o fino alla fine del XIX secolo + prevaleva la concezione privatistica del rapporto: questo era retto esclusivamente dalle norme di diritto privato e le controversie devolute al giudice ordinario a cavallo tra XIX e XX secolo + si fa strada la concezione pubblicistica: sul fondamento che ai dipendenti pubblici dovevano essere accordate delle garanzie allo scopo di arginare le ingerenze delle politica = altro motivo consisteva nella posizione di preminenza riconosciuta allo Stato (ed a tutti i suoi dipendenti) nei confronti del cittadino: il dipendente nominato con provvedimento unilaterale acquisiva uno status differente dal comune cittadino + l'accettazione dell'incarico non generava un rapporto contrattuale di lavoro ma il dovere di prestare il servizio richiesto (!) + lo stipendio non costituiva un corrispettivo per la prestazione ma un credito di diritto pubblico assimilabile ad una prestazione alimentare = nella concezione pubblicistica il rapporto di pubblico impiego non era regolato da strumenti contrattuali + ma da 2 tipologie di atti: 1. atti normativi (leggi e regolamenti) > per la parte relativa agli aspetti generali 2. provvedimenti amministrativi unilaterali — per gli aspetti del singolo dipendente + modalità di costituzione del rapporto + svolgimento del rapporto nella Costituzione (1948) — venne recepito l'indirizzo pubblicistico in maniera temperata: non venne imposta la totalità delle regole pubblicistiche ma il loro intervento aveva caratteri di specialità rispetto all'impiego privato: = la Costituzione dedicò specifici articoli al rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a: * art98,1 Costi pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione * art97,3 Cost + l'accesso ai pubblici impieghi avviene mediante concorso * art Sl Cost + l'accesso agli uffici deve essere garantito a tutti i cittadini in condizione di uguaglianza