Scarica Manuale di diritto amministrativo Libro di Marcello Clarich e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 - IL PROVVEDIMENTO 1 Definizione di provvedimento amministrativo Il provvedimento amministrativo è una subcategoria di atto amministrativo, consistente in una manifestazione di volontà, espressa dall'amministrazione titolare del potere all'esito di un procedimento amministrativo, volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari del provvedimento. 2. Caratteristiche del provvedimento amministrativo 1. TIPICITÀ La legge individua, in via preventiva, i requisiti e i contenuti dei provvedimenti. Dunque, la PA è tenuta a perseguire esclusivamente il fine stabilito dalle norme di conferimento del potere e può utilizzare soltanto lo strumento giuridico definito dalla stessa norma. Attenuanti del principio di tipicità sono le ordinanze contingibili e urgenti, le quali possono essere emanate in casi e per fini previsti dalla legge, ma che non sono tipizzate. La nominatività > talora si fa riferimento anche alla nominatività dei provvedimenti per indicare che, in omaggio al principio di legalità in senso formale, l'amministrazione può emanare soltanto gli atti ai quali la legge fa espresso riferimento. In questo senso le ordinanze contingibili, pur non essendo tipiche sono nominate. | poteri impliciti + principio di tipicità e la nominatività escludono che si possano riconoscere in capo all'amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non espressamente previsti dalla legge ma ricavabili indirettamente da norme che definiscono altri poteri. 2. IMPERATIVITÀ In base al principio della imperatività la PA, titolare di un potere attribuito alla legge, può imporre al soggetto privato destinatario del provvedimento le proprie determinazioni, operando in modo unilaterale una modifica nella sfera giuridica del privato. Infatti, l'atto l'amministrativo è dottato di una particolare forza giuridica a far prevalere l'interesse pubblico su quelli privati. Spesso, il consenso del privato non è necessario. L'imperatività coincide con l’unilateralità nella produzione di un effetto giuridico che accumuna ogni atto di esercizio di un potere in senso proprio. 8. L'ESECUTORIETÀ e L'EFFICACIA L’esecutorietà è il potere dell'amministrazione di procedere all'esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza doversi rivolgere preventivamente ad un giudice allo scopo di ottenere l'esecuzione forzata. L'esecutorietà è una deroga al principio del divieto di autotutela, cioè del divieto di farsi giustizia da sé. In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, quest'ultimo deve indicare il termine e le modalità dell'esercizio da parte del soggetto obbligato. L'esecutorietà coattiva può avvenire solo previa adozione di un atto di diffida, con la quale l'amministrazione intima al privato di porre in essere le attività esecutive già indicati nel provvedimento. L'esecutorietà presuppone che il provvedimento emanato sia efficace ed esecutiva. 1 1. Efficacia > in base all'art. 21-bis della | n. 241/1990, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario, e ha natura di atto recettizio. Sono esclusi dall'obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere cautelare e urgente che sono sempre immediatamente efficaci. 2. Esecutività + in base all'art. 21-quater, i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento stesso. 4. L'INOPPUGNABILITÀ L’inoppugnabilità consiste nella incontestabilità del provvedimento amministrativo che si ha allorché decorrono i termini previsti per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali dinnanzi al giudice amministrativo. Termini di decadenza: - 60 giorni per l'annullamento - 80 giorni per la nullità - 120 giorni per l'azione risarcitoria L'inoppugnabilità non esclude il potere di autotutela della PA. 3. Elementi strutturali dell'atto amministrativo 1. Soggetto Il soggetto si individua in base alle norme sulla competenza, ed è l'autore emanante l'atto. Il soggetto può essere: - La pubblica amministrazione - Il soggetto privato titolare di poteri amministrativi 3. L'oggetto L'oggetto è la cosa, l’attività o la situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce. L'oggetto può essere determinato o determinabile. 4. Il contenuto Il contenuto del provvedimento è ricavabile della parte dispositiva dell'atto e consiste in ciò che con esso l'autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare. Il contenuto può essere integrato con clausole accessorie che fissano prescrizioni e condizioni particolari. Le clausole accessorie non possono snaturale il contenuto tipico dei provvedimenti e devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dall'attributiva del potere Tra gli elementi dell'atto amministrativo: - Non assume rilievo automatico la causa, intesa come la funzione economico-sociale del negozio. - | motivi sono le regole di interesse pubblico poste alla base dei provvedimenti, che si deducono dalle motivazioni. 5. La volontà Il provvedimento è la manifestazione della volontà dell'amministrazione che va intesa in senso oggettivo (volontà procedimentale). | vizi di volontà non determinano in via diretta l'annullamento del provvedimento, bensì rilevano in via indiretta, come figure sintomatiche dell'eccesso di potere. 4. Sanzioni accessorie + esempio la confisca amministrativa di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione costituisce un illecito amministrativo 5. Sanzioni ripristinatorie + hanno come scopo principale quello di reintegrare l'interesse pubblico leso da un comportamento illecito. 2. provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari | provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo autorizzativo. In generale, l'attività dei privati è libera, ovvero è permesso tutto quello che non è espressamente vietato, salvo i limiti generali posti dall'ordinamento civile e dai principi come quello del neminem laedere. Nel conformare le attività dei privati all'interesse pubblico, le leggi amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità, la quale impone un onere di giustificare la misura introdotta che deve comportare il minore sacrificio possibile dell'interesse privato. Il rispetto delle leggi amministrative è assicurato: 1. Dal regime di vigilanza > può portare all'esercizio di poteri repressivi e sanzionatori nei casi in cui vengono accertati violazioni. 2. la legge grava dei privati un obbligo di comunicare preventivamente ad una PA l'intensione di intraprendere un'attività, ex art. 19 I. 241/2019. Infatti, è previsto l'istituto della segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA). 5. SCIA La segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) costituisce quel tipico modello di semplificazione amministrativa erede della vecchia Dichiarazione di inizio attività (D.I.A.), introdotta, in via generale, con l'art. 19 della legge n. 241 del 1990. Le attività sottoposte alla scia sono libere anche se conformate da un regime amministrativo. La SCIA riconduce una serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo (ex ante) sotto forma di “autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque denominato" (comma 1), a un regime meno intrusivo di controllo successivo (ex post), effettuato cioè dall'amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell'attività. La SCIA non è qualificabile a dare avvio a un procedimento amministrativo volto al rilascio di un titolo abilitativo. Essa ha soltanto la funzione di consentire all'amministrazione di verificare se l'attività in questione è conforme alle norme amministrative. L'avvio dell'attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA allo sportello unico indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione. Il privato deve corredare la segnalazione con un'autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività (anche con il ricorso ad asseverazioni e attestazioni di tecnici abilitati). In caso di dichiarazioni mendaci scattano sanzioni amministrative e penali. L'attività viene cioè intrapresa sulla base di un'autovalutazione della conformità dell'attività alla legge. Il divieto di prosecuzione dell'attività In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti’ previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività, l'amministrazione, nel termine perentorio di 60 giorni, emana un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti. In alternativa, ove possibile, può invitare il privato a conformare l’attività alla normativa vigente entro un termine non inferiore a 30 giorni prescrivendo le misure necessarie. Nel caso della SCIA, dunque, l'amministrazione esercita un potere d'ufficio di verifica che può sfociare in un provvedimento di tipo ordinatorio. Il rapporto giuridico amministrativo si struttura secondo lo schema del potere e dell'interesse legittimo oppositivo. Ciò a differenza del regime autorizzatorio tradizionale nel quale il rapporto giuridico amministrativo segue lo schema del potere e dell'interesse legittimo pretensivo. | poteri esercitabili dopo la scadenza del termine di 60 giorni Peraltro, anche dopo la scadenza del termine di 60 giorni per l'attività di controllo, l'amministrazione può esercitare i poteri di vigilanza, prevenzione e controllo previsti da leggi vigenti (art. 21, comma 2-bis). Può persino attivare il potere interdittivo ove sussistano i presupposti previsti dalla |. n. 241/1990 per l'annullamento d'ufficio dei provvedimenti illegittimi (art. 19, comma 4) che richiede una serie di apprezzamenti discrezionali e prevede un termine di 18 mesi nel caso di provvedimenti autorizzativi (termine ritenuto applicabile anche al potere interdittivo). Il rinvio alla disciplina dell'annullamento d'ufficio introduce peraltro un elemento di ambiguità perché questo potere (di autotutela) ha per oggetto provvedimenti in senso proprio, mentre nel modello della SCIA non vi è alcun atto di assenso esplicito da parte dell'amministrazione e l'attività resta libera. Il campo di applicazione della SCIA Il campo di applicazione della SCIA è definito dall'art. 19 della I. n. 241/1990. Esso pone un criterio generale in base al quale la SCIA sostituisce di diritto ogni atto di tipo autorizzativo “i/cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”, cioè ogni atto di tipo vincolato. In presenza di discrezionalità, infatti, non è concepibile che il soggetto privato possa farsi carico, in luogo dell'amministrazione, di una valutazione e ponderazione degli interessi in gioco. Un secondo criterio è che deve trattarsi di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di programmazione di settore. In questi casi occorre infatti individuare qualche parametro per selezionare gli aspiranti a svolgere l’attività e attivare di conseguenza un procedimento comparativo incompatibile con l'avvio della stessa sulla base di una semplice comunicazione. Accanto a questi due criteri generali, l'art 19 prevede alcune esclusioni allorché entrino in gioco interessi pubblici particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza, giustizia, finanze, ecc.), oppure si tratti di atti autorizzativi imposti dalla normativa europea. Per ridurre i margini di incertezza il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222 ha individuato un lungo elenco di casi sottoposti al regime della SCIA (e del silenzio-assenso). La SCIA come autoamministrazione La SCIA ha dato origine a un dibattito dottrinale che si è incentrato soprattutto sulla questione se la SCIA attui una liberalizzazione effettiva delle attività in precedenza soggette a un regime autorizzatorio tradizionale, oppure se rientri ancora in qualche modo all'interno di tale schema sia pur rivisitato. Per esempio, secondo alcune ricostruzioni ormai superate, la SCIA sarebbe una forma di “autoamministrazione” dei privati, resa possibile proprio dal fatto che lo svolgimento dell'attività è subordinato dalle leggi amministrative alla presenza di presupposti e requisiti vincolati. La sussistenza di questi ultimi in una fattispecie concreta può essere accertata in modo agevole dal soggetto interessato che valuta autonomamente la propria situazione e, emana l'atto autorizzativo in luogo dell'amministrazione. Così ricostruita, la dichiarazione presentata dal privato avrebbe natura provvedimentale. Come tale potrebbe essere impugnata innanzi al giudice amministrativo da un soggetto terzo che abbia interesse a contrastare l'avvio dell'attività (per esempio, il titolare di un esercizio commerciale contrario all'apertura nelle vicinanze di un altro esercizio in concorrenza). 6 Le ricostruzioni più recenti riconducono la SCIA all'ambito delle attività libere, anche se conformate dalle leggi amministrative, sottoposte a vigilanza da parte delle autorità pubbliche. La tutela del terzo Un problema delicato è quello della tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella propria sfera giuridica per effetto dell'avvio dell'attività. Infatti, mentre l'autorizzazione espressa costituisce un atto impugnabile da parte del terzo che vuole opporsi all'avvio dell'attività, nel caso della SCIA manca un provvedimento che gli consenta il ricorso al giudice amministrativo. Secondo una prima interpretazione, il terzo potrebbe proporre innanzi al giudice amministrativo un'azione di accertamento atipica volta a far dichiarare che l'attività avviata non è conforme alle norme amministrative e a indurre, di conseguenza, l'amministrazione ad esercitare i poteri repressivi e interdittivi. Il legislatore ha cercato di chiarire la questione oggetto di soluzioni giurisprudenziali oscillanti. Ha precisato anzitutto che la SCIA, la denuncia e la dichiarazione di inizio di attività “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili'. Ha stabilito poi che “gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione contro il silenzio”. L'interpretazione della Corte costituzionale In pratica, il terzo che desideri contrastare l'avvio dell'attività deve invitare l'amministrazione a emanare un provvedimento che vieti la prosecuzione dell'attività e se l'amministrazione non provvede può rivolgersi al giudice per far accertare l'obbligo di provvedere. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale (sentenza 6 febbraio 2019, n. 45), anche in presenza di un siffatto invito, vale per l'amministrazione il termine perentorio di 60 giorni e di 18 mesi, termine che tende a tutelare l'affidamento ingenerato in chi ha presentato la SCIA. Pertanto, dopo la scadenza di questi termini, secondo la Corte costituzionale, il terzo può attivare solo i poteri di verifica di eventuali dichiarazioni mendaci o false, sollecitare i poteri generali di vigilanza e repressivi, far valere la responsabilità per i danni a carico dei funzionari che non hanno agito tempestivamente. In realtà, la stessa Corte costituzionale, rendendosi conto che le norme vigenti sono insoddisfacenti, ha invitato il parlamento a introdurre alcune modifiche specifiche. Il problema della tutela del terzo non è dunque risolto. 6. Le autorizzazioni e le concessioni Nell'ambito del modello del controllo ex ante sulle attività dei privati vi rientrano le autorizzazioni e le concessioni. 1. L’autorizzazione è un atto con il quale l'amministrazione muove un limite all'esercizio di un diritto soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il rilascio dell’autorizzazione presuppone una verifica della conformità dell'attività ai parametri normativi posti a tutela dell'interesse pubblico. L'autorizzazione è uno strumento di controllo da parte dell'amministrazione sullo svolgimento dell'attività allo scopo di verificare preventivamente che essa non si ponga in contrasto con le norme che definiscono i presupposti e i requisiti. Essa si esaurisce senza che vi si instauri una relazione con l'amministrazione, al di là di una generica attività di vigilanza da parte di quest'ultima sulla permanenza in capo al soggetto privato delle condizioni previste dalla legge. 2. La concessione è l'atto con il quale l'amministrazione attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato. Il soggetto privato che presenta l'istanza di concessione è titolare di un interesse legittimo allo stato puro, e solo in seguito all'emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo al privato un diritto soggettivo pieno che può essere fatto valere anche nei confronti dei terzi. 7 amministrativo, in linea con le norme precedenti, esclude l'impugnabilità degli “atti o provvedimenti emanati dal governo nell'esercizio del potere politico”. La linea di confine tra atti politici e atti amministrativi è sempre stata dibattuta. Il giudice amministrativo ha via via ristretto la nozione di atto politico, abbandonando la teoria di origine francese del movente o dei motivi soggettivi dell'atto che allargava troppo l'area della insindacabilità. Ha accolto invece una nozione oggettiva di atto politico. In essa rientrano gli atti che, a differenza di quelli amministrativi, sono liberi nel fine e che sono emanati da un organo costituzionale (in particolare il governo) nell'esercizio di una funzione di governo. È questo il caso, per esempio, delle deliberazioni del Consiglio dei ministri che approvano un decreto-legge o un decreto legislativo, degli atti che dispongono l'invio di un contingente militare all'estero nell'ambito di una missione internazionale, che pongono la questione di fiducia al parlamento su un disegno di legge, che provvedono alla nomina di un sottosegretario di Stato, ecc. Altri atti del governo, definiti atti di alta amministrazione, hanno invece una natura amministrativa, anche se sono caratterizzati da un'amplissima discrezionalità. Tra di essi rientrano i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministeri (prefetti, capi di dipartimento) o dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, i decreti che autorizzano l'estradizione, oppure il decreto di scioglimento e commissariamento di un comune o di un altro ente pubblico. Questi atti operano un raccordo tra la funzione di indirizzo politico e la funzione amministrativa. Essi devono essere motivati e sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, il quale però esercita su di essi un sindacato meno intenso, limitandosi a rilevare le violazioni più macroscopiche dei principi che presiedono all'esercizio del potere discrezionale. 1.1 — TEORIA DELL’INVALIDITÀ Si ha invalidità dell'atto amministrativo quando la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati da queste ultime e incide sull'efficacia del primo in modo più o meno radicale, sotto forma di nullità o di annullabilità. L'invalidità è disciplinata dalla legge 241/1990 in seguito alle modifiche introdotte dalla legge 15/2002. Dunque, l'invalidità è la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata secondo due modelli: - Nullità > consiste nella inidoneità dell'atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell'ordinamento - Annullamento + consiste nell'inidoneità a produrre effetti in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice che accerti l'invalidità rimuovendo con efficacia retroattiva gli effetti prodotti a medio tempore. Nel diritto amministrativo l'annullabilità costituisce il regime ordinario dei provvedimenti amministrativi invalidi; la nullità è categoria residuale. L’invalidità può essere: - Totale quando investe sull'intero atto - Parziale quando investe parte dell'atto, lasciando inalterata la validità e l'efficacia della parte non affetta dal vizio. Ai provvedimenti invalidi si applica il principio secondo cui l'invalidità dell'atto si estende alle altre parti solo dove esse siano strettamente dipendenti da quelli viziate (art. 159 c.p.c.). 10 Inoltre, assume rilievo, il principio secondo cui la nullità di una o più clausole del contratto comportano la nullità del contratto solo quando risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quelle parti. L'invalidità del provvedimento può essere: 1. Propria: assumono rilievo diretto i vizi dei quali è effetto l'atto. 2. Derivata: invalidità dell'atto discende per propagazione dell'invalidità di un atto presupposto. Effetti dell'invalidità derivata: i. Caducante: quando travolge in modo automatico l'atto assunto sulla base dell'atto invalido ii. Invalidante: quando l'atto effetto da invalidità derivata, per quando a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin quando non viene annullata 3. Validità del principio tempus legit actum, secondo la quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in violazione al momento della sua adozione. Dunque, l'invalidità può essere sopravvenuta nei casi in cui la legge retroagisce, quando vi è un'interpretazione automatica oppure una dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nei casi della retroattività e interpretazione automatica, la retroattività della nuova legge rende viziata il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Invece, nel caso della dichiarazione di illegittimità costituzionale, poiché questi hanno effetto retroattivo esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e i rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti. Diposizioni legislative sull'annullamento e sulla nullità: - L'annullamento è disciplinato dall'art. 21-octies della legge 241/1990 e dall'art. 29 c.p.a. - La nullità è disciplinata dall'art. 21-septies della legge 241/1990 nonché dall'art. 4 c.p.a. 1. Annullabilità L'atto amministrativo che presenti un vizio di legittimità è annullabile in quanto illegittimo. L'atto illegittimo è giuridicamente esistente, efficace ed esecutorio finché non viene annullato. L'annullamento può avvenire a seguito di un apposito provvedimento dell'autorità amministrativa o di una sentenza del giudice amministrativo. L'atto annullabile può essere sanato, ratificato o convertito in un atto valido. Per l'art. 21-octies della legge 241/1990 le cause di annullamento di un provvedimento sono: - Incompetenza - Eccesso di potere - Violazione di legge L'atto dichiarato annullato fa venir meno gli effetti del provvedimento con efficacia retroattiva (ex tunc). Quindi, a seguito dell'annullamento l'amministrazione ha l'obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il destinatario dell'atto ove quest'ultimo non fosse stato emanato (effetto ripristinatorio). Ciò che varia in funzione al tipo di vizio è l'effetto conformativo dell'annullamento, cioè il vincolo che sorge in capo all'amministrazione nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato. Infatti, si distingue tra: 11 - Errore in procedendo (vizi formali o procedurali): non è da escludere che l'amministrazione possa emanare un nuovo atto dal contenuto identico rispetto a quello dell'atto annullato. - Errore in iudicando (vizi sostanziali): l'amministrazione non potrà reintegrare l'atto. Sul versante processuale, l'art. 29 c.p.a. conferma il regime secondo cui contro il provvedimento effetto da violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere può essere proposta l'azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza di 60 giorni. Inoltre, l'annullamento non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, infatti in base al principio dispositivo può essere pronunciato solo in seguito alla domanda proposta nel ricorso, il quale deve indicare in modo specifico i profili dei vizi denunciati. Ex art. 30 c.p.a. insieme al ricorso può essere proposta l’azione risarcitoria. Tipologie di vizi: 1 Incompetenza L’incompetenza è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere. Può essere considerato una sottospecie della violazione di legge, poiché la distribuzione delle competenze tra i soggetti pubblici e tra gli organi interni è operata da legge, regolamento e altre fonti normative pubblicistiche (statuti). L'incompetenza può essere: - Relativa: l'atto viene emanato da un organo che appartiene alla stessa branca, settore o presso organizzativo dell'organo titolare del potere. Secondo la giurisprudenza, essa riguarda solo la ripartizione dei compiti e delle funzioni nell'ambito di un unitario plesso amministrativo. - Assoluta: determina la NULLITÀ o la carenza di poteri, si ha quando sussiste un assoluto estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra l'organo che ha emanato l'atto e quello competente. Inoltre, l'incompetenza può essere: - Per materia: attiene alla titolarità della funzione - Per grado: attiene all'articolazione interna degli organi negli apparati organizzativi secondo il criterio gerarchico - Per territorio: attiene agli ambiti nei quali gli enti territoriali o le articolazioni periferiche degli apparati statali possono operare. - Per valore: assume rilievo all'interno di apparati pubblici con riguardo alla ripartizione tra i vari organi del potere di emanare provvedimenti che comportino esborsi di spesa. La giurisprudenza più recente ritiene di poter applicare anche al vizio di incompetenza l'art. 21- octies, ossia il principio della dequotazione dei vizi formali, volto a limitare l'annullamento degli atti vincolati. Il vizio di competenza assume una priorità rispetto ad altri motivi formali nel ricorso, nel senso che il giudice deve prenderlo in esame per primo e deve annullare il provvedimento, senza esaminare ulteriori motivi del ricorso, rimettendo l'affare all'autorità competente. 2. Violazione di legge La violazione di legge è una figura residuale che comprende tutti gli altri vizi di legittimità che non comportino né incompetenza relativa né eccesso di potere. 12 L'art. 21-octies, comma 2, in definitiva, ha stabilito soltanto che per taluni atti illegittimi l'annullamento, vuoi da parte del giudice vuoi d'ufficio, costituisce una reazione dell'ordinamento da ritenersi non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. Altre conseguenze possano essere ricollegate ai vizi formali e procedurali. La tutela risarcitoria non sembra percorribile poiché è difficile configurare un danno in capo al privato da un atto il cui contenuto non sarebbe stato comunque diverso. Ipotizzabile è invece, a certe condizioni, una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario al quale sia imputabile la violazione formale o procedurale riscontrata. De iure condendo, potrebbe essere valutata l'opportunità di introdurre una sanzione di tipo pecuniario a carico dell’amministrazione, analogamente a quanto già dispone il Codice del processo amministrativo in materia di contratti pubblici. In quest'ultimo ambito, il giudice amministrativo che accerta una violazione procedurale definita grave dal diritto europeo (per esempio, la mancata pubblicazione del bando di gara) non può disporre sempre e automaticamente anche l'inefficacia del contratto. Quest'ultima possibilità gli è preclusa quando sussistono esigenze imperative connesse a un interesse generale che rendono preferibile mantenere in vita il contratto aggiudicato illegittimamente. Il giudice deve però irrogare alla stazione appaltante una sanzione pecuniaria (art. 123). Anche nel caso dei vizi formali non invalidanti, al giudice amministrativo potrebbe essere consentito di applicare un'analoga sanzione in luogo dell'annullamento. 3. Eccesso di potere L'eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. L'eccesso di potere riguarda l'aspetto funzionale del potere, cioè la realizzazione in concreto dell'interesse pubblico affidato alla cura dell'amministrazione. Dell'eccesso di potere sono state offerte in dottrina molte ricostruzioni che lo qualificano variamente come un vizio della causa, della volontà, dei motivi, del contenuto del provvedimento. L'elaborazione oggi prevalente definisce l'eccesso di potere come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. La figura primigenia dell'eccesso di potere è lo sviamento di potere che consiste nella violazione del vincolo del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione si ha allorché il provvedimento emanato persegue un fine diverso (non importa se pubblico o privato) da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all'amministrazione. Talvolta il fine pubblico non è posto in modo espresso dalla legge, ma va ricavato in via interpretativa. Esempi di sviamento di potere sono: - il trasferimento d'ufficio di un dipendente pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio (riordino degli uffici), che in realtà ha una finalità punitiva; - l'ordinanza di un sindaco che impone un divieto di fermata degli autoveicoli in alcune strade motivato con l'esigenza di evitare intralci alla circolazione, che persegue in realtà il fine di disincentivare la prostituzione su strada; - lo scioglimento governativo di un consiglio comunale per ripetute violazioni di legge, che sottende però una finalità politica; - il provvedimento comunale che nega l'installazione di un'antenna di telefonia mobile per ragioni di tipo urbanistico-edilizio, che in realtà persegue il fine sanitario di minimizzare l'esposizione dei residenti all'inquinamento elettromagnetico. 15 Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare, in quanto il provvedimento, all'apparenza, si presenta come perfettamente conforme alle disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio in via indiretta, attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale costituiti dalle cosiddette figure sintomatiche. Con una metafora, se l'eccesso di potere può essere visto come una “malattia” del provvedimento discrezionale, la diagnosi va operata essenzialmente attraverso i “sintomi”, cioè le manifestazioni caratteristiche dell'affezione rilevabili dall'osservatore. Le figure sintomatiche dell'eccesso di potere costituiscono una categoria aperta, non tipizzata dal legislatore. Criteri per identificare le figure asintomatiche: - Fasi del procedimento . la fase istruttoria . la fase decisionale. - Figure sintomatiche intrinseche, che emergono direttamente dall'analisi del provvedimento e degli atti procedimentali (per esempio la contraddittorietà della motivazione), - Figure sintomatiche estrinseche, che invece emergono dal confronto tra il provvedimento ed elementi di contesto esterno (altri atti emanati in situazioni analoghe, direttive, circolari, criteri fissati in sede di auto-vincolo della discrezionalità). Le principali fattispecie di figure sintomatiche: 1. Errore o travisamento dei fatti. Se il provvedimento viene emanato sul presupposto, richiamato nell'atto medesimo, dell'esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta invece inesistente o, viceversa, della non esistenza di un fatto o di una circostanza che invece risulta esistente emerge la figura dell’eccesso di potere per errore di fatto (o anche travisamento dei fatti o falso supposto in fatto). Si pensi, per esempio, all'imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno nel quale invece si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti, o comunque che esse non superano i valori massimi consentiti dalle norme vigenti; al diniego di un permesso di costruire a causa di un vincolo paesaggistico giustificato dalla natura boschiva del terreno che invece, ormai da molti anni, è in gran parte privo di alberi; a un piano regolatore che non indichi nelle planimetrie un edificio del quale è certa la preesistenza. L'errore di fatto, che spesso consegue a un'altra figura sintomatica costituita dal difetto di istruttoria, può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in seguito all'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo. Quest'ultimo non incontra più alcun limite giuridico a un accertamento pieno dei fatti autonomo rispetto a quello operato nel provvedimento impugnato. Non rileva se l'errore è inconsapevole o volontario. Inoltre, l'errore di fatto riguarda esclusivamente la percezione oggettiva della realtà materiale e non anche il momento, successivo, della valutazione dei fatti da parte dell'amministrazione rimessa al suo apprezzamento. 2. Difetto di istruttoria. Nella fase istruttoria del procedimento, l'amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. 16 Ove questa attività svolta dal responsabile del procedimento manchi del tutto o sia effettuata in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto di istruttoria. L'amministrazione, per esempio, non può prendere per buona la ricostruzione di fatti operata dalla parte privata intervenuta nel procedimento, ma deve condurre le opportune verifiche. Così è illegittima la decadenza da una concessione di uso di un bene demaniale ove non risulti appurato in modo univoco che l'attività del concessionario sia posta in essere in violazione delle condizioni e dei limiti apposti nel provvedimento. Un piano urbano del traffico comunale non può porre limiti di accesso al centro storico ove i flussi di traffico non dimostrino una situazione di congestione. Non può essere imposto un vincolo storico-artistico su un'area nella quale non sono state condotte indagini sufficienti che provino l'esistenza di reperti archeologici significativi. A differenza dell'errore di fatto, nel caso del difetto di istruttoria non si può escludere che il quadro fattuale posto alla base del provvedimento risulti in effetti esistente e che dunque la scelta operata sia corretta, ma l'analisi del provvedimento e degli atti procedimentali lascia dubbi in proposito. Annullato l'atto e posta in essere una nuova istruttoria, questa volta in modo corretto, l'amministrazione ben potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. 3. Difetto di motivazione. Nella motivazione del provvedimento l'amministrazione deve dar conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. Per quanto sintetica, essa deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere, cioè dell'iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento, traendo le fila degli elementi istruttori rilevanti e operando la ponderazione degli interessi. Il difetto di motivazione ha varie sfaccettature. La motivazione può essere in primo luogo insufficiente, incompleta o generica, se da essa non traspare in modo percepibile l'iter logico seguito dall'amministrazione e non emergono le ragioni sottostanti la scelta operata. Così, per esempio, per poter imporre un vincolo paesaggistico su un bene l'amministrazione deve illustrare perché esso abbia le caratteristiche che consentano l'applicazione del regime protettivo e non può limitarsi ad affermazioni generiche e apodittiche. L'insufficienza della motivazione non è solo un fatto di quantità, ma anche di qualità, come, per esempio, nel caso di omessa considerazione specifica di un interesse acquisito al procedimento. La |. n. 241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il contenuto minimo della motivazione. L'amministrazione è tenuta a valutare (e dunque a motivare) gli apporti partecipativi di chi interviene nel procedimento e a dar conto delle ragioni per le quali non accoglie le osservazioni presentate dall'interessato al quale sia comunicato il preavviso di rigetto di un'istanza. Inoltre, l'organo competente ad adottare il provvedimento finale, ove ritenga di discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, deve darne conto nella motivazione. La motivazione può consistere: 1. In “un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” nel caso in cui l'amministrazione ritenga un’istanza manifestamente inammissibile o infondata. In realtà, non esiste un criterio univoco per determinare se una motivazione sia sufficiente. Si può peraltro ritenere che quanto più ampia è la discrezionalità dell'amministrazione e quanto più gravosi sono gli effetti del provvedimento nella sfera soggettiva dei destinatari, tanto più elevato è lo standard quantitativo e qualitativo imposto alla motivazione. Per prassi, per esempio, i provvedimenti delle autorità indipendenti (come l'Autorità garante della concorrenza e del mercato o l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente), che spesso hanno un impatto sui mercati 17 Altre figure sintomatiche hanno una configurazione più dubbia: 4. il principio di proporzionalità può essere ricondotto al principio più generale di ragionevolezza, visto che l'utilizzo dei mezzi eccendenti il fine non appare conforme a quest'ultimo canone, secondo il normale apprezzamento. Pertanto, la violazione del principio di proporzionalità si presta a essere sussunta nella categoria dell'eccesso di potere. 5. il disconoscimento del legittimo affidamento ingenerato dall'amministrazione può essere visto come una violazione del principio di coerenza dell'azione amministrativa, a sua volta riconducibile al canone della logicità. La giustificazione teorica delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere è controversa. 1. Secondo alcune teorie, esse rilevano essenzialmente come prove indirette dello sviamento di potere e hanno una valenza essenzialmente processuale. Possono cioè essere ricondotte allo schema civilistico delle presunzioni. Queste, secondo la definizione del Codice civile sono le conseguenze (nel caso di specie, l'illegittimità dell'atto) che il giudice ritrae da un fatto noto (nel caso di specie, la figura sintomatica, il cui accertamento risulta più semplice) per risalire a un fatto ignoto (nel caso di specie l'eccesso di potere). Le singole figure sintomatiche sono costituite cioè da situazioni che, sulla base dell'esperienza, consentono “di dubitare che si sia attuata la divergenza dell'atto dalla sua finalità”. 2. Secondo altre teorie, le figure sintomatiche hanno ormai raggiunto una completa autonomia dallo sviamento di potere e hanno una valenza sostanziale, prima ancora che processuale. Esse cioè sono riconducibili alla violazione dei principi generali dell'azione amministrativa e più precisamente dei principi che presiedono all'esercizio della discrezionalità. Rilevano in particolare i principi, variamente indicati nelle diverse ricostruzioni teoriche, di logicità, di ragionevolezza (proporzionalità, coerenza, congruità), di completezza dell'istruttoria, di parità di trattamento e imparzialità, di giustizia sostanziale, di accettabilità, ecc. In applicazione di tali canoni, il giudice analizza tutte le fasi dell'esercizio del potere discrezionale ripercorrendo l'iter seguito e verificando la ricostruzione della situazione di fatto e l'acquisizione di tutti gli elementi rilevanti per la decisione (nella fase istruttoria), la valutazione e ponderazione degli interessi acquisiti (come espressa nella motivazione del provvedimento), la coerenza tra le premesse e il dispositivo del provvedimento, gli altri elementi di contesto (norme interne e prassi amministrativa, provvedimenti su casi analoghi, ecc.). In una siffatta verifica il giudice non entra nel merito delle scelte discrezionali sostituendo la propria valutazione a quella effettuata dall'amministrazione, ma “riesamina l’iter logico di formazione del provvedimento amministrativo” cogliendone le contraddizioni e le incongruenze. Il sindacato sul provvedimento dell'amministrazione può essere anche molto penetrante, ma resta pur sempre esterno e indiretto e pertanto non deborda dal perimetro del sindacato di legittimità. 3. Di recente, nell'ambito di una rivisitazione critica più generale dell'eccesso di potere le figure sintomatiche sono state ricondotte alle clausole generali (buona fede, imparzialità) che, analogamente a quanto accade nelle relazioni giuridiche privatistiche, fanno sorgere obblighi comportamentali nell'ambito del rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la pubblica ‘amministrazione e il cittadino. 2. Nullità L'art. 21-septies I. n. 241/1990 individua quattro ipotesi tassative di nullità: la mancanza degli elementi essenziali; il difetto assoluto di attribuzione; la violazione o elusione del giudicato; gli altri casi espressamente previsti dalla legge. pON- 20 1. La mancanza degli elementi essenziali accomuna la nullità del provvedimento a quella del contratto, anche se, la |. n. 241/1990 non li elenca in modo preciso, rimettendo all'interprete il compito di individuare le singole fattispecie. 2. Il difetto assoluto di attribuzione è una carenza di potere (in astratto e in concreto) e di competenza assoluta. Esso corrisponde alla figura dello straripamento di potere che avrebbe potuto costituire l'archetipo dell'eccesso di potere. 3. La violazione o elusione del giudicato + Si ha elusione del giudicato allorché l'amministrazione, in sede di nuovo esercizio del potere in seguito all'annullamento pronunciato dal giudice con sentenza passata in giudicato, emana un nuovo atto che si pone in contrasto con quest'ultima allorché essa ponga un vincolo puntuale e non lasci all'amministrazione alcuno spazio di valutazione. Il nuovo atto, cioè, “ignora e palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato e manifesta il reale intendimento dell’amministrazione di sottrarsi al giudicato". 4. Casi in cui la legge qualifica espressamente come nullo un atto amministrativo (nullità testuale). Un'ipotesi di nullità prevista per legge riguarda gli atti adottati da organi collegiali scaduti, decorso il periodo di prorogatio di 45 giorni durante il quale possono comunque essere posti in essere solo gli atti di ordinaria amministrazione. La nullità del provvedimento viene talora contrapposta all'inesistenza (nei casi nei quali manchino gli elementi minimi per identificare l'atto come atto amministrativo), ma si tratta di una distinzione controversa in sede di teoria generale e priva di effetti pratici. Gli atti adottati dall'amministrazione in applicazione di norme nazionali contrastanti con il diritto europeo sono annullabili. Il provvedimento è considerato invece nullo quando la norma attributiva del potere si pone in violazione del diritto europeo. Sul versante processuale, l'art. 31, comma 4, c.p.a. disciplina l'azione per la declaratoria della nullità (azione di accertamento) che può essere proposta innanzi al giudice amministrativo entro un termine di decadenza breve (180 giorni) e ciò in relazione all'esigenza di garantire stabilità all'assetto dei rapporti di diritto pubblico. A differenza di quanto accade per l'annullabilità, la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice o opposta dalla parte resistente (pubblica amministrazione). Inoltre, l'art. 133, comma 1, lett. a), n. 5 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nell'ambito della quale il giudice conosce anche delle situazioni di diritto soggettivo) le controversie relative alla nullità dell'atto adottato in violazione o elusione del giudicato. Il vizio va fatto valere nella sede del giudizio dell'ottemperanza, cioè del rito speciale previsto nel caso di mancata esecuzione da parte della pubblica amministrazione delle sentenze del giudice amministrativo e del giudice ordinario. Il ricorso può essere proposto nel termine di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza e il giudice ove accolga il ricorso emana una sentenza che dichiara la nullità del provvedimento (art. 114, commi 1 e 4, lett. c)). 1.2- PROCEDIMENTI DI SECONDO GRADO | provvedimenti di secondo grado sono atti che l'amministrazione può emanare per porre rimedio all'invalidità o alla non conformità all'interesse pubblico di un provvedimento amministrativo. | provvedimenti in questione sono assunti nell’ambito dei procedimenti definiti di secondo grado proprio perché hanno per oggetto atti già emanati che l'amministrazione sottopone a un riesame. 1 L’annullamento d'ufficio. La misura specifica per reagire all'illegittimità del provvedimento è costituita dall'annullamento con efficacia ex tunc dell'atto emanato. 21 L'annullamento del provvedimento illegittimo può essere pronunciato, sotto il profilo soggettivo: - dal giudice amministrativo, - dalla stessa amministrazione in sede di esame dei ricorsi amministrativi (in particolare i ricorsi gerarchici), - dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti. In queste ipotesi l'annullamento è doveroso, nel senso che deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato un vizio. Ha invece carattere discrezionale e costituisce una delle manifestazioni del potere di autotutela della pubblica amministrazione l'annullamento d'ufficio. Il potere di annullare l'atto d'ufficio può essere esercitato: - dallo stesso organo che ha emanato l'atto (cosiddetto autoannullamento) - da altro organo al quale sia attribuito per legge (per esempio l'annullamento gerarchico) - dal ministro nei confronti degli atti adottati dai dirigenti Una specie particolare di annullamento d'ufficio è quello attribuito al Consiglio dei ministri nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali e locali. Si tratta del cosiddetto annullamento straordinario del governo a «tutela dell'unità dell'ordinamento» in particolare contro il rischio che gli enti locali assumano determinazioni aberranti. Proprio per la sua particolare delicatezza, esso richiede l'acquisizione preventiva di un parere del Consiglio di Stato. Affinché l'amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d'ufficio devono sussistere quattro presupposti esplicitati dall'art. 21-nonies I. n. 241/1990: 1. Il provvedimento deve essere affetto da un vizio di violazione di legge. di incompetenza o di eccesso di potere. 2. Devono sussistere ragioni di interesse pubblico, rimesse alla valutazione discrezionale dell'amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell'atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro conservazione, pur in presenza di un'illegittimità accertata. L'interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l'amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l'annullamento d'ufficio. 3. L'annullamento d'ufficio richiede una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devono essere valutati, specificamente, oltre all'interesse pubblico all'annullamento, da un lato, quello del destinatario del provvedimento, che per esempio ha ottenuto un provvedimento favorevole tale da ingenerare una situazione di affidamento; dall'altro quello degli eventuali controinteressati, come, per esempio, i proprietari di terreni confinanti con quello in relazione al quale è stato rilasciato un permesso a costruire illegittimo. 4. Infine, la valutazione discrezionale deve tener conto del fattore temporale. L'annullamento può essere disposto “entro un termine ragionevole”, principio espresso dalla giurisprudenza europea e previsto anche in altri ordinamenti. Se infatti è trascorso un lungo lasso di tempo dall'emanazione del provvedimento illegittimo, prevale tendenzialmente l'interesse a mantenere inalterato lo status quo e a tutelare l'affidamento creato. Se invece l'amministrazione rileva immediatamente l'illegittimità del provvedimento emanato, magari prima ancora che esso sia portato a esecuzione, essa può procedere all'annullamento d'ufficio senza dover valutare in modo approfondito interessi diversi dal mero ripristino della legalità. Rientra nella discrezionalità dell’amministrazione stabilire se il termine è “ragionevole” e ciò introduce un elemento di incertezza sulla stabilità dei rapporti giuridici amministrativi. Proprio per ovviare a ciò, l'art. 6 della |. n. 124/2015 22 7. Il recesso dai contratti. L'art. 21-sexies |. n. 241/1990 disciplina anche il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione prevedendo che esso sia ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto. Tra le disposizioni legislative che disciplinano in modo specifico il recesso dai contratti vi è quella in tema di comunicazioni e certificazioni antimafia che lo prevede nei casi in cui emergano, anche in seguito all'assunzione di informazioni da parte della pubblica amministrazione, tentativi di infiltrazione mafiosa. Nel settore delle opere pubbliche la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto previo pagamento dei lavori eseguiti, del valore dei materiali utili esistenti in cantiere e di un utile di impresa determinato in modo forfettario nel 10% delle opere non più eseguite. Questa disposizione viene richiamata spesso dalla giurisprudenza anche ai fini della quantificazione forfettaria del danno subito dalle imprese nell'ambito delle procedure a evidenza pubblica per l'aggiudicazione dei contratti. 2- IL PROCEDIMENTO 1 Nozione e funzione del procedimento Il procedimento amministrativo può essere definito come la “sequenza di atti ed operazioni tra loro collegati funzionalmente in vista e al servizio dell'atto principale”, cioè del provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Nel diritto amministrativo con la |. n. 241/1990 il procedimento diventa istituto cardine. Funzioni del procedimento 1. Il procedimento consente un controllo sull’esercizio del potere, attraverso una verifica della conseguenza degli atti e operazioni normativamente predefinite. 2. Il procedimento fa emergere e dà voce agli interessi incisi direttamente o indirettamente dal procedimento. La partecipazione acquista una dimensione collaborativa. Questa dimensione è presente soprattutto nei procedimenti di tipo individuale nei quali il provvedimento determina effetti ampliativi nella sfera giuridica del destinatario. Dunque, nel procedimento la PA deve appurare che tutti gli interessi coinvolti siano adeguatamente rappresentati e deve vagliare criticamente gli apporti partecipativi dei privati. Quest'ultimi sono necessariamente di parte e vanno messi a confronto con gli apporti partecipativi dei portatori di interessi di segno contrario. 3. Il procedimento deve essere solto nel rispetto del contraddittorio, ossia il diritto di ogni individuo ad essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento. Il contraddittorio può essere: - Verticale > si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l'amministrazione titolare del potere e il destinatario diretto dell'effetto giuridico restrittivo. - Orizzontale è il contradittorio emerge nei procedimenti nei quali i privati sono portatori di interessi contrapposti e nei quali l'organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi. In alcuni casi il contraddittorio orizzontale è perfettamente paritario (es. concorso); mentre in altri casi il contraddittorio orizzontale non è del tutto paritario (es. sanzioni antitrust). 4. Il procedimento costituisce un fattore di legittimazione del potere dell’amministrazione e di promozione della democrazia dell'ordinamento amministrativo. Infatti, il procedimento, aperto alla partecipazione di tutti i soggetti interessati, diviene la sede nella quale si individua la regola per il caso concreto dettata dal provvedimento. 25 5. Il procedimento promuove il coordinamento tra più amministrazioni nei casi in cui un provvedimento amministrativo vada a incidere su una pluralità di interessi pubblici curati da ciascuna di esse. In questo caso può essere: - debole: il parere obbligatorio, ma non vincolante - forte: il parere vincolante, l'intesa, il concerto, il decreto interministeriale 2. le leggi generali sul procedimento e I. n. 241/1990 La I. n. 241/1990 non contiene né una definizione di procedimento, né una disciplina organica delle singole fasi in cui esso si articola. Tuttavia, disciplina alcuni istituti fondamentali, come il termine del procedimento, il responsabile del procedimento, la partecipazione, alcuni istituti di semplificazione, il diritto di accesso. Il campo di applicazione della legge 241/1990 è individuato sulla base di un criterio soggettivo e oggettivo. 1. Sotto il profilo soggettivo essa si applica: - alle amministrazioni statali - agli enti pubblici nazionali - alle società con titolo o prevalente capitale pubblico Inoltre, le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti dalla I. n. 241/1990. 2. Sotto il profillo oggettivo si applica: - nella sua interezza ai procedimenti di tipo individuale - le diposizioni sull'obbligo di motivazione, sulla partecipazione al procedimento e sul diritto di accesso non si applicano agli atti normativi e agli atti amministrativi generali Il nuovo modello di rapporto tra cittadino e amministrazione: 1. La |. 241/1990 colma la distanza e la separatezza tradizionale tra amministrazione e soggetti privati, che avevano come unico punto di contatto il provvedimento autorizzativo emanato in modo unilaterale. | soggetti privati fanno ingresso nel procedimento attraverso gli strumenti di partecipazione. 2. La legge attenua la concezione individualistica e atomistica dei rapporti tra Stato e cittadino. AI procedimento possono partecipare non solo i singoli individui incisi dal provvedimento, ma anche i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati. 3. La legge supera in gran parte il principio del segreto d'ufficio sulle attività interne all'amministrazione che rendeva imperscrutabile l'operato dell'amministrazione. Infatti, essa introduce il principio di pubblicità e trasparenza e pone una disciplina di accesso ai documenti amministrativi. 4. La legge cerca di superare anche la tradizionale separatezza tra le stesse PA, ciascuna titolare di poteri autonomi, con scarsi canali di comunicazione reciproca. Invece, sono privilegiati strumenti di collaborazione paritaria per lo sviluppo di interessi comuni (accordi) e di coordinamento tra procedimenti paralleli (conferenza dei servizi). 3. le fasi del procedimento Il procedimento si articola in: - iniziativa - istruttoria - conclusione 26 1 L'iniziativa La prima fase del procedimento è quella dell'iniziativa. Nel diritto amministrativo si distingue tra: - Obbligo di procedere: la PA competente è tenuta ad aprire il procedimento su istanza di parte o d'ufficio e a porre in essere le attività prevista nella sequenza procedimentale - Obbligo di provvedere pone in capo alla PA il dovere di portare il procedimento a conclusione attraverso l'emanazione di un provvedimento espresso. Nei procedimenti su istanza di parte, l'atto di iniziativa consiste in una domanda o istanza formale presentata all'amministrazione da un soggetto privato interessato al rilascio di un provvedimento favorevole. In alcuni casi il procedimento è aperto su impulso delle PA che formulano proposte all'amministrazione competente. In essi, l'apertura del procedimento avviene su iniziativa della stessa amministrazione competente a emanare il provvedimento finale. Nei procedimenti d’ufficio si pone il problema di individuare con precisione il momento in cui sorge l'obbligo di procedere. Infatti, in molte situazioni l'apertura formale del procedimento avviene all'esito di una serie di attività preistruttorie, condotte d'ufficio, dai cui esiti possono emergere situazioni di fatto che rendono necessario l'esercizio di un potere. Tra le attività preistruttorie vanno annoverate le ispezioni. Il potere di ispezione attribuito dalla legge ad autorità di vigilanza (come le soprintendenze dei beni culturali, la Banca d'Italia, la CONSOB o l'IVASS) è esercitato nei confronti di soggetti privati allo scopo di verificare il rispetto delle normative di settore. L'ispezione consiste in una serie di operazioni di verifica effettuate presso un soggetto privato, in contraddittorio con quest'ultimo, delle quali si dà atto in un verbale. L'ispezione può concludersi con la constatazione che l'attività è conforme alle norme, oppure può far emergere fatti suscettibili di integrare una o più violazioni. Solo in quest'ultimo caso, sorge in capo all'amministrazione l'obbligo di aprire un procedimento d'ufficio volto a contestare la violazione e che può concludersi con l'adozione di provvedimenti ordinatori o sanzionatori. Le ispezioni possono essere condotte anche all'interno delle pubbliche amministrazioni e spesso la funzione è affidata ad appositi uffici. Altre attività preistruttorie includono: - accessi a luoghi, - richieste di documenti, - assunzione di informazioni, - rilievi segnaletici e fotografici, - analisi di campioni - altre verifiche tecniche. Lo svolgimento delle attività preistruttorie e l'avvio dei procedimenti d'ufficio possono avvenire anche in seguito a denunce, istanze o esposti di soggetti privati. Questi atti tuttavia non fanno sorgere in modo automatico il dovere dell'amministrazione di aprire il procedimento nei confronti del soggetto denunciato. Rientra infatti nella discrezionalità dell'amministrazione valutarne la serietà e la fondatezza. L'amministrazione deve dare comunicazione dell'avvio del procedimento al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento, cioè a coloro “nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” (art. 7 |. n. 241/1990). La comunicazione viene inviata anche a eventuali altri soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e, 27 Il responsabile del procedimento consente al cittadino di avere un interlocutore certo con il quale confrontarsi e rende meno spersonalizzato il rapporto con gli uffici. | compiti del responsabile del procedimento sono indicati nell'art. 6 |. n. 241/1990 e includono tutte le attività propedeutiche all'emanazione del provvedimento finale e l'adozione “di ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria”. Tra i compiti del responsabile vi è l'accertamento dei fatti, il potere di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Emerge una funzione di supporto nei confronti del soggetto privato che è spesso sfornito delle conoscenze e dell'esperienza necessaria. Inoltre, allo scopo di prevenire fenomeni di corruzione, il responsabile del procedimento deve astenersi quando si trovi in «conflitto di interessi», anche potenziale (art. 6-bis, introdotto dalla |. n. 190/2012). Nei procedimenti a istanza di parte il responsabile del procedimento è tenuto ad attivare una fase istruttoria supplementare nei casi in cui sulla base degli elementi già acquisiti sia orientato a proporre o ad adottare un provvedimento di rigetto dell'istanza (preavviso di rigetto). Al soggetto che l'ha proposta, e che dunque ha dato avvio al procedimento, deve essere data comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda. Entro 10 giorni l'interessato può presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da altri documenti, nel tentativo di superare le obiezioni formulate dall'amministrazione. L'eventuale provvedimento finale negativo che rigetta l'istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. Di norma il responsabile del procedimento non adotta il provvedimento finale, ma trasmette tutti gli atti, corredati da una relazione istruttoria, all'organo competente a emanare il provvedimento finale. Quest'ultimo si deve attenere alle risultanze dell'istruttoria. Può eccezionalmente discostarsene, ma deve indicarne le ragioni nel provvedimento finale. 3. La conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi Conclusa l'istruttoria, l'organo competente a emanare il provvedimento assume la decisione all'esito di una valutazione complessiva del materiale acquisito al procedimento. L'art. 2 I. n. 241/1990 pone in capo all'amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Né il procedimento può essere indebitamente sospeso, rallentato o deviato dalla sua meta naturale, cioè il provvedimento amministrativo. Il cosiddetto arresto procedimentale è legittimo solo in casi eccezionali. Il provvedimento può essere emanato: - daltitolare di un organo individuale (come il sindaco o il ministro), - da un organo collegiale (giunta comunale o provinciale, consiglio di amministrazione di un ente pubblico, ecc.). Accanto ad atti semplici (0 mono-strutturati) è frequente nelle leggi amministrative il ricorso ad atti complessi (o pluristrutturati). Tale è, per esempio, il decreto interministeriale nel quale converge la volontà paritaria di una pluralità di amministrazioni. Si parla di concerto allorché il ministero competente a emanare il provvedimento (autorità concertata) deve prima inviare al ministero concertante lo schema di provvedimento per ottenerne l'assenso o proposte di modifica. L'atto finale è sottoscritto da entrambe le autorità. Un'altra decisione pluristrutturata è l'intesa che interviene soprattutto nei rapporti tra Stato e regioni. Essa può essere di tipo debole, quando il dissenso regionale può essere motivatamente superato dallo Stato all'esito del confronto e ciò al fine di evitare effetti paralizzanti, oppure in senso forte, nei casi in cui sia indispensabile il doppio consenso. 30 La determinazione finale, così come ogni atto della sequenza procedimentale, è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è adottata. AI procedimento si applica infatti il principio del tempus regit actum: le modifiche legislative intervenute a procedimento avviato trovano immediata applicazione, a meno che non si sia in presenza di situazioni giuridiche ormai consolidate o di fasi procedimentali già del tutto esaurite. Con riferimento alla fase decisionale, i temi principali da approfondire sono il termine del procedimento e i rimedi in caso di mancato rispetto del termine; il silenzio della pubblica amministrazione; l'accordo come modalità consensuale alternativa al provvedimento unilaterale. 1 Il termine del procedimento Il provvedimento deve essere emanato entro il termine stabilito per lo specifico procedimento. L'art. 2 pone una disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti che è generale e completa: - generale, perché essa si applica là dove manchino disposizioni legislative speciali in tema di termini di conclusione del procedimento; - completa, perché l'applicazione della medesima vale per tutte le fattispecie di procedimenti. L'art. 2 rimette a ciascuna pubblica amministrazione, nei casi in cui i termini dei procedimenti da essa curati non siano già stabiliti per legge, l'obbligo di individuarli per ciascun tipo di procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici. Di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni, in ragione della sostenibilità sotto il profilo organizzativo, della natura degli interessi pubblici coinvolti e della complessità del procedimento. Le amministrazioni godono dunque di una certa discrezionalità. Se le amministrazioni non provvedono a porre una propria disciplina, si applica un termine generale residuale di 30 giorni. La sua brevità funge da stimolo per le amministrazioni a individuare i termini di durata più congrua. In definitiva, l'art. 2 |. n. 241/1990 dà corpo al principio della certezza del tempo dell’agire amministrativo. Questo principio risponde sia all'esigenza dell'’amministrazione alla cura sollecita dell'interesse pubblico di cui è portatrice, sia a quella dei soggetti privati che dovrebbero poter programmare le proprie attività facendo affidamento sulla tempestività nell'adozione degli atti ‘amministrativi necessari per intraprenderla. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni (Comma 7). Accanto ai termini relativi alla conclusione del procedimento individuati in base ai criteri posti dall'art. 2 I. n. 241/1990 (termini finali), le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti prevedono talora termini endoprocedimentali relativi ad adempimenti posti a carico dei soggetti privati o relativi ad atti attribuiti alla competenza di altre amministrazioni. Per esempio, i termini per l'acquisizione di pareri e valutazioni tecniche sono fissati in via generale rispettivamente in 20 e 90 giorni. | termini finali ed endoprocedimentali hanno di regola natura ordinatoria, perché la loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo (o nullo) il provvedimento finale emanato in ritardo. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come perentorio e a pena di decadenza il provvedimento tardivo è considerato viziato. | termini previsti per gli adempimenti a carico dei soggetti privati nell'ambito del procedimento hanno invece natura più cogente: il loro decorso fa decadere il soggetto privato dalla facoltà di porli in essere o in caso di adempimento tardivo consente all'amministrazione di non tenerne conto. Il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può provocare conseguenze di vario tipo. Può far sorgere una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario o una 31 responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura. Può costituire un elemento di valutazione al fine di attribuire la retribuzione di risultato. Nei casi più patologici il ritardo può essere fonte di responsabilità penale. Le conseguenze del ritardo per l'esercizio del potere sostitutvo da parte del dirigente sovraordinato. Il potere sostitutivo è disciplinato anche dall'art. 2 |. n. 241/1990: 1. L'organo di governo di ciascuna amministrazione individua tra le figure apicali il soggetto (di regola un dirigente) titolare del potere sostitutivo (comma 9-bis). 2. In caso di ritardo, il privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo che deve concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto attraverso le strutture competenti o nominando un commissario ad acta (comma 9-ter). 3. Entro il 30 gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica all'organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine (comma 9-quater) e ciò al fine di sensibilizzarlo e indurlo a intraprendere le iniziative necessarie per risolvere questo tipo di problema. 4. Infine, i provvedimenti su istanza di parte rilasciati in ritardo devono indicare sia il termine previsto dalla legge, sia il termine effettivamente impiegato (comma 9-quinquies). L'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento può anche far sorgere l'obbligo di risarcire il danno a favore del privato. Il danno da ritardo è stato definito dalla giurisprudenza come «comportamento che genera incertezza» che prescinde del tutto dalla spettanza o meno del bene della vita sotteso all'interesse legittimo. Il comma 1-bis dell'art. 2-bis prevede, anche a prescindere dalla sussistenza dei presupposti per il risarcimento, il riconoscimento di un indennizzo automatico per il ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite da un regolamento. 2. Rimedi in caso di mancato rispetto del termine Può accadere che l'amministrazione non concluda il procedimento entro il termine previsto e la situazione di inerzia si protragga nel tempo. Si pone così la questione del silenzio della pubblica amministrazione. Fino ad anni recenti il regime ordinario del silenzio della pubblica amministrazione di fronte a istanze o domande presentate da soggetti privati è stato quello del cosiddetto silenzio-inadempimento (silenzio-rifiuto). In questi casi l'inerzia mantenuta oltre il termine assume il significato giuridico di inadempimento dell'obbligo formale di provvedere posto dall'art. 2 I. n. 241/1990, cioè di concludere il procedimento con un provvedimento vuoi di accoglimento, vuoi di rigetto dell'istanza. L'inadempimento di tale obbligo non fa venir meno il potere-dovere di provvedere, considerata, la natura di regola ordinatoria dei termini. Ciò significa che l'amministrazione può emanare il provvedimento anche in ritardo, ferma restando l'eventuale responsabilità per il danno cagionato al privato che aveva confidato nel rispetto del termine. Nei casi di silenzio-inadempimento il privato interessato può proporre al giudice amministrativo, un'azione allo scopo di accertare l'obbligo di quest'ultima di provvedere ed eventualmente la fondatezza della pretesa e un'azione di adempimento volta a condannare l'amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto. La I. n. 241/1990 e altre leggi amministrative prevedono due regimi di silenzio cosiddetto significativo: il silenzio-diniego e il silenzio-assenso. 1. Silenzio-diniego + Le fattispecie di silenzio avente valore di diniego sono tassativamente stabilite dalla legge. Per esempio, la |. n. 241/1990 ne prevede una a proposito del diritto di accesso 32 - Procedimenti complessi che richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali (per esempio la localizzazione e l'approvazione di un progetto di un'opera pubblica). | procedimenti a struttura complessa sono spesso articolati all'interno in subprocedimenti sequenziali, ciascuno avente una unità funzionale autonoma. Talvolta i subprocedimenti si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive. Producono cioè effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all'effetto giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione del procedimento. In termini generali, si parla di procedimenti collegati (o connessi) nelle ipotesi in cui una pluralità di procedimenti, da avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un risultato unitario. Anche per i procedimenti, così come per i provvedimenti, sono state elaborate varie classificazioni, aventi per lo più valore descrittivo. 1. Si possono distinguere i procedimenti: - Di primo grado finalizzati all'emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni e alla cura di un interesse pubblico (come una licenza, un'autorizzazione, una diffida) - Di secondo grado hanno invece per oggetto provvedimenti amministrativi già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l'interesse pubblico. Rientrano i procedimenti di autotutela, come l'annullamento d'ufficio o la revoca, e i ricorsi amministrativi (per esempio, il ricorso gerarchico). Possono essere inclusi tra i procedimenti di secondo grado anche i controlli sugli atti amministrativi (di legittimità e di merito) affidati a organi esterni all'amministrazione (in particolare la Corte dei conti). In pochi casi, i controlli hanno carattere preventivo, se il loro esito positivo è condizione di efficacia del provvedimento oggetto del controllo. 2. Un'altra distinzione è tra: - Procedimenti finali funzionali alla cura immediata di interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati - Procedimenti strumentali hanno una funzione prevalentemente organizzatoria e riguardano principalmente la gestione del personale e delle risorse finanziarie (per esempio, i procedimenti di programmazione o di pianificazione). 3. Un'ulteriore distinzione è tra: -. Procedimento in senso proprio si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge o in una fonte normativa in senso proprio - Procedura interna all'’amministrazione riguarda invece gli atti e adempimenti interni all'amministrazione che sono previsti da regole di tipo organizzativo. 5. La conferenza di servizi e altre forme di coordinamento La I. n. 241/1990 individua come strumento principale di coordinamento e di accelerazione dei tempi delle decisioni la conferenza di servizi. Da un punto di vista descrittivo, la conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessate che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista e, nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare. 35 La I. n. 241/1990 distingue tre tipi di conferenza di servizi: istruttoria, decisoria, preliminare. 1. La conferenza di servizi istruttoria La conferenza di servizi istruttoria è sempre facoltativa e ha la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti medesime attività o risultati (conferenza di servizi interprocedimentale) (art. 14, comma 1). Nel caso di procedimento attribuito alla competenza di una sola amministrazione, la conferenza di servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto, e con il confronto di tutti gli uffici interni interessati, gli elementi istruttori utili che saranno posti poi alla base della decisione finale adottata dall'organo competente a emanare il provvedimento finale. Nel caso di conferenza di servizi interprocedimentale la convocazione è operata di regola dall'amministrazione che cura l'interesse pubblico prevalente. Le posizioni espresse in sede di conferenza non possano essere poi disattese, almeno di regola, in base a un principio di coerenza, in sede di emanazione dei singoli atti. 2 La conferenza di servizi decisoria La conferenza di servizi decisoria è un modulo procedimentale volto a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amministrazioni competenti a emanare «intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati», che devono essere acquisiti per legge da parte dell'amministrazione procedente (art. 14, comma 2). La conferenza è convocata dall'amministrazione procedente, anche su richiesta del soggetto privato interessato, nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzativo che condizionano l'avvio di un'attività (Comma 4). La conferenza di servizi si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amministrazione partecipante. Sulla base del verbale, che, come ha chiarito la giurisprudenza più recente, è ancora un atto a rilevanza interna non impugnabile, l'amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che «sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti» (art. 14-quater, comma 1). Di regola la conferenza si svolge in forma semplificata, cioè in modalità asincrona (art. 14-bis). In pratica, l'amministrazione procedente acquisisce entro termini stabiliti (decorsi i quali opera il silenzio-assenso tra amministrazioni) le determinazioni motivate (assenso, dissenso, proposta di modifica) di competenza delle altre amministrazioni. La conferenza si conclude con una determinazione motivata. Se gli atti di dissenso pervenuti non possono essere superati, la conferenza si chiude nei procedimenti a istanza di parte con il rigetto della domanda (comma 5). Nel caso di determinazioni di particolare complessità, la conferenza di servizi è convocata in forma simultanea e con modalità sincrona, convocando cioè una riunione alla quale sono invitate tutte le ‘amministrazioni interessate (art. 14-ter). Gli aspetti più rilevanti della disciplina della conferenza decisoria, che deve concludersi entro 45 giorni dalla data della riunione, sono due: - Il primo riguarda la partecipazione obbligatoria di tutte le amministrazioni invitate i cui rappresentanti devono essere muniti dei poteri necessari per assumere determinazioni vincolanti. L'assenza alla conferenza dei servizi regolarmente convocata determina un effetto di silenzio-assenso (art. 14-ter, comma 7) in relazione all'atto attribuito alla competenza dell'amministrazione non partecipante. - Il secondo attiene al dissenso manifestato da una o più amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi. 36 La regola ora vigente è che la determinazione finale motivata all'esito della conferenza di servizi adottata dall'amministrazione procedente è formulata sulla base delle «posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti» (art. 14-ter, comma 7). In caso di approvazione unanime la determinazione è immediatamente efficace (art. 14-quater, comma 3). L'efficacia della determinazione finale è invece sospesa nel caso in cui i rappresentanti di ‘amministrazioni che curano interessi pubblici ritenuti di rango prioritario (ambientale, paesaggistico, storico-artistico, salute, incolumità) propongono una opposizione al presidente del Consiglio dei ministri il quale convoca una riunione per cercare di trovare una soluzione condivisa (art. 14- quinquies). Se il dissenso non è superato, la determinazione finale viene rimessa al Consiglio dei ministri (comma 6). La conferenza di servizi è soprattutto uno strumento di coordinamento tra pubbliche amministrazioni, ma in alcuni casi anche i soggetti privati possono partecipare, ma senza diritto di voto (art. 14-ter, comma 6). 3. La conferenza di servizi preliminare Il terzo tipo di conferenza di servizi è quella preliminare (art. 14, comma 3) che può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi. Il privato sottopone uno studio di fattibilità alle amministrazioni competenti a rilasciare gli atti autorizzativi, i pareri e le intese ancor prima di presentare formalmente le istanze necessarie. Accanto alla conferenza di servizi l'ordinamento prevede altre forme di coordinamento. 4. Gli accordi di programma Il Testo unico sull'ordinamento degli enti locali disciplina l'accordo di programma promosso, a seconda dei casi, dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco. L'accordo in questione, finalizzato alla definizione e attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che coinvolgono una pluralità di amministrazioni, è però retto ancora dal principio del consenso unanime dei partecipanti (comma 4). 5. Gli accordi tra amministrazioni La |. n. 241/1990 prevede gli accordi tra pubbliche amministrazioni come strumenti «per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune» (art. 15). È stato introdotto l'obbligo di sottoscrizione con firma digitale, la cui violazione comporta la nullità dell'accordo (comma 2-bis). Molti tipi di accordi (o protocolli d'intesa) più specifici sono previsti nella legislazione amministrativa come strumento di coordinamento bilaterale o plurilaterale paritario. 6. L'autorizzazione unica Un altro strumento per attuare un coordinamento è l'autorizzazione unica, nella quale confluiscono una pluralità di atti di assenso attribuiti alla competenza di più amministrazioni. ZL Lo sportello unico Uno strumento organizzativo concepito per rendere più agevole il coordinamento e semplificare i rapporti tra amministrazioni e soggetti privati è il cosiddetto sportello unico, cioè un ufficio istituito con la funzione di far da tramite tra questi ultimi e i vari uffici e amministrazioni competenti a emanare gli atti di assenso, i pareri e le valutazioni di volta in volta necessari. Lo sportello unico è previsto anche dalla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno come punto di contatto mediante il quale i prestatori di servizi possono presentare le domande di autorizzazione e svolgere le altre formalità necessarie (inserimento in registri, ruoli banche dati, ecc.) per poter intraprendere un'attività (art. 6). 37 disporne l'acquisizione, non retroattiva, al suo patrimonio indisponibile. Il provvedimento deve prevedere un indennizzo corrispondente al valore venale del bene e un risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo. 2. Sanzioni pecuniarie e disciplinari Il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni ti tipo pecuniario è disciplinato dalla legge 689 che distingue più fasi: - accertamento - contestazione degli addebiti - ordinanza-ingiunzione 1. Accertamento della violazione A monte dell'apertura del procedimento, vi è la fase dell’accertamento che consiste in un'attività di raccolta e di prima valutazione di elementi di fatto suscettibili di integrare una fattispecie di illecito amministrativo. L'attività preprocedimentale consiste nell'assunzione di informazioni. Queste attività sono effettuate dagli agenti accertatori individuati nelle normative di settore. In alcuni casi le attività di accertamento avvengono in contraddittorio. Le attività poste in essere e le risultanze delle medesime confluiscono in un processo verbale redatto dall'agente accertatore. Il verbale fa piena prova fino a querela di falso. 2. Contestazione dell'illecito e l'oblazione Se l'accertamento fa emergere la violazione di norme amministrative, l'ufficio competente procede alla contestazione dell'illecito al trasgressore. Ove possibile essa deve essere immediata e in ogni caso deve essere notificata nel termine di 90 giorni dall'accertamento (art. 14). Questo termine ha natura perentoria in quanto il suo decorso determina l'estinzione dell'obbligazione del pagamento della somma dovuta. La contestazione deve indicare con sufficiente precisione gli elementi di fatto suscettibili di essere sussunti in una fattispecie sanzionatoria, Entro 30 giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono presentare scritti difensivi e documenti. Possono anche chiedere di essere sentiti personalmente dall'autorità amministrativa (art. 18, comma 1). Entro 60 giorni dalla notificazione della contestazione l'interessato può procedere all'oblazione, cioè al pagamento di una somma ridotta, che estingue l'obbligazione pecuniaria senza che si proceda a un accertamento definitivo dell'illecito. 3. Ordinanza-ingiunzione L'autorità procedente, ove ritenga provata la violazione all'esito della valutazione degli elementi istruttori e dell'eventuale audizione orale, emana d'ordinanza-ingiunzione che determina l'ammontare della sanzione pecuniaria e ingiunge al trasgressore il pagamento della medesima, insieme con le spese, entro un termine di 30 giorni. In caso contrario l'autorità dispone l'archiviazione con ordinanza motivata comunicata all'organo che ha redatto il rapporto (art. 18). L'ordinanza-ingiunzione può irrogare, a seconda dei casi, anche sanzioni accessorie come, per esempio, la confisca di cose il cui uso, porto, detenzione o alienazione costituisce violazione amministrativa (art. 20) oppure la sospensione di una licenza (art. 21, ultimo comma) Il pagamento deve avvenire entro 30 giorni dalla notificazione dal provvedimento. L'ordinanza- ingiunzione vale come titolo esecutivo. 40 4. Il giudizio di opposizione Contro l'ordinanza-ingiunzione può essere proposta opposizione innanzi al giudice ordinario (giudice di pace o tribunale) entro un termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. L'oggetto del giudizio innanzi al giudice ordinario non consiste, nell'accertamento della legittimità dell'ordinanza-ingiunzione bensì nell'accertamento dei presupposti di fatto e di diritto della violazione e; di conseguenza, della sussistenza della pretesa creditoria dell'amministrazione e del correlato obbligo al pagamento della somma di danaro in capo al trasgressore. Una specie di sanzioni amministrative è costituita, dalle sanzioni disciplinari previste per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma anche per altri soggetti sottoposti a regimi speciali e poteri di vigilanza attribuiti ad apparati pubblici. Secondo il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni), il dirigente dell'ufficio o, per le sanzioni più gravi, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari che vengano a conoscenza di comportamenti illeciti di un dipendente pubblico devono contestare per iscritto l'addebito «senza indugio e comunque non oltre 20 giorni» (art. 55-bis, comma 2). Il dipendente è convocato con un preavviso di 10 giorni per esercitare il proprio diritto di difesa con l'eventuale assistenza di un procuratore o di un rappresentante di un'associazione sindacale. Il dipendente può decidere di non presentarsi può limitarsi a inviare una memoria scritta. Il procedimento si conclude con l'archiviazione o con la sanzione (rimprovero scritto, sospensione temporanea dal servizio licenziamento), entro 60 giorni dalla contestazione dell'addebito. | termini indicati hanno carattere perentorio: il loro superamento determina la decadenza dall'azione disciplinare e per il dipendente dall'esercizio del diritto di difesa. Le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal dipendente davanti al giudice ordinario previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione presso un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro o attraverso altre procedure eventualmente previste nei contratti collettivi nazionali (artt. 63 ss.). 3. Le autorizzazioni. La direttiva Europea pone anzitutto il principio secondo il quale le procedure e le formalità per l'accesso a un'attività di servizi devono essere «sufficientemente semplici». Gli Stati membri devono istituire sportelli unici presso i quali gli interessati possono espletare tutte le procedure e acquisire le informazioni. Deve essere garantita la possibilità di effettuare gli adempimenti a distanza e per via elettronica. La domanda di autorizzazione deve essere trattata entro «un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente». La mancata risposta entro il termine stabilito fa scattare il silenzio-assenso. Ogni domanda di autorizzazione deve essere riscontrata con una inviata al richiedente. Essa deve contenere informazioni relative al termine di conclusione del procedimento, ai mezzi di ricorso esperibili all'eventuale applicazione della regola del silenzio-assenso. Se una domanda è incompleta, i richiedenti sono informati quanto prima della necessità di presentare ulteriori documenti. Le istanze, segnalazioni e comunicazioni devono essere protocollate deve essere rilasciata una ricevuta, anche in via telematica (art. 18-bis) Permesso a costruire Un esempio di procedimento autorizzatorio è il permesso a costruire disciplinato dal Testo unico in materia edilizia approvato con d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (art. 20). 41 1. Il procedimento si apre con la presentazione allo sportello unico per l'edilizia del comune di una domanda sottoscritta, di regola, dal proprietario. La domanda deve essere corredata da un'attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali, da altra documentazione tecnica. Nel caso in cui si tratti di un intervento di edilizia residenziale è richiesta anche un'autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie. 2. Entro 10 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento. Quest'ultimo cura l'istruttoria acquisendo i pareri interni degli uffici comunali, nonché altri pareri come quello dell'azienda sanitaria locale e dei vigili del fuoco. Se sono richiesti altri atti di assenso a cura di amministrazioni diverse, il responsabile del Procedimento convoca una conferenza dei servizi. 3. All'esito dell'istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, valutata la conformità del progetto alla normativa applicabile, formula una proposta al dirigente del servizio il quale nei successivi 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Della determinazione è dato avviso pubblico mediante affissione all'albo pretorio. Decorsi i termini previsti si intende formato il silenzio-rifiuto. L'interessato a questo punto può proporre un ricorso in sede giurisdizionale. In alternativa può richiedere, con un'istanza formale avente valore di diffida, che il dirigente si pronunci entro 15 giorni. Valutazione di impatto ambientale (VIA Un altro procedimento, a struttura complessa, con effetti ampliativi è la valutazione di impatto ambientale (VIA). Esso deve essere avviato da chi intende realizzare progetti con impatto elevato sul territorio. 1. Il procedimento, che si articola in una pluralità di fasi, si apre con una prima istanza all'autorità competente a valutare uno studio preliminare ambientale che viene pubblicata sul sito web in modo tale che tutti gli interessati possano presentare osservazioni. Di tale pubblicazione devono essere informate tutte le amministrazioni e tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati. 2. All'esito di questa prima fase (di verifica preliminare o di screening), che prevede anche la richiesta eventuale di chiarimenti e integrazioni al proponente, l'autorità stabilisce con un provvedimento pubblicato sul sito web se il progetto debba essere o meno assoggettato alla VIA. 3. A questo punto, il proponente presenta un'altra istanza corredata di tutta la documentazione necessaria della quale viene dato un avviso pubblicato anch'esso sul sito web (art. 23). Prima di presentare l'istanza il proponente ha la facoltà di richiedere un parere sulla completezza e sul livello di dettaglio dello studio di fattibilità da sottoporre alla valutazione di impatto ambientale. 4. Entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza chiunque può prendere visione della documentazione e presentare osservazioni e nei 30 giorni successivi il proponente può presentare le proprie controdeduzioni. L'autorità competente può indire una consultazione nella forma di inchiesta pubblica (art. 24-bis) e, valutati tutti gli apporti partecipativi, può richiedere al proponente modifiche e integrazioni progettuali. 5. Entro 60 giorni dalla conclusione della fase di consultazione, nel caso di provvedimenti di competenza statale, l'autorità competente propone al ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio l'adozione del provvedimento di VIA. Quest'ultimo deve essere analiticamente motivato e può prevedere misure e condizioni volte a mitigare e compensare gli impatti ambientali (art. 25). 4. I procedimenti concorsuali Le pubbliche amministrazioni sono spesso enti erogatori di danaro e altre utilità a favore di soggetti privati. 42 Secondo la Costituzione, la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (art. 100, comma 2, Cost.). La Corte dei conti, che esercita, anche funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica (art. 103, comma 2), è inserita dalla Costituzione tra gli organi ausiliari del governo ed è composta da magistrati assunti in massima parte per concorso. La Corte riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. Talvolta il soggetto titolare del potere di controllo è posto in una posizione di sovraordinazione rispetto al destinatario del controllo. La funzione di controllo rientra, per esempio, tra quelle proprie del superiore gerarchico. 2. Destinatari del controllo | destinatari del controllo possono far parte della medesima organizzazione nella quale è incardinato l'organo di controllo e in questo caso si parla di controllo interno (per esempio, il collegio dei revisori di un ente pubblico), oppure possono appartenere a un soggetto diverso e in questo caso si parla di controllo esterno (la Corte dei conti nei confronti delle amministrazioni statali, la CONSOB nei confronti delle società quotate in borsa). Destinatari dei controlli esterni di tipo amministrativo possono essere sia soggetti pubblici sia soggetti privati che svolgono determinate attività. Si parla in proposito di funzione di vigilanza che è attribuita a organi e apparati appositamente istituiti (aziende sanitarie locali, vigili del fuoco, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, Ispettorato del lavoro, autorità indipendenti, ecc.). 3. Oggetto del controllo Oggetto del controllo può essere costituito da: - singoli atti emanati dall'amministrazione (controllo sugli atti), - complesso dell'attività posta in essere da un apparato e dai risultati conseguiti (controllo sull'attività o sulla gestione). 4. Paramento o standard di valutazione Il parametro o standard di valutazione può avere: - natura tecnica (controlli tecnici) + Es: controllo sulle scritture contabili di un ente che deve essere effettuato in conformità con regole, spesso di livello internazionale, elaborate dalle scienze ragionieristiche e aziendali, oppure i controlli sulla sicurezza di impianti produttivi. -_ natura giuridica (controlli di legittimità). Nel diritto amministrativo la distinzione forse più rilevante è quella fra: - controllo di legittimità > ha come riferimento norme e principi giuridici che presiedono all'attività delle P.A. - controllo di merito > è ormai recessivo perché involge un apprezzamento diretto del Brado di soddisfazione dell'interesse pubblico. 5. Misure che possono essere emanate all'esito del controllo Le misure che possono essere emanate all'esito del controllo sono di vario tipo: ordini di adeguamento o di ripristino dello standard violate annullamento o riforma di atti, sanzioni, esercizio del potere sostitutive scioglimento dell'organo, ecc. 45 2. | controlli sugli atti e sull'attività a. Controllo sugli atti Il controllo sugli atti rappresenta una forma di verifica sull'operato di un ente che limita molto l'autonomia di quest'ultimo. Esso può essere: - preventivo + il controllo viene esercitato prima che l'atto abbia prodotto i suoi effetti. - successivo > il controllo viene esercitato prima o dopo che l'atto abbia prodotto i suoi effetti. - di legittimità > l'organo di controllo fa riferimento a parametri normativi e a principi giuridici - di merito + l'organo di controllo fa riferimento a canoni più generali di opportunità e convenienza. In caso di esito negativo il controllo di legittimità preclude all'atto di produrre i suoi effetti, se si tratta di controllo preventivo; determina l'annullamento dell'atto con la rimozione degli effetti ex tunc, se si tratta di controllo successivo. Se il controllo è esteso al merito l'autorità che lo esercita può riformare direttamente l'atto oppure indirizzare all'autorità emanante una richiesta di riesame. Il controllo preventivo di legittimità sugli atti delle amministrazioni statali e locali è stato in auge fino ad anni relativamente recenti. La stessa Costituzione prevedeva, accanto ai controlli sugli atti del governo affidati alla Corte dei conti (art. 100, comma 2), un controllo di legittimità sugli atti delle regioni esercitato in forma decentrata da un organo dello Stato (art. 125 Cost.) e sugli atti delle province e dei comuni attribuito a un organo regionale (art. 130 Cost.). Il controllo sugli atti, adottato nell'ambito del modello tradizionale di “amministrazione per atti", nel quale ciò che conta è essenzialmente la conformità alla legge piuttosto che la capacità di erogare in modo efficiente prestazioni e servizi di elevata qualità ai cittadini e utenti, ha subito in epoca recente un ripensamento. Si è infatti affermata la cosiddetta “amministrazione di risultato”, nella quale è più avvertita l'esigenza di assicurare i valori dell'efficienza, dell'efficacia e dell'economicità. In occasione della riforma del Titolo V della Costituzione attuata con la legge costituzionale n. 3/2001, il controllo preventivo di legittimità degli atti è stato in gran parte soppresso e ad esso sono subentrate altre forme di controllo di tipo soprattutto finanziario e gestionale. A livello statale, il controllo preventivo di legittimità attribuito alla Corte dei conti è ormai limitato a un elenco tassativo di atti (art. 3 legge 14 gennaio 1994, n. 20). Tra di essi figurano: - i provvedimenti emanati con delibera del Consiglio dei ministri, - le piante organiche, - il conferimento degli incarichi dirigenziali, - gli atti normativi a rilevanza esterna, - gli atti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare. Il procedimento di controllo deve concludersi entro 60 giorni dalla ricezione dell'atto (salvo sospensione nell'ipotesi di richieste istruttorie). In caso di esito negativo del controllo e dunque di diniego del visto e della registrazione dell'atto, il ministro può chiedere al Consiglio dei ministri che l'atto abbia comunque corso e che venga ammesso alla registrazione con riserva: l'atto acquista così efficacia nonostante l'illegittimità rilevata dalla Corte dei conti che però ne dà comunicazione al parlamento. Anche il controllo successivo su singoli atti è ormai quasi del tutto superato. A livello statale, la Corte dei conti può però deliberare motivatamente che «singoli atti di notevole rilievo finanziario» siano 46 sottoposti al suo esame per un determinato periodo di tempo. La Corte può richiedere all'amministrazione entro 15 giorni il riesame degli atti adottati, richiesta che non sospende però l'esecutività dei medesimi (art. 3, comma 3, 1. n. 20/1994 b. Controllo sull'attività Il controllo sull'attività ha per oggetto la gestione di un apparato considerata nel suo complesso e mira a valutarne i risultati globali. Per la sua natura si tratta di un controllo di tipo successivo (0 ex post) che riguarda, in particolare, la regolarità contabile e finanziaria della gestione e l'efficienza, l'efficacia e l'economicità. A livello centrale, in attuazione dell'art. 100, comma 2, Cost., la Corte dei conti esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche. Verifica cioè la legittimità e la regolarità delle gestioni, accertando la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge e valuta comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'attività amministrativa (art. 3, comma 4, 1. n. 20/1994). La Corte verifica anche il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, creando così un legame tra controlli interni e controlli esterni. Più in particolare, il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato ha per oggetto gli andamenti generali della finanza pubblica e consiste nell'esame del rendiconto generale dello Stato presentato dal governo alla Corte di conti entro il 31 maggio successivo a quello di chiusura dell'anno finanziario. Il rendiconto viene messo a raffronto con la legge di bilancio e, nel caso di accertata concordanza, viene emanato un «giudizio di parificazione» inviato, insieme a una relazione, al parlamento entro il 30 giugno di ogni anno. A livello decentrato, la Corte dei conti, tramite le sezioni regionali, esercita un controllo successivo sul rispetto da parte di regioni ed enti locali del Patto di stabilità e dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell’Italia all'Unione europea. Verifica anche la sana gestione finanziaria e il funzionamento dei controlli interni. | revisori degli enti locali, che costituiscono il principale organo di controllo interno, inviano alle sezioni regionali della Corte una relazione sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo di ciascun ente, redatta secondo criteri e linee guida predisposte a livello nazionale dalla Corte stessa. All'esito del controllo le sezioni regionali riferiscono agli organi rappresentativi dell'ente e vigilano sull'adozione da parte dell'ente locale delle misure correttive per assicurare il rispetto dei vincoli e degli obiettivi. Analoghi controlli sono previsti nei confronti delle aziende sanitarie locali, che gestiscono la maggior parte delle risorse disponibili a livello regionale. All'esito di questo controllo le sezioni regionali della Corte inviano una segnalazione alla regione per l'assunzione di provvedimenti conseguenti. La Corte esercita un controllo esterno mediante un esame dei rendiconti, anche nei confronti di enti pubblici e privati ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, e in particolare, delle università. Il controllo della Corte dei conti ha una valenza essenzialmente collaborativa nei confronti delle ‘amministrazioni interessate. 3. I controlli gestionali I controlli gestionali costituiscono la specie principale di controlli interni alle PA. La disciplina è contenuta nel d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286 che individua quattro tipi di controlli interni obbligatori per tutte le pubbliche amministrazioni statali e non statali: il controllo di regolarità amministrativa e contabile, -_ il controllo di gestione, - la valutazione della dirigenza pubblica, - la valutazione e il controllo strategico. 47 - dall'altro lato che l'azione di risarcimento nei suoi confronti «può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione». Per prassi, tenuto conto che l'amministrazione è un debitore patrimonialmente molto più capiente del dipendente, l'azione risarcitoria viene esperita soltanto nei confronti dell'amministrazione, salvo che sussistano nei confronti del dipendente ragioni di acrimonia personale particolari. 2. Il rapporto tra il danneggiato e la pubblica amministrazione nella quale è incardinato il dipendente pubblico + La responsabilità della PA è più ampia di quella del dipendente. Infatti, la responsabilità personale del dipendente per danni provocati nell'esercizio delle funzioni alle quali è preposto è limitata ai casi di dolo e colpa grave (art. 23 Testo unico). In caso di colpa lieve, l'azione risarcitoria può essere proposta solo nei confronti dell'amministrazione e viene dunque meno il principio del parallelismo. Inoltre, l'impossibilità partica di identificare il dipendente pubblico che ha posto in essere il comportamento dannoso non esclude la responsabilità della PA, purché sia accertato che la condotta sia riferibile a un dipendente di quell'amministrazione. 3. il rapporto interno tra dipendente e amministrazione di appartenenza. > L'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente può esercitare un’azione di regresso contro quest'ultimo secondo i principi della responsabilità amministrativa (art. 22 Testo unico). Elementi strutturali dell'illecito civile ex art. 2043 c.c.: “qualunque fatto doloso 0 colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno". Va posta anzitutto la distinzione tra: - illecito causato da meri comportamenti degli agenti della pubblica amministrazione -_ illecito conseguente all'emanazione di provvedimenti amministrativi illegittimi. In base all'art. 2043 c.c. per essere risarcibile: - il danno deve essere riconducibile a una condotta colposa o dolosa dell'agente; - deve essere qualificato come «ingiusto» deve sussistere un nesso di causalità tra condotta ed evento pregiudizievole. 1. Per quanto riguarda la condotta, la responsabilità del dipendente e della pubblica amministrazione può sorgere sia quando l'illecito consegua al compimento di atti o operazioni, sia quando esso consista «nell'omissione o nel ritardo ingiustificato di atti o operazioni al cui compimento l'impiegato è obbligato per legge o per regolamento» (art. 23, comma 2, Testo unico). La proposizione dell'azione risarcitoria deve essere preceduta da un atto formale di diffida (art. 25 Testo unico). Inoltre, se la condotta consiste in atti o operazioni compiuti da un organo collegiale, i membri del collegio sono responsabili in solido. La responsabilità è esclusa solo per coloro che abbiano fatto verbalizzare il proprio dissenso (art. 24 Testo unico). Infine, la condotta illecita deve essere riconducibile all'agente in base all'art. 2046 c.c., che esclude l'imputabilità in caso di incapacità di intendere e volere al momento in cui la condotta è stata posta in essere. Deve essere inoltre riferibile all'amministrazione in base al rapporto di immedesimazione organica. Affinché sorga la responsabilità occorre cioè un nesso di «occasionalità necessaria» tra attività illecita e mansioni del dipendente. A questo fine occorre verificare se il comportamento colposo o anche doloso sia collegato a un interesse dell'amministrazione o se l'esercizio delle mansioni abbia determinato una situazione tale de agevolare e da rendere possibile il fatto illecito. 50 2. Il requisito della colpa: il rapporto tra colpa e discrezionalità. Oggi, il principio secondo il quale il potere discrezionale incontra un limite, non soltanto nelle disposizioni di legge e di regolamento che prescrivono determinate modalità di comportamento, ma anche nelle comuni regole di diligenza e prudenza. In altre parole, l'amministrazione nell'operare le scelte discrezionali è tenuta al rispetto del principio generale del neminem laedere. Su questo tema interviene la distinzione tra scelta discrezionale dei mezzi più idonei per soddisfare gli interessi pubblici (per esempio, le modalità organizzative di un servizio pubblico) e realizzazione e messa in opera dei mezzi prescelti. 3. Quanto al requisito dell'ingiustizia del danno, la giurisprudenza costante, prima della svolta operata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 500/1999, riteneva che potesse essere definito come ingiusto solo il danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo. Veniva così esclusa la risarcibilità dei danni causati da provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi, mentre essa era ammessa con riguardo a tutta l'area dei meri comportamenti degli agenti della pubblica amministrazione. Analogamente, la revoca illegittima di una concessione amministrativa attributiva a un soggetto privato del diritto soggettivo a svolgere una determinata attività poteva costituire un illecito risarcibile. 3. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi La sentenza n. 500/1999 ha abbattuto la barriera della irrisarcibilità del danno da provvedimento illegittimo. La Corte ha operato una nuova interpretazione della nozione di «danno ingiusto» ex art. 2043 c.c. A questo fine, ha anzitutto qualificato questo articolo come norma (primaria) volta ad apportare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui. In altre parole, per la sua applicazione l'art. 2043 c. c. non richiede che si rinvengano altre norme primarie recanti divieti o costitutive diritti, ma pone direttamente il criterio giuridico per stabilire se il danno possa essere qualificato come «ingiusto». Ingiusto è il danno che lede interesse giuridicamente rilevante, ciò a prescindere dalla qualificazione di quest'ultimo in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Dunque, occorre stabilire i casi in cui un interesse è giuridicamente rilevante. A questo fine la Corte precisa che occorre operare una valutazione e comparazione tra interessi in conflitto alla stregua del diritto positivo, accertando con quale consistenza e intensità l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato. In base a questo criterio non tutti gli interessi legittimi sono risarcibili. Occorre infatti appurare se per effetto del provvedimento illegittimo risulti leso «l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla». 1. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi, la cui lesione può derivare sia dal diniego illegittimo del provvedimento favorevole richiesto, sia dal ritardo ingiustificato nell'adozione di quest'ultimo, il collegamento con il bene della vita richiede, una valutazione più articolata. È richiesto infatti «un giudizio prognostico da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta». Scomponendo questo passaggio centrale della sentenza n. 500/1997 nei suoi elementi logici, ne deriva che: 51 - il giudizio prognostico ha per oggetto la fondatezza o meno dell'istanza del privato volta a ottenere un provvedimento favorevole e dunque tende ad appurare se all'esito de procedimento il bene della vita o l'utilità che il privato mira a conseguire gli deve essere riconosciuto; - il giudizio richiede un esame della normativa di settore che disciplina quel particolare tipo di procedimento e ciò soprattutto per stabilire se e quali margini di discrezionalità sono riconosciuti all'amministrazione, atteso che la sussistenza della discrezionalità, escludendo la spettanza del bene della vita; - il giudizio va condotto secondo un criterio di normalità, cioè prefigurando, anche alla luce della situazione concreta di fatto, l'esito del procedimento; - una volta operato questo giudizio può risultare, in caso di prognosi negativa, che il privato è titolare di una semplice aspettativa non, oppure, in caso di prognosi positiva, che egli si trova in una situazione di oggettivo affidamento, giuridicamente protetto, a conseguire il bene della vita ad opera di un provvedimento favorevole. Il risarcimento è commisurato soltanto alla cosiddetta perdita di chance nei casi in cui non sia possibile accertare in termini di certezza assoluta, ma soltanto di probabilità, l'acquisizione o la conservazione del bene della vita in capo al titolare dell'interesse legittimo ove il potere fosse stato esercitato in modo legittimo. In ogni caso la chance per poter essere risarcibile, pur non richiedendo di essere espressa in percentuali di probabilità (per esempio, oltre il 50%), deve tuttavia consistere in una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato. In definitiva, secondo la Corte di cassazione, la linea di confine tra risarcibilità e irrisarcibilità non è più tracciata dalla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, ma è costituita dall'esistenza o meno della lesione di un bene della vita accertata attraverso il giudizio prognostico. 2. La sentenza n. 500/1999 fornisce altri criteri per stabilire se un provvedimento illegittimo della PA sia o meno riconducibile allo schema dell'art. 2043 c.c. - In primo luogo, precisa che l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento non integra in modo automatico (in re ipsa) il requisito della colpa. E richiesta invece un'indagine ulteriore che verifichi se l'illegittimità riscontrata derivi dalla violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa e che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. Il giudice deve cioè valutare le ragioni che hanno determinato l'illegittimità. - In secondo luogo, la colpa va riferita all'apparato nel suo complesso, andando a sindacare se vi sia stata una disfunzione che ha determinato l'illegittimità. Sul requisito della colpa la giurisprudenza ha cercato di semplificare l'onere probatorio in capo al danneggiato utilizzando a favore di quest'ultimo le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., secondo i quali esse sono rimesse al prudente apprezzamento del giudice e devono essere «gravi, precise e concordanti». In pratica, per assolvere al proprio onere probatorio, il danneggiato e può invocare la stessa illegittimità come indice presuntivo della colpa al legando anche altre circostanze idonee a dimostrare che si è trattato di errore inescusabile. Dunque, per superare la presunzione di colpa, spetta all'amministrazione produrre elementi indiziari che viceversa consentano di qualificare l'errore come scusabile. 52 Affinché sorga la responsabilità extracontrattuale non è richiesto invece che la violazione della norma derivi da una condotta dolosa o colposa, elemento soggettivo invece richiesto in molti ordinamenti nazionali come quello italiano, Il danno risarcibile deve essere effettivo, cioè certo e attuale, Può trattarsi di danni presenti o futuri, ma non meramente ipotetici. Il danno risarcibile è non solo il danno emergente, ma anche il lucro cessante. Ai fini della quantificazione del danno, la giurisprudenza applica il principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri secondo il quale la persona lesa, per evitare di doversi accollare il pregiudizio, deve dimostrare di aver agito con ragionevole diligenza onde limitare l'entità del danno. 2. La responsabilità degli Stati membri La sentenza capostipite è la sentenza Francovichy (19 novembre 1991. in cause riunite C-6 e 9/90). Il caso riguardava il mancato recepimento da parte della Repubblica italiana di una direttiva europea (1980/987/CEE) entro il termine prescritto. Due giudici nazionali, richiesti di pronunciarsi sul diritto di alcuni lavoratori a ottenere direttamente dallo Stato italiano i benefici previsti dalla direttiva, sottoponevano alla Corte di giustizia dell'Unione europea in via pregiudiziale alcune questioni interpretative. Chiedevano cioè a quest'ultima di chiarire se i singoli possano far valere direttamente nei confronti dello Stato i benefici previsti dalla direttiva risultanti da disposizioni sufficientemente precise e incondizionate e comunque richiedere allo Stato il risarcimento del danno subito in relazione alle disposizioni della direttiva che non abbiano tali caratteristiche. Appurato che la direttiva in questione non era sufficientemente precisa e incondizionata e dunque non consentiva agli interessati di far valere i diritti da essa attribuiti ai lavoratori direttamente nei confronti dello Stato membro, la Corte di giustizia ha esaminato la questione della responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi sorti in forza del diritto comunitario. La motivazione della sentenza dapprima si sofferma: 1. sul fondamento della responsabilità dello Stato > la Corte afferma che «il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato» 2. condizioni in presenza delle quali può sorgere una siffatta responsabilità. La sentenza enuncia tre presupposti in presenza dei quali può sorgere la responsabilità: a. che la direttiva attribuisca diritti a favore dei singoli; b. che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base della direttiva stessa; c. che esista un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi. La sentenza Brasserie du pécheur-Factortame, del 5 marzo 1996, stabilisce che gli Stati membri possono essere tenuti a risarcire i danni cagionati da violazioni del diritto comunitario da parte del legislatore nazionale. Invece, la sentenza Lomas del 23 maggio 1996, in causa C-5/94, sancisce il principio secondo il quale la responsabilità dello Stato può sorgere non solo in relazione a un atto normativo, bensì anche a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto europeo. La Corte ha poi precisato che la responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto europeo sorge qualunque sia l'organo di quest'ultimo la cui azione o omissione ha dato origine alla trasgressione. 55 Inoltre, è stato chiarito che uno Stato membro non può Sottrarsi alla responsabilità invocando la ripartizione interna delle competenze derivante dalla sua struttura federale. Un ulteriore sviluppo è costituito dal principio che la responsabilità dello Stato può sorgere anche in conseguenza di pronunce giurisdizionali. Non possono essere di impedimento a riconoscere questo tipo di responsabilità, né il principio dell'autorità del giudicato né il principio dell'indipendenza del giudice. 5 La responsabilità amministrativa La responsabilità amministrativa, il cui accertamento avviene nell'ambito di un giudizio innanzi alla Corte dei conti, trova fondamento nel Testo unico degli impiegati civili dello Stato (art. 18 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) secondo il quale l'impiegato è tenuto a risarcire l'amministrazione e «i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio» (danno erariale diretto). Un caso particolare di responsabilità amministrativa è quello dell'amministrazione condannata a risarcire il danno provocato a terzi da un proprio dipendente e che agisce in via di regresso nei confronti di quest'ultimo (danno erariale cosiddetto indiretto). Esempi di danno erariale sono: - la distruzione di attrezzature e macchinari dell'amministrazione, - le consulenze superflue affidate a professionisti esterni, - i contratti stipulati a condizioni sfavorevoli per l'amministrazione, - le spese voluttuarie degli amministratori di enti o non legate all'attività di servizio, ecc. Le condotte che possono dar origine a danno erariale sono atipiche, anche se il legislatore individua alcuni comportamenti suscettibili di far sorgere la responsabilità amministrativa. La responsabilità amministrativa inerisce al rapporto interno tra dipendente pubblico e amministrazione di appartenenza e in questo senso costituisce una sottospecie della responsabilità del lavoratore subordinato nei confronti del proprio datore di lavoro che nasce in conseguenza della violazione dei doveri di diligenza (art. 2104 cod. civ.). Essa ha una finalità essenzialmente risarcitoria, ma in alcune fattispecie particolari emerge anche una finalità sanzionatoria. Le fonti normative della responsabilità amministrativa sono costituite dal Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, che risale alla legislazione di contabilità approvata all’epoca dell'Unità d'Italia, e soprattutto dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, più volte modificata. Quanto al campo di applicazione, sotto il profilo soggettivo, questo tipo di responsabilità vale per funzionari, impiegati, agenti pubblici e amministratori delle amministrazioni pubbliche statali e non statali e di enti pubblici (aziende sanitarie locali, enti parastatali, ecc.). Nel corso del tempo la giurisprudenza ha ampliato il novero delle figure rientranti nella nozione di agente pubblico fino ad abbracciare anche gli amministratori di enti pubblici economici. Possono essere chiamati a rispondere anche soggetti esterni all'amministrazione legati ad essa da un «rapporto di servizio». Infatti, queste figure svolgono compiti che includono l'esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell'impresa appaltatrice e sono inserite, sia pure solo temporaneamente e funzionalmente, nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione. In anni recenti la giurisprudenza della Corte dei conti aveva esteso l'ambito della responsabilità amministrativa anche agli amministratori e dirigenti delle società per azioni in mano pubblica, sottoponendo così questi ultimi a un doppio regime di responsabilità, cioè alla responsabilità in base al diritto societario (artt. 2393 ss. cod. civ.) e a quella per danno erariale. Tuttavia, la Corte di 56 cassazione Sezioni Unite 19 dicembre 2009, n. 26806) ha posto un limite a questo tipo di estensione, affermando che in linea di principio le società pubbliche non rientrano nel perimetro della responsabilità amministrativa. Se mai, per le perdite derivanti dalla cattiva gestione societaria possono rispondere per danno erariale i responsabili dei ministeri e delle amministrazioni pubbliche titolari delle azioni per aver svolto in modo poco diligente il loro ruolo di azionista. Solo le società in-house e quelle che in virtù delle numerose deroghe legislative all'assetto di diritto comune sono assimilabili a pubbliche amministrazioni (per esempio la RAI) rientrano pienamente nel regime della responsabilità amministrativa. Questi principi sono stati recepiti dal Testo unico sulle società partecipate (art. 12 d.lgs. n. 175/2016), anche se la formulazione delle disposizioni presenta alcune ambiguità. La responsabilità ha natura personale. Quando il fatto dannoso è causato da più persone, ciascuna risponde solo per la parte di sua competenza. Tuttavia, in caso di dolo o quando le persone coinvolte hanno conseguito un illecito arricchimento la responsabilità è solidale (art. 1, commi 1- quater e |-quinquies, 1. n. 20/1994). Inoltre, nelle deliberazioni degli organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso il voto favorevole (art. 1, comma 1-ter, 1. n. 20/1994). Nel caso di atti che rientrano nella competenza di uffici tecnici o amministrativi, la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici Che li abbiano approvati in buona fede, ovvero abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione, e ciò atteso che essi non siano necessariamente in possesso di una professionalità giuridica o tecnica adeguata. Sotto il profilo oggettivo, la responsabilità sorge in relazione «ai fini ed alle omissioni commessi con dolo e colpa grave» (art. 1, comma 1 n. 20/1994). L'esclusione della responsabilità nel caso di colpa lieve evita di sovraccaricare i dipendenti pubblici del rischio di essere chiamati a rispondere di attività che comunque perseguono l'interesse pubblico, anche se, in realtà, nei singoli casi la linea di confine tra colpa lieve e colpa grave risulta spesso incerta. Se il danno deriva da un provvedimento, resta ferma comunque «l'in sindacabilità nel merito delle scelte discrezionali». Ciò significa che se il provvedimento è legittimo, la Corte dei conti non può sostituire le proprie valutazioni in ordine alla opportunità e convenienza di una determinata scelta amministrativa. Altrimenti ne verrebbe penalizzata, con effetti paralizzanti, la managerialità degli amministratori pubblici che devono assumere decisioni spesso in condizioni di incertezza in ordine agli esiti delle medesime. Il sindacato della Corte dei conti, al pari di quello del giudice amministrativo, può riguardare tutti i profili di legittimità, incluso l'eccesso di potere nella molteplicità delle sue figure sintomatiche. Anche i canoni di efficienza ed efficacia rilevano sul piano della legittimità e non della opportunità e pertanto possono essere posti alla base del sindacato della Corte dei conti. È risarcibile non soltanto il danno provocato all'amministrazione in cui è incardinato il dipendente, ma più in generale il danno cagionato «ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza» (art. 1, comma 4, 1. n. 20/1994). In quest'ultimo caso si ha il cosiddetto danno obliquo che può emergere nel caso di un dipendente pubblico distaccato o comandato presso un'altra amministrazione, oppure nel caso del componente di un consiglio di amministrazione di un ente pubblico nominato da un ministero o altro ente. Il danno obliquo non si presta a essere inquadrato nello schema della responsabilità contrattuale tra dipendente e proprio datore di lavoro, ma è coerente con una visione che tende a tutelare l'interesse erariale considerando, sotto questo profilo, il settore pubblico come un unico comparto. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dalla data in cui il fatto si è verificato, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta. 57 Rientrano tra questi i beni patrimoniali disponibili. 2. Beni di interesse pubblico + sono quei beni che sotto il profilo oggettivo hanno una rilevanza pubblicistica. La categoria più importante di beni di interesse pubblico sono: - Beni culturali: questi sono costituiti da cose mobili/immobili che presentano “interesse artistico, culturale, archeologico, bibliografico ecc... e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”; - Beni paesaggistici: questi sono costituiti da immobili e aree costituenti espressione di valore storico, culturale, naturale, morfologico, estetico del territorio. La disciplina delle reti + una specie particolare di beni privati che ha acquistato sempre più il carattere di beni privati di interesse pubblico è emersa in conseguenza dei processi di liberalizzazione di molte attività economiche. Essa è costituita dalle reti, cioè dalle infrastrutture fisiche necessarie per l'erogazione di alcuni servizi pubblici (Es.: reti di trasmissione/distribuzione energia elettrica). Le reti costituiscono elementi di monopolio naturale e richiedono una regolazione pubblica sotto almeno due profili: - Garanzia di accesso alla rete da parte di una pluralità di erogatori di servizi in base a criteri di eguaglianza; - Definizione delle tariffe per l'uso della rete in modo tale da evitare che il monopolista possa abusare del suo potere di mercato. 3. | beni patrimoniali indisponibili e i beni demaniali Il Codice civile contiene una classificazione dei beni appartenenti allo Stato e agli enti pubblici fondata sulla distinzione tra demanio pubblico e beni patrimoniali (tra i beni patrimoniali quelli disponibili fanno parte dei beni di interesse privato in senso oggettivo). 1. Beni patrimoniali indisponibili + questi sono sottoposti a regole speciali e a regole del Codice civile.; quest'ultimo, in particolare, fornisce un elenco tassativo di essi (foreste/miniere/cose di interesse storico ecc... + anche somme di denaro con una particolare destinazione). Il carattere indisponibile del bene si manifesta nel fatto che essi, per quanto siano suscettibili di alienazione, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. Vincolo di destinazione è il vincolo di destinazione può essere rimosso con un atto amministrativo, analogamente a quanto accade per la sdemanializzazione (Es.: caserma dismessa). Inoltre, essi (comprese le somme di denaro nella disponibilità della P.A. che leggi speciali vincolano ad una determinata destinazione o ad un servizio pubblico essenziale) non possono essere oggetto di procedure di espropriazione forzata, in quanto beni necessari all'adempimento di un servizio pubblico. 2. Beni demaniali costituiscono: - Demanio necessario possono appartenere soltanto allo Stato e sono elencati in modo tassativo (lido del mare/spiaggia/fiumi ecc...). - Demanio eventuale fanno parte del demanio dello Stato solo se appartengono allo Stato/Regioni/enti territoriali e sono, a loro volta, tassativamente elencati (strade/ferrovie/ autostrade ecc...). La condizione giuridica dei beni demaniali si caratterizza per il fatto che essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi (se non nei modi stabiliti dalla legge). Si tratta dunque di beni: — Incommerciabili; 60 — Non aggredibili dai creditori dell'ente secondo le regole ordinarie del Codice civile; — Nonusucapibili. L'autorità amministrativa, ai fini della tutela di tali beni, può ricorrere sia ai mezzi ordinari stabiliti dal C.c. a tutela della proprietà, sia all'autotutela amministrativa. I beni demaniali sono in gran parte destinati alla fruizione pubblica, tuttavia, possono essere attribuiti in uso e godimento a singoli utilizzatori (uso particolare) attraverso lo strumento della concessione amministrativa (Es.: per la realizzazione di uno stabilimento balneare) per un tempo determinato. La concessione prevede generalmente la corresponsione di un canone o di un corrispettivo da parte del concessionario. Gli elenchi di beni demaniali del C.c. includono sia beni naturali che artificiali; ciò rileva sotto il profilo dell'acquisto e della perdita della demanialità: — Nel primo caso è dovuta, infatti, al mutamento della situazione di fatto (Es.: erosione di una spiaggia); — Nel secondo caso è dovuta a determinazioni di tipo amministrativo. Leggi recenti: — Hanno attenuato il principio dell'inalienabilità dei beni demaniali. Alcune leggi specifiche hanno consentito il conferimento e il trasferimento di beni demaniali a società pubbliche (Es.: ANAS) allo scopo di consentirne l'utilizzazione/valorizzazione economica. — È incorso un processo di trasferimento di molti beni immobili dello Stato a favore delle regioni/ province/comuni cd. Federalismo demaniale. 6-1 CONTRATTI 1 Premessa Le PA godono di una capacità generale di diritto privato. In particolare, esse possono stipulare contratti per l'acquisto di beni e servizi e per l'esecuzione di lavori strumentali alle loro attività e necessari per il perseguimento delle finalità di interesse pubblico. Le PA esercitano la loro capacità generale di diritto privato non solo nell’ambito del settore delle commesse pubbliche disciplinate, ma anche in altri ambiti. Quando stipulano un contratto, le PA sono soggette a regole di natura pubblicistiche volte a tutelare gli interessi delle stesse amministrazioni e a garantire la par condicio tra i potenziali contraenti. La formazione della volontà negoziale dell'amministrazione e la scelta del contraente avvengono attraverso un processo amministrativo a evidenza pubblica di tipo competitivo, il quale integra le regole di diritto privato relative allo schema proposta-accettazione. Il Codice dei contratti pubblici prevede: 1. Una fase di formazione del vincolo contrattuale retta da regole di diritto pubblico e si sviluppa in una sequenza procedimentale che culmina nell'emanazione di un provvedimento di aggiudicazione; 2. Una fase di esecuzione del contratto è retta dalle regole del diritto privato. Fonti normative In origine, e per lungo tempo, la disciplina dei contratti della P.A. è stata contenuta nella normativa sulla contabilità dello Stato che prevedeva procedure a evidenza pubblica sia per i contratti attivi dello Stato (da cui deriva un'entrata per lo Stato), sia per i contratti passivi (da cui derivava un'uscita per lo Stato). Il fatto che i contratti pubblici fossero disciplinati in quella sede trovava spiegazione 61 nel fatto che la normativa sulla contabilità mirava a garantire una gestione corretta ed efficiente del denaro pubblico. Le direttive europee privilegiano un approccio meno formalistico a favore di un modello più flessibile e più aperto a momenti di confronto tra amministrazione e imprese (cd. Dialogo competitivo); pertanto sono stati inseriti margini di discrezionalità, i quali non debbono essere considerati con sospetto poiché consentono all'amministrazione di invitare alla contrattazione le imprese ritenute più affidabili e di valutare meglio le offerte valutando gli elementi qualitativi delle medesime. La normativa inerente ai contratti pubblici è, ad oggi, riorganizzata nel Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 163/2006) che unifica in un solo corpo normativo la disciplina delle forniture, dei servizi e dei lavori pubblici. Esso, inoltre, stabilisce che: 1. Le procedure di affidamento dei contratti pubblici (riferiti alla fase di formazione del vincolo contrattuale) si applicano, per quanto non espressamente previsto dal Codice, le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990 2. Alla stipulazione del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile. AI Codice si aggiunge un importante regolamento di esecuzione e attuazione che disciplina soprattutto la progettazione/aggiudicazione/esecuzione dei lavori pubblici. 1. D.I. 32/2019 sulle stazioni appaltanti 2. Capitolari + Essi possono contenere la disciplina di dettaglio tecnica della generalità dei contratti o di specifici contratti stipulati dalle amministrazioni. Nei casi in cui siano menzionati nel bando o in altri atti di gara, i capitolati costituiscono parte integrante del contratto. | capitolati sono di due tipi: a. Capitolati generali: hanno natura normativa. b. Capitolati speciali. hanno natura contrattuale. 3. La legge anticorruzione (L. 2012/1909) individua tra i settori più a rischio di corruzione, le modalità per l'affidamento dei contratti pubblici. Pertanto, obbliga le stazioni appaltanti a pubblicare anche sui propri siti internet istituzionali una serie di informazioni relative ai bandi pubblicati agli operatori invitati a presentare l'offerta all'aggiudicatario all'importo dell'aggiudicazione a trasmetterle in formato digitale all'autorità nazionale anticorruzione. Obblighi di trasparenza di questo tipo sono ritenuti utili per combattere i fenomeni corruttivi. Altre misure previste da tale legge e finalizzata all'anticorruzione sono: i. Patti d’integrità e i protocolli di legalità sottoscritti dalla stazione appaltante con le imprese contenenti beni finalizzati a garantire l'integrità dell'appalto il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara. ii. White list, ossia degli eletti, da istituire presso le prefetture di imprese non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti in settori di attività particolarmente esposti all'azione della malavita organizzata da sottoporre a controlli periodici. 4. Il Codice penale contiene posizione che individuano alcune figure specifiche di reato, come il reato di “turbata libertà del procedimento di scelta del contratto”. Questo reato è commesso da chi cerca di condizionare a proprio favore con mezzi fraudolenti contenuto del bando di gara che invece dovrebbe essere predisposto in modo tale da favorire la partecipazione su un piano di parità di una molteplicità di impresa. 62 4. Alcune imprese private che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi (cd. Enti aggiudicatrici) > queste operano nei cd. Settori speciali (energia elettrica, gas, servizi postali, porti e aeroporti) e in teoria sono sottoposte alle regole del Codice. Tuttavia, una volta che l'attività posta in essere viene eventualmente liberalizzata, essa diviene esposta alla concorrenza su mercati liberamente accessibili, motivo per il quale può essere attuato un procedimento che porti all'esenzione dall'applicazione del Codice. 2. Ambito oggettivo di applicazione del Codice: Il Codice dedica alcune disposizioni anche all'ambito oggettivo di applicazione dello stesso individuando in un elenco tassativo alcune tipologie di contratti esclusi, in tutto o in parte, dalla disciplina generale (Es.: contratti nel settore della difesa, contratti segretati, contratti per l'acquisto di acqua e gas, ecc...). L'affidamento dei contratti esclusi, pur non dovendo rispettare le regole procedurali poste dal Codice deve comunque: - Avvenire nel rispetto dei principi generali (economicità-imparzialità-efficacia-parità di trattamento-trasparenza); - Essere preceduto, ove possibile, da un invito rivolto ad almeno 5 concorrenti. Il Codice individua ulteriori criteri per individuare la disciplina applicabile di volta in volta. In particolare: 1. Con riguardo all'importo si divide tra: - Contratti sopra-soglia > (di rilevanza comunitaria) in tal caso si applicano integralmente le procedure stabilite dalle direttive UE e trasfuse nel Codice. - Contratti sottosoglia + (sono quei contratti che non superano l'importo minimo stabilito dalle direttive UE + tutti i contratti aventi ad oggetto forniture/servizi/lavori) in tal caso si applicano solo i principi generali dei Trattati europei. 2. Riguardo l'oggetto del contratto: i contratti possono avere ad oggetto: 1. Realizzazione di lavori > per questi è prevista una disciplina speciale: a. Concessione + tipologia contrattuale autonoma e diversa rispetto a quella dell'appalto pubblico che ha per oggetto non solo la realizzazione dell'opera ma anche la sua successiva gestione. b. Finanza di progetto > tecnica particolare di realizzazione dei lavori pubblici che prevede il coinvolgimento di un promotore privato che propone alla P.A. il progetto da realizzare, il quale è oggetto di affidamento tramite una procedura competitiva, e di soggetti finanziatori. Al termine della procedura di gara i promotori e i finanziatori costituiscono una società di progetto per realizzare (ed eventualmente gestire) l'infrastruttura. 2. Prestazioni di servizi 3. Fornitura di beni 3. Procedure di affidamento L'affidamento dei contratti pubblici avviene tramite un procedimento amministrativo che si articola in più fasi. Anzitutto, le procedure di affidamento sono avviate sulla base di atti di programmazione volti ad individuare le priorità (anche in relazione alle finanze disponibili). Le successive fasi del procedimento sono: 65 1. Avvio del procedimento La prima fase è quella di avvio del procedimento da parte delle amministrazioni aggiudicatrici attraverso: - Delibera a contrarre consiste in un atto unilaterale dell'amministrazione che individua gli elementi essenziali del contratto e i sistemi di selezione dei contraenti. - Predisposizione del bando di gara (solitamente segue alla delibera a contrarre) questo deve essere redatto in conformità ai bandi-tipo (predisposti dall'ANAC), tuttavia, le stazioni appaltanti possono discostarsi dai modelli motivandone le ragioni. Il bando deve, in ogni caso, contenere tutte le informazioni necessarie ossia quelle relative allo svolgimento della procedura e all'oggetto del contratto. AI bando è di solito allegato: o Uno schema di contratto; o Un capitolato tecnico; o. Il progetto (in caso di lavori pubblici). Nella redazione del bando, l'amministrazione gode di ampia discrezionalità (soprattutto con riguardo all'individuazione: dell'oggetto del contratto; dei requisiti minimi di partecipazione; di valutazione delle offerte) ma tale discrezionalità deve essere esercitata sempre secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità in modo tale da garantire la par condicio e una concorrenza effettiva. Il bando di gara non è, solitamente, un atto immediatamente lesivo quindi può essere impugnato insieme all'atto conclusivo del procedimento (cd. aggiudicazione definitiva). Tuttavia, nel caso in cui il bando abbia carattere immediatamente escludente (cioè contenga clausole dalle quali si evince una discriminazione evidente nei confronti dei potenziali partecipanti ai quali sarebbe preclusa la partecipazione) può essere impugnato autonomamente. Per favorire la partecipazione alle gare anche di imprese di dimensioni inferiori o comunque prive di tutti i requisiti richiesti dal bando, intervengono alcuni istituti: e Consorzi stabili + questi devono essere formati da almeno 3 imprese che si impegnino ad operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per almeno 5 anni. e Raggruppamenti temporanei di imprese + sono costituiti con riferimento ad una singola procedura di gara e non richiedono la costituzione di un'entità giuridica separata (è sufficiente un mandato attraverso il quale si attribuisce all'impresa capofila la rappresentanza delle altre e la responsabilità principale nei confronti della stazione appaltante). e Avvalimento > è un istituto che consente, a un'impresa che partecipa alla procedura, di dimostrare/usufruire dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e organizzativo richiesti dal bando (e che essa non possiede) rivolgendosi ad un'impresa ausiliaria che si impegna contrattualmente a metterli a disposizione dell'impresa che presenta l'offerta. 2. La selezione dei partecipanti La seconda fase del procedimento è quella di selezione dei partecipanti con uno dei sistemi indicati nel bando tra quelli previsti dal Codice. Quest'ultimo individua tre tipi principali di procedura: e Procedure aperte + (corrispondenti all'asta pubblica) sono quelle nelle quali ciascun operatore economico interessato, può presentare un'offerta; e Procedure ristrette + (corrispondenti alla licitazione privata e all'appalto concorso) sono quelle alle quali ogni operatore economico può chiedere di partecipare, ma possono presentare un'offerta soltanto coloro che vengono invitati dalle stazioni appaltanti; 66 e Procedure negoziate + (corrispondenti alla trattativa privata) sono quelle nelle quali l'amministrazione consulta, con modalità meno formalizzate, gli operatori economici scelti dalla stessa e negozia con essi le condizioni del contratto. Le procedure negoziate sono a loro volta di due tipi a seconda che sia richiesta o meno la pubblicazione di un bando. Queste procedure sono ammesse in via eccezionale in una serie di casi tassativamente indicati dal Codice. 1. Nelle procedure ristrette e in quelle negoziate previa pubblicazione del bando, la fase della valutazione delle offerte è preceduta da una fase di cd. Prequalifica. In questa fase le stazioni appaltanti selezionano le imprese da invitare a presentare l'offerta che siano in possesso di requisiti minimi predeterminati. | criteri di valutazione devono essere oggettivi, non discriminatori e proporzionati. Le imprese non ammesse a presentare l'offerta possono impugnare, innanzi al giudice amministrativo, il provvedimento. 2. Il codice prevede anche che la stazione appaltante debba escludere i concorrenti dalle procedure di aggiudicazione in casi tassativi di irregolarità particolarmente gravi. Tuttavia, la normativa più recente ha cercato di limitare l'esclusione di offerte per carenze documentali attraverso il cd. Soccorso istruttorio: è stata cioè posta la distinzione tra irregolarità essenziali e non essenziali della documentazione prodotta dai contratti. 3. Valutazione delle offerte La terza fase è necessaria ad individuare, tra i partecipanti alla procedura, l'impresa con la quale l'amministrazione stipulerà il contratto. A questo fine il Codice individua due criteri di selezione sulla base dell'oggetto del contratto: e Prezzo più basso > se oggetto del contratto sono beni, lavori e servizi standardizzati può essere scelto il criterio del prezzo più basso rispetto alla base d'asta. e Offerta economicamente vantaggiosa > questo deve essere scelto quando l'oggetto del contratto richiede un apprezzamento anche di elementi qualitativi (come il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, ecc...) che richiedono una valutazione tecnico- discrezionale. La valutazione è affidata ad una commissione giudicatrice, la quale procede all'esame di ciascuna offerta e all'attribuzione di punteggi. 4. Aggiudicazione A conclusione dei propri lavori, la commissione giudicatrice formula una graduatoria finale e viene quindi dichiarata l'aggiudicazione provvisoria a favore del miglior offerente. Prima dell'aggiudicazione definitiva viene espletata una fase di controllo sulla regolarità delle operazioni di gara. Essa si conclude con un atto di approvazione della stazione appaltante che deve intervenire entro 30 giorni (superati i quali si forma il silenzio-assenso). L'efficacia dell'aggiudicazione definitiva, tuttavia, è subordinata ad un ulteriore controllo avente ad oggetto il possesso effettivo, da parte dell'impresa selezionata, dei requisiti auto-dichiarati in sede di presentazione della domanda. Divenuta efficace l'aggiudicazione definitiva, l'amministrazione procede alla stipula del contratto entro 60 giorni (decorsi i quali l'aggiudicatario può sciogliersi dal vincolo contrattuale). La stipula non può avvenire prima dei 35 giorni dalla comunicazione alle imprese del provvedimento di aggiudicazione, in modo da permettere loro di impugnare eventualmente gli atti della procedura. 5. Verifica delle offerte anomale Il procedimento di aggiudicazione richiede, talvolta, l'attivazione di un ulteriore subprocedimento di verifica quando la stazione appaltante, nell'esaminare comparativamente le offerte pervenute, individui una o più offerte anormalmente basse (che quindi apparentemente non hanno un senso economico per la stessa impresa). Il subprocedimento di verifica avviene in contraddittorio con 67