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"Manuale di neuropsicologia:normalità e patologia dei processi cognitivi", Sintesi del corso di Neuropsicologia

riassunto del libro di Denes e Pizzamiglio

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 13/12/2016

massimo128
massimo128 🇮🇹

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Scarica "Manuale di neuropsicologia:normalità e patologia dei processi cognitivi" e più Sintesi del corso in PDF di Neuropsicologia solo su Docsity! PARTE I: ASPETTI GENERALI DELLA NEUROPSICOLOGIA. CAP 1: CONCETTI INTRODUTTIVI DI NEUROPSICOLOGIA. La neuropsicologia è quella disciplina che studia con mezzi sperimentali il rapporto tra mente e cervello. Il cervello è la sede della mente, ed è anche il punto di arrivo delle informazioni sensoriali ed il punto di partenza dei comandi motori.Il periodo che va dal 1860 al 1900 è il periodo delle grandi scoperte neurologiche e neurofisiologiche: in questi 40’ anni vengono poste le basi empiriche e concettuali della neuropsicologia grazie a Broca (correlazione tra disturbi motori del linguaggio e lesioni delle regioni frontali di SX), Wernicke (localizza l’afasia sensoriale), Lichtheim (propone lo schema anatomo funzionale dei centri del linguaggio), Fritsch e Hitzig (area motoria), Munk (funzioni visive e lobo occipitale), Bianchi (neglect), Liepmann (aprassia). Gli anni che vanno dall’inizio del ‘900 alla fine della seconda guerra mondiale sono meno fecondi di risultati ma migliorano le descrizioni delle sindromi e loro localizzazione; Pavlov (apprendimento condizionato). Nel Dopo guerra: Hebb e Broadbent (attenzione e set), Sperry (concetto di coscienza). Il problema mente cervello riappare e soluzioni che implicano un’interpretazione mente cervello vengono proposte sia in chiave materialista che in chiave spiritualista. Negli anni 70’ la psicologia si trasforma da comportamentista a cognitivista: la mente non è più un recettore passivo (S-R) ma è un elaboratore attivo che di continuo verifica la congruenza tra il proprio progetto comportamentale e le condizioni oggettive esistenti filtrando le informazioni e autocorreggendosi; l’organismo funziona in modo attivo e selettivo seguendo un preciso comportamento. Il termine neuropsicologia introdotto negli anni 50’ sostituisce il termine di patologia del cervello o di studio delle funzioni nervose superiori e segnala la nascita di una disciplina nuova e autonoma per tecniche e problemi (localizzazione cerebrale, dominanza emisferica, memoria, afasia, disordini agnosici ecc). Il concetto che il cervello sia uno strumento che elabora informazione è alla base sia della neurofisiologia che della psicologia cognitivista, la quale però non fa riferimento ad aree o centri cerebrali; la mente, che in qualche modo coincide con il cervello, è concepita come un insieme di strutture, alcune in serie altre in parallelo, dove l’informazione viene rappresentata in forme diverse. Il concetto di dominanza emisferica nasce nel secolo scorso dall’esigenza di schematizzare alcune importanti osservazioni clinico-neurologiche: l’emisfero SX è prevalentemente legato alle capacità linguistiche, il DX all’elaborazione spaziale. Da quanto detto fin ora si evince la complessità e la multidisciplinarità della neuropsicologia moderna, all’interno della quale sono presenti due maniere di affrontare i problemi neuropsicologici: una descrizione ha per base i concetti della psicologia cognitiva, mentre la seconda si basa sulla neurofisiologia e sull’anatomia. CAP 4 : METODI ELETTROFISIOLOGICI IN NEUROPSICOLOGIA. INTRODUZIONE. La psicofisiologia nasce nella seconda metà dell’800; il metodo di questa prospettiva di ricerca consisteva nella registrazione dell’attività elettrica dalla pelle o dal cranio durante lo svolgimento dei processi psichici (indagine non invasiva su soggetti umani normali). Con la psicofisiologia ci si proponeva di studiare la relazione tra fenomeni soggettivi (psicologici) e fenomeni oggettivi (fisiologici): studio degli effetti delle variabili indipendenti psicologiche su variabili dipendenti fisiologiche (attività elettrica cutanea - riflesso psicogalvanico - e cerebrale misurate in relazione a stati emozionali, compiti intellettivi e altri fenomeni psichici). La svolta fondamentale nello studio sull’attività elettrica cerebrale fu rappresentata dalla scoperta dell’EEG nell’uomo da parte di Berger, il quale individuò due tipi di onde elettriche cerebrali registrate sullo scalpo: onde alfa e onde beta. Nel 1949 l’EEGrafia divenne il metodo fondamentale per lo studio del ciclo veglia-sonno e dei livelli di attivazione. Nel 1951 Dawson introdusse un tecnica in base alla quale si potevano ottenere dei tracciati allora denominati potenziali evocati medi: se uno stimolo era ripetuto un certo numero di volte e si registrava l’attività elettrica cerebrale concomitante, era possibile calcolare un’attività media tipica per quello stimolo; si tratta di onde elettriche prodotte da stimoli periferici esterni che si sovrappongono al tracciato elettroencefalografico (EEGrafico) riflettendo parte dello stimolo della corteccia con risposta (onda) positiva o negativa. L’indagine psicofisiologia ha tre caratteristiche principali: • Impostazione correlazionale, per cui a stati e fenomeni psichici sono correlate variazioni degli indici psicofisiologici; la correlazione è studiata tra i dati comportamentali e quelli fisiologici che entrambi attività manifeste osservabili e registrabili dall’esterno (influenza dal modello comportamentistico). • Tendenza a registrare simultaneamente vari indici fisiologici in relazione ad un singolo fenomeno psichico per caratterizzarlo nell’insieme dei suoi correlati elettrici cerebrali, neurovegetativi e muscolari. • Si svolge generalmente su soggetti sani e in misura molto minore su soggetti affetti da disturbi psichiatrici e neurologici. La registrazione dell’attività elettrica cerebrale ha una buona risoluzione temporale e una scarsa capacità di localizzazione spaziale. Gli indici elettrofisiologici di maggiore interesse nell’indagine neuropsicologica possono essere classificati in relazione a tre aree principali: 1. Funzioni del sistema neurovegetativo, gli indici principali sono costituiti dall’attività elettrica della cute e del cuore; 2. Funzioni dell’occhio, si registra l’attività elettrica della retina e i movimenti oculari; 3. Funzioni del cervello, si registra l’attività elettrica rilevabile sullo scalpo. La registrazione di questi indici avviene in laboratori che comprendono generalmente una serie di apparecchiature raggruppabili in tre unità: una unità di stimolazione, una di registrazione elettrofisiologica ed una di registrazione comportamentale. In generale, obiettivo della ricerca elettrofisiologia in neuropsicologia, è di descrivere le variazioni di indici elettrofisiologici correlati a stati e fenomeni psichici in soggetti con determinate lesioni cerebrali, e di confrontare questi dati con quelli ricavati in pazienti con lesioni differenti e/o in soggetti normali. Ci si propone di mettere in evidenza eventuali deficit in diversi stadi di elaborazione dell’informazione, e si può studiare il paziente nel corso del tempo. TECNICHE DI INDAGINE DEL SISTEMA NEUROVEGETATIVO. Il sistema nervoso vegetativo riflette le risposte viscerali del sistema limbico, è collegato al sistema cognitivo e stimola risposte automatico e volontarie che vengono spesso usate come metodi di indagine dove verbalmente non vi è nessuna risposta. I primi studi sulle variazioni fisiologiche correlate ai livelli di attivazione supponevano che il complesso di risposte neurovegetative dipendesse in modo omogeneo dalla INTRODUZIONE. La nascita della neuropsicologia coincide con lo studio della correlazione tra disturbi delle funzioni cognitive e sede delle lesioni cerebrali riscontrate post- mortem in pazienti colpiti da malattie neurologiche: si tratta di concezioni cosiddette ‘’localizzazioniste’’ che attribuivano zone corticali circoscritte e delimitate da osservazioni anatomo-cliniche a funzioni complesse (basi neurologiche del comportamento). Il primo a prendere in considerazione tale approccio fu Broca nel 1864 e, dopo un periodo in cui si considerava privo di qualsiasi consistenza scientifica, la rinascita dell’interesse per questo ambito di studio è relativamente recente (anni ’60) grazie ai progressi della neurofisiologia, alla rivalutazione del metodo anatomo- clinico (Luria e Geschwind) e allo sviluppo delle metodiche neuroradiologiche e medico-nucleari. Il metodo anatomo-clinico tradizionale si basa sulla dettagliata osservazione e registrazione del quadro clinico presentato dal paziente e sui risultati dell’esame anatomo-patologico, macro- e microscopico, eseguito dopo il suo decesso; tale metodica costituisce tuttora lo standard di riferimento per la precisa definizione morfologica di una lesione cerebrale. I problemi collegati a questo approccio sono: 1. il momento dell’osservazione clinica è distante nel tempo da quello del riscontro autoptico rendendo problematica la correlazione sintomo-lesione, 2. la possibilità di comparare tra loro serie di pazienti urta con la mancanza di omogeneità nella descrizione anatomo-patologica dato che la raccolta dei dati consisteva nell’osservazione dl caso singolo (impossibili da comparare). Negli anni 70, la nascita della neurochirurgia, soprattutto gli interventi di neurochirurgia funzionale (ablazione delimitata), e la patologia neurologica di guerra (ferite penetranti da proiettile), hanno costituito una fonte importante di arricchimento e osservazione su serie ampie di pazienti per ciò che riguarda gli studi di correlazione neuropsicologica (nascita della neuroradiologia -angiografia= raggi X e contrasto; pneumoencefalografia= iniezione e raggi X; EEG-). Gli anni ’80 sono stati caratterizzati dallo sviluppo delle tecniche neuroradiologiche non invasive, dovuto in larga misura all’applicazione dei metodi informatici di analisi dei dati: TC e RM costituiscono lo standard di riferimento per la localizzazione morfologica delle lesioni in vivo. In parallelo ai miglioramenti delle tecniche neuroradiologiche si è assistito in questi anni ad un grande sviluppo delle metodiche funzionali: la misurazione del flusso ematico cerebrale e le tecniche di tomografia ad emissione (PET e SPECT) oltre alla RM funzionale. LA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA (TC) 1975. È la prima metodica che consente una visualizzazione diretta del parenchima cerebrale e delle alterazioni morfologiche macroscopiche indotte dalla patologia: la formazione dell’immagine TC dipende dalla trasmissione di un fascio di radiazioni X attraverso una sottile sezione dell’encefalo, e ciò che viene rilevato dal fascio in uscita tramite detettori è l’entità (sorgente radiogena che ruota mentre anello detettori rileva densità), che dipende dal coefficiente di assorbimento dei tessuti (viene espresso in densità ove lo zero corrisponde all’acqua, il 1000 alla densità dell’osso); tale rilevazione viene ripetuta a diversi punti di entrata del fascio di radiazione e a diverse angolazioni, e l’immagine TC corrispondente è rappresentata da pixel (bidimensionali) in genere dal bianco al nero con gradazioni di grigio; questa rappresentazione costituisce l’immagine TC che giunge al clinico di regola fotografata su una lastra radiografica. Questa tecnica non consente di distinguere la materia bianca dalla grigia ma permette di visualizzare lesioni focali, che interessano cioè un’area ben delimitata di parenchima cerebrale e sono spesso di natura vascolare, ovvero infarti o emorragie. Gli infarti appaiono alla TC quali aree di densità ridotta rispetto al parenchima sano, di regola tra 24 e 72 ore dopo la comparsa dei sintomi clinici; i margini e la sede della lesione divengono ben distinguibili solo nella fase cronica (riassorbimento dell’edema). Le lesioni di tipo emorragico, data la netta differenza di densità tra il sangue fresco (iperdenso) ed il parenchima cerebrale, sono evidenziabili subito dopo l’ictus. La TC ha un’importanza fondamentale in fase diagnostica, in quanto consente di individuare cause trattabili di demenza. In ambito scientifico è stata utilizzata per evidenziare le asimmetrie emisferiche in vivo. Le lesioni focali evidenziate dalla TC devono essere localizzate in riferimento alle strutture anatomiche di interesse, ed è in ogni caso necessario fare riferimento ad un atlante anatomico: • Metodi di riferimento a diagrammi standard: A)paragonare la struttura di interesse a diagrammi assiali standard contenenti indicazioni sulle strutture corticali e sottocorticali presenti in ciascuna sezione tomografcia (si presuppone una compatibilità tra sezione TC ed il diagramma); B)trasferire le sessioni assiali di riferimento a diagrammi laterali che rappresentano la convessità laterale dell’encefalo; C)usare metodi semiautomatici che effettuano un’analisi dei dati computerizzata. • Metodi stereotassici: permettono di effettuare una suddivisione proporzionale di ciascuna sezione TC e fare riferimento all’atlante stereotassico per individuare le strutture di interesse o localizzare una lesione; presentano la caratteristica di tenere in considerazione le variazioni individuali di forma e dimensione dell’encefalo mediante il sistema proporzionale che si fonda sul riferimento a tre linee con relazioni costanti: la linea intercomissurale (unisce commessura anteriore CA e posteriore CP), e due linee verticali ad essa perpendicolari (innanzi alla CP e dietro alla CA). LA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE (RM). La RM sfrutta la proprietà di alcuni nuclei atomici che, posti in un campo magnetico e stimolati da onde radio di lunghezza definita, riemettono parte dell’energia assorbita sotto forma di segnale radio; per uso clinico si utilizzano le proprietà del nucleo di idrogeno. Mentre nella TC l’intensità del segnale riflette un’unica proprietà del tessuto (la densità elettronica), le determinanti della RM sono molteplici: • Densità protonica. • Intensità dei tempi di rilassamento T1 e T2, i quali indicano il tempo necessario ai nuclei atomici per ritornare allo stato di equilibrio energetico dopo l’eccitazione determinata dall’onda radio (campo magnetico che ha un “nord” verso cui tutti gli atomi si orientano, successivamente l’asse si sposta verso un nuovo orientamento e viene “fotografato” il fascio di cellule che si sposta per allinearsi al nuovo asse); T1 (o rilassamento spin-reticolo, durata dell’ordine ordine di centinaia di msec, espresso come tempo necessario a raggiungere il 63.2% della magnetizzazione massima) indica l’andamento temporale del recupero della magnetizzazione sull’asse longitudinale, T2 (o rilassamento spin-spin, durata in msec, espresso come tempo per raggiungere il 36.8% della magnetizzazione iniziale) caratterizza il decadimento della magnetizzazione sull’asse trasversale. T1 e T2 dipendono, rispettivamente, dagli scambi energetici dei nuclei di idrogeno con l’ambiente molecolare circostante e tra di loro: nell’acqua, dove i protoni sono dispersi in un ambiente omogeneo e le probabilità di scambio energetico sono basse, T1 e T2 sono lunghi, mentre nel tessuto adiposo la situazione è opposta. • Frequenza del segnale di RM: consente di localizzare la posizione spaziale dei protoni in risonanza, e costituisce quindi la base della formazione dell’immagine; le variazioni di frequenza vengono ottenute mediante l’applicazione di un gradiente magnetico sul campo magnetico di base ed è possibile effettuare sezioni RM secondo qualsiasi piano desiderato (ortogonale o obliquo). La necessità di individuare piccole differenze nella frequenza, al fine di una ottimale risoluzione spaziale, richiede la ripetizione del processo di eccitazione per centinaia di volte al fine di ottenere una immagine completa. La RM costituisce lo strumento ideale per lo studio morfologico dell’encefalo: è lo standard di riferimento per la localizzazione in vivo delle lesioni e per gli studi di anatomia macroscopica normale (sostanza bianca appare meno densa=T1 e T2 lunghi, sostanza grigia più densa) ; Sono attualmente disponibili sistemi computerizzati che sono in grado di ricostruire tridimensionalmente l’encefalo a partire da sottili sezioni RM (studi di morfometria). Gli infarti cerebrali appaiono nelle immagini RM come aree ipointense in T1 e iperintense in T2, ciò è dovuto all’allungamento di entrambi i tempi di rilassamento tessutale determinato dall’ischemia; negli infarti cronici compare un alone periferico di iperintensità in T2. La RM ha un ruolo fondamentale nello studio delle demenze: è stata evidenziata l’assenza di lesioni della sostanza bianca nel morbo di Alzheimer. La non invasività, l’assenza di esposizione a radiazioni, la disponibilità delle apparecchiature e i costi di mantenimento relativamente limitati rendono questo tipo di metodiche particolarmente adeguato all’esecuzione di studi di attivazione cognitiva sul soggetto normale. Risonanza magnetica funzionale (fRM). Qualsiasi modificazione dell’ambiente chimico cerebrale avrà degli effetti sulle molecole d’acqua e conseguentemente sul segnale RM; La principale fonte di queste modificazioni è la variazione nel flusso ematico che si accompagna all’attivazione regionale cerebrale associata all’esecuzione di compiti motori, sensoriali e cognitivi: studi funzionali con RM = fRM. I primi studi sull’uomo con questo metodo si basano sul segnale BOLD, vale a dire sul livello di ossigenazione del sangue; sono stati utilizzati anche con mezzi di contrasto. Un ruolo fondamentale nello sviluppo degli studi funzionali hanno avuto le tecniche ultrarapide di acquisizione di immagine del decadimento T2 chiamate EPI (Echo-Planar Imaging). Non vanno ignorati i molteplici problemi metodologici: modestia dell’intensità del segnale RM durante l’attivazione, risoluzione temporale limitata, acquisizione di immagini solitamente delimitata ad una regione di interesse, problemi nell’analisi dei dati, artefatti dovuti agli spostamenti anche minimi del capo che determinano grosse variazioni nell’intensità dei pixel. METODICHE DI MEDICINA NUCLEARE. Sino all’introduzione della fRM, solo le tecniche di tipo radioisotopico erano in grado di indagare il funzionamento cerebrale in vivo attraverso la determinazione del flusso ematico e del metabolismo, parametri correlati dal fatto che flusso ematico e domanda metabolica sono determinati dall’attività funzionale dei neuroni. Flusso ematico cerebrale regionale (rCBF). (principio di Fick) Dato che il flusso è ricavabile dalla conoscenza del gradiente artero-venoso di un gas metabolicamente inerte e liberamente diffusibile, la sostituzione del gas con un tracciante isotopico consente di misurare dall’esterno le variazioni di concentrazione locale; nella pratica viene usata la clearance del tracciante dalle diverse aree cerebrali che dipende dal flusso ematico regionale. L’interesse preminente degli studi di rCBF è costituito dalla possibilità di determinare l’attivazione funzionale mediante l’incremento della perfusione i specifiche aree cerebrali, sia in soggetti normali sia in pazienti neurologici impegnati in compiti sensomotori o cognitivi. Il tracciante può essere somministrato per via intracarotidea, inalatoria o endovenosa; le curve astratto che riceve e\o invia segnali (numeri) ad altri neuroni; se ne possono distinguere tre tipi: unità di ingresso (input); unità di uscita (output); unità nascoste (hidden). La trasformazione dell’insieme dei segnali ricevuti in un segnale di uscita ha due fasi: il segnale di ingresso viene moltiplicato per il peso della connessione, e tutti i segnali vengono poi sommati per ottenere l’ingresso complessivo (input netto), che viene poi trasformato nel segnale di uscita mediante attivazione; sulla base dell’errore si modifica il peso delle connessioni e la procedura viene ripetuta finchè la rete non apprende a svolgere il compito nuovo. Le reti artificiali sono un modello astratto e relativamente semplice dei circuiti neuronali reali formati da dendriti e assoni; la funzione sinaptica è simulata dai pesi modificabili e il segnale elettrico in uscita da ogni neurone è espresso da un numero che rappresenta la sua attività. L’approccio connessionista è stato utilizzato per simulare l’attività di particolari neuroni corticali nella scimmia e può fornire informazioni utili che però vanno confrontate con i risultati ottenuti nell’uomo (studi in pazienti cerebrolesi esperimenti di attivazione). IL METODO NEUROPSICOLOGICO: OSSERVAZIONE CLINICA E RICERCHE SPERIMENTALI. Il metodo clinico tradizionale è stato fondamentale per la nascita della neuropsicologia moderna: osservazioni cliniche hanno messo in luce come lesioni cerebrali possono causare disordini mentali selettivi. Limiti: insufficienza e vaghezza delle descrizioni classiche, mancanza di definizioni precise, di variabili socio-culturali e demografiche, presenza di esiti spesso contrastanti. La soluzione a questo stato di cose consiste nell’utilizzare metodi di indagine più rigorosi (anni 60’ impiego di paradigmi quantitativi e standardizzati). Le caratteristiche fondamentali di questo approccio sono tre: • La ricerca neuropsicologica ha luogo in gruppi di pazienti selezionati sulla base della lesione cerebrale e non del sintomo, tenendo in considerazioni le variabili età, sesso, durata e eziologia. • L’esame neuropsicologico è standardizzato. • La prestazione dei cerebrolesi va confrontata con quella di un gruppo di soggetti normali mediante procedure statistiche adeguate. Questo tipo di neuropsicologia non mirava ad aumentare le conoscenze sui processi mentali, ma a stabilirne la base neurologica. LA NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA. È l’approccio sviluppatosi nell’ultimo ventennio il cui scopo principale è l’esplorazione dell’architettura funzione dei processi mentali normali, indagando il comportamento di pazienti affetti da disordini neuropsicologici causati da lesioni cerebrali. La nascita di questo approccio è stata resa possibile dallo sviluppo dei modelli di analisi di informazione o diagrammi di flusso: le facoltà mentali possono essere frazionate in componenti funzionali specifiche tra loro collegate, quindi è possibile che talune di queste vengano danneggiate in modo più o meno completo da una lesione cerebrale. La neuropsicologia cognitiva si avvale della psicologia sperimentale, utilizzando prove standard per interpretare i difetti neuropsicologici e per acquisire nuove informazioni sull’architettura funzionale. L’approccio neuropsicologico cognitivo è basati su tre punti: • Modularità (Marr): l’architettura dei processi mentali umani è costituita da componenti distinte (moduli), sottoprocessi piccoli quasi indipendenti, specializzati e danneggiati in modo selettivo. • Corrispondenza tra l’organizzazione funzionale della mente e quella neurologica del cervello (organizzazione multicomponenziale della mente, strutture cerebrali ledono selettivamente le funzioni). • Costanza: la prestazione di un paziente cerebroleso rispecchia l’attività dell’insieme delle componenti del suo sistema cognitivo, meno quella danneggiata dalla lesione cerebrale (modificare la propria per reagire ad una situazione patologica). ALCUNI PROBLEMI METODOLOGICI SPECIFICI AI DIVERSI APPROCCI: • Dissociazione tra sintomi (semplice e doppia) • Associazioni tra sintomi: il concetto di sindrome restringe il numero di possibilità (anatomica, funzionale, anatomo-funzionale e mista). • Studi di gruppo e di casi singoli (vantaggi per il caso singolo da paragonare ad un gruppo di controllo). CAP 8: EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI AFASIA. IL PRINCIPIO DI LOCALIZZAZIONE E IL MODELLO ASSOCIAZIONISTICO. La scoperta che il linguaggio non è una funzione generata unitariamente dal cervello, ma è sottesa da parti ben definite di esso, segna la nascita dell’afasiologia (Broca); non soltanto la localizzazione frontale, ma anche il lato emisferico sinistro della lesione svolge un ruolo importante nella genesi dei disturbi del linguaggio articolato. Alcuni anni dopo le osservazioni anatomo- cliniche di Broca (1861) attraverso prove sperimentali si è arrivati a sostenere l’ipotesi di funzioni diverse localizzate in parti diverse della corteccia cerebrale; secondo questa concezione generale, il termine afasia va smembrato in una molteplicità di disturbi sensoriali, dovuti alla distribuzione di uno o più centri di immagine o alla dissociazione fra le aree in cui queste immagini sono depositate (pensiero associazionistico). Wernicke separava nettamente il linguaggio dal pensiero, basandosi sull’osservazione che i sordomuti pensano pur non sapendo parlare, e che, viceversa, nelle prime fasi di sviluppo del linguaggio, i bambini ripetono parole di cui non conoscono il significato. Egli riteneva che il linguaggio si costruisse a partire dalle afferenze uditive: area di Wernicke o centro verbo-acustico_sede di associazioni multimodali e delle immagini acustiche del linguaggio. Secondo questo modello (1874) le strutture critiche per l’elaborazione del linguaggio sarebbero situate tutt’attorno alla valle silvana e si articolerebbero su due centri, uno frontale (verbo-motorio) e uno temporale (uditivo-verbale) collegati fra di loro da fasci di fibre associative; forme cliniche diverse di afasia sarebbero provocate da lesioni che distruggono selettivamente le varie parti di questo sistema auli-fonatorio. Critiche: a livello teorico riguardano la concezione del linguaggio in quanto trascurava il fatto che i suoni della lingua sono segni di cui l’uomo si serve per comunicare agli altri le proprie idee e i propri sentimenti; a livello empirico si critica il fatto che la distruzione delle immagini motorie o uditive delle parole non bastano a spiegare la complessa gamma di disturbi verbali che si osserva nei pazienti afasici. Per ovviare a queste obiezioni Lichtheim (1835) incorporava il modello di Wernicke in uno schema più complesso a due stadi, il cui livello inferiore corrispondeva alle componenti sensomotorie del linguaggio (privilegiate da W.), mentre il livello superiore corrispondeva alle componenti semantico-concettuali della lingua. LA SCUOLA NEOETICA E L’INTERPRETAZIONE UNITARIA DELL’AFASIA. Alcuni autori esprimevano il loro dissenso nei confronti di certi aspetti caratterizzanti l’interpretazione associazionistica: • Il rilievo dato dalle componenti motoria e sensoriale del disturbo afasico; • L’adozione di una concezione a mosaico del principio di localizzazione in cui nessuna distinzione era fatta fra funzioni sensori-motorie di base e funzioni corticali superiori; • L’utilizzazione di un modello puramente orizzontale (cortico-corticale); • La frammentazione dell’afasia in una molteplicità di forme cliniche qualitativamente diverse; • Pierre Marie e la critica del dogma della terza circonvoluzione frontale; • Goldstein e la struttura dell’organismo. LA CLASSIFICAZIONE EMPIRICA DELL’AFASIA E LA CONCEZIONE NEOASSOCIAZIONISTA DI GESCHWIND. Fra gli afasiologi si delineavano due tendenze: • Affrontare il problema dell’afasia su basi puramente empiriche proponendo di dividere gli afasici in due gruppi (A, approssimativamente Broca, e B, Wernicke) sulla base di criteri verbali ed extraverbali. • Rivisitare e rivalutare le concezioni associazionistiche (neoassociazionismo, Geschwind 1965). La convergenza poli-sensoriale sarebbe il prerequisito necessario dell’attività di denominazione per due ragioni: 1) sarebbe alla base della formazione dei concetti, 2) permette di associare i concetti degli oggetti con le etichette verbali corrispondenti. LURIA FRA LA TEORIA DEGLI ANALIZZATORI CORTICALI ED I PRIMI TENTATIVI DI ANALISI LINGUISTICA DELL’AFASIA. Luria fa del linguaggio l’organizzazione fondamentale della mente umana. Il linguaggio, infatti, nono solo permette all’uomo di distanziarsi enormemente dagli altri animali sul piano della comunicazione interpersonale, ma gli consente anche di organizzare le proprie attività di pensiero e di regolare intenzionalmente il proprio comportamento. Egli distingue sei forme cliniche di afasia: motoria cinestesico, motoria cinetica, sensoriale, acustica-amnesica, semantica, dinamica. CAP 9: LE BASI NEUROLOGICHE DEL LINGUAGGIO. Sino a molti anni or sono la principale fonte di informazioni sulle basi neurologiche del linguaggio era costituita dall’osservazione anatomo-clinica; dagli anni 70 le tecniche neuroradiologiche hanno permesso di stabilire in vivo e con precisione la sede e l’estensione delle lesioni cerebrali. LE SINDROMI AFASICHE. Conseguono a lesione dell’emisfero sinistro nei destrimani e nella maggior parte dei mancini. La neuropsicologia tende ad evitare e negare il concetto di sindrome afasica perché difficile da definire unitariamente e da etichettare; è utile solo per definizione usare la classificazione anatomo-clinica tradizionale. Nello studio delle correlazioni è essenziale conoscere la distanza di tempo intercorsa tra l’insorgenza del disturbo ed il momento nel quale il paziente è stato esaminato; la classificazione viene influenzate e variata nel passaggio dalla fase acuta (edema) alla fase cronica (meccanismi di compenso). Nel caso di metodi morfologici (TC e RM) la sede della lesione viene definita sulla base di un sistema di riferimento (atlante stereotassico); nel caso di metodi funzionali (PET e flusso ematico o metabolismo regionale) esiste il problema della correlazione dei dati fisiologici ai dati anatomici. CAP 10: LA CLINICA DELL’AFASIA. DEFINIZIONE DI AFASIA. L’afasia è un disturbo della comunicazione verbale che consegue ad una lesione acquisita del cervello e interessa uno o più componenti del complesso processo di comprensione e produzione dei messaggi verbali. Il disturbo afasico è sempre conseguenza di un danno cerebrale, la lesione è focale ed interessa quasi sempre l’emisfero SX (regioni presilviane). L’afasia compromette solo la componente linguistica del globale processo di comunicazione, infatti spesso si assiste la fenomeno di dissociazione automatico volontaria: il paziente non è in grado di denominare durante l’esame ma può farlo involontariamente o con comportamenti comunicativi non verbali. Anche se gli afasici mantengono una buona competenza comunicativa il disturbo linguistico impedisce la produzione di atti linguistici adeguati e coerenti. L’afasia interessa la comprensione del linguaggio udito e la produzione del linguaggio orale e si manifesta in ciascuna delle principali delle componenti linguistiche: fonologica, semantico/lessicale, morfologica e sintattica. Quasi sempre il disturbo afasico è associato ad un a difficoltà di elaborazione del linguaggio scritto, sia in ricezione (lettura) che in espressione (scrittura). Il disturbo afasico interessa l’elaborazione di informazioni linguistiche indipendentemente da difetti percettivi o esecutivi (difficoltà ad elaborare il senso di un messaggio ricevuto o a tradurre una intenzione in messaggio verbale); si manifesta anche in prove non comunicative. L’afasia quindi interessa i processi centrali di elaborazione linguistica ma lascia integri i processi periferici (articolatori, fonatori e percettivi) e i sistemi di controllo e di pensiero; l’afasia non è un disturbo dia articolazione della parola, non è un disturbo di fonazione e non consegue a disturbi di coscienza. PERCHÈ UNA DIAGNOSI. L’inadeguatezza terapeutica della diagnosi afasiologica è in parte dovuta alla genericità della diagnosi e in parte alla mancanza di una adeguata teoria di riabilitazione dell’afasia; tuttavia è necessaria perché potrebbe essere un passo verso l’organizzazione del sapere e potrebbe permettere di confrontare pazienti per notarne somiglianze e differenze. La tradizionale classificazione dei disturbi afasici ha comunque un suo fondamento teorico: Lichtheim intendeva rappresentare la struttura del sistema linguistico e nello stesso tempo descrivere spiegare i disturbi conseguenti a lesioni selettive. In generale bisogna integrare una diagnosi clinica (dare un nome ad un insieme di sintomi) con una diagnosi funzionale (identificare la causa sottostante all’origine dei sintomi presenti). Il limite della diagnosi clinica è che la classificazione dei pazienti dipende dallo strumento (batterie diverse possono classificare diversamente lo stesso paziente). CRITERI DIAGNOSTICI. Il primo passo verso una diagnosi clinica consiste nel determinare se l’eloquio del paziente è fluente o non-fluente, il modo miglior per farlo consiste nella produzione spontanea (come parla e cosa dice), questi due aspetti si pongono lungo un continuum perché non sono due categorie distinte. Generalmente il criteri più usato si basa sulla quantità della produzione orale e sull’eventuale presenza di frasi lunghe: i pazienti non fluenti parlano poco usando frasi brevi, quelli fluenti hanno una produzione quantitativamente almeno normale e producono anche frasi di cinque o sei elementi. AFASIE NON FLUENTI: • Globale. La lesione che induce a tal tipo di afasia distrugge in gran parte delle aree fronto-temporo-parietali del linguaggio; data l’ampiezza della lesione l’afasia globale non si presenta mai come sintomo unico, vi si associano generalmente emiparesi, emianestesia e emianopsia; i disturbi neuropsicologici più frequenti sono aprassia orale e ideomotoria. Nell’afasia globale tutti gli aspetti del linguaggio sono gravemente compromessi: la produzione orale e non fluente con suoni sillabici e stereotipati (espressioni ricorrenti, sillabe senza senso e non neologismi), la comprensione è sempre molto deficitaria, la scrittura spontanea e la lettura sono compromesse, anche i cosi detti compiti di transcodificazione (lettura ad alta voce, ripetizione, scrittura sotto dettato e copia) sono nulli. Per quanto riguarda l’evoluzione la prognosi è generalmente negativa, anche se a volte si assiste a pochi o lievi miglioramenti. • Afasia di Broca. La lesione è solitamente centrata sull’area di Broca; sono frequentemente associate emiparesi, emianestesia e aprassia orale. L’eloquio è ridotto, difficoltoso e la produzione è agrammatica con anomie e parafasie verbali. È speso associata ad un deficit della comprensione orale anche se può apparire normale in una conversazione su argomenti familiari. I compiti di transcodificazione non sono del tutto nulli. L’afasia di Broca tende a migliorare anche se le anomie possono restare un sintomo dominante e pervasivo. • Afasia transcorticale motoria. Consegue generalmente a lesione frontale premotoria con risparmio dell’area di Broca, corrisponde all’afasia dinamica di Luria, secondo il quale il disturbo di base consiste nell’incapacità di tradurre il pensiero in parole (rottura dei rapporti tra linguaggio e pensiero non verbale); il paziente è in grado di eseguire correttamente tutti i compiti linguistici ma tende a non usare spontaneamente il linguaggio, e quando lo fa usa parole isolate e frasi molto brevi. È una forma di afasia molto rara e dati sulla sua evoluzione sono assenti in letteratura. AFASIE FLUENTI: • Afasia di Wernicke. Causata da lesione localizzata nella parte posteriore della prima circonvoluzione temporale (area di Wernicke). Si associa frequentemente a deficit di campo visivo (emianopsia), ad aprassia ideomotoria e ideativa. Nella sua forma più tipica l’eloquio è fluente e abbondante, quasi logorroico, caratterizzata da errori fonemici (parafasie, neologismi e gergo); la prosodia è ben conservata; la comprensione e produzione scritta sono compromesse così come la ripetizione il dettato e la lettura; l’afasico di Wernicke appare speso inconsapevole del fatto che quando egli produce risulta incomprensibile per l’interlocutore. Nella produzione spontanea e nei compiti di denominazione oltre agli errori fonemici si ritrovano degli errori semantici (parafasie semantiche e anomie). Per quanto riguarda l’evoluzione essa dipende dalla gravità iniziale. • Afasia di conduzione. Vi sono tre possibili sedi lesionali che la provocano; il giro sopramarginale e la sostanza bianca sottostante, la corteccia uditiva, la corteccia dell’insula. Tali afasici presentano frequentemente disturbi di moto e di campo visivo. La produzione orale è fluente ma interrotta da conduites d’approche (variazione fonemiche della parola bersaglio con tentativo di autocorreggersi). La comprensione è quasi sempre buona, il paziente può non essere in grado di ripetere e di leggere. Secondo alcuni autori l’afasia di conduzione raramente insorge come quadro iniziale di afasia e si trova soprattutto nella fase di recupero dell’afasia di Wernicke. • Afasia transcorticale sensoriale. È una forma abbastanza rara di afasia e si ritiene che la lesione si collochi nelle aree posteriori del linguaggio (37 e 39) risparmiando l’area di Wernicke. I disturbi di campo visivo ed aprassia sono un reperto molto frequente. La produzione è fluente con anomie con frequenti parafasie verbali; la ripetizione di parole e frasi è corretta anche se il paziente non ne capisce il significato; la comprensione del linguaggio parlato e scritto e gravemente compromessa anche se migliora nel maggior numero di pazienti. • Afasia amnesica o anomica. È stata recentemente classifica tra le forme cliniche di afasia senza valore localizzatorio, comunque quando il disturbo anomico è vistoso la lesione corrisponde alle aree 37 e 39 (anche se il danno è solo parziale); quando sono lese le aree posteriori si avranno deficit di campo visivo e aprassia. L’anomia, cioè la difficoltà a produrre dei nomi, aggettivi e verbi, in compiti di denominazione e in produzione spontanea, è il sintomo principale ed è reso più evidente dal fatto che non vi sono altri disturbi gravi. Per quanto riguarda il recupero raramente regredisce completamente. • Afasia sottocorticale. Dovuto a lesione talamiche SX, ai nuclei della base o alla sostanza bianca periventricolare. Disturbi tipici dei pazienti con lesioni sottocorticali sono i disturbi della voce; la ripetizione è buona e la produzione è piuttosto ridotta ma fluente, la denominazione può essere più o meno compromessa cosi come la scrittura. Un buon recupero è stato notato nei pazienti con significativo miglioramento della perfusione corticale. • Afasie traumatiche e tumorali. Spesso nei traumatizzati cranici e nei soggetti affetti da tumore si riscontrano forme di afasie fluenti, e in generale il primo sintomo sono le anomie. • Afasie in soggetti mancini. In questa popolazione la dominanza emisferica per il linguaggio è SX nella maggioranza dei casi e DX in alcuni soggetti (il linguaggio appare meno lateralizzato). L’afasia nei mancini è generalmente meno grave, la comprensione meno compromessa e il recupero è migliore. • Afasia crociata. È conseguente a lesione emisferica DX in soggetti destrimani, in un certo senso speculare all’afasia nei mancini. • Afasia acquisita nei bambini. Tutte le forme cliniche di afasia che si ritrovano negli adulti sono state descritte nei bambini. • Afasia in soggetti non udenti. Malgrado la diversa modalità di trasmissione (visivo-gestuale nel linguaggio dei segni e acustico-vocale nel linguaggio parlato), le somiglianze tra i due tipi di linguaggi sono notevoli, e sono stati trovato solo per lesioni emisferiche SX. CAP 11: DISTURBI FONOLOGICI DELL’AFASIA. INTRODUZIONE. Fonetica e fonologia costituiscono la parte della linguistica che si occupa di comprendere come vengono prodotti i suoni del linguaggio e che caratteristiche hanno; studiano le proprietà distintive e acustiche dei suoni caratteristici di una data lingua; l’individuazione dei fonemi ha reso possibile l’invenzione della scrittura alfabetica (associare univocamente ad ogni suono un segno). Il fonema è l’unità minima che rende possibile a livello sonoro la discriminazione di due suoni ed è composto dall’allofono (realizzazione pratica del fonema) e tratto distintivo (la più piccola differenza tra due fonemi). Possono essere definiti disturbi fonologici dell’afasia le difficoltà o le impossibilità a trasmettere e/o ricevere informazioni tramite messaggi orali, cioè a produrre e/o percepire correttamente le parole in assenza di danni dei meccanismi di produzione articolatoria e di ricezione periferica. All’origine dei disturbi fonologici vi possono essere tanti errori paradigmatici, cioè sostituzioni e disturbi del magazzino stesso. I deficit semantico-lessicali nella produzione si manifestano essenzialmente in due modi: • Con l’incapacità di denominare in condizioni controllate, cioè di test a confronto, • Con l’incapacità di trovare la parola corretta all’interno di un messaggio verbale che il paziente intende spontaneamente emettere. L’anomia in questi pazienti viene affiancata da circonlocuzioni (sostituire la parola mancante con la sua definizione), da parafasia verbale (emettere un’altra parola) e da parafasia semantica (emettere un’altra parola di significato somigliante); si può assistere anche all’insorgenza di gergo e di conduite d’approche. I disturbi semantici della comprensione degli afasici sono facili da rilevare ma difficili da enucleare da altri problemi; per la comprensione è più difficile essere certi di un deficit semantico solo in base all’osservazione del comportamento spontaneo, e prima di stabilire l’effettività di un deficit, è necessario verificare che la risposta non sia viziata da un deficit di ordine attenzionale. FATTORI CHE INFLUENZANO LA CAPACITA’ DI RITROVARE E COMPRENDERE LE PAROLE. I disturbi afasici di origine semantica, sia nella comprensione che nella produzione, raramente sono totali, e vengono influenzati da: • La frequenza lessicale (metodi di conteggio) • Le qualità percettive della referenza (influenza delle caratteristiche percettive) • La classe grammaticale (difficoltà nel produrre verbi, nomi di azioni, sostantivi e nomi di oggetti) • Il contenuto emotivo • L’operatività (oggetti operativi sono manipolabili, con contorni precisi, saldi al tatto e facilmente disponibili attraverso molte modalità sensoriali) MODALITÀ SENSORIALE DI PRESENTAZIONE E CATEGORIE SEMANTICHE. Sempre più spesso vengono descritte in letteratura delle dissociazioni all’interno della capacità di elaborazione dell’informazione semantica proveniente da differenti modalità sensoriali o appartenente a categorie semantiche diverse; queste osservazioni hanno stimolato speculazioni sulla possibilità che esista più di un sistema semantico e di conseguenza afasia specifiche: • Le afasie specifiche per modalità sensoriale, colpiscono la denominazione in modo uniforme rispetto alla modalità sensoriale (visiva, acustica, tattile e olfattiva) con cui viene presentato lo stimolo da denominarsi; il disturbo è quindi specifico della modalità attraverso cui vengono presentatati gli stimoli. • Le afasie specifiche per categoria semantica, sono fenomeni in cui la denominazione e/o la comprensione di una o più categorie semantiche vengono selettivamente conservate o colpite (parole concrete rispetto alle astratte, animato o inanimato ecc). Warrington e Shallice(1975) in una serie di articoli estesero la teoria dei sistemi semantici multipli mettendo in evidenza tre punti principali: l’effetto priming specifico per modalità che evidenzierebbe la separazione fra sistema verbale e visivo; le afasie specifiche per modalità fornirebbero una distinzione fra i vari sistemi di rappresentazione; aspetti specifici per modalità dei disordini della memoria semantica. LA MEMORIA SEMANTICA. DISTURBI DI ACCESSO E PERDITA DELL’INFORMAZIONE. Un problema importante nello studio dei disturbi semantici nell’afasia è quello della distinzione tra disturbi dell’accesso alla memoria semantica e i disturbi consistenti nella perdita dell’informazione nella memoria semantica stessa; questa distinzione si ritrova negli studi sulla memoria formulata come un contrasto tra accessibilità e disponibilità. In letteratura appare fin ora una sola lista di criteri per distinguere i disturbi di accesso dalla perdita di informazione: • Il paziente deve fallire l’identificazione degli stessi singoli item in successive somministrazioni dello stesso test; • Non deve farsi sentire l’effetto dei suggerimenti d’ordine semantico ne un effetto di priming; • Deve esserci una gerarchia nell’ordine in cui va perduta l’informazione; • La frequenza di un item è un fattore molto importante nel determinare la sua possibilità di essere perduto; • Non c’è miglioramento nel caso di un aumento nell’intervallo tra stimoli. Questi cinque criteri sono espressi come condizioni necessarie che devono forzatamente coesistere affinché un dato disturbo possa essere considerato perdita dell’informazione semantica e non piuttosto come un problema di accesso. Studi di gruppo sui livelli centrali (semantico e concettuale) della rappresentazione effettuati con test di comprensione, di categorizzazione associazione di parole, test di priming, disegnare o modellare oggetti a memoria, comprensione di frasi hanno mostrato una caduta degli afasici sia rispetto ai normali che ai cerebrolesi DX. Concludendo possiamo affermare che esistono in letteratura un certo numero di lavori che indicano un problema di rappresentazione semantica e concettuale nell’afasia, così come esistono dei problemi nell’accesso lessicale; queste difficoltà in molti afasici, non sono assolute e non sembrano toccare in ugual misura tutte le capacità semantiche che appaiono pronte a dissociazioni tra loro in caso di danno cerebrale, e ciò può avvenire lungo linee non chiaramente definite. CAP: 13. DEFICIT GRAMMATICALI NELL’AFASIA. INTRODUZIONE. L’afasia può colpire in modo selettivo le componenti del sistema linguistico sia nella produzione che nella comprensione, in alcuni pazienti il deficit afasico colpisce le cosidette parole “grammaticali” (morfemi grammaticali liberi - articoli, verbi ausiliari, preposizioni ecc; e i morfemi grammaticali legati a radici – prefissi, suffissi flessionali e derivazionali), determinando difficoltà nell’elaborazione di strutture grammaticali. Nelle letteratura sono state descritte due sindromi: • Agrammatismo, il cui tratto tipico è la omissione di articoli, parole di connessione, ausiliari e flessioni, cosicché la grammatica può in casi estremi essere ridotta ad una forma rudimentale; • Paragrammatismo, è un deficit nella giusta posizione di sequenze inaccettabili: confusioni dell’aspetto verbale, errori nel genere e nel caso dei pronomi, scelta errata delle preposizioni. L’AGRAMMATISMO COME DEFICIT DI PRODUZIONE (IN USCITA). Le prime formulazioni teoriche circa la descrizione clinica dell’agrammatismo pongono l’accento sul disturbo di produzione (omissioni, semplificazioni e riduzioni in presenza di una discreta comprensione della conversazione). Pick (1913) è stato il primo a porre un’interpretazione articolata dei disturbi grammaticali distinguendo due forme di deficit: • Pseudoagrammatismo, l’impoverimento delle strutture sintattiche prodotte dal paziente non dipende da difficoltà linguistiche ed è piuttosto secondario all’afasia motoria; • Agrammatismo vero e proprio, deriva dall’incapacità di costruire strutture grammaticali corrispondenti allo schema astratto della frase (secondo il principio di economia il paziente utilizza un linguaggio di emergenza). Isserlin (1922) sostiene che il linguaggio agrammatico sia il risultato di una economia di sforzo: il paziente consapevole che parlare che per lui è estremamente faticoso decide di formulare una produzione telegrafica (frasi semplicissime ma efficaci). Luria considera l’agrammatismo come una perdita degli aspetti predicativi del linguaggio: il paziente non riesce più ad utilizzare schemi dinamici per produrre frasi, e quindi usa solo aspetti statici che gli permettono un normale uso delle parole isolate. Jakobson considera l’agrammatismo come un disturbo di contiguità che deriva dalla perdita dei meccanismi sintagmatici (concatenazione delle parole nella frase) in presenza di una conservata capacità di usare i meccanismi paradigmatici (scelta delle parole nel vocabolario). Goodglass ritiene che i paziente agrammatico conserva la capacità di programmare frasi anche complesse, ma la soglia di attivazione che deve essere superata per iniziare e per mantenere il flusso della produzione è innalzata in conseguenza della lesione; solo gli elementi più salienti superano la soglia e vengono tradotti. L’AGRAMMATISMO COME DEFICIT DI MECCANISMI CENTRALI (IN ENTRATA). È un disturbo sia di comprensione che di produzione, e porta alla produzione di frasi pragmaticamente errate con uso inappropriato dell’articolo. Varie ricerche hanno utilizzato per diagnosticare tale tipo di agrammatismo frasi che variano per la posizione dell’articolo, frasi ambigue e implausibili segnalando l’associazione tra deficit di produzione e di comprensione. Queste ipotesi sono state chiamate function word theories poiché attribuiscono i deficit osservati ad una difficoltà di utilizzazione delle parole grammaticali (function words). L’ipotesi di una teoria unitaria prevede che i pazienti invertono i ruoli tematici di frasi semanticamente reversibili attive e passive; si è avanzata l’ipotesi che il deficit agrammatico dipenda dall’incapacità di far corrispondere correttamente ruoli grammaticali e ruoli semantici sia in comprensione che in produzione. Negli ultimi anni si è avanzata l’ipotesi di una dissociazione tra deficit di produzione e comprensione: i meccanismi coinvolti nella produzione degli aspetti grammaticali del linguaggio sono, almeno in parte, indipendenti da quelli coinvolti nella comprensione dei medesimi aspetti. CORRELATI ANTOMO-CLINICI DEI DISTURBI GRAMMATICALI. Nella maggior parte delle ricerche sono state considerati agrammatici i pazienti il cui linguaggio spontaneo era caratterizzato da omissioni dei morfemi grammaticali e dalla produzione di frasi dalla struttura patologicamente semplice. Si associa a lesione in prossimità nell’area di Broca il cosiddetto pseudoagrammatismo, anche se in molti lavori è stato considerato uno dei sintomi della stessa afasia; l’agrammatismo è stato associato anche lesioni temporali localizzate nell’emisfero SX. CAP 14: DISTURBI CONCETTUALI NON VERBALI NELL’AFASIA. severità diversi, quindi potremmo avere i seguenti disturbi: • Alessia letterale, selettivo per lettere presentate isolatamente; • Alessia verbale, colpisce la lettura di parole con risparmio della lettura di lettere; • Alessia per frasi ma non parole; • Alessia specifica per materiale alfabetico; • Alessia per numeri scritti in codice arabico (rara). Da un punto di vista clinico l’alessia si presenta raramente come un deficit isolato, il più delle volte si associa ad un disturbo di scrittura e/o ad una difficoltà più generale di elaborazione del linguaggio. Approccio associazionistico alle dislessia acquisite. Da un punto di vista storico i primi modelli dell’elaborazione del linguaggio scritto risalgono alla fine del secolo scorso (1892) e si basano sul metodo anatomo- clinico. Uno degli esponenti di questo approccio è Ferine, secondo il quale un alessia con agrafia si determinerebbe in seguito ad una lesione del giro angolare SX, mentre un’alessia pura sarà conseguente ad un isolamento del giro angolare SX dalle aree visive. A questo tipo di approccio seguirono una serie di studi in cui le sindromi alessiche vennero classificate in base ai sintomi neurologici e neuropsicologici associati, e tali diversi complessi sintomatologici vennero correlati a lesioni di specifici luoghi cerebrali. La più recente classificazione neuro-anatomica dei disturbi di lettura è stata proposta da Benson (1979), che riporta a tre principali sindromi alessiche: • Alessia parieto-temporale = alessia con agrafia, incapacità di lettura ad alta voce e di comprensione delle lettere e delle parole, accompagnata ad una difficoltà nella lettura di numeri; si associa ad un disturbo dell’intonazione musicale e ad un’agrafia, generalmente di gravità parallela all’alessia, caratterizzata sia di paragrafie che da disturbi di tipo aprassico; viene mantenuta la capacità di copiare materiale scritto; si accompagna spesso a sintomi afasici quali anomia, aprassia costruttiva, a segni di deterioramento mentali ed alla cosiddetta sindrome di Gerstman. • Alessia occipitale = alessia pura, incapacità totale ad identificare singole lettere e parole; difficoltà di lettura ad alta voce e comprensione delle parole pur riuscendo a denominare le lettere che le compongono; risulta generalmente mantenuta la scrittura spontanea e sotto dettato; particolarmente difficili appaiono a questi pazienti le operazioni di transcodificazione; si associa, anche se non costantemente, ad un’emianopsia omonima DX e ad un’anomia per i colori. • Alessia frontale o third alexia = alessia centrale, incapacità a denominare le lettere che compongono le parole e difficoltà si a di lettura ad alta voce che di comprensione delle strutture relazionali e sintattiche del linguaggio. Questo approccio da un punto di vista teorico è risultato inadeguato. Marshall e Newcombe (1973) proposero una nuova classificazione dei disturbi alessici chiamando dislessici di superficie i pazienti che avevano un disturbo ad un livello superficiale della struttura linguistica, ovverosia il livello dei codici ortografico e fonologico; dislessici profondi i pazienti con disturbo più profondo della struttura linguistica inerente alla sfera semantica. Attualmente i disturbi di lettura riportati in letteratura sono descritti ed interpretati dettagliatamente sulla base di un modello in grado di descrivere le procedure mentali impiegate nel processo di lettura ad alta voce di parole. In questo modello il processo di lettura viene decomposto in una serie di funzioni più elementari e distinte tra loro, la cui interazione è in grado di rappresentare l’architettura funzionale sottostante al processo stesso. Approccio cognitivo alle dislessie acquisite. Attualmente i modelli di lettura proposti si possono classificare in: • modelli a doppia via. Tale teoria prevede l’esistenza di due procedure distinte coinvolte nell’elaborazione di stringhe di lettere. Una di tali procedure è detta lessicale, richiede una conoscenza lessicale specifica per le parole e opera attraverso una sorta di mappaggio diretto tra le caratteristiche visive della stringa di lettere e la rappresentazione lessicale precedentemente immagazzinata; la rappresentazione ortografica, semantica e fonologica relativa alle parole scritte, sono funzionalmente separate ed immagazzinate rispettivamente in un lessico di entrata visivo, in un sistema semantico e in un lessico di uscita fonologico. Accanto alla procedura lessicale il modello a doppia via prevede l’esistenza di una procedura non lessicale, in grado di ricodificare fonologicamente le rappresentazioni ortografiche di stringhe di lettere. • Modelli per analogia lessicale, in cui viene previsto che la fonologia per le non-parole venga assemblata utilizzando una conoscenza lessicale. In questi modelli sia le parole che le non parole sono lette ad alta voce utilizzando rappresentazioni fonologiche di parole precedentemente immagazzinate. I disturbi acquisiti di lettura sono stati per la maggior parte discussi nell’ambito dei modelli a due vie. L’assunto centrale di tali modelli, che prevede l’esistenza di almeno due procedure implicate nel processo di lettura, è risultato particolarmente efficace nel rendere conto di due diverse forme di dislessia acquisita: la dislessia fonologica e la dislessia superficiale. Modelli computazionali. Il modello computazionale della lettura che ha avuto maggior successo è quello proposto da Seideenberg e MacClelland (1989), in cui viene utilizzato un approccio di tipo connesionista (o PDP: parallel distributed processing, elaborazione distribuita in parallelo). L’assunzione più importante di questi autori è che la rappresentazione fonologica di qualsiasi stringa di lettere può esser computata a partire dalla sua rappresentazione ortografica attraverso un unico processo. Questo processo consiste nella propagazione dell’attivazione all’interno di una retta connesionista, in cui le attivazioni delle unità di input e di output rappresentano rispettivamente la forma scritta e dorale della parola. I codici ortografici e fonologici per le parole e per le non parole consistono in patterns di attivazione distribuiti su un numero di unità rappresentazionali primitive; le conoscenze delle corrispondenze scritto-suono sono codificate tra i pesi delle connessioni delle varie unità. Diagnosi di dislessia. La possibilità di classificare un disturbo di lettura si basa sull’esame delle capacità dl paziente di elaborare, a diverso livello, stimoli alfabetici. Tali compiti vanno dall’identificazione di singole lettere alla decisione lessicale visiva, all’accoppiamento di una parola scritta alla figura corrispondente, alla lettura ad alta voce e all’attribuzione di un significato. Sono state costruite numerose batterie nelle quali gli stimoli sono distinti per classe grammaticale, lunghezza, frequenza, regolarità della corrispondenza grafema-fonema, e lessicalità. Gli errori ritenuti più utili ai fini di una diagnosi differenziale dei disturbi alessici sono: errori visivi, semantici, morfologici, di lessicalizzazione e sostituzione di parole-funzione. Classificazione cognitiva dei disturbi di lettura. Dislessie centrali, sono deficit a carico di una delle due procedure necessarie per la lettura ad alta voce: • Dislessia profonda, risulta compromessa la lettura di non parole mentre la lettura di parole è caratterizzata dalla presenza di errori semantici, visivi, derivazionali, errori visivi e poi semantici. In tale sindrome le parole concrete sono generalmente lette meglio delle parole astratte (effetto concretezza), i nomi meglio degli aggettivi che a loro volta sono letti meglio dei verbi e delle parole funzione (effetto di classe grammaticale). Le parole funzione tendono ad essere sostituite tra di loro. Tale quadro si accompagna in genere ad una grave afasia non fluente ed è sostenuto a una vasta lesione dell’emisfero SX. • Dislessia diretta (lettura senza comprensione) ; l’esistenza di una procedura di lettura lessicale ma non semantica è sostenuta da una serie di osservazioni raccolte su pazienti che si dimostravano in grado di leggere correttamente parole regolari e irregolari pur senza comprenderne il significato • Dislessia fonologica; è un disturbo di lettura specifico per sequenze di lettere prive di significato (non parole), mentre la lettura di parole è significativamente migliore • Dislessia superficiale; le caratteristiche di tale sindrome sono le seguenti: buona capacità di lettura di lettere isolate, capacità di lettura di parole regolari e non parole significativamente migliore della capacità di lettura di parole irregolari, presenza di errori di “regolarizzazione” (le parole irregolari tendono ad essere lette secondo la pronuncia prevista dalle regole di conversione scritto-suono), incapacità ad assegnare il significato corretto a parole omofone non omografe. Generalmente tale complesso sintomatologici si accompagna ad un’afasia fluente e ad una agrafia lessicale. Consegue in genere ad una lesione retrorolandica SX con interessamento costante del lobo temporale. Dislessie periferiche, in cui deficit (disturbo funzionale) colpisce gli stadi più periferici dell’elaborazione dell’informazione sia in entrata che in uscita: • Alessia pura (lettura lettera per lettera); in tali pazienti la lettura è possibile solamente attraverso la lenta denominazione, il più spesso subvocalica ma talora ad alta voce, delle lettere che compongono la stringa grafemica; una volta compiuta tale operazione, il paziente “costruisce” la parola e la pronuncia ad alta voce. • Dislessia attenzionale; con tale termine si intende una difficoltà di lettura, sia per parole che per lettere, che compare quando più di uno stimolo è presente contemporaneamente nel campo visivo. Tipicamente tali pazienti presentano una grave compromissione della capacità di lettura di un brano. I MODELLI DI SCRITTURA. La scrittura è sottesa da una serie di procedimenti attraverso i quali il suono ed il significato delle parole vengono trasformati nelle corrispondenti unità ortografiche. Tale processo viene realizzato mediante la costruzione di una immagine astratta della sequenza appropriata di lettere che potranno successivamente essere realizzate con caratteristiche grafiche o strumentali. Le prime classificazioni delle agrafie furono basate sulla contemporanea presenza di altri sintomi di tipo neuropsicologico e si identificarono le seguenti forme: • Agrafie afasiche. Da un punto di vista generale il disturbo di scrittura che si accompagna alle afasie dimostra le stesse caratteristiche del linguaggio parlato; nell’afasia di Broca la scrittura può essere limitata a singole parole ad una curva bimodale (effetto recenza ed effetto di prima posizione). In questi compiti si osservava come la prestazione di richiamo di una lista di parole fosse migliore per quegli stimoli che occupavano le posizioni finali (recency effect) ed iniziali della lista (primacy effect); se la rievocazione veniva tuttavia differita di un intervallo di 15 secondi (con un compito interferente), si osservava la scomparsa dell’effetti di recenza ma non di quello di prima posizione. Queste osservazioni hanno gettato le basi di un modello bi- componenziale della memoria, secondo cui la curva bimodale della rievocazione riflette il contributo di due componenti separate: gli eventi recenti provengono da una componente labile, il MgBT, mentre gli stimoli iniziali provengono da un MgLT in cui la traccia è più stabile e duratura. 3. Infine, il terzo gruppo di osservazioni sperimentali che hanno contribuito a fornire evidenze della separazione tra MgBT e MgLT riguarda una serie di esperimenti in cui si è visto che in questi due sistemi l’informazione è rappresentata secondo codici differenti. Ad esempio, in un compito di rievocazione immediata, la rievocazione delle ultime parole di una lista non viene influenzato dalla frequenza delle parole, caratteristica che suggerisce che il MgBT non si basi su un codice semantico. Al contrario, invece, in un compito di memoria a lungo termine, la prestazione viene fortemente influenzata dalla somiglianza semantica degli stimoli ma non da quella fonologica. I due sistemi utilizzano quindi rappresentazioni diverse delle informazioni: il MgBT utilizza codici come quello fonologico (caratteristiche fisiche dello stimolo); il MgLT utilizza invece un codice semantico. Sulla base di queste osservazioni vennero proposti i primi modelli bi-componenziali del funzionamento della memoria; tra questi modelli, ha avuto maggiore influenza il “modello modale” di Atkinson e Shiffrin (1971). Si tratta di un modello di memoria ad architettura seriale: dai canali sensoriali, l’informazione passa attraverso il MgBT ed arriva infine al MgLT. Il MgBT è un sistema unitario che contiene dei processi di ripasso che facilitano il passaggio dell’informazione verso il MgLT; il MgBT esercita inoltre alcune funzioni di controllo, motivo per cui può essere considerato come una “memoria di lavoro”. MODELLI MULTI-COMPONENZIALI. I modelli bi-componenziali sono stati in seguito sostituiti da modelli multi- componenziali, in cui la MBT non viene più considerata come un sistema unitario ma si divide in sottocomponenti. Tra le sottocomponenti della MBT maggiormente studiate vi sono il “loop fonologico” ed il “taccuino visuo-spaziale” che, rispettivamente, consentono la ritenzione di informazione verbale e di configurazioni visuo-spaziali. Queste componenti sono a loro volta divise in varie sottocomponenti (v figura 16.2 pag 431). Craick e Lockhart hanno proposto il modello alternativo dei “livelli di analisi”: tale modello non separa l'analisi dai processi di memoria, la traccia mnestica sarebbe un processo collaterale dei processi percettivi. La forza e la durata di un ricordo sono determinati dalla profondità dell'analisi a cui lo stimolo è stato sottoposto. Riguardo la MLT si ritiene che anche essa sia scomponibile in varie sotto- componenti: in generale si dinstinguono sistemi inerenti il ricordo e la conoscenza consapevole di fatti ed eventi da quelli non consapevoli, in cui l'avvenuta memorizzazione si manifesta attraverso una modificazione del comportamento (memoria dichiarativa/esplicita e non dichiarativa/implicita). La memoria dichiarativa riguarda fatti e conoscenze che possono essere più o meno corrispondenti al reale e richiede un certo sforzo attenzionale; la memoria non dichiarativa è invece inerente alle abilità percettive, motorie, cognitive. Warrington e Weiskrantz distinguono un sistema cognitivo e dinamico da uno semantico: il primo, interagendo col secondo, consente di manipolare gli eventi, metterli in relazione tra loro e immagazzinarli secondo modalità di registrazione che possono essere sempre modificate; tutto ciò non serve per l'acquisizione inconsapevole di materiale. Graf distingue invece due processi distinti: attivazione ed elaborazione. La presentazione di uno stimolo ne attiva la rappresentazione mentre l'elaborazione, che richiede impegno cognitivo, permette di metterlo in relazione al suo contesto. Questi sistemi di memoria, impliciti ed espliciti, si frazionano ulteriormente. Tulving ha proposto una divisione della memoria dichiarativa in memoria episodica e semantica (la prima riguardante fatti ed eventi e le loro relazioni spazio-temporali, la seconda inerente regole, formule ecc.). Questa distinzione ha anche un corrispettivo neuropsicologico. Altri ritengono che i processi di memoria non siano multipli, ma fondamentalmente unitari: semplicemente alcuni tipi di compiti, il cui apprendimento è basato sull'analisi percettiva, non richiedono la manifestazione di un ricordo consapevole. L'ipotesi dei sistemi multipli è stata avvalorata da dati ottenuti su pazienti, in cui il deficit era selettivo per una componente. DISORDINI DELLA MLT: L'AMNESIA. L’amnesia è caratterizzata da una compromissione grave e selettiva della MeLT, indipendente dalle caratteristiche dello stimolo e dalla modalità sensoriale attraverso cui viene percepito; l’amnesia presenta deficit di due ordini: deficit retrogrado (riguarda eventi precedenti l'insorgenza della malattia) o anterogrado (difficoltà ad apprendere eventi successivi alla malattia). Il paziente amnesico lo si può riconoscere da un’osservazione attenta; in genere i ricordi più remoti sono più preservati dei recenti. L'esistenza di una scissione tra le due forme di amnesia è stata provata da H.M., che sapeva riprodurre una piantina della casa in cui era vissuto 8 anni prima ma non ricordava ad esempio tutte le persone con cui veniva a contatto dopo l'incidente. MBT e MLT NELL'AMNESIA. I pazienti amnesici, se non vengono distratti, possono essere in grado di ricordare, per brevi intervalli di tempo, quantità limitate di informazione (ad esempio un numero di tre cifre o due parole correlate). Drachman e Arbit (1966) hanno dimostrato che nell’amnesia la compromissione riguarda il MgLT ma non quello a breve termine; i loro pazienti amnesici mostravano infatti uno span di memoria immediata pari quasi a quello dei controlli: il deficit degli amnesici sarebbe perciò a carico della MLT e nn della MBT. Questi dati sono stati confermati da altri studi che hanno visto negli amnesici effetti recenza e prestazioni scadenti nella rievocazione di parole centrali e iniziali della lista; ciò era valido anche per la componente visuo-spaziale della MBT. Secondo un’ipotesi degli anni '60, il problema degli amnesici sarebbe di consolidamento della traccia; questa ipotesi non riesce però a spiegare l'amnesia retrograda. Butters e colleghi criticano il fatto che la MBT è intatta negli amnesici: le prestazioni degli amnesici, inerenti lo span verbale erano nella norma, ma decadevano se distratti per 10 secondi con un compito di calcolo mentale. Non era stato però considerato che questi pazienti (Korsakoff) potevano avere un deficit cognitivo più esteso ed essere più sensibili all'interferenza pro-attiva. In conclusione, la MBT degli amnesici è intatta: vista la normalità dello span di memoria immediata, si può dire che i loro processi di analisi percettiva sono indenni. L'AMNESIA RETROGRADA. Per studiare l’amnesia retrograda si utilizzano in genere questionari relativi a eventi storici e fatti di cronaca realmente accaduti: ovviamente la validità di queste prove è oggi in discussione. Comunque i problemi affrontati dai questionari sono 2 e riguardano: la memoria del soggetto inerente eventi accaduti in vari periodi della vita e il profilo temporale dell'amnesia retrograda. Secondo la legge di Ribot, la dissoluzione dei ricordi è inversamente proporzionale all'età dell'evento che ha dato loro origine: secondo quest’ottica, i ricordi recenti vanno perduti prima di quelli più remoti, ed il livello di prestazione declina con l'aumentare dell'età. Lo stesso vale per gli amnesici anche se riguardo ciò vi sono risultati contrastanti: alcune ricerche confermano tale teoria, altre no. E' stato comunque rilevato che gli amnesici, come i soggetti normali traevano beneficio dalle facilitazioni fonemiche e semantiche: ciò suggerirebbe che il ricordo non va perduto ma che si tratti piuttosto di un difetto nel richiamo. Questi studi sono comunque compatiblili con la teoria del consolidamento, secondo cui le tracce mnestiche si rafforzano nel tempo e diventano pertanto più resistenti ai fattori che producono amnesia. È stato inoltre visto (sempre relativamente alla t. del consolidamento) che giocatori di football americano, ricordavano eventi accaduti prima dell'incidente ma poi tali ricordi svanivano: il trauma potrebbe impedire il consolidamento della traccia mnestica, impedendo pertanto, il consolidamento del ricordo e il passaggio di esso da BT a LT. E' stato infine rilevato che l'amnesia retrograda possa colpire in modo selettivo i ricordi: Warrington ha descritto un paziente che non ricordava eventi ma sapeva definire parole tipiche dell'ultimo ventennio; la Warrington Propose perciò l'esistenza di 2 sistemi separati: uno cognitivo e dinamico ed uno per il vocabolario (che corrisponde all'attuale distinzione tra memoria episodica e semantica). Sono state proposte quindi per la valutazione dissociazioni tra le conoscenze autobiografiche e semantiche e per entrambi è stato dimostrato che vale la regola del gradiente temporale. Inoltre è stato scoperto in pazienti Korsakoff che l'amnesia anterograda può spiegare quella retrograda: in tali pazienti l'amnesia anterograda era iniziata da prima che il clinico potesse sospettare tale deficit e quindi la situazione si era pian piano aggravata; tale dato può spiegare perché in questi pazienti il deficit era minore per gli eventi remoti. Sono stati però descritti pazienti con deficit selettivamente retrogrado: in tali pazienti occorre tenere presenti le componenti funzionali inerenti l'insorgenza di un deficit selettivamente retrogrado (personalità, aspetti cognitivi ed emozionali), neurologici e quindi psichiatrici (si può parlare in tal caso di amnesia psicogena): in sintesi bisogna valutare sia aspetti organici che funzionali. CIO' CHE GLI AMNESICI POSSONO IMPARARE. E' stato dimostrato che in determinate condizioni gli amnesici possono imparare materiale nuovo, nonostante il deficit anterogrado. • Condizionamento: lo spillo nascosto nella mano di Claparède di cui si ricordava la sua aziente amnesica. È stato utilizzato l’ammiccamento palpebrale come risposta ad un segnale visivo o acustico (stimolo condizionato) a un soffio d’aria diretto verso il globo oculare (stimolo non condizionato). • Apprendimento motorio, percettivo, verbale, e di procedure logiche. Le forme di apprendimento risparmiate dall’amnesia sono molto estese: vanno da abilità motorie e percettive relativamente semplici, a compiti di ragionamento. Inoltre, non sono limitate ad un applicazione generica della capacità di eseguire il compito, ma si estendono alla possibilità di memorizzare stimoli specifici. La prestazione diventa scadente se viene richiesto il ricordo esplicito dell’informazione. che l'apprendimento di abilità motorie può essere risparmiato nell'amnesia: H.M. Era in grado di apprendere tali compiti (stella a 5 punte e labirinto tattile) senza ricordare nulla riguardo la sessione d'apprendimento. Lo stesso valeva per le abilità di analisi e discriminazione percettiva e di apprendimento verbale (la velocità di lettura di parole e non parole aumentava man mano che gli stimoli si ripetevano). L'unico problema degli amnesici è che non traevano beneficio dalla ripetizione degli stimoli, durante i compiti, a causa della loro incapacità di memorizzare gli episodi. E' stato poi dimostrato che gli amnesici possono apprendere informazioni visuo-spaziali con componenti semantiche; H.M aveva buone prestazioni nel test “ torre di Hanoi”, dimostrando quindi che negli amnesici sono preservate quelle abilità che richiedono la messa in atto di procedure logiche. In conclusione, molte abilità che richiedono la memorizzazione di stimoli sono preservate negli amnesici: la prestazione, distinzione non tiene conto dei dati provenienti dagli amnesici retrogradi, il cui deficit riguardava sia fatti famosi che conoscenze semantico- enciclopediche. Sembra più probabile che i 2 deficit si collochino lungo un continuum, in cui la compromissione di una dimensione causerebbe la compromissione dell'altra. Facendo poi una distinzione tra memoria dichiarativa e non dichiarativa, appurate tutte le abilità risparmiate degli amnesici (viste in precedenza), si può concludere che il difetto degli amnesici riguarda la memoria esplicita e non quella non dichiarativa: il problema degli amnesici è quello di produrre ricordi coscienti. Altre scissioni all'interno del campo della memoria dichiarativa sono date da pazienti affetti selettivamente da amnesia retrograda: questa può essere dovuta ad una perdita selettiva dell'informazione, con risparmio dei processi di codificazione e richiamo (il deficit di codificazione è invece presente nel caso di pazienti anterogradi). Sono state rilevate differenze anche a livello neurologico: la lesione di R.B, differentemente dagli amnesici globali, era limitata solo a parte dell'ippocampo. CORRELATI ANATOMICI DELL'AMNESIA. L'amnesia sembra associata a lesioni al circuito cortico-sottocorticale di Papez (ippocampo, fornice, corpi mammillari, fascio mammillo-talamico, talamo anteriore e giro del cingolo) o a due tipi di strutture: parte mesiale del lobo temporale e alcuni nuclei del diencefalo. Riguardo la prima è noto dalle osservazioni su pazienti come ad esempio H.M con lesioni a uncus, amigdala e formazione ippocampale: si è visto che la gravità del deficit era correlata alla gravità della compromissione della formazione ippocampale (pazienti con le stesse lesioni esclusa formazione ippocampale non sembravano avere deficit mnestici); l'amigdala sarebbe invece implicata negli aspetti emozionali dell'apprendimento. Altri studi hanno infatti mostrato che mentre negli amnesici erano indenni uncus e amigdala vi era una riduzione, rispetto ai controlli del 50% del volume ippocampale. In altri pazienti le lesioni erano proprio limitate all'ippocampo (non lesionato addirittura il giro dentato) e ridotto numero di cellule piramidali dell'ippocampo. Il deficit lieve di R.B si spiega col fatto che aveva risparmiate molte aree circostanti l'ippocampo (ad es corteccia entorinale). E' stato poi spesso riscontrato che lesioni adiacenti il terzo ventricolo (diencefalo) si associano spesso ad amnesia: corpi mammillari, tratti mammillo-talamici, nuclei anteriore e dorso-mediale del talamo. Nel primo caso è stata vista perdita neuronale dei corpi mammillari nei pazienti Korsakoff ad eziologia alcoolica. Per quanto riguarda gli altri casi sembra che la lesione dei tratti mammillo-talamici causi una disconnessione ippocampo-talamica; altri studi sembrano avvalorare l'ipotesi che il circuito limbico baso-laterale partecipi ai processi di MLT: tali lesioni coinvolgendo il peduncolo talamico inferiore, disconnetterebbero il nucleo talamico dorso-mediale dall'area subcallosa e dall'amigdala. Lesioni all'amigdala, tuttavia non sembrano causare deficit mnestici rilevanti. E' stato dimostrato che cingolotomie anteriori (stato confusionale transitorio) e posteriori (amnesia retrograda) del cingolo causavano amnesia. T.R, affetto da amnesia retrograda dovuta ad una lesione retro-speniale che causava una disconnessione tra talamo e ippocampo: la differenza di gravità tra lesioni anteriori e posteriori era dovuta al fatto che la distruzione della corteccia retrospleniale elimina una fonte molto ricca di proiezioni al talamo, il quale viene sconnesso dalla formazione ippocampale. Sono stati rilevati molti casi in cui una lesione del fornice si associava ad amnesia. Sono stati descritti casi gravi di amnesia associati a modificazione della personalità, anosognosia e confabulazione, in seguito a lesioni alla regione fronto-basale mediana e paramediana: questa comprende varie strutture tra cui i nuclei del setto, che hanno connessioni bidirezionali con la formazione ippocampale. Tutti i dati neurologici sull'amnesia hanno fatto pensare che essa sia un disturbo dovuto non solo a lesioni di strutture ma anche alla disfunzione del circuito di cui tale struttura fa parte (sindrome da disconnessione): questa teoria è stata confermata ad studi di correlazione PET-quadro clinico. I correlati neurali della memoria implicita. Sono diversi da quelli della memoria esplicita e sono svariati, come dimostrato da studi su pazienti Huntington e Alzheimer. Questi dati sono stati avvalorati da studi PET che in compiti di memoria esplicita episodica hanno rilevato attivazioni di ippocampo, giro del cingolo, talamo e in compiti di memoria semantica hanno rilevato attivazioni in aree sinistre; in compiti di memoria implicita hanno rilevato attivazioni in regioni parietali, occipitali, gangli della base e cervelletto. Altri studi di attivazione hanno rilevato in compiti di rievocazione attivazione di ippocampo dx e PFC dx e in compiti di completamento riduzione dell'attività metabolica occipitale dx (correlato neurale della facilitazione). Shallice ha rilevato differenze di attivazione tra acquisizione e richiamo dell'informazione: la prima era associata ad un’attivazione pre-frontale sx e retrospleniale bilaterale; il secondo era dovuto ad un’attivazione pre- frontale dx e del pre-cuneo. Petrides e coll. hanno indagato i correlati neurali della MdL e hanno rilevato, in compiti che richiedono il funzionamento di essa, attivazioni della PFC dorso-laterale. Lesioni unilaterali del circuito di Papez e di strutture ad esso connesse. L'amnesia globale è stato visto essere associata a lesioni diencefaliche o temporali mesiali e più frequentemente all'emisfero sinistro; raramente però si riscontrano lesioni unilaterali associate ad amnesia e molto spesso sono associate a lesioni controlaterali: Penfield et al. ad esempio, hanno rilevato amnesia in caso di danno all'emisfero sinistro associato ad atrofia ippocampale dx. Comunque come dimostra uno studio di Milner, l'emisfero sinistro dovrebbe giocare un ruolo rilevante nei processi di memoria e apprendimento: si pensa che ciò sia dovuto al fatto che i processi verbali hanno un ruolo fondamentale nell'apprendimento. A prova di ciò è stato rilevato che genericamente, pazienti con lesioni sinistre lamentano problemi di memoria, cosa che non succede nei cerebrolesi dx. Comunque altri studi hanno affrontato questo problema più precisamente e hanno rilevato che mentre pazienti con lesioni sinistre (temporali mesiali), non afasici, avevano problemi nella ritenzione di materiale verbale, quelli con lesioni dx (temporali mesiali), avevano solo lievi difficoltà nella memorizzazione di stimoli non verbali. Questa asimmetria emisferica è stata rilevata anche nel caso di lesioni talamiche. Infine è stato rilevato che pazienti con lesioni posteriori dx avevano amnesia topografica, incapacità di apprendere nuovi percorsi e di orientarsi in percorsi nuovi e familiari. Esistono casi di amnesia retrograda selettiva: sembra che lesioni temporali-anteriori, costituiscano la base neurale dell'amnesia retrograda selettiva e ciò è stato riscontrato soprattutto nell'emisfero sinistro (lobectomie temporali sinistro causano amnesia retrograda per eventi famosi). I DISORDINI DELLA MBT. Sono stati rilevati casi di pazienti con deficit selettivo di MBT. I disordini di MBT differiscono da quelli di MLT sia per aspetti funzionali che neuropatologici (lesioni corticali); il difetto di MBT è material-specifico: può interessare selettivamente informazione visuo-spaziale o verbale. DEFICIT DELLA MBT VISIVA E SPAZIALE Warrington e Rabin hanno condotto una serie di studi atti a indagare lo span verbale e non verbale in cerebrolesi di varia natura: è sembrato che i cerebrolesi sinistri, specie i posteriori, avevano prestazioni deficitarie in compiti di span verbale, differentemente dai dx, la cui prestazione era paragonabile a quella dei normali. De Renzi e Nichelli hanno indagato lo span non verbale tramite il test di Corsi e hanno rilevato l'importanza delle regioni visuo-spaziali, soprattutto le dx, nella ritenzione a BT di materiale visuo- spaziale; gli stessi autori hanno incontrato pazienti con ridotto span visuo-spaziale in assenza di disordini di orientamento e pazienti con la stessa dissociazione ma opposta: ciò avvalorerebbe l'idea di una distinzione tra MBT e MLT visuo-spaziale. Tali dati sono stati confermati da altri studi e criticati da altri che dimostrano il contrario (la possibilità che esista un deficit selettivo di MLT ma non di MBT visuo-spaziale). In conclusione, è da considerare che la MBT si può frazionare in molte altre componenti: è stata ad esempio riscontrata un’amnesia a BT per i colori. DEFICIT DELLA MBT UDITIVA-VERBALE. Luria e coll. Hanno rilevato una forte relazione tra emisfero sinistro e deficit dello span uditivo verbale; i pazienti utilizzati in questi lavori avevano in comune le seguenti caratteristiche: • compromissione selettiva di span per sequenze non strutturate di materiale uditivo-verbale; • prestazione migliore solo se lo span era presentato visivamente; • deficit non attribuibile né a deficit di analisi acustico-fonologica, né a problemi nella produzione verbale visto che in molti pazienti la ripetizione di singoli stimoli è perfetta e il problema è solo una riduzione della capacità di ritenzione del magazzino a BT (in tal caso il deficit mnestico è primario; nel caso prevalga il deficit di analisi fonologica, diventa secondario). In seguito questo deficit è stato apparentato con l'afasia di conduzione, il cui sintomo principale è quello di deficit di ripetizione che può esser frazionato in: deficit della MBT uditivo-verbale (difficoltà a ripetere sequenze di stimoli uditivo- verbali, con intatta ripetizione di singole parole); deficit di processi fonologici di produzione del linguaggio (prestazione compromessa nella produzione di singole parole, sia in compiti di ripetizione che nel linguaggio spontaneo); disconnessione tra sistemi percettivi e produttivi (ripetizione più compromessa del linguaggio spontaneo). E' stata suggerita l'esistenza di 2 tipi di MBT: una uditivo-verbale (fonologico) ed una visiva; molti pazienti con deficit dello span uditivo-verbale hanno prestazioni normali di fronte a un compito visivo-verbale. I soggetti normali, al contrario hanno una prestazione migliore nella modalità uditiva. Si è dibattuto circa la collocazione della MBT uditivo-verbale, se si collocasse in entrata (cioè se fosse implicato nella percezione del linguaggio) o in uscita (se cioè fosse implicato nella produzione del linguaggio. I dati neuropsicologici sembrano a favore della collocazione in entrata. Il sistema di memoria che consente la ritenzione a BT di informazione non è unitario ma costituito da sottocomponenti connesse tra loro e ciò è confermato da dati neuropsicologici: lesioni alla regione frontale pre-rolandica danneggiano selettivamente il processo di ricodificazione fonologica, risparmiando il ripasso e il MgBT fonologico. In conclusione abbiamo 1 MBT fonologica ed 1 visuo-spaziale. CORRELATI NEURALI. Per quanto riguarda la MBT fonologica, il correlato neurale (rilevato da pazienti con deficit selettivo per lo span uditivo-verbale) è la regione parietale postero- inferiore sinistra (giro sopra-marginale). Altri studi di PET hanno individuato come correlato neurale l’area frontale pre-motoria del processo di ripasso: ciò sarebbe compatiblile con l'ipotesi che la MBT fonologica partecipi alla programmazione articolatoria del linguaggio. Altri studi di PET hanno confermato entrambi i risultati: hanno correlato lo span uditivo-verbale ad attivazione di aree frontali associative, corteccia parietale posteriore e temporale superiore. Riguardo la MBT visuo-spaziale, inanzitutto il deficit si riscontra nei cerebrolesi prevalentemente dx: ciò non è del tutto vero (i soggetti avevano difficoltà positivo sa di avere a che fare con un oggetto familiare, di cui si ignora però il significato. Questo è raggiunto solo quando la rappresentazione attiva la rete associativa semantica, che specifica la sua funzione, il contesto e gli altri stimoli con cui ha rapporti stretti. L’alterazione di questo processo può produrre 3 tipi di disturbo di riconoscimento: 1)agnosia appercettiva; 2)agnosia associativa; 3) afasia ottica. Agnosia appercettiva. Il problema fondamentale posto da queste forme è quale grado di alterazione delle funzioni visive primarie sia compatibile con la diagnosi di agnosia. Buona parte di questi pazienti sono inizialmente ciechi corticali. L’argomento utilizzato per escludere l’ipotesi di una compromissione delle funzioni sensoriali elementari è che campo visivo, acuità visiva, percezione del movimento e discriminazione dei colori sono grosso modo normali. L’autonomia dell’agnosia percettiva non è stata universalmente accettata e ripetutamente si è proposto di definirla “pseudo-agnosia”. Le critiche sono venute da due fonti, una più distruttiva che ha tentato di ridurre tutto il quadro ad un deficit sensoriale, l’altro più articolato che propone di salvare il nucleo agnosico all’interno di una serie di disordini soltanto percettivi. Bay (1953), il rappresentante più radicale della teoria sensoriale, concepiva l’agnosia come il risultato di gravi disturbi sensoriali, aggravati da un certo grado di demenza. Per valorizzare l’importanza del deficit sensoriale, sosteneva che anziché limitarsi ad un esame statico del campo e dell’acuità visiva, se si misura in diversi settori del campo il tempo minimo necessario per riconoscere l’esposizione e la scomparsa di uno stimolo luminoso, si può verificare che negli agnosici, gli stimoli della periferia del campo visivo svaniscono presto e lasciano una visione tubulare insufficiente a ricostruire la forma degli oggetti. Un punto debole di questi studi è la mancata distinzione tra agnosia appercettiva e associativa, mentre l’importanza dei disturbi sensoriali è rilevante solo per la discussione dell’agnosia appercettiva. Una revisione più moderata del concetto di agnosia è stata fatta da Warrington, che propose di riservare questa diagnosi a pazienti che mostrassero di sapere almeno cogliere i contorni di forme elementari e di etichettare come “pseudo-agnosici” quelli che fallivano in tale compito. Secondo Warrington e James sono agnosici appercettivi i malati che, avendo superato le due prove elementari di percezione di forma, falliscono su una serie di test percettivi più complessi come: riconoscimento di oggetti presi da prospettive insolite; silhouette di oggetti disegnati di scorcio: ombre tridimensionali; figure incomplete di Gollin; lettere incomplete, accoppiamento di facce. L’abilità cimentata in questo tipo di prove sarebbe la costanza percettiva. Ricerche precedenti avevano trovato compromessa questa abilità in seguito a lesione parietale destra. Agnosia per le forme: identifica la incapacità di organizzare l’input sensoriale in una forma pregnante, che si stacchi rispetto allo sfondo e ad altre figure . Il paziente fallisce in compiti di accoppiamento di figure uguali, nel seguire con una stilo i contorni di una figura, nel discriminare figure. È interessante notare che i pazienti con questo deficit possono conservare la capacità di utilizzare in modo automatico le informazioni visive per guidare i movimenti della mano e dell’arto sullo stimolo. Agnosia integrativa: rappresenta un livello più elevato di deficit percettivo. È stato identificato nell’incapacità di integrare in una unità percettiva non solo il contorno esterno di una forma, ma anche i suoi dettagli interni che sono spessi determinanti per l’identificazione. Agnosia da compromissione della rappresentazione interna: lo stadio in cui la descrizione dell’oggetto, ricavata dall’analisi percettiva viene confrontata con la rappresentazione interna, è intermedio fra processo percettivo e processo associativo. L’integrità delle rappresentazioni visive è valutata con prove, che ne richiedono la rievocazione per via visiva o per via verbale e dal confronto poi si possono trarre elementi per giudicare se la rappresentazione è degradata, ovvero intatta ma non accessibile da una determinata via. Le prove visive (bottom-up) consistono in test di decisione oggettuale, nei quali il soggetto deve stabilire se uno stimolo corrisponde ad un oggetto del mondo reale o meno. Le prove verbali (top-down) richiedono la generazione di una immagine visiva in risposta ad una richiesta fatta oralmente. Si ritiene che le immagini visive provengano dal deposito a lungo termine dalle rappresentazioni mentali e siano poi mantenute in un magazzino a prove termine per il tempo necessario ad essere analizzate. Una agnosia appercettiva pura può non compromettere le rappresentazioni mentali, e in tal caso, il paziente produce disegni a mente migliori di quelli copiati. Allorché l’agnosia è dovuta ad una degradazione delle rappresentazioni visive, sia le prove bottom-up che quelle top-down saranno fallite. Se invece le rappresentazioni sono integre, ma non possono essere attivate per via visiva, avremo una caduta alle prove di decisione oggettuale proporzionale al deficit di riconoscimento, mentre le immagini mentali saranno evocabili per via orale. Agnosia associativa. La diagnosi di agnosia associativa si impone quando il paziente è incapace di riconoscere uno stimolo visivo significativo, benché sia dimostrabile che i suoi processi percettivi sono integri e che egli ha conservata la rappresentazione interna della forma dello stimolo. Possono anche esistere casi misti, in cui deficit appercettivi si associano a quelli associativi, e la presenza di una componente appercettiva sarebbe la regola nelle forme associative, ma la sua entità non è comunque tale da spiegare il deficit di riconoscimento. Le prove su cui basare la diagnosi di agnosia associativa sono: 1) denominazione visiva; 2) evocazione del gesto; 3) categorizzazione semantica; 4) conoscenza di attributi semantici. Afasia ottica L’afasia ottica è un deficit di denominazione per stimoli presentati per via visiva; il riconoscimento dello stimolo è integro, ma il soggetto non riesce a denominarlo. Si tratta di un disordine da disconnessione tra le aree visive e le aree linguistiche. A sostegno della riduzione dell’agnosia visiva ad una mera interruzione fra centro visivo e centro del linguaggio, Geschwind (1965), nel suo tentativo di trovare una base disconnessionistica alla maggior parte dei disturbi cognitivi, sosteneva che gli agnosici non commettevano errori di riconoscimento nella vita reale; si trattava in realtà di un’affermazione troppo drastica, che è contraddetta da un certo numero di casi. È vero che in genere i pazienti compiono meno errori nell’uso quotidiano degli oggetti rispetto a quelli commessi durante le prove denominazione; ciò può in parte spiegarsi con l’aiuto fornito dal contesto ambientale e dalle informazioni che il soggetto raccoglie per via tattile, ma è anche attribuibile alla presenza in un certo numero di casi di agnosia associativa di una componente di afasia ottica che fa apparire il deficit di riconoscimento più grave di quanto non sia, quando viene valutato sulla base della denominazione. Sulla base di prove di discriminazione semantica, Hillis e Caramazza negano che si possa parlare di un riconoscimento visivo integro negli afasici ottici. Nella realtà clinica i meccanismi che sottendono l’agnosia associativa e l’afasia ottica spesso coesistono e modulano la sintomatologia presentata dal paziente lungo un continuum, a seconda della preminenza dell’uno o dell’altro. Nelle forme come l’agnosia associativa predomina il deficit di riconoscimento, nell’afasia ottica predomina invece la mancata trasmissione delle informazioni visive al centro del linguaggio, ma resta eccezionale che uno solo di essi sia interamente responsabile della sintomatologia. A sostegno di questa affermazione sta anche il fatto che la lesione responsabile delle due sindromi è spesso simile e corrisponde ad un interessamento della regione occipito-temporale mediale dell’emisfero sinistro, di solito come conseguenza di un rammollimento dell’arteria cerebrale posteriore. La lesione occipito-temporale sinistra, associata a quella dello splenio e del forceps major, interrompe le connessioni della corteccia visiva destra con l’emisfero sinistro. Ne derivano 2 conseguenze: 1) Il riconoscimento dello stimolo deve essere effettuato dall’emisfero dx, il cui livello di elaborazione semantica è inferiore a quello dell’emisfero sx. a questo fattore sono attribuibili le manifestazioni di incompleto riconoscimento riscontrabili anche in pz con segni predominanti di afasia ottica. 2) L’impossibilità delle informazioni visive di raggiungere l’area del linguaggio, che è causa dei deficit di denominazione, anche quando lo stimolo è stato riconosciuto. Resta da spiegare perché lo stesso tipo di lesione provochi in alcuni casi il quadro di agnosia associativa e in altri quello dell’afasia ottica. È stata proposta un’ipotesi anatomica: nell’afasia ottica la lesione dello splenio del corpo calloso sarebbe completa e impedirebbe la trasmissione di informazioni visive all’emisfero sx; in questo modo, il riconoscimento del significato diviene compito dell’emisfero dx. Nell’agnosia ottica, invece, lo splenio sarebbe risparmiato, sicché le informazioni visive possono essere inviate all’emisfero sx, che essendo leso non è in grado di elaborarle in modo soddisfacente, ma con la sua entrata in azione inibisce la partecipazione al compito dell’emisfero dx. Tuttavia, l’affermazione che lo splenio sia risparmiato nell’afasia ottica non è stato confermato. Una spiegazione alternativa è che vi siano larghe differenze individuali nelle capacità semantiche dell’emisfero dx, tali da renderlo in alcuni individui capace di raggiungere un riconoscimento soddisfacente (afasia ottica), mentre in altri sono possibili solo specificazioni di carattere generale (agnosia associativa). A seconda delle potenzialità di elaborazione semantica dell’emisfero dx, il caso può presentarsi come un’agnosia associativa o un’afasia ottica, o più spesso essere caratterizzato da una maggiore o minore preponderanza dell’uno o dell’altro ordine di sintomi. Restano aperti alcuni problemi: 1) come mai l’emisfero dx non riesce a trasmettere all’area del linguaggio dell’emisfero sx le conoscenze sullo stimolo che l’attivazione della sua rete semantica gli ha procurato, sfruttando le connessioni callose che uniscono aree associative tattili ed uditive dei 2 lati? 2) il comportamento che ci si attende da un soggetto che non riesce a rievocare il nome di un oggetto riconosciuto è che egli o si limiti a confessare la propria impotenza o usi delle circonlocuzioni per indicare che conosce alcune caratteristiche funzionali e contestuali dell’oggetto. Questo comportamento è spesso osservato negli anomici afasici, mentre è raro nella maggior parte degli afasici ottici, in cui prevalgono risposte di semplice identificazione della superordinata, parafasie semantiche, parafasie verbali e perseverazioni. Identificazione della superordinata e parafasie semantiche sembrano indicare che una certa quantità di informazioni sullo stimolo hanno raggiunto l’emisfero sx, ma che questi non è in grado di controllare se la produzione verbale corrisponda alle informazioni visive. 3) l’ipotesi della disconnessione visuo-verbale dovrebbe comportare errori che non si limitano alla denominazione, ma coinvolgono anche la comprensione, perché in entrambi i casi il centro visivo di dx ed il centro del linguaggio di sx non riescono a comunicare fra loro. Stupisce il numero di casi che mostrano una comprensione intatta, a fronte di un grave deficit di denominazione visiva. Una possibile spiegazione è che in un buon numero di destrimani l’emisfero dx abbia proietta alle strutture temporo-limbiche mediali, dove lo stimolo sarebbe riconosciuto consciamente; l’altra dorsale, integra, che proietta al solco temporale superiore e da qui al lobulo parietale superiore e al giro del cingolo, dove verrebbe mediata la risposta neurovegetativa. Una ipotesi più semplice può essere che la quantità di informazione necessaria per attivare il riconoscimento inconscio sia minore di quello conscio. La lesione delle unità di riconoscimento non è necessariamente un fenomeno tutto o nulla e può oscillare dalla cessazione o blocco dei messaggi ai nodi di identità, all’invio di messaggi incompleti, insufficienti ad innescare in toto la rete semantica, ma capaci di attivarla parzialmente, così da renderla disponibile per compiti che si svolgono automaticamente. Specificità del deficit per le facce. Damasio considera la prosopoagnosia un disturbo mnestico, riconduce questa ad una compromissione di una funzione più generale, identificata nella capacità di riconoscere un individuo entro una categoria. Egli sottolinea che, mentre l’agnosia visiva viene esaminata chiedendo al pz. di riconoscere la categoria a cui appartiene uno stimolo, la domanda che viene posta al prosopoagnosico non è di riconoscere se una faccia è una faccia, ma se quella particolare faccia è già stata incontrata o meno. Questa distinzione tra conoscenza di categorie e di singole entità ricorda quella fatta da Tulving tra memoria semantica e memoria episodica, e la loro dissociazione nell’amnesia globale. Per attribuire il disturbo amnesico dei prosopoagnosici all’incapacità di cogliere un’individualità all’interno di una categoria occorre dimostrare: • Che non vi siano deficit percettivi; • Che il pz cade sempre quando deve trovare un oggetto familiare tra oggetti della stessa categoria. Il fatto che nei prosopagnosici il deficit sia limitato alle facce è a favore dell’ipotesi che vi sia un deposito mnestico indipendente per i volti umani. L’ipotesi che i prosopagnosici abbiano un deficit elettivo per le facce ha trovato conferma in un ampia prova di riconoscimento di stimoli già mostrati rispetto a stimoli nuovi, a seconda se essi erano facce o oggetti simili tra loro. Secondo Farah la percezione delle facce si fonda prevalentemente su di una rappresentazione globale, all’opposto di quanto accade per le parole che vengono scomposte nei loro elementi costitutivi. Gli oggetti a loro volta dipenderebbero dalla loro struttura o da una percezione globale o da un’analisi delle parti. Alcune cellule sono sensibili a certe parti del volto, e un 10% all’identità personale, reagendo in modo selettivo ad alcuni volti noti piuttosto che ad altri. È possibile che le cellule infero-temporali e quelle del solco temporale superiore siano dotate di funzioni diverse. Le prime sarebbero impegnate nella identificazione del singolo individuo; le seconde sarebbero sensibili alle espressioni emozionali delle facce e alla direzione in cui è rivolto lo sguardo. Entrambe queste funzioni sono compromesse quando l’amigdala è lesionata. La diversa specializzazione funzionale delle strutture temporali nell’analisi dei volti e delle emozioni trova riscontro nelle dissociazioni dimostrate nella patologia. La grande maggioranza dei prosopagnosici non ha difficoltà a riconoscere le emozioni. Anatomia patologica. Considerata anche la preminenza dei deficit di percezione delle facce nelle lesioni posteriori dell’emisfero dx e la superiorità mostrata dai soggetti normali nell’identificare facce proiettate nell’emicampo sx, una conclusione equilibrata sulla partecipazione dei 2 emisferi all’elaborazione di questo tipo di informazioni sembra essere la seguente: il ruolo delle aree occipito-temporali dx è più marcato, ma esse possono nella maggioranza dei casi essere compensate da quelle sx. Il grado di specializzazione emisferica è però variabile da individuo ad individuo e in una minoranza può divenire assoluto, dando luogo ad una prosopoagnosia da sola lesione dx. La lesione critica interessa l’area occipito-temporale mediale ed interrompe le connessioni tra l’area visiva e le regioni temporali mediali coinvolte nei circuiti mnestici. La regione occipitale sottocalcarina si connette con il lobo temporale attraverso il fascicolo longitudinale inferiore, la cui interruzione crea una disconnessione percettivo-mnestica, impedendo l’innesco dei meccanismi di rievocazione da parte dell’input visivo. Nelle forme percettive è inverosimile che sia il danno bilaterale della corteccia occipitale a provocare i difetti di discriminazione. Il ruolo dell’amigdala nell’elaborazione delle informazioni trasmesse dalle facce appare marginale per quanto riguarda l’identificazione, ma cruciale per l’identificazione dell’espressione emotiva. Disturbi del riconoscimento dei colori. Sia a livello retinico che a livello corticale i colori sono analizzati da strutture indipendenti da quelle impegnate per la forma. Le lesioni cerebrali possono compromettere il riconoscimento dei colori in modo selettivo, dando luogo a disturbi percettivi e a disturbi associativi di due tipi: incapacità a denominare i colori e incapacità a rappresentarsi il colore delle cose. Acromatopsia. Le lesioni cerebrali possono compromettere la sensibilità ai colori senza deficit di altri aspetti della percezione visiva. Nelle forme più gravi il pz. lamenta di essere incapace di vedere i colori e che il mondo appare in bianco e nero. In casi meno gravi i colori appaiono slavati oppure l’ambiente sembra visto attraverso un filtro. Questi soggetti hanno un deficit parziale del campo visivo, corrispondenti spesso ad una quadrantopsia bilaterale superiore, indicativa di una lesione delle aree sottocalcarine della corteccia occipitale. Sono state trovate lesioni del giro fusiforme o del giro linguale o comunque sempre della giunzione tra i 2 giri. Nel caso di una lesione occipitale unilaterale che non determini emianopsia, si può riscontrare emi-acromatopsia contro laterale con caratteristiche analoghe a quelle descritte per le forme globali. Discromatopsia da lesione unilaterale non occipitale. La superiorità dell’emisfero dx nella discriminazione cromatica trova conferma nella maggiore accuratezza con cui i soggetti normali riconoscono i colori proiettati nell’emicampo sx rispetto al dx. Disturbi associativi dei colori. Questi disturbi sono stati variamente designati con i termini di anomia, afasia, amnesia o agnosia per i colori, a seconda dell’interpretazione. In comune c’è l’incapacità di denominare i colori, nonostante le prove di senso cromatico mostrino che essi sono ben percepiti. All’interno di questo gruppo vanno distinti i soggetti che falliscono solo nelle prove di denominazione da quelli che mostrano un più esteso deficit della conoscenza dei colori. Per le prove di denominazione ed indicazione sono sufficienti 10 esemplari dei colori più comuni. le prove associative verbali richiedono di trovare il colore giusto ad una figura. Una prova sicuramente solo verbale è quella in cui si richiede un associazione oggetto-colore avente un significato metaforico, privo di un correlato visivo. Sulla base dei risultati a queste prove i pz possono essere suddivisi in 2 categorie, caratterizzati da disconnessione visuo- verbale e da amnesia per i colori: • Disconnessione visuo-verbale: ogni volta che il pz deve associare uno stimolo colorato con il suo nome, ovvero confrontare i dati dell’emisfero dx con i dati dell’emisfero sx, ne è impedito dalla disconnessione delle vie di collegamento interemisferiche, prodotta dalla lesione allo splenio o dei fasci che da esso proseguono nella sostanza bianca. Ne risultano compromesse la denominazione dei colori e la loro indicazione su richiesta verbale, mentre sono indenni tutte le prove di associazione colore-stimolo che possono essere condotte all’interno della modalità verbale o della modalità visiva. La denominazione è in genere più compromessa dell’indicazione, che risulta normale in qualche pz. Vale anche qui l’ipotesi già avanzata per l’afasia ottica, che la codificazione del nome del colore possa essere effettuata dall’emisfero dx, che ha capacità di comprensione verbale anche nei destrimani. • Amnesia per i colori: in questo caso si deve pensare ad una compromissione di quell’aspetto della memoria semantica che è indicata a conservare il ricordo del colore delle cose. Il disturbo fondamentale consiste nell’incapacità di evocare associazioni ben consolidate e di formarne di nuove, quando è coinvolto il colore. Il comportamento dei pz di fronte agli errori è variabile: qualcuno non si accorge degli errori, altri invece cercano di correggersi o usano circonlocuzioni. Deficit della conoscenza dei colori associati all’afasia: c’è una forte caduta degli afasici in un compito non verbale, quale colorare oggetti che hanno un colore tipico. Attribuire semplicemente questi errori ai difetti linguistici degli afasici non è sostenibile. Il deficit sembra rappresentare uno dei tanti esempi del difficoltoso accesso al patrimonio semantico, che contiene le conoscenze non verbali del mondo. CAP 18: LA NEUROPSICOLOGIA DELLA MUSICA. Introduzione. La musica è l’arte di combinare più suoni in base a regole definite, diverse a seconda dei luoghi e delle epoche. Il rapporto tra cervello e quegli aspetti della musica che fanno parte dell’uomo è un rapporto diretto, invece gli aspetti che sono culturalmente determinati hanno un rapporto cerebrale diretto che passa attraverso capacità cognitive sottostanti agli aspetti della musica che non fanno parte del patrimonio universale dell’uomo. Gli psicologi della musica hanno cercato di distinguere le categorie musicali innate (componenti basilari molto delimitate come ad esempio gli intervalli) da quelle culturalmente determinate (ciò che comunemente si chiama musica con una melodia ed un ritmo). Il primo problema da risolvere è quello di stabilire se la capacità musicale è modulare (funzionalmente indipendente da altre capacità cognitive). Dati i rapporti il cervello e musica sovraelencati si ritiene che essa sia il risultato di capacità cognitive più generali: non sono state trovate aree cerebrali dedicate esclusivamente alla musica. Soggetti normali. La maggior parte degli esperimenti condotti per studiare la specializzazione emisferica per la musica con soggetti normali ha usato la tecnica dell’ascolto dicotico riscontrando una chiara dominanza dell’emisfero DX per il riconoscimento delle melodie. Tale dominanza dell’emisfero DX per la musica non è così netta perché può essere influenzata dalla natura dello stimolo, dalle richieste specifiche del compito e dal livello di cultura musicale del soggetto. Soggetti cerebrolesi. Milner (1962) sottopose ad alcuni compiti musicali pazienti prima e dopo la lobectomia notando che i pazienti con lobectomia DX (ma non SX) mostrarono un netto peggioramento delle loro prestazioni in un compito di riconoscimento di melodie. Da questi studi su soggetti con lesioni localizzate nei lobi temporali si può concludere per una certa maggior specializzazione del lobo temporale DX nell’elaborazione di alcuni Dominanza emisferica nel mancino. Anche nel soggetto mancino l’aprassia consegue a lesione nell’emisfero dominante per la preferenza manuale, indipendentemente che esso sia o no dominante anche per il linguaggio. Queste eccezioni, unite a quelle precedenti nei soggetti destrimani che divengono aprassici per lesione destra, contraddicono l’ipotesi di Geschwind che vede la dominanza prassica come espressione dello stesso meccanismo che sottende alla dominanza manuale. Aprassia ideomotoria e afasia È evidente l’analogia che la dominanza emisferica per la prassia ha con quella del linguaggio, ed in effetti lesioni dello stesso emisfero compromettono di regola entrambe le funzioni. La sistematica concomitanza di afasia e aprassia ha suggerito ad alcuni autori che ambedue siano espressione di un unico difetto, identificato, di volta in volta, come incapacità di astrazione, di concettualizzazione o di uso di simboli a scopo comunicativo. Questa concezione globalistica urta contro il successivo sviluppo degli studi neuropsicologici. Nel caso dell’aprassia, essa può conservare qualche valore euristico per l’AI, non per l’AIM, dove il pz. fallisce nell’eseguire gesti privi di significato, non meno che quelli simbolici o operativi e cade anche quando deve semplicemente imitare il gesto. Il fatto inoltre che l’aprassia possa investire determinati distretti somatici, risparmiandone altri, appare inconciliabile con un difetto di ordine concettuale. In ogni caso il difetto motorio alla base di aprassia e afasia consisterebbe nell’incapacità di scegliere ed attivare opportunamente gli ECI per la produzione del gesto dei fonemi. È dubbio che queste analogie siano adeguate a rendere ragione della complessità e del polimorfismo della sintomatologia afasica e non sono certamente adeguate a spiegare parafasie semantiche. Un’altra ipotesi che cerca di individuare una base comune ad afasie e aprassia è quella del deficit sequenziale. L’abilità di comporre sequenze motorie secondo un ordine sarebbe essenziale sia nella gestualità che nel linguaggio, e costituirebbe una prerogativa dell’emisfero dominante. Questa ipotesi appare in contrasto con i riscontri empirici. Il difetto palesato dal cerebroleso sx, più che in una difficoltà nell’organizzazione dei movimenti in sequenza, sembra consistere nell’incapacità a scegliere il movimento opportuno e di attuarlo. È stato osservato che gli aprassici eseguono sequenze motorie eterogenee, commettendo più errori e con i tempi di movimento più lunghi rispetto ai cerebrolesi sx non aprassici, ma la differenza è significativa solo per sequenze di almeno 4/5 posizioni, che debbono essere prima analizzate e raggruppate. In questi tipi di compiti il deficit specifico degli aprassici consisterebbe in una cattiva organizzazione temporale del movimento. Alle teorie unitarie sui rapporti tra aprassia e afasia si contrappone la posizione dualistica, che considera i due deficit come alterazione di funzioni specifiche distinte, che sono frequentemente compromesse assieme perché dipendono entrambe dall’integrità delle aree silviane adiacenti all’emisfero dominante. La loro dissociazione è stata riscontrata in casi singoli che presentano afasia senza presenza di aprassia. Sembra legittimo concludere che il linguaggio e gesto sono funzioni distinte dall’emisfero dominante, e che la frequenza con cui entrambe sono contemporaneamente compromesse, vada attribuita alla contiguità dei substrati anatomici. Localizzazione dell’aprassia ideomotoria. Lesioni parietali e frontali. La maggiore importanza delle lesioni parietali rispetto a quelle frontali non si concilia facilmente con lo schema di Liepmann e Geschwind, secondo i quali l’AIM parietale conseguirebbe ad interruzione dei fasci di fibre che dalle aree sensoriali si dirigono in avanti per raggiungere l’APL (periventricolare laterale). È stata proposta una modificazione di questo schema in 3 linee: 1) La corteccia parietale e non solo la sostanza bianca sottostante è coinvolta nella regolazione prassica. 2) su essa convergono le vie temporali, parietali ed occipitali, che trasmettono l’ordine di eseguire il gesto, a seconda che esso sia verbale, tattile o visivo-cinestetico. 3) il controllo parietale sull’APL di dx non passa necessariamente per l’APL di sx, ma si esercita anche attraverso altre vie. Il primo assunto implica l’esistenza di un centro prassico nel lobulo parietale inferiore di sx, che provvede all’elaborazione del progetto di azione e al controllo della sua esecuzione, specificando quali ECI vadano scelti e come debbano attivarsi spazio-temporalmente. Il secondo assunto, ovvero l’attivazione del centro parietale da parte di canali sensoriali indipendenti, spiega perchè l’aprassia possa essere legata alla modalità attraverso cui il gesto è richiesto. Lo stesso pz. che è in grado di utilizzare info somestetiche, fallisce quando deve basarsi su quelle visive o viceversa. Il terzo assunto prevede la presenza di vie alternative che dalla corteccia parietale attraversino direttamente il corpo calloso per raggiungere l’emisfero dx. esso spiega perché l’AIM da lesione frontale sia poco frequente e meno grave, ma non è privo a sua volta di difficoltà. L’anatomia prevede infatti che solo lesioni omologhe, cioè col lobulo parietale inferiore dx, ma in tal caso le lesioni parietali dx dovrebbero produrre aprassia della mano sx, il che non succede. Tuttavia è possibile che il lobo parietale sx abbia a disposizione più vie alternative: con l’APL sx, con il lobo parietale dx, con i nuclei della base e il talamo. Area motoria supplementare. L’AMS sembra estranea all’AIM Corpo calloso. La lesione del corpo calloso produce aprassia, più precisamente il tronco calloso che connette le aree motorie supplementari, i lobuli parietali superiore ed inferiori e anche l’area motoria e somatosensoriale primarie, con l’esclusione dei distretti in cui sono rappresentate le estremità degli arti. L’aprassia callosa ha per lo più caratteristiche sia ideatorie che ideomotorie: il pz. fallisce non solo quando deve ideare o evocare il gesto, ma anche quando deve semplicemente imitarlo, sebbene il difetto sia più frequente e grave nella prima condizione. Strutture sottocorticali. I nuclei più anteriori del talamo, nucleo lenticolare e il putamen posteriore sembrano essere le strutture sottocorticali maggiormente coinvolte nell’aprassia. Dissociazione automatico/volontaria. Esistono movimenti chiamati “balistici”, la cui metrica è completamente definita prima della loro attuazione. Il loro prototipo è costituito dalla proiezione dell’arto su una mira presentata nel campo visivo. Essi presuppongono l’esistenza di un programma motorio, completamente strutturato prima della sua attivazione, evocabili solo globalmente, non modificabile durante la sua esecuzione ne ad opera di nuove esigenze interiori nè per il sopraggiungere di eventuali informazioni ambientali. Il programma motorio non necessariamente è legato ai muscoli che sono abitualmente chiamati ad attuarlo, ma è estensibile a tutti i distretti somatici che possiedono gruppi muscolari capaci di interagire secondo regole definite nel programma. Altri movimenti, invece non possono essere completamente programmati nei loro parametri prima dell’attuazione, perché nel corso dello svolgimento richiedono aggiustamenti dettati dalle circostanze. Per loro è giocoforza ipotizzare l’intervento di una funzione diversa dalla programmazione, che è stata espressa nel concetto di piano motorio. Il piano motorio è visto come una struttura sovraordinata al programma motorio. Esso è costituito da un complesso organizzato di comando deputati ad attivare i programmi già disponibili in funzione del contesto, e può venire interrotto, ampliato, o modificato, a seconda delle mutate esigenze interne e dalle sopravvenute info ambientali. L’importanza relativa dei due tipi di attività motoria varia molto a seconda della situazione in cui il soggetto si trova ad operare, anche se nella realtà la maggior parte delle operazioni risulta dalla combinazione di movimenti programmati e pianificati. Goldberg parla di “comportamenti predittivi” quando prevalgono i movimenti e i gesti preprogrammati e di “comportamenti responsivi” quando in situazioni abituali il comportamento è guidato dal progetto motorio. In questo contesto l’aprassia appare come alterazione del comportamento responsivo nella scelta del movimento. Il comportamento responsivo è tipicamente adottato durante l’apprendimento motorio e gestuale e rimane una risorsa indispensabile fintanto che il piano motorio o il progetto d’azione non siano stati automatizzati divenendo programma o complesso stabile. Flusso cerebrale distrettuale. Le misurazioni del flusso cerebrale distrettuale durante la progettazione e l’attuazione del gesto indicano anche esse che le aree corticali impegnate sono diverse a seconda che il gesto sia auto o etero diretto, cioè sia guidato solo dalla propriocezione oppure anche dall’esterocezione. Quando il movimento avviene senza possibilità di alternative, cioè non richiede nè progettazione nè attivazione di programmi preconfigurati, come nel caso della concentrazione isometrica, o ripetitiva, il flusso aumenta solo sull’area motoria controlaterale nel primo caso e sull’area sensitivo-motoria contro laterale nel secondo, sempre in corrispondenza del distretto nel quale è rappresentato l’arto attivo. Per contro, il flusso aumenta anche nell’AMS quando viene eseguita una sequenza motoria già appresa ed automatizzata, ma di complessità tale che ogni movimento richiede scelta preventiva fra altri possibili. La scelta del movimento da compiere è in questo caso eseguibile solo rispettando un programma prefissato nella successione di elementi. È appunto nell’attivazione di un programma motorio già interiorizzato che l’AMS appare specificamente impegnata, e infatti, il flusso vi aumenta anche quando il soggetto si limita ad immaginare il gesto. Inoltre durante l’esecuzione di gesti automatizzati aumenta il flusso anche nel putamen, nella testa del nucleo caudato, nel pallido e nella regione talamo-subtalamica, in accordo con il fatto che il sistema mediale coinvolge i nuclei della base e parte del talamo. Diversa appare la distribuzione delle aree attive quando i movimenti non possono essere attuati secondo una regola già automatizzata. Sono tutte attività che coinvolgono, in aggiunta all’AMS, anche le aree parietali posteriori e l’APL. La loro attività è presente anche se il movimento è solo immaginato. Il sistema laterale appare così coinvolto specificamente nelle condizioni in cui il programma motorio automatizzato non è più sufficiente, ed il movimento esige progettazione ex novo e controllo durante la sua attuazione. Clinica del sistema mediale. Fra i disturbi più tipici sono da ricordare la prensione forzata e l’acinestesia e bradicinestesia agli arti e al volto contro laterale, come se le reazioni motorie elementari non potessero più essere eseguite automaticamente. Un sintomo per alcuni aspetti confondibile con l’aprassia è costituito dalla “mano aliena”, in cui il pz. avverte come appartenente ad altri una delle proprie mani. È stata descritta in seguito a lesioni diverse: processi interessanti il corpo calloso, come espressione di espressione delle abilità costruttive può essere considerato piuttosto come un compito complesso, in cui le competenze semantico lessicali e le abilità immaginative giocano un ruolo importante. Queste considerazioni non valgono per il disegno su copia, il quale valuta più direttamente le abilità di riprodurre una figura. Appare quindi evidente che la diagnosi di AC deve fondarsi su prove di copia di disegni o di costruzione che contengano stimoli di complessità crescente che non richiedano notevoli risorse di intelligenza generale e che siano state tarate su un ampio campione. Studi clinici sperimentali In primo luogo, esistono dati discordanti circa l’incidenza dell’aprassia costruttiva nelle lesioni dx e sx. Il lavoro originale di Kleist metteva l’AC in relazione con lesioni parietali dell’emisfero dominante, ma nei primi studi su ampie casistiche di pz con lesioni focali l’AC appariva significativamente meno frequente e meno grave dopo lesioni sx, suggerendo quindi che l’emisfero dx fosse dominante per le abilità prassico-costruttive. Successivi lavori però attribuivano la maggiore incidenza nei cerebrolesi dx alla maggiore gravità della lesione in questi pz ed agli errori di eminattenzione più frequenti in questo gruppo. Gli studi più recenti dimostrano una simile prevalenza di AC dopo lesione dei 2 emisferi, per cui ha perso credito l’ipotesi secondo la quale l’emisfero dx fosse dominante per le abilità costruttive e visuo-spaziali, mentre si è rafforzata l’idea che meccanismi diversi possano dare luogo all’AC nei pz con lesioni dx e sx. in altri termini, si è ipotizzato che i disturbi costruttivi dei 2 gruppi di cerebrolesi possano differire qualitativamente. Alcuni studi autorevoli sembrarono confermare che i pz affetti da lesioni sx presentassero uno specifico disturbo di esecuzione o di programmazione motoria. L’esistenza di un disturbo visuo-percettivo specifico degli aprassici è stato confermato da alcuni autori, ma gran parte degli studi ha rilevato un disturbo visuo-spaziale paragonabile in pz dx e sx. Data l’alternanza di dati a favore e contro la dicotomia tra AC da lesione dx e da lesione sx, è possibile mantenere questa ipotesi solo in una sua versione “debole”: il deficit di analisi visuo-spaziale potrebbe essere preponderante nei cerebrolesi dx, mentre nei cerebrolesi sx i disordini visuo- costruttivi potrebbero avere una genesi complessa ed essere causati da disordini della programmazione dei movimenti, ma anche da deficit intellettivi o da disturbi dell’analisi spaziale. Gli autori concludono che il disturbo fondamentale nei cerebrolesi dx possa consistere in alterazioni della capacità di eseguire manipolazioni spaziali, più che in un difetto della percezione visuo-spaziale in se, mentre nei cerebrolesi sx giocherebbero un ruolo cruciale i disturbi del livello motorio elementare. Per quanto riguarda la localizzazione intraemisferica, si ritiene generalmente che l’AC sia più frequente in soggetti con lesioni posteriori parieto-occipitali, benché essa possa essere osservata anche in pz con lesioni frontali. Anche in questo caso è stato ipotizzato che lesioni con diversa localizzazione possano indurre disordini costruttivi qualitativamente diversi. È stato proposto che l’AC in pz con lesioni posteriori fosse dovuta ad un difetto di analisi delle relazioni spaziali, mentre un difetto della programmazione dei movimenti fosse responsabile dell’AC in caso di lesioni frontali. Recenti dati non sembrano confermare il ruolo cruciale della localizzazione intraemisferica della lesione nel determinare le caratteristiche dell’AC. A questo proposito sono stati osservati una serie di pz con danni focali all’emisfero di dx, che il disturbo costruttivo sarebbe di regola associato all’eminattenzione in caso di lesioni posteriori, mentre lesioni sottocorticali anteriori dell’emisfero dx possono determinare un disturbo del disegno indipendente dall’eminattenzione. È possibile ritenere che l’osservazione delle procedure di copia riveli il disordine costruttivo di un certo pz, meglio e più specificamente del solo risultato finale. È stato osservato che i cerebrolesi dx ed i sx non afasici tendono ad usare una strategia globale, simili a quella adottata dai soggetti normali. I cerebrolesi sx afasici invece utilizzerebbero una strategia analitica perché incapaci di programmare adeguatamente il disegno e sarebbero costretti a copiare i disegni pezzo per pezzo. Successivamente è stato dimostrato che solo i soggetti normali mettono in atto una strategia globale , mentre i cerebrolesi focali con lesioni dx o sx frammentano il compito in passi successivi. Quindi l’alterazione delle strategie di disegno non sembra sufficiente ad indurre l’AC con altri deficit cognitivi a determinare il quadro clinico di AC. Si è già detto come un deterioramento intellettivo generale sia stato chiamato in causa nella genesi del disordine costruttivo in gruppi di pz con lesioni cerebrali focali, perché spesso i pz aprassici mostrano abilità intellettive inferiori a quelle di pz con lesioni focali non affetti da aprassia. Va aggiunto che in alcuni studi si è osservato come la presenza di AC possa rappresentare un indice di deterioramento cognitivo diffuso, specialmente in soggetti con lesioni sx. Un particolare comportamento costruttivo, osservabile in pz con Alzheimer e sindrome demenziale consiste nella tendenza ad addossare la copia al modello, oppure passare la matita sulle linee del modello, producendo talvolta uno scarabocchio (closing in). Il disegno. Un certo consenso esiste nel ritenere che l’incidenza di AC è simile nei cerebrolesi dx e sx e che altri disturbi cognitivi possono interferire nell’esecuzione di compiti costruttivi. Lo studio dell’AC si è sempre più diretto allo studio dei processi di disegno. In questo modo si è quasi giunti a considerare i disturbi del disegno come disturbi costruttivi per antonomasia. • Un primo modello cognitivo del disegno è stato proposto da Roncato. È stato ipotizzato che la copia di un disegno procede attraverso 4 fasi fondamentali: le prime sono preparatorie (esplorazione del modello e preparazione del progetto del disegno) le altre due sono di esecuzione e controllo. Queste operazioni sono ordinate gerarchicamente ed ogni fase sarebbe a sua volta costituita da una serie di tappe. La fase preparatoria consisterebbe nell’elaborazione di una rappresentazione proposizionale del modello da copiare, che guidi la riproduzione, specificando la forma globale del modello. La preparazione del piano di disegno implicherebbe anche decisioni circa la scala ed il posizionamento della riproduzione. La fase esecutiva partirebbe con la scelta della prima forma da disegnare, procedendo poi sulla scorta del piano di disegno; i processi di controllo eseguirebbero un confronto tra la riproduzione ed il modello, in modo da proseguire la copia fino al termine o da correggerla se necessario. • Un altro modello cognitivo considera la rappresentazione interna di un percetto o in immagine mentale come punto di partenza della realizzazione grafica. Il momento chiave nella programmazione del disegno sarebbe nello stadio della “scelta disegno” quando il soggetto decide come disegnare l’oggetto rappresentato nel sistema di memoria visiva a breve termine; nella fase di “scelta di disegno” vengono decisi il tipo di disegno, la bi- o la tridimensionalità, l’orientamento, il livello di dettaglio, ecc. per queste decisioni la realizzazione grafica viene pianificata. Uno dei punti più interessanti di questo modello sono le connessioni con il sistema immaginativo ed il sistema semantico. Alcune forme di aprassia possono essere limitate al disegno spontaneo e dipendere da alterazioni delle immagini mentali o da specifici difetti nei processi di “scelta del disegno”. • Un ultimo modello distingue 4 fasi successive nella copia del disegno: l’analisi preliminare, l’elaborazione centrale, l’esecuzione ed il controllo. L’analisi preliminare consisterebbe nella ricerca di ipotesi interpretative dello stimolo: da un lato il soggetto cerca di individuare nel disegno strutture figurative già disegnate in passato; dall’altro egli analizza i rapporti spaziali esistenti tra gli elementi figurativi della figura e quelli tra la figura ed il foglio su cui si disegna. In questa fase di analisi preliminare si verifica un’interazione con i sistemi di MLT, perché il soggetto attiva le proprie conoscenze visive, spaziali e costruttive, in maniera da interpretare operativamente il disegno-stimolo. Gli elementi ottenuti dall’analisi preliminare vengono poi elaborati per organizzare il piano costruttivo, frutto dell’elaborazione centrale, è il prodotto finale di una serie di scelte procedurali in cui si decide la struttura da disegnare per prima, il punto di partenza, l’ordine di disegno dei successivi elementi, eccetera. Il piano costruttivo viene conservato in un sistema di MBT per il tempo necessario alla sua traduzione sulla carta attraverso l’attivazione di programmi motori. Sono postulate due procedure opposte: Lessicale, si avvale dell’attivazione di schemi costruttivi o visivi già conosciuti. Linea per linea: si fonda sull’analisi spaziale, non usando rappresentazioni costruttive. Nella copia di un disegno complesso vengono adottate entrambe le procedure, ma alcuni pz potrebbero essere costretti ad usarne solo una. Nessuno di questi modelli può attualmente riscuotere un consenso generale. Capitolo 21: I DISTURBI SPAZIALI E VISUO- IMMAGINATIVI. Col termine percezione spaziale, si intende l'analisi delle relazioni spaziali tra stimolo e osservatore e le relazioni reciproche tra vari stimoli: queste possono essere ottenute tramite differenti modalità sensoriali. Alcune abilità spaziali possono essere selettivamente compromesse. Comunque sono implicate nella percezione spaziale: la percezione visiva (per la localizzazione degli stimoli, percezione di orientamento di linee, percezione della distanza); la percezione tattile (è stata riscontrata in alcuni pazienti, con danno all'emisfero dx, 1 relazione tra deficit visuo- spaziali e prestazioni deficitarie ai test che implicano l'analisi di informazioni spaziali attraverso il tatto); la percezione uditiva (ci consente di localizzare 1 suono). ATASSIA OTTICA O VISUO-MOTORIA. L'atassia ottica consiste nell'imprecisione dei movimenti dell’arto superiore verso un obiettivo posto nel campo visivo, in assenza di un deficit sensitivo o motorio capace di spiegare il sintomo. Nei casi più gravi il disturbo è presente anche quando il paziente fissa l’oggetto che deve raggiungere, nei casi meno gravi il sintomo è evidente solo quando l’oggetto è nella periferia del campo visivo. Per Rondot et al. si parla di atassia visuo-motoria unilaterale quando il disturbo è localizzato ad un solo emicampo visivo. Nell’atassia visuo-motoria bilaterale il deficit interessa invece l’intero campo visivo. In entrambi i casi il disturbo può colpire una sola o entrambe le mani: nel caso riguardi la mano omolaterale all’emicampo esaminato si parla di atassia diretta, quando è interessata la mano contro laterale all’emicampo esaminato si parla di atassia crociata. Nel caso della unilaterale diretta sarebbero interrotte le connessioni occipito-frontali dell' emisfero controlaterale; nel caso della unilaterale crociata, il danno sarebbe alle fibre occipito-frontali crociate; nel caso della bilaterale crociata, il problema sarebbe a livello di entrambe le vie occipito-frontali (a livello del corpo calloso). Accettare oggi una teoria “disconnessionistica” è difficile: non si conosce ancora bene l'esatto decorso delle fibre occipito-frontali e la lesione di quale dei 3 fasci o-f (oggi noti) causarebbe atassia ottica. Ciò che si sa con maggiore precisione oggi è che la corteccia parietale posteriore sarebbe implicata nell'atassia ottica: si sa infatti che il solco inter-parietale e il lobulo parietale posteriore sono implicati nel movimento univoca e convincente di questo fenomeno sembra richiedere alcuni studi, mentre, da un punto di vista strettamente clinico è importante saper riconoscere il sintomo per distinguerlo dalla vera amnesia topografica. Comunque, come osservato da recenti studi, sembrerebbe che il disturbo sussegua a lesioni al lobo frontale dx o all’emisfero dx, anche se secondo altri non c’è una sede precisa. L'IMMAGINAZIONE VISUO-SPAZIALE. Le basi neurali dell’immaginazione. Con le tecniche “neuroimaging funzionale” è stato dimostrato che durante le attività immaginative si attivano quelle stesse aree coinvolte nei processi percettivi. I deficit di immaginazione, infatti, spesso si accompagnano a deficit dei corrispondenti processi percettivi (percezione colori, NSU). Alcuni casi clinici hanno consentito di esplorare la distinzione tra i “due sistemi visivi” nell’immaginazione mentale: è infatti possibile osservare deficit di immaginazione per le caratteristiche visuo-spaziali degli oggetti e deficit di immaginazione per le caratteristiche strutturali. La generazione delle immagini mentali. Solitamente i disturbi di immaginazione si associano a corrispondenti disturbi dei processi percettivi. Ma alcuni pz agnosici possono attivare le rappresentazioni interne degli oggetti senza poterle usare per riconoscerli mentre in altri pazienti si riscontra la dissociazione opposta. I pz con deficit di generazione delle immagini mentali hanno per lo più lesioni della regione parieto occipito- temporale sx . Si può dunque concludere che il processo di generazione delle immagini mentali è dissociabile dalle altre forme di rievocazione e che la regione occipito-temporale sx giochi un ruolo importante, forse perché responsabile della riaggregazione di parti di immagini immagazzinate altrove. La trasformazione delle immagini mentali è diversa dall’abilità di generarle. Vi sono pazienti che non le sanno generare ma le sanno manipolare, ruotare ecc...; altri il contrario. Sono stati, così, condotti studi atti ad indagare le basi neurali della rotazione mentale ed è stata rilevata un’attivazione selettiva bilaterale dell'area 8, del precuneo, del solco occipitale laterale e nelle aree che nella scimmia (MT-V5) sono responsabili della percezione del movimento. 1) Atassia ottica o visuo-motoria o MISREACHING. Si allude al deficit consistente in una spiccata imprecisione dei movimenti dell’arto superiore verso un bersaglio posto nel campo visivo, in assenza di un deficit sensitivo o motorio capace di spiegare il sintomo. Il paziente nel tentativo di raggiungere l’obiettivo, compie movimenti che denotano una sopravvalutazione o sottovalutazione della distanza dell’oggetto. Nei casi più gravi il disturbo è presente anche quando il paziente fissa l’oggetto da raggiungere, nei casi più lievi il sintomo è evidente solo quando l’oggetto è posto nella periferia del campo visivo, oppure quando viene impedita la vista dell’arto che si avvicina alla mira. Dovrebbe essere analizzata non solo la componente prossimale del movimento, che si manifesta nella precisione della direzione del movimento, ma anche la componente distale del movimento e cioè la tendenza della mano ad assumere in anticipo una conformazione adatta all’oggetto che deve afferrare. Un’ipotesi alternativa a quella disconnessionistica è che l’atassia ottica sia da ricondurre al danno di aree corticali deputate al controllo delle coordinate spaziali dei movimenti diretti verso l’ambiente circostante e che possa essere interpretata come il risultato di uno spostamento verso una nuova posizione delle coordinate egocentriche. Con questo termine si intende sia la rappresentazione del bersaglio rispetto al corpo, sia la rappresentazione della posizione delle parti del corpo rispetto all’egocentro. Questo termine si contrappone a quello di coordinate allocentriche, con il quale si intende la posizione del bersaglio sulla mappa retinotopica. L’atassia ottica è in effetti la dimostrazione diretta che i due sistemi di coordinate sono indipendenti, poiché questi pazienti falliscono nel localizzare un oggetto rispetto al loro corpo, ma non mostrano solitamente difficoltà nel localizzare gli oggetti uno rispetto all’altro. CAP 22 NEGLIGENZA SPAZIALE UNILATERALE Manifestazioni cliniche. Nei casi più gravi, la presenza di NSU è rilevabile dalla semplice osservazione del comportamento del pz. Nella fase acuta, quella immediatamente successiva all’insorgere della lesione cerebrale, si può notare una deviazione più o meno completa degli occhi e del capo verso il lato della lesione. Se l’esaminatore gli parla, il pz si gira dall’altra parte per rispondere. Anche se all’esame neurologico non risulta emiplegico o gravemente paretico, il pz tende a non usare gli arti di sx. Se il pz è in grado di sedere e svolgere autonomamente attività elementari quali alimentarsi o accudire alla propria persona e al proprio abbigliamento, egli sembra non percepire nè esplorare tutto ciò che si trova sul lato sx del proprio corpo o dell’ambiente, lato verso il quale non rivolge alcuna attenzione o attività. Pur in assenza di una autentica aprassia dell’abbigliamento, egli dimentica di infilarsi una manica o una scarpa. Il pz grave si comporta come se non fosse più in grado di percepire e concepire l’esistenza del lato sx dello spazio egocentrico, corporeo ed extracorporeo. Tra le prove più semplici, quelle consistenti nel marcare con una matita dei tratti posti sul foglio, o nella raccolta di monete disposte davanti al pz, possono rivelare omissioni o latenze abnormi nel lato compromesso dello spazio. Nella lettura di parole o titoli di giornali la NSU si manifesta come amputazione del segmento sx dello scritto e spesso nel caso di lettura di parole, come completamento patologico: il pz sostituisce al segmento omesso un segmento inventato che da tuttavia luogo a una parola realmente esistente. Invitato a indicare il punto centrale di una linea orizzontale, il pz lo pone spostato verso dx. nel disegno di una figura elementare come una margherita o un orologio, vengono omesse le parti del lato sx. È molto importante non dimenticare che nei pz affetti da NSU si possono manifestare dissociazioni cospicue e difficilmente spiegabili. Un pz può invariabilmente leggere solo le ultime lettere di parole che gli vengono presentate, anche se il foglio sul quale sono scritte gli viene posto alla sua dx, mentre non compie alcun errore in una prova di indicazione di bersagli sul foglio delle stesse dimensioni. Un altro pz può comportarsi in modo esattamente opposto. Manifestazioni di NSU possono essere presenti indipendentemente dal controllo visivo. Per quanto riguarda lo spazio corporeo, esse possono essere rivelate semplicemente chiedendo al pz di toccare la propria mano sx con la dx ad occhi chiusi. Per quanto riguarda la sfera extracorporea, si può ricorrere alla ricerca cieca di oggetti sparsi sulla superficie di un tavolo o nella ricerca di una biglia in un labirinto tattile. Nella modalità uditiva, un fenomeno verosimilmente appartenente alla sintomatologia della NSU è la dislocazione verso dx di uno stimolo acustico dicotico. È possibile che dissociazioni di comportamento compaiono anche in prove interessanti differenti modalità sensoriali. Perciò è indispensabile non limitarsi mai ad una sola prova per la diagnosi di NSU ma impiegare una batteria che comprenda diverse prove. È anche utile ripetere le prove, in quanto sono state osservate cospicue variazioni di prestazioni da un istante ad un altro. Fenomeni connessi alla NSU. Molto comune è il fenomeno di estinzione in condizione di doppia stimolazione sensoriale simultanea: uno stimolo interessante una qualsiasi modalità sensoriale nel lato opposto a quello in cui ha sede la lesione può determinare una risposta del pz quando viene somministrato isolatamente, ma non quando viene applicato contemporaneamente ad un altro identico o diverso, somministrato in una zona simmetrica nel lato opposto. Nella sfera tattile, secondo il parere di diversi autori, il tipo di percezione più sensibile all’estinzione è la grafoestesia (identificazione di lettere o numeri tracciati sulla pelle). Si è discusso se l’estinzione in condizioni di doppia stimolazione faccia effettivamente parte della sintomatologia NSU o rappresenti una disfunzione sensoriale elementare. L’ipotesi più plausibile è che il fenomeno abbia patogenesi di diversa complessità e sia eterogenea. Altro fenomeno assai noto, anche se meno frequente è l’allochiria, consistente nel fatto che uno stimolo applicato in una determinata posizione dello spazio contro lesionale viene riferito dal pz nella posizione simmetrica dello spazio ipsilesionale. Anosognosia e fenomeni somatoparafrenici sono anche presenti in pazienti NSU. DATI ANATOMOCLINICI. La NSU è ritenuta frequentemente come conseguenza di una lesione dell’emisfero opposto a quello in cui è rappresentato il linguaggio, cioè una lesione in soggetti destrimani colpisce generalmente l’emisfero dx. Localizzazione intraemisferica: la NSU è in genere associata a un danno della regione parietale, precisamente un danno del lobulo parietale inferiore. Sono tuttavia ben noti casi in cui la lesione è apparentemente circoscritta ad altri distretti, come il lobo frontale e strutture sottocorticali: talamo e gangli della base. Allo stato attuale delle conoscenze le eccezioni possono essere in parte spiegabili in termini di variazioni individuali nella organizzazione cerebrale dei processi di attenzione-rappresentazione spaziale. Alcuni dati suggeriscono che i pz affetti da lesioni sottocorticali manifestino o meno sintomi di NSU a seconda che esista o non esista, rispettivamente una riduzione del flusso ematico nella corteccia ipsilaterale alla lesione ma non direttamente interessata da questa. Decorso NSU e fenomeni associati sono generalmente dovuti a lesioni che si instaurano rapidamente nel tessuto cerebrale, senza permettere, almeno in una fase iniziale, processi di compenso funzionale. Nella maggioranza dei casi, la sintomatologia regredisce nei giorni o nelle settimane che seguono l’esordio acuto. Ciò vale soprattutto per anosognosia e somatoparafrenia, che di solito scompaiono dopo poche ore. La conseguenza più preoccupante è costituita dall’atteggiamento noncurante (anosodiaforia) che spesso permane nel pz. Interpretazione della sindrome. Interpretazioni incentrate in livelli elementari di attività nervosa centrale 1. Ridotta o interferita trasmissione dell’informazione sensoriale diretta all’emisfero leso: uno stimolo isolato, diretto all’emisfero leso è più o meno adeguatamente percepito; lo stesso tipo di stimolo, applicato simultaneamente con un altro diretto all’emisfero indenne subisce una sorta di oscuramento che si traduce in un’assenza di percezione: la NSU si spiegherebbe pertanto, come uno stato di estinzione più o meno globale degli stimoli provenienti dal lato opposto all’emisfero leso. 2. Disordini dell’esplorazione dell’ambiente dovuti a meccanismi relativamente elementari. 3. Compromissione del riflesso di orientamento verso stimoli provenienti dal lato opposto alla lesione cerebrale. Questi tre tipi di interpretazione hanno perso validità una volta riconosciuto che la NSU si può riflettere anche a livello di pure rappresentazione mentale. Questo non implica che i meccanismi cui queste interpretazioni fanno riferimento siano del tutto estranei alla patogenesi di NSU. confermata da uno studio sistematico. È stata registrata la riduzione del disordine tramite irrigazione del canale uditivo esterno contro lesionale con acqua fredda, o di quello ipsilesionale con acqua calda; manovre opposte producevano transitorio peggioramento. Il fenomeno non è spiegabile in base a risposte oculomotorie alla stimolazione per il fatto che esso è stato successivamente dimostrato anche riguardo a manifestazioni di negligenza di un lato del corpo rilevante con esclusione del controllo visivo e a manifestazioni di negligenza rappresentativa. Vallar ha ottenuto, mediante stimolazione vestibolare, remissione temporanea di deficit somatosensitivi attribuibili a NSU. Stimolazione oftalmocinetica. Miglioramento o peggioramento di NSU nella bisezione di linee orizzontali sono stati rispettivamente ottenuti da Pizzamiglio tramite stimolazione ottocinetica in direzione contro-ipsilaterale alla sede della lesione cerebrale. Che l’effetto sia indipendente da meccanismi visuo-percettivi è suggerito dal fatto che esso si manifesta anche nei confronti di difetti di senso di posizioni artuali attribuibili a NSU. Stimolazione vibratoria. Transitorio miglioramento o peggioramento di manifestazioni di NSU sono stati anche ottenuti con stimolazione vibratoria contro o ipsilesionale dei muscoli cervicali posteriori. Anosognosia. L’anosognosia si manifesta nei confronti di un disordine e la gravità varia considerevolmente da pz a pz. La coerenza di un punteggio di valutazione è perciò limitata a pz con pari grado di deficit neurologico. Quanto all’incidenza relativa al lato della lesione cerebrale, è diffusa convinzione che l’anosognosia sia nettamente più frequente in caso di emiplegia sx che in caso di emiplegia dx. Sembra che il disturbo sia maggiormente associato a lesione sx: questa asimmetria sembra chiaramente confermata dagli studi che hanno utilizzato il test di iniezione intracarotidea di barbiturici. Associazioni e dissociazioni. Un deficit somatosensitivo si accompagna molto spesso ad anosognosia per emiplegia. Molto elevata è anche l’associazione con emianopsia. Quando emiplegia e emianopsia coesistono, l’anosognosia tende ad essere più grave nei confronti della seconda. È interessante notare la possibilità di un differente grado di anosgnosia per la plegia dell’arto superiore e dell’arto inferiore. L'anosognosia è spesso associata a deterioramento mentale, ma non necessariamente presente. Nella maggioranza dei casi l’anosognosia per emiplegia si manifesta con l’evento acuto che è la causa, attenuandosi fino a scomparire nel corso di poche ore o giorni.; più rapidamente e più completamente della NSU. Allo stato attuale i dati neurologici e radiologici non hanno rivelato evidenti differenze anatomocliniche tra anosognosia per emisindromi cerebrali e NSU. Contro interpretazioni che la vedono necessariamente associata a deterioramento mentale sta anche la dissociazione per cui la conoscenza dello stato di malattia può apparire assente nel comportamento verbale ma trasparire dal comportamento non verbale. Somatoparafrenia. La lesione focale di un emisfero cerebrale può dar luogo a rappresentazioni deliranti concernenti il lato opposto dello spazio corporeo e/o extracorporeo. Il termine “somatoparafrenia” si riferisce a fenomeni riguardani l'ambiente controlaterale alla lesione, come ad es la negazione che la gamba è la sua. Dischiria e sua interpretazione Un’interpretazione più generale sarebbe formulabile in termini di disordine rappresentativo, con aspetti deficitari (NSU) e/o produttivi (somatoparafrenia). All’insieme di questi due aspetti, potrebbe essere applicato il termine di dischiria. È stato osservato come conseguenza di una lesione delle porzioni laterali del tronco cerebrale che non comprometteva la sostanza reticolare nel gatto un comportamento caratterizzato da fenomeni di negligenza spaziale e di attività iperesplorativa stereotipata, interpretata come di natura allucinatoria. Fenomeni negativi (NSU) e produttivi (attività iperesplorativa) sono stati spiegati come risultato di una deafferentazione di strutture nervose sovrastanti il sistema leso e con questo funzionalmente collegate che comporterebbe da un lato, una paralisi funzionale di queste strutture, dall’altro determinerebbe la liberazione, sotto forma di allucinazioni, di attività autoctona non più controllata da input sensoriale. La seconda argomentazione si basa sulla stimolazione vestibolare, che oltre a determinare una temporanea regressione delle manifestazioni di NSU, può comportare l’evidente riduzione di una sintomatologia di negazione dell’emiplegia o addirittura di manifestazioni somatoparafreniche. L’argomentazione teorica consiste nel fatto che la possibilità, in linea di principio, di una interpretazione unitaria di NSU e fenomeni produttivi di alterata rappresentazione di un lato dello spazio è dimostrata da un modello neuronale la cui lesione a livelli lievemente diversi mima l’uno e l’altro ordine di fenomeni patologici in questione. CAP 23: DISTURBI DELLA LOCALIZZAZIONE E CONSAPEVOLEZZA CORPOREA Da un punto di vista neurofisiologico numerosi studi sia sull’animale che sull’uomo hanno dimostrato che la rappresentazione neurale legata alla percezione, sia in posizione dei vari segmenti corporei, che dei mutamenti della loro posizione, sia in rapporto al proprio corpo che allo spazio esterno è espressa a livello talamico e corticale in mappe topografiche somatosensoriali. Una serie di studi neurofisiologici ha inoltre dimostrato che tali mappe non sono stabili, ma possono essere potenzialmente modificate attraverso alterazioni dell’input sensoriale, per cui ad esempio la percezione della posizione di un arto può essere influenzata da segnali diversi provenienti dal muscolo. Più complesso appare invece il problema dell’esistenza di un sistema anatomico- funzionale specifico per la conoscenza corporea. Per alcuni autori schema e immagine corporea sono sinonimi, mentre per altri il termine immagine corporea si riferisce alla rappresentazione conscia del modello corporeo, mentre schema corporeo veniva applicato all’immagine inconscia. L’evidenza sperimentale di tale modello veniva dal riscontro di alcuni segni e sintomi, sia positivi che negativi. Per quanto riguarda i primi, il più importante veniva considerato “l’arto fantasma”, inteso come persistenza cosciente della percezione di un arto o più in generale di un segmento corporeo, nonostante la sua amputazione o mancanza congenita; tale fenomeno non rappresenta quindi una perdita del modello corporeo, ma sembra riflettere la persistenza di un modello intatto, nonostante la mutilazione o aplasia. Tra i sintomi negativi più significativi vennero considerati “l’autotopoagnosia e l’agnosia digitale”, interpretati come dovuti alla perdita, parziale o totale di un modello mentale della conoscenza corporea. Successivamente il significato di schema corporeo si è dilatato fino a comprendere tutti i fattori psicologici, emozionali, situazionali legati al corpo, incluso il vissuto di alterazioni organiche. Una serie di studi condotti su pz selezionati solo per lesione emisferica unilaterale ha evidenziato che disturbi della conoscenza corporea possono essere ricondotti sia in seguito a lesione emisferica dx che sx; tali disturbi, nella maggior parte dei casi possono essere ricondotti alla contemporanea presenza di fattori non specifici per la conoscenza del corpo, quali deficit linguistici o spaziali, tali da poter condizionare sia la comprensione che l’esecuzione del compito. Aspetti clinici. La sintomatologia in questione è rilevabile solo durante esaminazione e non ha conseguenza sulla vita quotidiana. Autotopoagnosia. Questo disturbo consiste in una difficoltà selettiva ad indicare sia su ordine verbale che su imitazione, parti del corpo che vengono correttamente riconosciute e denominate una volta isolate da parte dell’esaminatore. Tale difficoltà, che è indipendente da disturbi di comprensione del linguaggio, si manifesta sia sul proprio corpo che su quello dell’esaminatore, che su un disegno. La specificità del disturbo di localizzazione è dimostrata dalla normale capacità di indicare su comando verbale sia item appartenenti a categorie semanticamente legate al corpo, come indumenti, che da quelle di localizzare correttamente su animali gli elementi somatici tipici, che infine da una dissociazione tra una preservata conoscenza della funzione di un organo e l’impossibilità di definirne la localizzazione. Il difetto di localizzazione si evidenzia solo in situazione di test, mentre nella vita quotidiana il pz non mostra alcuna difficoltà in compiti che richiedono una precisa conoscenza della disposizione spaziale delle varie parti del corpo. Tecniche di esame: prima di assegnare un valore specifico alla difficoltà presentata da un pz in compiti di localizzazione corporea, sarà necessario escludere che il disturbo non dipenda dalla presenza di fattori più generali, il più importante è l’afasia. È stata proposta la seguente batteria: 1. Test che richiedono una mediazione verbale, tipo che il pz tocca su di se una parte del corpo su comando verbale, o su un disegno schematico. 2. Test non verbali: il pz indica sull’esaminatore la parte del corpo corrispondente a quella che l’esaminatore gli ha toccato. Valore localizzatorio: a tutt’oggi i casi riportati non superano la decina e sono conseguenti a lesioni neoplastiche del lobo parietale sx. Agnosia digitale e sindrome di Gerstmann. Gerstmann descrisse il caso di un pz ambidestro, affetto da lesione parietale dx che dimostrava un disturbo apparentemente specifico nel riconoscere, identificare e denominare le dita delle mani, sia proprie che dell’esaminatore. Tale sintomo fu interpretato da Gerstmann come dovuto ad un disturbo dello schema corporeo e denominato agnosia digitale. Lo stesso autore, avendo notato che l’agnosia digitale si associava spesso a disturbi di scrittura, di calcolo e di orientamento dx-sx, postulò che tale associazione di sintomi rappresentasse una sindrome intesa come insieme di sintomi sottesi alla perdita di un’unica funzione di base e che Gerstmann ritenne essere la nozione del senso delle dita. Il calcolo si basa sull’uso del sistema decimale il cui “esempio naturale” è costituito dal numero delle dita; l’orientamento dx-sx avviene generalmente facendo riferimento alle mani; per scrivere infine è necessario un buon controllo della prassia digitale che Gerstmann considerava strettamente legata alla percezione cosciente dell’individualità delle singole dita. Per quanto riguarda il substrato neurologico, Gerstmann propose il giro angolare sx nella sua zona di passaggio verso la seconda circonvoluzione occipitale. La sindrome di Gerstmann rappresenta dopo l’afasia la sindrome neuropsicologica più nota. Analisi degli elementi della sindrome. una rappresentazione mentale specifica per il corpo è il fenomeno dell’arto fantasma, che consiste nella persistenza della percezione, a volte dolorosa, di un arto che è stato amputato. Questo fenomeno non si manifesta solo per quanto riguarda gli arti, ma anche per l’amputazione di altri organi, come genitali. L’arto fantasma può insorgere anche in seguito a deafferentazione di un segmento corporeo per sezione del midollo o a lesione del plesso brachiale. L’arto fantasma è stato descritto anche in caso di aplasia congenita e in corso di crisi epilettica. L’arto fantasma può apparire in due forme diverse che spesso coesistono: un vero arto fantasma che consiste nella percezione dell’arto mancante, comprese le sue relazioni spaziali con il resto del corpo e le sensazioni da arto fantasma come parestesie, dolori, ecc., percepite a partire dell’arto amputato. Il fenomeno appare in fase acuta dopo l’amputazione e può persistere per anni; raramente la scomparsa è brusca, più di frequente il fantasma viene avvertito come progressivamente più piccolo e meno definito, fino a fondersi con il moncone. Sono state proposte due spiegazioni, una “periferica” e una “centrale”: • Periferica: l’arto fantasma è prodotto da impulsi nervosi a partire dal moncone distale. Non si hanno però prove a favore. • Centrale: il fantasma è dovuto all’attività dell’area di proiezione specifica corticale corrispondente al distretto anatomico amputato o deafferentato. È stato proposto che il fantasma sia generato da una rete neurale, formata da circuiti neurali che integrano il talamo e la corteccia somatosensoriale, il sistema limbico e la corteccia associativa. Tale rete neurale è determinata geneticamente, come dimostrazione della presenza del fantasma in corso di aplasia, e rappresenta la base della percezione corporea. Allucinazioni somatognosiche. In corso di epilessia o emicrania sono stati descritti fenomeni allucinatori nel quali il pz può avvertire il corpo o parte di esso di dimensioni diverse, o proiettato all’esterno come su uno specchio. Tali allucinazioni sono state inoltre descritte in seguito a danno cerebrale, specie se accompagnate a disturbi dello stato di coscienza, in corso di psicosi e in persone normali al momento dell’addormentamento. Considerazioni conclusive. Da un punto di vista clinico: • Un disturbo della conoscenza corporea è di frequente osservazione in corso di danno cerebrale, con caratteristiche differenti a seconda della sede della lesione. • Nella maggior parte dei casi tale deficit non è isolato, ma è concomitante ad altri disturbi cognitivi, linguistici o spaziali. • Esistono rari casi nei quali il disturbo di conoscenza corporea non può essere ricondotto a un deficit neuropsicologico più generale Da un punto di vista teorico: • L’esistenza di un sistema anatomo-funzionale specifico per tutte le operazioni coinvolgenti la conoscenza del corpo non è sostenuta dall’evidenza sperimentale. • La conoscenza corporea sembra essere organizzata in sistemi specifici che operano con caratteristiche differenti: un sistema di tipo concettuale- linguistico, organizzato in maniera proposizionale, che contiene le informazioni riguardanti il lessico e le relazioni funzionali fra le varie parti del corpo; un sistema di rappresentazione spaziale nel quale viene specificata la posizione di una parte del corpo rispetto ad un’altra e ne vengono definiti i confini. Tali sistemi sono relativamente indipendenti, ma comunque resta sempre un certo gradi di integrazione tra i due sistemi nella percezione cosciente del corpo. Capitolo 24: NEUROPSICOLOGIA DELL’ATTENZIONE. 1) Processi automatici e controllati. Dopo la dicotomia sul livello tardivo o precoce di selezione attenzionale (attenzione a livello dell’input vs. teoria pre-motoria attenzione a livello dell’output), una seconda dicotomia distingue processi che richiedono l’attenzione (processi controllati) da quelli che non la richiedono (processi automatici). Sono tre i criteri principali per definire un processo mentale automatico: 1. mancanza di intenzionalità, 2. mancanza di consapevolezza e 3. mancanza di interferenza con altri processi simultanei. In generale si può dire che i processi automatici richiedono meno sforzo attentivo, vengono elaborati più velocemente e sono più difficili da inibire. Sono mediati da sistemi cerebrali veloci, ma rigidi, forse in parte sottocorticali. Un sistema automatico di notevole interesse è il sistema di analisi visiva pre-attentiva, che è capace senza sforzo attenzionale di rilevare differenze in caratteristiche figurali indipendentemente dalla loro collocazione spaziale e quindi tramite un’analisi in parallelo dello spazio visivo. La funzione di questo sistema è quella di preparare il terreno alla successiva azione di un sistema attenzionale seriale a capacità limitata utile per un’analisi dettagliata. Un altro aspetto dell’attenzione visiva in cui è importante distinguere fra processi automatici e controllati è rappresentato dall’attenzione visiva spaziale implicita. È possibile spostare l’attenzione visiva ad una porzione extra-foveale del campo visivo senza muovere gli occhi o la testa. Tale evento, completamente interno, determina un miglioramento misurabile della prestazione visiva in termini di tempi di reazione. È importante sottolineare che la distinzione tra processi automatici e controllati è chiara solo in condizioni estreme; in molti compiti i due tipi di processi rappresentano un continuum piuttosto che una dicotomia . In linea teorica è probabile che i sistemi attenzionali impegnati in un compito controllato siano progressivamente meno coinvolti quando questo tende a diventare automatico. In favore di questa possibilità ci sono dati che mostrano che l’attivazione metabolica della corteccia frontale, cingolata e parietale diminuisca man mano che il processo diviene automatico. 2) Esiste un sistema attenzionale unico? L’ipotesi che esista un sistema attenzionale unico adibito alla selezione dell’input sensoriale ai vari livelli cui tale selezione può avvenire, è avvalorata dall’osservazione dell’attenzione visuo-spaziale e la sintomatologia conseguente a lesioni parietali dell’emisfero dx. L’altra ipotesi è quella di considerare l’attenzione come l’attività coordinata di sistemi cerebrali multipli, in favore di questa ipotesi c’è la dimostrazione che il neglect non è una sindrome unitaria. Una soluzione di compromesso tra le due ipotesi può essere quella proposta da Poster, il quale sostiene che l’attenzione non è un processo unitario, ma è un sistema caratterizzato da almeno tre sotto-sistemi che mediano aspetti attentivi diversi, ma complementari. Il sistema attenzionale posteriore (PAS), il sistema attenzionale anteriore (AAS) ed il sistema di vigilanza. Anatomicamente il PAS comprende la corteccia parietale posteriore ed i nuclei talamici connessi con il pulvinar ed il nucleo reticolare; importante componente il collicolo superiore. Il AAS comprende aree della corteccia prefrontale, inclusa la corteccia cingolata e l’area supplementare motoria. Infine il sistema di vigilanza sarebbe centrato sull’input noradrenergico proveniente dal locus coeruleus. CAPITOLO 25: LOBO FRONTALE ANATOMIA E CONNESSIONI DELLE AREE FRONTALI Il lobo frontale occupa la porzione rostrale di ciascun emisfero ed è costituito da 3 superfici: “laterale”, “mesiale” e “orbitaria”, delimitate rispettivamente dalla scissura centrale di rolando, dal solco del cingolo e dal solco dell’insula; la corteccia frontale ha struttura neocorticale differenziata in sei lamine di cellule, la cui rilevanza serve a distinguervi diverse aree citoarchitettoniche. Sono state distinte tre zone corticali: • Porzione caudale del lobo, caratterizzata da povertà degli starti granulari (zona agranulare) e dallo sviluppo degli strati piramidali, corrisponde alle aree 4 (motoria) e 6 (premotoria, nella parte mesiale motoria supplementare). • Porzione rostrale (prefrontale granulare), corrispondente alle aree 9, 10, 11, 12, 13, 14, 32, 33, 45, 46, 47, dove gli strati piramidali sono estremamente esigui. • Zone intermedie della corteccia, corrisponde alle aree 8 (oculomotoria) e 44, a struttura di transizione con granularizzazione crescente e piramidalizzazione crescente (disgranulare). La differenziazione della corteccia frontale, che occupa circa 1/3 della superficie neocorticale, in aree è già presente alla nascita ma assume l’aspetto definitivo solo in pubertà. La corteccia frontale è in rapporto biunivoco con tutte le aree sensoriali retrorolandiche (area motoria con area somatosensoriale primaria, area premotoria e area 8 con le aree sensoriali associative, aree prefrontale con le aree associative di ordine più elevato). Le connessioni della corteccia frontale, in particolare di quella prefrontale, la pongono in condizione di ricevere informazioni di qualunque genere dall’ambiente sia esterno che interno all’organismo (le aree prefrontali hanno connessioni reciproche con l’area premotoria, e mediate da questa con l’area motoria). Nell’ambito delle aree prefrontali, le afferenze somestesiche (propriocettive) si concentrano nella corteccia mesiale e sulla parte dorsale della corteccia laterale, le afferenze uditive affluiscono al terzo rostrale della corteccia laterale, e le afferenze visive si concentrano sulla porzione laterale della corteccia laterale. I lobi frontali DX e SX sono poi connessi attraverso il corpo calloso in modo topograficamente organizzato: la parte anteriore del tronco calloso unisce le aree premotorie, il ginocchio e i rostri callosi connettono le aree prefrontali. La corteccia prefrontale è caratterizzata in modo altrettanto tipico dal suo rapporto esclusivo con il nucleo dorso-mediale del talamo, una importante stazione per l’elaborazione di informazioni provenienti da altre strutture cerebrali. La corteccia frontale sembra avere rapporti con l’ipotalamo nel controllo delle funzioni vegetative; è in rapporto con l’amigdala e, attraverso le aree orbitarie, riceve afferenze olfattorie dirette. Di particolare importanza per i fenomeni della vigilanza e dell’attenzione sono le connessioni, in parte bilaterali, che la corteccia motoria e quella prefrontale possiedono con i nuclei intralaminari del talamo (rostrali per la vigilanza, caudali per l’attenzione). Il cervelletto ha con la corteccia frontale solo connessioni indirette. FUNZIONI DELLA CORTECCIA OCULOMOTORIA E PREMOTORIA. Fra le caratteristiche più appariscenti del paziente frontale vi sono la distraibilità, la tendenza a divagare da un argomento all’altro nel corso della conversazione, l’inconcludenza nel portare a termine qualunque operazione prima di intraprendere altre; la prima impressione di chi frequenta il malato è che il difetto riguardi la capacità a fissare l’attenzione. L’attenzione corrisponde alla facoltà di avvertire gli eventi che accadono nell’ambiente esterno e interno a se stessi o i propri bisogni. Sul modalità con cui il paziente prefrontale gestisce i ricordi, e non il contenuto della memoria, che lo differenziano dal normale. Sembra che il problema del pz frontale si presenti nel momento in cui il compito richieda un’elaborazione attiva. Il difetto mnesico del prefrontale riguarda l’esperienza temporale: la confusione riguarda l’ordine e la frequenza con cui gli avvenimenti sono accuditi, e per il futuro mancano la previsione di ciò che verosimilmente accadrà e la consapevolezza delle operazioni ancora da compiere. In sostanza vi è una incapacità del paziente prefrontale nel distinguere il proprio tempo passato da quello futuro. In conclusione, sembra che il problema del pz frontale riguardi la collocazione temporale degli eventi (specificamente la PFC sx, materiale verbale, la dx, quello visuo-spaziale); non solo confonde l'ordine con cui ha sperimentato gli eventi, ma anche la frequenza con cui li ha sperimentati. E' incapace, inoltre, di organizzare le operazioni per eseguire un compito in una sequenza produttiva. La confabulazione può essere un sintomo saliente del malato frontale (il pz inventa avvenimenti falsi e colloca avvenimenti veri in 1 contesto fallace) e può essere: • momentanea (o da imbarazzo) che sembrerebbe usata per colmare le proprie lacune mnesiche, • fantastica (produttiva) avverrebbe senza un apparente motivo e appare perciò espressione di un danno frontale come conseguenza della incapacità ad inibire produzioni verbali impulsive analogamente a quanto accade per il comportamento motorio. Apprendimento e impiego di strategie (è ottuso e cocciuto). Il paziente frontale ha un difetto di apprendimento che può essere riferito ad una incapacità di costruirsi, di automatizzare, o di usare spontaneamente una strategia con cui operare: non impiega spontaneamente strategie di apprendimento anche quando ne sarebbe capace. Nel test del labirinto di Milner, commettevano molti errori: ciò però non si può spiegare con un difetto inerente la memoria o l'organizzazione visuo-spaziale, ma con la sua incapacità di scegliere il comportamento consono alle informazioni che ricevono dall'esterno (la perseverazione era il loro tipo di errore). Tipico dei pz frontali è anche la scarsa prestazione in compiti di apprendimento condizionale, sia spaziale che non: sembra che la lesione prefrontale comprometta la capacità di utilizzare le informazioni esterne al fine di scegliere la risposta opportuna. In conclusione, sembra che i pazienti prefrontali incontrano difficoltà ad interiorizzare le regole di comportamento, così da poter poi operare anche in assenza di suggerimenti esterni. Inventività e duttilità (flessibilità spontanea). (è monotono e ripetitivo). Il concetto di flessibilità cognitiva si riferisce alla capacità di mutare strategie di pensiero e d’azione per percepire ed elaborare informazioni o per far fronte alle situazioni. La facilità nel produrre spontaneamente e con ricchezza idee e reazioni in risposta ad uno stimolo unico (flessibilità spontanea) può essere distinta dalla disponibilità a mutare comportamento su richiesta del contesto (flessibilità reattiva). Entrambe le forme di flessibilità sono tipicamente, anche se non esclusivamente, ridotte da lesioni prefrontali. I pz frontali, infatti, sembravano avere difetti in compiti di fluenza verbale; a tale deficit contribuiscono due fattori: un problema linguistico (nella cortex frontale sx vi sono le sedi atte alla produzione verbale) ed una mancanza di iniziativa, imputabile alle aree frontali. Da alcune ricerche è inoltre emerso che innanzitutto, i pz frontali, commettevano errori di perseverazione, sia rispetto ai normali che a quelli con lesioni temporali. Astrazione e disponibilità (flessibilità reattiva) (è banale e superficiale). È opinione diffusa che il comportamento cognitivo del paziente frontale sia determinato da incapacità di astrazione, cioè di cogliere nei multiformi elementi che compongono la realtà le caratteristiche essenziali che di volta in volta li accomunano fra loro e li differenziano dagli altri. In mancanza di concetti astratti il paziente rimarrebbe legato alla concretezza e immediatezza della situazione, in balia di situazioni automatiche ed abitudinarie, mostrando perseveranza, difficoltà a scoprire le regole che governano gli avvenimenti e ad esaminare la realtà (incapacità a costruire concetti complessivi). Per indagare tale ipotesi è stato utilizzato il test di Weigl ed è stato rilevato che i pz che sbagliavano maggiormente tale compito erano quelli con lesione latero-mesiale, rispetto a quelli con lesioni orbitofrontali e frontolaterali. Comunque il problema vero e proprio del pz frontale era nell'abbandonare una vecchia strategia in favore di una nuova, di perseverazione: sembra che la perseverazione sia legata all'incapacità del pz frontale a isolare gli elementi della realtà pertinenti allo scopo, mettendo da parte quelli superflui. Giudizio e critica (è irriflessivo e insulso). L’insulsaggine nel giudicare la realtà è stata più volte sottolineata come caratteristica del malato frontale, specie quando la situazione sia nuova e complessa, e richiede un piano per la sua analisi. Tutto ciò è stato confermato da risultati sperimentali. Altre ricerche hanno rilevato che i pz frontali, avendo problemi nella giusta selezione della strategia possono avere scarsa capacità di giudizio e ciò spesso si estende anche alla propria patologia: la scarsa consapevolezza circa i propri difetti può investire aspetti grossolani della sua condizione morbosa (anosognosia). Progettazione e lungimiranza (è imprevidente e precipitoso). Il quoziente intellettivo, appare inalterato nella maggior parte dei numerosi studi sui pazienti frontali. Il problema però è che in queste batterie non sono valutate altre cose, tipo la capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, e di progettare il comportamento secondo una prospettiva futura. Porteus ideò un test atto a valutare tale capacità e fu visto che la maggior parte dei pz frontali, specie quelli laterali e mesiali, fallivano in questo compito. Shallice da ciò, e confermandolo con studi sperimentali, attribuì alla PFC la funzione di prevedere le conseguenze del proprio operare e nel valutarne l'adeguatezza rispetto allo scopo finale. Inibizione e autocontrollo (è impulsivo e volubile). L’incapacità a pianificare e prevedere va spesso di pari passo con la tendenza ad adottare comportamenti abituali e stereotipati. La propensione a comportamenti avventati e inopportuni figura in modo aneddotico in molte descrizioni di pazienti frontali: il paziente è calamitato, oltre che dalla presenza degli oggetti, anche soltanto dagli atteggiamenti e dalle espressioni verbali dell’esaminatore, che riproduce servilmente senza alcun motivo. Lhermitte parlò a proposito di “sindrome da dipendenza ambientale”: sembra che le aree maggiormente coinvolte in questo pattern comportamentale siano le aree orbitali, le dorsolaterali e le aree del cingolo anteriore. La dipendenza dall'ambiente è vista da Lhermitte come uno squilibrio funzionale tra lobo parietale, che vincolerebbe il soggetto all'ambiente e quello frontale che, tramite inibizione, lo renderebbe indipendente e libero di scegliere in base a esigenze interiori ed ad autonome decisioni. In pratica, il lobo parietale creerebbe vincoli di dipendenza tra soggetto e ambiente, quello frontale consentirebbe, invece all'individuo, di mantenere le distanze dal mondo (inibendo l'attività parietale). Il venir meno della funzione frontale lascierebbe libera l'attività parietale e quindi lasciando il pz in balia degli stimoli. Personalità (è inaffidabile e irresponsabile). Le alterazioni della personalità e del comportamento emotivo sono diverse; il paziente frontale è privo di ritegno, intollerante, cocciuto, capriccioso, esitante e incostante, volubile, reagisce con indifferenza o con inadeguatezza all’emotività, perde di iniziativa, di originalità, di creatività. Tutti questi sono gli elementi caratteriali descritti con maggior frequenza nel paziente frontale. C’è una generale tendenza nel cerebroleso SX alla depressione che sarebbe particolarmente marcata in sede frontale: il lobo frontale interviene nel regolare il tono dell’umore. Per Kleist il pz frontale sarebbe caratterizzato da due pattern contapposti: una sindrome pseudodepressa ed una pseudopsicopatica, la prima conseguente a sofferenza della cortex mesiale, la seconda a lesioni della cortex orbitraria (un simile pattern è presente negli schizofrenici e negli ossessivo-compulsivi, rispettivamente causati da disfunzione dorsolaterale e orbitaria; vi è anche una certa relazione tra cerebroleso sx e depressione). CONSIDERAZIONI SULLA FUNZIONE PREFRONTALE CAPITOLO 26: LO STATO CONFUSIONALE ACUTO (SCA). Introduzione. Lo stato confusionale acuto (SCA), anche conosciuto come delirium, è il disturbo più comune delle funzioni corticali superiori. La frequenza del disturbo aumenta drasticamente con l’età. Lo SCA può essere considerata una sindrome la cui identificazione, sul piano clinico, è resa possibile dalla presenza di caratteristiche alterazioni del comportamento e delle capacità cognitive. Sono molteplici i processi patologici che possono essere alla base del quadro sindromico. Bonhoeffer (1912) fu il primo ad intuire che la sofferenza delle strutture encefaliche prodotta da eventi patologici di diversa natura potesse dare origine a manifestazioni cliniche sostanzialmente simili allo SCA. I criteri diagnostici che vengono più frequentemente utilizzati per definire tale quadro sindromico sono quelli proposti dal DSMIIIR (1987): .A Difficoltà a mantenere l’attenzione verso stimoli esterni e a dirigere, in maniera adeguata, l’attenzione verso nuovi stimoli; .B Disorganizzazione del pensiero come dimostrato da un eloquio caratterizzato da divagazioni, associazioni irrilevanti e incoerenze; .C Almeno uno dei seguenti sintomi: 1) ridotto livello di vigilanza; 2)turbe della percezione (illusioni e allucinazioni); 3) disturbi del ritmo sonno-veglia con insonnia; 4) attività psicomotoria aumentata o diminuita; 5) disorientamento temporale, spaziale o per le persone; 6) deficit di memoria. .D Rapido sviluppo della sintomatologia con tendenza alla fluttuazione circadiana dei sintomi; .E Una delle due seguenti condizioni: 1) dimostrazione fondata sull’anamnesi, sulla obiettività clinica e sugli esami di laboratorio di uno o più fattori organici eziologicamente correlati all’insorgenza del disturbo; 2) in mancanza di tale evidenza, un’origine organica della sindrome può essere ipotizzata se non si rilevano disturbi mentali non organici alla base dell’agitazione e dell’insonnia. MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLO SCA. La caratteristica principale dello SCA è la sua variabilità: tale variabilità riguarda sia la gravità che le caratteristiche qualitative delle manifestazioni cliniche. Alcuni episodi possono essere lievi e reversibili, altri come l'encefalopatia o l'intossicazione alcoolica evolvono verso il coma. Inoltre, la sintomatologia può essere opposta: alcuni autori, infatti, hanno proposto l'esistenza di due tipi di SCA sulla base di vigilanza, comportamento motorio e disturbi della sfera percettiva 2. Processi infettivi. 3. Neoplasie. 4. Traumi. 5. Epilessia. 6. Demenze. 7. Morbo di Parkinson. CAPITOLO 27: IL SISTEMA DEI NUMERI E DEL CALCOLO. Il modello di McCloskey pone innanzitutto una distinzione tra il sistema dei numeri ed il sistema del calcolo, considerati come componenti o moduli separati tra loro. Il primo sistema preposto all’elaborazione dei numeri è indispensabile alla comprensione e alla produzione di numeri sia in forma orale che scritta, sia sotto forma di parola (codice verbale) che di numero (codice numerico). Il sistema del calcolo invece è deputato all’elaborazione dei calcoli e si basa sulle procedure aritmetiche per lo svolgimento delle operazioni e sulle conoscenze generiche dei numeri. (tabelline, segni delle operazioni, proprietà particolari di alcuni numeri…). Il sistema dei numeri e del calcolo sono considerati tra loro indipendenti ma sono interconnessi. Una lesione cerebrale infatti può danneggiare i due sistemi in modo selettivo, ed inoltre il sistema dei numeri è indispensabile per accedere al sistema del calcolo e per produrre il risultato di un operazione. IL SISTEMA DEI NUMERI . Il sistema dei numeri opera attraverso due ordini di processi: il processo di comprensione e quello di produzione. Quando ad esempio, un soggetto deve indicare quale di due numeri (presentati in modalità visiva o uditiva) è il più grande, si trova impegnato in un compito di comprensione in cui la risposta non coinvolge meccanismi di produzione (si può rispondere semplicemente indicando il numero che è stato riconosciuto come maggiore). Se invece si chiede al soggetto di contare da 1 a 20, a voce o per iscritto, deve venir attivata la componente di produzione. I numeri possono essere compresi e prodotti attraverso due codici: il codice verbale, codice arabico. Il codice verbale consente di esprimere e comprendere i numeri presentati sotto forma di parola secondo la modalità fonologica (produzione o comprensione/ parola-numero detta a voce) od ortografica (produzione o comprensione parola- numero scritta). Il secondo codice invece permette di produrre o comprendere numeri espressi in codice numerico (1, 2, 3…). Pertanto nelle prove di comprensione viene richiesto al soggetto di leggere i numeri presentati in codice arabico od ortografico e di riconoscere per via acustica i numeri presentati in codice fonologico. Nelle prove di produzione viene richiesto al soggetto di scrivere numeri in codice ortografico e arabico, oppure di produrre numeri in codice fonologico. Le diverse componenti che caratterizzano i codici (ortografica, fonologica e numerica) possono essere compromesse in seguito a danno cerebrale, in modo selettivo. Deloche e Seron hanno analizzato in una serie di lavori gli errori prodotti dai pazienti acalculici in compiti di transcodificazione (lettura, scrittura e ripetizione) i quali implicano la capacità di tradurre i numeri da un codice all’altro e da una modalità all’altra permettendo in tal modo di valutare il funzionamento delle diverse componenti del sistema dei numeri. L’analisi degli errori prodotti ha condotto Deloche e Seron ad ipotizzare l’esistenza all’interno dei processi di elaborazione dei numeri (sia nella comprensione che nella produzione) di MECCANISMI LESSICALI E SINTATTICI. Gli autori hanno potuto constatare che gli errori commessi potevano essere classificabili in due categorie: la prima categoria riguardava la produzione di un numero che non mutava l’ordine di grandezza (409/ quattrocentosei); la seconda categoria raggruppa invece tutti gli errori in cui il numero prodotto cambia ordine di grandezza (8.025/ ottocentoventicinque). Gli errori della prima categoria sono stati definiti ERRORI LESSICALI perché comportano la sostituzione di una parola/numero all’interno del numero; i secondi invece sono definiti ERRORI SINTATTICI in quanto sembrano essere secondari alla difficoltà di elaborazione della sequenza in cui le diverse cifre vengono concatenate in relazione all’ordine di grandezza che rappresentano. Questo indica pertanto che nei processi di elaborazione dei numeri sia in compiti di comprensione che di produzione, vi siano meccanismi lessicali che guidano la scelta delle cifre che compongono i numeri e meccanismi sintattici che portano alla composizione delle cifre del numero assegnando a ciascuna un valore. LESSICO DEI NUMERI: Una fondamentale caratteristica del sistema dei numeri è data dal lessico dei numeri che è stato visto essere organizzato secondo classi distinte che sono tra loro indipendenti. Le classi sono rappresentate dalle unità (i numeri da 1 a 9), i teens (i numeri da 10 a 19), e le decine (i numeri 20, 30, 40…). Le unità, i teens e le decine vengono definiti NUMERI PRIMITIVI in quanto consentono di formare tramite la loro combinazione e l’uso di moltiplicatori (-cento,-mila, -milione ecc..) un numero di qualsiasi grandezza. Gli errori lessicali possono essere selettivi per ognuna delle diverse componenti (unità, teens, decine) e selettivi per i moltiplicatori che costituiscono una classe a parte come i numeri primitivi. RAPPRESENTAZIONE DELLE COMPONENTI DEL SISTEMA DEI NUMERI: SEMANTICA, SINTATTICA, LESSICALE La rappresentazione semantica dei numeri si riferisce ad un apparato concettuale che “calcola” il valore di un numero quando lo elaboriamo, in base alla combinazione dei numeri primitivi e dei moltiplicatori. La rappresentazione semantica di un numero contiene informazioni circa il concetto di numero, espresse secondo un codice astratto e amodale. Tali informazioni identificano gli elementi che costituiscono il numero in termini di quantità e ordine di grandezza, indicano cioè il valore del numero. La rappresentazione semantica non è espressa secondo un particolare codice (verbale o spaziale), denota quantità astratte, non connotate da cifre, e non fa riferimento al fatto che gli elementi debbano essere ordinati spazialmente da destra verso sinistra. La rappresentazione sintattica invece specifica i rapporti tra i singoli elementi del numero in termini di grandezza (unità, decine, centinaia…), definisce la posizione che ciascun elemento deve occupare all’interno della struttura del numero e stabilisce l’ordine spaziale da sinistra verso destra e che la grandezza maggiore venga posta a sinistra. La rappresentazione sintattica pertanto non specifica quante decine, unità ecc.. ma seleziona solo i moltiplicatori, le decine, le unità ecc.. da inserire in una certa posizione. La rappresentazione lessicale viene utilizzata per scegliere quale elemento delle diverse classi dei numeri (unità, teens, decine) , e dei moltiplicatori vada inserito nella struttura del numero. Mentre le rappresentazioni semantiche e sintattiche sono amodali, quelle lessicali sono specifiche per codice e modalità (rappresentazioni lessicali fonologiche, ortografiche, arabiche distinte per la produzione e la comprensione. IL SISTEMA DEL CALCOLO. (Nel modello proposto da McCloskey il sistema del calcolo utilizza come input e come output il sistema dei numeri, ma è funzionalmente indipendente da quest’ultimo.). La soluzione di un operazione anche apparentemente semplice richiede il funzionamento di numerosi e complessi meccanismi cognitivi. Lo svolgimento del calcolo infatti implica come primo passo che vengano riconosciuti gli addendi e attraverso i meccanismi lessicali e sintattici che vengano avviati input al sistema del calcolo. Lo svolgimento del calcolo comporta anche la necessità di riconoscimento del segno dell’operazione, la conoscenza dei fatti aritmetici (come ad esempio le tabelline) che sono indispensabili per ricavare i prodotti parziali e la conoscenza delle procedure specifiche per la moltiplicazione che è necessaria per stabilire l’ordine in cui i prodotti parziali vanno calcolati e il modo in cui essi vanno manipolati. Infine è necessaria l’attivazione dei meccanismi di produzione per la produzione della risposta corrispondente al risultato dell’operazione. Tali passaggi intermedi possono essere danneggiati, nei casi meno gravi in modo selettivo e nei casi più gravi in modo anche completo. Pertanto l’architettura funzionale del sistema del calcolo include tre componenti indipendenti tra loro: i segni delle operazioni, i fatti aritmetici e le procedure di calcolo. La corretta identificazione dei segni aritmetici (+ - / x) è indispensabile per le procedure di calcolo. In letteratura sono riportati casi di pazienti che mostravano una difficoltà selettiva nel riconoscimento del segno dell’operazione, ma con conservazione della capacità di soluzione della stessa (ad esempio il paziente 8x3 lo risolveva come 11 e non come 24, per un errato riconoscimento del segno, ma comunque il processo dell’operazione è corretto). Tutto ciò dimostra una conservata capacità in questo caso dei processi di produzione e comprensione dei numeri. Diversi dati vanno a favore dell’esistenza di una indipendente rappresentazione mentale dei diversi segni. In alcuni casi infatti è stata riscontrata una selettiva compromissione del riconoscimento di un singolo segno (dissociazione tra la capacità del paziente di riconoscere il +, e la conservata capacità di riconoscimento degli altri segni). I fatti aritmetici sono rappresentati da tutti quei problemi elementari che non vengono risolti con le applicazioni delle procedure di calcolo, ma vengono risolti accedendo direttamente alla soluzione. (Un esempio di fatto aritmetico è dato dall’uso delle tabelline). In altri casi parliamo di regole aritmetiche quando tutte le procedure dirette di risoluzione dei problemi sono accomunate da una stessa regola ; un esempio è rappresentato dalle operazioni in cui è coinvolto il numero “zero” (0 x n = è sempre zero; 0+n= è sempre n ecc…).Anche nel caso dei fatti aritmetici e delle regole aritmetiche diverse evidenze sperimentali ne hanno dimostrato una selettiva compromissione in pazienti cerebrolesi. I pazienti studiati infatti mostrano problemi nell’utilizzo di una o l’altra strategia di risoluzione, ma non mostrano evidenti difficoltà nei processi di produzione e comprensione dei numeri, di riconoscimento dei segni delle operazioni e di attivazione delle procedure di calcolo. RAPPORTI TRA IL SISTEMA DEI NUMERI E DEL CALCOLO E GLI ALTRI SISTEMI COGNITIVI. In letteratura sono riportati dei casi clinici che inducono a pensare che in alcuni casi i deficit dell’uso dei numeri e del calcolo siano causati da disturbi di altri processi (linguistici, mnesici ecc…). In un primo studio sono stati distinti tre forme di disturbo di calcolo: l’alessia/agrafia per le cifre, nella quale la difficoltà di eseguire calcoli è dovuta all’incapacità di leggere o scrivere le cifre: l’anaritmetia, nella quale i calcoli sono errati per l’incapacità di eseguire la condotta appropriata di esecuzione; la discalculia spaziale nella quale gli errori derivano dalla difficoltà di allineare le cifre. In un secondo studio i deficit di calcolo dei pazienti con afasia di Broca sono stati attribuiti a deficit linguistici e quelli dei pazienti con afasia di Wernicke a deficit spaziali. Un altro importante aspetto è rappresentato dalla duplice possibilità di considerare i disturbi del sistema dei numeri e di calcolo come conseguenza specifica di un danno a tale sistema o una conseguenza di una componente che svolge un ruolo più generale nel sistema cognitivo. CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE DEI DISTURBI DEL SISTEMA DEI NUMERI E DEL CALCOLO. Da una revisione dei dati riportati in letteratura, emerge chiaramente che le lesioni responsabili dei disturbi al sistema dei numeri e del calcolo possono essere espresse in modo ubiquitario nel cervello. In particolare è stato visto che l’alessia/agrafia diagnosi di emianopsia o emiagnosia sinistra, è in realtà ascrivibile ad un quadro di emianomia visiva sinistra, in quanto il paziente mostra di essere in grado di riconoscere lo stimolo visivo presentato in prove di riconoscimento non denominativo. L’emianomia visiva sinistra sarebbe quindi dovuta ad una disconnessione tra la funzione visiva dell’emisfero destro e la funzione di espressione verbale dell’emisfero sinistro. Altri studi hanno inoltre dimostrato che i pazienti commessurotomizzati presentano un alessia per l’emicampo visivo sinistro (non sono in grado di leggere ad alta voce parole proiettate nell’emicampo visivo sinistro). PERDITA DEL’EQUIVALENZA PERCETTIVA FRA GLI EMICAMPI. In seguito a commessurotomia i pazienti possono presentare una perdita dell’equivalenza percettiva fra i due emicampi. Tipica della visione di tali pazienti è infatti una sorprendente indipendenza delle sfere percettive dei due emisferi. Gli oggetti presentati in un emicampo sono successivamente riconosciuti solo se presentati nello stesso emicampo, in caso contrario vengono classificati come del tutto nuovi. Inoltre ai pazienti che sono in grado di leggere selettivamente parole presentate in un singolo emicampo risulta impossibile integrare due metà di parole presentate singolarmente in uno e nell’altro emicampo.In prove con l’utilizzo di stimoli chimerici (foto di due mezze facce di persone diverse presentate tachistoscopicamente in modo tale che si uniscano tra loro nel meridiano verticale del campo visivo) è stato visto che nel paziente commessurotomizzato, ciascun emisfero completa la mezza faccia presentata al suo campo. Ciò dimostra che i due emisferi vedono indipendentemente uno dall’altro. Inoltre quando il paziente viene invitato a dire cosa ha visto egli descrive la faccia corrispondente all’emifaccia del campo destro; quando invece deve scegliere fra varie facce quella corrispondente alla faccia vista egli fa riferimento alla faccia vista nel campo sinistro, negando in entrambe i casi di aver visto una faccia dimezzata. (quindi emisfero sinistro, linguisticamente competente, emisfero destro, capacità visuospaziali. INTERAZIONE INTEREMISFERICHE VISIVE EXTRACOMMESSURALI. L’indipendenza fra le sfere visuopercettive dei due emisferi del paziente commessurotomizzato, non è completa. E’ stato osservato ad esempio che nelle espressioni verbali dei pazienti potevano comparire toni emozionali appropriati al contenuto di stimoli esilaranti o terrificanti presentati all’emisfero destro. Vi può essere pertanto in alcuni casi come questo appena descritto l’intervento di strutture extracommessurali che garantiscono la trasmissione di alcune informazioni da un emisfero all’altro. TEMPO DI TRASMISSIONE INTEREMISFERICA. I dati derivanti da soggetti normali, dagli acallosali e dai commessurotomizzati autorizzano a concludere che vi è un aumento sopra ai valori normali della differenza nel tempo di reazione visuomotoria semplice fra le risposte dirette e risposte crociate nel caso di disconnessione interemisferica. STEREOPSIA BINOCULARE Le informazioni binoculari necessarie alla codifica delle distanze di mire lungo il piano mediosagittale possono raggiungere i neuroni interessati in due modi: Con una convergenza intraemisferica, quando la disparità corrispondente alla distanza della mira è così piccola che le due immagini monoculari cadono nella striscia di sovrapposizione delle proiezioni delle retine eteronime. Con una convergenza interemisferica, quando la disparità corrispondente alla mira è tale che le immagini nei due occhi cadono nelle emiretine omonime al di fuori della striscia di sovrapposizione e pertanto sono proiettate ad emisferi diversi. Pertanto, quando si usano stimoli di grande disparità i pazienti commessurotomizzati continuano a valutare esattamente, con la visione binoculare, la distanza relativa al punto di fissazione di mire al di fuori del piano medio sagittale, che si proiettano ad un solo emisfero. I pazienti invece falliscono la prova quando le mire sono presentate sul piano mediosagittale, in modo tale che le loro immagini si proiettano ad emisferi diversi. IMMAGINAZIONE VISIVA. Milner e coll. Hanno trovato che non diversamente dai pazienti di controllo con commessure integre, i pazienti commessurotomizzati ricavavano un netto beneficio mnemonico dall’impiego dell’immaginazione visiva, pur fornendo prestazioni mnesiche inferiori a quelle dei controlli, sia nella situazione facilitata dall’immaginazione che in quella non facilitata. UDITO ASCOLTO DICOTICO. In un esperimento condotto da Milner con l’utilizzo del paradigma dell’ascolto dicotico nei pazienti commessurotomizzati è stata trovata una normale capacità di ripetere gli stimoli dicotici presentati all’orecchio destro, ma la capacità di ripetere stimoli dicotici presentati all’orecchio sinistro era del tutto assente o ridotta. Poiché gli stessi pazienti erano in grado di ripetere facilmente serie di numeri presentati monarauralmente a ciascun orecchio, la cattiva prestazione con l’orecchio sinistro in situazione di ascolto dicotico non poteva dipendere da un problema di udito selettivamente relativo a quell’orecchio. Pertanto la cattiva prestazione con l’orecchio sinistro nella prova di ripetizione era dovuta ad un’impossibilità di esprimere la loro percezione con una risposta verbale . Questi risultati dimostrano che segnali acustici diversi inviati simultaneamente alle due orecchie dei pazienti commessurotomizzati sono elaborati separatamente dai due emisferi cerebrali: l’emisfero sinistro elabora i segnali provenienti dall’orecchio destro, utilizzandoli sia per le risposte verbali che non verbali, mentre l’emisfero destro elabora i segnali provenienti dall’orecchio sinistro, utilizzandoli solo per le risposte non verbali. PERCEZIONE DELLE SEQUENZE TONALI E DEI RITMI. I pazienti commessurotomizzati, sottoposti ad una prova di descrizione verbale di una sequenza tonale presentata monauralmente a ciascuna delle due orecchie (il paziente doveva dire: “alto-basso-basso-basso-alto-basso ecc…) davano risposte a caso indipendentemente dal fatto che venisse stimolato l’orecchio destro o il sinistro. Alcuni autori ritengono che il fallimento in tale prova dipenda dal fatto che questa prova richiede prima l’identificazione della configurazione musicale della sequenza, presumibilmente sotto controllo dell’emisfero dx e poi la sua descrizione a parole, compito dell’emisfero sinistro. Questa cooperazione tra i due emisferi necessaria all’esecuzione di questa prova sembra essere richiesta anche per la discriminazione dei ritmi, compito in cui pazienti con disconnessione interemisferica falliscono. SOMATOESTESIA. I disturbi da disconnessione interemisferica che si osservano in quest’ambito sono rappresentati dall’incapacità di utilizzare risposte verbali per segnalare la percezione di stimoli somatoestesici limitati all’emisfero di destra (emicorpo sinistro), e dall’incapacità di combinare e confrontare stimoli somatoestesici diretti ad emisferi diversi. LOCALIZZAZIONE TATTILE. Studi di localizzazione tattile in pazienti con disconnessione interemisferica hanno dimostrato ad esempio l’esistenza di un’imperfezione della localizzazione denominativa a sinistra. Ciò è attribuibile al fatto che la rappresentazione tattile delle dita della mano sinistra nell’emisfero sinistro non è sufficientemente fine da consentire risposte localizzatorie accurate da parte di quell’emisfero; o alla disconnessione fra la precisa rappresentazione delle dita di sinistra nell’emisfero destro e i centri per la riposta verbale nell’emisfero sinistro. ANOMIA STEREOGNOSICA SINISTRA Un altro segno evidente di disconnessione interemisferica nei pazienti commesurotomizzati, nella sfera somatoestesica è rappresentato dall’anomia stereognosica sinistra che si caratterizza come un’incapacità di utilizzare ai fini della denominazione di un oggetto palpato le informazioni somatoestesiche, soprattutto tattili e propriocettive, provenienti dalla mano sinistra (incapacità di denominazione ma non di riconoscimento). Inoltre il paziente commessurotomizzato non riesce ad integrare la stereoagnosia della mano destra con quella della mano sinistra. Egli infatti non sa trovare con una mano l’oggetto corrispondente a quello toccato con l’altra mano, ne segnalare se quello presentatogli in una mano è uguale o diverso a quello toccato con l’altra mano. (perdita dell’equivalenza percettiva stereognosica). PROPRIOCEZIONE: In alcuni studi è stata rilevata l’incapacità del paziente con disconnessione interemisferica di imitazione posturale. OLFATTO. Contrariamente alle altre vie di senso l’organizzazione delle vie olfattive è caratterizzata da proiezioni fondamentalmente ipsilaterali. EMIANOMIA OLFATTIVA DESTRA E PERDITA DELL’EQUIVALENZA PERCETTIVA FRA LE NARICI Gordon e Sperry hanno decritto un’anomia olfattiva limitata alla narice destra e causata da una disconnessione olfatto-verbale interemisferica in pazienti con sezione completa delle commessure cerebrali. In altri studi sono stati ottenuti risultati analoghi. Questi dati potrebbero essere spiegati sulla base della considerazione che manca in questi pazienti la connessione interemisferica necessaria a comunicare ai centri del linguaggio (emisfero sinistro) il risultato del riconoscimento (avvenuto nella corteccia olfattiva di destra) delle informazioni provenienti dalla narice di destra. (commessura anteriore importante per il trasferimento interemisferico di informazioni olfattive). CONTROLLO MOTORIO. PRASSIA: In seguito a commessurotomia totale spesso si osserva, in forma grave nello stadio acuto e in forma lieve ma costante nello stadio cronico, la disprassia motoria degli arti di sinistra. Questo sintomo è caratterizzato dalla difficoltà del paziente ad utilizzare gli arti di sinistra per eseguire movimenti su comando verbale orale o scritto, ma non per eseguire movimenti su imitazione. Le difficoltà riguardano maggiormente i movimenti distali più dei prossimali e si manifestano in modo particolare quando l’ordine richiede precisi movimenti e aggiustamenti posturali della mano e di singole dita (fai il segno dell’autostop). La disprassia motoria di sinistra dipende dalla sezione della parte posteriore del corpo calloso. COPIA DI SEQUENZE MOTORIE COMPLESSE: In pazienti con commessurotomia totale sono stati descritti gravi disturbi nella riproduzione di sequenze complesse di movimenti dell’arto superiore (deficit bilaterale, senza differenze di lato) e alterazioni della capacità di imitazione di sequenze di movimenti facciali. L’ipotesi più accreditata considera tali disturbi come derivanti da un difficoltà di memorizzazione o rievocazione della successione ordinata dei singoli movimenti che costituiscono le sequenze motorie. Nei pazienti commessurotomizzati infine si evidenzia una incapacità di coordinazione motoria bilaterale con conservata destrezza unimanuale. Un modello di tipo evolutivo ontogenetico che spiega come le emozioni complesse possano formarsi a partire da quelle semplici e dalle interazioni tra quest’ultime ed il sistema cognitivo è quello elaborato da Leventhal. Secondo questo autore le emozioni umane potrebbero derivare dall’attività di un sistema gerarchico multicomponenziale basato sull’attività di tre livelli funzionali nel corso dei quali il sistema emozionale diventerebbe sempre più interconnesso e in un certo senso sempre più dipendente dal sistema cognitivo. I diversi livelli funzionali sono: il livello sensori-motore, il livello schematico, il livello concettuale. • Il livello sensori-motore consisterebbe in un insieme di programmi espressivo-motori innati ed universali che comprendono componenti di attivazione motoria e di attivazione vegetativa, la cui soglia di elicitazione dipenderebbe da modificazioni dell’ambiente interno dell’organismo e che verrebbero innescati automaticamente da un certo numero di stimoli ambientali. • Il livello schematico si basa sull’attività di schemi, cioè di prototipi di comportamento emozionale, che si sono formati con il condizionamento dalla connessione tra programmi innati e le situazioni che nell’esperienza individuale sono stati associati a tali programmi. Questi schemi pertanto sono diversi da individuo ad individuo (differiscono dai programmi espressivo- motori dello stadio precedente che invece sono innati ed universali). • Il livello concettuale si basa su un tipo di apprendimento(non condizionato) che è consapevole, del significato delle emozioni. Le elaborazioni concettuali delle emozioni portano a memorizzare la nozione astratta e proposizionale di cosa sono le emozioni, di quali situazioni le provocano e di come rispondere correttamente a queste situazioni, in accordo con le norme del gruppo sociale di appartenenza. Il livello schematico e concettuale di elaborazione delle emozioni corrispondono rispettivamente alla prevalenza del sistema emozionale su quello cognitivo e del sistema cognitivo su quello emozionale. RUOLO DELLE STRUTTURE SOTTOCORTICALI E CORTICALI NELL’ESPRESSIONE SPONTANEA E NEL CONTROLLO DELLE EMOZIONI. Le prime ipotesi relative alle emozioni consideravano il comportamento emozionale come un fenomeno unitario, localizzato in porzioni ben delimitate dell’encefalo. Un’ipotesi più articolata è quella elaborata da Papez nel 1937 che risulta essere compatibile con i modelli contemporanei che considerano le emozioni come sistemi adattivi evoluti e basati sul lavoro integrato di varie componenti che dipendono da parti diverse del cervello. Papez infatti ipotizzò che l’ipotalamo potesse servire ad attribuire valore emozionale agli stimoli sensoriali e a provocare le risposte vegetative ed espressivo-motorie corrispondenti mentre la corteccia cingolare (che costituisce la componente corticale del circuito) potrebbe essere implicata nell’elaborazione dell’esperienza soggettiva delle emozioni. Papez inoltre propose che le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno possano seguire due vie diverse per raggiungere le strutture ipotalamiche. Una prima via originerebbe nelle aree corticali di proiezione e di associazione sensoriale, dove le informazioni ricevono un’ elaborazione percettiva e cognitiva complessa. La seconda via invece invierebbe i dati bruti e poco elaborati provenienti dalla stazione di relè del talamo direttamente all’ipotalamo, saltando lo stadio dell’elaborazione corticale. Negli anni successivi tale modello ha subito alcune modifiche soprattutto relative al conferimento di una maggiore importanza al ruolo giocato dall’amigdala nelle condotte emozionali. Un’analisi approfondita del sistema limbico ha portato all’elaborazione di specifiche considerazioni anatomiche relative alla distinzione all’interno di tale sistema tra due circuiti: un circuito medio-dorsale centrato sull’ippocampo che viene considerato come deputato alle funzioni mnesiche e non funzioni di tipo emozionale; un circuito baso-laterale, centrato sul nucleo amigdaloideo, che comprende le connessioni di questo nucleo con l’ipotalamo ventro-mediano, il talamo dorso-mediano, la corteccia fronto-orbitaria e la corteccia temporale anteriore, implicato in funzioni di tipo emozionale. IN CONCLUSIONE : le componenti più elementari e spontanee del comportamento emozionale sono inizialmente inscritte in strutture sottocorticali. Le strutture corticali invece sono deputate al controllo e alla supervisione, inibizione delle risposte emozionali a componente sottocorticale. REGOLAZIONE CORTICALE DEI MECCANISMI DI BASE DELLE EMOZIONI. La migrazione verso la corteccia (telencefalizzazione) di funzioni che prima dello sviluppo corticale avevano una localizzazione diencefalica, ha portato ad una profonda riorganizzazione del sistema emozionale. Tale riorganizzazione comprende una sempre maggiore integrazione del sistema emozionale con il sistema cognitivo, una rappresentazione a livello corticale di questo sistema riorganizzato, uno sviluppo delle funzioni di controllo grazie al quale i sistemi della motricità volontaria inibiscono (o utilizzano intenzionalmente) i programmi espressivo-motori propri del sistema emozionale. Non tutte le strutture neocorticali intervengono però in egual misura in questo processo di riorganizzazione in quanto alcuni tipi di lesioni cerebrali sembrano perturbare maggiormente di altre il comportamento emozionale. In particolare l’organizzazione corticale delle emozioni consiste in : • Un asse antero-posteriore: i lobi frontali giocano un ruolo molto più importante rispetto alle porzioni posteriori del cervello. • Un asse trasversale: un diverso coinvolgimento dei due emisferi cerebrali nell’elaborazione delle condotte emozionali. EMOZIONI E LOBI FRONTALI . Il legame tra lesioni frontali e perturbazioni emozionali è stato confermato da studi clinici e da ricerche anatomiche e sperimentali. A questo proposito Nauta ha sottolineato l’importanza delle connessioni reciproche che collegano i lobi frontali alle strutture del sistema limbico e la convergenza nei lobi frontali di informazioni provenienti sia dall’ambiente esterno (aree corticali di associazione visive, uditive e somestesiche) sia da quello interno (ipotalamo e strutture del sistema limbico). Nauta ha considerato pertanto i lobi frontali come rappresentanti neo-corticali del sistema limbico ed ha proposto che la loro funzione sia quella di modulare e controllare i meccanismi emozionali sottesi dal sistema limbico. Una lesione a carico dei lobi frontali infatti potrebbe dissociare la valutazione cognitiva delle situazioni ambientali dalla concomitante esperienza emozionale. Questa mancanza di integrazione potrebbe spiegare dal punto di vista clinico lo sviluppo di condotte emozionali e sociali inappropriate,e l’incapacità di anticipazione, che sono tratti tipici dei pazienti frontali. EMOZIONI E LATERALIZZAZIONE EMISFERICA. I primi studi che hanno suggerito l’esistenza di un rapporto tra emozioni e lateralizzazione emisferica risalgono agli anni ‘50 ed erano basati su prove di inattivazione farmacologica di uno o dell’altro emisfero cerebrale mediante l’utilizzo di un barbiturico iniettato nella carotide destra o sinistra. I primi risultati ottenuti sembravano dimostrare l’esistenza di un centro per le emozioni positive localizzato nell’emisfero sinistro, la cui lesione (inattivazione) comportava la manifestazione di una reazione depressivo-catastrofica e l’esistenza di un centro per le emozioni negative localizzato nell’emisfero destro, la cui lesione (inattivazione) determinava reazioni euforiche. Altri studi successivi hanno invece indicato una generale superiorità dell’emisfero destro sia nella comprensione che nell’espressione delle emozioni. Gli studi condotti da Gainotti e coll. Dimostrarono invece un ruolo critico dell’emisfero destro nell’elaborazione delle condotte emozionali. Pertanto la reazione emozionale sarebbe appropriata quando l’emisfero destro è intatto, mentre potrebbe essere assente o inappropriata quando una grave lesione dell’emisfero destro inattiva le porzioni di questo emisfero implicate nell’elaborazione delle condotte emozionali. In conclusione i risultati delle ricerche condotte sia su soggetti normali che su pazienti cerebrolesi suggeriscono che le due metà del cervello giochino un ruolo complementare nelle condotte emozionali. L’emisfero destro sembrerebbe implicato principalmente nelle funzioni di elaborazione spontanea delle emozioni, in cui gioca un ruolo fondamentale il vissuto soggettivo e le componenti vegetative della risposta emozionale. L’emisfero sinistro invece sembrerebbe giocare un ruolo critico nel controllo intenzionale delle strutture implicate nell’espressione emozionale. FATTORI RESPONSABILI DEI DISTURBI EMOZIONALI DEI PAZIENTI CEREBROLESI. I principali fattori responsabili dei disturbi emozionali e comportamentali dei pazienti cerebrolesi possono essere suddivisi in tre categorie: fattori neurologici, fattori psicologici o psicodinamici e fattori psico-sociali. I fattori neurologici comprendono tutti quei disturbi che dipendono in via diretta dalla disorganizzazione delle strutture che sottendono la rappresentazione cerebrale ed i meccanismi di controllo delle emozioni. In particolare dipendono dalla disorganizzazione del sistema limbico o di sistemi ad esso collegati. Tale tipo di disturbi è assai frequente nei traumatizzati cranici in cui solitamente il movimento di accelerazione-decelerazione del cervello all’interno della scatola cranica crea una sofferenza cerebrale maggiore a carico delle strutture temporali e frontali. Un’altra condizione in cui si riscontra con elevata frequenza un disturbo emozionale di tipo neurologico è il post-stroke caratterizzato soprattutto da depressione associata a lesioni a carico delle porzioni anteriori dell’emisfero sinistro. Tra i fattori psicodinamici particolare importanza rivestono i meccanismi di denegazione che vengono interpretati come meccanismi di difesa che hanno lo scopo di proteggere il paziente dall’impatto con aspetti della realtà che egli non è ancora in grado di affrontare. La frustrazione invece nascerebbe più dal senso di impotenza che il paziente prova nei confronti della sua disabilità dall’impossibilità a compiere atti che erano per lui del tutto normali prima dell’evento morboso. Alla frustrazione però si può reagire con rabbia, irritazione oppure con apatia e ritiro dai rapporti sociali. In questo caso si può incorrere in una fase di depressione in cui il paziente diventa del tutto consapevole dell’evento accaduto. I fattori psicosociali: reinserimento lavorativo, conflitti familiari, ruolo sociale e familiare ecc… CAP 30: IL CONCETTO DI “DEMENZA” E L’APPROCCIO DIAGNOSTICO. La dizione di deterioramento cognitivo cronico-progressivo è sinonimo di demenza; il DD (decadimento demenziale) si riferisce alla conseguenza comportamentale di una patologia acquisita da un cervello che precedentemente aveva dato prova di funzionare normalmente, si riferisce dunque ad un quadro cronico-progressivo acquisito. All’epoca della neuropsichiatria classica il DD corrispondeva al quadro comportamentale difettivo ascritto al declino delle funzioni simboliche; il concetto moderno di DD è fortemente influenzato dai fenomeni considerata come un processo patologico evolutivo nella dimensione longitudinale e va sospettata ogni qual volta un soggetto sopra i 40\45 anni di età, esente da qualsivoglia accenno a compromissione della vigilanza, presenti un disturbo della memoria a esordio insidioso e a evoluzione cronicamente ingravescente, cui seguano a breve distanza di tempo (meno di 6 mesi) o si associano fin dall’esordio disturbi delle funzioni strumentali (patologie di entrambi gli emisferi), che manifesti i disturbi delle funzioni di controllo cognitive (attenzione motivazione e intelligenza) e di disturbi di ordine psichiatrico (nevrosi e depressione). CARATTERISTICHE NEUROBIOLOGICHE. Il processo demenziale alzheimeriano, sul piano neuro-strutturale, è caratterizzato dalla progressiva estensione di lesioni degenerative neuronali; a ciò consegue sia lo sfoltimento progressivo di alcune popolazioni neuronali, tanto corticali quanto sottocorticali molto circoscritte (locus coeruleus, nucleo basale di Meynert), sia la progressiva insufficienza neuro-trasmettitoriale presinaptica, benché plurima, e massimale per quei trasmettitori che la corteccia riceve (Ach, Noradrenalina e Ldopa). ASPETTI MORFOLOGICI. Il principale aspetto neurologico è l’atrofia cerebrale che può portare l’encefalo a riduzioni ponderali a causa della scomparsa dei grandi neuroni delle aree associative (risparmia le aree proiettive). Le lesione degenerative dell’AD non sono diffusamente disseminate nell’encefalo; le aree più colpite sono quelle neocorticali associative nonché quelle cingolari e archipalliali amigdaloidee ed ippocampali. L’inomogeneità dei segni con cui il processo alzheimeriano si iscrive ne quadro morfologico cerebrale è evidente nella stessa asimmetria SX verso DX della atrofia degli emisferi (nelle forme iniziali prevale atrofia presilviana SX) ASPETTI NEURO-TRASMETTITORIALE E METABOLICI. La riduzione dell’Ach corticale raggiunge valori del 50-90% a seconda dello stadio di avanzamento della malattia, studi PET hanno messo in luce cadute dell’utilizzazione del glucosio con una generale tendenza ad una maggiore o più precoce compromissione retrorolandica, in particolare parieto-temporale SX (la compromissione metabolica prefrontale è cronologicamente l’ultima). EPIDEMIOLOGIA DELL’AD. L’incidenza (nuovi casi per anno) oscilla tra il 2,5 e il 5x1000 con un notevole incremento legato all’invecchiamento. Non esistono differenze di incidenza imputabili al sesso alla razza, a fattori geografici e climatici; solo l’età del paziente l’elevata frequenza di casi familiari, e di parenti di trisomia 21 risulta associarsi ad un certo incremento del rischio per AD; l’AD rappresenta il 60-85% di tutte le demenze. ACURATEZZA DIAGNOSTICA. L’AD continua ad essere un problema neuropsicologico di diagnosi precoce in quanto il suo accertamento resta tuttora una questione di metodologia dell’osservazione comportamentale e della sua descrizione da condursi quasi a esclusivamente in termini neuropsicologici. Le indagini di neuroimmagine al momento attuale non offrono dati neurobiologici in grado di formulare, in assenza delle informazione neurocomportamentali un esclusivo criterio diagnostico precoce, ne sostanzialmente a crescerne l’accuratezza. SOPRAVVIVENZA. L’AD è a tutti gli effetti una malattia maligna, ovvero una malattia non definitivamente guaribile e nemmeno arrestabile nel suo corso degenerativo (morte un minimo di 3 anni ad un massimo di 15). La morte del paziente con AD è generalmente preceduta da cachessia a rapida evoluzione e si conclude con infezioni tra cui prevalgono quelle polmonari. La caratteristica fondamentale del paziente alzheimeriano è soprattutto l’incapacità di prendersi cura del proprio corpo (nutrirsi, idratarsi, lavarsi e muoversi) e i provvedimenti farmacologici non modificano la sopravvivenza. NEUROPSICOLOGIA DELL’AD. La linea di tendenza attuale è quella di concepire l’AD sempre più come un agglomerato di difetti neuro-psicologici relativamente indipendenti quanto a substrato neuro-strutturale che riguardano la memoria, le funzioni strumentali e quelle di controllo e talvolta alcune manifestazioni psichiatriche. DISTURBI DI MEMORIA. Vi è accordo universale nel ritenere che i disturbi dell’elaborazione mnestica dell’informazione siano un tratto essenziale del quadro neuropsicologico dell’AD anche se solo da pochi anni si stanno accumulando ricerche sperimentali sul quadro amnesico alzheimeriano. Nel quotidiano del paziente, tali disturbi sono male isolabili dagli altri disturbi cognitivi e dallo stesso stato confusionale cronico, ma la loro importanza è invece massima nelle fasi precoci della malattia; il pazienta affetto da AD presenta nella vita di ogni giorno deficit amnesici talmente rilevanti e generalmente così precoci da costituire molto spesso l’unico apparente disturbo cognitivo di cui egli soffre e per il quale viene condotto alla prima osservazione medica. I pazienti con AD sono affetti da una ingravescente smemoratezza (precipitoso oblio), e si caratterizzano per essere difettosi essenzialmente nella memoria anterograda (episodica e dichiarativa, compromette il ricordo di buona parte dei piccoli fatti quotidiani = ongoing memory); a questo difetto si associa quello della memoria prospettica, ovvero il ricordarsi al momento giusto e senza ulteriori sollecitazioni di fare qualcosa. L’amnesia alzheimeriana a differenza di altre forme di amnesia, via via che l’AD progredisce, comporta anche l’evidenziarsi ecologico di disturbi della memoria semantica e, molto tardivamente e incostantemente, anche di deficit di memoria procedurale; nella grande maggioranza dei pazienti con AD è frequente e precoce anche un peculiare deficit retrogrado ovvero quello relativo alla memoria autobiografica. Le conseguenze nella vita di ogni giorno nella amnesia alzheimeriana sono molteplici: all’amnesia episodica il demente deve la sua smemoratezza per i fatti correnti, a quella semantica e autobiografica la sua perenne titubanza cognitiva e trepidazione emotiva, mentre alla migliore tenuta della memoria procedurale la gestibilita relativamente lunga nel suo contesto famigliare; la combinazione della amnesia episodica e di quella semantica confluiscono nello stato confusionale cronico della fase alzheimeriana florida. DISTURBI NEUROPSICOLOGICI STRUMENTALI. Con la qualifica di strumentali si allude a quei difetti neuropsicologici ancorati a circoscritte strutture neocorticali retrorolandiche dell’uno o dell’altro emisfero la cui evidenza comportamentale è la conseguenza della compromissione di una funzione psicologica. Difetti da danno dell’emisfero SX sono: • Afasia • Aprassia, sia ideomotoria che ideativa • Agnosia per gli oggetti comuni (disturbo di riconoscimento fisionomico, dei segni grafici convenzionali e degli oggetti comuni) Difetti da danno dell’emisfero DX (esordio meno frequente rispetto all’emisfero SX): • Generali deficit sulla cognizione spaziale • Aprassia dell’abbigliamento • Disorientamento topografico • Difetti di analisi visuopercettiva • Prosopoagnosia (anche nei riguardi del proprio volto). DISTURBI DELLE FUNZIONI DI CONTROLLO. Il riferimento è qui convenzionalmente rivolto all’attenzione e all’intelligenza. È informalmente palese che i dementi abbiano una grande difficoltà, sin dalle fasi più precoci dell’AD, a focalizzare l’attenzione su un compito e su un corrispondente processo psicologico, e poi a mantenervela fino conclusione dell’informazione resistendo all’interferenza ambientale e a quella che continuamente sorge nel cervello di chiunque. Il modello d’attenzione che sembra meglio adattarsi all’esigenze neuropsicologiche è attualmente il SAS (supervisory attentional system) di Norman e Shallice; questo modello gerarchico si assegna alle aree prefrontali, per tale motivo l’ipotesi di una riduzione di una disponibilità di risorse attentive conseguente ad uno sfoltimento neuronale prefrontale. Poiché questo modello gerarchico prevede un sistema attentivo centrale ed un complesso di sistemi relativamente indipendenti di rango sottoposto, la cui azione è attentivamente sempre meno costosa, si è ipotizzata una sequenza decrescente dei disturbi attenzionali (dal più a meno faticoso). L’intelligenza viene attualmente ritenuta come un insieme di schemi comportamentali astratti atti a elaborare l’informazione ai fini di risolvere compiti diversi; il demente di alzheimer non soffre solo di un difficoltoso accesso al poliedrico di routine astratte, ma si pensa che queste si siano andate deteriorando nel corso dell’AD al punto da costituire una trama sempre più lacunosa e operativamente sempre più inefficiente. ASPETTI PSICHIATRICI. Il demente di alzheimer presenta il quadro generale che caratterizza molte malattie psichiatriche; i suoi disturbi comportamentali prevalgono ampiamente sui segni neurologici. Il demente di alzheimer conserva per buona parte della sua carriera una coscienza di malattia. Esistono due aspetti psichiatrici di comunissima occorrenza nell’AD: la nevrosi ansiosa, tipica delle fasi di esordio di natura prettamente reattiva, si associa spesso all’esaltazione di alcuni tratti premorbosi come la meticolosità, l’ipocondria, il moralismo, la parsimonia ecc..; la depressione, la grande maggioranza dei pazienti ne soffre lungo tutto lo svolgimento della malattia. Nella fase florida dell’AD compaiono manifestazioni comportamentali psicotiche (allucinazioni visive deliri e mispercezioni); tardivamente possono comparire comportamenti molto bizzarri e complessi come ad esempio il collezionismo. CONCEZIONI GENERALI SULL’INDEMENTIMENTO ALZHEIMERIANO. L’AD non dispone attualmente di buoni modelli nè neurologici nè neuropsicologici, cosi come non dispone di un esaustivo consenso sull’eziologia, sulla patogenesi e su un insieme patognomico di sintomi e segni. I modelli strettamente neurologici, detti anche biologici, reinterpretando l’ipotesi originaria di Alois Alzheimer (1907), sfoltimento di neuroni, interpretano il fenomeno demenziale come una ridotta capacità di interlocuzione tra i neuroni delle aree associative in conseguenza di una insufficienza neurotrasmettitoriale presinaptica. CRITERI NINCS/ADRDA per la diagnosi di probabile AD. Demenza verificata da un esame clinico; deficit di due o più aree cognitive o uno