Scarica MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE, BALDI. e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 1 MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE A cura di GERRIG, ZIMBARDO, ANOLLI E BALDI CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA SCIENTIFICA. SVILUPPO STORICO E METODI DI RICERCA Cos’è la psicologia? La psicologia può essere definita come lo studio scientifico del comportamento degli individui e dei loro processi mentali. L’aspetto scientifico è dato dal fatto che le conclusioni cui la psicologia approda devono essere basate su prove raccolte in accordo con i principi del metodo scientifico, un insieme di procedure per la raccolta e l’interpretazione dei dati che permette di eliminare la fonte di errore e giungere a conclusioni verificabili. Il comportamento è l’insieme delle azioni attraverso cui gli organismi rispondono agli stimoli interni e interagiscono con il loro ambiente. Gli psicologi esaminano cosa fa l’individuo e come si comporta, considerando ciascun fenomeno comportamentale calato nell’ambiente sociale e culturale in cui è prodotto. Nella maggior parte dei casi l’oggetto dell’indagine psicologica sono gli esseri umani e ciascun individuo può essere studiato nel suo ambiente naturale o in condizioni controllate di un laboratorio di ricerca. Molti ricercatori ritengono che non è possibile comprendere le azioni di un individuo se non si comprendono i processi mentali che stanno alla base di questi stessi. La maggior parte delle attività umane infatti sono “interne”. Perciò in questo senso i processi mentali sono l’aspetto più importante dell’indagine psicologica. Se gli psicologi si focalizzano sul comportamento degli individui in diversi ambienti, i sociologhi studiano il comportamento sociale dei gruppi e delle istituzioni, mentre gli antropologi si focalizzano sul più ampio contesto del comportamento inserito in diverse culture. Gli psicologi attingono tuttavia largamente dalle conoscenze degli altri studiosi. Il fine della psicologia, in quanto scienza della salute, è quello di migliorare la qualità della vita di ciascun individuo e potenziare il benessere della comunità. Le basi della scienza psicologica La psicologia scientifica è nata ufficialmente in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. In Occidente, filosofi, uomini di scienza e di cultura si sono spesso occupati di tematiche che possiamo definire “psicologiche”. Tra i filosofi dell’antica Grecia, psyche ha rappresentato una nozione portante che si è estesa all’intero mondo classico. Platone ha teorizzato per primo la separazione netta tra psyche e soma, concezione dualista che è durata a lungo nel tempo. Platone inoltre con il mito della caverna distingue tra doxa, la conoscenza delle cose sensibili del mondo, priva di certezza e mera opinione, e la conoscenza dell’intelletto che è costituita da una reminiscenza che la psyche ha del mondo delle idee. La concezione di anima platonica è assai peculiare: in essa gli aspetti irrazionali (cavalli) e quello razionale (auriga) trovano una loro sintesi e la parte razionale deve controllare le passioni, le quali tuttavia sono necessarie. 2 Il dualismo platonico non fu accettato da Aristotele che ritiene che l’anima sia inscindibile dal corpo e che la sua essenza consista in quelle capacità che consentono all’organismo di sopravvivere. La psyche perciò è per Aristotele la forma di un corpo vivente, il principio che è alla base di tutte le attività, in quanto atto primario. La classicità romana non ha dato contributi particolarmente significativi alla conoscenza della psyche. Seneca separa l’anima dal corpo e vede la ragione come ratio, logos, principio divino che regge il mondo a cui l’uomo deve ubbidire, oltre che conformarsi alla natura. Antonino mantiene la distinzione operata da Seneca e vede nell’intelletto il principio che guida l’azione dell’uomo. La visione dualistica dell’uomo di origine platonica permane a fianco alla ripresa del pensiero aristotelico nel Medioevo. Averroè ad esempio pone l’accento sull’inscindibilità tra corpo e anima e nega l’immortalità di quest’ultima. Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, pur accettando il pensiero di Aristotele sull’anima dell’uomo come forma sostanziale del corpo, affermano che l’anima umana è anche una forma spirituale, autonoma dal corpo nella sua essenza. La netta separazione tra anima e corpo sarà in seguito riproposta da Cartesio per cui la res cogitans e la res extensa sono unite nell’uomo da una fantomatica “ghiandola pineale”, organo di raccordo tra le due sostanze, situato nel cervello. Galileo è considerato un riferimento fondamentale. Nel Saggiatore ha infatti indicato le linee guida del metodo della nuova scienza, il metodo scientifico, che secondo lui è un intreccio di “sensate esperienze” e di “certe dimostrazioni”. Dal Seicento in poi si assiste a un numero sempre più sorprendente di lavori nell’ambito delle scienze empiriche con un progressivo affinamento dei metodi di indagine. A distanza di molto tempo dagli esperimenti di Galileo quindi si sentì l’esigenza di utilizzare il metodo sperimentale anche in psicologia. Questo fu alla base della fondazione dei primi laboratori di psicologia sperimentale a partire dal laboratorio fondato da Wundt a Lipsia nel 1879. Wundt e l’introspezione Nel 1879 Wundt diede inizio nel suo laboratorio di Lipsia a un programma di ricerche di psicologia. La psicologia sperimentale praticata da Wundt e dai suoi allievi applicava i metodi della fisiologia ai processi e ai contenuti della coscienza umana. Per Wundt l’oggetto di studio della psicologia era l’esperienza diretta, o immediata, e il metodo elettivo per rilevarla era costituito dall’introspezione. Esso consiste nell’analisi o nell’osservazione diretta della propria interiorità. Egli stabilì alcune linee guida per garantire validità scientifica all’introspezione: l’osservatore se possibile doveva avere la possibilità di stabilire quando attivare le processo, doveva essere in una condizione di “sforzo attentivo”, doveva essere possibile ripetere diverse volte la medesima osservazione, la condizione sperimentale doveva prendere in considerazione variazioni in termini di intensità e di qualità della stimolazione. Secondo Wundt, il metodo dell’auto-osservazione sperimentale era in grado di rilevare l’esistenza di processi mentali come l’appercezione (processo attentino attivo in grado di organizzare le percezioni), la volontà e le emozioni. Tuttavia, era convinto che il metodo sperimentale non fosse in grado di studiare i processi mentali di 5 Neocomportamentismo A una prima fase del comportamentismo seguì una seconda tra gli anni Trenta e Cinquanta, fase detta neocomportamentismo, che ebbe tra i suoi principali esponenti Guthrie, Tolman, Skinner. Alle associazioni S- R introdussero delle variabili intermedie o intervenienti nella descrizione del comportamento. Queste corrispondevano a eventi interni e non direttamente osservabili. Sugli sviluppi della corrente ebbero importante influsso il neopositivismo logico e l’operazionismo. Per operazionismo si intende la necessità che ogni concetto scientifico sia traducibile in un’insieme di operazioni empiricamente controllabili che permettessero di definirlo (esempio della fame: numero di ore di digiuno, zuccheri nel sangue, ecc.). Le ricerche portano dunque al superamento di S-R e al conseguente affermarsi della teoria STIMOLO-ORGANISMO-RISPOSTA, dove l’organismo è tradotto in termini di variabili intervenienti. Un noto sostenitore del comportamentismo radicale fu Skinner con il modello d’apprendimento del condizionamento operante. Secondo Skinner l’obiettivo primario della psicologia rimaneva quello di stabilire relazioni funzionali tra stimoli e risposte, indipendentemente da qualsiasi concetto mentalista. Il cognitivismo L’orientamento cognitivista, fattosi strada lentamente nella seconda metà degli anni Cinquanta, è un approccio psicologico che ha come obiettivo lo studio dei processi attraverso i quali il sistema cognitivo acquisisce, elabora, archivia e recupera le informazioni. Per il cognitivismo l’uomo è un elaboratore di informazioni. La mente perciò non è una scatola nera ma i processi mentali possono essere indagati con opportune tecniche sperimentali. I cognitivisti ricorrono al metodo introspettivo accanto a diversi altri esperimenti di notevole portata innovativa. Tra i maggiori esponenti ricordiamo Miller, Galanter e Pribram. La scienza cognitiva La scienza cognitiva ha avuto origine nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, a partire da due eventi: la fondazione della rivista Cognitive Science ad opera di Shank, Collins e Charniak, e la costituzione della relativa società. I due paradigmi che dominano in questa concezione sono quello di modularismo e di connessionismo. Per modularismo si intende la prospettiva secondo cui la mette è organizzata in moduli specializzati. Per connessionismo la prospettiva che pone in relazione l’architettura biologica del cervello con l’architettura funzionale dell’attività cognitiva. I modelli del funzionamento mentale sono suddivisi in modelli computer-style e brain-style. in un caso si parte dal presupposto che per capire il funzionamento della mente bisogna rifarsi alle modalità di funzionamento del computer, nel secondo caso si deve far riferimento al modo di operare del cervello umano. 6 Modularismo e mente computazionale Negli anni Quaranta e Cinquanta, per opera di Simon e Newell, nascono i primi programmi che consentivano ai computer di fornire prestazioni intelligenti nella processazione delle informazioni e nella soluzione dei problemi. Nacque dunque quel filone di ricerca in cui veniva proposta l’analogia fra computer e mente umana. Secondo Fodor la mente computazionale è innanzi tutto proposizionale, espressa in un codice simbolico che non corrisponde al nostro comune linguaggio verbale e che egli ha definito linguaggio della mente. Egli ipotizza che il sistema cognitivo dell’uomo sia costituito da tre tipi di strutture distinte: i trasduttori, i sistemi di input e i processi centrali. I trasduttori registrano informazioni sul mondo e producono rappresentazioni degli stati ambientali. Il prodotto che ne deriva deve essere elaborato dai sistemi di input, costituiti dai cinque sistemi percettivi e il linguaggio. Essi elaborano velocemente l’informazione e in modo seriale. I processi centrali, infine, cercano di produrre una rappresentazione del mondo la più pertinente possibile. Essi hanno il compito di collegare e di integrare tra loro i prodotti dei singoli sistemi di input. Connessionismo e mente situata Il connessionismo, nato negli anni Ottanta, fa riferimento alla capacità della mente di adattarsi e alle reti neurali artificiali in cui sono elaborate le informazioni. Il connessionismo pone le basi per una concezione dinamica e attiva della mente in grado di adattarsi di volta in volta alle condizioni del momento e di autocorreggersi. Quindi la mente è prima di tutto una guida di controllo per il comportamento. Fondamentale è il contesto: il significato di un oggetto non è una verità conoscibile a priori ma dipende radicalmente dal suo contesto immediato. La mente radicata Secondo la visione della mente che è radicata nel corpo, ogni conoscenza ha il suo fondamento nell’esperienza e procede non sulla base di simboli stretti e amorali ma sulla scorta delle informazioni tratte dai sistemi sensoriali, immaginativi, linguistici, affettivi, motivazionali, nonché derivate dalle azioni compiute dal proprio organismo in una data circostanza. Entrano in gioco la capacità di riprodurre e di prevedere un fenomeno ma anche la capacità di creare nuovi mondi possibili a partire dagli elementi conosciti a disposizione. Questa è la mente simulativa. La ricerca in psicologia Vediamo come sia importante sottolineare che le credenze comuni possono essere in molti casi fuorvianti e del tutto inattendibili. Da qui deriva l’importanza del metodo scientifico per affrontare i molteplici aspetti della vita quotidiana, allontanandoci dalla credenza della psicologia ingenua e del senso comune. Il senso comune spiega il comportamento sulla base di teorie ingenue che si fondano su un controllo scientifico ma sulla nostra esperienza personale. Tutto nasce da un’idea innovativa, data dall’osservazione, dalle credenze, alle informazioni. Vengono poi formulate delle teorie che diventano il contesto fondamentale in cui formulare le domande che guidano la ricerca. 7 Una teoria è un insieme organizzato di proposizioni che spiegano un fenomeno o un insieme di fenomeni. Quando in psicologia viene formulata una teoria, ci si aspetta che essa tenga in considerazione quanto già si conosce sull’argomento sia che generi nuove ipotesi. L’ipotesi è un’affermazione provvisoria e verificabile sulla relazione tra fenomeni. Per essere verificata, ogni ipotesi deve essere formulata in maniera da poter essere falsificata. Il metodo scientifico consiste in un insieme di procedure per la raccolta e l’interpretazione dei dati che permette di limitare le fonti di errore e di trarre conclusioni verificabili. La psicologia viene considerata una scienza quando quando rispetta i vincoli posti dalle regole del metodo scientifico. Il ricercatore poi decide quale metodo di ricerca adottare, ovvero la procedura scientifica più idonea tra quelle possibili. Le ricerche si basano su dati raccolti. Tale raccolta viene fatta attraverso procedure stabilite, ovvero i protocolli sperimentali. Nello specifico un ricercatore può disporre di dati comportamentali o di dati self-report. Segue poi alla raccolta, l’analisi e la discussione di questi stessi. L’analisi statistica aiuta in questo passaggio. In particolare, gli psicologi si servono di due tipologie di statistiche: le statistiche descrittive e quelle inferenziali. Se i ricercatori pensano che i loro dati possono avere qualche risonanza scientifica, si passa alla divulgazione dei risultati. I dati devono essere sempre accessibili tuttavia a una verifica pubblica. Una volta inviato a una rivista, l’articolo è sottoposto a una revisione da parte di colleghi, detta peer review. Se la valutazione è positiva, viene pubblicato. Dopo di che, la comunità scientifica riesamina il lavoro e identifica le questioni rimaste irrisolte. La fase conclusiva è la “discussione dei risultati”, nella quale tra l’altro il ricercatore evidenzia implicazioni e limiti del proprio lavoro. Il rapporto fra teoria e ricerca è continuo. I metodi della psicologia Osservazione Uno dei principali metodi della psicologia è l’osservazione. L’osservazione naturalistica si avvale del rilevamento dei dati in un contesto naturale e senza interferenza più o meno diretta dello sperimentatore. Si tratta di uno strumento utile per superare i limiti dello studio di comportamenti complessi in laboratorio, dove non vi è l’interazione dell’ambiente di vita quotidiano delle persone in questione. L’osservazione clinica invece è un metodo di indagine che prevede l’interazione dell’osservatore con la persona osservata. Viene utilizzata più che altro a scopo terapeutico o diagnostico. Metodo sperimentale Il metodo sperimentale è quello che permette di pervenire alla formulazione di leggi scientifiche sulle relazioni causali tra variabili. La variabile è qualsiasi caratteristica che può assumere valori diversi quantitativi o qualitativi. In quatto secondo caso si tratta di mutabile. Quando si usa il metodo sperimentale il ricercatore manipola una o più variabili indipendenti e ne studia gli effetti su una o più variabili dipendenti. Le conclusioni sono tanto più 10 Ricerche d’archivio Alcune volte i ricercatori si basano su dati in archivi, sul web o presenti nelle biblioteche dove possono trovare svariate informazioni. La misurazione in psicologia Data la loro varietà e complessità, i fenomeni psicologici sono una sfida impegnativa per i ricercatori che intendono misurarli. Scale di misurazione Per misura si intende un numero usato per indicare il valore del rapporto di una grandezza rispetto a una grandezza assunta come campione. Esistono quattro tipi di scale di misura. Le scale nominali consentono di operare classificazioni tra oggetti o eventi, senza fornire graduatorie. Le scale ordinali consentono di stabilire graduatorie, cioè delle relazioni di maggiore o minore rispetto a una determinata caratteristica osservata. La scala a intervalli comporta un punto zero fissato arbitrariamente e consente di formare delle graduatorie ma si caratterizza per il fatto che l’intervallo tra due posizioni successive rimane costante lungo tutta l’estensione della scala. La scala a rapporti consente di stabilire rapporti tra i valori che la compongono. Attendibilità e validità La misurazione psicologica mira a risultati che siano attendibili e validi. L’attendibilità misura la ripetibilità del risultato: un risultato è attendibile se si ripete in tempi differenti a partire da condizioni simili. Per validità si intende il livello di precisione con cui un test o uno strumento utilizzato in una ricerca misura la variabile psicologica che si intende misurare. Un esperimento valido consente al ricercatore di generalizzare i propri risultati a contesti più ampi passando dal laboratorio al reale. Misure self-report Risposte verbali, sia scritte sia orali, dei partecipanti a domande poste dai ricercatori. Gli strumenti includono questionari e interviste. Le domande possono essere aperte o chiuse. La differenza principale tra questionario e intervista è che quest’ultima è interattiva. Esistono tuttavia dei limiti di queste misure: il caso in cui ci siano persone che non sono in grado di rispondere come ad esempio analfabeti o stranieri o anche il caso in cui le risposte siano menzoniere. 11 Supplemento di statistica La statistica finisce alla ricerca psicologica un insieme di procedure che consentono di ricavare specifiche informazione dai dati raccolti. In particolare, la statistica descrittiva, che permette di ricavare dati di sintesi su un insieme di punteggi, e la statistica inferenziale che permette di verificare se i risultati raccolti possono essere generalizzati dal campione alla popolazione di riferimento. Analizziamo ora uno studio su assassini “improvvisi”. L’ipotesi è che ci sia un collegamento tra timidezza e comportamento violento. Secondo il quadro ipotizzato dai ricercatori, la timidezza è caratteristica propria più degli assassini improvvisi che degli assassini criminali abituali. Inoltre, gli assassini improvvisi dovrebbero avere più controllo delle persone abitualmente violente e quindi la loro passività e dipendenza dovrebbe manifestarsi in caratteristiche maggiormente femminili o androgine. Vengono dunque somministrati test psicologici a un gruppo di detenuti delle prigioni della California condannati per omicidio. 19 carcerati maschi partecipano allo studio, alcuni con precedenti, altri no. Sono raccolti tre tipi di dati: punteggi di timidezza, punteggi relativi all’identificazione del ruolo sessuale e punteggio sul controllo degli impulsi. Si passa poi all’analisi di tali dati tramite l’analisi statistica, dapprima quella descrittiva. I dati, di primo acchito confusionari, vengono ordinati secondo la distribuzione di frequenza che ci informa su quanto frequentemente si presenti ciascuno dei vari punteggi. Le distribuzioni sono più facilmente comprensibili se vengono rappresentate con grafici. Emerge dunque che gli assassini improvvisi si definivano con maggiore probabilità timidi e erano più inclini a descriversi con aggettivi femminili rispetto a quelli abituali. La misura di tendenza centrale indica invece un singolo punteggio rappresentativo che possa essere usato nel confronto come un indice di punteggio tipico di un gruppo di partecipanti. Le misure di tendenza centrale sono ad esempio la moda, la mediana e la media. La moda è il punteggio che ricorre più frequentemente all’interno di un insieme di osservazioni; la mediana separa la metà dei restanti punteggi di una distribuzione in due parti, il 50% si situa sopra, il 50% sotto; la media aritmetica è la misura di tendenza centrale più usata e si ottiene sommando i punteggi di una distribuzione e dividendo il risultato per il loro numero. Le misure di variabilità sono statistiche che informano sulla dispersione dei dati e ci dicono sulla tendenza dell’insieme ad essere più o meno concentrato. Una misura di variabilità è la gamma o il range, data dalla differenza tra valore più alto e quello più basso di una distribuzione di dati. Altra misura molto utilizzata è la deviazione standard (DS) che indica il grado di dispersione o concentrazione di un insieme di dati rispetto alla media aritmetica. Più è alta la deviazione, più i punteggi sono dispersi. Quando la deviazione è bassa, la media è un buon indice rappresentativo dell’intera distribuzione; se è alta, la media perde in rappresentatività. Altro strumento utile nell’analisi dei dati in psicologia è il coefficiente di correlazione come il coefficiente di correlazione lineare r. 12 Passiamo ora all’analisi statistica inferenziale. Alla base vi è la curva normale di Gauss. La curva è simmetrica rispetto all’asse centrale che rappresenta la media. essa rappresenta la distribuzione dei punteggi di molte variabili, anche psicologiche. Trovando delle differenze tra i punteggi medi di due o più campioni, il ricercatore si può chiedere se la differenza sia reale o dovuta al caso. Per differenza significativa si indica quando la probabilità che essa sia dovuta al caso risulti inferiore al 5%. Esistono diversi test che misurano la significatività statistica, come il t-test. Grazie alla statistica inferenziale compiamo un passo ancora più avanti ma ogni conclusione, occorre sottolinearlo, si basa su una base probabilistica, non è mai certezza. CAPITOLO 4: ATTENZIONE E COSCIENZA L’attenzione Coscienza e attenzione sono due dimensioni psicologiche fondamentali per l’uso di numerose capacità psichiche. L’attenzione è l’insieme dei dispositivi e meccanismi che consentono di concentrare e focalizzare le proprie risorse mentali su alcune informazioni, definendo ciò di cui siamo consapevoli in un dato momento. I processi attentivi sono in grado di selezionare le informazioni sulla base della loro salienza, e di elaborare con particolare efficacia. Tale operazione prende il nome di attenzione selettiva. Essa è dunque il processo di selezione di informazioni sulla base della loro marcatura e salienza. Il fuoco dell’attenzione, descritto metaforicamente come ‘fascio di luce’ o come ‘fuoco di una lente’, consente di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo dell’ambiente. Esso può variare per dimensioni (a volte può essere concentrato su particolari, altre volte più esteso il disperso). Inoltre, il fuoco attentivo presenta una relazione inversa con l’efficienza di elaborazione delle informazioni: tanto più è ristretta l’area dell’attenzione tanto maggiore è l’efficienza cognitiva, e viceversa. Dunque, si tratta del processo che concentra le risorse attentivi su uno specifico stimolo dell’ambiente. In ogni momento siamo circondati da un vasto numero di stimoli. Le cose su cui ci focalizziamo, assieme alle memorie che queste evocano, determinano in larga misura che cosa si trova nella coscienza. I ricercatori si sono a lungo interrogati su quanto a fondo le persone elaborino le informazioni percettive sulle quali non hanno diretto l’attenzione cosciente. Secondo Broadbent la mente opera solo su alcuni stimoli in entrata grazie all’intervento di un sistema di filtraggio. In quest’ottica, l’elaborazione degli stimoli a cui non si presta attenzione fallisce prima del momento in cui le persone riescono a identificare gli stimoli stessi. Tra i fenomeni che sembrano contraddire questa idea rientra il cosiddetto effetto cocktail party: le persone spesso riferiscono di aver udito il proprio nome in una stanza rumorosa anche se in quel momento erano impegnati in un’altra conversazione. Tuttavia, altri ricercatori hanno criticato questi esperimenti. Nel loro insieme questi risultati suggeriscono che Broadbent avesse ragione: le persone hanno bisogno dell’attenzione cosciente per identificare immagini, suoni e altri percetti nell’ambiente. In molte situazioni l’attenzione è divisa e distribuita su diversi stimoli, come nell’esecuzione simultanea di due compiti. In questi casi la selezione dell’informazione è meno accurata come dimostrano numerosi studi. Nel caso 15 della coscienza è determinare quali tra i diversi compiti affrontati ogni giorno richieda l’intervento dei processi consci. Sonno e sogni Esperienza piuttosto profonda di alterazione della coscienza è il sonno. Durante il sonno i muscoli sono in uno stato di paralisi benigna e il cervello ferve di attività. Tutte le creature sono influenzate dai naturali ritmi del giorno e della notte. Il nostro corpo è regolato da un ciclo temporale conosciuto come ritmo circadiano: livelli di attivazione, il metabolismo, il battito cardiaco, la temperatura corporea, il fluire e rifluire dell’attività ormonale si sincronizzano sul ticchettio dell’orologio interno. La ricerca suggerisce che l’orologio utilizzato dal corpo non sia in sincronia esatta con quello appesa alla parete: senza le correzioni fornite dagli indizi temporali esterni il pacemaker umano interno sarebbe impostato su un ciclo di 24 ore e 18 minuti. L’esposizione giornaliera alla luce solare aiuta a fare quel piccolo aggiustamento che porta il ciclo a 24 ore. I ritmi circadiani sono fortemente influenzati anche dall’esposizione alla luce. Per questa ragione gli studiosi hanno lavorato alla possibilità di aiutare le persone nella regolazione dei loro ritmi circadiani proprio attraverso l’esposizione alla luce. Questi interventi in genere hanno avuto successo sui lavoratori dei turni di notte. La maggior parte di quello che si conosce sul sonno riguarda l’attività elettrica del cervello. La svolta sul piano metodologico si ebbe nel 1937 con l’elettroencefalogramma (EEG), che fornì una misura oggettiva e continua del variare dell’attività cerebrale in condizioni di sonno e di veglia. Attraverso l’elettroencefalogramma, i ricercatori scoprirono che le onde cerebrali mutano forma quando ci si addormenta dimostrano alcuni cambiamenti sistematici prevedibili durante tutto il periodo del sonno. La successiva scoperta significativa in questo ambito fu che, a intervalli periodici, durante il sonno, si verifica una scarica di movimenti oculari rapidi (REM). Il periodo in cui chi sta dormendo non mostra REM è conosciuto come sonno non-REM. Consideriamo l’andamento delle onde cerebrali durante la notte. Quando ci si prepara per andare a letto, l’EEG registra un’onda che si assesta in media sui 14 cicli al secondo (cps). Una volta messi comodamente a letto inizia il rilassamento e le onde cerebrali rallentano portandosi in un range che varia dai 12 agli 8 cps. Una volta che ci si addormenta si entra nel ciclo del sonno e ognuna delle sue fasi presenta un andamento di EEG distinto. Nella fase 1 del sonno l’EEG mostra onde che variano dai 7 ai 3 cps. Nella fase 2 l’EEG è caratterizzato dai fusi del sonno, piccole scariche di attività elettrica dai 12 ai 16 cps. Nelle due fasi successive si entra in uno stato di sonno profondo. Le onde cerebrali rallentano fino a raggiungere 1 o 2 cps e nello stesso tempo rallentano anche la respirazione il battito cardiaco. Nell’ultima fase dell’attività elettrica cerebrale aumenta: l’EEG è molto simile a quello registrato nelle prime due fasi. Durante questa fase si verifica il sonno REM e iniziano i sogni vividi. Le prime quattro fasi del sonno, il sonno non-REM, coprano circa 90 minuti. Il sonno REM dura invece 10 minuti. In una notte di sonno questo ciclo completo di circa 100 minuti si ripete dalle quattro alle sei volte. Al passare di ogni ciclo diminuisce il tempo speso in fase di sonno profondo e aumenta quelle trascorse in fase REM. Durante l’ultimo ciclo si può passare in fase REM anche un’ora. 16 Il sonno non-REM rappresenta una percentuale del 75-80% sul sonno totale, quello REM è il restante 20-25%. La lunghezza del sonno è influenzata anche dai ritmi circadiani. Una quantità adeguata di sonno REM e non-REM è possibile solo quando l’ora in cui si va a dormire e quella in cui ci si alza sono costanti lungo tutta la settimana. Inoltre, il cambiamento nella quantità di sonno che avviene qualità non significa che questo perde di importanza crescendo. Uno studio longitudinale ha seguito un gruppo di adulti sani tra i 60 e gli 80 anni per verificare se vi fosse una relazione tra le loro abitudini di sono nella durata della vita. I ricercatori hanno scoperto che le persone con una più alta efficienza di sonno avevano una maggiore probabilità di vivere più a lungo. Ma perché dormiamo? Le persone svolgono le loro funzioni abbastanza bene quando riescono a dormire 7-8 ore per notte. Le funzioni più generali del sonno non-REM sono il risparmio energetico e il riposo. Il sonno non-REM ha proprietà ristorative. Per esempio, quando il cervello è sottoposta duro lavoro nello stato di veglia il metabolismo dell’ossigeno produce delle sostanze dannose per i neuroni del tronco cerebrale, dell’ippocampo e dell’ipotalamo. Il sonno non-REM aiuta il cervello fornendogli l’opportunità di interrompere questi danni e di riparare ai danni delle cellule neuronali. Inoltre, il sonno REM fornisce al cervello un contesto in cui solidificare raggiungimento di nuovi apprendimenti. Importante sottolineare, tuttavia, come anche il sonno non-REM abbia un ruolo nel consolidamento dell’apprendimento della memoria. Data l’importanza che sono riveste per diversi motivi possono esserci considerevoli conseguenze se le persone dormono troppo poco. La deprivazione di sonno ha una serie di effetti negativi sulle prestazioni cognitive, come difficoltà di attenzione e problemi con la memoria di lavoro. Essa danneggia inoltre l’abilità delle persone di cimentarsi in compiti di tipo motorio. Sogni: il teatro della mente I sogni sono diventati un’area di studio vitale per la ricerca scientifica. Gran parte della ricerca si sogni si svolge nei laboratori del sonno, dove gli sperimentatori possono monitorare le persone che dormono nelle fasi REM e non-REM del sonno. I sogni hanno luogo anche nella fase non-REM, anche se essi hanno una probabilità minore di contenere storie ad alto coinvolgimento emotivo e sono più simili al pensiero diurno contenendo meno immagini sensoriali. La teoria più importante nella cultura occidentale moderna fu proposta da Freud. Freud chiamava i sogni ‘psicosi transitorie’ e ‘modelli di follia notturna’ o anche la ‘via regia verso l’inconscio’. L’interpretazione dei sogni (1900) è il suo libro più famoso. Freud sosteneva che tutti sogni fossero l’appagamento di un desiderio: secondo questo punto di vista, i sogni permetterebbero alle persone di esprimere desideri inconsci molto forti in una forma mascherata e simbolica. Le due opposte forze dinamiche che operano in un sogno, quindi, sono il desiderio e la censura, una difesa contro il desiderio. La censura trasforma il significato nascosto, o contenuto latente, del sogno in contenuto manifesto, che appare al sognatore dopo un processo di distorsioni che Freud chiama lavoro onirico. Il contenuto manifesto è la versione accettabile della storia; il contenuto latente, invece, rappresenta la verità integrale, socialmente o personalmente accettabile. Per gli psicoanalisti, che utilizzano l’analisi del materiale 17 onirico per capire e curare i problemi dei pazienti, i sogni rivelano desideri inconsci, le paure connesse a questi desideri e meccanismi di difesa che il paziente utilizza per gestire il conflitto derivante. La teoria di Freud sull’interpretazione dei sogni dei sogni lega i simboli onirici alla sua dissertazione sulla psicologia umana. L’enfasi posta da Freud sull’importanza psicologica dei sogni ha segnato la strada per l’analisi contemporanea del contenuto dei sogni. La maggior parte delle persone, nelle società occidentali, non pensa seriamente propri sogni finché non diventa studente di psicologia o entra in terapia. Al contrario in molte culture occidentali la condivisione e l’interpretazione dei sogni fanno parte del tessuto culturale. Basti pensare alla pratica quotidiana degli indiani Archur in Ecuador. Durante i raduni mattutini, ognuno racconta il proprio sogno e gli altri offrono la loro interpretazione. La credenza che gli individui sognino per la comunità nel suo complesso è in contrasto con la visione di Freud per cui i sogni sono la via regia verso l’inconscio individuale. In molte culture specifici gruppi di individui sono indicati con i possessori di speciali poteri che li aiutano a interpretare i sogni. Nella cultura Maya gli sciamani hanno il ruolo di interpreti dei sogni. Al contrario della cultura di Freud, che rivolge l’interpretazione dei sogni al passato, verso le esperienze dell’infanzia e i desideri repressi, in molte altre culture si crede dunque che i sogni rappresentino una visione al futuro. Il punto di contatto tra i diversi approcci all’interpretazione dei sogni è che essi forniscono informazioni di autentico valore per la persona o la comunità. Lo studio alla base biologica del sogno ha messo in discussione questa visione. Un esempio è il modello di attivazione-sintesi. Secondo questo punto di vista non ci sono legami logici, significati intrinseci o andamenti coerenti in questi improvvisi e casuali picchi di ‘segnali’ elettrici. La ricerca contemporanea sui sogni tuttavia contraddice questa visione secondo cui il contenuto del sogno emerge da segnali elettrici casuali. Gli studi di neuroimaging suggeriscono che l’ippocampo sia attivo durante il sonno REM. Un’altra struttura cerebrale che gioca un ruolo importante delle memorie emotive, l’amigdala, è piuttosto attiva durante il sonno REM. Questa comprensione profonda degli aspetti fisiologici dei sogni supporta la teoria che una delle funzioni del sonno sia mettere insieme ‘le recenti esperienze di un individuo con i suoi obiettivi, desideri e problemi’. Secondo questo punto di vista, il contenuto dei sogni riflette il tentativo del cervello di tessere una trama narrativa attorno ai vari frammenti della vita recente di una persona che emergono in fase di sonno REM. Alcune persone hanno più difficoltà di altre nel ricordare i propri sogni ed è più facile ricordare i sogni a risveglio dalla fase REM o vicino ad essa. Stati di coscienza alterati Ogni cultura ha sviluppato pratiche che permettono di andare oltre la coscienza e di sperimentare stati di coscienza alterati. Uno di questi è l’ipnosi. Il termine ipnosi deriva da Ipno, il nome del dio greco del sonno. Una definizione generale di ipnosi è quella di uno stato di consapevolezza alternativo, caratterizzato dalla capacità che hanno alcune persone di rispondere alle suggestioni con cambiamenti di percezioni, memoria, motivazioni e un senso di controllo di sé. Nello stato ipnotico i partecipanti mostrano un’accresciuta responsività ai suggerimenti 20 Un cambiamento nel comportamento o nel comportamento potenziale È possibile analizzare l’apprendimento in modo diretto, osservando i cambiamenti all’interno del cervello. Già Hebb nel 1949 aveva sottolineato l’idea della plasticità neurale in connessione con l’attività nervosa indotta dall’esperienza. Studiando il sistema nervoso di una lumaca Kandel e Antonov hanno messo in evidenza che durante i fenomeni di abituazione e sensibilizzazione i collegamenti sinaptici si modificano, si rafforzano e si indeboliscono. Secondo LeDoux (2002), la maggior parte delle strutture cerebrali è in grado di apprendere dall’esperienza, dal momento che le proprietà delle loro sinapsi possono essere modificate dall’esperienza. Tuttavia, l’apprendimento può essere più facilmente rilevabile da un cambiamento a livello delle prestazioni, anche se da sola la prestazione non è sempre in grado di mostrare tutto ciò che si è appreso. Un cambiamento relativamente stabile e duraturo Per essere appreso, un cambiamento nel comportamento deve mantenersi relativamente costante nelle diverse circostanze. Se una persona si allena ogni giorno nel tiro con l’arco, per esempio, può diventare molto brava in questo sport, ma se decide di interrompere la pratica le sue competenze possono regredire fino al livello di partenza. Un processo continuo L’apprendimento inoltre è un processo continuo. Esso rappresenta una tappa fondamentale nel processo di evoluzione delle specie animali, anche se implica un dispendio di risorse per passare dalla condizione di non conoscenza a quella di conoscenza. In particolare, l’apprendimento è intrinseco all’esperienza degli esseri umani, che sono nella condizione di apprendere in ogni situazione. L’apprendimento ha un carattere storico nell’autobiografia di ciascuno di noi. Grazie a questa contingenza siamo nella condizione di imparare sempre, in ogni occasione e in qualsiasi momento, in modo deliberato o in modo inconsapevole, in modo esplicito o attraverso percorsi impliciti. Se la nostra vita è esperienza (e quindi apprendimento continuo), ne consegue che ciò che impariamo in modo accidentale e inconsapevole è molto più di quello che impariamo in modo volontario e intenzionale. Tale apprendimento continuo, pur non essendo esclusivo della nostra specie, ha ricevuto un’accelerazione esponenziale negli esseri umani. Esso si fonda direttamente sull’esperienza, intesa come “tutto ciò che accade”. In quanto tale, essa è la fonte di tutte le conoscenze e le competenze attraverso la sequenza dei successi e, soprattutto, degli insuccessi. Pur essendo ubiquitario e perenne, l’apprendimento è selettivo, in quanto si basa sulla ricerca di conferme di apprendimenti precedenti (conservazione), oppure è orientato all’acquisizione di nuove prospettive, competenze ecc. (innovazione). Abituazione e sensibilizzazione Immaginiamo di esaminare una fotografia raffigurante una scena piacevole. Alla prima osservazione potremmo provare un’emozione abbastanza intensa. In ogni caso, se si osserva la stessa immagine molte volte in un tempo contenuto, la risposta emotiva diventerà sempre più debole. Questo è un esempio di abituazione: quando uno 21 stimolo è presentato ripetutamente si riscontra una diminutio della risposta comportamentale. Il processo di abituazione si adatta alla definizione di apprendimento: c’è un cambiamento nel comportamento – la risposta emotiva diventa più debole – che è basato sull’esperienza – l’immagine è osservata ripetutamente – e questo cambiamento comportamentale è stabile – non ritorneremo al livello originario di risposta emotivo. In ogni caso, è improbabile che il cambiamento della risposta emotiva sia permanente. Se osserviamo di nuovo l’immagine dopo che è trascorso un certo tempo, la potremmo trovare nuovamente coinvolgente. Quando si attiva il processo di sensibilizzazione, la risposta a un dato stimolo che si presenta ripetutamente diventa più forte, piuttosto che più debole. Immaginiamo di essere sottoposti allo stesso stimolo doloroso molte volte in un breve lasso di tempo. Anche se l’intensità dello stimolo rimanesse costante, provereste più dolore durante l’ultima somministrazione dello stimolo rispetto alla prima. Il concetto di sensibilizzazione di adatta alla definizione di apprendimento perché ripetute esperienze di uno stimolo doloroso portano a un cambiamento costante nella risposta comportamentale (l’aumento nell’intensità del dolore percepito). In generale, è più probabile una risposta di sensibilizzazione quando gli stimoli sono intensi o fastidiosi, mentre negli altri casi è più frequente il meccanismo di abituazione. 5.2 Condizionamento classico Immaginiamo di guardare un film horror. Il cuore inizia a battere più forte quando la colonna sonora suggerisce che sta per succedere qualcosa di pericoloso al protagonista. In qualche modo il corpo impara a produrre una risposta fisiologica (un aumento del battito cardiaco) quando un evento situazionale (una musica che esprime tensione) è associato ad un altro evento (uno stimolo visivo spaventoso). Questo tipo di apprendimento è definito condizionamento classico, una forma base di apprendimento in cui uno stimolo o evento predice il verificarsi di un secondo stimolo o evento. L’organismo apprende una nuova associazione tra due stimoli, uno stimolo che in precedenza non attivava una certa risposta a un altro che attivava quella risposta automaticamente. L’esperimento di Pavlov Si tratta probabilmente della più celebre scoperta fortuita della psicologia. Il fisiologo russo Pavlov stava conducendo una ricerca sulla digestione quando si imbattette nel condizionamento classico, e per questi studi vinse il Nobel nel 1904. Pavlov aveva sviluppato una tecnica per studiare i processi della digestione nei cani inserendo alcune fistole nelle ghiandole salivari e negli organi digestivi al fine di deviare le secrezioni corporee in contenitori esterni e poterle così misurare e analizzare. Per attivare queste secrezioni, gli assistenti di Pavlov nutrivano il cane con carne liofilizzata. Dopo aver ripetuto questa procedura un certo numero di volte, Pavlov osservò inaspettatamente che i cani iniziavano a salivare prima di essere nutriti. La salivazione compariva alla semplice vista del cibo e, in seguito, alla sola vista dell’assistente. Quasi per caso, lo scienziato osservò che l’apprendimento avrebbe potuto essere l’esito dell’associazione fra due eventi. Per il resto della vita Pavlov continuò a studiare le 22 variabili che influenzano il comportamento condizionato, chiamato anche condizionamento pavloviano, in onore alla sua scoperta. Ancora, durante gli esperimenti i cani venivano collocati in imbracature che impedivano loro di muoversi. A intervalli regolari, uno stimolo acustico precedeva la presentazione di cibo al cane. Lo stimolo acustico era neutro, come si potrà immaginare, la prima reazione del cane allo stimolo fu solo una risposta di orientamento, il cane tendeva le orecchie e si orientava verso la sorgente del suono. In seguito, dopo ripetute associazioni fra stimoli acustici e cibo, la risposta di orientamento lasciò il posto alla salivazione. Quello che Pavlov aveva osservato nella sua ricerca iniziale non era frutto del caso: il fenomeno poteva essere replicato in condizioni controllate. Pavlov dimostrò la generalizzabilità di questo effetto utilizzando una molteplicità di altri stimoli inizialmente neutri rispetto alla salivazione (es. stimoli luminosi). Il punto di partenza del condizionamento classico è costituito dai riflessi come la salivazione, il riflesso del ginocchio ecc. Un riflesso è una risposta innescata naturalmente, attivata o elicitata, da stimoli specifici biologicamente rilevanti per l’organismo. Qualsiasi stimolo che attiva un riflesso sul piano fisiologico – come il cibo liofilizzato usato da Pavlov – è definito stimolo incondizionato poiché il comportamento di risposta si verifica in presenza dello stimolo senza necessità di apprendimento. Il comportamento attivato da uno stimolo incondizionato è definito risposta incondizionata. Negli esperimenti di Pavlov, lo stimolo luminoso o acustico non innestava originariamente il riflesso della salivazione; in seguito, ciascuno di essi era abbinato in modo ripetuto con lo stimolo incondizionato. Uno stimolo inizialmente neutro, chiamato stimolo condizionato, è in grado di attivare un comportamento a condizioni che sia associato con uno stimolo incondizionato. Dopo diversi trial, lo stimolo condizionato produsse una risposta che Pavlov chiamò risposta condizionata, questa è un comportamento attivato non da uno stimolo fisiologicamente rilevante (stimolo incondizionato), ma da uno stimolo neutro (di per sé inefficace) diventato rilevante se associato regolarmente con uno stimolo incondizionato. In sintesi, la biologia fornisce le connessioni STIMOLO INCONDIZIONATO (SI) – RISPOSTA INCONDIZIONATA (RI), mentre l’apprendimento prodotto dal condizionamento classico crea le connessioni STIMOLO CONDIZIONATO (SC) – RISPOSTA CONDIZIONATA (RC). Processi di condizionamento L’acquisizione è quel processo attraverso cui la risposta condizionata è inizialmente attivata e aumenta gradualmente in frequenza in seguito a prove ripetute. In generale, stimolo condizionato e stimolo incondizionato devono essere accoppiati molte volte prima che lo stimolo condizionato attivi la risposta condizionata in modo affidabile. Associando in maniera sistematica SC-SI, la RC è elicitata con una frequenza crescente, e si può dire che l’organismo abbia acquisito una risposta condizionata. Nel condizionamento classico la contiguità temporale (timing) è fondamentale. SC e SI devono essere presentati in tempi abbastanza vicini per essere percepiti dall’organismo come associati. Il modello di condizionamento 25 La legge dell’effetto Nello stesso periodo in cui Pavlov scopriva il condizionamento classico per indurre la salivazione nei cani al suono di una campanella, Thorndike (1898) osservava il comportamento dei gatti che cercavano di uscire da una gabbia- problema. Thorndike riportò le sue osservazioni e le sue successive inferenze circa il tipo di apprendimento che stava avvenendo nei felini. I gatti inizialmente si limitavano a dibattersi contro la situazione di prigionia ma, una volta che alcune azioni “impulsive” permisero loro di aprire la porta, “tutti gli altri impulsi privi di effetti furono estinti e l’impulso particolare che aveva portato al successo venne fissato grazie al piacere che ne risultò”. Cosa avevano imparato i gatti di Thorndike? L’apprendimento era derivato dall’associazione tra lo stimolo fornito dalla situazione e dalla risposta che l’animale aveva imparato a dare: una connessione stimolo risposta (S-R). I gatti, quindi, avevano imparato a produrre una risposta adeguata (agganciare con la zampa un bottone o un occhiello) che in questa situazione (la prigionia nella gabbia) portava a un esito desiderato (la temporanea libertà). Si noti che l’apprendimento di queste connessioni S-R avveniva gradualmente e in modo automatico man mano che l’animale, attraverso un meccanismo di prove ed errori, sperimentava le conseguenze delle sue azioni. Pian piano i comportamenti che avevano portato a conseguenze soddisfacenti aumentavano la loro frequenza; essi, infine, diventavano la risposta dominante quando l’animale era chiuso nella gabbia-problema. Thorndike chiamò legge dell’effetto questa relazione tra il comportamento e le sue conseguenze: una risposta seguita da esiti (effetti) soddisfacenti diventa più probabile, mentre una risposta seguita da conseguenze spiacevoli diventa meno probabile. Analisi sperimentale del comportamento Skinner condivideva la prospettiva di Thorndike secondo cui le conseguenze ambientali esercitano un forte effetto sul comportamento. Egli mise a punto un programma di ricerca il cui scopo era scoprire, attraverso la variazione sistematica delle condizioni di stimolazione, il modo in cui varie condizioni ambientali influenzano la probabilità che una data risposta si verifichi. Per analizzare il comportamento, Skinner sviluppò le procedure del condizionamento operante, nelle quali manipolò le conseguenze del comportamento di un organismo al fine di valutarne l’effetto sul comportamento successivo. Un comportamento operante è qualunque tipo di comportamento messo in atto dall’organismo in grado di produrre effetti osservabili sull’ambiente. Letteralmente, operante significa che opera sull’ambiente e, in quanto tale, ha un effetto su di esso. I comportamenti operanti non sono attivati da riflessi innati come quelli previsti dal condizionamento classico. I piccioni beccano, i bimbi piangono, alcune persone gesticolano mentre parlano. La probabilità che questi comportamenti si verifichino in futuro può essere aumentata o ridotta manipolando gli effetti che hanno sull’ambiente. Se il vocalizzo di un bambino produce come effetto il contatto desiderato con i genitori, egli produrrà quel vocalizzo più spesso in futuro. Il condizionamento operante, quindi, modifica la probabilità del verificarsi di diversi tipi di comportamento operante in funzione delle conseguenze che essi producono sull’ambiente. 26 Per portare avanti la sua analisi sperimentale, Skinner inventò un apparecchio che gli permetteva di manipolare le conseguenze del comportamento: la camera operante o Skinner box. Quando, dopo aver prodotto un comportamento adeguato definito dallo sperimentatore, un ratto preme una leva, il meccanismo fornisce una porzione di cibo. Questo strumento permette allo sperimentatore di studiare le variabili che portano i ratti a imparare il comportamento da loro definito. Per esempio, se premere la leva produce una ricompensa in cibo solo dopo che il ratto ha girato in tondo, il ratto imparerà rapidamente a girare in tondo prima di premere la leva. Questa metodologia permise a Skinner di studiare l’effetto del rinforzo sul comportamento dell’animale. Il meccanismo del rinforzo Il meccanismo del rinforzo si genera grazie a un’associazione ripetuta tra una risposta e il cambiamento che essa produce nell’ambiente. Immaginiamo un esperimento nel quale la beccata di un piccione su un bottone (la risposta) sia generalmente seguita dall’emissione di cibo (il corrispondente cambiamento nell’ambiente). Tale reazione costante, o rinforzo, sarà solitamente accompagnata da un aumento della frequenza delle beccate. I rinforzi sono sempre definiti empiricamente, nei termini dei loro effetti nel modificare la probabilità di una risposta. Esistono tre classi di stimoli: 1. Quelli verso cui si è neutrali; 2. Quelli che risultano appetitivi perché piacevoli; 3. Quelli avversivi che si vogliono evitare perché spiacevoli. Chiaramente la composizione di queste tre classi non è la stessa per tutti gli individui: che cosa sia piacevole o spiacevole è definito dal comportamento del singolo organismo. Quando un comportamento è seguito dall’erogazione di uno stimolo piacevole, si parla di rinforzo positivo (gli uomini racconteranno barzellette se queste sono seguite dalle risate divertite del pubblico). Quando un comportamento è seguito dalla rimozione di uno stimolo spiacevole, si parla di rinforzo negativo. Ci sono due tipi di circostanze di apprendimento in cui si applica il rinforzo negativo. Nel condizionamento operante di fuga gli organismi imparano che una risposta permetterà loro di scappare da uno stimolo aversivo. Usare un ombrello durante un acquazzone è un esempio di questo tipo di apprendimento. Nel condizionamento operante di evitamento gli organismi imparano le risposte che consentono loro di evitare gli stimoli spiacevoli prima ancora che appaiano. Se la vostra macchina è dotata di un segnale acustico che si attiva quando dimenticate di allacciare la cintura, con tutta probabilità avrete imparato ad allacciarla prima che scatti quel suono fastidioso. Per distinguere tra rinforzo positivo e rinforzo negativo, è bene ricordare che entrambi aumentano la probabilità del verificarsi della risposta che li precede, ma il rinforzo positivo aumenta la probabilità facendo seguire la risposta da uno stimolo piacevole; quello negativo fa la stessa cosa ma al contrario, attraverso la rimozione, la riduzione o l’evitamento preventivo di uno stimolo spiacevole. 27 Come avviene nel condizionamento classico, anche nel condizionamento operante si verifica il recupero spontaneo. Immaginate di aver rinforzato il comportamento di un piccione dandogli una porzione di cibo quando ho beccato un pulsante in presenza di una luce verde. Se smettete di rinforzare questo comportamento, esso si estinguerà. Tuttavia, la volta successiva, se rimettete il piccione nell’apparato, con la luce verde accesa, esso ricomincerà spontaneamente a beccare quel pulsante, manifestando così recupero spontaneo. Punizioni positive e negative Uno stimolo punitivo è qualunque stimolo che, somministrato in modo contingente a una risposta, ne diminuisce nel tempo la probabilità di verificarsi. La punizione è l’erogazione di uno stimolo punitivo dopo una risposta. Quando un comportamento è seguito dalla somministrazione di uno stimolo spiacevole si parla di punizione positiva (si utilizza la parola “positivo” perché si tratta dell’aggiunta di qualcosa alla situazione). Toccare una stufa bollente produce dolore; questo punisce la precedente risposta. Quando un comportamento è seguito dalla rimozione di uno stimolo piacevole si parla punizione negativa (si utilizza la parola “negativo” perché si tratta della sottrazione di qualcosa dalla situazione). Quando un genitore toglie la paghetta al figlio dopo che questi ha picchiato il fratello minore, il bambino imparerà a non comportarsi in un quel modo. La punizione, per definizione, riduce la probabilità che una risposta si verifichi nuovamente; il rinforzo, per definizione, aumenta la probabilità che la risposta si riproponga. Stimoli discriminativi e generalizzazione Attraverso l’associazione con rinforzi e punizioni, alcuni stimoli che precedono una particolare risposta creano il contesto per quel comportamento: si tratta degli stimoli determinativi. Gli organismi imparano che, in presenza di alcuni stimoli ma non di altri, il loro comportamento produrrà probabilmente un particolare effetto sull’ambiente. In presenza di semaforo verde, è attivato l’atto di attraversare un incrocio. Skinner chiamò contingenza a tre termini la sequenza composta da stimolo discriminativo-comportamento-conseguenza. Egli sostenne che questa sequenza potesse spiegare la maggior parte dell’agire umano, un concetto fondamentale delle teorie comportamentiste. In condizioni di laboratorio, manipolare sperimentalmente le conseguenze di un comportamento, in presenza di uno stimolo discriminativo, può portare a un forte controllo di quel comportamento. Per esempio, un piccione potrebbe ricevere cibo se becca un pulsante verde ma non in presenza di luce rossa. La luce verde è lo stimolo discriminativo che crea il contesto in cui beccare; la luce rossa, al contrario, è lo stimolo discriminativo che produce il contesto in cui non farlo. Gli organismi spesso generalizzano le risposte ad altri stimoli che somiglino agli stimoli discriminativi. Gli automobilisti generalizzano le diverse tonalità di verde dei semafori come stimoli discriminativi dell’attraversare gli incroci. 30 Negli schemi a intervallo variabile (IV) la media dell’intervallo è determinata. Per esempio, in uno schema IV- 20, i rinforzi sono forniti a un tasso medio di 1 ogni 20 secondi. Questo tipo di schema genera un tasso di risposta moderato ma costante. L’estinzione è graduale e più lenta di quanto avviene all’interno di uno schema IF. Se vi è capitato di seguire un corso con un professore che programmava occasionali test a sorpresa, allora avete sperimentato uno schema IV. Probabilmente se non studiavate gli appunti volta per volta avete cambiato abitudini! Modellamento (shaping) Precedentemente si è parlato di ratti che hanno imparato a premere una leva per ottenere del cibo, producendo così un comportamento che raramente potrebbero mettere in atto in modo spontaneo. Com’è possibile? Per addestrare il ratto all’esecuzione di comportamenti nuovi e complessi dovrete utilizzare un metodo chiamato modellamento per approssimazioni successive: si rinforza ogni risposta che in modo progressivo si avvicina e infine che ricalca il comportamento desiderato. Si può fare in questo modo. Per prima cosa deprivate il ratto del cibo per un giorno (senza deprivazione è improbabile che il cibo funga da rinforzo). In seguito, fate in modo che porzioni di cibo siano sistematicamente disponibili nel distributore di cibo della camera operante; in questo modo il ratto impara che è lì che deve andare a cercare il cibo. Ora può iniziare il processo di modellamento vero e proprio, fornendo il cibo in modo contingente a specifici aspetti del comportamento del ratto, come l’orientamento di questo ultimo in direzione della leva. In seguito, il cibo sarà fornito solo quando il ratto si sposterà sempre più vicino alla leva. Successivamente il comportamento richiesto per ottenere il rinforzo sarà toccare la leva. Infine, il ratto dovrà premere la leva a tutti gli effetti per ottenere il premio. Attraverso piccoli progressi il ratto ha imparato che premere una leva gli procura una ricompensa in cibo. Quindi, il processo di modellamento, o shaping, consiste nel definire che cosa costituisce un progresso verso il risultato desiderato e nell’utilizzare un rinforzo differenziale per perfezionare ogni passaggio lungo il percorso. È possibile utilizzare il modellamento per insegnare al ratto come girare in tondo all’interno della gabbia? All’inizio si potrebbe rinforzare il comportamento del ratto al solo girare la testa in una particolare direzione e poi consentirgli di ottenere il cibo solo quando farà girare tutto il corpo nella stessa direzione. Le due forme di apprendimento, condizionamento classico e condizionamento operante, sono le modalità fondamentali attraverso cui si è espresso l’approccio dell’apprendimento associativo, che ha contraddistinto le prime teorie comportamentiste. Si tratta di una teoria meccanicista, poiché la contiguità temporale e spaziale e la contingenza nella connessione fra stimoli e risposte agiscono in modo automatico e di necessità. Entro questo contesto l’apprendimento è misurato come variazione delle risposte comportamentali dopo la situazione di stimolazione, e l’organismo è essenzialmente passivo nel processo di apprendimento. 5.4 Imprinting e apprendimento L’apprendimento è spesso un processo sociale fondato sull’interazione fra due o più organismi. Fra i diversi fenomeni osservati in ambito etologico, quello più noto è l’imprinting. Studiato per primo da Heinroth, è un 31 apprendimento precoce da parte di animali appena nati che dimostrano una reazione di inseguimento verso il primo oggetto mobile che vedono o sentono. In pratica, i piccoli stabiliscono un forte legame sociale, di attaccamento, con il primo oggetto mobile (di norma la madre) che incontrano nel corso delle prime ore di vita. L’oca di Lorenz e il pulcino intelligente L’oca di Lorenz è passata alla storia per aver riconosciuto come madre il famoso etologo austriaco. Lorenz dimostrò il fenomeno dell’imprinting, una forma di apprendimento innato che funziona soltanto in un periodo critico, periodo breve e circoscritto che corrisponde alle prime fasi dello sviluppo del neonato. Questi assimila l’informazione “mamma”, che manterrà in memoria per lunghissimi periodi. Per Lorenz (1935) l’imprinting è un apprendimento qualitativamente diverso da quello associativo, e la costruzione di questo legame sociale sarebbe guidata da meccanismi predisposti geneticamente. Attraverso studi condotti in laboratorio, Vallortigara e colleghi (1998) hanno mostrato che l’approccio classico di Lorenz al fenomeno dell’imprinting potrebbe essere incompleto o perfino non corretto, dato che questo tipo di apprendimento non avviene né rapidamente né in maniera reversibile. Inoltre, sembra che l’imprinting non sia circoscrivibile a un vero e proprio periodo critico. In particolare, il concetto di periodo critico è stato rinominato periodo sensibile, per indicare il periodo in cui le influenze ambientali sono più efficaci per l’apprendimento di conoscenze e di abilità. In un esperimento (Vallortigara) l’imprinting è stato usato per studiare le capacità di apprendimento spaziale e di memoria dei pulcini. Dopo la schiusa i pulcini erano esposti per qualche ora allo stimolo di imprinting, una pallina rossa, che riconoscevano pertanto come “mamma”. Spostando la pallina dietro uno schermo opaco si osservava ciascun pulcino seguire e raggiungere la sua mamma. A questo punto il pulcino era sottoposto a un test simile al gioco del nascondino: si chiudeva il pulcino in un box trasparente dal quale poteva osservare la pallina rossa mentre andava a nascondersi dietro uno schermo opaco (diverso da quello di prima). Dopo un certo intervallo di tempo il pulcino veniva liberato e senza esitazione riusciva a ritrovare immediatamente la sua “mamma”. Il test ha inoltre evidenziato che i pulcini son in grado di mantenere un buon ricordo per intervalli di tempo fino a 60 secondi. Questo comportamento prende il nome di risposta ritardata ed è stato osservato anche in molte specie di primati, compreso l’uomo. 5.5 Apprendimento cognitivo L’insight viene designato come un’intuizione improvvise. Questo fenomeno costituisce una difficoltà per il comportamentismo perché sono manifestazioni difficili da spiegare nei termini di condizionamento pavloviano o skinneriano. Molti psicologi ritengono che queste intuizioni siano causate da un processo totalmente differente, noto come apprendimento cognitivo. Secondo la psicologia cognitiva, alcune forme di apprendimento devono essere spiegate in termini di cambiamenti relativi ai processi mentali, piuttosto che di cambiamenti comportamentali. 32 Apprendimento per insight Köhler, psicologo della Gestalt, insoddisfatto della spiegazione proposta dai comportamentisti, propose una nuova prospettiva per spiegare l’apprendimento. Egli riteneva che la psicologia dovesse riconoscere i processi mentali come una componente essenziale dell’apprendimento, anche se gli eventi mentali erano stati rifiutati dai comportamentisti in quanto ritenuti semplici speculazioni soggettive. A Tenerife sottopose a verifica sperimentale la sua concezione cognitiva dell’apprendimento a partire dall’osservazione del comportamento stesso. Köhler mostrò che gli scimpanzé potevano imparare a risolvere problemi complessi non solo per prove e per errori – come sosteneva la teoria comportamentista -, ma anche tramite improvvise intuizioni improvvise. Lo scimpanzé Sultan era in grado di ammucchiare delle casse per raggiungere la frutta messa in alto ed era anche in grado di usare un bastone per procurarsi il cibo in alto, quando Köhler sottopose l’animale ad un nuovo scenario che richiedeva di combinare insieme i due apprendimenti. Infine, vi riuscì. Tale comportamento, argomentò Köhler, mostrava che gli animali non si limitavano ad utilizzare meccanicamente risposte condizionate, ma potevano imparare attraverso il processo da lui definito apprendimento per insight (1925), ossia attraverso una riorganizzazione della propria percezione dei problemi di una data situazione. Secondo Köhler le scimmie, così come gli umani, imparano a risolvere i problemi percependo improvvisamente oggetti familiari attraverso nuove forme o relazioni: un processo più mentale che comportamentale. Le mappe cognitive Poco dopo gli esperimenti di Köhler con gli scimpanzé anche i ratti nel laboratorio di Edward Tolman a Berkeley iniziarono a evidenziare comportamenti che contrastavano con l'allora diffusa dottrina comportamentista. Infatti, i ratti riuscivano esplorare i labirinti del laboratorio come se seguissero una mappa mentale piuttosto che eseguendo meccanicamente una serie di comportamenti appresi. Immagini mentali A livello psicologico, una mappa cognitiva genera un'immagine mentale che un organismo usa per muoversi all'interno di un ambiente familiare. Una mappa cognitiva, argomentò Tolman, è l'unico modo di rendere conto di come un ratto riuscisse a selezionare velocemente un percorso alternativo in un labirinto, quando la strada usuale per raggiungere l'obiettivo era bloccata. Piuttosto che esplorare ciecamente le diverse parti del labirinto per prove ed errori (come sostenuto dalla teoria comportamentista) i ratti di Tolman si comportavano come se fossero in possesso di una rappresentazione mentale del labirinto. Per supportare ulteriormente l'ipotesi che l'apprendimento fosse mentale anziché eminentemente comportamentale Tolman compì un altro esperimento: dopo che i suoi ratti ebbero imparato a percorrere un labirinto, lo riempì di acqua e dimostrò che i ratti erano comunque capaci di nuotare nel labirinto. Questo evidenziò che gli animali avevano appreso concetti, non solo comportamenti. I ratti di Tolman avevano acquisito una rappresentazione mentale della disposizione spaziale del labirinto. 35 individuo, fatta eccezione per i casi in cui c'è un rapido declino dell’apprendimento, come quando si apprende una tecnologia ma poi non si mette in pratica appunto. In secondo luogo, è un apprendimento che avviene in sinergia con gli altri processi cognitivi, in particolare la memoria. Apprendere le tecnologie comporta una performance sul mezzo, ossia la prestazione su quel particolare strumento tecnologico determinata dall'insieme delle azioni tecnologiche che l'utente mette in atto. La prestazione tecnologica implica di norma il confronto con nuovi prodotti, consentendo di creare interazione fra individuo e mezzi elettronici e di condividere l'esperienza tecnologica senza bisogno di valutazioni finali. 2. Apprendere attraverso le tecnologie: L’e-learning è un esempio particolare di apprendimento mediato dalle tecnologie che è in parte esterno alla scuola, in parte interno. Il lavoro individuale richiesto dall’e- learning fa riflettere sulla possibilità che il discende impari attraverso l’esperienza, le prove ed errori e la ricerca di soluzioni. L’importanza degli apprendimenti procedurali (ciò che l’individuo impara a fare) evidenzia il carattere in parte implicito dell’e-learning, per cui non è sempre del tutto consapevoli di ciò che si sta imparando. D’altra parte, se da un lato imparare procedure concrete al posto di regole astratta garantisce l’immediata applicabilità dell’apprendimento, dall’altro non ne garantisce la generalizzabilità. Di conseguenza, la conoscenza che genera rischia di diventare presto obsoleta. 3. E-learning e apprendimento tradizionale: L’e-learning si distingue anzitutto da forme di autoapprendimento non guidato. Anche se le figure del tutor del docente non sono fisicamente presenti, essi svolgono un ruolo centrale nell’e-learning. E la mancanza di interazione in uno spazio reale è sostituita da un'interazione virtuale. Se ben gestita, la mancanza di un'interazione in aula può non essere un limite, ma un arricchimento, in quanto il web e ha tra le sue potenzialità la possibilità di mettere in contatto persone che vivono in contesti geografici, sociali e culturali diversi. Utile e vantaggiosa in un processo di formazione tecnica specifica e professionalizzante, tale impostazione si adatta a fatica alla formazione universitaria, dove è richiesto anzitutto la comprensione dei fondamenti epistemologici di una disciplina in relazione agli altri campi del sapere. Fra i principali vantaggi dell’e-learning vale la pena menzionare la flessibilità e la possibilità di autoregolazione dell'apprendimento. Questa assenza dei vincoli però può anche essere interpretata come assenza di regolarità nel percorso didattico, prova ne è l'alta percentuale di abbandoni. Serious Games I Serious Games rappresentano una manifestazione innovativa e fondamentale della mente simulativo, si potrebbe dire una rivoluzione culturale poiché, essendo in grado di stimolare qualsiasi aspetto dell’esperienza, sono lo strumento principale per acquisire e perfezionare competenze in qualsiasi settore dell’esperienza umana. Il termine “Serious Game” (gioco serio) è un ossimoro, poiché un termine nega l'altro almeno in apparenza. Tuttavia, nel corso della nostra esistenza si manifesta un legame profondo e intrinseco fra le attività di gioco e la serietà dell’apprendimento: attività di gioco e simulazione mentale costituiscono un intreccio indissolubile con 36 l'apprendimento fin da bambini. È possibile definire i Serious Games come attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise e accurate, in grado di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi, partecipati e coinvolgenti di apprendimento nei vari domini dell’esistenza umana. Secondo Bergeron, un Serious Game è un’applicazione digitale interattiva, che: a) Ha un obiettivo sfidante; b) È divertente da usare e coinvolgente; c) Incorpora concetti di punteggio; d) Fornisce al partecipante un’abilità, conoscenza o atteggiamento che possono essere applicati nella realtà. Per prima cosa i Serious Games sono giochi simulativi virtuali che, impiegando dispositivi digitali, riproducono aspetti presenti dell'esperienza, amplificano i dati della realtà e anticipano prospettive future. Gli aspetti simulativi dei Serious Games hanno un grado di fedeltà decisamente variabile, si distingue fra ad alta fedeltà e a bassa fedeltà. In secondo luogo, i Serious Games trovano nel gioco la loro ragione d'essere, un supporto fondamentale. La componente ludica rappresenta il motore motivazionale, intrinseco ed è inoltre fonte di emozioni positive. L'eventuale presenza di un sistema di punteggi e la valutazione dinamica costituiscono ulteriori elementi per rafforzare l'impegno e sostenere il livello di gioco, soprattutto quando quest'ultimo diventa complesso. Infine, i Serious Games sono finalizzati all'apprendimento. Anzi, si propongono di diventare un nuovo e rilevante percorso per apprendere conoscenze, competenze, capacità nei vari domini dell'esperienza. A differenza dei videogiochi, i Serious Games sono di norma integrati di informazioni che forniscono elementi guida in grado di illustrare e spiegare il senso e il percorso. In molti casi lo svolgimento dei Serious Games avviene una situazione guidata come in un’aula scolastica. In questi casi la figura di un esperto può fornire ulteriori commenti sulle finalità del Serious Game in oggetto. Anche la condivisione tra i partecipanti un’esperienza multi-utente può aumentare la consapevolezza dei processi di apprendimento, grazie agli scambi e ai commenti reciproci. 5.8 Valutazione dell’apprendimento La valutazione è un momento essenziale e critico per ogni forma di apprendimento. È necessario verificare e misurare quanto il discente ha imparato e in che modo. Senza misurazione e valutazione è impossibile accertare i progressi realizzati dalle persone, fare confronti fra un gruppo di allievi e un altro, controllare in che modo essi hanno completato il percorso di apprendimento. In genere, nei sistemi formativi tradizionali, la valutazione era - e lo è tuttora - fatto attraverso strumenti quali l'interrogazione, il colloquio e l'impiego dei vari tipi di test. Questi devono rispettare una serie di criteri relativi all’attendibilità, alla validità all’accuratezza e alla finezza discriminativa. Occorre inoltre tararli rispetto a una specifica popolazione. Qualora tutti questi criteri siano rispettati, si ottiene una misurazione standardizzata delle competenze di volta in volta prese in considerazione. Nonostante gli indubitabili vantaggi, i metodi di valutazione menzionati presentano il rischio di distorsione. 37 Secondo Mislevy e colleghi (2003) i Serious Games sono un metodo efficiente e valido di valutazione a vari livelli. La loro comparsa ha offerto un nuovo metodo di valutazione degli apprendimenti e dei progressi compiuti dai fruitori. Oltre a poter impiegare le tecniche tradizionali, essi sono in grado di offrire forme sempre più complesse e complete di misurazione, prima non disponibili, come la valutazione in itinere, al termine del gioco tramite un punteggio, mediante un feedback documentato sui loro errori o su altri punti deboli. I progettisti dei Serious Games hanno risposto con nuove e sofisticate tecniche di misurazione che forniscono le potenzialità per realizzare una valutazione costante e completa attraverso un sistema di tracking continuo e questo significa che l'attività di apprendimento può essere analizzata e misurata momento per momento, verificando quali siano i passaggi più facili quelli più difficili per gli allievi. I Serious Games rappresentano potenzialmente una rivoluzione anche nei processi di valutazione. Non vi è più separazione tra apprendimento e valutazione, tra processo e prodotto, come avviene nei sistemi tradizionali di formazione ed educazione. Nei Serious Games apprendimento e valutazione avvengono allo stesso tempo: l'allievo è valutato nel momento stesso in cui stai imparando. È una valutazione dinamica, nella quale il fruitore è fornito di un feedback in tempo reale nell'atto stesso in cui stai imparando. Si ottiene in tal modo una considerevole espansione degli apprendimenti, poiché, come aveva già rilevato Vygotskij (1934) con il concetto di zona di sviluppo prossimale, l'utente ha modo di correggere la sua impostazione mentale, di prendere in considerazione aspetti ignorati fino a quel momento. Per contro, nell’impostazione scolastica tradizionale la valutazione statica verifica l'esito ovvero il prodotto degli apprendimenti realizzati, dall’inizio alla fine. I Serious Games possono essere impiegati come metodi di misurazione nella fase iniziale dell'attività di apprendimento al fine di accertare il livello di partenza (baseline), nella fase conclusiva per verificare l'entità dei progressi e in quali settori si siano verificati, nonché a distanza di un tempo per controllare la durata, la persistenza e l'efficacia degli apprendimenti stessi (follow up). La valutazione di partenza, che misura le effettive capacità e competenze di una persona in un certo periodo della sua vita, risulta assai più utile nei colloqui di selezione di assunzione nelle aziende. Anche la valutazione effettuata durante il corso e al termine dello svolgimento dell’apprendimento assume un rilevante valore motivazionale, innescando il desiderio di superare se stessi al fine di verificare se con la prova successiva le proprie prestazioni diventano migliori. In tal modo si mette in atto un meccanismo di auto-competizione. Il meccanismo del “prova di nuovo” ha una natura autocorrettiva, poiché consente una migliore comprensione di ciò che si è sbagliato e favorisce l'adozione di nuove soluzioni. CAPITOLO 6: LA MEMORIA 6.1 Che cos’è la memoria? La memoria può essere definita come la capacità di codificare, immagazzinare e recuperare le informazioni. Il cervello umano è in grado di memorizzare mediante l’equivalente di 100 miliardi di bit (unità binarie) di informazione. La capacità di gestire una così enorme quantità di informazioni è formidabile. La capacità di ricordare, poi, è composta da diverse fasi e realizzata da numerosi sistemi di memoria. 40 cifre). In una serie di 9 lettere o numeri, la maggior parte delle persone riesce a ricordare un numero di elementi che varia da 5 a 9. Miller (1956) ha affermato che 7 è il “numero magico” che caratterizza le prestazioni di memoria delle persone chiamate a ricordare liste di lettere, parole, numeri ecc. Le prove di span di cifre, in ogni caso, sovrastimano la reale capacità della MBT. Nonostante la sua capacità limitata, la codifica delle informazioni nella MBT può essere rafforzata attraverso due processi: 1. Ripetizione (rehearsal): Un buon modo per tenere a mente un numero di telefono è continuare a ripetere a mente le cifre. Questa tecnica di memorizzazione è chiamata mantenimento per ripetizione. La ripetizione impedisce all’informazione di essere eliminata dalla MBT. 2. Creazione di unità di informazione (chunking): Un’unità di informazione (chunk) è un’organizzazione di più bit di informazione. Un’unità può essere una singola lettera o un numero, un gruppo di lettere o altri elementi, o anche un gruppo di parole o un’intera frase. Per esempio, la sequenza 1-9-8-4 è composta da quattro cifre che potrebbero riempire tutto lo spazio della vostra MBT. Ma se vedete le cifre come se formassero un anno o il titolo del libro di Orwell, esse sono in grado di formare una singola unità, consentendo di lasciare molto più spazio libero per altre unità di informazione. L’accorpamento di informazioni del chunking è un processo di riconfigurazione di elementi tramite il raggruppamento sulla base di caratteristiche di somiglianza o tramite la creazione di gruppi più ampi a partire da informazioni già presenti nella memoria a lungo termine. È possibile strutturare l’informazione in accordo con significati personali o combinare nuovi stimoli con codici differenti che sono già memorizzati nella memoria a lungo termine. Memoria di lavoro In base alle analisi sulle funzioni della memoria necessarie per la vita quotidiana, i ricercatori hanno articolato le teorie della memoria di lavoro, la risorsa della memoria che utilizziamo per compiere compiti quali ragionare e comprendere il linguaggio. Immaginiamo di cercare di ricordare un numero di telefono mentre stiamo cercando un foglio e una matita per scriverlo. Mentre i processi della memoria a breve termine ci permettono di tenere il numero in mente, le risorse della memoria di lavoro ci permettono di compiere le operazioni mentali per effettuare una ricerca adeguata degli oggetti. La memoria di lavoro fornisce la fluidità istantanea di pensiero e di azione. Baddeley (2002, 2003) ha fornito le prove dell’esistenza di quattro componenti della memoria di lavoro: 1. Il circuito fonologico: consente di ricordare e manipolare le informazioni acustiche basate sulla produzione verbale. Ascoltandovi mentre ripetete a mente un numero telefonico, state utilizzando il circuito fonologico. 2. Il taccuino visuospaziale: consente lo stesso tipo di funzioni del circuito fonologico relative all’informazione visiva e spaziale. 3. L’esecutivo centrale: è responsabile del controllo dell’attenzione e della coordinazione di informazioni provenienti dal circuito fonologico e dal taccuino visuospaziale. Ogni volta che portiamo a termine un 41 compito che richiede l’integrazione di processi mentali differenti, per esempio descrivere un’immagine della nostra memoria, ci affidiamo all’esecutivo centrale per destinare le nostre risorse mentali ad aspetti differenti del compito. 4. Il buffer episodico: è un sistema di immagazzinamento con capacità limitata che è controllato dall’esecutivo centrale. Il buffer episodico ci permette di recuperare le informazioni della memoria a lungo termine e di combinarle con le informazioni della situazione attuale. La memoria a breve termine non è un luogo, ma un processo. Per compiere attività cognitive quali i processi linguistici e di problem solving, dovete integrare molti elementi differenti in veloce successione. I ricercatori hanno dimostrato che la capacità della memoria di lavoro si differenzia molto da persona a persona. Perché lavorare sullo span di memoria è una misura delle risorse individuali disponibili per compiere processi cognitivi nel breve periodo, i ricercatori possono utilizzarlo per prevedere la prestazione del soggetto in un gran numero di compiti. Per esempio, la memoria di lavoro permette ai soggetti di mantenere la loro attenzione focalizzata sui compiti che devono eseguire. In generale, quanto più è elevata la capacità della memoria di lavoro, tanto più i soggetti dovrebbero essere in grado di mantenere la concentrazione. 8.3 Memoria a lungo termine: codifica e recupero Quando gli psicologi parlano di memoria a lungo termine si riferiscono ai ricordi che ci accompagnano per molto tempo, se non per tutta la vita. Pertanto, qualsiasi teoria che spieghi i processi di acquisizione del ricordo nel lungo periodo deve anche spiegare come ricordi possano rimanere presenti lungo tutto l'arco della vita. La memoria a lungo termine (MLT) è il magazzino di tutte le esperienze, gli eventi, le informazioni, le emozioni, le capacità, le parole, le categorie, le regole e i giudizi che sono stati acquisiti dalla nostra memoria sensoriale e da quella breve termine. La memoria a lungo termine costituisce le conoscenze totali che ogni persona ha di sé e del mondo. Indizi di recupero Come si recupera un ricordo? La risposta di base concerne l’utilizzo degli indizi di recupero. Il recupero del ricordo avviene in funzione della qualità degli indizi a disposizione. Per recupero si intende la riproduzione dell’informazione a cui si è stati esposti in precedenza. Per contro, il riconoscimento è la realizzazione che un dato evento o stimolo è già stato esperito in passato. È possibile collegare il recupero e il riconoscimento alle esperienze quotidiana di memoria esplicita. Quando, cercando di identificare un criminale, la polizia chiede alla vittima di ricordare alcune caratteristiche distintive dell’aggressore, sta utilizzando un metodo basato sul recupero. Al contrario, utilizza un metodo basato sul riconoscimento se mostra alla vittima delle fotografie di sospettati criminali e chiede di identificare l’aggressore. 42 Sia il recupero sia il riconoscimento richiedono una ricerca attraverso l’utilizzo di indizi di recupero. Per il recupero è necessario che l’indizio consenta di recuperare l’informazione. Per il riconoscimento l’indizio è costituito da una serie di opzioni di scelta tra cui è presente quella corretta. Memoria episodica e semantica La memoria dichiarativa assume diverse forse in funzione degli indizi necessari per il recupero. Lo psicologo canadese Tulving (1972) ha proposto per primo la distinzione tra memoria episodica e semantica. 1. Memoria episodica: permette di conservare, individualmente, gli eventi specifici di cui si fa personalmente esperienza. Per esempio, il ricordo del vostro primo bacio è immagazzinato nella memoria episodica. Per riattivare questo ricordo è necessario che gli indizi di contesto vi facciano venire in mente qualcosa legato al momento in cui è accaduto e qualcosa relativo al contenuto dell’evento. 2. Memoria semantica: Tutto ciò che sappiamo, lo abbiamo appreso in un contesto specifico. In ogni caso, ci sono molte categorie di informazioni che, nel tempo, sono state incontrate in contesti molteplici. Queste categorie di informazioni sono disponibili senza che facciano necessariamente riferimento all’episodio specifico in cui le abbiamo memorizzate. La memoria semantica è generica, categoriale, come il significato delle parole o dei concetti. Per la maggior parte delle persone, fatti come l’autore della Commedìa e la capita della Francia per essere richiamati alla mente non necessitano di alcun indizio di contesto che si riferisca al momento o al contesto di apprendimento originario in cui il ricordo è stato memorizzato. Questo non significa che i ricordi della nostra memoria siano infallibili. Una buona strategia quando non si riesce a ricordare un ricordo semantico è di considerarlo come un ricordo episodico. Pensando “So che ho imparato i nomi degli imperatori romani studiando la storia”, potreste essere in grado di recuperare gli indizi di contesto necessari per attivare quel ricordo. Contesto e codifica Immaginiamo di vedere in una stanza affollata una persona che sappiamo di aver già incontrato, ma non ci ricordiamo dove. Siamo alla festa della nostra amica e ci accorgiamo della presenza di qualcuno di cui ci ricordiamo. All’inizio abbiamo fatto fatica a riconoscere questa persona perché non l’avevamo mai vista in quel particolare contesto. Cosa ci fa la postina alla festa della nostra amica? È questo un esempio di come agisca il principio della specificità del contesto di codifica: i ricordi si attivano più rapidamente quando il contesto di recupero è coerente con quello di codifica.