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MEDICINA DI LABORATORIO 1 (MICROBIOLOGIA CLINICA) parte 2, Dispense di Microbiologia E Batteriologia

Seconda parte degli appunti e slide del modulo di microbiologia clinica dell'esame di Medicina di laboratorio 1 - infezioni del circolo ematico ed emocoltura - infezioni osteoarticolari - infezioni genitali - infezioni urinarie - infezioni intrauterine - infezioni della cute

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 05/06/2023

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Scarica MEDICINA DI LABORATORIO 1 (MICROBIOLOGIA CLINICA) parte 2 e più Dispense in PDF di Microbiologia E Batteriologia solo su Docsity! INFEZIONI DEL CIRCOLO EMATICO Queste, nonostante siano meno frequenti nell’ambito delle infezioni nosocomiali (rispetto a quelle respiratorie e urinarie), sono le più pericolose, perché danno il maggior indice di mortalità; le tre forme più gravi in cui bisogna intervenire rapidamente sono le sepsi, setticemie e batteriemie. BATTERIEMIE Le batteriemie si verificano quando batteri responsabili di un processo morboso invadono in modo transitorio il circolo ematico senza dar luogo a delle manifestazioni cliniche. Possono esserci situazioni che durano minuti o fino a poche ore al massimo, e per qualche motivo i microrganismi possono passare in maniera transitoria nel sangue, ossia in modo variabile nel tempo (dai 5-10 minuti ad un massimo di 2 ore) Possiamo distinguere batteriemie:  Transienti, che hanno una durata molto variabile, dai 5-10 minuti fino a poche ore, dovuta principalmente a procedure invasive che interessano siti anatomici colonizzati da flora microbica cutanea, estrazioni dentali, manovre endoscopiche che possono permettere l’ingresso di patogeni dall’esterno. Queste forme sono quelle che vanno incontro a risoluzione per la presenza di meccanismi di difesa propri dell’ospite (macrofagi, cellule leucocitarie);  Intermittenti, sono forme ricorrenti associate a infezioni circoscritte (soprattutto dovute a ostruzioni biliari o urinarie) e causate dallo stesso microrganismo; possono nel tempo ripresentarsi;  Persistenti, associate a focolai infettivi in sede intravascolare come l’endocardite infettiva; rappresentano la forma meno grave di batteriemia in quanto risolta generalmente dalla risposta immunitaria dell’ospite. SETTICEMIE C’è la presenza costante e massiccia nel sangue di batteri o dei loro prodotti tossici, in seguito alla ridotta capacità difensiva dell’ospite; l’infezione è associata a manifestazioni cliniche come febbre, brivido, uno stato tossico e ipotensione. È una sindrome clinica costituita da un insieme di specifiche alterazioni emodinamiche, respiratorie, metaboliche, immunologiche, scatenata da gravi infezioni che possono essere localizzate a livello dei polmoni o dell’addome, con un’abnorme risposta infiammatoria sistemica da parte dell’ospite. SEPSI Sindrome clinica più grave, costituita da un insieme di specifiche alterazioni emodinamiche, respiratorie, metaboliche e immunologiche, scatenata da gravi infezioni (polmoni, addome) con un’abnorme risposta infiammatoria sistemica da parte dell’ospite. In questo caso quindi, non è più la presenza dei batteri in circolo a causare il danno ma è sufficiente la diffusione dei loro prodotti a scatenare una risposta infiammatoria molto intensa con rilascio di citochine infiammatorie, tra cui le interleuchine 1, 6, 8, 12, TNF. Epidemiologia Le infezioni del circolo ematico sono associate a un elevato tasso di morbidità e mortalità, e sono sempre considerate infezioni nosocomiali con un tasso di incidenza basso ma un tasso di mortalità più elevato di tutte le altre (urinarie, respiratorie, ecc.). Negli USA ogni anno circa 750.000 pazienti vanno incontro a infezioni del circolo ematico, che possono avere un’eziologia batterica o anche fungina. Le forme più gravi sono le sepsi e lo shock settico: quest’ultimo è la più comune causa di morte nelle unità di terapia intensiva. In questi casi la raccolta dei campioni è di grandissima importanza soprattutto in termini di tempestività nell’eseguire la diagnosi e il trattamento: se la diagnosi è rapida, la prognosi è favorevole nell’80% dei casi, altrimenti si raggiunge una mortalità del 70%. I soggetti a maggiore rischio sono gli immunodepressi, ustionati, traumatizzati e i portatori di catetere, in quanto possono essere veicolati attraverso i cateteri molti microrganismi. Eziologia Negli ultimi anni l’eziologia della sepsi è molto cambiata, soprattutto per l’aumentato numero delle tecniche cardiochirurgiche, manovre invasive, trapianti d’organo, e per l’aumentato l’uso di antibiotici, che favoriscono l’instaurarsi di queste infezioni. Una volta i principali responsabili erano i batteri Gram positivi, invece adesso anche i Gram negativi e in realtà anche i Gram positivi non particolarmente virulenti, perché anche i portatori di catetere che presentano uno Stafilococco non-Aureus (saprofita) possono presentare questo tipo di infezioni. - I batteri Gram negativi, sono tutti quelli nell’ambito delle Enterobacteriacee (E. coli, Klebsiella, Pseudomonas aeruginosa), che vanno a localizzarsi al livello del polmone o della cavità addominale e possono poi andare in circolo e dare queste infezioni sistemiche (alcuni di loro sono particolarmente resistenti) - Nel caso dei batteri Gram positivi, abbiamo gli Stafilococchi (Aureus, epidermidis) e gli Streptococchi (Pyogenes, pneumoniae, viridans): determinano infezioni dell’apparato respiratorio o cutanee. - Hanno poi una grande importanza anche i miceti, come Aspergillus che può attaccare le vie aeree , oppure la Candida che si può localizzare a livello orale, intestinale, genitale (le candide possono essere normalmente presenti se in piccolo numero, ma quando prendono il sopravvento possono causare un danno importante e andare in circolo) Fattori di virulenza Per quanto riguarda i fattori di virulenza, nei batteri Gram negativi ciò che provoca il danno è principalmente il Lipopolisaccaride (LPS), l’unico componente presente esclusivamente nei batteri Gram negativi, che contiene l’endotossina batterica (il cosiddetto lipide A); il lipide A è responsabile della sua attività tossica e quindi della setticemia, in quanto è in grado di stimolare il rilascio di citochine e quindi causare un’azione pirogena (febbre), ipotensione e infine shock. contaminazione, poiché potrebbe essere messo in coltura un batterio della flora batterica cutanea, che non si trova nel sangue. - Sterilizzazione della cute: sono fondamentali l’utilizzo dei guanti e la sterilizzazione prima del prelievo, perché la presenza di commensali della cute nel terreno di coltura potrebbe essere erroneamente scambiata per l’agente eziologico dell’infezione in quanto il sangue è fisiologicamente sterile. - Il momento ottimale in cui effettuare il prelievo: l’emocoltura deve essere eseguita prima del rialzo termico poiché così facendo sarà più facile riscontrare la presenza di un microrganismo nel sangue (fase in cui c’è una maggiore concentrazione di microrganismi in circolo) La febbre è infatti un fattore di difesa che interferisce con la presenza di eventuali microrganismi: più la temperatura sarà alta, meno microrganismi saranno in circolo. - Quanto sangue va prelevato: negli adulti e adolescenti si prelevano 10 ml di sangue (quantità considerevole); nei bambini dai 2-5 ml. - Il numero di prelievi: rispetto ad altri campioni biologici come l’urina, dove la quantità prelevata in genere è minima (pochissimi microlitri), in caso di campioni di sangue oltre a prelevarne una quantità maggiore, si effettuano anche più prelievi, in modo da massimizzare le probabilità di incontrare il microrganismo che nel sangue è complicato da rintracciare. Si eseguono quindi 3 sets di prelievi nell’arco delle 24 ore, ciascuno composto da 3 prelievi ad intervalli di 15-30 minuti (in tutto 9), mattina, pomeriggio e sera; questo viene fatto in caso di situazioni gravi che necessitano di una terapia mirata il più rapidamente possibile, nel caso in cui infatti dovesse verificarsi la ripresa del paziente, non si continua più a seguire il rigido protocollo di 3 sets di prelievi giornalieri. - Mezzo di coltura utilizzato: il campione viene poi posto in particolari bottigliette che contengono un terreno liquido in cui il sangue viene trasferito immediatamente dopo il prelievo. È necessario agitare le bottigliette per evitare la formazione di coaguli e trasferirle il più rapidamente possibile in laboratorio. La particolarità di questo prelievo, tuttavia è quella di mantenere il campione a temperatura ambiente e non deporlo in frigorifero, perché la maggior parte dei microrganismi cresce a circa 37 gradi e il freddo ne renderebbe difficoltosa la sopravvivenza, pertanto una volta giunto in laboratorio il campione non viene mai messo a refrigerare ma in incubazione dove la temperatura è mantenuta costante. Caratteristiche dei terreni di coltura I terreni di coltura per emocoltura sono liquidi per favorire la potenziale crescita di un’ampia varietà di batteri e funghi, sono infatti tra i terreni più ricchi. Questo è fondamentale, perché è molto difficile da un esame obiettivo stabilire quale e se un microrganismo è presente nel sangue del paziente, a meno che il paziente non soffra ad esempio di polmonite da Stafilococco Aureus, con alte probabilità che questo abbia raggiunto il sangue. Bisogna mantenere un rapporto di diluizione ottimale tra la quantità di sangue e la quantità di terreno, poiché così si riescono a neutralizzare i fattori del sangue (complemento, opsonine..) che inibiscono la crescita batterica. Il mantenimento del rapporto di diluizione (1:10) sangue/terreno ha lo scopo, dunque, di diluire eventuali fattori del sangue contrastanti la crescita batterica, per garantire la crescita ottimale dei microrganismi eventualmente presenti nel sangue. Nel caso in cui il paziente sia già sottoposto a terapia antibiotica non è possibile sospenderla prima di effettuare il prelievo per emocoltura, l’unico accorgimento che si può avere è quello di effettuare il prelievo prima della somministrazione della stessa. FASE ANALITICA DELL’EMOCOLTURA Metodi per l’esecuzione di emocoltura: possono essere manuali o automatizzati Nel metodo manuale si utilizzano flaconi semplici di brodo, che consentono di fare il prelievo direttamente al letto del paziente e prendono il nome di sistema Vacutainer: sono importanti perché consentono una minore contaminazione del campione, poichè il sangue va direttamente nel contenitore con terreno di coltura. Il sangue una volta dentro la bottiglietta tende a depositarsi sul fondo poiché più denso, pertanto il campione deve essere agitato così che il sangue stia a contatto con il terreno. È importante a questo punto l’osservazione macroscopica del campione attraverso la bottiglietta trasparente: se la carica microbica è alta infatti, si osserverà una torbidità del campione, indice di una possibile positività dell’emocoltura. Ovviamente dall’osservazione macroscopica è impossibile stabilire di quale microrganismo si tratti, ma sicuramente ci sarà un’infezione in atto. I terreni liquidi quindi si usano sia perché consentono ad un’ampia gamma di microrganismi di crescervi, sia perché è possibile l’osservazione macroscopica del campione (nel caso di negatività, il terreno rimarrebbe limpido) Lo step successivo alla coltura in bottiglietta è la subcultura: prelievo di una piccola quantità di campione da esse e la loro semina su terreni di coltura. Le piastre (es. Agar sangue, Mc Conkey Agar…) si seminano e si mettono ad incubare a 37°C e dopo 24 ore si fa contemporaneamente l’allestimento dell’antibiogramma, riuscendo a dare un referto. I sistemi automatizzati funzionano allo stesso modo dei precedenti, ma tutto automatizzato: si tratta di grandi apparecchiature, all’interno delle quali si possono inserire tantissime emocolture (bottigliette). Il macchinario infatti contiene: un lettore in continuo, un incubatore a 37°C, un agitatore per agitare periodicamente le bottigliette, impedendo la sedimentazione del sangue, garantendo il contatto tra sangue e terreno liquido. La tecnologia di lettura si basa sulla valutazione della produzione di anidride carbonica per la replicazione batterica: questo ci consente di capire che vi è replicazione di microrganismi, infatti il sensore posto sul fondo del flacone contiene composti fluorescenti che reagiscono in presenza di CO2 prodotta dal microrganismo. FASE POST-ANALITICA DELL’EMOCOLTURA Qualora il campione fosse positivo, si eseguono: - Esame microscopico valutazione della morfologia e caratteristiche tintoriali - Subcolture: si semina su diversi terreni di coltura come Agar cioccolato, Mac Conckey, Agar sangue. - Identificazione dell’agente eziologico - Antibiogramma Nell’emocoltura c’è uno scarso interesse verso tutti i microrganismi normalmente presenti sulla cute come S.epidermidis (tranne che nei pazienti portatori di catetere, dove ciò può divenire rilevante), Corynebacterium, Bacillus (non anthracis), e questo perché la loro presenza nel sangue è generalmente associata a contaminazione. Significativa sarà invece la presenza di: E.coli, K.pneumoniae, Enterobacter spp., P.aeruginosa, S.pyogenes, S.pneumoniae, S.aureus. Se su tre campioni uno solo è positivo, allora si avrà contaminazione; se due o tre sono positivi allora quello è l’agente eziologico responsabile di setticemia. È necessario avere una diagnosi tempestiva in quanto questi pazienti sono estremamente a rischio, soprattutto gli anziani e chi non ha difese immunitarie adeguate. Se la coltura è positiva il risultato si ottiene nell’arco di in media 48 ore, tuttavia non è detto che ciò basti, poiché è anche necessaria una carica sufficientemente elevata del microrganismo. Invece per poter dare una risposta negativa con certezza bisogna aspettare in genere (per germi comuni come S.aureus, S.pyogenes, E.coli e P.aeruginosa) 10 giorni. Se invece si ha a che fare con M.tuberculosis i tempi di attesa si prolungano ancora di più in quanto il micobatterio ha una crescita particolarmente lenta: in questo caso si dovrà attendere almeno 30-40 giorni per una diagnosi negativa; inoltre per la ricerca di microrganismi specifici quali micobatteri, è necessario eseguire il prelievo con le stesse modalità del prelievo per i germi comuni, ma utilizzare flaconi specifici (Myco/F). Emocoltura: falsi positivi Quando si ha a che fare con microrganismi è facile fare un prelievo senza rendersi conto che qualche batterio presente a livello della cute passi nel sangue e l’esame risulti positivo. I fattori che possono dar luogo a falsi positivi sono: la contaminazione al momento del prelievo dovuta ai commensali presenti sulla cute del paziente o sulle mani di chi esegue il prelievo, e anche una contaminazione al momento dell’inoculo per batteri posti sulla membrana di protezione del flacone (quando non si usano sistemi automatizzati nel porre il sangue nelle colture) conservata e un numero di leucociti inferiore a 200/mm^3: quando un liquido appare torbido e verdastro, segnala un’infezione acuta in atto. Infatti, nel caso di artrite, il colore è verdastro, l’aspetto è torbido, la viscosità è molto ridotta, aumenta notevolmente il numero di leucociti e anche la percentuale dei polimorfonucleati. Inoltre, per fare diagnosi di artrite, ci si avvale di radiografia: l’Rx standard è poco utile, mentre l’ecografia è utile nella diagnosi di artrite dell’anca nei bambini. La TAC permette di guidare agoaspirazioni, ma la tecnica più efficace è la risonanza magnetica, che permette di fare una diagnosi precoce. La radiografia, nelle indagini microbiologiche, è utile in tre casi: per diagnosi di polmonite, nel caso di colite pseudomembranosa (causata da Clostridium difficilis) ed appunto, per diagnosi di artrite. ARTRITE REATTIVA L’artrite reattiva è il tipo più difficile da diagnosticare, e questo perché insorge 3/4 settimane dopo un’infezione che può essere manifesta ma anche subclinica a carico di: - Vie respiratorie superiori (causata da Streptococco o Mycoplasma), - Apparato gastrointestinale (causata da Salmonella, Shigella, Yersinia, Clostridium), - Apparato genito-urinario (da Ureaplasma, C. trachomatis, N. gonorrhoeae). Quello che succede a seguito di queste infezioni è che il microrganismo può raggiungere l’articolazione e dar luogo ad un’artrite reattiva: a differenza di quella settica, avviene a distanza da un’infezione che ha un’altra sede, e quindi in una localizzazione differente. La sintomatologia è un po’ diversa e meno manifesta: è a livello mono-oligoarticolare, c’è arrossamento cutaneo, aumento della temperatura nei pressi dell’articolazione, dolore e limitazione della funzionalità articolare meno palese rispetto all’artrite settica. La vera difficoltà sta nella diagnosi che è diversa da quella dell’artrite settica: in questo caso nel liquido sinoviale non si riscontra sempre il microrganismo, dunque si deve andare a ricercare l’agente eziologico nella sede d’infezione primaria: ad esempio, se l’infezione è stata a livello genitale, causata da Chlamidya o da Neisseria, viene richiesto un tampone vaginale per questi agenti, o se è iniziata a livello gastroenterico si cercherà un campione di feci. OSTEOMIELITI Un’altra importante infezione osteoarticolare è l’osteomielite, un’infezione a livello osseo, e per cui può essere fatta una differenziazione in:  Osteomieliti ematogene: il microrganismo raggiunge l’osso dal sangue  Osteomieliti contigue: secondarie a un focolaio infettivo L’osteomielite nell’85% dei casi si verifica in età pediatrica, e la restante percentuale nell’adulto: in età pediatrica, il focolaio primario (spesso ignoto) può essere la rinofaringe, la fascia più colpita è dai 2 ai 5 anni, e la localizzazione è a livello degli arti inferiori. Nell’adulto invece, il focolaio può essere a livello del tratto urinario, oppure a livello della cute e dei tessuti molli, e la localizzazione primaria è a livello vertebrale. Osteomieliti ematogene - Lo Staphylococcus aureus è l’agente eziologico più comune in tutte le età. - Per i neonati e bambini i più comuni sono: Streptococco, Enterobacteriaceae, Candida, H. influenzae. - Per gli adulti ci sono i gram-negativi: E.coli, Klebsiella, Salmonella, Proteus. - Alcuni agenti eziologici sono rilevanti per alcuni pazienti a rischio (immunodepressi, portatori di catetere, tossicodipendenti): P. aeruginosa, Candida, Aspergillus. L’osteomielite ematogena acuta si manifesta in modo del tutto variabile: può essere asintomatica, oppure può dare luogo a quadri gravi con andamento setticemico, con inizio brusco e improvviso e accompagnata da sintomi quali: febbre, dolore localizzato, limitazione motoria, infiammazione locale. Anche in questo caso ci sono forme croniche (osteomielite ematogena cronica) quando: c’è persistenza di sintomatologia, aspetti radiografici che si mantengono per più di 6 settimane; in seguito alla persistenza o recidiva di infezione anche dopo terapia antibiotica; infezione associata alla presenza di un corpo estraneo; infezione associata ad insufficienza circolatoria; infezione sostenuta da microrganismi come il Mycobacterium tuberculosis (questo avviene a distanza di anni da una prima infezione a livello polmonare, a seguito per esempio di un abbassamento del SI). Osteomieliti secondarie (contigue) L’osteomielite secondaria si manifesta in seguito ad un focolaio infettivo iniziale verificatosi in un tessuto molle nelle vicinanze (ascesso cutaneo, ferita infetta…). Questo si verifica in pazienti con età maggiore di 50 anni, e gli agenti eziologici sono: S. aureus, S. epidermidis, Pseudomonas, Enterobatteri, anaerobi. Le cause di osteomielite secondaria possono essere varie: può verificarsi in seguito all’inoculazione diretta del batterio, di cui si distinguono forme post-traumatiche (si tratta di fratture ossee esposte al microrganismo che potrebbe penetrare) e ancora più frequenti le forme post-chirurgiche (causate da interventi d’inserzione di protesi o ricostruttivi): le osteomieliti secondarie sono, infatti, una grande complicanza della chirurgia ortopedica, della cardiochirurgia e della neurochirurgia, dove lo S. aureus e S. epidermidis sono i maggiori responsabili. Un’altra forma di osteomielite secondaria è dovuta all’insufficienza vascolare (osteomielite da insufficienza vascolare): sono associate a vasculopatie ischemiche periferiche e si osservano in pazienti con età superiore ai cinquant’anni; colpiscono generalmente le ossa dei piedi e gli agenti eziologici sono S.aureus, S. epidermidis, Streptococchi, Enterobacteriaceae. Diagnosi di osteomielite Per fare l’esame colturale si preleva: tramite biopsia un campione da tessuto osseo (questo in quanto invasivo viene fatto in situazioni particolari, ad esempio durante un intervento), oppure si può effettuare un agoaspirato, oppure si effettua un tampone dell’ulcera/fistola. L’esame colturale sarebbe la tecnica privilegiata, tuttavia si può anche valutare la presenza del microrganismo tramite prelievo di sangue, quindi tramite emocoltura. Nel caso dell’osteomielite tubercolare c’è invece una prassi per ricercare M. tubercolosis: si può effettuare biopsia del tessuto sinoviale o dell’osso, ma, soprattutto si ricorre alla PCR, che consente di fare diagnosi rapidamente. La terapia antibiotica è necessaria, ma soprattutto un intervento chirurgico, poiché è necessario asportare tutti i frammenti di tessuto osseo diventati necrotici. I requisiti per effettuarlo sono: assenza di ciclo mestruale, sospendere terapia antibiotica se in atto (come per tutti i prelievi), portarlo immediatamente in laboratorio mediante terreni di trasporto che consentano di mantenere la vitalità del microrganismo, impedendone la proliferazione. Se in precedenza è stato detto che non si effettua l’osservazione al microscopio del vetrino nel caso di un campione di feci dal momento che non fornisce alcuna informazione, in questo caso è fondamentale un’osservazione al microscopio, perché permette di vedere nella sua globalità la situazione dell’ecosistema vaginale. Infatti, attraverso l’esame microscopico, che si può effettuare sia a fresco che dopo colorazione di Gram, si riesce ad osservare che tipo di microrganismi sono presenti e soprattutto se ci sono lattobacilli, potendo cogliere un’indicazione semiquantitativa della loro presenza (assente, scarsa, discreta, abbondante): ciò aiuta nella comprensione delle condizioni generali.  Nell’esame microscopico a fresco questo deve essere effettuato immediatamente dopo il prelievo stemperando il tampone in 0.5 ml di soluzione fisiologica sterile, depositando le gocce su un vetrino. È in genere sufficiente per porre diagnosi Trichomonas vaginalis, protozoo di cui sarà evidente la presenza per la sua motilità data dai flagelli.  Invece la colorazione di Gram consente di valutare la presenza della normale flora residente costituita prevalentemente da Lattobacilli; allo stesso tempo consente di osservare una situazione di vaginosi batterica (in cui è evidente l’aspetto di diversi microrganismi e soprattutto l’assenza di Lattobacilli), ed inoltre è possibile vagliare la presenza o meno di vaginite da Candida albicans. Chiaramente questa è solo la prima fase dell’indagine microbiologica perché, in base al risultato dell’osservazione al microscopio, si passa alla fase successiva, che consiste nell’esame colturale, in cui si usano i terreni di coltura su cui avviene la semina del tampone vaginale eseguito sul paziente; si possono utilizzare:  Agar sangue (sempre), dove crescono sia batteri Gram positivi che negativi;  Mannitol salt agar, dove crescono soprattutto gli Stafilococchi;  MacConkey Agar dove crescono soprattutto i Gram negativi;  Sabouraud per la crescita dei miceti;  Terreno di Kupferberg per Trichomonas;  Shaedler, un terreno speciale per evidenziare gli anaerobi. Candida albicans Le varie forme di vaginiti sono causate esclusivamente da Candida Albicans, Trichomonas Vaginalis, o da Gardnerella Vaginalis. Sono infezioni principalmente femminili ma possono essere trasmesse anche al partner, per cui nonostante la diagnosi si effettui a partire dal tampone vaginale della donna, in seguito il trattamento si esegue su entrambi, ai fini della risoluzione dell’infezione. Le Vaginiti da Candida rappresentano circa il 30-35% delle infezioni genitali, di cui il 70- 80% sono imputabili alla specie più comune, Candida Albicans: questa infatti è presente in piccole quantità a livello vaginale ma, in seguito a varie situazioni (come una terapia antibiotica), può dar luogo a una vaginite che, prendendo il sopravvento sugli altri microrganismi normalmente presenti, riduce la presenza dei Lattobacilli. Si stima che il 40-50% delle donne vada incontro ad infezione cronica, poiché i miceti possono dar luogo a forme croniche, cosicché è fondamentale intervenire con una terapia per risolvere del tutto l’infezione. I fattori di rischio per contrarre un'infezione da candida sono dovuti innanzitutto allo stato ormonale (che dipende dall'età e anche dalla gravidanza), il diabete, il trattamento prolungato di antibiotici, ma anche una situazione di particolare stress in seguito a una riduzione delle difese immunitarie, e infine l'uso di contraccettivi che possono avere ripercussioni a livello vaginale delle variazioni ormonali. Viene ricercata (diagnosi) tramite:  Prelievo = tampone vaginale  Esame microscopico a fresco = i miceti sono molto più grandi rispetto ai batteri  Esame colturale = Sabouraud + cloramfenicolo (l'antibiotico nei tamponi vaginali viene sempre messo nei terreni, essendo il distretto ricco di microrganismi e non sterile, così da eliminare i batteri eventualmente riscontrabili e mettere in evidenza la Candida)  Identificazione = osservazione delle colonie, colorazione di Gram, test biochimici; il trattamento è a base di antimicotico a cui viene sottoposto anche il partner. Trichomonas vaginalis La presenza di Trichomonas Vaginalis è un’ulteriore causa di vaginite: il protozoo sottrae glicogeno alle cellule epiteliali vaginali, impedendo ai Lattobacilli di trasformarlo in acido lattico, con conseguente aumento del pH vaginale a valori meno acidi, favorendo lo sviluppo del protozoo e di atri batteri, i quali crescono appunto a un pH alcalino. Il Trichomonas, rispetto alla Candida, che provoca perdite biancastre, e alla Gardnerella, che ha un odore particolare, è completamente asintomatico; si trasmette per via sessuale, e quindi avrà maggiore prevalenza nei soggetti più vulnerabili, cioè coloro che hanno più partner e/o sono affetti da altre malattie veneree. La diagnosi viene effettuata con:  Prelievo = tampone vaginale  Esame microscopico a fresco = consente una diagnosi presuntiva di tale agente, data l’elevata mobilità (flagellato)  Esame colturale = terreno di Kupfrerberg con l’aggiunta (anche qui) di antibiotici. Gardnerella vaginalis La Gardnerella Vaginalis è un microrganismo già presente a livello vaginale: anche in questo caso aumenta in determinate circostanze e può essere trasmesso al partner. Per la diagnosi:  Prelievo = tampone vaginale  Esame microscopico mediante colorazione, data la particolarità di questo microrganismo che è un cocco-bacillo.  Esame colturale = terreno di Casman in atmosfera di anidride carbonica al 10%;  Identificazione = esame delle colonie, e infine si interviene con una terapia a base di antibiotico (anche per il partner) CERVICITI Le forme più frequenti di infezioni genitali sono le cosiddette vaginiti, ma altrettanto rilevanti sono le cerviciti, localizzate a un livello superiore dell’apparato genitale. Anche qui sono tre i principali agenti eziologici responsabili delle cerviciti: due batteri, Nesseria Gonorrhoeae e Chlamydia Trachomatis, trattati comunque con due antibiotici diversi, e un virus, Herpes simplex II. Neisseria gonorrhoeae La Nesseria Gonorrhoeae è responsabile ogni anno di moltissimi casi, concentrati soprattutto nella fascia di età fra i 15 e i 24 anni. Vi sono varie modalità di trasmissione: principalmente per via sessuale, ma anche per contatto con indumenti contaminati, e al neonato durante il parto, rappresentando in questo caso, uno degli agenti eziologici delle malattie teratogene (malformazioni del feto) La caratteristica di questo batterio è quella di indurre principalmente forme asintomatiche, in particolare nelle donne, ostacolando un contenimento della trasmissione proprio perché il principale serbatoio sono gli asintomatici. Le patologie di cui è agente eziologico sono:  Gonorrea (tipica);  Malattia infiammatoria pelvica (risalendo fino alla pelvi) e sterilità;  Forme di dermatite-artrite gonococcica/infezione gonogoccica disseminata: condizioni che insorgono a distanza di tempo, favorite dall'assenza di sintomi, che ne provoca la trascurabilità: il paziente asintomatico non si rende conto della presenza del microrganismo che poi migra in altri distretti quali le articolazioni;  Oftalmo-blenorrea, nell’ambito delle malattie teratogene nel neonato, trasmesse durante il parto, responsabile di danno oculare e genitale. La ricerca di Nesseria Gonorrhoeae avviene con: o Prelievo = tampone endocervicale, non eseguibile autonomamente ma ad opera del ginecologo, che va portato subito al laboratorio. o Esame microscopico con colorazione di Gram, in grado di evidenziare l’eccezione nella morfologia di questo microrganismo che, in quanto unico batterio a forma di cocco Gram-, si colora di rosso mantenendo l’ultimo colorante, la safranina; inoltre l’aspetto appare a chicco di caffè, data l’unione di due cocchi. ALTRI BATTERI GENITALI Treponema Pallidum Si tratta di un batterio, in particolare una spirocheta, ed è l’agente eziologico della sifilide, un’infezione a trasmissione sessuale in cui il batterio penetra attraverso abrasioni della cute e delle mucose (soprattutto durante il rapporto sessuale in presenza di microlesioni, o tramite saliva, liquido vaginale e seminale). L’altra patologia di cui è causa è la sifilide congenita che, nei posti in cui c’è elevato controllo sulle donne in gravidanza, è estremamente rara o assente, tuttavia è ancora presente nei paesi del terzo mondo in via di sviluppo: il batterio è in grado di trasmettersi facilmente al feto e può dare luogo a morte intrauterina o a difetti congeniti. Il treponema pallidum ha come unico ospite l’uomo e questa caratteristica rende difficoltoso coltivare questo batterio. Normalmente colpisce la fascia d’età più attiva sessualmente (dai 15 ai 30 anni) nella popolazione maschile, e dopo la terapia con gli antibiotici il soggetto infetto non è più contagioso e guarisce (tuttavia l’infezione non conferisce immunità, per questo non è disponibile alcun vaccino) Evoluzione della malattia Dopo l’infezione segue un periodo di incubazione (da 2 a 8 settimane) che si manifesta come sifiloma primario, il quale consiste in una papula che si forma sulla mucosa genitale, con comparsa di eritema (solitamente non è dolorosa né sanguinante, anche se in rari casi può ulcerare) La papula guarisce spontaneamente dopo un certo periodo di tempo, sia nel caso in cui venga usata la terapia antibiotica sia nel caso in cui non venga utilizzata: la differenza è che, in caso di terapia, la guarigione è completa, mentre in assenza di terapia, si guarisce ma compare il cosiddetto sifiloma secondario. Quest’ultimo compare dalle 4 alle 12 settimane dopo il sifiloma primario e si tratta di una patologia sistemica più seria, infatti compaiono: eruzioni cutanee, febbre, dolori articolari simil-influenzali, linfoadenopatia generalizzata; si formano delle maculo-papule di colore rosso che si localizzano normalmente sulla mucosa genitale o su quella orale. Anche nel caso del sifiloma secondario c’è una differenza: se si usa la terapia con antibiotici specifici si avrà guarigione completa, mentre in assenza di terapia si va incontro alla comparsa del sifiloma terziario. Il sifiloma terziario è la drammatica espressione ed evoluzione della sifilide; si manifesta dopo 10 anni e può evolvere (nel migliore dei casi) in sifilide benigna terziaria della cute, in cui si hanno delle eruzioni cutanee su tutto il corpo; altre volte può evolvere in una sifilide cardiovascolare, e soprattutto in una neurosifilide, che può portare a paralisi e anche a morte. Diagnosi di Treponema pallidum Per quanto riguarda la diagnosi, la prima cosa che si può pensare è quella di fare una coltura diretta (trattandosi di un batterio), cioè coltivarlo su un terreno di coltura: purtroppo, questo non è possibile perché ancora oggi non è stato trovato un terreno di coltura che racchiude tutte le esigenze nutrizionali del Treponema Pallidum (solo testicoli di coniglio) Quindi è possibile identificare il batterio mediante esame microscopico: si preleva dalle lesioni (macule, papule, ulcerazioni) del materiale, che viene osservato (senza colorarlo) in campo oscuro: questa è l’unica diagnosi diretta che si può effettuare. Dopo la diagnosi diretta, si ricorre alla diagnosi sierologica; esistono nello specifico due tipologie di test sierologici:  Test non treponemici: VDRL (Veneral disease research laboratory), RPR (reagente plasmatico rapido)  Test treponemici: FTA (fluorescenza indiretta treponemica), TPHA (emoagglutinazione). Test non treponemici La prima tipologia di test utilizza come antigene qualcosa che non appartiene al Treponema ma che da una reazione simile a quella degli antigeni quando nel siero sono presenti gli anticorpi anti-treponema. Prendendo ad esempio la tecnica VDRL, questa determina la presenza di IgM e IgG, che si sviluppano (soprattutto le IgM) nei primi stadi della malattia, ma nei confronti dei lipidi rilasciati dai Treponemi lisati quando il batterio inizia la sua replicazione. L’antigene più utilizzato in questo test (in realtà nella maggior parte dei test non treponemici) è la cardiolipina, che va a legarsi agli anticorpi prodotti contro i lipidi del Treponema danneggiato. Ovviamente non essendo un antigene del batterio, questi test non sono specifici e danno molti falsi positivi soprattutto se sono presenti altre infezioni. Aldilà di questo, sono test che costano poco e molto utilizzati come screening ma, in caso di positività, è necessario effettuare i test treponemici (quindi la positività al test non treponemico non è indice di specificità per il Treponema!) Test treponemici In questi si utilizzano gli antigeni veri e propri del treponema, e sono utilizzati per confermare i test di screening non specifici: per ottenere questi antigeni è necessario coltivare il batterio e, al momento, è possibile farlo solo nel testicolo di coniglio. Nella tecnica TPHA ci sono eritrociti legati ad antigeni del batterio chiamati eritrociti rivelatori, i quali vengono poi agglutinati dal siero dei pazienti che producono anticorpi contro il Treponema Pallidum: l’agglutinazione indica che il paziente è affetto da Treponema e quindi ha la sifilide. Il professore dice che all’esame chiede molto spesso la diagnosi di treponema, e consiglia di iniziare dalla diagnosi diretta e non dai test sierologici, trattandosi di un batterio. Papillomavirus Il papillomavirus è un virus a DNA che appartiene alla famiglia dei Papillomaviridae e causa la più frequente tra le infezioni a trasmissione sessuale. Il 50-80% dei soggetti sessualmente attivi si infetta nel corso della vita con un papillomavirus, e fino al 50% si infetta con un tipo oncogeno. Per l’HPV esiste un vaccino, che fanno soprattutto le donne giovani, nonostante oggi sia consigliato anche agli uomini, perché è stato dimostrato che protegge dai tumori della testa e del collo, dato che nel 90% di questi tumori sono stati ritrovati HPV di tipo oncogeno. La maggior parte di queste infezioni sono transitorie, asintomatiche e regrediscono spontaneamente: la massima espressione è data dai condilomi acuminati, ossia delle escrescenze a forma di cavolfiore. Le infezioni persistenti invece, in cui il genotipo di HPV si integra nel genoma umano, possono a loro volta regredire oppure progredire ed evolvere verso lesioni precancerose chiamate lesioni squamose intraepiteliali di I grado (la maggior parte delle lesioni LSIL possono guarire spontaneamente o evolvere verso il carcinoma della cervice, che è la 2° causa di morte tra le donne, dopo il carcinoma della mammella) Meccanismo di infezione da HPV, indipendentemente dal genotipo in questione: Dopo l’esposizione al virus, si ha l’infezione che avviene normalmente attraverso rapporti sessuali: è quasi sempre autolimitata (quasi il 100% di guarigione, più precisamente di clearance, cioè liberazione dal virus), ma in alcuni casi si può avere la ritenzione nel genoma e quindi un’infezione latente, che si riattiva in alcuni casi, dando origine ad una malattia vera e propria. Se il genotipo non è oncogeno, si ha la comparsa di condilomi con una percentuale di guarigione molto vicina al 100%, invece se il genotipo è oncogeno, la malattia evolve verso lesioni squamose intraepiteliali “light” (o di I grado): anche in questo caso il 90% dei casi va incontro a guarigione, mentre il 10% può andare incontro ad una “heavy” lesione squamosa intraepiteliale, che è l’anticamera del cancro alla cervice uterina. IL virus può entrare nell’organismo attraverso un microtrauma che si origina durante il rapporto sessuale, e alcuni ceppi vengono subito eliminati, altri invece integrano il proprio genoma nel nostro: tutto questo porta alla formazione di proteine precoci e tardive, e si ha uno scollamento dell’epidermide ben visibile. Più raramente le possibili fonti di infezione sono guanti chirurgici, pinze da biopsia e indumenti intimi. I genotipi ad alto rischio più importanti sono il 16 e il 18, che sono stati i primi ad essere contenuti nel vaccino anti-HPV (adesso ce ne sono molti di più); poi ci sono i genotipi a basso rischio, che causano al massimo un condiloma oppure si comportano in modo asintomatico (il 6 e 11 che fanno parte di questa categoria sono stati i primi ad essere contenuti sempre nello stesso vaccino di prima, il gardasil); infine ci sono genotipi a cui non è ancora stato attribuito il rischio. L’HPV penetra quindi nello strato basale dell’epitelio pavimentoso, il genoma virale raggiunge il nucleo della cellula dove si stabilisce in forma episomale (l’episoma è una struttura di diverso genere come un plasmide o un virus che si integra nel genoma). L’incubazione è variabile da 3 settimane a 8 mesi (in media sono 3 mesi) e l’infezione si trasmette anche da lesioni subcliniche, cioè non evidenti. INFEZIONI URINARIE Le infezioni urinarie sono molto importanti perché, dopo quelle respiratorie, rappresentano la maggior parte delle infezioni in comunità e la maggioranza in ambiente ospedaliero. Un’infezione delle vie urinarie si può definire come presenza di microrganismi (nel 99% dei casi batteri, ma l’eccezione può essere Candida) nelle urine, che viene definita batteriuria e che spesso è associata ad una risposta infiammatoria dell’ospite. Il trattamento deve essere diverso in base al fatto che il paziente presenti disturbi (batteriuria sintomatica) o che invece non riferisca alcun sintomo (batteriuria asintomatica): solitamente sono trattati i casi sintomatici. Si stima che, nell’arco della propria vita, il 30% delle donne e il 12% degli uomini vadano incontro ad infezioni urinarie: il numero delle donne è maggiore rispetto a quello degli uomini perché l’uretra è più corta e la vagina si trova vicino all’ano, infatti, i microrganismi che causano infezioni urinarie (il 99%) sono batteri endogeni presenti nell’intestino. La flora microbica intestinale è formata per il 99% da batteri anaerobi e per l’1% da aerobi: quelli aerobi causano la maggior parte delle infezioni urinarie, in particolare le Enterobatteriaceae, di cui il principale è E. Coli (solo i ceppi patogeni) C'è da dire anche che la metà delle infezioni, soprattutto nel sesso femminile, sono ricorrenti, ossia dopo una terapia antibiotica, quando la paziente sembra guarita, magari in un momento di stress l'infezione ritorna, spesso gestita sempre dallo stesso microrganismo. Nel caso dei pazienti con cateteri, è necessario somministrare una terapia antibiotica preventiva poiché, se questa non venisse effettuata, anche inserendo il catetere in maniera corretta ed utilizzando tutte le precauzioni come sistemi di drenaggio chiuso, dopo 4-5 giorni il 50% dei pazienti svilupperebbe un’infezione. Le infezioni urinarie vengono suddivise in tre modi: o Di primo impianto: quando per la prima volta un paziente va incontro ad infezione o Ricorrente/cronica: come già detto, il 40% di queste infezioni nelle donne giovani sono ricorrenti; o Da reinfezione: ci può essere un'infezione da parte di un altro microrganismo, a volte, infatti, queste infezioni urinarie sono gestite da due o tre microrganismi insieme. Ci sono delle cause che predispongono all'infezione del tratto urinario:  Fisiologiche: sesso, età avanzata, gravidanza (in gravidanza il peso del feto rende meno conica la vescica e, quindi, negli ultimi mesi la donna non riesce ad espellere completamente le urine oppure va frequentemente al bagno e ciò la espone maggiormente ad infezioni urinarie);  Patologiche: calcoli, stenosi, ipertrofia prostatica, deficienze immunitarie, squilibri endocrini, alterazioni dei meccanismi locali di difesa, microrganismi che modificano il pH e che producono urea, quindi abbassano il pH e portano alla formazione di calcoli (come il Protheus mirabilis). Ci sono poi due tipi di infezioni urinarie:  Delle basse vie urinarie, normalmente definite cistiti, perché riguardano la vescica, e che nell’uomo viene detta anche prostatite.  Delle alte vie urinarie, infezioni del tratto urinario superiore (pielonefrite) Vie di infezione Ci sono tre possibilità per contrarre un’infezione urinaria:  Ascendente/di risalita: da una cistite i batteri risalgono l'uretere e arrivano ad interessare i reni (vi sono infatti batteri provvisti di pili con cui riescono a risalire gli ureteri e a localizzarsi nelle alte vie urinarie) È più frequente nella donna per la brevità dell’uretra e per la maggior quantità di microrganismi che si trovano adiacenti all’orifizio uretrale.  Via ematica: originano dall’intestino, attraverso dei microtraumi della mucosa intestinale i batteri possono passare nel sangue e possono stabilirsi nelle alte vie urinarie.  Via linfatica (più rara), infezioni che partono dal tubo digerente e saltando la circolazione pervengono ai reni direttamente attraverso una rete linfatica. ANALISI DELLE URINE Criteri del corretto prelievo: Tempo di raccolta del campione di urina: il tempo di raccolta è fondamentale perché si richiedono le prime urine del mattino, dove la concentrazione eventuale di batteri dovrebbe essere più alta perché si è andati meno al bagno. Vengono generalmente raccolte tramite mitto intermedio, tuttavia vi sono anche altri modi a seconda del caso.  Modalità di raccolta dell’urina: cateterismo vescicale (alto rischio di infezioni secondarie da traporto esterno di microrganismi in vescica, ma viene utilizzato in pazienti ospedalizzati), puntura sovrapubica (prelievo dell’urina direttamente dalla vescica), sacchetto di plastica adesivo per i bambini, mitto intermedio (ne servono 2 ml)  Tempo utile per l’analisi: i limiti massimi di tempo alle varie condizioni sono 30 minuti per l’urina a temperatura ambiente; 6h se viene refrigerata, e 24h se tenuta a temperatura ambiente o in frigo dopo aggiunta di acido folico all’1%.  I contenitori devono essere sterili. La puntura sovrapubica è più usata nei bambini che negli adulti perché i primi sono più soggetti ad infezioni tipiche di tali batteri. Perché si usa la puntura sovrapubica? In passato spesso gli studenti rispondevano: perché il paziente non può urinare, ma in realtà, ai pazienti che non possono urinare si mette per prima cosa un catetere e successivamente si preleva l’urina da esso. Invece, se non si trova nulla a seguito di indagini ma comunque il paziente sta male e prova dolore dovuto ad un’infezione urinaria, è possibile che l’infezione sia dovuta a batteri anaerobi, che rappresentano il 99% della flora microbica. Questi, a volte, possono provocare delle infezioni che con altre tipologie di prelievo (es. mitto intermedio) non si possono individuare, poiché muoiono entrando in contatto con l’ossigeno, mentre con la puntura sovrapubica e tramite coltivazione su terreno anaerobio è possibile individuarli come causa di infiammazione. Quando si prende il campione tramite mitto intermedio o catetere, si prende un barattolo sterile, ma non si è mai sicuri che durante l’apertura e l’utilizzo non ci possa essere un contatto con degli inquinanti. Come si fa quindi a dire che la diagnosi di infezione è reale o dovuta ad un inquinante? Si fa con la conta: se si ha una carica batterica maggiore o uguale a 10 alla 5 batteri per ml allora non è un contaminante, che di solito ha una carica massimo di 10 alla 2 batteri per ml. Quindi si può affermare che la diagnosi di infezione urinaria è una significativa batteriuria, che corrisponde a una carica batterica maggiore di 10 alla 5 batteri/ml. L’indice di batteriuria significativa, serve per stabilire se l’infezione per il batterio isolato è significativa, e va calcolato sia nel caso di catetere, che nel caso di mitto intermedio. Non va calcolato nel caso di puntura sovrapubica (viene eventualmente effettuata per isolare batteri anaerobi), perché un paziente sano non ha batteri in vescica; quindi, in tal caso anche un numero estremamente basso di batteri è significativo dell’infezione. Nella slide sono indicati i valori che sono indice di batteriuria significativa. L’unico valore leggermente più basso, 10 alla quarta, si ha nel caso di maschio sintomatico, in tutti gli altri casi il valore “soglia” è di 10 alla 5 batteri/ml, ma come già detto un contaminante raramente supera il valore di 10 alla 2/ml, perché il sistema urinario non si addice molto ai batteri, tant’ è che le urine sono sterili e l’apparato urinario non contiene dei batteri propri. Quando si deve fare la conta non sapendo che batteri ci sono, non si possono usare piastre selettive, l’Agar-Sangue ad esempio andrebbe bene per tutti ma non per il Proteus perché le sue colonie confluiscono insieme e non si distinguono (effetto panning che rende impossibile la conta batterica) Vanno usati dei terreni con discreta concentrazione di sali che non consentono la formazione di flagelli, ad esempio il Mac Conkey. Pseudomonas Aeruginosa Pseudomonas Aeruginosa è un principe degli ambienti ospedalieri, multiresistente agli antibiotici per la presenza di grandi plasmidi; è quindi un patogeno opportunista agente di infezioni nosocomiali. Questo batterio produce due pigmenti, biocianina e bioverdina, e la sua presenza nelle infezioni si può vedere grazie alla colorazione azzuro-verdina del pus. Può essere causa di infezioni del tratto urinario sia come microrganismo di primo impianto, sia spesso nel corso di trattamento antibiotico, proprio perché, essendo più resistente degli altri microrganismi, al contrario di questi è l’unico che sopravvive alla selezione mediata dalle terapie antibiotiche. Come Proteus possiede attività alcalinizzante delle urine favorendo la formazione di calcoli. Oltre alle infezioni urinarie, è agente importante di infezioni alle basse vie respiratorie, dove produce una capsula di alginato con formazione di biofilm. La diagnosi si effettua mediante campione biologico (prelevato nel distretto interessato), esame colturale (Agar sangue o Mac Conkey), esame microscopico, identificazione (visibili i due pigmenti) Streptococchi Per le infezioni urinarie sono importanti gli Streptococchi di gruppo B (beta-emolitici) e quelli di gruppo D (enterococchi): gli enterococchi sono molto implicati nelle infezioni urinarie sia in ambito comunitario che in quello ospedaliero. Stafilococchi In particolare Staphylococcus aureus ed epidermidis che si riscontrano nelle cistiti, anche grazie alla loro capacità di creare biofilm. Epidermidis ha infatti la capacità di produrre un’abbondante quantità di materiale mucopolisaccaridico, che gli consente di colonizzare i cateteri e le protesi. Miceti Candida albicans dà luogo raramente ad infezioni delle vie urinarie: la sua incidenza aumenta nei soggetti diabetici prevalentemente di sesso femminile. Forme L Nei casi di infezione cronica delle vie urinarie con reperti batteriologici negativi, si consiglia la ricerca delle forme L, ossia batteri che hanno perso la parete cellulare, e che in base all’ambiente in cui si trovano possono rimanere: stabili (rimangono sempre privi di parete) o instabili (possono ridare origine alle forme normali dei batteri da cui derivano) Hanno un’alta resistenza antibiotica. Mycobacterium tuberculosis Va ricercato nelle urine in tutti i casi di infezioni croniche: si devono raccogliere tre distinti campioni in giorni differenti, perché la concentrazione è così bassa che potrebbe non essere rilevato. INFEZIONI INTRAUTERINE Per infezioni intrauterine (congenite) si intendono tutte quelle che vengono trasmesse al feto in utero; durante la gravidanza, è infatti possibile riconoscere tessuti potenzialmente suscettibili alle infezioni, ovvero: feto, placenta e le ghiandole mammarie. La placenta in particolare, protegge il feto dai microrganismi circolanti, mentre le membrane fetali offrono protezione verso microrganismi provenienti dal tratto genitale: per questo il momento critico dell’infezione fetale è ad esempio durante la rottura del sacco amniotico. Per quanto riguarda la donna ci sono infezioni che normalmente passerebbero inosservate, ma che possono avere un decorso più grave in gravidanza: malaria, epatite, CMV e poliomavirus; per quanto riguarda il feto invece, questo è suscettibile a: rosolia, CMV, Toxoplasma gondi, Treponema pallidum (in quest’ultimo caso si ricorda che la sifilide congenita è poco diffusa in occidente) La trasmissione di queste patologie in gravidanza può avvenire in due modi: - Tramite diffusione ematogena: attraverso la vena ombelicale - Tramite infezione placentare: ossia infezione del liquido amniotico La patologia fetale è in relazione: - Al periodo gestionale: più precocemente avviene durante la gravidanza, e più sarà grave. - All’agente eziologico - Allo stato immunitario della madre Gli effetti che possono verificarsi sul feto sono: morte intrauterina e aborto (nel primo caso si dovrà effettuare un raschiamento, mentre l’aborto presuppone l’espulsione del feto sia esso vivo o morto), malattia post-natale persistente, malformazioni fetali. L’insieme dei patogeni che causano le infezioni intrauterine prende il nome di complesso TORCH: in passato tra questi rientrava anche la sifilide congenita. gruppo B, E. Coli, Listeria monocytogenes, S. aureus) e devono essere distinte in: - Infezioni neonatali che si manifestano nei primi 5 giorni di vita = allora si tratta di microorganismi acquisiti durante la vita intrauterina - Infezioni neonatali che si manifestano entro 7 giorni dalla nascita = allora si tratta di microorganismi acquisiti durante e dopo il parto. Listeriosi Listeria monocytogenes è un bacillo gram-positivo, mobile e β emolitico, la cui caratteristica è quella di crescere a temperatura di refrigerazione (3-4 °C). La trasmissione umana avviene con il contatto con animali e con i loro prodotti fecali, ma anche tramite il consumo di latte e derivati o verdure contaminate. Nelle donne gravide si manifesta come una sindrome simil influenzale o asintomatica con una fase batteriemica che causa infezione della placenta e del feto. Nel feto causerà aborto, parto prematuro, setticemia neonatale, polmoniti, nel neonato invece la meningite. o Diagnosi: isolamento colturale dal sangue, liquido cerebro-spinale, lesioni cutanee. o Trattamento: ampicillina spesso associata a gentamicina (è un batterio non particolarmente resistente) ma nessun vaccino è disponibile. INFEZIONI DELLA CUTE E DEI TESSUTI MOLLI Cenni di anatomia La cute ricopre tutta la superficie del corpo ed è costituita da tre strati distinti:  Epidermide: è un foglietto sottile costituito da cellule che si rinnovano e differenziano; è formato da cinque strati che dall’interno all’esterno sono: strato basale, spinoso, granuloso, lucido e corneo. Lo strato basale, è costituito da cellule, i cheratinociti, che si dividono, si differenziano e poi si distaccano all’apice dello strato corneo. Lo strato corneo costituisce la principale barriera fisica che si oppone alla penetrazione dall’esterno di sostanze chimiche e di microrganismi.  Derma: è spesso alcuni millimetri ed è separato dall’epidermide dalla membrana basale, ha una struttura di supporto rappresentata da collagene ed elastina immerse in una matrice glicoproteica, ed ha funzioni metaboliche e meccaniche di sostegno; inoltre nel derma corre un ricco plesso di vasi sanguigni e linfatici  Grasso sottocutaneo: rappresenta il terzo strato della cute ed è costituito da cellule adipose con funzione di riserva di calorie e di strato isolante; sotto di esso corre la fascia superficiale che separa la cute dai muscoli. La cute, sterile alla nascita, viene colonizzata da microrganismi che possono essere distinti in:  Residenti: sono quei microrganismi sempre presenti sulla superficie libera della cute incluse le parti più profonde come i dotti dei follicoli, delle ghiandole sebacee e sudoripare ed i peli, ove si moltiplicano e non sono eliminabili ma possono essere numericamente ridotti. È principalmente costituita da Staphylococcus epidermidis (90% di tutti i batteri aerobi), Propionibacterium acnes ed altri Difteroidi anaerobi (zone sottostanti allo strato cutaneo superficiale), Micrococchi e Cocchi anaerobi, Candida (cuoio capelluto, pliche cutanee). Occasionalmente possono essere presenti in scarsa quantità: Staphylococcus aureus, Streptococcus pyogenes, Escherichia coli, Klebsiella. Si possono trovare in diverse localizzazioni anatomiche, quali la cute secca degli avambracci e gambe (stafilococchi coagulasi-negativi), la cute umida delle ascelle e dell’inguine (corinebatteri e stafilococchi coagulasi-negativi) ed infine nelle zone ricche di sebo quali la fronte, il torace ed il dorso (difteroidi aerobi ed anaerobi). La flora microbica residente ha l’importante funzione di ostacolare lo sviluppo di batteri patogeni instaurando un rapporto competitivo in caso di infezione di questi ultimi.  Temporaneamente residenti: è rappresentata da microrganismi che colonizzano per un periodo limitato di tempo.  Di transito: è rappresentata da una grande varietà di microrganismi che derivano dal contatto della cute con l’ambiente, con altre persone o dal proprio tratto gastrointestinale; questi non si moltiplicano e vengono facilmente rimossi con le comuni operazioni igieniche (es. S. aureus, E. coli, Klebsiella) Complessivamente la cute rappresenta una barriera di tipo fisico grazie alla sua integrità anatomica ed alla presenza dello strato corneo, di tipo chimico per la presenza di un pH cutaneo leggermente acido e di tipo immunitario per la presenza di cellule dendritiche specializzate (cellule di Langerhans). Patogenesi delle infezioni della cute Le infezioni possono avere origine da: o Patogeni che penetrano attraverso aree danneggiate della cute o Patogeni che raggiungono l’organismo per diffusione ematica o Tossine batteriche prodotte da infezioni localizzate in altri siti (tossina eritrogenica di S. Pyogenes che porta a scarlattina) Generalmente possiamo suddividere le infezioni di origine cutaneo in: o Infezioni cutanee: colpiscono derma ed epidermide e sono: Impetigine (quando è interessata l’epidermide) Erisipela (quando sono coinvolti epidermide, derma e vasi linfatici) o Infezioni sottocutanee: colpiscono lo strato adiposo e sono: Cellulite o Infezioni delle strutture della cute Follicolite Forunculosi Acne vulgaris IMPETIGINE È un’infezione superficiale della cute che coinvolge l’epidermide; è principalmente associata all’età pediatrica e gli agenti eziologici sono: - Streptococcus Pyogenes: piccola vescicola che rompendosi determina la fuoriuscita di un essudato sieroso e la formazione di una crosta giallastra. Quest’ultimi contengono numerosi streptococchi che possono infettare zone contigue di cute e causare la propagazione dell’infezione. - Staphylococcus aureus: causa l’impetigo bollosa, caratterizzata dalla presenza di grandi bolle piene di liquido alla cui formazione concorre anche la tossina esfoliativa prodotta da alcuni ceppi di stafilococchi. ERISIPELA È un’infezione superficiale della cute che coinvolge l’epidermide ed il derma; è caratterizzata da edema della cute, eritema marcato, dolore, febbre e linfoadenopatia. L’agente eziologico è Streptococcus pyogenes, e si verifica maggiormente nei soggetti anziani.