Scarica Nelle ombre di un sogno - Claudio Marra e più Sintesi del corso in PDF di fotografia solo su Docsity! Nelle ombre di un sogno – Claudio Marra 1- ORIGINI La vera fotografia di moda ha preso avvio nell’ultimo decennio del XIX secolo, quando viene messa a punto la tecnica della fotoincisione che ha permesso di stampare su una stessa pagina foto e testo. Infatti nel 1892 appare per la prima volta la riproduzione di una fotografia nella rivista "La Mode Pratique". Prima di allora alcune testate avevano proposto un insieme di immagini fotografiche ma si trattava di prodotti preziosi e poco diffusi, dal momento che le fotografie erano incollate a mano anziché stampate direttamente sulla carta. L'ambito dell'abbigliamento rappresenta solo una piccola parte di ciò che può essere raccolto sotto il termine moda. L'accelerazione del cambiamento nella moda a che fare con l'evoluzione tecnologica. Se oggi la moda cambia tanto in fretta è proprio perché esistono una serie di strumenti del tutto nuovi che la fissano. L'avvento della fotoincisione ha permesso di materializzare un sogno, di renderlo accessibile. 2- VIRGINIA OLDOINI Gli album di Virginia Oldoini sono il primo caso di fotografie di moda. Diciamo "gli" album perché accanto a quello più noto, esiste un secondo più modesto per quantità di fotografie. Questi album sono interessanti perché ci propongono l'idea di immagine e quella di immaginario, un'oscillazione di cui parleremo spesso da qui in poi. Un altro aspetto interessante che emerge da questi album, è legato alla figura della contessa. L'atteggiamento e il ruolo della protagonista, si attribuisce a quello delle top. La differenza tra immagine e immaginario è che l'immagine di moda è rivolta alla presentazione dell'oggetto con riguardo alla resa formale, mentre quando parliamo di immaginario vogliamo alludere ad una fotografia orientata alla creazione di un clima, di un'atmosfera capace di proiettare l'oggetto in una situazione di sogno e di desiderio. L'indossatrice, altrimenti detta mannequin, è la figura che interpreta le ragioni delle immagini. La mannequin rimanda all'idea di colei che indossa in maniera anonima, da manichino appunto, e che è in grado di esaltare al massimo l'abito che presenta. La top model invece ha modificato l'identità del l'indossatrice classica, proponendosi innanzitutto come corpo vivente, quindi con una propria personalità in quanto donna che ricopre un certo ruolo. Virginia Oldoini ha in qualche modo anticipato la personalità della odierna top model. Il repertorio proposto dalla contessa è straordinario in quanto si va da personaggi storici, da figure fantasiose a personaggi mitologici. Tra immagine ed immaginario, Virginia preferiva ovviamente la seconda prospettiva. Per lei la fotografia era lo strumento ideale per costruire un sogno ad occhi aperti, in compagnia dei suoi tanti ammiratori. In realtà è il primo atto di moda si compie proprio davanti allo specchio. 3- PIONIERI La presenza iniziale della fotografia nella moda riprende gli stessi problemi che nel Novecento ancora caratterizza il rapporto tra fotografia e arte. Rimanendo ancorate al disegno, quando ormai si sarebbe potuto sostituirlo con l'immagine meccanica, le riviste di settore manifestavano una sorta di sfiducia nella capacità della fotografia. Abbiamo detto parziale perché anche nella moda si riconosceva alla fotografia la capacità di documentare in modo preciso il reale. I primi grandi fotografi impegnati nella moda, oltre che ad offrire materiale alle riviste, finiscono per passare immagini ai disegnatori e agli incisori, da copiare. Il primo Atelier fotografico al quale si può riconoscere un’attenzione al mondo della moda è stato quello condotto da Charles Reutlinger. Si trattava di uno studio che si occupava di ritrattistica poiché agli inizi la fotografia di moda si intreccia con la fotografia di ritratto. L'atelier, oltre che lavorare su commissione dei clienti, avviò una produzione di album che avevano per protagoniste note attrici teatrali. Le location di queste fotografie erano rigorosamente realizzate in studio. Da questo repertorio gli artigiani prendevano spunto per le incisioni che, avendo come soggetto la moda, cominciano ad apparire sui giornali, anticipando così la stampa diretta delle fotografie. Queste immagini, più che fotografia di moda, dovrebbero essere definite fotografie di gente alla moda, mancando quella componente di presentazione del marchio che oggi riteniamo indispensabile. Oltre questo atelier, ce ne furono anche altre. Nei primi anni del 900sì, anche grazie alla tecnologia, la fotografia di gente alla moda comincia ad essere esercitata en plein air, cioè fuori dagli studi. Non vengono però allestiti set in esterna, perché in realtà sono i fotografi che vanno a cercare la moda là dove si manifesta, cioè in quelle occasioni di mondanità, per esempio fra le corse dei cavalli, dove le signore dell'aristocrazia danno sfoggio alle loro toilette. 4- DE MEYER/STEICHEN Adolf De-Meyer sarà il primo grande protagonista della fotografia di moda. La sua figura è legata alla nascita e alla fortuna di Vogue e di Harper's Bazaar. La stessa vita di De Meyer a incarnato alla perfezione quel modello di comportamento fatto di eccessi e originalità. Egli segna la storia della fotografia di moda perché è con lui che per la prima volta si stabilisce un sodalizio tra arte e moda, fra la ricerca pura e quella che poi sarà chiamata industria culturale. Questo sodalizio verrà definito con l'etichetta Pittorialismo. È all'interno di un contesto possiamo dire pittorico che De Meyer elabora il proprio linguaggio fotografico. La tecnica che lo caratterizza di più è la tecnica del Flou. Questa tecnica de Meyer la otteneva tramite una sottile garza di seta che antepone va all'obiettivo normale. Questa tecnica la otteneva anteponendo una sottile garza di seta all'obiettivo normale. L'effetto Flou si era mescolato con affascinanti giochi di luce ricavati da un difetto dell'obiettivo che finiva per rilanciare la luce incidente che lo colpiva. I ritratti femminili del mondo londinese si erano aggiunte Nature morte con vasi in cristallo e fiori. I gioielli, la cristalleria, tutto era rigorosamente trasformato in elemento utile a sostenere i suoi giochi di luce da cui puoi ricavare un'atmosfera onirica. De Meyer aggiungeva come effetti di illuminazione quello della controluce, finendo per conferire una sensazione di sospensione, a silhouette, affascinante. La dolce vita di De Meyer volgeva quasi al termine, in quanto in Europa cominciava a soffiare il vento di guerra, così Esso insieme alla compagna Furono costretti ad emigrare oltreoceano In seguito a una espulsione. I due sbarcarono a New York e qui, De Meyer, ebbe l'opportunità di conoscere il giovane Nast, che qualche anno prima aveva acquistato Vogue. Lo scopo di Nast non era solo quello di mostrare abiti, bensì di trasformare Vogue in un vero e proprio punto di riferimento per il pubblico snob americano. Non voleva un vasto pubblico, ma un pubblico scelto. Per incrementare le entrate economiche, de Meyer e la moglie, aprono un locale in cui si impartiscono Beauty lessons, lezioni di bellezza che andavano dal make-up al l'arte del saper vivere e delle buone maniere Inoltre la scuola prevedeva che le frequentatrici imparassero ad assumere gli atteggiamenti eleganti delle eroine dei grandi pittori del passato per essere fotografate da De Meyer. Nast inizialmente non sembrava convinto di De Meyer, Ma la tecnica di quest'ultimo fu poi imitata da tanti altri e s'impose ovunque. Dobbiamo definirlo come un ottimo interprete delle dell'immaginario piuttosto che dell'immagine. Il flou risultava sicuramente una scelta di retroguardia, ma se adottiamo una lettura concettuale, si può convenire sul fatto che quello sfumato, cioè quel fuori fuoco, finiva per offuscare la stessa realtà, così da proporla non come realtà tale e quale, Ma come realtà intensificata, da sogno. Inoltre si deve a De-Meyer L'invenzione di quel particolare atteggiamento di posa delle modelle, cioè le mani sulle anche e il busto leggermente sbilanciato all'indietro, e poi è divenuto una sorta di codice molto seguito tratteggiare il corpo nella fotografia Ma anche nelle sfilate. Per De Meyer l'inizio del declino coincide con il momento in cui abbandona Vogue per passare alla concorrenza, cioè ad Harper’s Bazaar. Anche il nascente modernismo sbilanciato su rigidi schemi geometrici, comincia a farsi sentire nell'immagine della moda, segnando effettivamente De Meyer come un autore ormai retro. Nonostante ciò, De Meyer riesce a dimostrare le sue capacità, attraverso la campagna pubblicitaria elaborata per i prodotti cosmetici di Elizabeth Arden. Qui de Meyer fascia tutto il capo e il collo della modella con bende di stoffa, lasciando scoperto solo il viso Tra l'altro assolutamente levigato. Il bianco re dominante in queste immagini le Proietta magicamente in una dimensione minimalista e induce effettivamente a pensare di trovarsi di fronte ad un cambio d'identità, ad una vera e propria mutazione verso una bellezza artificiale, e risulta ancora oggi attuale. In queste fotografie la modella sembra proprio una maschera di porcellana. Ma il declino sembrava ormai inevitabile, accelerato anche dalla crisi economica di Harper's Bazaar. De Meyer tentò di ritornare da Vogue Ma per lui le porte erano ormai chiuse. La sua carriera ormai era finita. Nel momento in cui Edward Steichen subentra come capo di Vogue e di Vanity Fair per la fotografia di moda si ha un passaggio dal Pittorialismo al Modernismo. Il pittorialismo aveva per modello l'impressionismo. Se De Meyer aveva inaugurato la strada dell'immaginario, Steichen apre quella dell'immagine. Comincia giovanissimo ad occuparsi di fotografia. In realtà ottiene il successo pian piano, tanto da entrare in contatto con autori già affermati. Un momento importante per la sua formazione sia durante la guerra, in quanto parte come volontario per l'Europa, ed è destinato ad occuparsi della fotografia aerea. Le necessità imposte dalla guerra lo fa allontanare sempre di più dal suo stile di fotografia, dal Pittorialismo. Dunque egli utilizza tagli secchi e forti contrasti di luce. Successivamente diviene capo di Vogue e di Vanity fair. La donna che emerge dalle sue immagini è diversa da quella di De Meyer. È una donna dinamica, attiva, che vuole cominciare ad essere protagonista in tutti i campi, nel lavoro e nella vita, ma anche nel tempo libero. In parallelo ad una moda che propone abiti adatti a tutte queste necessità, le immagini di Steichen sostengono questo nuovo modello di femminilità. Le sue immagini alludono ad un atteggiamento di vita che vuole essere essenziale, pratico è attivo, tutto questo inventando una nuova forma di fascino femminile. Si va creando così un modello di eleganza applicato alla quotidianità. Nasce il concetto di chic quasi una filosofia che Vogue tende a diffondere negli anni in questione (1929). Quanto all'immagine non dobbiamo pensare che questa sia priva di immaginario: Il sogno è metaforicamente espresso dall'immagine stessa. La geometricità delle sue composizioni allude al mondo nuovo, un mondo in cui vive e si comporta una donna consapevole di una nuova identità. Diversamente da De Meyer che è più esplicito, Steichen sembra proporre questa idea sotto forma di codice. 5- IL MODERNISMO DI HOYNINGEN-HUENE E HORST A Vogue si impone una nuova figura a capo: si tratta del barone Huene. Si racconta che un giorno lavorando come assistente di uno sconosciuto fotografo redazionale, per l'assenza improvvisa di questo, fu spinto dalla redazione della rivista a scattare lui stesso le immagini. Ovviamente i risultati furono talmente buoni che da quel giorno egli divenne il primo fotografo di Vogue. Questa è una versione. La seconda versione racconta che un giorno Il barone si è presentato da lui per illustrare le qualità fotografiche di Man Ray del quale era già stato collaboratore nella realizzazione di un portfolio di ritratti. Anche in questo caso la leggenda vuole che il racconto delle immagini che Man Ray avrebbe potuto realizzare, sia stato convincente da fare in modo che lo stesso Huene realizzasse le immagini. Le sue capacità tecniche un’attenzione quasi maniacale alla resa del dettaglio, alla valorizzazione grafica dei soggetti, all’evidenziazione della texture dei materiali. Ma è comunque lo spirito stesso della pittura, che pervade tutta l’opera di Penn: ogni corpo, ogni abito, ogni accessorio inquadrato dal suo mirino acquista un carattere sospeso e metafisico. Avedon ha sperimentato nella moda scenari e situazioni di assoluta finzione resi grazie alla fotografia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Avedon viene arruolato come fotografo di guerra e assume l'incarico di scattare le fototessere per i documenti di riconoscimento delle reclute. I ritratti che lo renderanno famoso risulteranno sempre caratterizzati da un fondo bianco e impersonale tipico delle fototessere. Congedato dopo molti tentativi, avete non riesce a mostrare il proprio portfolio ad Harper's Bazaar. Influenzato dallo stile di Munkacsi, Avedon Dà vita ad una fotografia di moda bilanciata in senso narrativo e dunque distante da Penn. Avedon dà alle immagini una dimensione decisamente più teatrale e filmica. Egli adotta l'idea della mini storia a più immagini, inaugurando così una formula di racconto della moda. La vocazione cinematografica di Avedon comincia per influenzare anche le modelle, che iniziano ad assumere quel ruolo di protagoniste, di attrici dentro e fuori la scena, tipico delle top di oggi. Ormai, questo tipo di fotografia, necessitava di modelle che erano vere e proprie attrici, credibili come personaggi di un set cinematografico, perché ormai il set della moda si stava facendo sempre più simile a quello del cinema. Successivamente Avedon abbandona lo stile cinematografico, in favore di una foto tutta costruita in studio. La svolta è stata spiegata da Avedon con l'impossibilità di continuare a raccontare in modo naturale un mondo che si stava sempre più artificializzando. Lavorando in studio, riscopre lo sfondo bianco neutro che aveva già sperimentato durante la guerra e che adotterà sistematicamente anche per i ritratti di personaggi più o meno celebri. Le modelle continuano a comportarsi come en plein air, saltano, corrono, si muovono. Isolate sul fondo bianco, le modelle tendono ad assumere un carattere simbolico analogo è quello manifestato negli oggetti della pittura pop. L'opposizione Penn/Avedon ripropone l'interrogativo fondamentale secondo cui la fotografia deve orientare il proprio linguaggio sul discorso formale oppure imboccare una prospettiva concettuale? 10 - TRA OP E POP Negli anni 60 l’opposizione dialettica tra opera e comportamento può essere riportata all’analoga tensione che in questo periodo si crea nelle arti visive rispettivamente tra linea Pop e linea Op. Le etichette Pop e Op, contrazione linguistica di ‘’Popular’’ e ‘’Optical’’. Se da un lato la Pop è’ stata un’esperienza artistica decisamente estroversa e comportamentista; dall’altro la Op ha indirizzato tutta la sua attenzione ad analizzare le strutture formali dell’immagine con la valorizzazione della stessa. David Bailey, interprete negli anni ’60 della POP art ha saputo trasferire nella fotografia di moda dei comportamenti sessuali. Per Vogue, Bailey, non si limita a pubblicare immagini di moda, ma anche ritratti dedicati ai protagonisti della Londra pop raccolti in una raccolta di foto dal titolo ‘’David Bailey’s Box off Pin-Ups’’. Il progetto provocò grande scandalo perché in trentasette scatti tecnicamente uniformi, con i soggetti isolati su fondo bianco, Bailey aveva raccolto insieme personalità socialmente assai distinte tra loro. Ma questo era lo spirito del pop: la massificazione indistinta del gusto. Se Bailey poteva essere considerato l'interprete della pop art e affermava di essere disinteressato alle questioni di stile; Hiro risulta essere interprete della Optical art e ha invece espresso nella ricerca di un esasperato equilibro visivo, il tratto fondamentale del proprio lavoro. Hiro è stato un maniaco della camera oscura, sempre attento ed interessato a usare, tanto in ripresa, quanto in stampa, ogni artificio di linguaggio utile a rendere attraenti le sue immagini. Le inquadrature ardite, l’attenzione ai sistemi di illuminazione (dal neon alle luci stroboscopiche) e agli effetti di colore, le doppie esposizioni, gli ingrandimenti stranianti, sono tutti elementi ricorrenti del suo linguaggio, che finisce per delineare un’identità della fotografia come opera-manufatto. Non è’ certo un caso che le migliori foto di Hiro siano nature morte, dove gli elementi formali, come organizzazione dello spazio, della luce, dei colori, delle linee, prevalgono su quelli narrativi. Proprio perché fondata su un’esasperata perfezione formale, la bellezza proposta da Hiro è sempre una bellezza algida, intenzionalmente fredda, asettica, matematica e razionale. Se lo spirito della Pop art si esprimeva nella moda soprattutto a livello di comportamenti, l’influenza della Op si manifesta negli aspetti materiali e visivo-formali dell’abbigliamento. Negli anni 60, tra moda reale e fotografica, agiscono dunque due spinte contrarie e complementari: • un’anima Pop (una tendenza concettuale-comportamentista) • un’anima Op (una formale-visibilità) Tra linea Pop e Op vi sono alcuni scambi. Un esempio significativo deriva da William Klein, autore che ha saputo trasferire nella moda quella sperimentazione di linguaggio da lui già felicemente applicata nel campo del reportage. Klein come autore a metà strada fra le ragioni dell’opera (linea Op) e quelle del comportamento (linea Pop), e questo per via delle differenze che emergono tra il suo lavoro di reportage e quello di moda. Se guardando al reportage puro egli sembra guidato da un’idea di fotografia essenzialmente comportamentista, quando lavora nella moda finisce per proporre una fotografia dove a prevalere è il trattamento formale dell‘immagine. La deformazione dell’immagine, dovuta all’uso dell’obiettivo grandangolare, e le sfocature in ripresa, divengono il marchio distintivo dell‘opera di Klein e possono senz’altro essere considerate innovative per la fotografia di moda di quegli anni (1960). Un altro protagonista fu Jeanloup Sieff autore schierato su un’idea formale di fotografia che privilegia la forma rispetto al contenuto, in quanto la ritiene fine a se stessa. Meno interessati all’aspetto formale sono Bob Richardson e Diane Arbus, che rappresentano l’altra faccia degli anni 60, quella inquieta e tormentata dai sintomi di un disagio sociale. Con Bob Richardson torna l’idea di una fotografia di moda intesa soprattutto a costruire un atteggiamento dove gli abiti non sono più valorizzati dalla composizione formale voluta dall’autore, e l’occhio dello spettatore non è’ più incantato da sospendenti e inusuali artifici tecnici e di linguaggio. Il suo stile emerge dalle situazioni che riesce a creare, dai comportamenti dei soggetti, siano essi bambini o giovani donne sorprese in intimità. Segnate da un evidente casa erotica e voglia esplicita di trasgressione. Il contributo delle immagini di Diane Arbus la rende una delle protagoniste della fotografia del 900 e inizia la sua attività nella fotografia di moda lavorando insieme al marito Allan. Il loro lavoro era sempre accurato e professionale, forse anche troppo viste le lamentele per i costi troppo alti delle loro sedute di posa. Lacerata interiormente da profonde crisi depressive, Diane si allontana dal marito e volta le spalle al lavoro nella moda, decidendo di andare a studiare fotografia. Dagli anni 60, fino al tragico suicidio nel 71, la sua attività sarà orientata verso una ricerca non commerciale, salvo brevi ritorni nella moda, limitati, ma rilevanti, perché in essi ha saputo trasferire quello stile di ripresa frontale, duro e oggettivo che l’ha imposta tra i maggiori artisti del secolo. Il suo è uno degli esempi più limpidi di ciò che bisogna intendere quando si parla di fotografia come comportamento: il suo modo di guardare il mondo, nella modalità fredda e distaccata che la macchina le impone. 11- IL VESTITO CORPOREIZZATO Intorno agli anni 70, si conferma il passaggio dal corpo vestito al vestito corporizzato. Già De Meyer aveva intuito la capacità della fotografia di costruire atmosfere piuttosto che limitarsi a presentare abiti, ma la stessa situazione della moda in quegli anni rendeva più difficilmente praticabile l'ipotesi di una fotografia come luogo di corpi reali. La prima ragione da citare per spiegare questo cambiamento, risiede nella svolta della rivoluzione sessuale. Nella moda il vestito non veniva più chiamato a mascherare il corpo, bensì ad esaltarlo, assecondandone le pulsioni erotiche. Una seconda ragione che può spiegare la rivincita del corpo sull'abito è invece interna al sistema moda, e riguarda l'affermazione del pret à porter, una tipologia di abbigliamento che tende a privilegiare la dimensione performativa della moda, quella che scaturisce da un corpo chiamato a muoversi e ad agire. Come terza ragione non bisogna sottovalutare il ruolo che la fotografia ha giocato nel corpo e nella fisicità. La fotografia esisteva da tempo quando, il corpo comincia ad acquisire una visibilità culturale. Spetta alla fotografia di moda lo sviluppo di un immaginario orientato verso una trasgressione dei comportamenti sessuali. La fotografia di moda si fa sempre più cinema. L'erotismo in sé non può essere considerato una novità nell’immagine di moda. Le novità infatti riguardano più che altro i modi dell'erotismo. Sarà Helmut Newton, forse il più emblematico rappresentante di questa sentenza. Egli utilizzerà ammiccamento omosessuale, provocazione derivanti da situazioni sadomaso, gusto per il sangue per la violenza, con il ricorso d'atmosfera inquietanti e misteriose. Il primo autore che sfrutta nel proprio lavoro un'idea di fotografia pseudo thriller a sfondo erotico è Guy Bourdin. I suoi set propongono atmosfere misteriose nelle quali il pericolo sembra sempre incombente. I luoghi utilizzati sono resi ancora più inquietanti da illuminazione drammatiche e folate di vento che scompigliano abiti e acconciature delle modelle. Queste, più che mannequin, sono ormai attrici in perfetta sintonia con l'atmosfera creata dal fotografo, che esibiscono sguardi consapevoli del pericolo che incombe su di loro. Resta Infatti l'idea dell'immagine sospesa. Bourdin entra nel classico impianto del thriller Ma poi ne esce a metà, senza fornire spiegazioni sul motivo di tutta questa inquietudine e allora Ciò che conta sono semplicemente i giochi concettuali sulla suspense, delle domande che lo spettatore necessariamente si pone di fronte alla scena. A contare sembra essere soprattutto la ricerca di un coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore sulla fotografia. Ciò. che importa è provocare chi guarda, scioccarlo con allusioni sessuali particolari e dosi calibrate di violenza e sangue. L'alter Ego al femminile di Bourdin è Turbeville, la vicinanza con Bourdin riguarda lo stile, la modalità narrativa, non certo le tematiche utilizzate dalle quali invece scompaiono i richiami violenti e drammatici. Viene comunque utilizzata la componente sessuale ma da un punto di vista psicologico. La Turbeville porta nella fotografia di moda un punto di vista prettamente femminile, tesa a raccontare dal di dentro di una donna problematica, tormentata, lontana da certi stereotipi. La Turbeville affida alle pose, alla gestualità delle braccia e agli sguardi, il compito di comunicare il disagio di queste donne. Si parla di quadri più che altro e non di cinema perché nel suo caso tutto risulta già compreso nella singola immagine. Essa mette in scena coppie o addirittura gruppi di donne che paiono una estranea l'altra, che non si guardano, che non dialogano. Tutte affette dalla stessa sindrome e dalla stessa dolorosa assenza di comunicazione. Siamo andando avanti verso una concezione secondo cui la fotografia di moda è qualcosa di ben più complesso rispetto al semplice abito. Questo è anche il periodo in cui i fotografi di moda sono invitati a proporre i loro lavori non solo sulle pagine delle riviste ma anche sulle pareti di gallerie e musei. Eccoci a ridosso degli anni 80: la componente sessuale rinforza il proprio ruolo negli Intrecci delle varie situazioni messa in scena, in cui la donna anziché manifestare dolcezza, continua a giocare un ruolo di preda, si dimostra dominatrice e regista di eventi più o meno torbidi. Questo modello di donna forte proverà conferma nella moda proposta da Giorgio Armani che, imporrà nel mondo la voglia di affermazione delle prime donne in carriera. L'originalità di Newton sta proprio nel portare all'eccesso ciò che in qualche modo è già codificato, tanto che gli ingredienti utilizzati in maniera di perversione da parte di Newton sono: feticismo, provocazione, sadomasochismo, omosessualità femminile, tutto enfatizzato. Newton Infatti ha sempre espresso l'inutilità della distinzione che in fotografia tanti continuano a proporre tra erotismo e pornografia. Newton ha sempre ritenuto ipocrita ogni distinzione fra i due livelli, lasciando trasparire una preferenza proprio in favore della pornografia, da lui considerata più adatta a Interpretare quel piano di finzione. Inoltre nelle sue foto, utilizza sempre location molto eccessive, come ville di lusso, saloni principeschi. Il corpo degli anni 80 ormai è un corpo carnale e non psicologico. Ma il dato veramente originale di tutta questa nuova situazione riguarda la sempre più rilevante artificialità con la quale ora il corpo si propone. Infatti viene esibito un corpo plasmato da costanti cure estetiche e da una frequentazione assidua della palestra. Di tutto questo clima, Newton si dimostra un anticipatore geniale perché già sul finire degli anni 70 le sue modelle interpretano una fisicità ormai schierata sulla frontiera della artificiale. Non vanno mai considerate le modelle al pari della gente vera e infatti, per confermare questa ricerca di artificialità, spesso Newton interviene con l'aggiunta di protesi, collari ortopedici e altro. 12 – L'IDENTITÀ INSTABILE DEGLI ANNI 80 All'inizio degli anni ottanta, la messa in discussione dei ruoli e dell'identità non coinvolge solo l'universo femminile ma anche quello maschile. L'uomo comincia a scoprire altre possibilità identità. I complessi riti della cura del corpo che fino a quel momento interessavano Più che altro l'universo femminile, adesso coinvolgono anche l'uomo. La figura maschile quindi risulta adesso al centro della scena, al pari di quella femminile. Questa nuova prospettiva coincide anche con lo sdoganamento della cultura gay. I divulgatori di questa svolta culturale, sono due autori americani di nome Weber uno e l'altro Ritts. Il primo contatto di Weber con la moda avviene quando, dovendo superare un periodo di difficoltà economica, Ha occasione di lavorare come modello. Weber utilizzerà immagini di uomini ammiccanti già quando Calvin Klein gli affiderà la campagna pubblicitaria per le sue celebri mutande da uomo. Egli infatti inaugura un nuovo modo di concepire la fotografia di moda: ne abbassa il tono, portando la propria sensibilità nel progetto dell'immagine. Ritts Invece quando aveva 26 anni, attraverso un'amica comune ha occasione di conoscere Richard Gere, un coetaneo con ambizione di attore che fino a quel momento aveva girato un solo film. Un bel giorno i tre si mettono in viaggio con l'automobile di Ritts, per una gita nel deserto della California. Sfortunatamente, forse bisogna dire per fortuna, una ruota forata li blocca costringendoli a fermarsi per la sostituzione della gomma. La location è una stazione di servizio, e mentre la macchina viene alzata per la riparazione, Ritts scatta alcune foto a Richard in jeans e canottiera bianca. La più famosa di quelle immagini lo ritrae in piedi davanti alla macchina, il viso pieno di sudore, le mani intrecciate dietro la nuca e la sigaretta pendente dalla bocca. Quelle immagini scattate guadagnano la copertina e le doppie pagine di "Esquire", "Vogue" e altre riviste importanti. Ritts si imponeva come il ritrattista più ricercato tra i nuovi divi dello spettacolo americano. Egli si è sempre orientato però verso una esaltazione della plasticità del corpo, evidenziandone la carica erotica. Nella sua fotografia di moda il protagonista è sempre il corpo è mai l'abito. Un altro autore importante Ferdinando Scianna, esempio di contaminazione linguistica e autore di reportage. Questo reca un contributo forte al marchio Dolce e Gabbana, ma soprattutto il suo impegno nella moda acquista un significato particolare perché avviene in un contesto culturale del tutto nuovo. In giro per il mondo racconta un'idea di fotografia che non viene meno quando si tratta di passare a modelle e abiti. Il conflitto fa il realismo del reportage e la finzione della moda diviene così il motivo dominante del suo nuovo impegno. Questo problema viene riscontrato nelle immagini realizzate per il catalogo Dolce e Gabbana, facendo muovere la modella tra le strade di quella Sicilia dove si era fotograficamente formato, portando il reportage nella moda ma anche la moda nel reportage. 13 – NO LIMITS Negli anni 80 subentra una fase di maggiore austerità, sottolineata da un insieme di scelte stilistiche che prenderanno il nome di minimalismo. L'idea di essere costantemente partecipi della vita altrui negli anni 90, è ormai una condizione del tutto normale. Il cosiddetto minimalismo che si manifesta in questo secolo viene interpretato come una risposta più adeguata ad un clima in cui la trasgressione e l'eccesso hanno praticamente perso di significato, in cui non ci sono più frontiere e limiti, si parla infatti di un mondo no limits. È proprio in questa prospettiva, che si sviluppa il rapporto fra Oliviero Toscani e il marchio Benetton. Toscani non si limita semplicemente a fotografare i prodotti del gruppo ma diventa curatore dell'intera strategia comunicativa aziendale, arrivando a riformulare Il nome stesso del marchio in United Colors of Benetton. In una lunga collaborazione segnata da tante campagne fondate sullo scandalo e sulla provocazione, le fotografie di Oliviero riguardano un omicidio di mafia, lo sbarco a Bari di profughi albanesi e un malato terminale di AIDS, attorniato da familiari piangenti. In maniera scolastica il principio del ready-made duchampiano fondato sulla decontestualizzazione dell'oggetto. Toscani non ha fatto altro che portare il principio secondo cui la moda vive dentro il sociale. Quello che ci interessa però è soprattutto evidenziare le novità linguistiche che introduce Oliviero nella fotografia di moda. Prima di lavorare per Benetton, lavora per altre riviste. Durante la sua