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La Corteccia Cerebrale: Struttura e Funzioni - Prof. Pergola, Appunti di Neurobiologia

La corteccia cerebrale, una struttura interna del cervello che contiene il 70% dei neuroni totali e garantisce l'apprendimento attraverso l'esperienza sensoriale. Viene discusso come differisce la corteccia cerebrale tra primati, come si organizza in strati e come è implicata nella comunicazione interna e esterna. Inoltre, vengono presentate le differenze tra aree sensoriali e associative, il ruolo di neurotrasmettitori come glutammato e l'impatto di ormoni come estrogeni.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 20/01/2024

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giovanna-bruno-7 🇮🇹

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Scarica La Corteccia Cerebrale: Struttura e Funzioni - Prof. Pergola e più Appunti in PDF di Neurobiologia solo su Docsity! SISTEMA NERVOSO Il sistema nervoso si distingue in centrale e periferico: - il centrale: è diviso in encefalo e midollo spinale, è avvolto dalle meningi che sostengono strutturalmente e proteggono il tessuto nervoso - il periferico: include i neuroni sensoriali e innerva i vari effettori ENCEFALO NEUROANATOMIA MACROSCOPICA Si parla di ASSI e di PIANI Gli assi sono delle strutture unidimensionali; possiamo distinguere 3 assi: ° Asse rostro-caudale → va dalla parte più anteriore a quella posteriore dell’encefalo ° Asse dorso-ventrale → va dalla parte superiore a quella inferiore dell’encefalo ° Asse medio-laterale → va dalla parte destra a quella sinistra dell’encefalo (e viceversa) Questi assi, appaiati a due a due, individuano dei piani che sono unità bidimensionali: ● Piano orizzontale è individuato dall’ asse rostro-caudale e asse medio-laterale ● Piano sagittale è individuato dall’asse dorso-ventrale e asse rostro-caudale ● Piano coronale è individuato dall’ asse medio-laterale e asse dorso-ventrale Tuttavia questi tipi di riferimenti anatomici funzionano molto bene con altri mammiferi ma non con l’uomo. Nell’uomo invece c’è un asse maggiore (della spina dorsale) che corrisponde all’asse rostro- caudale, nel cervello però questo tipo di direzione perde di significato: quello che è ventrale rispetto alla spina dorsale è anteriore rispetto alla stazione eretta, mentre quello che è ventrale rispetto al cervello è inferiore rispetto alla posizione della testa, perché c’è una rotazione degli assi che corrisponde ad una rotazione della direzione del tessuto nervoso in particolare dell’encefalo. Il cervello è l’organo umano più grande e il vero nome è encefalo. La struttura dell’encefalo, è tripartita in:  cervello vero e proprio  cervelletto  tronco encefalico  Cervello si divide in due emisferi: il destro e il sinistro. Il cervello è responsabile di funzioni estremamente complesse, tra cui elaborare gli stimoli che giungono dagli organi di senso (vista, udito, gusto, tatto, olfatto), promuovere il linguaggio, controllare i movimenti. Ma anche le emozioni, il ragionamento e l’apprendimento si originano nel cervello  Cervelletto Si trova proprio sotto il cervello, e tra i suoi compiti vi sono la coordinazione dei movimenti, l’equilibrio, la capacità di mantenere la posizione eretta e la capacità di attenzione  Tronco encefalico Include mesencefalo, bulbo e midollo e collega cervello e cervelletto con il midollo spinale. Regola molte funzioni automatiche, tra cui il respiro, il battito cardiaco, la digestione, la termoregolazione, i ritmi circadiani di alternanza sonno-veglia, gli stimoli involontari tra cui il vomito, lo stranuto, lo sbadiglio ecc. Osservando le PROIEZIONI DEL CERVELLO, abbiamo quindi: MEDIALE:  in cui possiamo distinguere le circonvoluzioni del lobo frontale, parietale e occipitale Mediale Ventrale b) il subtalamo, pari e simmetrico, localizzato lateralmente all’ipotalamo da ciascun lato, che contiene una serie di formazioni grigie e bianche in diretta continuazione con il mesencefalo sottostante. La porzione dorsale, ossia quella che rimane al di sopra del solco ipotalamico, comprende invece: a) il talamo, la porzione più voluminosa del diencefalo, a cui sono assegnate importantissime funzioni di ricezione e ritrasmissione delle informazioni a provenienza sia periferica che centrale; a) l’epitalamo, in posizione arretrata rispetto al talamo; b) il metatalamo, situato posterolateralmente rispetto al talamo e comprendente solo i corpi genicolati mediali e laterali. La superficie del cervello è rivestita dalla corteccia cerebrale, la quale contiene circa il 70% dei 100 miliardi di cellule nervose totali, e che ha il tipico color grigio chiaro che viene spesso utilizzato per definire l’intero organo, ovvero “materia grigia”.  Sotto la corteccia cerebrale troviamo gli assoni, prolungamenti dei neuroni che costituiscono la “materia bianca”. La caratteristica struttura della corteccia a pieghe, aumenta la superficie totale del cervello e quindi lo spazio disponibile per nuovi neuroni. Ogni piega viene definita “circonvoluzione”, e ogni scanalatura tra le pieghe “solco”.  I due emisferi del cervello sono collegati dal corpo calloso, un fascio di fibre che trasmette le informazioni dall’una all’altra parte. Ciascun emisfero “controlla” specularmente la parte opposta del corpo: l’emisfero destro la parte sinistra, il sinistro la destra. Non tutte le funzioni dei due emisferi sono condivise, infatti mentre il sinistro è considerato l’emisfero “razionale”,  perché regola abilità come il linguaggio, la scrittura, il ragionamento logico, il destro è quello “artistico”, che controlla la creatività, l’intuito, la percezione dello spazio, la competenza musicale ecc. In generale quello che è “pre” è più rostrale, più anteriore; quello che è caudale si dice “post”. Quindi il giro precentrale (che ospita la corteccia motoria primaria), si trova rostralmente rispetto al solco centrale. Il giro postcentrale ospita la corteccia somato- sensoriale primaria cioè quella responsabile del tatto Un’altra caratteristica anatomica del cervello e dei suoi emisferi, è quella di essere suddivisi in 4 lobi, ciascuno dei quali è deputato, a sua volta, al controllo di più funzioni specifiche. Questi lobi sono distinguibili sulla base anatomica, che sono un po’ meno variabili nella popolazione: solco centrale (distingue lobo frontale dal lobo parietale) e scissura laterale (distingue lobo temporale dal lobo frontale e parietale); già la divisione tra lobo parietale e lobo occipitale è meno marcata. LOBI: Lobo frontale, principali funzioni: (Il lobo frontale del cervello è più largo perché c’è la base del lobo temporale che protrude lateralmente che termina nel solco centrale)  Costruzione della personalità, gestione dei comportamenti e delle emozioni  Capacità di giudizio, di pianificazione e di risoluzione dei problemi  Area di Brocà deputata alle abilità di linguaggio e scrittura  Movimenti del corpo  Capacità intellettive, autocontrollo e percezione di sé Lobo parietale, principali funzioni:  Capacità di interpretare il senso delle parole, apprendimento delle lingue  Senso del tatto, del dolore, percezione sensoriale della temperatura  Elaborazione dei segnali provenienti dagli organi di senso (vista, udito, sensazioni tattili ecc.) e memoria sensoriale  Percezione visiva dello spazio Lobo occipitale, principali funzioni:  Interpretazione delle immagini visive: colori, proporzioni, movimenti ecc. Lobo temporale, principali funzioni:  Area di Wernicke in cui si attua parte della comprensione dei linguaggi  Memoria  Capacità uditive  Capacità di organizzazione e di pianificare in sequenza Come facilmente intuibile, i lobi “dialogano” tra di loro perché sovrintendono funzioni largamente interconnesse. I messaggi circolano per tutto il cervello passando da una circonvoluzione all’altra, da un lobo all’altro, e si comunicano anche alle strutture profonde dell’encefalo , che controllano le emozioni e i ricordi e che si trovano tra il tronco encefalico e la corteccia. Stiamo parlando del sistema limbico, che è strutturato in coppia, nel senso che ciascuna parte è duplicata nella zona opposta del cervello. Una regione corticale nascosta dal lobo parietale che si chiama insula che è la sede primaria del gusto. Il giro del cingolo viene attribuito da alcuni al lobo frontale e da altri al lobo limbico (chiamato così per la forma circolare, costituito anche dall’ippocampo e amigdala, coinvolte sempre nelle emozioni). Il lobo limbico si chiama così per la struttura che vorrebbe dirsi anulare, che include il giro del cingolo, l’ippocampo e altre aree che sono aggregate al lobo limbico in ragione della loro funzione. Di queste aree ricordare il tratto di materia bianca che si chiama forbice che va dall’ippocampo ai nuclei anteriori del talamo. SISTEMA LIMBICO: si compone di: Ipotalamo: è il controllore capo del sistema nervoso autonomo (SNA) e si occupa di regolare sensazioni primarie quali la fame, la sete, il sonno e l’impulso sessuale, ma anche la temperatura del corpo, la pressione del sangue e la secrezione di alcuni ormoni Talamo: è una sorta di “cancello” che permette la trasmissione dei messaggi tra gli emisferi cerebrali e il midollo spinale. È una area cerebrale posta sotto la corteccia. Si tratta, di una sorta di computer interno che garantisce l’apprendimento ricavando, dall’esperienza sensoriale, informazioni che trasforma in impulsi da trasmettere alla corteccia cerebrale. È la struttura principale del diencefalo e comprende una serie di nuclei che vanno da 30 a 50, di dimensione diversa e che hanno una connettività differente con le aree dell’encefalo legata alla loro funzione, cioè ciascuna regione autonomamente invia e riceve input alla e dalla corteccia ma non comunica con gli altri nuclei adiacenti. C’è solo UNA connessione che collega i nuclei talamici con un nucleo sottile che avvolge tutta la parte laterale del talamo che è detto nucleo reticolare che comunica con tutti i nuclei talamici e con la corteccia prefrontale ed è in grado di sincronizzare l’attività dei nuclei del talamo. Inoltre i due talami (destro e sinistro) non comunicano tra loro eccetto per i nuclei mediali, i quali a volte sono continui tra loro cioè un’unica massa di materia grigia, e c’è una connessione chiamata adesio – intertalamica che connette i due talami (circa il 30% delle persone non ha questa connessione cioè ha il talamo diviso in due). Internamente il talamo è costituito da 3 principali masse, divise dalla lamina midollare interna, che ha la forma di una Y, dove: - rostralmente rispetto alla Y si trova il complesso dei nuclei anteriori (ventrale, mediale e dorsale, di cui non si conosce la differente funzione nell’uomo); - medialmente ci sono i nuclei mediali - all’interno della lamina midollare interna ci sono alcuni piccoli nuclei come centro mediano (detti intralaminali); - lateralmente rispetto alla lamina midollare interna ci sono i nuclei ventrali o laterali, laterale-dorsale, laterale-posteriore, ventrali. - caudalmente agli altri nuclei si trova il pulvinar, fondamentale per gli stimoli visivi e per le funzioni cognitive - infine ci sono i corpi gianicolati mediali e laterali che elaborano informazioni rispettivamente di natura uditiva e visiva. Ippocampo: si occupa della costruzione della memoria e dei ricordi, che vengono catalogati in modo da poter essere “recuperati” quando necessari Amigdala: è un archivio delle emozioni, che vengono collegate ad eventi specifici in modo da riattivarsi in automatico quando ci troviamo a gestire situazioni analoghe. L’amigdala è la parte del cervello non razionale che “scatena” la paura Quindi il LOBO LIMBICO è una struttura poco definita dal punto di vista anatomico ma meglio definita da un punto di vista funzionale, come un circuito che opera nella memoria e nelle emozioni. Questo circuito è stato descritto per la prima volta da Papez negli anni ’30 e comprende al suo interno un circuito chiuso di strutture che è importante negli studi di memoria. In particolare:  i recettori D1 vengono eccitati dai neuroni dopaminergici della SNpc e dai neuroni glutammatergici della corteccia, e gli striosomi possono quindi scaricare neurotrasmettitori inibitori (GABA) direttamente verso la via finale comune dei gangli della base, ovvero Globus Pallidus Interno + Sostanza Nera (Pars Reticolata) che sarà quindi inibita nell’inviare segnali inibitori al talamo. Il talamo risulta quindi libero di scaricare segnali eccitatori alla corteccia informandola così della risposta subcorticale.  i recettori D2 se eccitati dai neuroni glutammatergici della corteccia, permettono da parte delle cellule della matrice, l’invio di segnali inibitori al Globus Pallidus Esterno, il quale sarà quindi inibito e non potrà a sua volta inibire il Nucleo Subtalamico, che risulterà quindi attivato (inibizione di un’inibizione = eccitazione). Il Nucleo Subtalamico presenta dei neuroni glutammatergici che quindi possono eccitare il GPi + SNr che se eccitata (differentemente da quanto avviene nella via diretta) andrà ad inibire il talamo che non invierà segnali alla corteccia. Riassumendo  La Via Diretta favorisce l’attivazione del talamo (inibendo direttamente la via finale comune) e quindi invia il segnale in corteccia;  La Via Indiretta determina l’inibizione del talamo (attivando indirettamente la via finale comune) e impedisce l’invio di segnali in corteccia. Normalmente vi è una regolazione di queste vie da parte dei neuroni dopaminergici della SNpc che eccitano i recettori D1 (cooperando con la corteccia e favorendo quindi la via diretta) e inibiscono i recettori D2 del Corpo Striato, limitando il segnale eccitatorio proveniente dalla corteccia su di essi. In questo modo il Corpo Striato non invia segnali inibitori al GPe, il quale sarà quindi libero di inibire il Nucleo Subtalamico che altrimenti ecciterebbe il GPi + SNr, inibendo il talamo e quindi impedendo l’attivazione corticale. Di conseguenza il loro ruolo dipenderà anche dall’integrazione di circuiti in cui sono implicati stimoli sensitivi (soprattutto visivi), cognitivi e motivazionali (proveniente dal sistema limbico). Sono quindi responsabili della motivazione, del comportamento, dell’apprendimento procedurale, di comportamenti adeguati alle informazioni provenienti dall’esterno e dalla selezione del programma motorio. Solo con l’attivazione di questi circuiti la prestazione motoria può essere finalizzata. Possono esserci differenze all’interno della classe dei mammiferi rispetto alle caratteristiche del cervello:  superficie corticale: La corteccia cerebrale o neocorteccia è un cosiddetto apomorfismo cioè una caratteristica nuova dei mammiferi; gli uccelli e i rettili hanno un cervello organizzato diversamente  volume  girencefalia cioè quantità di solchi (Assenza di circonvoluzioni è detta lissencefalia). Le circonvoluzioni servono ad aumentare il rapporto superficie/volume; l’intestino è un’altra regione del corpo fatta in questo modo  nel gatto cambia la posizione del bulbo olfattivo (sporge anteriormente, mentre nell’uomo è nascosto dal lobo temporale)  la parte più voluminosa del SNC è quella del telencefalo che include la corteccia cerebrale e i nuclei alla base All’interno dell’ordine dei primati inoltre ci sono delle differenze, ad esempio nel lemure, più affine al progenitore comune dei primati, c’è un grosso volume della corteccia ippocampale rispetto all’uomo; anche la corteccia olfattiva è più larga, il volume della materia grigia, a causa dell’incremento del rapporto superficie/volume dovuto alle circonvoluzioni, nell’essere umano è più elevato rispetto al volume del resto del cervello, rispetto agli altri primati. Quindi nell’evoluzione dell’ordine dei primati e in particolare nel gruppo delle scimmie antropomorfe, si è verificato un incremento selettivo del volume della neocorteccia rispetto al resto del cervello. MIDOLLO SPINALE Il midollo spinale è una struttura appartenente al sistema nervoso centrale e mette in comunicazione il cervello con il resto dell'organismo. Attraverso i nervi spinali porta informazioni verso gli altri organi e le altre parti del corpo e invia al cervello i segnali provenienti dal resto dell'organismo. Può essere visto come una colonna di fibre nervose che scorrendo all'interno della colonna vertebrale mette in contatto il cervello con il resto dell'organismo. Largo circa 1-1,5 cm e lungo da 40 a 50 cm, inizia a livello del cosiddetto forame magno (o foro occipitale, un'apertura localizzata alla base della scatola cranica) e termina a livello della prima o della seconda vertebra lombare. Si distinguono: - corni dorsali: nei primi abbiamo i gangli delle radici dorsali che contengono i corpi cellulari dei neuroni sensoriali, che sono neuroni bipolari che hanno una estensione con ruolo di dendrite verso la periferia - corni ventrali: neuroni bipolari che hanno una estensione con ruolo di dendrite che va verso l’assone e il nucleo si trova separato in modo che il potenziale d’azione possa viaggiare interrottamente lungo il fascio. È formato da una sostanza bianca esterna (composta dai prolungamenti dei neuroni) e da una sostanza grigia interna (formata dai corpi dei neuroni) ed è diviso in quattro regioni (cervicale, toracica, lombare e sacrale) ognuna delle quali è formata da più segmenti, dai quali si dipartono in totale 31 coppie di nervi spinali contenenti ognuno fibre nervose motorie e fibre nervose sensoriali.  Il midollo spinale è circondato da una membrana, la dura madre, che forma una sorta di sacchetto protettivo in cui scorre il liquido cerebrospinale. l sistema nervoso centrale si compone di due tipi di tessuti: la materia grigia : composta di corpi cellulari di un neurone e di assoni non mielinizzati, è situata sulla superficie del cervello. Altre zone dove la materia grigia è individuata esattamente sono: - La superficie degli emisferi cerebrali o della corteccia cerebrale - La superficie del cervelletto o della corteccia cerebellare. - In profondità all'interno del cervello nell'ipotalamo, nel talamo, subthalamus e nelle strutture che compongono i gangli basali (il pallidus, i putamen ed il nucleus accumbens di globus). - Nel nucleo del tronco cerebrale, nella sostanza nugra e nei nuclei del nervo cranico. la materia bianca: è composta di assoni mielinizzati a lungo raggio (che trasmettono i segnali alla materia grigia) e molto pochi corpi cellulari di un neurone. La materia bianca è trovata nel livello interno della corteccia del cervello Il midollo spinale è sistemato nel modo opposto, con la materia grigia trovata profonda dentro la sua memoria e la materia bianca d'isolamento ha avvolto l'esterno. Una certa materia grigia egualmente è trovata che profondo dentro il cervelletto nella materia bianca dei gangli basali, del talamo e dell'ipotalamo ed egualmente è trovato nei nervi ottici e nel tronco cerebrale. L’ultima parte anatomica dell’encefalo che analizziamo sono le  meningi. MENINGI Si tratta di tre strati di tessuti che rivestono encefalo e midollo spinale proteggendoli. Dallo strato più esterno al più interno le meningi prendono il nome di: - dura madre: un tessuto duro in continuo con il periostio ed è il tessuto più esterno delle meningi - Aracnoide presenta una serie di strutture particolari tra cui le sedi di sintesi del liquor cerebrospinale e funge da veicolo di vasi sanguigni e del fluido cerebrospinale che circonda come uno scheletro idrostatico il tessuto nervoso; sono presenti anche i villi aracnoidei e le granulazioni che comprendono cellule di tessuto ependimale che sintetizzano il liquor - pia madre: è una membrana localizzata a contatto diretto con il tessuto nervoso ORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO NERVOSO L’organizzazione delle cellule nel cervello compone tessuti che hanno una forma diversa e con diverse caratteristiche istologiche. Questo fu scoperto da Broadman, neurologo che mappò per primo le strutture istologiche delle diverse aree del cervello. Egli scoprì che all’interno dello stesso lobo ci sono diverse aree che differiscono per la struttura strettamente associata alla funzione; ad esempio il lobo frontale è diviso in diverse strutture distinguibili senza necessariamente associarle ad una funzione. Broadman ha semplicemente preso dei vetrini ed osservato delle differenze: ha diviso queste strutture in 52 aree differenti (oggi sono circa 100). Le differenze trovate da Broadman consistono nell’organizzazione degli strati di corteccia: è organizzata in 6 strati: 1. Strato molecolare  materia bianca e pochi corpi cellulari 2. Strato granulare esterno 3. Strato piramidale esterno 4. Strato granulare interno 5. Strato piramidale interno 6. Strato multiforme  corpi cellulari e materia bianca Egli ha usato 3 tipi di colorazioni: Golgi  evidenzia tutte le strutture del neurone però ha una penetrazione bassa (2% dei neuroni vengono colorati) Nella colorazione di Golgi si vede che non solo i corpi cellulari hanno dimensione diversa ma anche una forma delle cellule è diversa. Ci sono cellule con forma ovoidale e con protrusioni o cellule piramidali con tante proiezioni intorno. - Nissl  evidenzia gran parte dei neuroni ma solo i corpi cellulari - Weigert  evidenzia solo le fibre - Queste colorazioni insieme danno delle informazioni sulla struttura della corteccia. possono esserci connessioni tra gli strati:  Nel primo strato si trovano esclusivamente proiezioni orizzontali dei dendriti che viaggiano parallelamente alla superficie della corteccia per creare connessioni intra-corticali (all’interno della stessa area).  Tra il terzo e il quinto ci sono tante connessioni verticali che sono i dendriti delle cellule piramidali del quinto strato (Terzo e quinto strato sono quelli che hanno i corpi cellulari più grandi.) La CORTECCIA VISIVA è organizzata in più aree. Intorno scissura calcarina si sviluppa: - radialmente la corteccia visiva primaria (V1) - radialmente rispetto a questa si trova la corteccia visiva secondaria (V2) che è una corteccia di ordine superiore - ancora più lontano abbiamo la corteccia V3 - poi V4, V5, V3A - e una serie di altre aree che fanno sì che l’informazione visiva fluisca verso le cortecce polimodali localizzate lungo il lobo parietale e temporale inferiore. Questa organizzazione non è esclusiva della corteccia visiva primaria ma esiste anche per esempio una corteccia uditiva primaria, secondaria, esistono diverse cortecce somato- sensoriali, ecc. Allontanandosi dalla scissura calcarina abbiamo delle aree che ricevono impulsi da tante aree che hanno già elaborato un segnale, quindi il segnale che arriva a queste aree è già in forma “raffinata”. Si possono individuare delle cortecce che sono in grado di compiere elaborazioni che le altre cortecce, pur avendo i dati, non sono in grado di elaborare. Ad esempio V4 è particolarmente implicata nella percezione del colore. Altre cortecce sono in grado di elaborare informazioni anche più complesse: ad esempio la corteccia del lobo temporale inferiore è in grado di elaborare stimoli specifici come distinguere le facce dalle case. Questo tipo di organizzazione è responsabile di problemi come la PROSOPAGNOSIA in cui il soggetto ha una percezione normale delle caratteristiche visive base della faccia ma non è in grado di vederla come una faccia. Le AREE UDITIVE sono organizzate in maniera simile, ce ne sono a diversi livelli. L’AREA DI WERNICKE, per esempio, è un’area associativa unimodale in grado di elaborare un tipo particolare di stimoli uditivi, le parole. La perdita delle capacità legate al linguaggio viene chiama AFASIA e ci sono vari tipi di afasia che coinvolgono strati neurali differenti tra loro. Il problema dei sintomi non è un problema semplice in quanto il cervello è un organo plastico che cambia nel tempo e cambia in base alle condizioni in cui si viene a trovare; questo può avere anche un esito patologico. Due modelli di processi permettono la crescita e la differenziazione del sistema nervoso centrale:  la mielinizzazione: nel processo di mielinizzazione a 5 anni la corteccia somato-motoria è completa. La regione che matura più tardi di tutte è la regione sotto la scissura di Silvio, ventralmente al lobo frontale; questa regione è la corteccia prefrontale dorso-laterale, adibita alla percezione della paura, coinvolta nel prendere le decisioni  la sinaptogenesi e riduzione sinaptica (cambia la quantità di sinapsi) dove: - aree cerebrali differenti hanno un decorso differente nella variazione del numero di sinapsi - la corteccia sensomotoria cresce più rapidamente ma ha anche un decorso più rapido, rispetto alla corteccia prefrontale - le modificazioni a livello della corteccia sensoriale avvengono in tempi minori rispetto a quelli della corteccia prefrontale o associativa - lo sviluppo delle varie cortecce avviene in periodi differenti (latenza), quindi la corteccia motoria a 2 mesi, la corteccia di associazione a 8 mesi, la corteccia prefrontale a 2 anni - durante l’adolescenza di verifica un fenomeno detto potatura sinaptica in cui la corteccia prefrontale è più coinvolta delle altre due. - il periodo in cui la corteccia cambia in maniera rapida è quello fino ai primi due anni di vita, dopo ci sono delle modificazioni quasi nulle Inoltre il peso del cervello in rapporto all’età, nei maschi e nelle femmine, in seguito ai 20 anni diminuisce, sia per una perdita di materia grigia che di materia bianca e anche per allargamento dei ventricoli cerebrali e dei solchi cerebrali. Il volume intracranico è maggiore nei maschi quindi il cervello è più grande ha un peso maggiore. Ci sono comunque alcune aree che sono più sviluppate negli uomini o nelle donne: il corpo calloso è più sviluppato nelle donne; gli uomini invece hanno il 10% in più di materia grigia. Nel caso del cervello femminile nel corso del ciclo mestruale la comunicazione tra gli emisferi varia nel corso del ciclo. Si pensa che questo sia dovuto alla modulazione dell’attività cerebrale mediata dagli estrogeni e le variazioni ormonali nel cervello femminile sono ordini di grandezza più ampi rispetto a quelli che si hanno nel cervello maschile (le variazioni di testosterone sono modeste se comparate a quelli femminili). Ci sono quindi degli effetti nella somministrazione di ormoni e sono coinvolti nei disturbi dell’umore; questo riflette il fatto che questi disturbi siano più frequenti nelle donne e si ritiene che gli ormoni femminili possano mediare la loro insorgenza. In uno studio è stato osservato lo spessore corticale, il quale ha poco a che fare con la mielinizzazione, ma riguarda il volume totale di sostanza grigia; lo spessore corticale medio è nell’ordine dei millimetri (2-3 mm). In questo studio è stato misurato lo spessore in età diverse ed è stato visto che questo cambia a seconda che i soggetti abbiano una intelligenza superiore, elevata o media. Queste differenze di spessore corticale sono molto piccole nell’adulto, invece nell’età di sviluppo sono abbastanza grandi. Questo è interessante perché ci sono degli sviluppi psichiatrici che sono disturbi detti del neuro-sviluppo per cui ci sono dei processi instaurati molto prima e che si manifestano poi in età adulta. Questo fa sì che un disturbo psichiatrico si verifichi tra i 20 e i 30 anni anche se ci sono delle radici genetiche o ci sono state alterazioni del neuro-sviluppo misurabili. Qunado parliamo di struttura cerebrale e della sua relazione con il comportamento e cognizione in termini normali o patologici, dobbiamo tenere in considerazione che questi sono aspetti diversi ma che interagiscono tra di loro, cioè possono esserci delle disfunzioni congenite o dello sviluppo e possono esserci dei danni acquisiti. Si parla quindi di:  Il danno cerebrale acquisito: è spesso improvviso (come in un trauma o in un disturbo cerebro-vascolare come emorragia o ischemia) e questo altera immediatamente la struttura cerebrale e noi vediamo dei deficit. Questo permette quindi lo studio della disfunzione cognitiva, emozionale, comportamentale in relazione alla lesione e in particolare al luogo in cui la lesione è avvenuta. Per esempio in alcuni disturbi neurodegenerativi si ha una perdita selettiva in alcune regioni (es. nel Parkinson si ha una perdita di neuroni nella sostanza nera).  disfunzione dello sviluppo è difficile da generalizzare; un cervello associato ad una diagnosi di epilessia congenita non è necessariamente organizzato allo stesso modo di un cervello sano, perché è stato sottoposto ad una iper eccitabilità continuamente durante lo sviluppo. Quindi non sempre quando studiamo disturbi del neuro-sviluppo o disturbi congeniti possiamo trovare che minore quantità di materia grigia in una certa area è associato ad un deficit. Queste due caratteristiche possono anche interagire, cioè può esserci un evento improvviso (un trauma o una lesione cerebro-vascolare) e poi c’è da considerare la reazione a questo. per esempio la diaschisi, ovvero una degenerazione secondaria di un’area cerebrale causata dalla degenerazione primaria in un’altra regione: questa è una reazione in senso patologico dell’organismo alla lesione subita. Un altro tipo di riorganizzazione può essere subito a causa della plasticità cioè un soggetto che perde l’uso della mano a causa di una emorragia cerebrale potrebbe riorganizzare il tessuto cerebrale intorno alla lesione in modo da prendere più spazio per il braccio; questo è un fenomeno che si osserva ancora di più nei disturbi congeniti. Ad esempio nei soggetti ciechi dalla nascita si ritiene che abbiano alcune caratteristiche sensoriali più sviluppate rispetto ad altri soggetti; questo è permesso dalla capacità del cervello di riorganizzarsi. Per esempio Paul Broca studiò il cervello di un paziente (post mortem) e trovò un danno nella corteccia frontale; questo soggetto poteva parlare ma molto molto a fatica anche se comprendeva bene i comandi che gli veniva dati. Venne quindi individuata quella che oggi è detta Area di Broca, nel lobo frontale e si trova anteriormente rispetto alla corteccia motoria primaria; la corteccia motoria primaria ha una mappa somatotopica e in base a questa mappa questa regione corrisponde ai muscoli del viso. Anteriormente rispetto alla corteccia motoria primaria c’è la corteccia pre- motoria che si occupa della pianificazione dei movimenti. L’area di Broca si trova vicino alla regione che muove i muscoli della testa ed è quindi implicata dell’articolazione del linguaggio e nell’organizzazione dei pattern motori che corrispondono al linguaggio. Inoltre l’area di Broca è connessa ad un’altra area della Area di Wernicke da un fascio detto fascicolo arcuato. Quest’area fu scoperta da Carl Wernicke che studiò l’afasia di ricezione ovvero un disturbo in cui il soggetto non è in grado di comprendere ciò che gli si dice ma ha una produzione molto abbondante anche se non sempre corretta perché caratterizzata da parole inesistenti e da sintassi inadeguata. Quest’area si trova vicino alle aree uditive primaria e secondaria ed è in effetti una corteccia di associazione unimodale che raccoglie informazioni da più regioni che elaborano stimoli uditivi. Si ritiene che l’area di Broca abbia un immagazzinamento dei programmi motori che possono essere quindi proiettati all’area motoria primaria che innerva tramite il midollo spinale i muscoli del viso; l’area di Broca riceve impulsi dall’area di Wernicke. Quello che può accadere è che una parola venga udita dalla corteccia uditiva primaria, interpretata dall’area di Wernicke che divide le parole tra loro e assegna un significato, e poi tramite il fascicolo arcuato questa informazione può arrivare all’area di Broca e la parola può essere ripetuta. Nel caso della scrittura si ritiene invece che la istante posso misurare la distanza della punta del vettore lungo l’asse delle X o delle Y; questo corrisponde a due contrasti diversi, T1 e T2, cioè in T1 si misura la frequenza con cui un oggetto torna allo stato magnetizzato e si parla di rilassamento longitudinale, in T2 si parla di rilassamento trasversale ed è il tasso della caduta del segnale. Non entriamo in dettaglio, l’importante è sapere che l’origine di questi due contrasti è lo stesso fenomeno fisico cioè il rimagnetizzarsi dello spin e che però si possono fare misure di tipo diverso su questo fenomeno; quello che si va a misurare è il tempo che ci mette questo vettore a tornare allineato. Da ogni punto del cervello si attende il ritorno allo stato magnetizzato e si misura questo segnale e in ogni punto, siccome questo tempo rivela qualcosa sul tessuto, il momento in cui arriva questo segnale è diagnostico di quale sia il tessuto che lo ha inviato. DTI (IMAGING CON TENSORE DI DIFFUSIONE) Un’altra tecnica che usa la risonanza magnetica e che misura la diffusione delle molecole d’acqua nel cervello; gli assoni dei neuroni funzionano come dei tubi dove scorrono molecole d’acqua (contiene idrogeno). Questa ci permette di vedere come è fatta la materia bianca, organizzata in fasci nervosi organizzati a loro volta parallelamente; queste fibre costituiscono una direzione preferenziale delle molecole d’acqua che è individuabile nella DTI. Si può prevedere l’andamento prevalente delle fibre per ogni punto del cervello e si possono studiare due caratteristiche: si possono ricostruire i tratti (trattografia), si può studiare in ogni punto quanto isotropicamente diffondono le molecole d’acqua (se l’acqua scorre preferibilmente in una direzione è più probabile che ci sia una materia bianca intatta). PET A differenza della tomografia computerizzata (TC) e della risonanza magnetica nucleare (RM), che forniscono informazioni di tipo morfologico, la PET dà informazioni di tipo fisiologico permettendo di ottenere mappe dei processi funzionali all'interno del corpo. In riferimento alla PET dobbiamo dire che i positroni sono particelle aventi carica positiva, questi sono emessi da alcune sostanze radioattive come l’Ossigeno15 (siccome queste sono sostanze radioattive tendono a decadere ed emettono positroni). Il positrone viaggia nello spazio finché non incontra un elettrone e questo prova una reazione con conseguente emissione di energia (l’emissione di energia avviene lungo una singola direzione in versi opposti; questo è un fattore importante per il neuroimaging). L’energia (raggi ɣ) può essere rilevata da una matrice di rilevatori che si trovano intorno alla testa del soggetto. A seconda dei rilevatori che vengono attivati, è possibile ricostruire la linea su cui è avvenuta la collisione tra positrone ed elettrone. per decidere a che altezza è avvenuta la collisione possiamo alla differenza del tempo a cui è arrivato il segnale oppure in base alla differenza d’intensità Quindi è possibile determinare con una certa approssimazione in che punto è avvenuta la collisione. Siccome il positrone non viaggia tantissimo prima di raggiungere un elettrone, il punto in cui è stato rilevato il positrone sarà relativamente vicino alla posizione in cui si trovava l’Ossigeno15. Questa tecnica è limitata dal punto di vista della risoluzione spaziale. Questo c’entra con l’attività cerebrale in quanto le aree cerebrali hanno un consumo variabile di Ossigeno a seconda dell’attività; si può utilizzare l’Ossigeno15 oppure si può utilizzare anche il glucosio marcato con l’Ossigeno15. Si possono utilizzare diversi marcatori, si possono utilizzare dei neurotrasmettitori; quindi a seconda di quello che ci interessa si può vedere un’attività che può essere metabolica (esempio riguardante il consumo di ossigeno o glucosio) oppure può essere un’attività di neurotrasmissione (esempio riguardante la glutammina o il glutammato). Questi studi sui neurotrasmettitori si possono fare sia con la PET che con la SPECT. SPECT Si riferisce sempre all’emissione di raggi ɣ con l’utilizzo di vari tipi di traccianti. La risoluzione della SPECT è peggiore rispetto a quella della PET perché si ha solamente un rilevatore, però questa è utilizzata con gli scanner di risonanza magnetica e quindi si utilizza più o meno per gli stessi motivi. Il principio di entrambi è simile nella misura in cui contano delle fonti di energia che vengono dal cervello e che queste fonti di energia sono in qualche modo associate ad un’attività metabolica. Chiaramente abbiamo delle controindicazioni di queste tecniche esempio la radioattività per cui non è sempre possibile applicare queste tecniche. RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (fRMI) Abbreviata RMF o fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell'uso dell'imaging a risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o un apparato, in maniera complementare all'imaging morfologico. Sebbene risonanza magnetica funzionale sia una terminologia generica, ovvero applicabile a qualsiasi tecnica di imaging a risonanza magnetica che dia informazioni aggiuntive rispetto alla semplice morfologia (ad esempio imaging metabolico, quantificazione del flusso sanguigno, imaging dei movimenti cardiaci etc.), essa è spesso usata come sinonimo di risonanza magnetica funzionale neuronale, una delle tecniche di neuroimaging funzionale di sviluppo più recente. Questa tecnica è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (cambiamenti nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata all'attività neuronale del cervello o del midollo spinale, nell'uomo o in altri animali. La risonanza magnetica funzionale misura un segnale che deriva dall’afflusso di sangue al cervello; pertanto non è una misura diretta dell’attività neuronale ma è una misura indiretta. quando i neuroni sono attivi consumano più ossigeno e consumano più glucosio, siccome consumano più ossigeno si ha una reazione cerebro-vascolare che aumenta il calibro delle arteriole che portano l’ossigeno al cervello (queste arteriole presentano attività muscolare infatti si possono dilatare e restringere portando più o meno sangue ossigenato ai capillari a valle delle arteriole a seconda del fabbisogno metabolico del tessuto). Quando questo si applica al cervello si ha una variazione della quantità di ossiemoglobina e di deossiemoglobina, queste due sostanze hanno delle proprietà magnetiche differenti quindi tramite questo fattore è possibile indicizzare l’apporto tra l’emoglobina ossigenata e deossigenata con un segnale magnetico; questo è quello che viene misurato in risonanza magnetica per monitorare l’attività di ciscuno punto nel cervello. Mediante analisi con scanner per imaging a risonanza magnetica, usando parametri sensibili alla variazione della suscettività magnetica, è possibile stimare le variazioni del contrasto BOLD, che possono risultare di segno positivo o negativo in funzione delle variazioni relative del flusso sanguigno cerebrale e del consumo d'ossigeno. Incrementi del flusso sanguigno cerebrale, in proporzione superiori all'aumento del consumo d'ossigeno, porteranno ad un maggiore segnale BOLD; viceversa, diminuzioni nel flusso, di maggiore entità rispetto alle variazioni del consumo d'ossigeno, causeranno minore intensità del segnale BOLD. BOLD è un segnale che dipende dal livello di ossigeno nel sangue,ed è una funzione del rapporto dell’emoglobina ossigenata e dell’emoglobina deossigenata. Il segnale cresce quando aumenta l’emoglobina ossigenata e diminuisce quando aumenta l’emoglobina deossigenata. Il segnale BOLD è misurato mediante rapida acquisizione volumetrica di immagini con contrasto a pesata T2 o T2*. Tali immagini possono essere acquisite con discreta risoluzione spaziale e temporale: esse sono acquisite con periodo che va da 1 a 4 secondi e ciascun voxel rappresenta un cubo di tessuto di circa 2-4 mm per lato. Recenti sviluppi tecnologici, come l'uso di intensi campi magnetici e ricezione a radiofrequenza multicanale, hanno reso possibile una risoluzione spaziale sulla scala del millimetro. Le risposte agli stimoli, distanti l'una dall'altra circa uno o due secondi, sono distinguibili mediante un metodo noto come risonanza magnetica funzionale event-related, mentre il tempo totale di svolgimento di una risposta BOLD ad un breve stimolo dura circa 15 secondi, a causa dell'intenso segnale positivo. Supponiamo che ci sia uno stimolo che induce l’attivazione dell’area del cervello, la sua attivazione induce a un consumo maggiore di ossigeno. Nel giro di pochi secondi, si ha una risposta cerebrovascolare. Tale risposta non è di origine cellulare ma tissutale, cioè si ha un allargamento delle arteriole (quindi aumentano il flusso sanguigno nella regione) e quindi arriva una maggiore quantità di Ossiemoglobina. Dopo che ha raggiunto il suo massimo, in presenza di uno stimolo singolo, questo segnale diminuisce fino a tornale alla baseline dopo un altro picco negativo. Questa qui è chiamata Hemodynamic Response Function (Funzione di Risposta Emodinamica) che ricorda che è una risposta dei vasi sanguigni. Quello che risonanza magnetica può catturare sono dei processi relativamente lunghi e complessi e sono differenze tra condizioni ed è in grado di catturare grossolane differenze di attività che si verificano quando si paragonano più condizioni. L’intera funzione Emodinamica ha una durata che va dai 24 ai 30 secondi e durante questo tempo ci sono diverse misure effettuate dalla risonanza magnetica, in genere durano 2-3 secondi ciascuna (oggi però è possibile fare misure che durano solamente 800 millisecondi; infatti ci sono i primi studi in cui il soggetto si trova dentro lo scanner e il suo segnale viene elaborato online e quindi si misura l’attività di un neurone d’interesse durante un compito e si monitora l’attività specifica di questa regione. Questi studi esempio sono stati adottati in pazienti che presentano disturbi dell’umore e il compito del paziente consiste nel cercare di alzare questa barra di attività il più possibile pensando ad esempio a degli avvenimenti. Questo è un modo per fornire al paziente un feedback della sua attività cerebrale che potrebbe consentirgli di adottare delle tecniche per modulare il proprio umore). Questo fenomeno nella funzione della risposta emodinamica è dovuto al fatto che l’emoglobina ha dei gruppi ferro che legano l’ossigeno e nel legame con l’ossigeno si ha un magnetismo diamagnetico, cioè non si ha nessuna distorsione del segnale magnetico, mentre l’emoglobina deossigenata ha delle proprietà paramagnetiche e quindi distorce il campo magnetico locale. Questo effetto di accrescimento dell’afflusso sanguigno è mediato dalle cellule della glia (in particolare dagli astrociti) che comunicando con le cellule dei vasi sanguigni consentono l’espansione del calibro delle arteriole. Con il maggior afflusso di sangue ossigenato sale il rapporto tra l’emoglobina ossigenata e deossigenata e quindi la distorsione del segnale, causata dall’emoglobina deossigenata, in proporzione diminuisce. Questo segnale viene associato all’attività neurale attraverso i LFP (Local Fit Potential), ovvero misurazioni del potenziale elettrico extracellulare. Sono diversi dall’attività rilevata all’interno di un singolo neurone, quindi nella matrice extracellualre (all’esterno del neurone) si sommano tutte le attività e tutti gli scambi ionici che avvengono a livello dei singoli neuroni. A livello di un singolo neurone, che risponde allo stimolo, l’attività si esaurisce dopo 2 secondi, quindi questo è un neurone che si attiva e la sua attività rimane stabile per un certo tempo e poi crolla a 0. Siccome però l’intera popolazione neuronale misurata non è totalmente sincrona nella sua attività, i LFP hanno una variazione più lunga nel tempo.Nel punto in cui finisce la stimolazione, l’attività di tutte le unità Per quanto riguarda la resa in termini di spazio cerebrale in ogni cubetto io prendo la stessa regione cerebrale, quindi quello che uno guarda nella serie temporale è l’attività di ciascuna di queste regioni temporali. Chiaramente se il soggetto si muove, perché muove la testa, devo riallineare le immagini, altrimenti prenderei un’area per un’altra. Quindi: - ho una condizione contro un’altra, e guardo com’è il segnale BOLD tra le due condizioni, e vedo se questa variazione è significativa. Siccome questo test lo faccio per vari voxel, alla fine avrò una mappa cerebrale di significatività statistica della differenza tra una condizione e l’altra. Ottengo delle mappe statistiche che possono essere positive o negative, cioè possono andare in una direzione o nell’altra, e che mi rappresentano tutte le aree del cervello. Questa poi la posso comporre in maniera da sovrapporla all’immagine struttura del soggetto e visualizzare soltanto le aree dove c’è la differenza significativa. Solitamente nel Design a blocchi si ha un potere statistico maggiore, è più facile individuare le differenze significative ma non va bene per alcuni studi. Abbiamo detto prima per gli studi di memoria per esempio devono essere necessariamente a eventi. Tutto quello che stiamo dicendo sull’imaging funzionale poggia sulla logica della sottrazione: La sottrazione cognitiva è un principio (sviluppato inizialmente per i tempi di reazione) per cui se io svolgo un semplice processo, reagisco in un certo tempo; se io svolgo due processi reagisco in un tempo maggiore, perché devo fare prima un processo cognitivo e poi l’altro. Per esempio:  T1: “premi un bottone quando vedi un punto luminoso”,  T2: “premi il bottone quando la luce è verde ma non rossa”,  T3: “premi il bottone sinistro quando la luce è verde e il bottone destro quando la luce è rossa”. Se io prendo la condizione T2 e prendo la condizione T1 e faccio la differenza tra T2-T1 cioè “decidere di premere o non premere” e “premere” vedrò comunque l’attività motoria. Se io faccio T3-T2 sto controllando la decisione, e sto facendo la scelta di premere il bottone destro o il bottone sinistro. In questa logica si assume che ad ogni nuova operazione eseguita si abbia una semplice inserzione, cioè si assume che le attività non interagiscano tra di loro, il fatto di prendere una decisione non interagisce col dato motorio e questo può essere un limite. Per esempio nel finger tapping se io prendo T1 e T2 (dove ho T1: finger tapping; T2: riposo) ci sono altre cose che potrei non star controllando. Per esempio durante l’esecuzione se ho un paziente che ha difficoltà di attenzione e io vedo una differenza, questo non significa necessariamente che sia una differenza motoria che io sto osservando! è solo che siccome il paziente ha un deficit di attenzione, io vedo la differenza di attenzione e non motoria, quindi l’attività che vedo non è direttamente associata al finger tapping (che è molto facile come compito), ma può essere associata a quello che il soggetto pensa mentre fa questo compito molto banale. Quello che è importante è che c’è sempre una condizione di baseline contro cui confronto il mio segnale BOLD. Quindi il BOLD non è una misura assoluta ma una misura relativa dove c’è la differenza tra diversi stati di attività e questo è importante per l’interpretazione dei dati. Altre aree invece hanno dei sistemi di vascolarizzazione particolari per cui sono più difficili da osservare mediante il sistema BOLD. ELETTROENCEFALOGRAFIA (EGG) è l’acquisizione di dati sull’attività spontanea del cervello, cioè non legata a eventi specifici. Questa tecnica si utilizza per monitorare l’attività cerebrale di soggetti ad. esempio a rischio di epilessia: quando un soggetto manifesta delle convulsioni si fa una registrazione con elettroencefalografia, che restituisce un tracciato. Il tracciato è rappresentato da un grafico che riporta il tempo in ascissa e il potenziale sull’ordinata. È possibile rilevare delle caratteristiche specifiche nel tracciato, dette eventi ictali cioè l’improvviso aumento di frequenza e di intensità delle onde che precedono un attacco convulsivo. Si può utilizzare per monitorare anche disturbi del sonno. Si tratta quindi di una tecnica che si può utilizzare in combinazione con delle stimolazioni o delle risposte dette ERP : Potenziali evento-relati : in questa tecnica si estrae dalla forma d’onda generale, il segmento legato a un evento specifico; per es. uno stimolo che viene mostrato è legato a un’azione che viene compiuta. Rispetto alla scala di risoluzione temporale e la scala di risoluzione spaziale una serie di tecniche possono essere paragonate con delle tecniche usate sugli animali.  La Risonanza Magnetica Funzionale (Functional MRI) ha una risoluzione temporale nell’ordine di secondi fino a minuti e una risoluzione spaziale che va nell’ordine delle sotto- regioni cerebrali (dei lobi, dei giri, delle zone sub-corticali).  La PET ha una risoluzione spaziale inferiore  MEG ed ERP, che vengono registrati nell’ordine di millisecondi o frazioni di millisecondi Ci sono i metodi utilizzabili nell’uomo (PET, MEG, ERP, fMRI) e quelli utilizzabili in animali (fMRI, Single-cell Recording). Pazienti affetti da epilessia, trattati con Stimolazione Elettromagnetica Intracranica (TMS, per gli amici elettroshock, o quasi), possono essere sottoposti a Registrazioni Multi-Unità (Multi-unit- Recording), ma si parla di pazienti e in quanto tali non si parla di cervello sano, cioè non si vede la stessa attività che si vede in un paziente sano. La TMS (Transcranial magnetic stimulation) dà al tessuto cerebrale un rapidissimo impulso magnetico per indurre una corrente e quindi determina una stimolazione cerebrale.  Elettroencefalografia ha una buona risoluzione temporale e presenta vantaggi: Misura diretta dell’attività neurale Elevata risoluzione temporale Costo basso Facilità di esecuzione Non invasiva: il soggetto si mette una cuffia con degli elettrodi adesi al cuoio capelluto tramite un gel elettrolitico, e si misura direttamente il segnale cerebrale. e svantaggi: Non ha una buona risoluzione spaziale Non è facile capire da dove vengono i segnali Gli esperimenti durano molto, perché c’è molto rumore di fondo. Aspetto Sperimentale Della Elettroencefalografia Gli elettrodi vengono messi in punti diversi sulla base di marcatori anatomici. Anche in questo caso c’è bisogno di un riferimento, una base- line elettrica; in genere si scelgono come riferimento anatomico i mastoidi (Voluminosa prominenza dell'osso temporale posta dietro il padiglione auricolare), perché in questa regione non c’è una grossa variazione dell’attività cerebrale. Quindi: - Un elettrodo viene posto in un sito attivo - l’altro (elettrodo di riferimento) in un sito elettricamente neutro (ad es. il mastoide, la punta del naso, il lobo dell’orecchio, il mento) Quindi si misurano e si osservano le variazioni di potenziale di tutti gli elettrodi rispetto al riferimento. Le correnti elettriche derivano dall’attività neurale. Non misura un singolo EPSP, ma la somma dei potenziali post sinaptici sullo scalpo. Le correnti sono trasversali cioè vanno da fuori a dentro le cellule, queste causano una depressione di cariche al di fuori delle cellule ed un arricchimento di cariche positive all'interno delle cellule. Questa tecnica quindi determina una stimolazione con un ingresso di cariche +, determinando una corrente positiva che poi ri-esce da altri canali localizzati in altri punti della cellula, creando un flusso di correnti che sono esterne al neurone e che sono quelle che vengono misurate. A seconda che l’impulso arrivi in una regione o l’altra, si possono avere flussi di cariche differenti. L’EEG quindi misura l’attività graduata dei potenziali post-sinaptici nelle cellule che ricevono il segnale. Il concetto è semplice: - in una regione arriva il segnale eccitatorio, che ha una corrente in ingresso positiva - fuori dalla cellula rimane una corrente negativa - successivamente quella positiva poi esce e quella negativa crea un gradiente elettrochimico che porta alla formazione di un dipolo, che è quello che viene misurato. Gli spostamenti delle cariche ioniche causati da EPSP o da IPSP generano i potenziali extracellulari, i Local Field Potentials (LFPs), che sono l’essenza del segnale EEG registrato dallo scalpo. Tali potenziali, infatti, pur essendo di ampiezza decisamente minore rispetto al potenziale d’azione, hanno una durata maggiore (15÷20 ms) e presuppongono un flusso di correnti più ampio che interessa superfici più estese. In base alla regione in cui arriva l’impulso, le correnti generate avranno polarità differente. Quando l’impulso arriva da fuori la corteccia, tradizionalmente si ritiene che si formi un dipolo con positività verso lo scalpo, mentre quando si ha una stimolazione intra-corticale (nei livelli alti della corteccia) si ha una polarità opposta che viene visualizzata come negativa.  TROMBOTICA: Nell’ictus trombotico si ha una progressiva riduzione del lume dei vasi sanguigni (chiaramente parliamo di arterie) che può essere causata da diverse ragioni, tipicamente per la formazione di un trombo che rimane in sede (questo può essere un accumulo di colesterolo, di placche in caso di aterosclerosi) oppure può essere anche determinato da una stenosi arteriale per l’irrigidimento delle pareti e una riduzione vera e propria del lume che è accompagnato dall’accumulo del trombo. In questo caso, laddove si abbia un’interruzione è possibile che una regione celebrale, anche molto ampia, resti priva di sangue quindi di ossigenazione e di nutrienti.  EMBOLICA Nel caso dell’embolo si ha una situazione simile ma l’embolo è originato da altre regioni del corpo: per esempio un caso in cui può essere più frequente l’embolia è quello in cui il paziente, a causa di un altro danno, è allettato e quindi la circolazione è ridotta e tipicamente si possono formare nelle gambe dei trombi di piccola dimensione, che però entrano nel circolo sanguigno e a un certo punto possono finire per essere veicolate nelle arterie celebrali piuttosto che nelle arterie coronarie o piuttosto che nel flusso polmonare, e quindi dare luogo ad una embolia in siti diversi: si può avere l’infarto del miocardio, oppure si può avere un edema polmonare, oppure si può avere un ictus celebrale.  IPOSSICA: Nel caso dell’ipossia, che può essere determinata da una cattiva ossigenazione del sangue o da una cattiva perfusione dell’encefalo, si possono invece avere danni simultanei in regioni multiple. Una delle regioni più sensibili all’ipossia è l’ippocampo: nel caso di ipossia, i neuroni ippocampali sono i primi che cominciano a morire. Un tipo particolare di questa lesione ischemica si chiama TIA transient ischemic attack: questo può essere determinato da un blocco temporale della circolazione che può dare dei sintomi tipici dell’ictus ma che poi passa nel giro di poche ore. - EMORRAGICO : distinti 2 casi:  SUBARACNOIDEO: quello che si ha spesso quando si rompe un aneurisma, si ha un sanguinamento che poi diffonde al lume laddove si trova il fluido cerebrospinale. Questo ha un effetto rapido, che prende diverse regioni cerebrali, e poi un effetto più localizzato nella zona, che è la prima ad essere investita dal flusso emorragico e in cui avviene la degenerazione neurale pronunciata.  INTRACELEBRALE: può essere determinato invece da ipertensione, nel quale si ha rottura di alcuni vasi e questo è un luogo tipico per questa rottura, cioè i nuclei della base, perché in questa regione cerebrale, invece di avere una ricca rete di anastomosi arterovenose, si hanno dei vasi che finisco, aperti, in un lume meno definito vascolarmente e poi si hanno delle venule che drenano questo flusso e poi confluiscono in venule di calibro maggiore, che poi finiscono in vene e via discorrendo. Quindi la rottura di una serie di piccoli vasi può risultare in micro-ischemie che poi si vedono in R.M. come dei buchi piccolissimi dal diametro di 0,5 mm e che tipicamente sono asintomatici, oppure possono risultare in emorragie maggiori. I sintomi sono:    il vomito (determinato dall’incremento improvviso della pressione intracranica)    sintomi di movimento oculari (sono determinati dalla pressione dei nuclei oculomotori)    confusione    sonnolenza    perdita improvvisa della capacità linguistica    disturbi neurologi improvvisi    in generale tutti i segni neurologici. Nel caso dell’ictus, dal punto di vista neuro scientifico, abbiamo effettivamente la possibilità di avere delle lesioni ridotte, e questo ha due vantaggi:  uno è quello riabilitativo, nel senso che se le lesioni sono circoscritte è possibile intervenire con la riabilitazione su alcuni pazienti, su alcune funzioni;  l’altro è quello della “recisione” della lesione. Una lesione molto ampia, naturalmente, genererà la perdita di una serie di funzioni, mentre una lesione molto limitata, di solito (ma dipende dalla regione cerebrale), dà una sintomatologia più ridotta e specifica. HYPOTHESIS OF BRAIN ISCHEMY Ci sono due tipi di processi che si hanno quando si ha una perdita di tessuto celebrale, nel caso dell’ischemia. Le due ipotesi principali sono: a) ipotesi del CALCIO: l’ipotesi del calcio guarda a meccanismi presinaptici b) ipotesi di ECCITOTOSSICITA’: l’ipotesi eccitotossica guarda soprattutto meccanismi postsinaptici Queste due, chiaramente non si escludono, ma hanno una cosa in comune cioè lo ione calcio. Sappiamo che lo ione calcio è molto poco concentrato nel citoplasma con una concentrazione di circa 10-7 Molare, mentre è molto più concentrato (di mille o diecimila volte) nell’esterno della cellula e nel reticolo endoplasmico che nel caso dei muscoli prende il nome di reticolo sarcoplasmatico che è il responsabile della liberazione di calcio che produce la contrazione muscolare. La concentrazione di calcio è tenuta a livello bassissimo e questo comporta due vantaggi: il primo è che il calcio viene utilizzato come secondo messaggero; il secondo è che l’incremento (soprattutto se repentino) di permeabilità al calcio, innesca l’apoptosi che consiste nella morte cellulare che comincia con la lisi di una serie di composti necessari per la vitalità delle cellule, in particolare i lipidi di membrana e le proteine citoscheletriche, per cui nel corso dell’apoptosi si ha un collasso della cellula. a) L’ipotesi del calcio: suppone che una alterata situazione ionica extracellulare (conseguente ad esempio ad una emorragia, conseguente a sua volta ad esempio ad un’ischemia), possa alterare il potenziale di membrana e indurre una depolarizzazione presinaptica. Questa depolarizzazione presinaptica aprirà dei canali voltaggio-dipendenti per il calcio, facendo entrare più calcio. Il fatto che sia presinaptica è rilevante perché il calcio, nel terminale sinaptico e in particolare nella cellula presinaptica, viene utilizzato come messaggero per convertire il messaggio elettrico in quello chimico, cioè è il calcio che poi si lega alle proteine SNARE e via discorrendo, per causare l’esocitosi delle vescicole. Quindi questo episodio, localizzato presinapticamente e causato dalla apertura dei canali per il calcio voltaggio dipendenti, causa anche un maggior rilascio di neurotrasmettitori. Il neurotrasmettitore più comune a livello della corteccia celebrale è il glutammato, quindi il rilascio di glutammato porterà all’attivazione postsinaptica di AMPA e di NMDA. Il fatto che venga rilasciato glutammato in massa, fa sì che quest’altra cellula si depolarizzi Sappiamo che AMPA è permeabile a sodio e potassio e al potenziale di riposo e fa entrare il sodio e NMDA è permeabile al sodio e al potassio e al calcio. NMDA però si attiva solo in presenza di una precedente depolarizzazione perché è bloccato da magnesio; quando il blocco del magnesio viene rimosso, possono passare gli ioni e quello che ha di interessante rispetto agli altri due recettori ionotropici del glutammato (che sono AMPA e Kainato) è che fa entrare anche il calcio e ha una permeabilità molto elevata al calcio. Per cui il rilascio di glutammato innesca, all’interno del terminale postsinaptico, l’ingresso di calcio che se massivo e continuato, provocherà̀ anche nel neurone postsinaptico l’incremento del calcio intracellulare e quindi si avrà un processo a feedback positivo cioè, partendo da una depolarizzazione presinaptica che induce un’esocitosi massiva di vescicole, si ha una propagazione di questo processo con un feedback positivo e quindi questo innesca poi apoptosi a cascata. Quindi: - Al potenziale di riposo AMPA fa entrare il sodio - l’NMDA viene attivato da una pregressa depolarizzazione - AMPA si apre, la membrana si depolarizza, l’NMDA si sblocca e quindi se c’è ancora glutammato disponibile entrerà il calcio tramite NMDA Che cosa succede all’ingresso del calcio? Ci sono una serie di processi, però uno di questi processi che è interessante è la produzione di radicali liberi dell’ossigeno come il perossido di idrogeno, l’ossidrile e lo ione superossido. Importante è che la composizione delle subunità del canale NMDA, incide sull’ingresso del calcio e incide sulla probabilità che questo ingresso del calcio induca apoptosi. In particolare il canale NMDA comprende un canale tetramerico ed è sempre eterotetramerico, cioè include due subunità:  GluN1: contengono il sito per la glicina  due subunità GluN2: contengono il sito per il glutammato Le subunità GluN2 sono di 4 tipi possibili: GluN2-A, B, C e D  Poi ci sono delle subunità GluN3 (di tipo A e B) che possono rientrare nel canale ma non sono obbligatorie In particolare le subunità GluN2B e 2D sono comuni nell’embrione, nella fase prenatale e quindi, nell’età del neurosviluppo; in questa fase le subunità GluN2B sono quelle prevalenti all’interno dei canali, e questo per gran parte dell’encefalo. Gradualmente, ma soprattutto durante l’adolescenza, per l’attivazione di specifici fattori di trascrizione queste subunità vengono sostituite nella maggioranza dell’encefalo, dalle subunità GluN2A e GluN2C: il GluN2A sostituisce il GluN2B mentre il GluN2C sostituisce il GluN2D. Queste subunità hanno proprietà differenti e “in particolare GluN2B, trovandosi nell’età del neurosviluppo, avrà una maggiore plasticità sinaptica, in questo modo sarà più permeabile al calcio un canale contenente GluN2B, cioè la subunità GluN2B fa entrare calcio, il flusso di calcio è maggiore e si hanno potenziali di più lunga durata con un innesco del potenziamento a lungo termine favorito. Quindi è una subunità essenziale per l’apprendimento e che si trova in regioni specifiche nell’adulto, cioè nell’ippocampo, nel terzo strato della corteccia prefrontale-dorsolaterale e in alcune aree temporali e parietali. In un articolo del 2007 si va a investigare cosa succede inattivando o attivando canali che contengono GluN2A e GluN2B e verificano che non soltanto l’ingresso del calcio è favorito dalla presenza della subunità GluN2B ma inoltre l’ingresso del calcio causato da GluN2B conduce con maggiore probabilità all’apoptosi mentre l’ingresso del calcio, in quantità minore, tramite canali GluN2A, presenta a causa dell’accoppiamento di questi canali con altre proteine , una probabilità più bassa di suscitare apoptosi. Nel caso dell’ischemia si ritiene che GluN2B sia un possibile target farmacologico per ridurre il danno causato da ischemia b) Ipotesi di eccitotossicità : anche amminoacidi eccitatori possono, se vengono direttamente in contatto con i neuroni, possono innescare un’improvvisa ondata di glutammato intorno ai neuroni e quello che mi aspetto di vedere è che ci sarà una massiccia attivazione di NMDA, quindi un massiccio afflusso di calcio, quindi una liberazione di vescicole presinaptiche. Quindi si può aumentare questo ciclo che abbiamo visto, anche partendo dalle citotossicità. Questo è interessante specialmente se pensate al sanguinamento, cioè all’emorragia celebrale, perché all’interno del sangue naturalmente sono presenti degli amminoacidi eccitatori (pensante al glutammato e all’aspartato che attivano entrambi il canale NMDA); questo fa sì che laddove la barriera ematoencefalica viene abbattuta, si abbia una locale eccitazione che può far ripartire questo evento. a) supponiamo che ci sia una lesione del nervo ottico: In questo caso si ha la perdita del campo visivo dell’occhio destro e quindi il deficit che avrò sarà la perdita della parte estrema destra. In pratica sia le parti nasali che temporali di destra, sono lese quindi perdo l’informazione proveniente dall’occhio destro ma non dall’emicampo visivo destro quindi se questo è il mio campo visivo sinistro, io riesco a vedere tutto quello che c’è qui intorno e l’unica cosa che mi perdo è questa estensione. b) invece se c’è una lesione del chiasma ottico: Perdo l’informazione della retina nasale in entrambi gli occhi e quindi si perdono i campi estremi mentre i campi binoculari sono conservati. Qui si ha l’interruzione completa di tutte le fibre che decussano ma solo delle fibre che decussano. Quindi nel primo caso conserviamo tutto il campo visivo che viene da un occhio solo, è come avere una lesione dell’occhio. Nel secondo caso conserviamo il campo visivo binoculare ma non quello monoculare. c) cosa succede se ho una lesione del tratto ottico: Qui si perde interamente il campo visivo sinistro, ma il campo visivo sinistro è distribuito nella sua parte estrema che sta qui, e nella parte binoculare che sta qui oltre che qui. Quindi una persona con lesione del tratto ottico non vede più tutta la metà del mondo, vede solo la parte destra con una lesione centrale quindi non ci confondiamo, non è che io perdo l’occhio destro e non vedo più a destra, in realtà vedo sia a destra che a sinistra. Non vedo alcune cose a destra. Ma se perdo invece il tratto ottico a destra, perdo improvvisamente tutta la visione a sinistra. d) Mentre, nel caso si perda la corteccia visiva primaria: si ha una perdita simile a quella del campo visivo, con un risparmio della zona foveale a causa del fatto che c’è una debole rappresentazione foveale anche nell’altra corteccia striale. Le informazioni dopo che hanno raggiunto la corteccia visiva primaria passano alle cortecce visive di ordine superiore V2, V3, V4 e cc. Le informazioni in questo caso sono organizzate secondo due vie:  la via cosiddetta “del come”, che è quella ventrale: Gli stimoli sono man mano più complessi e quindi si ha, nelle cortecce di ordine superiore, una progressiva capacità di riconoscimento degli oggetti. Questo significa che i neuroni di queste regioni, che ricevono stimoli altamente elaborati, sono in grado di effettuare anche a livello del singolo neurone, delle discriminazioni complesse. Ad esempio, la cosa più lampante è riconoscere gli oggetti (riconoscere un volto, un animale, uno strumento ecc).  la via cosiddetta “del dove”, che è quella dorsale: Le informazioni che finiscono nella via dorsale, invece, hanno a che fare prevalentemente con il movimento e con la percezione delle spazio, quindi: come gli oggetti sono collocati nello spazio, come gli oggetti si muovono nello spazio, l’elaborazione della velocità, la previsione delle traiettorie di oggetti che si tanno muovendo, e via discorrendo; sono operazioni svolte prevalentemente dalle cortecce dorsali del lobo occipitale e poi dal lobo parietale. Questo significa che l’informazione che ha raggiunto la retina, in forma di un flusso di fotoni, è stata elaborata, nei vari steps dell’elaborazione visiva, in stimoli via via più complessi: quindi all’inizio ho puntini luminosi, poi ho delle zone di colore, poi nella corteccia visiva primaria si distinguono orientamenti di luce, e nelle regioni via via successive questi orientamenti sono ulteriormente aggregati per costituire stimoli più complessi. In un esperimento del 99 si ha una registrazione da singola unità, quindi da un neurone singolo, fatta in macachi, in cui vengono mostrati all’animale diversi tipi di stimoli facciali. L’esperimento è volto a determinare se vi siano neuroni che riconoscono le facce. Primo caso: In questo caso abbiamo un diagramma di tempo in ascissa e frequenza di scarica in ordinata e quando lo stimolo arriva sullo schermo questo neurone, che ha un’attività̀ basale bassa, aumenta il suo tasso di scarica. In questo caso abbiamo una correzione rispetto alla baseline, che si ha, tipica dei disturbi di elettroencefalografia, dove io sto registrando e osservo un’attività tra virgolette normale, di riposo, e poi osservo cosa cambia quando arriva lo stimolo. Quindi l’attività è incrementata quando arriva la faccia. Attraverso vari test è visibile che questo neurone in realtà è in grado di generalizzare in quanto si attiva anche se la faccia non è completa purché sia però organizzata come una faccia, quindi in questo caso si attiva anche se in maniera più modesta. Possiamo concludere che questo neurone ha una risposta selettiva alle facce, perché altrimenti ci sarebbero state una serie di ipotesi alternative. Secondo caso: Nel caso di un altro neurone non riconosce questa faccia, tuttavia se questa faccia viene girata la riconosce sempre di più. Cioè questo neurone è sensibile, non soltanto alla faccia, ma alla faccia di profilo o per parti. Quindi questo ci dice che alcune singole unità neuronali hanno delle capacità di discriminazione estremamente accurate, e se io ho una regione celebrale che contiene una serie di neuroni di questo tipo e questi sono gli unici neuroni del cervello a manifestare questa selettività per le facce, se questa regione viene lesionata, si avrà la perdita selettiva della capacità di riconoscere certi stimoli cioè è possibile avere una lesione che fa sì che il soggetto perda la capacità di riconoscere le facce, ma non i cavalli, i trattori, la luna ecc e ecc. In realtà questa idea nasce dagli studi della “curva di orientamento” (termine inglese: tuning curve significa che esistono degli stimoli che sono graduati (per esempio questi hanno una rotazione graduata) e che se io misuro in ciascuna di queste condizioni la risposta del neurone con il singolo parametro (per esempio guardo il picco massimo), posso metterli in fila e faccio questa curva man mano che si gira la faccia della scimmia, quindi otterrò una specie di gaussiana che è appunto la tuning curve, che specifica quale stimolo è quello a cui il neurone risponde di più. LESIONI:  Lesioni nella via del cosa, nella via ventrale visiva, impaccano il riconoscimento degli oggetti. Quindi per esempio un deficit che si può verificare in pazienti che hanno una lesione di varia eziologia nel lobo temporale inferiore, questi pazienti possono perdere la capacità di riconoscere degli oggetti e la selettività delle categorie di oggetti non riconosciuti dipenderà dalla localizzazione della lesione. In particolare nel giro fusiforme che è uno dei giri del lobo temporale inferiore (è un giro piuttosto caudale e si trova qui più o meno) si ritiene che ci sia un’area dedicata al riconoscimento delle facce. Quindi in questo caso ad esempio il paziente non riesce e nominare un oggetto quando gli viene richiesto di nominarlo, perché non lo riconosce, però è in grado, questo particolare paziente, di indicarlo perché in grado di codificare la localizzazione di questo oggetto. Nel caso ci sia una completa inabilità di riconoscere l’oggetto si parla di agnosia. Per esempio la capacità di riconoscere le facce si chiama prosopagnosia. Nel caso si abbia un deficit di questo tipo che tra virgolette è di tipo semantico, cioè non si è in grado di nominare l’oggetto, si parla di amnia.  Lesioni nella via del dove, via dorsale visiva: è la regione dedicata al riconoscimento del movimento e dello spazio e riceve input tattili e visivi. Quindi queste sono zone di associazione cosiddette polimodali cioè che hanno più di una modalità. L’emisfero sinistro è quello dominante per il linguaggio. Inoltre si ritiene che mentre l’emisfero sinistro rappresenta esclusivamente la porzione di spazio che si ritrova a destra, l’emisfero destro oltre alla rappresentazione dello spazio peripersonale che si trova a sinistra, abbia anche una rappresentazione ancorché́ più debole dello spazio che si trova a destra. Quindi: se abbiamo una lesione a sinistra ci sarà una probabilità più bassa di perdere interamente la percezione dello spazio a destra, soprattutto ricordando che non si tratta di percezione ma si tratta di prestare attenzione. Quindi anche l’emisfero destro è in grado di prestare attenzione a quello che si trova a destra. Questa è la teoria. Naturalmente la percezione visiva è intatta perché tutte le vie visive che abbiamo visto finora (il nervo ottico e il tratto ottico e il nucleo genicolato laterale e la corteccia striata), sono intatte. Se invece si ha una lesione a destra, siccome l’emisfero sinistro non è specializzato in questa attività, si perderà la percezione dello spazio peripersonale di sinistra. Quindi:  La negligenza unilaterale è una sindrome neurologica che si presenta come una carenza di attenzione verso un lato del corpo.  Solitamente, nell’85% dei casi si riscontra dopo lesioni a destra e in particolare lesioni della giunzione parieto-tempo-occipitale.  Questo tipo di capacità, cioè l’attenzione a uno spazio peripersonale è privilegiata dall’emisfero destro e quindi il deficit si riscontra più spesso quando si hanno lesioni dell’emisfero destro. DANNI che possono indurre una perdita delle capacità di apprendere LA MEMORIA Per parlare di memoria dobbiamo innanzitutto parlare del CIRCUITO DELLA MEMORIA (LOBO TEMPORALE MEDIALE) Che parte dall’ippocampo e congiunge, tramite il fornice (un fascio di materia bianca), l’ippocampo stesso a due regioni del diencefalo: - i corpi mammillari - il talamo anteriore. L’ippocampo tramite il fornice proietta ai corpi mammillari, i quali, a loro volta, proiettano al talamo anteriore. Il talamo è connesso ulteriormente con altre due regioni: - proietta, tramite un fascio che attraversa l’intero giro del cingolo, fino alla corteccia del cingolo posteriore - alla corteccia retro-spleniale, la quale proietta a sua volta all’ippocampo. L’ippocampo, quindi, riceve una proiezione che porta l’informazione che esso stesso ha introdotto nel circuito, rielaborata da tutte le regioni suddette. In questo circuito chiuso la lesione di qualunque nodo porta ad amnesia anterograda. Cioè se si una lesione bilaterale totale della formazione ippocampale si ha amnesia anterograda, così come nel caso in cui si abbia lesione completa del fornice o una perdita totale dei corpi mammillari, piuttosto che con una perdita totale del talamo anteriore. Questo è stato dimostrato sia in esperimenti su animali, che in lesioni totali nell’uomo. Riallacciandoci alla via dorsale (“where”) e la via ventrale (“what”), queste convergono in due destinazioni parzialmente separate all’interno del lobo temporale mediale: a) la corteccia peririnale: riceve le informazioni provenienti dal lobo temporale inferiore che costituiscono la via del “cosa”, cioè ventrale b) la corteccia paraippocampale: riceve le informazioni provenienti dalla via del “dove”, cioè dorsale Queste informazioni vengono inviate entrambe alla corteccia entorinale (costituisce la parte inferiore della circonvoluzione paraippocampale), ma rimangono segregate nella corteccia entorinale laterale e mediale. Tutto ciò per dire che queste informazioni, che hanno seguito percorsi neurali diversi, convergono entrambe nell’ippocampo. Quindi l’ippocampo riceve esclusivamente informazioni che sono già state elaborate dalle cortecce percettive primarie e di ordine superiore, dalle cortecce associative unimodali, da queste cortecce associative polimodali, e riceve input soltanto dalla corteccia entorinale, sulla quale convergono queste fonti di informazioni. Da questo si comprende perché l’ippocampo sia una regione tanto importante per l’associazione dei dati. Si ritiene che l’ippocampo sia la principale regione in cui avviene l’integrazione di informazioni provenienti da percorsi neurali diversi. Esistono diversi tipi di memoria: A LUNGO TERMINE:  MEMORIA DICHIARATIVA: è quella che viene comunicata verbalmente e può essere sia semantica che episodica. Nella memoria dichiarativa rientrano sia i fatti della nostra vita che noi raccontiamo, sia i fatti che non appartengono alla nostra vita (Ad esempio:” quanti amminoacidi sono contenuti nelle proteine?” Questo genere di informazioni noi non le abbiamo vissute direttamente in prima persona ma sono notizie che abbiamo appreso e memorizzato. Questo tipo di informazioni si classifica in un ambito diverso della memoria dichiarativa, che è la memoria cosiddetta semantica (la memoria semantica ha dei substrati neurologici parzialmente diversi da quelli della “memoria episodica”, però insieme rientrano entrambe nella memoria dichiarativa cioè quello di cui possiamo parlare)  MEMORIA NON DICHIARATIVA: chiamata anche “memoria procedurale”; ce ne sono di vari tipi in realtà. Un altro tipo di memoria non dichiarativa è il condizionamento CHE è sempre un tipo di memoria associativa, cioè che associa un evento ad un risultato, però è implicito. La memoria dichiarativa richiede il lobo temporale-mediale e altre strutture sotto- corticali, come il talamo e l’amigdala. A BREVE TERMINE:  MEMORIA DI LAVORO: è un tipo di memoria che richiede il mantenimento attivo e che ha uno spazio molto limitato, cioè noi riusciamo a tenere a mente, attivamente, solo poche informazioni. Questa memoria ha una efficienza molto elevata nel senso che si attiva e si disattiva molto rapidamente e noi durante tutta la giornata facciamo una serie di compiti di memoria di lavoro. La memoria di lavoro fa riferimento al cosiddetto nervo fronto-parietale che coinvolge la corteccia pre-frontale e la corteccia parietale (è particolarmente importante la corteccia pre-frontale. Un caso storico di H.M è un caso descritto nel ’58 e riguarda un paziente, esaminato in mezzo ad altri 11 pazienti con schizofrenia, operato a causa di epilessia intrattabile. Aveva 27 anni al momento dell’operazione e fin dall’adolescenza aveva manifestato episodi di epilessia sempre più frequenti fino ad avere diverse convulsioni al giorno, quindi per risolvere questo problema si era deciso di operarlo. Una delle strategie era la lobotomia, cioè l’ablazione chirurgica di una parte del tessuto cerebrale. Questo paziente aveva riportato successivamente all’operazione una grave perdita di memoria in quanto l’ippocampo, che dovrebbe essere ben sviluppato, non lo era più. La cosa interessante è che all’inizio, dopo l’operazione non si ricordava lo staff dell’ospedale, dov’era il bagno, però le sue memorie precoci erano vivide e intatte (quindi una parziale amnesia retrograda, che riguarda gli eventi prima del danno). Successivamente si osserva che il paziente dimentica immediatamente quello che gli succede e si decide di fare un’indagine neuropsicologia più vasta. In questo caso sappiamo che la lesione è bilaterale dell’ippocampo, coinvolge l’amigdala e la corteccia entorinale e peririnale. Ci si è chiesti quali processi elementari possano essere tali affinché uno non memorizzi un’informazione. Due cose sono importanti, le fasi della memoria:  quello che io inizialmente è il fallimento dell’utilizzo di una informazione, ma questo fallimento può derivare dal fatto che l’informazione non è stata immagazzinata oppure dal fatto che viene immagazzinata, è utilizzabile per un certo tempo, ma viene dimenticata prima.  Oppure l’informazione viene immagazzinata, è disponibile per tanto tempo, cioè viene consolidata, ma non è disponibile al momento del recupero. Questi sono deficit di tipo diverso e, l’osservazione che esistano deficit diversi in corrispondenza di danni neurali diversi, ha condotto ad ipotizzare che la memoria sia strutturata in tre fasi: a) l'acquisizione dell’informazione b) il consolidamento dell’informazione (che comprende anche la distribuzione della rappresentazione) c) il recupero della memoria Una cosa importante è che nel caso di HM, non si ha deficit di percezione, pensiero astratto, ragionamento perché il suo QI è intatto, bensì deficit nell’associazione e nessun miglioramento con la pratica. Una cosa molto importante è che il deficit non riguarda tutti i tipi di memoria a lungo termine, esistono dei tipi di memoria a lungo termine che in HM sono conservati. Per esempio ad HM veniva chiesto di disegnare un oggetto complesso con la sua mano nello specchio quindi, siccome viene riflessa l’immagine e uno non vede la propria mano, non può coordinarla come farebbe normalmente, quindi deve riabituarsi. Oggi sappiamo che questa operazione dipende dal cervelletto e dai nuclei della base, e sappiamo che in HM è completamente intatta. Pur dimenticando regolarmente di aver già fatto il test, diventava ogni volta più bravo, per cui aveva dimenticato l’evento ma ricordava bene il pattern motorio che serviva per realizzare il test. Quindi la memoria di lavoro (tipo di memoria a breve termine che richiede il mantenimento attivo e l’esercizio dell’attenzione, e che viene utilizzata generalmente per un compito che va eseguito ed abbandonato) di HM era normale. Questa memoria dipende criticamente dalla corteccia prefrontale, in particolare dalla connettività cortico-corticale all’interno della corteccia prefrontale. La memoria di cui parliamo coinvolge anch’essa la corteccia prefrontale, ma con connessioni che vengono da ippocampo e talamo. Sempre nel caso H.M, nella memoria dichiarativa (memoria a lungo termine), se gli si chiede di memorizzare 25 oggetti, non riesce a svolgere il compito. Viceversa esistono dei disturbi nei quali la memoria di lavoro è gravemente compromessa (è il caso di KF che aveva una lesione prefrontale). Quindi questo modello predice che i “nodi” di questo network sono:  l’ippocampo  il talamo  la corteccia pre-frontale  la corteccia retro-spleniale mentre se io elimino i corpi mammillari da questa via avrò un calo della memoria a causa di una minore stimolazione del talamo e della sua attività, ma questa non cessa completamente. Una via interessante è quella che coinvolge il nucleo medio-dorsale. Nello studio effettuato da Harding et al. è stato trovato che la Sindrome di Korsakoff che non include solo amnesia anterograda ma può includere anche disinibizione (funzioni esecutive disturbate come la capacità di portare a termine i compiti, deficit di memoria di lavoro ecc), era associata anche al nucleo medio-dorsale ma non tanto per la memoria quanto per l’ingenerarsi del disturbo. Il nucleo medio-dorsale è collegato soprattutto alla corteccia pre-frontale e alla corteccia peririnale. In sostanza due regioni del talamo sono d’interesse per la memoria e hanno un network cerebrale differente. Tutto ciò ha fatto sì che nascessero studi sul perché e sul come le lesioni talamiche potessero influenzare la memoria, e quello che si osserva è che a singoli casi di pazienti con lesione del talamo anteriore (in questo caso è unilaterale), si effettua un tipico test utilizzato per l’analisi neuropsicologiche che permette di valutare le competenze visuo-spaziali di un soggetto, la sua organizzazione percettiva e la memoria visiva e di lavoro. TEST: Il test viene chiamato la “figura complessa di Rey-Osterrieth”. Cioè ai soggetti viene chiesto in un primo momento di ricopiare la figura col foglio davanti che la mostra e, successivamente, di ridisegnarla solo a partire dal ricordo. La figura è ricca di attributi ed è molto complessa ma facile da disegnare; si può analizzare che il paziente ha un ricordo di questa figura, a distanza di tempo, molto vaga e degradata. Quindi la capacità visuo-spaziale e la capacità motoria sono intatte, perché quando gli si chiede di copiare sul momento il disegno, lo fa; ma quando gli si chiede di disegnarla un 30minuti dopo, il paziente non la ricorda, ricorda vagamente che c’era un rettangolo, e quindi l’informazione si è degradata molto. Questo test a dimostrato che se si testa la capacità mnemonica nell’immediato e dopo un certo lasso di tempo, si osserva che, nonostante anche nei controlli ci sia una diminuzione del ricordo a distanza di tempo, i pazienti con lesioni del talamo anteriore sono sempre molto al di sotto della media (deficit nel recupero del ricordo non nella codifica). È interessante inoltre vedere la memoria, che viene studiata nell’ambito di amnesia anterograda, in diversi sottocomponenti. Quando si parla di apprendimento, vi includiamo al suo interno tutta una serie di abilità: - percepire e capire - memoria di lavoro: cioè ricordare ciò che si è letto appena prima - affidarsi alla semantica del testo per strutturare l’informazione in arrivo - porsi delle domande - spiegare dei concetti e integrarli con nuove idee Esempio: se ci troviamo di fronte ad un oggetto già visto come l’equazione di Nernst, sappiamo di averlo già incontrato nei nostri studi; mentre i pazienti con amnesia anterograda hanno un deficit di memoria di riconoscimento, accompagnato solitamente da un deficit di “Recall” (capacità di associare ad un oggetto una serie di concetti), separata dal riconoscimento. Queste quindi sono implicate entrambe nell’apprendimento, nonostante esista un confine sottile e non ben definito tra le due capacità. Esempio: il cosiddetto fenomeno del "Butcher-on-the-bus", il “macellaio nel bus”. Questo fenomeno riguarda la partizione in familiarità e reminescenza (recupero di tutti i dettagli associati ad un certo item e che rientrano in processi distinti). Questo processo di ricordo delle informazioni associate a un viso è perduto quando si ha una lesione bilaterale dell’ippocampo e quindi anche dei nuclei anteriori. Attraverso diversi studi di risonanza magnetica si è visto che l’ippocampo è più attivo quando il riconoscimento è accompagnato dal giudizio di ricordo preciso, cioè la reminiscenza; piuttosto che quando si ha solo un ricordo familiare, cioè quando so di averlo già visto ma non lo ricordo, non si ha la sensazione di aver catturato il ricordo. E questo dipende dal soggetto. In letteratura è già noto che i nuclei anteriori sono coinvolti nel ricordo, ma non si sa se è coinvolgo anche il nucleo medio-dorsale. Si ritiene infatti che questo nucleo medio-dorsale sia coinvolto nella familiarità, cioè nel “riconoscimento senza ricordo”. L’aspetto interessante è che la familiarità presenta delle analogie con la memoria implicita, cioè con la memoria non dichiarativa; inoltre questo tipo di memoria potrebbe essere risparmiata in alcuni soggetti affetti da amnesia, e questo potrebbe essere un punto di partenza per un training cognitivo ad es. nei disturbi psichiatrici Tutto ciò ci insegna che anche rispetto alla rappresentazione e localizzazione mentale vi è una grande variabilità tra regioni cerebrali:  il talamo ad esempio è molto sensibile alla lesione, una piccola lesione causa grandi deficit;  lesione all’ippocampo e alla corteccia cerebrale sono invece molto meno sensibili, cioè causano deficit meno gravi. Possiamo quindi dedurre che la quantità di deficit è direttamente correlata alla quantità di tessuto nevoso persa nel nucleo medio-dorsale, quindi nella Sindrome di Korsakoff, si ha una compresenza di danno al nucleo medio-dorsale (connesso alla corteccia pre-frontale) e di danno al nucleo anteriore connesso con l’ippocampo, ed entrambi questi deficit concorrono a dare amnesia anterograda. Questo ci dice che all’interno del network ippocampale c’è una suddivisione di compiti: l’ippocampo è direttamente coinvolto nell’acquisizione i nuclei anteriori del talamo sembrano più coinvolti nel recupero mnemonico. Inoltre, l’ippocampo sembra essere implicato più nelle memorie recenti che nelle memorie remote, uno dei motivi è che con il tempo la rappresentazione dell’informazione passa dal circuito sequenziale ippocampale al circuito corticale, più esteso e parallelo. Questo è un caso interessante di passaggio dell’informazione nel cervello perché interviene anche il tempo: con il tempo l’informazione contenuta e imbrigliata inizialmente in questo circuito sequenziale, si parallelizza e in qualche modo le strutture corticali possono compensare un’ipotetica lesione a livello ippocampale. Nel caso di H.M. abbiamo visto che le memorie remote erano intatte, perché si ritiene che con il tempo queste memorie si sono sedimentate passando dall’ippocampo ad altre regioni: - la corteccia del cingolo - la corteccia parietale - pre-frontale Un articolo molto interessante condotto sugli animali ha chiarito come, sebbene l’ippocampo sia importante soprattutto per l’acquisizione e per il mantenimento delle memorie recenti e ci sono altre regioni cerebrali, come il giro del cingolo anteriore, che possono intervenire per colmare i deficit che derivano dal danno ippocampale. LE EMOZIONI La corteccia visiva ha il ruolo di percepire il pattern visivo che stiamo osservando, e proietta all’amigdala la quale riproietta alla corteccia visiva, all’ippocampo e ad una serie di altre regioni. L’amigdala, come centro di associazione, elabora le informazioni sulle emozioni. “Le emozioni sono delle configurazioni chimiche e neurali che determinano modificazioni transitorie nello stato del corpo e delle strutture cerebrali che formano le mappe corporee e costituiscono la base del pensiero”. Questa è una definizione di A. Damasio (2003) il quale ha una specifica posizione sulle emozioni, che è quella del cosiddetto “marker somatico”. Le emozioni sono solitamente descritte con caratteristiche propriocettive: lo stomaco in subbuglio oppure le reazioni caratteristiche di alcune emozioni e che sono associate al funzionamento del sistema nervoso autonomo (modulazione della frequenza cardiaca, arrossire, sudare ecc.) determinano modificazioni transitorie dello stato del corpo. Le emozioni posso essere classificate in: a) emozioni primarie o fondamentali e sono: rabbia, disgusto, paura, tristezza e felicità. A queste va aggiunta la sorpresa. Queste sono delle emozioni che vengono riconosciute tramite l'espressione del volto in soggetti provenienti da qualunque popolazione e vengono riconosciuti in individui di etnia diversa dalla nostra, cioè la codifica e la decodifica di queste emozioni è invariante rispetto all'apprendimento e alla provenienza geografica o etnica, ovvero queste emozioni sono riconoscibili in tutte le facce di tutti gli uomini del mondo.Questo deriva da studi di Ekman negli anni 90 anche se il primo a fare questi studi è stato Darwin pubblicando un libro sull'espressione delle emozioni negli uomini e negli animali. b) emozioni secondarie che vengono chiamate sociali perché sono mediate dalla cultura, per esempio ci sono dei tipi di emozioni presenti in culture diverse dalla nostra, ad esempio i giapponesi, dove sono presenti dei nomi di emozioni che non sono descrivibili nella nostra vita ma che sono tipiche di una determinata cultura. Queste emozioni, ad esempio l'invidia, la vergogna, l'onore ecc. Derivano dalla cultura in cui noi viviamo, siccome derivano dalla cultura non sono invarianti rispetto alla provenienza geografica ed etnica, ma sono invece variabili. Altre emozioni sono invece fortemente influenzate dall’apprendimento. Alcune manifestazioni più sottili, come l’orgoglio o l’indignazione, possono variare molto da cultura a cultura, non soltanto per quello che le innesca ma anche per il modo in cui vengono espresse. Quello che ci interessa è che le strutture cerebrali deputate alle emozioni possono differire: per esempio:  rabbia e paura sono fortemente elaborate dall’amigdala.  il disgusto attiva regioni analoghe a quelle che sono attivate dalla corteccia dell’insula L’elaborazione indotta dal contesto sociale può condizione le emozioni e questo è particolarmente vero per le emozioni complesse o secondarie. CONDIZIONAMENTO E MEMORIA ASSOCIATA ALLA PAURA La paura è una emozione di base: si tratta di una reazione a situazioni minacciose, con un ovvio significato adattativo. Ciò che ci interessa è la memorizzazione di questo genere di stimoli e quindi la memorizzazione di un pattern stimolo-reazione. Questo pattern negli animali è studiato spesso con il paradigma del condizionamento. Il condizionamento è di due tipi: I. classico: per esempio c’è uno stimolo come il suono e lo shock del ratto. Il ratto associa il suono allo shock e questo lo induce ad operare la risposta comportamentale, quale il freezeing (cioè la paralisi), anche solo in risposta al suono. In questo caso quindi lo stimolo incondizionato è quello che suscita la reazione quindi è lo shock; lo stimolo che viene condizionato è il suono II. operante: è il ratto che, per esempio, preme una leva per ricevere una ricompensa o per evitare una punizione. In un altro studio, ancora più tardivo, Adolphs mostra che S.M. è in grado di avere una risposta del SNA comunemente associata alla paura in specifici paradigmi. Si tratta di un paradigma in cui dei soggetti respiravano da una maschera che portava ossigeno, ma ad un certo punto i livelli di pressione di ossigeno venivano abbassati dando ai soggetti stessi una sensazione di soffocamento. In questo paradigma sperimentale S.M. e gli altri pazienti con lesione bilaterale dell’amigdala manifestano sudorazione, aumento del battito cardiaco ecc. Si ritiene quindi che questa reazione sia mediata da altre aree, eventualmente connesse all’amigdala come per es: - il grigio periacqueduttale - l’ipotalamo. In sostanza tutta questa serie di studi dimostra che manca lo stimolo ad entrare nello stato di paura, che viene indotto generalmente proprio dall’amigdala. Quindi con una richiesta attiva di focalizzarsi su un certo stimolo si può indurre il riconoscimento della paura e si può indurre anche l’emozione della paura. In un trattato di E. Rolls si ritiene che negli esseri umani gran parte della funzione dell’amigdala sia spostata nel lobo pre-frontale, quindi che molta parte delle funzioni sia svolta dalla corteccia temporale medio-ventrale. Rolls paragona l’amigdala ad un “grilletto” che attiva le risposte del SNA. In realtà queste risposte non sono così specifiche: si può avere la stessa risposta come aumento della frequenza del battito cardiaco, sudorazione sia in una situazione di scontro che in una situazione di fuga, quindi in un contesto di rabbia e in un contesto di paura. Il ruolo dell’amigdala è quello di coordinare queste attività del SNA e delle regioni che si trovano a valle rispetto ad essa, come per l’ipotalamo e il grigio periacqueduttale che ricevono degli input dall’amigdala e li trasmettono al SNA. Quindi ad oggi il modo in cui è vista l’amigdala è un po’ meno localizzato come la sede della paura, bensì un po’ più come la sede dei processi che servono al corpo per reagire a una determinata situazione. IL LINGUAGGIO Come sappiamo corteccia motoria primaria e corteccia sensoriale primaria interagiscono con l’Area di Brocà la quale è connessa con l’Area di Wernicke a sua volta vicina alla corteccia uditiva primaria. Tutto questo network è implicato nel linguaggio, in particolar modo l’emisfero sinistro è maggiormente implicato nell’elaborazione linguistica.  L’area di Broca ha una specifica rete di connessioni, per cui riceve degli input che sono strutturati rispetto alle regioni da cui provengono e rispetto alle regioni in cui giungono, quindi l’area di Broca è connessa alla corteccia motoria primaria e alla corteccia pre- motoria, ma è anche molto vicina a regioni olfattive. L’area di Broca è in realtà una corteccia associativa, gerarchicamente superiore rispetto alla corteccia pre- motoria, che è la sede dove vengono programmati dei piani di movimento poi demandati alla corteccia motoria primaria. Quello che rende l’area di Broca tale, è il pattern di connessioni che ha.  L’area di Wernicke essa è localizzata molto vicina alla corteccia uditiva primaria ed è specializzata nell’elaborare degli stimoli altamente specifici, come le parole, che hanno un particolare range di frequenza che viene elaborato dalle cortecce uditive di ordine superiore e che giunge pre-elaborato all’area di Wernicke. Quindi l’area di Wernicke è una corteccia associativa unimodale che processa stimoli uditivi che è in grado di interpretare dando questi un significato, ed è molto importante che questa stessa area sia collegata all’area di Broca tramite una connessione specifica, chiamata fascicolo arcuato. Ci sono una serie di altre regioni, come i nuclei della base e il cervelletto che incidono sulla programmazione motoria e sull’esecuzione del movimento. Inoltre c’è qualcos’altro che distingue in particolar modo alcune aree dalle altre ovvero l’organizzazione della corteccia in strati. Ricordiamo che le aree motorie hanno grossi strati 5 e 6, che vanno fuori dalla corteccia e raggiungono i nuclei della base, il cervelletto; invece le aree sensoriali hanno un grosso strato 4, che riceve gli input dall’esterno. Mediante diversi studi su pazienti, si è pensato di identificare le aree coinvolte nei deficit attraverso il paradigma di “overlap-subtraction” (sovrapposizione e sottrazione). ESPERIMENTO: si seleziono pazienti con disturbi nella produzione verbale, nei quali sovrappongo le lesioni. Dai risultati della sovrapposizione trovo un core di regioni cerebrali che sono sempre danneggiate in questi pazienti. Se si hanno anche a disposizione dei pazienti in cui questo deficit non si manifesta, posso sottrarre queste aree a quelle trovate precedentemente, in modo tale da focalizzarsi sulle aree specifiche associate alla produzione verbale. Con questo genere di studi si vede che:  l’area di Broca è associata a una mancata produzione verbale (AFASIA NON FLUENTE). Al soggetto viene presentata una parola o un’immagine che il soggetto deve definire. Questi pazienti di solito non producono delle frasi, a volte riescono a dire degli automatismi, hanno anche delle difficoltà di pronuncia e questo è caratteristico di un paziente che ha compreso il compito che deve svolgere, sta cercando di dire la parola esatta, ma pur sforzandosi non riesce a pronunciarla. È un tipo di linguaggio destrutturato, in cui lo sforzo del paziente è rivolto ad articolare delle parole che rappresentano più o meno i concetti chiave, ma non riesce a produrre. La produzione non è fluente, per questo il deficit è noto come “afasia non fluente”. L’agrammatismo dei pazienti di Broca è associato anche all’utilizzo della grammatica come un modo di strutturare l’informazione parlata. Ad esempio I pazienti con afasia di Broca possono avere difficoltà a scegliere l’immagine corretta, dopo aver udito la frase “il cavallo ha calciato la mucca”. Questo paradigma è interessante perché loro odono questa frase e la loro percezione è intatta, quindi loro sanno cosa significa. Pur sapendo cosa significa e pur avendo il pieno delle proprie capacità visive, questi pazienti hanno difficoltà a scegliere una delle due vignette (mucca calcia il cavallo o viceversa); ciò significa che l’area di Broca non è solo la sede della produzione del linguaggio in quanto struttura e pattern motorio, ma è anche la sede in cui questi pattern vengono strutturati a livello concettuale.  l’area di Wernicke è associata all’incapacità di interpretare quello che viene detto (AFASIA FLUENTE). Ci sono deficit percettivi per cui difronte ad una domanda il paziente risponde ad esempio con un’altra domanda oppure si inventa delle parole oppure risponde in una maniera indifferenziata. Però questi pazienti, differentemente da quello che avviene nell’afasia globale, possono parlare e possono anche dilungarsi cioè possono parlare a lungo e dire cose che sono assolutamente non associate a quello che gli è stato chiesto durante la conversazione. La regione dell’emisfero sinistro in cui si trova l’area di Werinicke è più larga, si chiama “planum temporale”. Quindi è più sviluppata, non soltanto nell’adulto ma anche nel neonato quindi è un un’area specializzata, fin dal neuro-sviluppo, nella percezione del linguaggio. Quello che è interessante è che l’omologo dell’area di Wernicke nell’emisfero destro è specializzata nella prosodia.  l’area dell’arteria comunicante media associata all’incapacità di interpretare il linguaggio e incapacità di produrlo (AFASIA GLOBALE). È un’area piu ampia che include l’area di Broca e di Wernicke. Questi presentano la cosiddetta In questo caso il paziente non è in grado di interpretare quello che gli si dice e ha una produzione limitata. Quindi il paziente risponde con questo genere di frasi e inoltre non risponde diversamente nel momento in cui viene cambiata la domanda perchè non interpreta la parola e comunque non è in grado di esprimersi in maniera diversa. Questi pazienti utilizzano i cosiddetti degli automatismi, fa molti sforzi per parlare, ed ha una prosodia deficitaria (un’alterazione del tono, del timbro e del volume della voce per esprimere, per dividere le frasi o per esprimere un’emozione). ASIMMETRIE CEREBRALI È stato osservato in una serie di studi che l’interpretazione del linguaggio, ma anche la memoria verbale per esempio, sono più fortemente processate nell’emisfero sinistro. Ad esempio questo è importante anche nel caso delle amnesie ippocampali: - quando un soggetto ha una lesione ippocampale a sinistra, è più facile che venga danneggiata la memoria verbale - quando, invece, la lesione si trova a destra, è più facile che venga danneggiata la memoria spaziale oppure la memoria per le immagini. Quindi nell’ippocampo questa asimmetria è preservata, come si trova anche a livello corticale. Questo non è vero per tutte le aree, perché per esempio nel caso del talamo non è vero che le lesioni a sinistra impattano solo la memoria verbale e le lesioni a desta impattano solo la memoria visiva. Quindi la specializzazione degli emisferi varia da regione cerebrale a regione cerebrale. Le aree generalmente corticali (includendo anche l’ippocampo che è un’area corticale ma non è un’area di neo-corteccia perché non ha 6 strati, ha solo 3 starti corticali), presentano generalmente questa asimmetria. L’emisfero sinistro è anche coinvolto in operazioni logico-sequenziali, come le operazioni aritmetiche (conti), e anche nell’apprendimento di sequenze di movimenti complessi, invece l’emisfero destro è più coinvolto nel riconoscimento di pattern visivi che possono essere geometrici o anche facce per esempio, e nella percezione della prosodia e della musica e nell’orientamento spaziale. Esistono dei pazienti gli “split-brain patients”, i quali sono stati operati per lenire i sintomi epilettici e che hanno la caratteristica di non possedere più il corpo calloso funzionale ovvero il fascio che collega destro e sinistro, poiché reciso chirurgicamente. Quando a questi pazienti viene presentata un’immagine solo da un lato, essi hanno difficoltà a nominarla. DISTURBI NEURODEGENERATIVI Queste malattie hanno in comune il fatto che delle problematiche originariamente intracellulari si estendono gradualmente fino a coinvolgere intere regioni cerebrali per dare origine a sintomi un segnale che la quantità di dopamina nello striato è fortemente diminuita. Soprattutto è fortemente diminuita in parallelo con la comparsa dei sintomi. In realtà solo quando la degenerazione è completa al 70-80% cominciano a manifestarsi i sintomi. Questo è uno dei motivi per cui il trattamento è problematico, perché quando si riscontrano i primi sintomi la degenerazione e già avvenuta. E questa degenerazione avviene a carico della substantia nigra. Cioè la struttura che principalmente degenera è l’input dopaminergico che arriva ai nuclei della base. Quindi nel paziente di Parkinson non si ha più input al putamen e quindi non si ha più la regolazione fine del movimento, non c’è più output dai nuclei della base perché non c’è più l’input dopaminergico che modula la forza delle afferenze corticali. Nel morbo di Parkinson si riscontrano anche delle alterazioni citologiche, che sono queste inclusioni chiamate corpi di Lewy, che possono essere presenti delle degenerazioni delle cellule della substantia nigra. La substantia nigra è sede di degenerazione nel morbo di Parkinson e in un tipo di Atassia Spinocerebellare. Per quanto riguarda l’eziologia di questa degenerazione, il Parkinson è una patologia a decorso principalmente sporadico, cioè vuol dire che si presenta senza che ci sia necessariamente una familiarità per il disturbo, anche se si ritiene che ci siano dei fattori genetici e ambientali predisponenti, insomma è una malattia a ereditarietà complessa. COREA DI HUNTINGTON è un disturbo, a differenza del Parkinson, con una genetica semplice e un’ereditarietà chiara che viene utilizzato come disturbo modello dei disturbi genetici. I movimenti nel caso della malattia di Huntington sono involontari e si presentano soprattutto nell’apparato buccale, nei muscoli mimici e si presentano anche nelle estremità degli arti; si ha un sintomo noto come “baldismo” che consiste in ampi movimenti incontrollati degli arti e questo è il motivo per cui il disturbo è chiamato “corea” (dal greco: “danza”). Quindi è un disturbo che si presenta con sintomi motori però, come anche è il caso del morbo di Parkinson, ci sono anche dei disturbi cognitivi e di interesse neuropsichiatrico, ovvero disturbi dell’umore e della cognizione. Essendo entrambi disturbi neurodegenerativi questo tipo di manifestazioni incrementa col tempo. Strutture che fanno sempre capo ai centri motori tra queste il nucleo caudato, il putamen e il globo pallido sono degenerate nella malattia di Huntington, in cui però la degenerazione non è limitata a queste aree ma si presenta anche nella corteccia cerebrale. Quello che è interessante nella malattia di Huntington è che queste aree in cui interviene la degenerazione, i nuclei della base, sono quelle che poi danno inizio ai principali sintomi per cui viene diagnosticata. Nella corea di Huntington, istologicamente, si ha un ispessimento leggero dei solchi e un forte allargamento dei ventricoli. Questo allargamento capitalizza soprattutto sul ridotto volume dei nuclei della base.  il caudato, che nel cervello a sinistra (malato) non si riesce a identificare  Il corpo calloso è notevolmente più ridotto (malato)  è la degenerazione dei nuclei della base, in misura anche maggiore della corteccia.  delle inclusioni intranucleari (INI) che sono il prodotto di una proteina alterata, in particolare alterata per un eccesso di residui di glutammina. Questa proteina: la Huntingtina, questa proteina ha un dominio caratterizzato da un certo numero di residui di glutammina, codificati da delle triplette CAG con un certo numero di ripetizioni. Nella proteina funzionale, queste ripetizioni portano ad un certo numero di residui di glutammina che hanno una normale funzione nella proteina e che vengono normalmente processati dalla caspasi; quando questi residui diventano molto lunghi assumono una struttura secondaria che non consente il processamento da parte della caspasi, quindi si accumulano nel tempo all’interno del nucleo. Questo tratto di poli-glutammina mutante e si ritiene che possa portare alla disfunzione e poi alla morte cellulare per eccito-tossicità, apoptosi, disfunzione mitocondriale. Una delle terapie utilizzate è a base di trealosio, che riduce un po’ i sintomi ma non è sufficiente per ridurre la tossicità. Patogenesi: l’esone 1 presenta la regione poliglutamminergica e in questo caso specifico, l’ereditarietà del disturbo è caratterizzata da un aspetto quantitativo cioè dal numero di triplette CAG che sono presenti.  Da 10 a 35 le triplette non danno origine al fenotipo clinico  Da 35 a 39 danno origine a un fenotipo clinico variabile (l’allele ha una penetranza ridotta)  Da 40 in poi danno origine al fenotipo conclamato, e lo fanno con un sistema di ereditarietà L’ereditarietà è di tipo DOMINANTE perché l’uomo ha la patologia e la trasmette ai suoi figli. È dominante perché questi residui glutamminergici che si accumulano e presentano tossicità si accumulano dalla parte malata del genoma e quindi la degenerazione si verifica anche se uno dei geni è sano. È interessante vedere anche la parte da 27 a 35 triplette perché questa è una predisposizione genetica di pre-mutazione chiamata così perché nella gametogenesi posso avere errori di duplicazione che portano al raddoppio di una parte di questa regione, che poi porta ad un disturbo nella prole a partire da un soggetto sano. Interessante è anche il discorso che riguarda l’anticipazione, cioè l’età di insorgenza dell’Huntington co-varia con il numero di triplette CAG. Questo se ci pensate è anche intuitivo perché c’è un sistema di accumulo di questa tossina. Più ce n’è di questa tossina, più è tossica e prima si riscontra il disturbo. L’Huntington insorge tra i 40-45 anni, a volte anche più tardi, e questo dipende dalla quantità di triplette. Generalmente gran parte della popolazione ha un esordio tra i 35-55 anni. MORBO DI ALZHEIMER Un disturbo che non ha una rilevanza specifica per i nuclei della base, ma che è sempre una patologia neurodegenerativa e nella quale si ha un accumulo di residui proteici. l’Alzheimer ha esordio prevalentemente dopo i 65 anni. Questa patologia esaspera l’invecchiamento del cervello, cioè lo anticipa e ne esaspera le caratteristiche comportamentali. Per il fenomeno dell’aumento della longevità, la frequenza di questo disturbo nella popolazione è destinata ad aumentare costantemente. Questo è anche il motivo per cui questa patologia è estremamente studiata. Purtroppo nonostante la ricchezza di studi, non è ancora disponibile un trattamento soddisfacente per il disturbo, non esiste un farmaco anti-Alzheimer. Quello che c’è è una conoscenza genetica di alcune varianti implicate nel disturbo, che possono conferire un maggiore rischio di contrarre il disturbo. In questa patologia abbiamo varianti alcune varianti significative e molte varianti poco significative. Per cui abbiamo più facilità a diagnosticare alcuni casi in cui è molto probabile che in epoca di anzianità il soggetto sviluppi il disturbo, mentre nel caso in cui non si presenti questo particolare assetto genetico è molto difficile dire se il disturbo si presenterà oppure no. Tra l’altro c’è anche una grossa variabilità sintomatologica e quindi la diagnosi generalmente è fatta sulla base dei sintomi. I sintomi come una forte perdita di memoria prospettica sono tipici di questa patologia. La MEMORIA PROSPETTICA è la capacità di tenere a mente una serie di cose da fare, cioè avere dei piani e avere in mente un percorso per tornare a casa ecc; queste sono caratteristiche che sono deficitarie in questi pazienti. Inoltre questi pazienti presentano anche disturbi di memoria episodica che cominciano come disturbi di apprendimento. Un caratteristico sintomo è la perseverazione, cioè il soggetto continua a insistere, perché il soggetto non riesce a ricordare che una certa informazione è già stata presentata. Quindi questi sintomi di memoria prospettica e di acquisizione di memoria sono tra i sintomi più precoci. Più in là si hanno dei sintomi come l’alterazione di ciò che è già stato acquisito, quindi il soggetto dimentica via via una serie di cose del suo passato che aveva già memorizzato. La ragione per cui si verifica questo è dato da cambiamenti istologici come i ventricoli estremamente allargati e scissure e solchi molto profondi, anche il lobo temporale è del tutto degenerato. C’è una atrofia proporzionata della corteccia cerebrale e questo non è singolare dell’Alzheimer, ma è comune ad altre forme di demenza come la demenza fronto-temporale (si presenta con agnosognosia, anomia, afasia cioè capacità di individuare i significati delle parole e delle immagini). La patofisiologia dell’Alzheimer presenta a livello neurofisiologico delle matasse neurofibrillari e delle placche, le cosiddette “placche senili”. Nel paragone tra un soggetto di controllo e uno con il morbo di Alzheimer, la densità delle placche è incrementata. Questo però è presente anche in un soggetto anziano che non ha la patologia, solo che queste placche pur presenti a livello fisiologico, sono massivamente più diffuse in un paziente con Alzheimer. La sezione mediale dove l’area più sottoposta alla presenza di matasse neurofibrillari è proprio l’ippocampo e la corteccia entorinale- paraippocampale. A livello istologico le placche e le matasse hanno origini differenti, cioè vengono da residui proteici differenti, ma hanno in comune questo fatto di essere costituite da proteine anomale. In sezione istologica.  le matasse con struttura un po’ più lineare, perché oltre a circondare il nucleo entrano anche nell’assone in quanto associate a una proteina che costituisce i microtubuli della proteina “tau”  mentre le placche sono formate da β-amiloide. L’origine patofisiologia di queste alterazioni è simile a quello che abbiamo visto per l’Huntngton nel senso che ci sono dei residui proteici che non vengono digeriti e che tendono ad accumularsi nelle placche di amiloide. Nel caso della proteina tau, associata ai microtubuli, si ha invece una serie di anomalie che fanno sì che queste proteine siano più fosforilate nei pazienti che nei soggetti soggetti che hanno una cosiddetta predisposizione. La predisposizione o suscettibilità è la maggiore facilità, rispetto alla media della popolazione, di sviluppare un certo disturbo. I disturbi psichiatrici presentano, in molti casi, una forte ereditabilità per cui si sta cercando l’eziologia dei disturbi psichiatrici, soprattutto nella genetica, ma la genetica dei disturbi psichiatrici è complessa, cioè non c’è un unico gene quindi c’è una pleiotropia. Inoltre c’è una penetranza variabilee quindi a parità di condizione genetica, posso avere una espressione differente del fenotipo, quindi il fenotipo posso presentarlo oppure no. È chiaro che stiamo parlando dei gemelli perché questi soggetti hanno lo stesso genotipo ma hanno un fenotipo differente. Nella genetica Mendeliana abbiamo una relazione biunivoca tra gene e fenotipo. Ho un tratto che presenta una variabilità e tra i due genotipi, aa e Aa, non ho sovrapposizione. ESEMPIO: il colore dei capelli Quello che si osserva in un fenotipo complesso è: dato un certo allele ho diverse distribuzioni della mia variabile continua, tale per cui a seconda del genotipo, la frequenza di casi che superano il criterio diagnostico nella popolazione, varia. Se disegnassimo curve di densità di probabilità e andassimo a contare quante persone all’interno della popolazione hanno il disturbo con genotipo AA o aa o Aa, non vado altro che a prendere in considerazione l’area sotto la curva del mio criterio. Quindi per esempio la curva (aa) risulterà avere un’area molto piccolina, mentre la curva AA avrà un’area molto più grande, quindi in conclusione ci si ammala più facilmente con il genotipo AA. Questa cosa va moltiplicata però per migliaia di genotipi. Molti disturbi hanno una base genetica. I tipi di influenza genetica possono essere:  ADDITIVI: Le influenze additive fanno sì che individui che hanno una architettura genetica simile, hanno simili fenotipi, cioè: - se io ho 10 varianti genetiche coinvolte in un disturbo e ne ho tutte e 10, questo è diverso dal fatto di averne 2. Questa è un’influenza additiva, cioè se io mi ammalo più facilmente se ho 10 varianti, e non 2. Casi tipici di genetica additiva potrebbero essere alcuni tratti fenotipici tipo il colore dei capelli, della pelle eccetera. Una caratteristica dei fattori genetici additivi è che possono dipendere dal dosaggio allelico, quindi se io ho due AA o uno o zero (perché ho il genotipo aa), questo presenterà una gradazione nel fenotipo Questo fa sì che se solo le influenze genetiche additive esercitassero il loro effetto:  i soggetti monozigoti correlerebbero completamente  i gemelli dizigoti correlerebbero al 50% Molte delle influenze genetiche sono di tipo additivo  NON ADDITIVI: La dominanza mendeliana è un caso di influenza non additiva perché se io ho la manifestazione del fenotipo, se e solo se, ho due genotipi alterati e non uno, allora chiaramente non c’è una gradualità. Nel caso della dominanza il genotipo AA e il genotipo Aa hanno la stessa espressione fenotipica. In questo caso non ho una linearità cioè il dosaggio allelico non conta. L’epistasi è in genere il meccanismo tramite il quale si realizza la dominanza. Nel caso del colore degli occhi, ci sono diversi enzimi che processano un substrato e il risultato finale, ovvero la melanina dipendono da tutti questi enzimi. - se io ho una mutazione nell’enzima 1, che lo rende non funzionante, allora tutta la catena non funziona - se io ho una mutazione nell’enzima 2 anche avrò il fenotipo occhi chiari - ma se ho sia la mutazione 1 che la mutazione 2, non è diverso dall’avere la mutazione o solo in 1 o solo in 2. Quello che è importante (e questo si chiama epistasi) è che il fatto che l’enzima 2 sia sano non ha nessuna influenza sul fenotipo. Questo perché la manifestazione del carattere fenotipico è determinata dalla disfunzionalità dell’enzima 1. Questo significa che la variazione genica associata all’allele 2 si manifesta fenotipicamente solo in maniera statisticamente dipendente dal genotipo dell’enzima 1. Quindi:  Se ho l’enzima 1 alterato, avrò sempre gli occhi chiari (due alleli dell’enzima 1)  se uno ha l’enzima 2 alterato, io osserverò gli occhi chiari o scuri in dipendenza dall’enzima 2, solo se funziona l’enzima 1(Altrimenti non vedrò una differenza perché io vedrò che l’enzima 1 non funziona quindi ha gli occhi chiari). Quindi l’impatto di una variante genica, dipende da un’altra variante genica e questo tipo di interazione gene- gene che va sotto il nome di epistasi fa sì che una variante sia influente soltanto in alcuni casi per ragioni puramente genetiche senza considerare l’ambiente. A tal proposito si introduce il tema dell’ereditabilità. EREDITABILITA’ L’ereditabilità è la proporzione di varianze in un tratto che è spiegato dai fattori genetici. Essa è una stima dell’influenza del genotipo e questa stima varia da zero a uno, quindi un fenotipo con ereditarietà dell’80% mi dice che, pesando i fattori genetici e i fattori ambientali, la variabilità del fenotipo è condivisa all’80% con la variabilità genetica. L’Ereditarietà è la capacità di un carattere di manifestarsi nella prole più di quanto sia dovuto al caso. In genere gli indici di ereditarietà vengono utilizzati per stimare quanto è importante il genotipo in un disturbo. Quello che però fanno queste stime, è guardare la co-variazione tra differenze individuali del fenotipo e del genotipo. Queste le stime di ereditarietà sono generalmente specifiche di una popolazione, quindi ad esempio se io ho un certo disturbo nei soggetti caucasici e i soggetti afroamericani hanno un background genetico completamente diverso ma presentano comunque il disturbo, è difficile che io posso prendere i miei soggetti caucasici e applicare le stesse stime di ereditarietà a tutti e i gruppi. Le stime più affidabile sono le metanalisi dell’ereditarietà, che sono cioè degli studi in cui si prendono tanti articoli pubblicati da luoghi diversi e a cui prendono parte persone con un background genetico diverso e si confrontano le stime di ereditarietà del disturbo, in maniera tale da trovare una certa consistenza degli studi e farsi una idea, con queste diverse stime di ereditarietà, di quanto il tratto richiesto sia ereditabile. Importante è dire che se l’ambiente è omogeneo, l’influenza dei genotipi cresce. Praticamente se io prendo tratti da popolazioni genetiche diverse nello stesso posto, avrò una grande variabilità genetica e una piccola variabilità ambientale. Questo generalmente incrementa la stima dell’ereditarietà. Quando invece incrementano le variazioni ambientali, l’influenza dei genotipi decresce. ESEMPIO:  L’isola X ha una carestia che colpisce uniformemente tutti  L’isola Y ha risorse a disposizione per tutti, in maniera invariante. Com’è la stima di ereditarietà per l’altezza in queste due isole? Analizziamo: La risposta esatta è che l’ereditarietà è alta in entrambe le isole perché la variazione ambientale è bassa in entrambe le isole. L’unica variazione che osservo è quella genetica e quindi ci sarà una elevata ereditarietà. Non significa altro che: - genitori alti daranno figli alti (relativamente più alti rispetto al resto della popolazione) - genitori bassi daranno figli relativamente bassi rispetto al resto della popolazione Quindi le stime di ereditarietà possono cambiare anche a seconda del cambiamento degli ambienti. E perciò l’ambiente contribuisce all’espressione del background genetico. Ci sono diversi tipi di influenza possibili ad esempio: o l’ambiente prenatale o l’ambiente chimico interno al corpo o il nutrimento o lo stress della madre o l’esercizio fisico Le influenze ambientali si dividono in: I. CONDIVISE: Questo è legato agli studi sui fratelli, laddove le influenze ambientali condivise fanno sì che i soggetti che provengono dalla stessa famiglia si somiglino tra loro.  se fossero queste le influenze dominanti in un fenotipo, osserveremmo che i gemelli monozigoti (o anche i dizigoti o anche i fratelli purché allevati nello stesso ambiente) avrebbero tutti lo stesso identico fenotipo. II. NON CONDIVISE: sono quelle che caratterizzano la storia individuale di una persona, quindi: frequentare ambienti diversi, fare attività diverse.  se prevalessero queste, osserveremmo che i fratelli di qualunque tipo, comunque siano allevati, hanno una correlazione zero nel tratto di interesse quindi non osserveremmo nessun effetto famigliare. Quello che è importante della genetica comportamentale è che ci sono delle caratteristiche della struttura dell’interazione ambiente-genotipo che hanno degli effetti nella manifestazione dei disturbi psichiatrici: - ad esempio l’effetto cumulativo di un certo ambiente è molto rapido, cioè se si riceve uno stress solo una volta, anche se è grave questo è meno potente nel determinare il fenotipo psichiatrico di quanto non lo sia ricevere una serie di stress, quindi per esempio se l’abuso di droga conduce all’abuso di altri tipi di droghe, questa catena di eventi diventa un forte determinante ambientale che si autorinforza, un feedback positivo insomma. E’ stato documentato che l’associazione di molti eventi ambientali negativi è il più forte determinante di rischio per disturbi psichiatrici rispetto a un singolo evento molto traumatico. Come abbiamo detto il codice genetico si esprime nell’ambiente, e questo si può interpretare come tanti fenomeni diversi, per es: dall’ambiente pre-natale importante nella Schizofrenia può essere la situazione chimica all’interno di una cellula di un tessuto Inizialmente abbiamo detto che tra le tecniche di studio dell’ereditarietà ci sono: 1. Studi sui gemelli 2. Studi di adozione Ulteriori studi importanti sono Studi gwass, o “genome wide association studies”, dove si esplora l’intero genoma e si guarda l’associazione di tutte le porzioni variabili del genoma a un determinato tratto. Gli studi gwass fanno quindi uno screening di tutto il genoma per vedere dove è situata l’anomalia. Quello che va considerato è che se io ha nell’intero genoma decine di migliaia di varianti geniche, per ciascun test statistico posso anche solo per caso trovare un riscontro positivo. Questo impone di testare un enorme numero di soggetti. Gli sperimentatori hanno individuato un certo polimorfismo in un certo numero di persone (sulle migliaia), e lo hanno studiato. Lo studio più recente è uscito nel 2014, ha visto un consorzio di centinaia di ricercatori in tutto il mondo, e ha raccolto 37.000 pazienti e 110.000 controlli, individuando 108 loci genici nei quali si trovano delle varianti di interesse per la Schizofrenia. In base a questi studi è stato dimostrato che: - Considerati una serie di studi con migliaia di pazienti e controlli, si vede che 80% di varianza è spiegata dai fattori genetici e un 10-20% di varianza spiegata dai fattori ambientali. - L’altra cosa è che le stime sono estremamente variabili. Quello che è particolarmente interessante è che ci sono sempre più evidenze che la vita fetale e peri- natale abbiano un impatto sulla Schizofrenia. Ci sono evidenze che patogeni ambientali e complicanze ostetriche incrementano la predisposizione in soggetti a più alto rischio genetico. Cioè soggetti che hanno già il rischio genetico della Schizofrenia con complicanze ostetriche hanno una probabilità più elevata di incidenza; e questo fa parte dell’interazione tra geni e ambiente. Oppure per es. soggetti con rischio genetico che abusano di cannabis durante l’adolescenza, hanno un rischio più elevato di sviluppare il disturbo. Un’altra ipotesi è che la Schizofrenia non sia dovuta tanto, e soltanto, a variazioni nella sequenza di DNA, ma che ci siano dei fattori epigenetici. Come ad es. il livello di metilazione di alcuni geni che codificano per proteine rilevanti nella neurotrasmissione, in particolare per il sistema GABAergico e Glutammatergico. SCHIZOFRENIA È un disturbo mentale con una patofisiologia poco chiara, cioè se facciamo una risonanza magnetica di una persona che ha diagnosi di Schizofrenia a occhio non si riesce a rilevare alcuna anomalia. È un disturbo mentale quindi si presenta anzitutto con dei sintomi e dei segni del comportamento. Questi sintomi si dividono in tre categorie: 1. Positivi: sono quelli più caratterizzanti il disturbo ad es. allucinazioni (il tratto più significativamente associato alla Schizofrenia è quello di sentire le voci nella propria testa, che parlano con la propria voce oppure con un’altra voce, che commentano gli avvenimenti) e deliri (nella Schizofrenia con tratti paranoidei questo tipo di deliri possono riguardare la persecuzione, oppure possono essere deliri di avvelenamento dove il soggetto ritiene che ogni cosa possa essere avvelenata oppure possono essere deliri mistici che si presentano con un discorso spirituale. Esistono dei farmaci che sono chiamati antipsicotici, che leniscono i sintomi positivi perché sono in grado di controllare le allucinazioni e i deliri in circa i due terzi dei pazienti, il restante terzo dei pazienti è resistente al trattamento. 2. Negativi: consistono di assenza di motivazione e appiattimento affettivo. I sintomi negativi sono rilevanti per un motivo: non si possono trattare con i farmaci allo stato attuale. I sintomi negativi risultano anche nel fatto che i soggetti siano isolati socialmente, cioè l’ambiente sociale è molto povero, il paziente magari non esce di casa, parla pochissimo, non ha voglia di fare nulla. Quindi hanno anche un grossissimo impatto sulla “operatività” del paziente, cioè il paziente ha difficoltà a mantenere un lavoro stabile o ad avere un lavoro in generale. 3. Generali, ovvero la disfunzione cognitiva: riguarda soprattutto l’attenzione e la memoria (sia intesa come memoria di lavoro associata alla corteccia pre-frontale che come memoria episodica associata al lobo temporale, al talamo e anche alla corteccia pre-frontale. Bisogna tener presente che la diagnosi si effettua sulla base di una specie di “check list”, per cui un caso clinico deve presentare più di un punto di questi elenchi per ricadere nella categoria diagnostica. Ci sono altre categorie diagnostiche come il disturbo schizo-affettivo, il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizotipico, disturbi di personalità, che sono affini ma non presentano alcuni di questi sintomi. L’età di insorgenza della Schizofrenia è tra i 20-25 anni per gli uomini e tra i 29-30 per le donne. La probabilità di un singolo individuo di ammalarsi nel corso della vita è tra lo 0,3 e lo 0,7%. L’esordio inizia con dei sintomi negativi: - ritiro sociale - perdita di interessi - deterioramento dell’igiene più raramente l’esordio è brusco. L’esordio in genere è caratterizzato dalla psicosi, cioè da sintomi positivi, infatti si parla molto spesso di “esordio psicotico”. La remissione completa è molto rara, generalmente si ha:  un decorso ciclico con esacerbazioni e remissioni: significa che il disturbo aggrava i propri sintomi, cioè in questo tipo di pazienti se si fa una valutazione quantitativa dei sintomi in vari periodi della vita del paziente trova che i punteggi variano. In alcuni momenti si presentano le psicosi, in altri non si presentano. In sostanza avvengono delle remissioni non stabili, cioè delle remissioni temporanee e poi una esacerbazione perché si aggrava nuovamente la sintomatologia  oppure un decorso cronico: si hanno alcuni casi in cui il paziente rimane stabile e altri casi in cui il paziente peggiora con il tempo. Si ritiene che questo non sia un disturbo neurodegenerativo ma del neuro-sviluppo, cioè che nel corso della vita dell’individuo avvenga una maturazione del sistema nervoso, che ha già in sé dal principio delle alterazioni nel paziente con Schizofrenia rispetto al controllo sano, e che nell’adulto darà origine al fenotipo. L’eziologia non è nota: ci sono una serie di studi e una serie di ipotesi su quali sistemi di neurotrasmissione siano alterati nel disturbo. Ipotesi eziologiche sono: Neurodegenerazione: La teoria era che le complicazioni prenatali e prenatali potessero cominciare a causare sin dalla tenera età una neurodegenerazione. Però questa non è stata verificata.  Neurosviluppo: La teoria è che insorga il disturbo come neurosviluppo e che poi in alcuni pazienti si possa verificare una neurodegenerazione che porta per esempio ad un aumento dei ventricoli cerebrali. Quello che favorisce il neurosviluppo è l’assenza di correlati tipici della neurodegenerazione come la gliosi reattiva e la presenza di fattori genetici associati a proteine che guidano la migrazione cellulare e a geni come GREEN 2 B. Non conosciamo neanche la patofisiologia con certezza, cioè è stato verificato che ci sono alcuni cambiamenti strutturali e funzionali che si presentano nei pazienti con Schizofrenia più che nei controlli. Se io trovo questa ipofunzionalità in un individuo non è detto che quello sia un paziente affetto da questa patologia, perché questa non è una caratteristica pregnante. La si può trovare anche in individui che non hanno il disturbo, e ci sono anche individui con il disturbo ma che non presentano questo fenotipo. Per quanto riguarda il trattamento, quello oggi disponibile è parziale e limitato ai sintomi positivi, e anche i pazienti che ricevono la somministrazione di antipsicotici per trattare i sintomi positivi, in una casistica del 20-30% sono resistenti ai farmaci e non è nota la causa di questa resistenza. Un motivo potrebbe essere il fenotipo, cioè è possibile che il fenotipo Schizofrenia è in realtà un’insieme di più categorie patofisiologiche oppure che la penetranza delle caratteristiche geniche sia molto bassa. Questo fenotipo è una categoria diagnostica difficile da quantificare. Questo è il motivo per cui si studiano dei fenotipi chiamati fenotipi intermedi. Essi ricostruiscono il percorso dai geni al comportamento, passando per le cellule e il neuroimaging. Questo è un approccio chiamato “imaging genetics”, cioè si sa che alcune varianti hanno un effetto sul comportamento e cerco di capire se queste varianti hanno anche effetto sui sistemi cerebrali e sui fenotipi cellulari così posso formulare un’ipotesi su meccanismi di interesse diagnostico e scientifico. I fenotipi intermedi sono caratteristiche ereditabili, misurabili, quindi sono neurofisiologiche, biochimiche o neuropsicologiche associate al disturbo. Una serie di studi sui fenotipi intermedi parte dal fatto che se individuiamo delle caratteristiche neurofisiologiche o neuropatologiche (anatomiche) che sono alterate, allora possiamo incominciare a capire dove bisogna intervenire per trattare la patologia e capire qual è l’origine del disturbo. Ci sono alcuni disturbi che sono di origine neurologica e che presentano dei sintomi in comune con la Schizofrenia, per esempio l’epilessia associata a lesioni del lobo temporale che può presentare sintomi psicotici. L’epilessia è un disturbo neurologico nel quale ci sono dei foci o regioni cerebrali disordinatamente attive che attivano una serie di altre regioni cerebrali, fino a coinvolgere i centri motori, e quindi si osservano le convulsioni. Essa non è altro che un feedback positivo di eccitazione che nasce in una regione cerebrale, ma poi si estende a tutto il cervello, anche ai centri muscolari determinando le convulsioni. Se si ha un versamento di sangue all’interno del cervello si ha rischio che la regione intorno alla lesione diventi un focus epilettogeno in quanto il sangue contiene glutammina, quindi aumenta la concentrazione di glutammato e questo provoca più eccitazione. Quando queste lesioni sono nel lobo temporale il 5-10% dei pazienti manifesta sintomi psicotici. Questo sembrerebbe dire che un danno al lobo temporale e l’iperattività del lobo temporale sia associata alla psicosi, anche lesioni del talamo possono provocare psicosi. Le alterazioni strutturali che sono note e più frequenti nella Schizofrenia sono:  Un aumentato volume dei ventricoli cerebrali  Un aumentato approfondimento dei solchi cerebrali cioè si ha una riduzione del volume totale del cervello, a causa di un ingrandimento dei ventricoli contestuale a un approfondimento dei solchi. Questo volume è ridotto soprattutto nell’ippocampo e in altre regioni temporali. È ridotto anche il volume e il numero di neuroni in certi nuclei del talamo.