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ORIGINE E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA , Appunti di Psicologia Generale

nascita della Psicologia Scientifica

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 25/01/2018

annamaria25
annamaria25 🇮🇹

4.6

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Scarica ORIGINE E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE : CAPITOLO 1 : ORIGINE E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Siamo predisposti a creare una psicologia ingenua fondata sull’esperienza personale. È una forma di sapere su cui si innesta la psicologia scientifica. CHE DIFFERENZA ESISTE TRA PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA? Notano entrambe le opportunità e i vincoli della vita che noi percorriamo. Le trattano in modo diverso in funzione delle conoscenze che noi abbiamo ed in riferimento all’esperienza personale, in questo l'uomo è analizzato come specie umana e come individuo. 1.1 PRESUPPOSTI EVOLUTIVI DELLA PSICOLOGIA All’inizio si faceva riferimento alla biologia, molto dopo è comparsa la psicologia. Non vi è nessuna data per potere determinare l’anno e il momento in cui si vanno ad affermare gli albori della psicologia . Vi è una notevole concordanza nel ritenere che la nostra specie, circa 100.000 anni fa, sia diventata una specie simbolica, in quanto in grado di ‘’maneggiare’’ simboli, intesi in senso generale come entità che rappresentano mentalmente altre entità. Allo stesso periodo si attribuisce in maniera plausibile la comparsa del linguaggio. È una primo passo in avanti della nostra specie nella conquista di nuove abilità psicologiche. Parliamo dunque di capacità simboliche e linguistiche in riferimento alle precedenti competenze di comunicazione non verbale ( espressioni facciali, gesti ..), questa comunicazione consente all'essere umano di poter diventare una specie psicologica in grado di poter riflettere sugli eventi in termini mentali. La psicologia ha un percorso molto remoto, in quanto affonda le radici nell’homo sapiens. Probabilmente lo sviluppo delle competenze psicologiche subisce un rapido e forte impulso in virtù di un drastico avanzamento tecnologico. La rivoluzione del neolitico, avvenuta circa 10000 anni fa, ha indotto un incremento esponenziale delle capacità psicologiche degli umani (agricoltura → da nomadi ad agricoltori, compare la nozione di territorio) 1.2 ESPERIENZA, PSICOLOGIADEL SENSO COMUNE, E SCIENZE PSICOLOGICHE: ogni forma di conoscenza deriva dall'esperienza per il tramite delle sensazioni. In questa sede parliamo di esperienza come totalità delle singole esperienze, implicite ed esplicite, accumulate nel corso del tempo. Le conoscenze acquisite tramite esperienza hanno quindi un valore pragmatico, molto importante e rilevante, poiché sono utili per prendere decisioni e agire in modo efficace in una specifica situazione nei vari campi di esistenza. Queste consentono altreì di elaborare teorie per spiegare il comportamento nostro o altrui, sono tuttavia teorie ingenue , fondate su conoscenze poco attendibili. Le teorie ingenue, applicate alla spiegazione della condotta umana, conducono alla psicologia del senso comune (o ingenua). La PSICOLOGIA DEL SENSO COMUNE è una forma indispensabile del sapere che ci pone nella condizione di capire e interpretare i comportamenti, far fronte a difficoltà, di intervenire in situazioni atipiche ( malattie , condizioni di rischio ), di gestire circostanze complesse ( conflitto). Tuttavia, la psicologia ingenua fornisce conoscenze deboli e poco attendibili; se facciamo affidamento solo su essa , corriamo il rischio di commettere errori e di andare incontro a distorsioni, poiché la mancanza di controllo conduce, inevitabilmente a forme suggestive di sapere. Se introduciamo processi di verifica rigorosi, otteniamo conoscenze dotate di maggior validità ed attendibilità → è la psicologia scientifica, fondata sul metodo sperimentale, che offre garanzie piu elevate sulla robustezza delle informazioni fornite. Essa, dunque, risponde agli stessi punti interrogativi della psicologia ingenua , però essa si preoccupa di creare delle dimostrazioni concrete. Essa non parte da 0 , non nasce dal nulla,non è una conoscenza originaria come le altre scienze naturali ( fisica ) , bensì si fonda sul parere della psicologia ingenua presentando carattere di contingenza. Riconosciuta questa contingenza, nasce il carattere che crea la necessità della psicologia scientifica. Il criterio scientifico ed il criterio di protocollarità da essi ammessi valgono per tutti gli studiosi che si riconoscono, chiunque accetti questi criteri e sia in grado di usare questi strumenti è nella possibilità di procedere alla verifica di quanto sostenuto da un altro studioso . 1.3 PRESUPPOSTI MODERNI PER LA COMPASA DELLA PSCIOLOGIA SCIENTIFICA : In età moderna , il termine psicologia “discorso dell'anima” compare, per la prima volta nel 1520. Occorre, tuttavia, attendere il 700 affinché si parli di psicologia nel senso attualmente inteso da CHRISTIAN WOLFF,il quale creò la distinzione fra PSICOLOGIA RAZIONALE E PSICOLOGIA EMPIRICA. La prima di natura fisiologica, basata su riflessioni teoriche, fu messa in discussione da IMMANUEL kANT, la seconda naturalistica, si basa su una osservazione concreta di carattere naturale, fondata su osservazioni concrete, essa è la radice su cui parecchio tempo dopo è sorta la psicologia scientifica contemporanea intesa come scienza naturale. Il contributo filosofico: La filosofia, classica e moderna, ha fornito un rilevante contributo alla psicologia. il primo trattato sistematico di psicologia risale a ARISTOTELE, con il ‘’ DE ANIMA’’ con cui si procede a una descrizione dei processi cognitivi (percezione e memoria). IPPOCRATE, invece , individua nella personalità 4diverse tipologie: sanguigno, collerico, melanconico, e flemmatico , in funzione del prevalere di uno dei 4 umori (sangue, bile gialla, bile nera, flegma ). Descartes (1628) introduce la distinzione tra pensiero e corpo. Queste sono due entità irriducibili l’una all’altra. Il pensiero racchiude idee innate ,il corpo è concepito come una macchina oggetto di indagine naturalistico. Questo dualismo porta al primato della ragione rispetto al corpo (razionalismo) in contrapposizione con la scuola inglese che pone importanza decisiva alle esperienze (empirismo). Dall'arco riflesso alla frenologia: nel 1800 fu scoperto che nei nervi le vie sensoriali erano indipendenti da quelle motorie: se recidiamo le prime perdiamo la sensibilità, se le seconde, abbiamo una paralisi dei muscoli → nozione di arco riflesso come forma fondamentale di connessione fra sensazioni (acquisizioni di conoscenze) e movimenti (esecuzione di azioni) fra organismo ed ambiente. In seguito, fu avanzata una concezione localizzatrice delle strutture celebrali, cd frenologia, secondo la quale le varie funzioni mentali (facoltà) dipendevano da aree del cervello delimitate. La misurazione dei processi mentali: cronometria mentale e psicofisica. La sfida connessa da KANT è quella di verificare in che modo possiamo misurare i processi mentali attraverso un un parametro fisico idoneo a valutare il funzionamento mentale: il tempo (poi Helmohltz 1850 misurazione del tempo intercorrente tra stimolazione e contrazione del nervo di una rana). DONDERE 1870, critico il metodo impiegato da Helmohtlz e mise a punto il metodo della sottrazione per misurare i tempi di reazione nel loro complesso, individuando tre tipi di tempdi di reazione: tempi a ( tempi semplici: situazioni in cui uno stimolo deve seguire una risposta ) tempi b ( tempi composti: al soggetto è somministrato uno stimolo in un insieme di 2 stimoli prefissati e viene dunque chiesto di fornire risposte differenti in funzione dello stimolo presentato), tempi c (tempi composti: al soggetto è somministrato a un soggetto con una serie di stimoli prefissati ed è invitato a rispondere ad uno solo stimolo di quelli presentati). I tempi A sono più brevi, seguendo i tempi C e poi i tempi B sono più lunghi. La differenza tra A e C (per sottrazione) indica la lunghezza del processo mentale necessario a discriminare tra gli stimoli. La differenza tra C e B indica la lunghezza dell'operazione mentale necessaria a discriminare tra le risposte. Nasceva, così, la cronometria mentale: a definiti processi mentali corrispondevano misure osservabili in termini di parametri fisici. organismo e l’evoluzione della sua popolazione di appartenenza. Variazioni genetiche, anche minime, nei geni deputati al controllo dello sviluppo embrionale possono dare luogo a nuovi caratteri nell’adulto (fenotipo). Inoltre, il modello della costruzione di una nicchia in relazione al proprio habitat, modifica l’idea stessa di selezione naturale. Il concetto di nicchia riguarda le trasformazioni che gli organismi di una specie pongono in atto nei riguardi del loro ambiente di vita (nidi, reti, tane,...). In tal modo riducono le pressioni ambientali della selezione naturale alle quali essi e i loro discendenti devono far fronte . L’ evoluzione degli organismi dipende, dunque, dalla selezione naturale e dalla costruzione di una nicchia . la prima concerne l’ereditarietà genetica, la seconda l’ereditarietà ecologica . Il concetto di evolvibilità prende spunto dall’evidenzia che le specie esistenti sono il risultato non solo della sopravvivenza dei migliori (più adatti), ma anche di quelli che si sono dimostrati più evolvibili (disponibili ad evolvere). Gli individui con un tasso più elevato di evolvibilità hanno maggiori probabilità di governare le variazioni e di raggiungere livelli più alti di fitness. L’evoluzione della specie rimane una traiettoria aperta e in continuo divenire. I reperti paleontologici , le nuove acquisizioni della genetica, le osservazioni naturalistiche sul campo contribuiscono efficacemente a irrobustire la teoria dell’evoluzione, radicandola su fatti ed evidenze . REAZIONI ALLO STRUTTURALISMO IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI Prima che scoppiasse la prima guerra mondiale, negli stessi anni, in Europa e in USA furono delineate nuove traiettorie di studio che condussero ad un rilevante sviluppo delle scienze psicologiche: la psicologia dell'atto di Franz Bretano e la scuola della Gestalt in Europa, il comportamentismo in USA. 3.1 DALLA PSICOLOGIA DELL’ ATTO ALLA SCUOLA DI WURZBURG BRETANO (1874) si opponeva alla concezione della scuola di Lipsia: la psicologia dell'atto in antitesi ai contenuti elementari dello strutturalismo. Per Bretano la mente è costituita da atti dotati di intenzionalità (vedo un cerchio rosso: contenuto fondamentale non è ciò che vedo ma l'atto di vedere), pertanto è rivolta a qualcosa in modo vincolante e implica una qualche forma di interazione e scambio con l’ambiente. Questa tendenza, chiamata in-esistenza intenzionale, pone in evidenzia come i contenuti siano in funzione degli atti: la cosa che vedo dipende dall’atto di vedere poiché esiste grazie ad esso e dentro di esso (in-esistente). Gli atti mentali sono dotati di intenzionalità intesa come direzionalità verso qualcosa d’altro nell'interazione con l’ ambiente. Implica l’idea di agente che ha coscienza dei fenomeni esterni e che causa in modo deliberato qualcosa fuori di lui (azione). Gli atti mentali ,quindi, appaiono sempre unitari, mentre solo quelli fisici sono scomponibili (visione totalmente contraria all'atomismo psichico dello strutturalismo). La prospettiva di BRENTANO trovò espressione più completa nella scuola di Graz (o scuola austriaca), primo laboratorio austriaco di psicologia (1894), ove lavorarono i suoi allievi. In particolare, EHRENFELS fondò le basi per la scuola della Gestalt attraverso lo studio della qualità figurale. Le figure percettive restano invarianti nella loro organizzazione pur al variare degli stimoli che le compongono. Se facciamo riferimento ad un quadrato, questo non è l'insieme dei singoli elementi che lo compongono, bensì l'insieme dei rapporti fra loro esistenti. Nella percezione di una figura non conta lo stimolo nella sua interezza, ma l'organizzazione della configurazione: un quadrato è percepito come tale sia con i lati interi, sia anche solo con gli angoli, sia in condizioni minimali (quattro puntini disposti in modo regolare). Percepiamo, quindi, molto di più di quanto ci presentino gli stimoli (cap3). Tale evidenzia condurrà al principio “il tutto è più della somma delle singole parti”, duro colpo allo strutturalismo che assumeva una corrispondenza lineare tra stimoli e introspezione . 1896 Kulpe e Marbe, scuola di Wuzburg: anche i processi mentali superiori (pensiero e ragionamento) possono essere studiati in modo rigoroso attraverso l'introspezione sperimentale sistemica, individuò il cd pensiero senza immagini (particolare evento della coscienza senza ulteriore caratterizzazione). 3.2 SCUOLA DELLA GESTALT Gli studi sulla percezione avviati dalla scuola di Graz furono approfonditi in modo sistematico dalla scuola della GESTALT, senza dubbio la più importante scuola di psicologia europea del secolo scorso. Fondata da MAX WERTHEIMER nel 1912 a BERLINO (cd. scuola di Berlino) e costituita da un gruppo di studiosi tra cui , LEWIN e KOHLER. Essi si occuparono in modo prevalente dei processi cognitivi con particolare riferimento alla percezione e al pensiero. Lewin estese i principi della Gestalt anche allo studio della personalità e di numerosi fenomeni sociali come il conflitto. Si fa coincidere l’inizio della scuola della gestalt con la pubblicazione dei lavori di Wertherimer sul movimento apparente (o stroboscopico cap3). Questi studi sulla percezione furono integrati dal contributo di altri studiosi, con le figure anomale generate da margini quasi percettivi (cfr cap 3 effetto Kanisza). Il metodo cui la scuola della Gestalt ha fatto ricorso è originale e si distacca nettamente sia da quello introspettivo della scuola di Lipsia sia da quello psicometrico del funzionalismo. È il metodo fenomenologico, che consiste nel definire il campo percettivo in cui il soggetto si trova e nel rilevare ciò che in esso gli appare (fenomeno). Per campo percettivo intendiamo l’insieme dei suoi percetti, ciò che vede, non ciò che sa o pensa di sapere (cap3). In tale metodo è prestata particolare attenzione a evitare l’errore dello stimolo: descrivere non ciò che vediamo – percetto – ma ciò che sappiamo – concetto –. → mentre il metodo introspettivo si concentra sull'analisi delle proprie risposte interne allo stimolo, quello fenomenologico si focalizza sulla situazione esterna e su come è rilevata dal punto di vista di un soggetto. Accanto alla percezione, l’intelligenza, la soluzione di problemi (problem solving) e l’apprendimento negli animali furono oggetto di studio da parte di Kohler. In base ai dati raccolti sugli scimpanzé a Tenerife, egli propose un’interpretazione innovativa (insight) di questo processo (cap 6). A sua volta WERTHEIMER , approfondì i fenomeni associati al pensiero produttivo in contrapposizione a quelli del pensiero riproduttivo , ponendo in evidenza le condizioni per lo sviluppo di un pensiero creativo. Anche se oggi la scuola della Gestalt ha concluso la sua stagione , il suo apporto al patrimonio delle conoscenze in psicologia è stato rilevante (soprattutto in riferimento alla percezione,intelligenza e pensiero) grazie a un metodo non facile da seguire, ma valido e proficuo. COMPORTAMENTISMO E NEOCOMPORTAMENTISMO Il comportamentismo classico. Negli Usa, nel 1913 Watson sostenne che la psicologia doveva essere una scienza rigorosa ed oggettiva al pari delle altre scienze naturali. Occorreva passare dagli eventi soggettivi (introspezione) agli eventi pubblici (osservabili da chiunque). Oggetto di studio della psicologia sono le manifestazioni del comportamento, studiate con metodi obiettivi, in quanto osservabili dall'esterno in modo intersoggettivo per via diretta o con l'ausilio di appositi strumenti (comportamentismo). Il comportamento è inteso come insieme delle risposte muscolari o ghiandolari dell'organismo in risposta ad un dato stimolo. Lo stimolo è un dato fisico; la risposta è un dato fisiologico, entrambi sono suscettibili di rilevazione da parte di osservatori indipendenti in condizioni controllate. Considerando le associazioni stimolo-risposta (S-R), la psicologia assume il compito di occuparsi di come l'individuo agisca (in chiave descrittiva, non interpretativa). L'organismo è una black box (al cui interno lo psicologo non può entrare): in ingresso (input) arrivano gli stimoli ambientali S, tali per cui il corpo emettere risposte R in uscita (output). Lo psicologo comportamentista esamina le associazioni S-R, in particolare come il variare delle risposte (variabile dipendente) dipende dal variare degli stimoli (variabile indipendente). Pertanto, Watson attribuì particolare importanza ai processi di apprendimento, idonei a istituire nuove associazioni S-R in funzione dell'adattamento all'ambiente. Il comportamentismo continuava gli studi iniziati da Thorndike 1911 con l'apprendimento per prove ed errori, e da Pavlov 1927 con il condizionamento classico (cap 6). questa linea fu approfondita da Skinner 1938 con il condizionamento operante. Il neocomportamentismo. Il metodo S-R era troppo rigido, così negli anni successivi un gruppo di comportamentisti prese in considerazione anche variabili intermedie assieme a quelle S e R. Tolman considera anche il comportamento nel suo insieme, il quale appare orientato al raggiungimento di uno scopo, ossia intenzionale , senza implicarne la consapevolezza (topo nel labirinto, esso apprende la via d'uscita associando S ad R; riempiendo il labirinto di acqua, il topo trova l'uscita perchè non ha appreso una sequenza di movimenti, bensì una rapprensentazione della forma del labirinto, cd mappa cognitiva: essa è una variabile interveniente frapposta tra quella indipendente S e quella dipendente R cap 6). Gli anni 50 sono stati l'apice del comportamentismo, il quale crollerà a causa del cognitivismo. COGNITIVISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE : 4.1 LE SCIENZE COGNITIVE Per decenni fino agli anni 60 , lo studio della mente è stato ignorato per ciò che era imposto dal comportamentismo. A partire dagli anni 70, sono sorte le scienze cognitive, che si sono prefissate il traguardo di capire il funzionamento di un sistema di conoscenza in grado di riprodurre operazioni come percepire , ragionare, calcolare, immaginare e memorizzare. Sono operazioni che ci consentono di conoscere il mondo in cui viviamo e farne una mappa (diversa da quella di Tolman) cognitiva attendibile. Le scienze cognitive (plurale per i diversi metodi impiegati e campi di interesse), sorte ufficialmente negli STATI UNITI nel 1978 con una conferenza, si sono sviluppate grazie alla comparsa delle nuove tecnologie digitali. Forse per primo, CRAIK 1943, diede avvio alla prospettiva del cognitivismo, proponendo l’ immagine dell’uomo come elaboratore di informazione, ripresa negli anni successivi , in modo più compiuto da LINDESAY e NORMAN 1977 con il metodo dello Human Information Processing all’interno del paradigma dell’intelligenza artificiale . Nel 1960 SPERLING scoprì la memoria iconica , a brevissimo termine con tempi di immagazzinamento brevi . Il fiorire di queste scoperte sul funzionamento della mente confluì in quello che rappresenta il programma del nuovo paradigma scientifico. Oggetto di studio della psicologia cognitivista sono i processi di conoscenza : come gli individui elaborano le informazioni e costruiscono le rappresentazioni mentali utili per interagire con l’ ambiente (cap 5) 4.2 INTELLIGENZA ARTIFICIALE : Il paradigma del’ intelligenza artificiale (IA), la cui nascita risale alle conferenza del 1956, aveva lo scopo di indagare i processi computazionali della mente considerandoli come corrispondenti a quelli effettuati con il computer. In tali processi rientravano i calcoli, confronti, graduatorie, combinazioni logiche, l’adeguamento. Fra l’ altro già Thomas HOBBES aveva sostenuto che ragionare consiste nel fare calcoli. In questa prospettiva il computer era considerato come un simulatore della mente umana. CAPITOLO 2 : METODI DELLA RICERCA IN PSICOLOGIA Kant → aveva lanciato la sfida respingendo possibilità di una psicologia sperimentale perchè matematica non è applicabile ai fenomeni del senso interno e alle loro leggi (i processi mentali non si possono misurare). OGGETTO E METODO DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA 1.1. Teoria ingenua e teoria scientifica In un certo senso, siamo tutti psicologi, poiché anche il bambino deve sviluppare le sue competenze psicologiche se vuole stare bene con se stesso e con gli altri: l’enciclopedia delle conoscenze psicologiche di cui dispone una persona in base alla propria esperienza costituisce la sua psicologia ingenua, adeguata per vivere in pratica la vita quotidiana, ma non per elaborare conoscenze esplicite idonee a spiegare in modo attendibile i processi sottesi a un dato comportamento. Per giungere a tale spiegazione, occorre una teoria. Essa è un insieme coerente e parsimonioso di proposizioni – ipotesi, enunciati, dimostrazioni –, fondate su criteri espliciti, verificabili sul piano empirico tramite opportune operazioni, in grado di dare ragione di certe evenienze, delle regolarità osservate, nonché di fare previsioni attendibili sull'evoluzione dell'attuale stato di cose che ha scopo di aiutarci a capire meglio le situazioni e di consentirci di agire in modo più efficace nei confronti delle situazioni momentanee e future. La differenza tra teoria ingenua e scientifica risiede nei metodi di controllo delle spiegazioni e nell’impiegare criteri espliciti per acquisire conoscenze e fare previsioni. La psicologia scientifica → adotta il metodo sperimentale (ignorato nella psicologia ingenua), messo a punto nel 600 da Newton e poi Galilei. Per quest ultimo, il metodo sperimentale consiste nell'unione di “sensate esperienze” (fatte con i sensi) con le “necessarie dimostrazioni” supportate dal contributo della matematica. In tal modo era probabile individuare leggi fisiche dell'universo attraverso l’individuazione di cause sottese a un fenomeno accertate dalla matematica. Teoria e fatti non sono separati, ma vi è fra loro un rimando continuo tra oggetto (ciò che osservo) e metodo (il punto di vista ed il modo in cui lo osservo): non vi sono prima oggetti o metodi, ma questi sorgono congiuntamente poiché dipendono dalle domande e criteri di indagine. 1.2 Percorso standard della ricerca in psicologia Metodo → da “meta odos” → “fare un percorso”, perché qualsiasi metodo si svolge nel momento in cui è applicato allo studio del fenomeno. Occorre, pertanto, che il ricercatore predisponga un disegno di ricerca, cioè una mappa delle attività del ricercatore che ne orienta le scelte e decisioni, consente di apportare variazioni o correzioni. Tappe principali di tale percorso nella ricerca psicologica sono : -L'interesse di partenza → all'inizio dell'attività di ricerca vi è la meraviglia (stupore di fronte a qualcosa di ignoto e affascinante), la curiosità di andare oltre, da cui interesse prende avvio la domanda di ricerca, ovvero quei quesiti che forniscono un'impostazione globale alla successiva attività di indagine e a delinearne una traiettoria di massima (percorso di senso della ricerca). Detti interrogativi servono a delimitare i confini dell'ambito di ricerca (campo di ricerca), affinché non sia troppo limitato (rischio di ripetizione) nè troppo vasto (rischio di dispersione) né troppo complesso, e che sia compatibile con la cassetta degli attrezzi a disposizione del ricercatore (laboratorio, strumenti, risorse umane, finanziamenti). Inoltre, la domanda deve essere originale ed innovativa perchè, se il ricercatore deve avere presente la letteratura di riferimento, è questa che costituirà la piattaforma di conoscenze da cui partire e crearne una nuova. La domanda ricerca conduce ad una definizione degli obiettivi del ricercatore con l'indagine. Lo scopo della ricerca è la chiave della ricerca stessa. -L'ipotesi della ricerca → in un momento successivo, la domanda va tradotta un’ipotesi di ricerca, ovvero enunciati provvisori che, in forma probabilistica, stabiliscono una relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. Le ipotesi vanno formulate in modo chiaro e preciso, facendo riferimento a fenomeni circoscritti, registrabili mediante opportune operazioni sperimentali (protocolli sperimentali): "se…allora…..". È importante stabilire natura del legame tra antecedente (se si verificano certe condizioni) e conseguente (allora sono prevedibili determinati esiti): possiamo avere una relazione causa-effetto o una correlazione fra antecedente-conseguente. Si svolgono poi le operazioni sperimentali accurate e pertinenti, ovvero azioni documentabili, osservabili da più ricercatori indipendenti, rispettose dei criteri di protocollarità ammessi da una data scienza (criteri specifici, in base ai quali ogni scienza decide in via immediata sull'accettabilità o meno dei dati acquisiti mediante le operazioni compiute). Per esaminare la validità delle ipotesi di ricerca, il ricercatore deve procedere alla loro verifica sperimentale, attraverso una via indiretta, ovvero accettano l'ipotesi se riescono a dimostrare che l'ipotesi opposta (ipotesi nulla) è falsa. La totalità risultati in base ai quali si rigetta l'ipotesi nulla si chiama “ regione critica”. -Il metodo scientifico. Precisate le ipotesi, occorre verificare loro accettabilità attraverso esperimenti (in elevato livello di controllo), organizzai secondo la sintassi del metodo scientifico, che prevede il rispetto rigoroso di standard specifici. È necessario ottenere : a) la partecipazione dei soggetti → che rispondano a precisi requisiti in riferimento ad una serie di variabili. Questo gruppo di soggetti sperimentali (gruppo target) è la fonte delle informazioni. In alcuni esperimenti è prevista presenza di un gruppo di controllo per verificare l’entità dello scostamento tra comportamento del soggetto sperimentale e quello naturale dei soggetti di controllo. b) compito sperimentale, ovvero l'esecuzione di una serie di operazioni, richiesto ai soggetti, che può avvenire in condizione artificiale → laboratorio (esperimenti guidati) che garantisce controllo maggiormente rigoroso ed elevato e fornisce protocolli più attendibili, ma la loro applicazione in condizioni naturali non è esente da errori e distorsioni; o in condizione naturale → ambiente naturale, ovvero esperimenti naturali con maggiore validità ecologica nel rispetto del comportamento spontaneo dei soggetti, ma vi è il rischio di affidarsi a protocolli poco attendibili. c) La consegna. I soggetti hanno delle istruzioni fornite dal ricercatore, la cd. consegna, che deve essere chiara e semplice, e favorisce la partecipazione attiva dei soggetti: seguendo le indicazioni, essi sono in grado di compiere le opportune azioni in riferimento agli stimoli sperimentali loro presentati. La presentazione degli stimoli avviene mediante specifici strumenti che consentono sia la loro determinazione sia la loro misurazione al fine di ottenere i protocolli dell'esperimento. I ricercatori usano l’osservazione del comportamento dei partecipanti, adottando diverse griglie di valutazione. La combinazione di queste varie componenti conduce alla configurazione della situazione sperimentale. Qui si prevedono diverse fasi che variano da esperimento a esperimento, ad es: strange situation → per lo studio dell'attaccamento infantile: n 8 episodi , di 3 minuti, il bambino è sottoposto a uno stress relazionale e dopo il momento di scambio e gioco spontaneo tra madre e bambino (interazione naturale), la madre su invito estraneo, esce dalla stanza e lascia solo il bambino (separazione) e poi rientra (ricongiungimento) → le diverse reazioni del piccolo conducono a classificazioni di diversi tipi di attaccamento. Still-face → per le capacità emotive del neonato: si applica a neonati 3\6 mesi. 3 fasi di 2 minuti, la madre interagisce con bambino come fa sempre, poi rimane immobile col viso e poi riprende l'espressione normale. Questa procedura permette di verificare la capacita del bambino di cogliere il black out. Prima di accettare il protocollo e l’analisi, al termine esperimento, occorre verificare se i soggetti abbiano capito il compito e lo abbiano eseguito bene e senza trucchi: a tal fine, il ricercatore si serve del controllo di manipolazione, che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obiettivi dell'esperimento, le istruzioni fornite ed il comportamento dei soggetti sperimentali. - La raccolta e l'analisi dei protocolli sperimentali → ogni partecipante assume un comportamento che viene riportato in un protocollo di ricerca. I dati ottenuti sono sottoposti a elaborazione statistica descrittiva e inferenziale (per stabilire connessioni e formulare previsioni). - La diffusione dei risultati → se i risultati sono soddisfacenti e innovativi, il ricercatore documenta la sua ricerca in un'apposita pubblicazione, quale base per confronti aperti fra scienziati (abitudine di revisione dei pari esperti del settore (peer-review) per renderla più conforme agli standard scientifici. 2. RACCOLTA PSICOLOGICA IN PRATICA Nel realizzare un disegno di ricerca, il ricercatore segue il metodo sperimentale, che consente di indagare i rapporti causali fra una data variabile e i suoi effetti su un'altra variabile. Fra le due variabili si stabilisce in tal modo un rapporto di causa effetto, in grado di contribuire alla spiegazione di dato fenomeno. 2.1 Spiegazione e principio di causalità Per noi spiegare le cose è una necessità, siamo sospinti da un vincolo di spiegazione convincente di quanto succede, per cui cerchiamo sempre le cause di certi accadimenti: l’evidenza delle cose non basta, abbiamo bisogno di domandarci perchè sia cosi. Questo vincolo entra regolarmente in funzione nella nostra vita, comprare già precocemente nei neonati: è l’illusione del potere esplicativo. Tale illusione conduce al principio causalità (ricercare e capire le relazioni fra causa ed effetto), che risponde al perché si verificano certe connessioni fra due o più fenomeni. Abbiamo 2 tipi di connessione : - causalità fisica, fondata sulla forza, contiguità temporale, contiguità spaziale vincolante -causalità psicologica, fondata sull'intenzione, contiguità temporale, contiguità spaziale non vincolata, che può essere manifestata a distanza; presenza di un agente causale che in modo volontario avvii un'azione (agentività). L'esito è la tendenza a ricercare e individuare la funzione sottesa al funzionamento di ogni entità naturale o artificiale. Gli umani sono sistemi teleonomici → ovvero avvertono l’esigenza di raggiungere uno scopo e mettere in atto le funzioni idonee a tal fine. L’atteggiamento teleologico (finalistico) è dominante nei bambini, per loro tutto ciò che esiste è creato per raggiungere uno scopo . 2.2 Metodo sperimentale Per fornire una spiegazione ammissibile agli accadimenti in termini di causalità, via maestra è la sperimentazione rigorosa e verificabile, che implica un procedimento standardizzato (Newton e Galileo): il metodo sperimentale. Parliamo di vero esperimento → il ricercatore è in grado di controllare sia l'assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni sperimentali, sia la manipolazione della variabili grazie alla presenza di un gruppo di controllo; quando manca uno di questi requisiti si parla di → quasi-esperimento. LE VARIABILI Gli eventi del mondo che osserviamo rientrano in varie categorie e assumono un certo valore. Tutti gli eventi della nostra esperienza, quindi sono potenzialmente delle variabili, in quanto entità che variano in quantità o qualità. Compito del ricercatore è determinare il rapporto tra variabili che osserva. Occorre distinguere fra: -variabili indipendenti → controllate dallo scienziato (manipolate); disegni fattoriali consentono di acquisire risultati dotati di maggior robustezza, favoriscono l'elaborazione di previsioni più articolate e organiche, ma presentano dei limiti: più sono i fattori più ci vuole tempo per realizzare l'esperimento e più sarà difficile l’interpretazione dei dati per l'interazione tra essi. ARTEFATTI SPERIMENTALI Altra distorsione (bias) che può ricorrere nell’esperimento è l’aspettativa, la quale attiva una serie di processi mentali che conducono, in situazioni standard, ad una interpretazione idiosincrasica dei fatti: detta distorsione altera la configurazione dei dati, attribuendo maggior rilievo ad alcuni (salienza) e trascurandone altri (marginalità). Data questa natura, le aspettative possono condurre al fenomeno della profezia che si autoavvera (effetto Rosenthal). Questo consiste nella trasmissione (inconsapevole e non verbale) dell'aspettativa del ricercatore ai partecipanti, i quali, per acquiescenza e compiacenza, cercano di assecondarlo. (ad es dire ad una parte dei partecipanti che i ratti loro dati sono di una razza piu intelligente, che questi impareranno meglio come uscire da un labirinto – esperimento di Rosenthal e Fode 1963). Ci sono anche altri mille fattori che interferiscono inevitabilmente nello svolgimento di esperimenti: gli atteggiamenti, i tratti personalità, il sistema delle credenze. 2.3 Raccolta e analisi dei dati I disegni di ricerca svolgono altresì la funzione di assicurare una raccolta di protocolli dotati di soddisfacente attendibilità e validità, onde fare le opportune inferenze. Più sono robusti i risultati, maggiore è il potere esplicativo, e più il ricercatore può fare induzioni e previsioni su ciò che sta indagando. Strumenti e procedure Per acquisire protocolli pertinenti, occorre impiegare strumenti validi, in grado di raggiungere il bersaglio (target) della ricerca. Vi sono tecniche semplici e tradizionali così come quelle più avanzate: Tecniche self report → il ricercatore, per ampliare le conoscenze, conduce una ricerca esplorativa attraverso strumenti self-report che consentano di raccogliere le informazioni fornite dai soggetti. Esse sono: questionario: strumento standardizzato di raccolta di informazioni, destinato a campioni piu o meno estesi di soggetti. Batteria strutturata di domande chiuse o aperte, o graduate; intervista: conversazione tra ricercatore che pone domande (che variano in funzione delle risposte) e intervistato per ottenere info in un determinato ambito; colloquio clinico: simile all'intervista, prevede un compito e il ricercatore non si limita a registrare come viene risolto, ma chiede all'intervistato, man mano che procede, quali sono i processi mentali che lo conducono a fare un certo percorso anziché un altro (Piaget). Dette tecniche sono utili in fase esplorativa ma limitate in termini di attendibilità e validità poiché i soggetti possono fraintendere le domande, rispondere a caso, fornire risposte alterate, ecc... Procedure di osservazione Metodo di indagine antico e valido è l'osservazione del comportamento, ovvero azioni manifeste e risposte registrabili. Occorre seguire una piano predefinito di osservazione in base a una griglia di osservazione, ovvero una griglia codificata in riferimento a vari parametri (tempo, movimenti, azioni) e può essere a grana più o meno fine, dal momento che l’osservazione è un metodo a zoom (dal macro al micro). Si è soliti distinguere fra osservazione in laboratorio e osservazione naturalistica. L'osservazione in laboratorio ha luogo in un ambiente protetto e controllato nei parametri fisici e nei comportamenti da osservare. Si ottengono protocolli attendibili, dotati di modesta validità ecologica: si avvale di strumenti sofisticati di videoregistrazione digitale. Per esempio lo schermo diviso con cui si osserva una specifica regione corporea di ciascun soggetto ed il contesto interattivo mediante riprese girate da più telecamere. Inoltre, vi è l'osservazione microanalitica → osservazione a grana finissima di ogni variazione di movimenti anche non percettibili a occhio nudo ma efficaci nell'interazione. I microindizi sono importantissimi → lo studio di ciò conduce all'individuazione di modelli nascosti di comportamenti ( cfr piu avanti). L'osservazione naturalista si svolge in ambiente naturale (casa, piazza, negozio), segue un piano di osservazione a grana grossa. In diversi casi l’osservazione è episodica, pertanto spesso occorrono lunghi periodi di indagine per conseguire attendibilità dei protocolli. (per esempio osservazione dei cercopitechi condotta da Dheney e Seyfarth 1982, per acertare come comunicassero: le proprietà acustiche di ciascun tipo di richiamo di allarme suscitano una risposta distinta ed appropriata. Rilevazione di modelli nascosti di comportamento Per la rilevazione del comportamento sono disponibili procedure che consentono di scoprire modelli nascosti di comportamento. Ogni comportamento consiste in modelli di azioni (eventi) che sis volgono nel tempo: molti, in quanto macroscopici, sono osservabili direttamente, molti altri sono invisibili poiché microscopici. Mediante il ricorso ad una serie di algoritmi i quali consentono di analizzare l’evenienza, la durata, il ritmo e la regolarità degli eventi-tipo nel tempo. Il risultato è la scoperta di modelli nascosti di comportamento, invisibili a occhio nudo e ripetuti più volte nel tempo. Tecniche neuropsicologiche Grazie a queste, è possibile indagare con neuroimmagini l'attività di specifiche regioni del cervello in associazioni a specifiche operazioni mentali. Oggetto delle neuroscienze cognitive è l’individuazione delle basi nervose dei processi mentali, al fine di indagare sulla relazione tra fatti psichici e fatti celebrali. Ciò che un neuropsicologo sperimentale stima è come si distribuisce il sangue nel cervello in un dato momento. Il flusso ematico cerebrale regionale varia in funzione del livello di attivazione delle diverse regioni celebrali: tanto più sono attive, quanto più sangue richiamano, poiché i neuroni che le compongono consumano una quantità maggiore di ossigeno trasportato nel sangue. La risonanza magnetica funzionale Essa consiste impiego di neuroimmagini a risonanza magnetica per valutare il livello di attivazione di una data regione cerebrale in connessione con specifiche attività cerebrali. Maggiore è l’attività di una regione cerebrale tanto maggiore sarà l’afflusso sangue e tanto maggiore sarà il consumo di ossigeno trasportato dall'emoglobina dei globuli rossi. La fMRI è quindi una tecnica di localizzazione cerebrale: consente di individuare le regioni cerebrali attivate in corrispondenza di specifiche attività mentali. Tuttavia questa si limita dire quale area è attivata, ma non come si svolge la corrispondenza fra mentale e celebrale. Al fine di evitare interferenze con le attivazioni non rilevanti per gli scopi dell'indagine, si usa il metodo della sottrazione cognitiva (compito sperimentale confrontato con uno di controllo), così da eliminare le attivazioni delle aree celebrali coinvolte nell'udito o nella produzione vocale. La stimolazione magnetica transcraniale Questa tecnica non invasiva è stata elaborata da Barker. Impiega l'induzione eletttromagnetica per generare correnti deboli per i cambiamenti rapidi del campo magnetico → tale condizione produce un'attività in specifiche aree del cervello causando un disagio minimo e consente di studiare così il funzionamento e l’interconnessione cerebrale. Rispetto alla fMRI, la TMS non solo consente di localizzare dove si svolge l'attivazione di una data popolazione di neuroni, ma anche di progredire nella comprensione del come si svolge una certa attività mentale a livello celebrale. 2.3.2 Attendibilità e validità delle misure Acquisiti i protocolli, occorre procedere alla loro misurazione come sopra descritto. L'obiettivo di questa operazione è disporre di un'insieme di dati validi e degni di fiducia, da sottoporre poi ad un'elaborazione statistica. Attendibilità delle misure Il ricercatore è interessato a ottenere misure dotate di un alto grado di attendibilità, intesa come possibilità di ottenere gli stessi risultati sia in prove ripetute (stabilità), sia come strumenti equivalenti (equivalenza). La stabilità nel tempo è misurata con la tecnica test-retest, ripetendo la rilevazione sugli stessi soggetti a una distanza congrua di tempo. Validità delle misure La validità esprime il livello di pertinenza con cui una prova riesce a misurare ciò che si propone di misurare. La validità può essere verificata si mediante l'esame dei contenuti impiegati, sia mediante il grado di connessione con altre prove con contenuti equivalenti. 2.4 Elaborazione dei dati Dopo aver raccolto i dati, il ricercatore ha il compito di elaborarli: occorre sintetizzare i risultati e verificare poi se da essi si traggono inferenze interessanti. Per prima cosa si dispongono in ordine i dati grezzi (punteggi effettivi) mediante la distribuzione delle frequenze (rappresentata graficamente): sulla base della distribuzione, il ricercatore può procedere a descrivere in termini statistici i fenomeni osservati (statistica descrittiva) così come a verificare l'ipotesi sperimentale e fare le opportune induzioni (statistica inferenziale). Statistica descrittiva → fornisce un quadro sintetico dell'insieme dei dati grezzi ottenuti con le misure sia della tendenza centrale sia della variabilità; Statistica inferenziale → consente di verificare se sia possibile fare induzioni (inferenze) dai risultati ottenuti, al fine di convalidare o meno l'ipotesi sperimentale e di fare delle previsioni: mediante test statistici il ricercatore è in grado di decidere se le differenze di un insieme di dati diversi dai valori medi siano da attribuire in modo significativo alle variabili considerate oppure al caso. L'insieme dei risultati che ci consente di rigettare l'ipotesi nulla, chiamata regione critica, è regolato dalle leggi della probabilità. Nella ricerca psicologica, i ricercatori sono soliti ritenere accettabile (fondata su processi reali) una differenza quando la probabilità che essa sia dovuta al caso risulta inferiore al 5 % o all'1%: in queste condizioni parliamo di differenza significativa fra un gruppo e l'altro, fra una variabile e l'altra, la quale permette ai ricercatori di trarre conclusioni sulla natura e forza dei legami che esistono fra le variabili trattate, confermare o meno le ipotesi di ricerca, proporre modelli interpretativi dei risultati al fine di arricchire e conoscenze scientifiche in ambito psicologico. La teoria della detenzione del segnale ha posto in evidenza due fattori nello studio di questa matrice: la sensibilità dell’organismo nella finezza discriminativa degli stimoli e il criterio soggettivo di decisione (in tal senso vi sono soggetti piu propensi al rischio e quelli piu propensi alla prudenza). Secondo la teoria della detenzione del segnale, nello studio psicofisico del rapporto fra sensazione e stimolazione occorre considerare anche i fattori mentali legati alla decisione. La rivelazione della presenza di un segnale dipende, in modo sinergico dall’azione congiunta di questi due processi (dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso). LA PERCEZIONE 2.1 Definizioni e teorie Scarto tra fenomeni fisici e fenomeni percettivi: La percezione non è una fotocopia dell'ambiente e ciò che percepiamo (percetti) non è una riproduzione di quanto si trova nella realtà (la visione opposta a questa è il cd realismo ingenuo, secondo cui il mondo si presenta così come è e vi è coincidenza fra realtà fisica e percettiva). Già Kant evidenziò che ciò che conosciamo è la realtà fenomenica, ovvero quella che appare a noi. Invero può accadere che 1) non vediamo ciò che esiste in realtà – assenza dell'oggetto fisico; 2) vediamo quello che non esiste nella realtà – assenza dell'oggetto fisico (effetto Kanizsa); 3) vediamo più cose in una figura unica (stimoli reversibili e ambigui); 4) vediamo ciò che non può esistere nella realtà (figure paradossali o assurde); 5) vediamo cose differenti da quelle che esistono (illusioni ottiche). Questi fenomeni evidenziano che la corrispondenza tra realtà fisica e quella percpit è il risultato della fusione di dati sensoriali provenienti dall'esterno (dal basso verso l'alto) e le conoscenze già disponibili per l'individuo (dall'alto verso il basso). Che cos'è la percezione: Le sensazioni, da sole, non contengono informazioni sufficienti a spiegare le nostre percezioni. Vanno integrate coerentemente nei percetti attraverso processi di associazione ed elaborazione. Il passaggio delle sensazioni ai percetti (ciò che percepiamo) è il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica. Gli oggetti producono in continuazione una molteplicità di radiazioni (luminose,sonore,ecc) di varia intensità e frequenza. Queste radiazioni costituiscono le stimolazioni distali , le quali suscitano negli apparati recettivi precise sollecitazioni, definite stimolazioni prossimali → queste sono condizione dinamica in continua mutazione, e qualora questa sia particolarmente intensa, produce nei recettori una serie di eccitamenti nervosi trasmessi ad una specifica regione celebrale, deputata a ricevere ed elaborare gli stimoli di quel tipo (ciascun neurone risponde in modo elettivo a uno specifico stimolo). La stimolazione, evento fisico, suscita una rapida successione di eventi fisiologici da cui scaturisce la percezione: l'impressione diretta e immediata della presenza di determinate forme della realtà ambientale. Queste impressioni costituiscono il campo fenomenico: il fenomeno così come ci appare in termini immediati in una data situazione. La percezione può essere intesa, dunque, come l'organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali, corrispondenti a una data configurazione di stimoli, delimitata nello spazio e tempo. 2.2 Processi dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso Nella dinamica della percezione operano i processi bottom-up e top-down. Processi dal basso verso l'alto : In funzione delle informazioni sensoriali associate agli stimoli ambientali, i processi dal basso verso l’alto (bottom-up) vanno ad attivare specifiche aree celebrali. Le informazioni sensoriali sono necessarie, poiché senza cadremmo in una condizione di allucinazione, ma sono insufficienti a spiegare ciò che percepiamo perché sono disperse e caotiche (non contengono abbastanza informazioni). Da sole non indicano nessuna realtà. Processi dall'alto verso il basso : I processi all’alto verso il basso (top-down) partono da specifiche aree celebrali e influenzano l’attività nervosa dei recettori sensoriali delle diverse modalità in relazione a ciò che già sappiamo. Entrano in gioco le conoscenze disponibili nei registri di memoria, le credenze, le aspettative, gli scopi della nostra condotta. La conoscenza influenza i processi della percezione, rendendola più efficiente. È in grado di colmare gli elementi mancanti dagli stimoli sensoriali sulla base delle informazioni già immagazzinate. Conferma empirica di ciò proviene dall'attività di riconoscimento degli oggetti: essa consiste nel confronto e trovare corrispondenze tra insieme degli stimoli sensoriali e la rappresentazione mentale già immagazzinata in un deposito di memoria. La percezione è pertanto una funzione altamente dinamica dove i flussi di info dal basso e dall'alto sono interdipendenti, assicurano così attendibilità, validità e finezza discriminativa. 2.3 Principali teorie della percezione La percezione rappresenta un dominio psicologico complesso. È naturale quindi che sia stato considerato da diversi punti di vista teorici. Teoria empiristica : von Helmholtz (1867) – le ripetute esperienze con la realtà ambientale e l'apprendimento consequenziale forniscono un contributo essenziale per la percezione degli oggetti. Per loro natura i dati sensoriali sono parcellari e danno origine ad un mosaico di sensazioni elementari che sono integrate con altre informazioni e sintetizzate nella percezione dell’oggetto grazie ai meccanismi dell’associazione e dell’esperienza. Quando questi processi sono molto rapidi e quasi automatici (nell'adulto) agiscono sotto forma di inferenza inconscia: in base all’esperienza passata, l’individuo compie una sorta di ragionamento inconsapevole, in virtù del quale corregge e integra le sensazioni elementari attuali. Scuola della Gestalt : La scuola della Gestalt nasce in Germaniz inizio 900 con le ricerche di Wertheimer, e poi Kohler, Kofka... Essa si oppose in maniera decisa al principio empirista dell’esperienza passata e sostenne sin da subito che la percezione non è preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato (cfr cap1): la percezione non è dovuta al concorso di fattori estranei, ma è data dall'organizzazione interna delle forze che si creano tra le componenti dello stimolo; pertanto, il campo percettivo, si organizza attraverso la distribuzione dinamica delle forze. Questo processo di organizzazione intrinseca è regolato dai principi di unificazione, grazie ai quali le parti di un campo percettivo costituiscono totalità coerenti e strutturate (Gestalten) come oggetti con le proprie catatteristiche. Secondo la scuola della Gestalt va pertanto riservata un’importanza secondaria all’esperienza passata, che non influisce direttamente sui processi di organizzazione del campo fenomenico, ma che può influire sul loro funzionamento solo in particolari condizioni. Quindi, la percezione è un processo primario che conduce alla segmentazione del campo fenomenico in unità distinte con le loro proprietà e relazioni: il tutto precede le parti che hanno valori diversi in funzione del tutto di cui sono parte. Movimento del New Look: Dopo la seconda guerra mondiale, sorse negli Stati Uniti il movimento del New Look, secondo cui l’organizzazione della percezione, oltre che da fattori intrinseci, dipende anche da altri processi mentali (bisogni, emozioni e aspettative). È una prospettiva funzionalista, poiché pone in evidenza le funzioni della percezione (es bambini disagiati percepiscono come piu grande una moneta da mezzo dollaro rispetto ad un disco di cartone della stessa grandezza, cosa che non avviene tra bambini abituati al denaro). Il soggetto, quando percepisce uno stimolo, compie un’operazione di categorizzazione: a partire da certi indizi, provvede all’identificazione e classificazione dello stimolo medesimo. Teoria ecologica di Gibson : Gibson (1966) rigetta ogni interpretazione della percezione. Secondo la sua teoria, le informazioni percettive sono già contenute nella stimolazione così come essa si presenta al soggetto. La stimolazione ha un ordine intrinseco dovuto alle reciproche relazioni fra i vari aspetti degli stimoli stessi. Una ricca informazione è già contenuta nella distribuzione spaziale e temporale degli stimoli e resa disponibile per il soggetto; egli ha chiamato “affordance” l’insieme di azione che un oggetto “consente” e “invita” a compiere da parte di un certo organismo, animali compresi. Il soggetto deve solo riuscire a cogliere queste informazioni percettive già esistenti nell’ambiente circostante (approccio ecologico). Non deve né rielaborarle tramite processo cognitivo, né integrarle tramite altre fonti. Teoria computazionale di Marr: Secondo Marr (1982), il soggetto codifica le immagini in funzione delle continue variazioni di intensità luminosa. L’attività percettiva è distinta in fasi successive: l’abbozzo primario (raw primal sketch), l’abbozzo a due dimensioni e mezzo ( 2 ½ dimensional sketch) e il modello tridimensionale (3D) → L’abbozzo primario è formato da linee, punti e barre sulla base degli scarti di luminosità dell’immagine ordinati in maniera gerarchica. In conformità con le scoperte di Hubel e Wiesel, Marr ritiene che il sistema visivo funzioni in base al riconoscimento e alla registrazione delle frequenze spaziali e sia dotato di cellule deputate alla rivelazione dei contorni procedendo in maniera ordinale: dalle cellule sensibili alle frequenze spaziali più basse a quelle sensibili alla frequenze più elevate (sistema computazionale). Sulla base delle informazioni raccolte nell’abbozzo primario, l’organismo prosegue con l’integrazione di informazioni fornite dalla stereopsi, dal movimento e dalle ombre (abbozzo a 2D e ½ ) e termina con una descrizione completa della struttura tridimensionale dell’oggetto. Basandosi su questo modello gerarchico, Marr distingue due sistemi di riferimento: uno è la posizione del punto di vista dell'osservatore, l'altro è il sistema astratto delle tre coordinate impiegate per la geometria euclidea: il passaggio da una rappresentazione riferita al punto di vista a quella riferita alle coordinate indipendenti, segna il passaggio dall'abbozzo a 2D e ½ al modello 3D. PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE 3.1 Organizzazione percettiva La nostra mente organizza costantemente l’attività percettiva così da cogliere gli oggetti in modo unitario e coerente. Questa segmentazione del flusso continuo delle stimolazioni consente a tutti noi di orientarci e muoverci correttamente nello spazio, di distinguere in modo appropriato gli oggetti gli uni dagli altri. La percezione visiva è resa possibile sia dalla presenza di energia luminosa (se non vi è luce non vi è visione) sia dall’informazione ottica proveniente dall’ambiente. Articolazione figura-sfondo: La prima segmentazione del flusso delle stimolazioni consiste nell'articolazione figura sfondo. È un processo universale e costante, poiché non c’è figura senza sfondo. La figura ha forma, mentre lo sfondo è amorfo e indifferenziato. Il contorno appartiene alla figura e non allo sfondo (funzione unilaterale del contorno). La figura ha un’estensione definita, mentre lo sfondo continua dietro alla figura in maniera indeterminata. La figura appare in risalto rispetto allo sfondo. La figura ha un carattere oggettuale mentre lo sfondo è meno distinto. Percepiamo gli oggetti non in assoluto, ma sempre in quanto immersi in un contesto immediato. Se fossero isolati, sarebbero fonte di ambiguità e di orrore, anche nei confronti di stimoli a noi familiari, come un’espressione facciale. I fattori alla base di questa articolazione figura-sfondo sono: Inclusione – a parità delle altre condizioni, diventa figura la ragione inclusa; Convessità – a parità delle altre condizioni, diventa figura la ragione convessa rispetto a quella concava; Area Relativa – a parità delle altre condizioni, diventa figura la ragione di area minore; Orientamento – a parità delle altre condizioni, diventa figura la ragione i cui assi sono orientati secondo le direzioni principali dello spazio percettivo. Quando questi fattori non intervengono, si creano le condizioni per ottenere le cd figure reversibili: figure in cui si ha un'inversione tra figura e sfondo: sono configurazioni instabili e ambigue, percepibili entrambe ma solo una per volta → alternanza tra figura e sfondo. L'organizzazione percettiva degli stimoli comporta altresì la comparsa di fenomeni percettivi attraverso lo stroboscopio. La percezione del movimento apparente è data dall'organizzazione temporale nella successione degli stimoli statici: se detto ritmo è ripido, emerge il fenomeno del movimento apparente. Per Wertheimer 1912 gli elementi sensoriali dal basso verso l'alto sono organizzati dai processi dall'alto verso il basso: nel processo percettivo, pertanto, l'organizzazione globale appare precedente rispetto agli stimoli (dall'intero alle parti e non viceversa). Movimento autocinetico: Se in una stanza totalmente buia fissiamo un piccolo punto luminoso statico, dopo un certo intervallo di tempo, abbiamo la percezione che il punto compia movimenti erratici di una certa ampiezza. La spiegazione di questo fenomeno, detto movimento autocinetico, risiede nell’incapacità di mantenere a lungo la traccia dell’esatta direzione verso cui si guarda, in combinazione con l’assenza di ogni sistema di riferimento. In questo caso gli spostamenti del punto luminoso sulla retina, prodotti dai propri movimenti oculari, sono erroneamente attribuiti a movimenti dal punto luminoso medesimo. È sufficiente introdurre un secondo punto luminoso o alternare la sua comparsa e scomparsa , affinché l’effetto autocinetico scompaia. CAPITOLO 6 : APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA ESPERIENZA COME FONTE DI APPRENDIMENTO Al momento nascita siamo una tabula rasa, in pochissimi anni disponiamo di un estesa enciclopedia di conoscenze, competenze e pratiche attraverso l'apprendimento. L'apprendimento è un dispositivo universale negli animali, poiché è supportato da una struttura nervosa sia pure elementare. L'apprendimento è inteso come una modificazione relativamente duratura e stabile nel del comportamento a seguito di un'esperienza, di solito ripetitiva nel tempo. Esso è, inoltre, uno dei due motori per mandare avanti specie ed esistenza. 1° modo → meccanismi biologici (gene), già presenti al momento fecondazione, e implicati nei processi automatici di selezione della specie e maturazione degli individui; 2° modo → dispositivi culturali (apprendimento) fondati sull'esperienza e riguardanti tutto ciò che si acquisisce dopo nascita. Fra gene e apprendimento esiste un'interdipendenza intrinseca e una coevoluzione che conduce alla costruzione della propria nicchia ecologica mediante forme di adattamento attivo all'ambiente. 1.1Apprendimento situato La radice dell’apprendimento è l’esperienza, infatti ogni apprendimento è esperienziale. Poiché l'esperienza è rappresentata dalla totalità delle singole esperienze e delle conoscenze accumulate nel tempo, siamo nella condizione di imparare sempre: attraverso l'apprendimento forniamo in continuazione stimoli al cervello e alla mente, stimoli che contengono gli elementi di novità: siamo spinti dalla curiosità e dall'esigenza di esplorare il noto (per conferme) e l’ignoto (per allargare l'orizzonte). È una predisposizione presente sin dalla nascita, senza la quale cervello e mente entrano in condizione di sofferenza ed apatia: quindi l'apprendimento è anche necessità, vincolo, non possiamo non imparare. L'apprendimento passa attraverso l'azione e il fare (imparare facendo), e questa condizione implica che questo processo sia sempre accompagnato da una forma di attività motoria (anche inconsapevole). In quanto connesso all'esperienza, l'apprendimento è situato → legato al contesto immediato, radicato nell’organismo. A seconda dei casi, procediamo ad un apprendimento intenzionale → orientato al raggiungimento di uno scopo, promuove un'elaborazione accurata delle info; accidentale → dovuto a fattori imprevedibili e non connesso con lo scopo di acquisire qualcosa di nuovo, impariamo per caso; contingente → (> delle volte) implica la combinazione fra elementi incidentali che provengono dall'ambiente (dal basso verso l'alto) e opzioni operate dagli individui in base ai loro interessi ed esigenze (dall'alto verso il basso). 1.2 Apprendimento latente Dato che impariamo in continuazione con le esperienze, il nostro apprendimento non può essere sempre esplicito, poichè richiederebbe un enorme e continuo impegno mentale e un notevole spreco di energie. Spesso adoperiamo forme di apprendimento latente, forma di apprendimento implicito che consente di imparare anche senza accorgersene, è un apprendimento spontaneo poiché non ha bisogno di rinforzi. Per dimostrare l'esistenza di questo processo Tolman e Honzik (1930) si servono di tre gruppi di ratti: -gruppo A → non fu mai rinforzato come ricompensa per aver percorso labirinto, -gruppo B → fu ricompensato ogni prestazione, -gruppo C → non fu rinforzato fino all'undicesimo giorno dell'esperimento. Il gruppo C, nel momento in cui fu rinforzato, ebbe prestazione immediate e superiori a quelle di B, e ciò comprensibile solo se si ammette che il gruppo C abbia appreso in modo latente e senza rinforzo la mappa cognitiva del labirinto durante: nella fase iniziale, quindi quella senza ricompensa, i topi avevano appreso molto più di quanto in realtà avevano dimostrato e, sulla base di ciò, Tolman e Honzik hanno sostenuto che l'apprendimento ha luogo grazie alla semplice esposizione all’ambiente ed hanno introdotto la differenza tra competenza (ciò che si apprende) e prestazione (l'esecuzione di ciò che si è appreso). In che modo è possibile l'apprendimento latente? Secondo Tolman, nello svolgimento delle varie attività abbiamo modo di scoprire le varie connessioni che esistono nell'ambiente in base a determinati indizi o segnali: queste rilevazioni, spesso casuali, conducono alla costruzione di mappe cognitive, facilitando l'animale a trovare la soluzione più breve ed efficace → principio del minimo sforzo. Ciò che si apprende è la mappa cognitiva del territorio: a tal fine Tolman, Ritchie e Kalish, escogitarono un altro esperimento: -gruppo topi P → parte in modo indifferente da box 1 o box 2, e trova sempre il cibo nel box 2 -gruppi topi R → parte o da box 1 e trovano cibo in box 1, o da box 2 e trovano cibo nel box 2. I ratti più veloci nell'apprendere furono quelli del gruppo P, poiché basavano il loro comportamento sull’apprendimento della mappa del labirinto, anziché basarsi sull'associazione S-R. Per avere riprova di ciò, venne escogitato un altro esperimento: i ratti venivano addestrati a percorrere un labirinto e successivamente venivano messi in un altro labirinto-test: il risultato fu che essi non procedevano a caso, ma sceglievano sempre la strada giusta, dimostrando che avevano acquisito la mappa spaziale della posizione in cui si trovava il cibo, elaborando, quindi, una mappa delle relazioni spaziali attraverso un apprendimento per segnali per raggiungere il cibo. L'apprendimento latente fondamentale non solo per ragioni di economia, ma soprattutto per le opportunità: è il fondamento della conoscenza tacita, che è una conoscenza in pratica, automatizzata, difficile da esplicitare. Per uscire dalla conoscenza tacita occorre promuovere forme di apprendimento riflessivo, cioè, partire dall'esperienza per ritornare all'esperienza. Pertanto, si può concludere che l'esperienza è sia un vincolo primario per l'apprendimento, ma è altresì un motore per rompere le varie “incrostazioni mentali” che si formano a seguito di abitudini e pratiche quotidiane. 1.3 Apprendimento fisiologico L'apprendimento non riguarda solo le esperienze con l'ambiente (cd. situato), ma anche con il nostro organismo (cd. fisiologico). L’apprendimento fisiologico è un vincolo per la nostra sopravvivenza e per il mantenimento della salute fisica e del benessere mentale, poichè ci fornisce le conoscenze indispensabili per governare probabile quanto più spesso è ripetuta. Skinner riprese le impostazioni di Thorndike e la tradizione pavloviana introducendo la distinzione tra: - comportamenti rispondenti → derivanti da riflessi innati (come la salivazione) o appresi tramite il condizionamento pavloviano (associazione tra SC+SI). - comportamenti operanti → non derivati da riflessi innati ma emessi spontaneamente dall’animale (associazione S-R). Skinner così, distinse il condizionamento operante (strumentale: il soggetto agisce, opera nell’ambiente e lo modifica attraverso dei comportamenti in risposta a stimoli) da quello classico (pavloviano) da lui chiamato rispondente, dato che il soggetto non controlla la risposta provocata dallo stimolo. Skinner è interessato alla catena associativa S-R e assume che la mente sia come una scatola nera (black box) non osservabile sul piano sperimentale pertanto da ignorare. Ponendo un ratto in una gabbia, questo compie molte azioni e casualmente preme la leva, a questo punto riceve del cibo come ricompensa, pertanto apprende l'associazione tra leva premuta ed erogazione del cibo, e pertanto il ratto ripeterà più spesso il comportamento. Tale effetto costituisce un rinforzo: ricompensa in grado di aumentare la probabilità del comportamento. Skinner distingue, inoltre, il rinforzo dalla punizione, quale realizzazione di una situazione spiacevole per far diminuire un comportamento sbagliato. Anch’essa può essere: -positiva → stimolo doloroso per il soggetto, come la scossa elettrica) -negativa → sottrazione di qualcosa di gratificante, come il cibo). I rinforzi possono essere: -positivi → gratificazione (cibo, acqua) -negativi → eliminazione di situazioni spiacevoli (cessazione di un rumore fastidioso). -primari → eventi che soddisfano i bisogni primari dell’individuo (fame, la sete, sesso); -secondari → siamo in presenza di stimoli (denaro, approvazione) egualmente in grado di rafforzare il comportamento in oggetto; -continui → il rinforzo viene eseguito ad ogni prestazione corretta -parziali → il rinforzo viene eseguito solo ogni tanto a prestazione corretta. Questo è piu efficace poiché quello continuo conduce al fenomeno dell'assuefazione. Egli giunge a definire anche diversi piani di rinforzo per favorire l’incremento di un certo comportamento: -piano di rinforzi a intervallo fisso → il rinforzo è fornito a scadenze regolari (per esempio lo stipendio mensile) -piano di rinforzo a intervallo variabile →è il più efficace, il rinforzo è fornito a intervalli variabili nel tempo scelti a caso (per esempio gli elogi occasionali) -piano di rinforzo a intervallo fisso → il rinforzo è fornito dopo un numero prefissato e sempre uguale di risposte (per esempio il lavoro a cottimo) -piano di rinforzo a rapporto variabile → il rinforzo è dato dopo un numero di risposte che varia in modo casuale (per esempio le lotterie) Skynner introduce, inoltre, la tecnica del modellamento (shaping): per evitare che l'animale impieghi molto tempo prima di premere la leva, lo si premia anche quando si avvicina e pertanto viene rinforzata la risposta ad ogni avvicinamento a quella corretta, rendendone più probabile il raggiungimento. Il modellamento può condurre a esiti paradossali, come il piccione superstizioso: i piccioni attribuiscono valore all’ultimo evento rilevante, così, Skynner somministra il cibo a intervalli regolari ma frequenti e il piccione nel frattempo si muove a caso; ogni volta che il piccione ottiene il cibo si verifica un effetto moltiplicatore, in quanto il piccione esegue l’ultima azione fatta prima di aver ricevuto il cibo. 2.4 Apprendimento per associazione selettiva Negli anni 70 viene elaborata l’interpretazione cognitiva del condizionamento classico → un gruppo A di cani vengono sottoposti a scarica elettrica, preceduta da un suono per 20 volte, mentre, il gruppo B viene sottoposto a 40 scosse,20 volte con suono e 20 senza suono: il gruppo A fu condizionato alla paura, il gruppo B risultò incondizionato alla paura. Quindi, in base a questi dati, la contiguità temporale e il numero di volte in cui questi due tipi di stimoli sono associati non sono sufficienti per spiegare l’apprendimento. Secondo Rescorla e Wagner → bisogna tener conto anche della forza associativa fra stimolo incondizionato e stimolo condizionato: se è elevata, si ha condizionamento; se è debole, non compare condizionamento. La forza associativa implica la rappresentazione mentale di una situazione: si crea un’aspettativa mentale su quanto deve succedere, data una certa intensità di legame tra SI e SC; tale aspettativa può diventare sorpresa se non compare la detta associazione. Entra in gioco un processo di selezione fra stimoli da associare. La contiguità spazio-temporale è necessaria ma non sufficiente: ad es un ratto mangia cibo avvelenato una sola volta e ha mal di pancia dopo molte ore, può collegare i due eventi, cd selettività dell'associazione. Consideriamo lo schema di un sperimento di Mackintosh 1994 : nel caso 1 un topo beve caffè e un’ora dopo gli si procura mal di pancia. Il giorno dopo il topo non beve più il caffè perché collega lo stare male all’ultima sostanza bevuta. Nel caso 2, viene dato al topo del saccarosio tra la somministrazione del caffe ed il mal di pancia, questo rifiuterà il saccarosio ma non il caffè. Nel caso 3, il caffè viene seguito da un’iniezione di cloruro di litio un giorno si e uno no e, di conseguenza, il ratto ha mal di pancia a giorni alterni: in questo caso il topo sviluppa l’avversione al caffè perché resta, comunque, anche se imperfetto, il miglior indizio per prevedere il mal di pancia. Se invece, nel caso 4, viene dato prima il saccarosio e dopo il caffè, facendolo seguire dal mal di pancia, il topo assocerà il mal di pancia al saccarosio e non al caffè che è l’ultima sostanza ingerita. Siamo in presenza, quindi, di un chiaro esempio di condizionamento associativo selettivo. 2.5 Insight: alternativa al metodo associativo Al modello associativo dell’apprendimento, uno dei padri fondatori della Gestalt, Kohler 1917, aveva contrapposto un modello cognitivo legato alla soluzione ingegnosa dei problemi (problem- solving): l’apprendimento non avviene attraverso un processo casuale e alla cieca, ma è l’esito di un processo attivo e intelligente, che avviene grazie alla capacità di collegare insieme elementi distribuiti nell’ambiente che fino a quel momento venivano considerati in modo isolato. Questa operazione di connessione di elementi avviene all’improvviso, come un’intuizione (appunto, insight) → per la Gestalt, dunque, l'apprendimento pertanto consiste nel processo di riorganizzazione degli elementi secondo una nuova configurazione mentale. Kohler pone uno scimpanzé di fronte ad una situazione che, apparentemente, può sembrare irrisolvibile: fuori dalla gabbia c’è una banana che, però, non riesce ad afferrare con il semplice allungamento dell’arto. Dopo un certo numero di prove, non riuscendo nell’impresa, deluso ritorna a giocare nella gabbia in cui sono stati inseriti dei bastoni e a un certo punto ha “l’insight” (l’intuizione) e con il bastone afferra la banana, arrivando addirittura, in certi casi, ad unire più bastoni insieme per creare uno strumento più lungo. Tale processo è anche alla base della creatività umana e si fonda sull’attivazione di quei processi cognitivi che conducono alla risoluzione dei problemi della vita quotidiana (problem solving) APPRENDIMENTO DA MODELLI 3.1 Apprendimento individuale e apprendimento sociale L’apprendimento è un’attività individuale, nessuno impara al nostro posto. L’apprendimento individuale è la competenza nell’acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale nell’interazione diretta con l’ambiente. Esso è: -costoso (per l’elevato dispendio di risorse mentali) -lungo (poichè va ripetuto nel tempo per individuare la traiettoria giusta in base al tipo di contesto) -soggetto a errori (poiché è difficile da verificare in una gamma estesa di condizioni) -efficace in situazioni di cambiamento. A questo percorso di apprendimento si contrappone l’apprendimento sociale, inteso come la capacità di acquisire competenze e pratiche tramite e con i propri simili. E’ un apprendimento da modelli perchè implica interazione fondata sull’esperienza altrui; questo è un apprendimento: -economico (in quanto richiede un minore dispendio di energie) -veloce (in quanto non occorre fare diversi tentativi e quindi incorrere ad errori) –stabile (poiché gli altri forniscono già “pacchetti” di conoscenze e di informazioni) -attendibile (in quanto già stato verificato da diversi individui) -socialmente esteso e condiviso (promuove forme di conformità e di adattamento agli standard del gruppo di riferimento) -meno valido nei periodi di cambiamento (in quanto tende a riproporre forma già consolidate, e quindi obsolete e non in aggiornamento e al passo con i tempi). Perciò, in questi casi, l’apprendimento individuale è più efficace rispetto a quello sociale. 3.2 Imprinting e periodi sensibili E' riconosciuto un forte valore ed importanza all'apprendimento sociale. Tra i fenomeni osservati vi è quello dell'imprinting → un apprendimento precoce, da parte uccelli che inseguono la prima cosa vista dopo la schiusa: essi stabiliscono un forte legame sociale col primo oggetto mobile che incontrano nelle prime ore di vita. Di norma, oggetto dell’imprinting è la madre, ma, tale legame, può avvenire anche con un oggetto arbitrario, come se stesso. L'imprinting è diverso da quello associativo: la costruzione del legame sociale neonato-modello avviene nel corso di un breve e circoscritto periodo che prende il nome di periodo critico ed è irreversibile. Tale concezione dell’imprinting è stata, oggi, rivista dall’etologia cognitiva, la quale ritiene che l’imprinting non è né così rapido, né irreversibile: infatti, affinchè si sviluppi l’imprinting, è necessario che il modello sia in grado di attivare le endorfine nel cervello del piccolo. Successivamente, il concetto di periodo critico è stato rinominato come periodo sensibile per indicare un periodo entro il quale le condizioni dell’ambiente sono più favorevoli all’apprendimento e, quindi, durante tale periodo le conoscenze sono facilitate, mentre, prima e dopo di esso, gli apprendimenti sono difficili, se non addirittura impossibili. Tale concetto vale soprattutto per le specie animali e, se pur in modo attenuato, è stato applicato anche agli esseri umani. Per esempio, è stato osservato che il secondo semestre di vita è considerato un periodo sensibile per lo sviluppo del legame di attaccamento da parte del bambino nei riguardi della madre; l’età compresa tra i 2 e i 6 anni è un periodo privilegiato per l’apprendimento della e implica il miglioramento delle prestazioni in oggetto. Corrisponde a varie forme di apprendimento (classico, operante, per prove ed errori, ecc). Qui, le prestazioni iniziali sono piuttosto lente e con frequenti errori, man mano diventano più rapide efficienti e corrette. Otteniamo così una modificazione nella curva di apprendimento: di conseguenza impariamo a imparare. Esempio è l'apprendimento di brani a memoria. - apprendimento 2 (di secondo livello) → consiste nell'imparare a imparare ed è un cambiamento nel processo dell’apprendimento 1. Per giungere a questo livello occorre che le situazioni di un certo apprendimento uno siano simili e comparabili fra loro. Occorre altresì che il contesto di apprendimento sia mantenuto stabile, regolare e prevedibile. Il soggetto può così apprendere non solo i contenuti di volta in volta proposti, ma anche i contesti in cui tali contenuti sono appresi. L’apprendimento 2, quindi, consiste in una certa predisposizione ad imparare (set learning). - apprendimento 3 (di terzo livello) → è un cambiamento nel processo di apprendimento 2 e consiste nella modificazione dei contesti di apprendimento dell’individuo, come per esempio la conversione, che comporta una ristrutturazione degli apprendimenti fino ad allora fatti (credenze, valori, pratiche, consuetudini...), o ad esempio la psicoterapia la quale modifica le premesse cognitive, affettive e sociali del soggetto. APPRENDIMENTO DA MONDI VIRTUALI Con lo sviluppo dei new media, grazie al computer e a internet, è possibile l’apprendimento a distanza, ovvero la possibilità di apprendere conoscenze, promuovere competenze affettive, cognitive e sociali attraverso attività di formazione online, programmate e sistematiche, facendo ricorso alle tecnologie della rete. Al metodo della formazione in presenza, fondato sull’interazione diretta fra docente e allievo, si sostituisce quello della formazione a distanza (FAD), in cui il rapporto fra docente e allievo diventa virtuale ed è mediato dai nuovi mezzi tecnologici: è una forma di apprendimento incentrato sull’apprendimento dell’allievo attraverso percorsi formativi specifici e, quindi, è l’insegnamento che si adegua alle esigenze dell’allievo, piuttosto che il contrario. L’e-learning (electronic learning) è un metodo di formazione a distanza attraverso il computer, con l’applicazione di pacchetti o programmi di apprendimento specifici, selezionati secondo i bisogni dei destinatari. È sorto negli anni ’70, ed in questo è indispensabile una connessione in rete per usufruire, ad esempio, dei materiali didattici. Con maggiore frequenza oggi si apprende insieme, e perciò, si parla di net learning. Questo sistema può essere rivolto alla promozione di varie competenze, può essere applicato a diversi ambiti formativi (come ad esempio quello scolastico o quello professionale); vi è elevata indipendenza nell'apprendimento poiché non vi è presenza fisica né orario. Occorre solo un monitoraggio del livello di apprendimento attraverso una valutazione esterna o un’autovalutazione. Deve essere caratterizzato da un buon livello di usabilità (grado in cui uno strumento elettronico può essere usato da tutti gli utenti in modo tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi). È multimediale, il chè consente di raggiungere una notevole personalizzazione, attraverso l’integrazione fra i diversi media in modo da favorire una migliore comprensione dei contenuti da imparare. In questo processo svolgono una funzione centrale l’ipertestualità (la possibilità di stabilire in tempo reale una serie di collegamenti o links) e l’ipermedialità (la possibilità di stabilire delle connessioni fra un contenuto e altre fonti di informazione che magari possono contenere immagini, video ecc). L’ipertestualità e l’ipermedialità favoriscono un elevato livello di interattività situata con i materiali da imparare, ottimizzando le modalità di apprendimento a seconda della situazione. Oggi l’e-learning appare un metodo di apprendimento datato, in quanto sostenuto da un grado di coinvolgimento ridotto. Serious games Creati nel 2000 sono nuova frontiera dell’apprendimento. Essi sono simulazioni virtuali che consentano ai partecipanti di fare esperienze precise e accurate, in grado di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi e coinvolgenti di apprendimento nei vari domini dell’esistenza umana. È una forma di apprendimento esperienziale, in cui il virtuale è una riproduzione attendibile e fedele dei processi di realtà: si impara facendo. Essi consentono, inoltre, una valutazione dinamica, in grado di accertare l’apprendimento degli individui in tempo reale, nello stesso momento in cui eseguono le operazioni. I due processi sono contemporanei, consentendo una serie di correttivi in itinere. FONDAMENTI BIOLOGICI APPRENDIMENTO Per apprendere qualcosa è necessario in primo luogo avere a disposizione dispositivi genetici idonei ad affrontare tale attività. Tuttavia, i geni da soli, non conducono all’apprendimento, bensì alla maturazione. Le informazioni genetiche assumono percorsi differenti di sviluppo in funzione delle condizioni dell’ambiente. L’epigenetica studia le possibilità di interdipendenza tra gene e ambiente. L’ambiente costituisce la “terza elica” del DNA in quanto, i geni da soli, non riuscirebbero a produrre alcun comportamento. L’apprendimento, quindi, ha un fondamento biologico necessario. L’esperienza fornisce le informazioni per generare nuove configurazioni dei circuiti nervosi. Apprendimento hebbiano → Donald Hebb 1949 sottolineò l'idea della plasticità neurale in connessione con l'attività nervosa indotta dall'esperienza. Si usa per descrivere i cambiamenti nella forza di connessione tra due o più neuroni, che possono o meno prolungare l’apprendimento. Potenziamento a lungo termine → ideato da Bliss e Lomo 1973, ha segnato un vero e proprio passo avanti per spiegare l’apprendimento. Il PLT consiste nell’applicazione di uno stimolo potenziante ad una via nervosa (ad esempio una breve scarica di impulsi); seguito di questo stimolo, la risposta sinaptica aumenta notevolmente rispetto alla risposta standard e si mantiene per ore. Si è visto, inoltre, che crea nuove connessioni sinaptiche grazie alla liberazione di neurotrofine (molecole stimolanti per la sopravvivenza e per la crescita dei neuroni). Il PLT svolge una funzione centrale nell’elaborazione dell’informazione e nel mantenimento dei ricordi attraverso la sintesi di proteine che possono durare per tutta la vita, anche se i collegamenti sinaptici durano pochissimo (al massimo qualche secondo). È stata fatta una distinzione (cap7) fra PLT precoci (della memoria di lavoro) e PLT tardivi (della memoria a lungo termine). In questo modo, perciò, possiamo notare come l’elaborazione dell’informazione e il suo apprendimento siano strettamente collegati alla memoria e al ricordo, infatti, l’apprendimento da solo non è sufficiente ed occorre ricordare tutto ciò che si è appreso. CAPITOLO 7: MEMORIA E OBLIO NATURA DELLA MEMORIA LA MEMORIA COME PERCORSO NEL TEMPO La memoria è la capacità di conservare nel tempo informazioni apprese e di recuperarle quando servono in modo pertinente, l'apprendimento sarebbe altrimenti inutile. Ogni nuova esperienza comporta dei cambiamenti nei circuiti nervosi, creando dei nuovi percorsi nervosi. La memoria va considerata quindi come un sistema in continuo divenire¸ nella sua natura di processo attivo e dinamico. E' una traiettoria inarrestabile che continua per tutta la vita, per certi aspetti noi siamo la nostra memoria. È la nostra storia come individui (memoria personale) e come comunità cui apparteniamo (memoria collettiva). La memoria é un'elaborazione delle informazioni secondo criteri esclusivamente personali, pertanto è soggetta a distorsioni. Solitamente, infatti, tendiamo a rielaborare nel tempo un miglioramento dei ricordi (ottimismo mnestico). Essa non è infinita, essa è limitata sia in termini quantitativi, cioè tutte le informazioni che possiamo immagazzinare, sia in termini di durata, ovvero ciò che noi apprendiamo nella nostra memoria decadono dopo un certo periodo di tempo. La memoria è strettamente correlata quindi all’oblio, che la psicologia comune considera come uno svantaggio, ma é in realtá un vantaggio, poichè permette di eliminare determitate informazioni superflue, lasciando spazio a nuovi apprendimenti. La memoria è di due grandi insiemi: la memoria a lungo termine e la memoria di lavoro (chiamata una volta a breve termine). PRINCIPALI SISTEMI DELLA MEMORIA A LUNGO TERMINE Il termine memoria raccoglie un insieme eterogeneo di processi: occorre pertanto parlare di memorie. La memoria a lungo termine ha una natura multisistemica, formata da processi e insiemi anche diversi fra loro. (vedi fig. 7.1 pag 179). Memoria procedurale e memoria dichiarativa La memoria procedurale (memoria per fare) riguarda la conservazione delle competenze e procedure con cui fare le cose. E' attivata da compiti di naturta motoria (ad esempio nuotare, sciare) e riguarda il modo in cui svolgere determinate attività. A volte risulta piu semplice far vedere coe si fa che spiegarlo (valore ostensivo della memoria procedurale). Tale memoria è valutabile solo attraverso l’esecuzione delle attività in oggetto. Ha sede nei gangli basali del cervello. La memoria dichiarativa (memoria per conoscere) concerne la conservazione delle conoscenze sui fatti che possono essere acquisite in una volta sola e che sono direttamente accessibili alla coscienza. E' una memoria esplicita che ha sede nell'ippocampo e nella corteccia temporale mediale. Memoria semantica e memoria episodica La memoria episodica (ciò che ricordiamo) si riferisce alla capacità di memorizzare e recuperare eventi specifici e contiene informazioni spaziali e temporali che definiscono il dove e il quando l’evento ha avuto luogo. In media le donne presentano risultati migliori con questo tipo di memoria. I ricordi resterebbero per un certo periodo nell'ippocampo per poi consolidarsi nelle aree neocorticali. Questa memoria è talvolta caratterizzata dai flash di memoria, ricordi particolarmente vivi di eventi sorprendenti che ci hanno colpito in modo profondo a livello emotivo e cognitivo. La memoria semantica (ciò che sappiamo) va considerata come un lessico mentale che organizza le conoscenze che una persona possiede circa le parole e i simboli e le relazioni fra essi esistenti. Al riguardo si ipotizzata una l'esistenza di reti semantiche in grado di collegare una parola con altre parole sulla base di relazioni logiche o associative. Ricostruzione dei ricordi: nella ricostruzione dei ricordi incontriamo una serie di distorsioni, principalmente perchè il ricordo non è la fotocopia della realtà, ma una ricostruzione soggettiva dell'esperienza. Vi è una riduzione delle informazioni, ovvero nel ricordare vi è una diversa organizzazione delle informazioni, per cui si sottolineaneano alcune, ma se ne omettono altre altre (fenomeno dell'accentuazione). Vi è altresì il processo assimilazione, per cui un soggetto cerca di rendere il racconto coerente, completandolo e aggiungendo particolari. Questi processi, ovvero ricostruzione, accentuazione e assimilazione accentuano che il ricordo è una rielaborazione personale dei fatti. I "peccati" della memoria: Daniel Schacter elencò i “sette peccati” della memoria, ovvero i modi principali in cui la memoria fallisce e ci si può tradire; essi sono: Labilità - carenza da omissione: debolezza della memoria a ricordare ciò che abbiamo fatto a distanza temporale, specialmente se abitudinaria; Distrazione – carenza da omissione: mancanza di attenzione Blocco – carenza da omissione: incapacità di ricordare un’informazione che, in realtà non abbiamo dimenticato e che ci verrà in mente quando sarà inutile; Errata attribuzione – carenza da commissione: riferire un’informazione di un ricordo a una fonte o a un contesto sbagliato; Suggestionabilità – carenza da commissione: induce e crea ricordi falsi; Distorsione – carenza da commissione: indica il processo secondo cui i ricordi del passato vengono modificati in base alle convinzioni attuali; Persistenza: è l’incapacità di dimenticare, porta al fenomeno della ruminazione mentale, secondo cui si torna spesso sugli stessi ricordi, specialmente se negativi. Psicologia della testimonianza: Gli studi di tutti questi fattori legati alla memoria hanno portato alla creazione della psicologia della testimonianza, branca della psicologia che concerne lo studio della validità, attendibilità e accuratezza dei ricordi di un testimone. Vi sono state, peraltro, condanne fondate sul presupposto che un singolo testimone non poteva dimenticare eventi traumatici. 2.4 Ipermnesia e amnesia La memoria è un processo di attivo e ricostruttivo delle informazione che può riscontrare fenomeni come l'eccitamento o la depressione. Ipermnesia: è la capacità lucida di ricordare scene complesse in tutti i particolari, anche se lontane dal tempo; avviene in caso di eccitazione o esaltazione della memoria/coscienza. Di solito avviene con l'assunzione di sostanze stupefacenti o sotto effetti di farmaci. Amnesia: perdita totale o parziale della memoria a seguito di un trauma fisico o psichico o di una malattia cerebrale. Può essere totale o parziale; può essere retrograda (quando la perdita di memoria riguarda le informazioni prima del trauma ma si ha memoria per gli avvenimenti successi in seguito), e anterograda (se invece si ricordano gli eventi passati ma è limitata quella di ricordare informazioni presenti - come nell’Alzheimer). OBLIO E DIMENTICANZA 3.1 Inevitabilitàdell'oblio La memoria ricorda e dimentica, poichènon è capace di di conservare tutto ciò che elabora. Infatti un sistema come la memoria che raccoglie e corserva le informazioni deve affrontare due problemi: la selezione delle informazioni in entrata e l'eliminazione di informazioni non rilevanti. Queste funzioni sono messe in atto tramite dei filtri. 3.2 Curva dell'oblio di Ebbinghaus Ebbinghaus (1885) esaminò su se stesso in modo sistematico come la memoria per stimoli codificati cambi quando l'intervalli di ritenzione (periodo tra la codifica e la rievocazione) aumenta. Il tasso di della dimenticanza diminuisce con il passare del tempo: all'inizio molto rapidamente e rallenta quando l'intervallo di ritenzione diventa più lungo. Essendo basata sul tempo, la curva di Ebbinghaus è stata interpretata come effetto del decadimento: i ricordi più distanti sarebbero dimenticati come primi. Tuttavia, tale ipotesi non si è dimostrata attendibile, poichè la memoria è una struttura organizzata e il trascorrere del tempo non è la causa diretta dell'oblio. Infatti gli anziani hanno molti ricordi della loro giovinezza, mentre hanno diffoltà a ricordare gli eventi del giorno prima. 3.3 Natura dell'oblio L’oblio è l’eliminazione volontaria o involontaria di informazioni già memorizzate. E costituisce una parte integrante fisiologica della memoria. Esso va distinto dall’amnesia, poiché quest’ultima è una condizione patologica della memoria legata a danni celebrali o forti traumi emotivi; l’oblio, invece, è inevitabile. L’oblio svolge un lavoro di selezione, poiché la memoria è molto potente ma non infinita, ergo se vogliamo ricordare alcuni processi e funzioni indispensabili, talune informazioni vanno dimenticate. Talvolta alcune informazioni filtrano, ma sono labili e scompaiono a meno di non essere deliberatamente rinforzate attraverso la reiterazione. Secondo Wegner si può ipotizzare che ci sia una fase di monitoraggio in cui è realizzata una scansione dei contenuti mentali, e seccesivamente una fase di tipo operativo mediante la quale si eliminano contenuti di pensiero non voluti o non desiderati. (inoltre, effetto ironico come fallimento della soppressione dei pensieri “non pensare a....” si pensa esattamente a quello). 3.4 Le ragioni dell'oblio Ci sono svariate ipotesi su come l’oblio operi, come quella del disuso (se un ricordo non è rievocato per molto tempo, a poco a poco va perduto), la quale non spiega per quale motivo certi ricordi posso riaffiorire dopo molto tempo, anche in modo spontaneo. È piu attendibile l'ipotesi secondo la quale il nuovo materiale vada ad interfierire con quello già conservato o viceversa: questa è la teoria dell’interferenza, che puà essere di duplice natura: Interferenza proattiva: i ricordi remoti interferiscono e/o inibiscono l’assimilazione di nuove informazioni; Interferenza retroattiva: i ricordi recenti limitano o danneggiano quelli passati. Questa spiega come mai è più facile ricordare la sera che non il mattino. Spesso queste interferenze nella vita quotidiana agiscono insieme. Infine l’oblio può essere provocato anche dal blocco di un’informazione già depositata in memoria. Si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio e una di essere è più forte delle altre, ostacolando il recupero totale delle informazioni del target. Questa ipotesi implica che le informazioni dimenticate restino ancora in memoria, ma il loro accesso è temporaneamente bloccato dall'informazione dominante. MEMORIA DI LAVORO La memoria lavoro (ML) può essere paragonata alla RAM dei pc, e la memoria a lungo termine all’hard disk. Come la RAM, la ML è completamente flessibile rispetto ai contenuti e quanto più è estesa tanti più “programmi” può far “girare” insieme. La capacità (span) della ML è direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelligenza, ragionamento, linguaggio). 4.1 Dalla memoria primaria alla memoria a breve termine. James (1890) aveva distinto tra memoria primaria, cioè è un deposito iniziale e provvisorio in cui le infromazioni non vengono perse; e memoria secondaria, ovvero la memoria a lungo termine, da cui le informazioni possono essere recuperate solo con il contributo di un processo mentale attivo. La MBT(memoria a breve termine) è una memoria assai precaria e volatile, la cui portata è stata valutata con il compito Brown-Peterson. Questo compito consiste nel presentare ai soggetti una sequenza di tre consonanti da ricordare ed impedire loro ogni forma di reiterazione chiedendo di iniziare a contare all'indietro da 100 a 3. Dopo 6 secondi l'accuratezza del ricordo decade del 50%, a 18 secondi è nullo. In presenza di compiti distrattori (cd. di interferenza) la volatilità della MBT può diventare molto elevata, con una durata di appena due secondi. Se desideriamo non perdere le informazioni, occorre ripeterle con frequenza per mantenerle in quel dato spazio chiamato tampone di reiterazione. 4.2 Il modello di Atkinson e Shiffrin: memoria come elaborazione in sequenza delle informazioni. Atkinsono e Shiffrin (1971) ritennero che la memoria fosse un sistema complesso, composto da diversi stadi, dotati di funzioni distinte. Proposero un modello multiprocesso della memoria, basato sullo scambio di input-output, ogni stadio riceve input che trasforma in output, che diventano input per lo stadio successivo. Gli stadi principali sono tre: 1. il registro sensoriale; 2. la memoria breve termine; 3. la memoria a lungo termine. Inoltre i due studiosi ritennero che nella MBT, la reiterazione svolgesse una funzione rilevante: quanto più le informazioni sono reiterate nella MBT, maggiori sono le possibilità che siano trasferite nella MTL. Ma questo modello è risultato infondato sul piano empirico: pazienti con gravi danni celebrali importanti da comprometter la MBT sono ugualmente capaci di registrare nuove informazioni nella MLT. 4.3 Memoria sensoriale La memoria sensoriale è la capacità di mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali. È una memoria modale, poiché corrisponde alle varie modalità sensoriali (memoria iconica per la visione; memoria ecoica per l'udito, olfattiva, gustativa, tattile e propriocettiva). Le informazioni sensoriali vengono tenute nel registro sensoriale capace di captare e trattenere per il tempo necessario le informazioni sensoriali. La memoria iconica è di grande capacità, dura poco, il tempo di registrare informazioni ambientali; a differenza della memoria ecoica che, funziona analogamente, ma ha una durata maggiore. 4.4 Il modello Baddeley e Hitch: la memoria di lavoro. La concezione di memoria di lavoro è stata elaborata da Baddeley e Hitch quale sistema attivo e dinamico complesso, non quale stazione di passaggio verso la MLT, bensì quale spazio in cui svolgono importanti attività di integrazione coordinazione e manipolazione delle informazioni in ingresso. La ML è suddivisa, secondo il modello Baddeley e Hitch, in quattro sottosistemi indipendenti. Esecutivo centrale: è il sistema flessibile per il controllo e la regolazione dei processi cognitivi richiesti dalla situazione. Collega le informazioni provenienti da diverse fonti in episodi coerenti. È in grado di cambiare i piani di reiterazione e attivare momentaneamente la MLT. Circuito fonologico: concerne il parlato e conserva l’ordine in cui le parole sono presentate. E' suddiviso in due compenenti: il magazzino fonologico in grado di contenere le tracce acustiche per circa 2 secondi; e il sistema articololatorio con la funzione di reiterare tali tracce a livello subvocale. 2. PUNTI DI VISTA SULLA COMUNICAZIONE La comunicazione è stata studiata da differenti punti di vista scientifici in quanto riguarda varie discipline (filosofia, antropologia, psicologia, sociologia). 2.1. Il punto di vista matematico Secondo il modello matematico proposto da Claude Shannon e Warren Weaver (1949), la comunicazione va intesa come una TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI; l'attenzione è focalizzata sul passaggio di un SEGNALE (messaggio) da una FONTE A (emittente), attraverso un TRASMETTITORE (voce) lungo un CANALE (telefono) a un DESTINATARIO B (ricevente) grazie a un RECETTORE (apparato acustico). L'emittente puo trasmettere il messaggio in modi diversi (parole, gesti, espressioni), in ogni caso deve cifrarlo secondo un codice; il ricevente deve decifrare il segnale pervenuto decodificandolo correttamente. L'informazione pertanto consiste in ciò che è probabile che passi dall'emittente al ricevente, e non in ciò che ha detto la fonte. In questo modello matematico, in cui all'inizio in modo erroneo si concepiva la comunicazione come un processo lineare (da A a B), è stata successivamente introdotta la nozione di FEEDBACK (retroazione), definita come la quantità di informazione che dal ricevente ritorna all'emittente, consentendogli di modificare i suoi messaggi successivi. Con l'introduzione del concetto di feedback la comunicazione è intesa come processo circolare ricorrente senza fine, da A a B o da B ad A secondo una spirale continua. Ogni messaggio svolge 3 funzioni distinte: 1) è una risposta da parte di B nei riguardi di A; 2) è uno stimolo da parte di B nei confronti di A per ottenere da questo una successiva risposta; 3) è un rinforzo, poichè va ad alimentare il modello di scambio che esiste in quel momento fra A e B. L'approccio matematico ha introdotto le nozioni di: • RUMORE (interferenza con altro segnale sul medesimo canale); • RIDONDANZA (ripetizione nell'operazione di codifica del messaggio per favorire la sua decodifica); • FILTRO (elementi che modificano il segnale o in partenza o in arrivo). Condizione necessaria per comunicare è avere a disposizione un codice, inteso come insieme di regole in grado di associare in modo coerente e tendenzialmente biunivoco gli elementi di un sistema con gli elementi di un altro sistema. Il CODICE va integrato con le capacita di fare le opportune inferenze da parte degli interlocutori su quanto viene comunicato, come indica la prospettiva semiotica. 2.2. Il punto di vista semiotico: la comunicazione come significazione e come segno La SEMIOTICA è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. Secondo questo punto di vista, la comunicazione deve valutare, anzitutto, in che modo avviene il processo di SIGNIFICAZIONE (la capacità di produrre significati). Già Aristotele e D'Aquino avevano inteso la significazione come una relazione tra 3 aspetti diversi: • il SEGNO, o simbolo come termine linguistico (ad esempio: cane); • il REFERENTE, oggetto che è comunicato (ad esempio: cane come animale domestico che abbaia); • la RAPPRESENTAZIONE MENTALE, concetto dell'oggetto che viene comunicato (ad esempio: il concetto di cane). Il segno – la parola – non ha un rapporto diretto con la realtà – il referente –, ma solo con l'idea – rappresentazione mentale – che corrisponde ad un dato oggetto o evento. Occorre comprendere che cosa si intenda per SEGNO in semiotica e in psicologia della comunicazione. A questo riguardo esistono 2 principali accezioni: il segno come EQUIVALENZA e il segno come INFERENZA. Secondo Sansurre e la prospettiva strutturalista (equivalenza), il segno è l'unione di un'immagine acustica e di un'immagine mentale. Significante e significato, espressione e contenuto, vanno intesi come due facce della stessa realtà (ovvero il segno) poiche non vi è l'uno senza l'altro e viceversa. Si intende quindi il segno in termini di equivalenza, poiché vi è una corrispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto, regolati da una relazione di identità. Per quanto concerne l'accezione secondo la quale il segno corrisponde ad INFERENZA, il segno è qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos'altro, sotto qualche rispetto o capacità. Un segno assume pertanto la funzione di rimandare a qualcosa di diverso da sé. Segno tipico è quello dell'indicare in cui non conta l'indice puntato, bensì l'oggetto verso cui il dito è puntato. Il segno va inteso, quindi, come inferenza, poichè costituisce un INDIZIO da cui trarre una conseguenza, cosi come le nuvole sono segno di pioggia o il fumo è indizio di fuoco. Il segno come indizio implica la presenza di modelli mentali che, sulla base di schemi tratti dalla logica o dall'esperienza, consentono di individuare gli aspetti mancanti o carenti e di cogliere il senso degli enunciati; inoltre il segno come inferenza spiega lo scarto fra ciò che è detto e ciò che è implicato da quanto è stato detto. In linea di principio un soggetto comunica più di quanto dice. 2.3. Il punto di vista pragmatico: la comunicazione come interazione fra testo e contesto Charles Morris propose la distinzione fra SEMANTICA (si occupa dei significati dei segni), SINTASSI (studia le relazioni formali fra i segni) e PRAGMATICA (che esplora la relazione dei segni con i parlanti). In particolare, la pragmatica, in particolare, si occupa dell'uso dei significati: i modi con cui i significati sono impiegati nelle diverse circostanze; studia i rapporti che vi sono fra testo e contesto in cui è manifestato. La pragmatica prende in esame i processi impliciti della comunicazione. Teoria degli atti linguistici: Il punto di vista pragmatico pone in evidenza la comunicazione come AZIONE e come FARE. La comunicazione è processo. È azione fra due o più interlocutori. John Austin (1962) proponendo la TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI ha inteso attirare l'attenzione proprio su questo aspetto; per Austin dire qualcosa è anche fare sempre qualcosa e vi sono 3 tipi di azione che compiamo quando parliamo: 1) ATTI DI DIRE QUALCOSA (locutori): sono azioni che compiamo tramite il parlare e che comprendono gli atti fonetici (emissione di suoni), atti fatici (espressione di certi enunciati); atti retici (impiego di questi aspetti con un senso). 2) ATTI NEL DIRE QUALCOSA (illocutori): atti che compiamo tramite il parlare medesimo (azioni di domanda, comando, promessa...). 3) ATTI CON IL DIRE QUALCOSA (perlocutori): produzione di determinati effetti da parte del parlante sulle credenze, sentimenti e condotte dell'interlocutore. Qualsiasi scambio linguistico è volto a realizzare un effetto intenzionale. A tal riguardo Austin e poi John Searle (1979) procedono alla distinzione fra ATTO e FORZA DELL'ATTO stesso. Il modo con cui è interpretato un enunciato e il risultato di un atto linguistico dipendono dalla forza contenuta nell'atto e dai suoi effetti sull'interlocutore. Austin distingue ulteriormente fra gli atti linguistici DIRETTI e gli atti linguistici INDIRETTI. Nei primi la forza illocutoria che il parlante intende attribuire all'enunciato (atto primario) è trasmessa in modo conforme e corrispondente al significato linguistico dell'enunciato medesimo. Nei secondi la forza illocutoria deriva non dal significato linguistico dell'enunciato, ma dai modi non verbali con cui è manifestato (toni, intensità di voce, ritmo delle parole). Principio di cooperazione e implicature convenzionali: Paul Grice distingue fra il SIGNIFICATO NATURALE (es.: fumo indizio di fuoco) e il SIGNIFICATO CONVENZIONALE (qualsiasi parola della lingua italiana o di un'altra lingua). Il significato non è inteso da Grice come il <<voler dire>> qualcosa da parte del parlante a qualcun altro. La comunicazione è un processo costituito da un emittente che ha intenzione di far si che il ricevente riconosca che l'emittente sta cercando di causare in lui quel pensiero o quell'azione. La comunicazione è possibile solo se realizziamo questo processo di conoscenza reciproca e condivisa che implica la consapevolezza di un'intenzionalità fra emittente e ricevente. Il successo della comunicazione si fonda sul principio di cooperazione, inteso come dai il tuo contributo, al momento opportuno, così come richiesto dagli scopi e dall'orientamento della conversazione in cui sei impegnato; questo principio è stato declinato attraverso 4 MASSIME: 1. massima di quantità: a) dai un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in modo adeguato agli scopi della comunicazione; b) non fornire un contributo piu informativo del necessario. 2. massima di qualità: cerca di fornire un contributo vero; a) non dire cose che credi false; b) non dire cose per le quali non hai prove. 3. massima di relazione: i tuoi contributi devono essere pertinenti. 4. massima di modo: sii perspicuo; a) evita espressioni oscure; b) evita le ambiguità; c) sii breve; d) procedi in modo ordinato. Grice, inoltre, procede alla distinzione fra logica del linguaggio e logica della conversazione. La logica del linguaggio si applica a livello superficiale dei significati; la logica della conversazione implica la differenza fondamentale tra il dire e il significare. Un conto è ciò che che è detto, ciò che è affermato con le parole ed un conto è ciò che è significato, cio che il parlante intende comunicare; fra questi due livelli esiste uno scarto che va colmato; per superare questo scarto occorre che i partecipanti facciano ricorso ad un lavoro mentale di inferenza chiamato da Grice implicatura conversazionale. Quest'ultima consiste in un impegno per andare oltre le parole dette in modo da individuare l'intenzione comunicativa del parlante, estraendo il significato non detto contenuto in modo implicito nell'enunciato. Contesto ed enunciato: la pragmatica focalizza i rapporti che intercorrono fra testo e contesto. Non vi è testo senza contesto e viceversa. La mente è necessariamente in un contesto. Il contesto va inteso come l'insieme delle restrizioni e delle opportunità biologiche, spazio-temporali, relazionali, istituzionali e culturali dell'hic et nunc che assieme a un dato testo genera un certo messaggio dotato di senso. In passato era prevalsa una concezione additiva fra testo e contesto. Oggi sappiamo che qualsiasi messaggio è la sintesi interdipendente fra testo e contesto in modo simultaneo e dinamico; influenzandosi reciprocamente. Ogni significato quindi non è astratto né determinabile a priori, ma è sempre legato allo svolgersi di un contesto immediato: i significati non sono fissi nel tempo, ma cambiano al mutare del contesto immediato. Vi è il fenomeno della risemantizzazione contestuale, in base a cui ciascuno è in grado di attribuire proprietà semantiche a qualcosa che di per sé non le possiede, ma che le acquisisce in modo temporaneo grazie ad un contesto immediato. 2.4. Il punto di vista psicologico: la comunicazione come gioco delle relazioni La partecipazione implica la consapevolezza della propria responsabilita personale nello svolgimento degli scambi comunicativi. È un processo che inizia fin dalle prime settimane di vita fra il neonato e l'adulto. Le interazioni sociali sono la radice dello sviluppo mentale e comunicativo del bambino. In esso, l' accordo (cioè la convenzione) su come deve essere fatto qualcosa e assai piu importante della cosa stessa. La conoscenza del mondo da parte del bambino non è diretta, ma mediata dall'azione strutturante dell'adulto. In questa prospettiva l' elaborazione dei significati costituisce l'attività congiunta e condivisa da parte di piu interlocutori. La negoziabilita dei significati è resa possibile dalla gestione locale dei significati, poichè favorisce una serie di calibrazioni e aggiustamenti reciproci fra gli interlocutori fino a giungere a un adeguato livello di accomodazione reciproca. Gli individui pongono a confronto i loro punti di vista e l'enciclopedia delle loro conoscenze attraverso regolazioni e concessioni reciproche. In questi processi entra in azione l' intelligenza interattiva come combinazione della capacita di prefigurare le condizioni attuali dell'interlocutore e di attribuire una data intenzione al parlante--> e un gioco reciproco. 4. INTENZIONE COMUNICATIVA La comunicazione implica una pianificazione intenzionale; senza intenzionalità non vi può essere comunicazione. Di conseguenza non ogni comportamento e comunicativo, bensi solo quello dotato di intenzionalità. L'intenzione è “tendere in”, muoversi verso l'altro e si manifesta attraverso l'elaborazione di specifiche intenzioni e che concerne lo scambio comunicativo tra parlante e ricevente. 4.1. Intenzione comunicativa da parte del parlante Quando generiamo un messaggio, abbiamo l' intenzione di comunicare qualcosa a qualcun altro. Grice ha distinto fra intenzione INFORMATIVA (cio che viene detto) e intenzione COMUNCATIVA (cio che intendiamo dire). Questo processo è caratterizzato da una gradazione continua. Occorre parlare di forza dell' intenzione (direttamente proporzionale all importanza dei contenuti trasmessi e alla rilevanza dell'interlocutore, nonché alla natura del contesto → Implica la messa a fuoco e la puntualizzazione del messaggio: tanto piu l'intenzione comunicativa è forte, quanto piu l'atto conseguente tende a essere a fuoco. Il fuoco comunicativo è un processo attivo di concentrazione dell'attenzione e dell'interesse del parlante su certi aspetti da condividere con il destinatario, produce → pertinenza comunicativa (alcuni aspetti diventano piu importanti di altri). Negli scambi quotidiani il parlante deve selezionare un certo livello di intenzionalità per trasmettere cio che ha in mente; è il dispositivo della “pars pro toto”, secondo cui nella produzione di un messaggio possiamo manifestare solo una parte di ciò che abbiamo in testa. 4.2. Intenzione comunicativa da parte del destinatario All'inizio degli studi (modello Shannon e Weaver) il ricevente era inteso in senso passivo, lasciando al parlante la responsabilità dei processi di comunicazione. Questa prospettiva, cd. Intenzionalismo, prevede che il significato di un messaggio dipenda dall'intenzione del parlante e che il destinatario debba identificare l'intenzione di partenza del parlante. Grice ha introdotto il concetto di condivisione consapevole dell'intenzione comunicativa fra i comunicanti. In tal modo si raggiunge la condizione di reciprocità intenzionale (manifestazione di un'intenzione comunicativa e riconoscimento da parte del destinatario); il destinatario procede piu che a un semplice riconoscimento, a una reale attribuzione di intenzione al messaggio del soggetto. Considerata l'impossibilità di avere un accesso diretto all'intenzione del parlante, qualsiasi interpretazione della sua intenzione comunicativa è parziale e limitata, regolata dal dispositivo “totum ex parte”. Il destinatario attribuisce un'intenzione completa e coerente al messaggio sulla base di un insieme ristretto di indizi; è un processo attivo, autonomo e soggettivo, grazie al quale il destinatario si assume le sue responsabilità nella gestione dello scambio comunicativo. Tuttavia, negli scambi quotidiani, l'attribuzione di un'intenzione comunicativa al parlante risulta un processo immediato, regolato dal dispositivo dell'assumere per garantito, secondo cui il destinatario accoglie il primo significato del messaggio che gli viene in mente e non è immediatamente contraddetto da un altro significato. Pertanto il significato appartiene al messaggio per la sua posizione intermedia tra i partecipanti, è dato dalla loro attività congiunta in un processo condiviso di comprensione. 5. LINGUAGGIO Principali caratteristiche A livello neurobiologico, il linguaggio è regolato dall'area di Broca, adiacente alla parte inferiore dell'area motoria dell'emisfero sinistro, e dell'area di Wernicke, localizzata nella regione postero- superiore del lobo temporale sinistro. La prima è prioritaria per la produzione del linguaggio e controlla i movimenti per la fonazione, la seconda è relativa ai processi di comprensione del linguaggio. Le due aree sono interdipendenti e strettamente connesse fra loro dal fascicolo arcuato. Ogni lingua è un sistema simbolico potente e flessibile, idoneo a manifestare cio che le persone hanno in mente, composto da simboli arbitrari e convenzionali. Esso è idoneo a generare un numero illimitato di enunciati e discorsi a partire da un numero limitato di elementi (generatività) e, poichè ogni lingua ha una struttura gerarchica e ricorsiva, il linguaggio presenta il carattere di sistematicità composizionalita. La composizionalità della lingua comporta: a) la sistemicità: gli enunciati possono essere composti solo seguendo le regole sintattiche previste dalla lingua; b) la produttività: la lingua permette di generare e comprendere un numero infinito di significati che possono costituire un numero illimitato di enunciati; c) la possibilita' di dislocazione: la referenza spaziale e temporale può essere diversa da quella dell'enunciato; questo non fa perdere il significato dello stesso (es.: domani ci vediamo in universita--> detto al bar). Fonetica e fonologia La fonetica è lo studio fisico della produzione e percezione dei suoni linguistici: • fonetica acustica, studia la struttura fisica dei suoni linguistici; • fonetica articolatoria, analizza il funzionamento degli organi fonatori nell'utilizzo; • fonetica uditiva, si occupa della percezione dei foni da parte dell'udito. La fonologia è lo studio dei suoni di una lingua in rapporto alla loro funzione distintiva e discreta nella comunicazione linguistica. L'elemento di base è il fonema, inteso come unità fonica indivisibile e astratta, dotata di valore linguistico distintivo. Nella lingua italiana esiste una buona corrispondenza tra fonemi e grafemi. Morfologia e lessico La morfologia è la disciplina che studia le strutture interne delle parole e descrive le varie forme che esse assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo, tempo e persona. Ciascuna parola è costituita da morfemi, unità linguistiche minime, non ulteriormente scomponibili, dotate di significato (gatt-o). L'insieme delle parole di una lingua forma il lessico. Esso è un insieme finito ed eterogeneo composto da nove categorie grammaticali di parole; nome, verbo, aggettivo, avverbio, pronome, articolo, preposizione, congiunzione, interiezione. Al lessico linguistico corrisponde il lessico mentale, inteso come l'insieme di conoscenze di un parlante sulle parole da lui usate in una determinata situazione. Secondo il modello “a ricerca” logogen di Morton, ogni parola ha una rappresentazione mentale che funziona come rilevatore della parola stessa. Secondo il modello “ad attivazione” interattiva di McClelland e Rumellhart, il riconoscimento delle parole è organizzato secondo una sequenza di 3 stadi: 1) analisi dei segmenti che compongono le lettere; 2) identificazione delle singole lettere; 3) riconoscimento delle parola per intero, quella che in questa sequenza interattiva ha accumulato il piu alto grado di attivazione. Semantica e sintassi La sintassi è l'insieme organico delle regole che governano la formulazione degli enunciati e dei discorsi. Sono procedimenti computazionali che consentono di disporre in ordine gerarchico gli elementi del lessico per costruire unita di livello superiore: sintagmi, frasi, discorsi. I sintagmi costituiscono le unità minime di una frase e si distinguono in nomi, verbi, aggettivi e preposizioni. A fronte di frasi ambigue, l'analisi sintattica richiede sia di individuare la struttura meno complessa, sia di compiere la più breve ricerca possibile all'indietro. Si fonda su alcune strategie: • STRATEGIA DELL'ATTACCAMENTO MINIMALE (no alla struttura sintattica che non è necessaria); • STRATEGIA DELLA CHIUSURA RITARDATA (attaccare nuovi elementi al sintagma); • STRATEGIA DELLA CATENA MINIMA (costruire dipendenze sintattiche il piu semplice possibile). (vari esempi pag. 255-256). Il linguaggio è dunque un'attività globale e unitaria che coinvolge nello stesso tempo numerose funzioni psichiche (sensoriali, cognitive, affettive, sociali). Grazie a questo dispositivo abbiamo creato cultura, scienza, arte, tecnologia. Tra universalita' e relatività Il linguaggio è una facoltà innata universale e geneticamente determinata o è il prodotto storico di una comunità di parlanti caratterizzati da una certa cultura? Universali linguistici: la grammatica generativa di Chomsky si propone di descrivere la grammatica di una qualsiasi lingua naturale sulla base di un insieme limitato di regole. Questa teoria presuppone uniformità della competenza linguistica ed omogeneità dei processi linguistici negli esseri umani; tuttavia il suo modello matematico della lingua è esercizio astratto sulla logica della mente umana. Relatività linguistica: l'ipotesi Sapir e Whorf, partendo dal presupposto che il linguaggio sia un prodotto storico, culturalmente definito, in grado di influenzare il modo in cui pensiamo, giunge ad affermare che le strutture semantiche delle diverse lingue provocano una modalità di pensiero diverso fra loro, giungendo ad una differente visione del mondo ( → cd. Determinismo linguistico, per cui la lingua determina la forma di pensiero). È bene evidenziare, però, che il pensiero è assai più complesso di ciò che il linguaggio può esprimere (vi sono esperienze non lessicalizzabili) CAPITOLO X VALORI, DESIDERI, MOTIVAZIONI 1. VALORI E DESIDERI 1.1. Centralità dei valori Le cose di valore rappresentano una categoria molto estesa, eterogenea e dinamica, rilevante per le persone. Il valore non è un'entità assoluta, ma relativa. E' una convenzione. Ha valore ciò che molte persone considerano degno di attenzione e di investimento, oggetto dei loro interessi, meritevole di essere posseduto. In quanto convenzione, gli oggetti di valore sono strettamente interconnessi con la cultura di appartenenza, che fornisce i criteri in base a cui assegnare valore a un dato oggetto o evento (la paglia in Amazzonia è necessaria per accendere il fuoco, per noi non ha valore). La mente computazionale è situata in un contesto e fondata sull'esperienza: questo conduce a valutare in continuazione tutto ciò che accade nella nostra esperienza. I valori sono costrutti motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quali scopi siano da raggiungere. Sono la nostra mappa di riferimento e consentono di orientarci nella realtà con sufficiente chiarezza, competenza ed efficacia. I valori sono ciò che le persone credono giusto o sbagliato, desiderabile o meno. (si parla di costellazione più che di sistema di valori poiché vi sono confini sfumati evi è continuo rinnovamento). 1.2. Il desiderio come radice dei valori I valori non esistono in natura, essi sono prodotti culturali e, come tali, presentano un'organizzazione articolata → vi è una struttura globale con bisogni generali dela nostra specie, oltrechè configurazioni intermedie quali prodotti culturali e oltrechè profili individuali. Possiamo definire come valore ciò che per noi è desiderabile e positivo: abbiamo valori perchè abbiamo desideri, se non avessimo questi, non avremmo nemmeno valori. Come esseri umani siamo predisposti ad assegnare valore a ciò che desideriamo, poichè il desiderio è una condizione essenziale per l'esistenza. I valori vanno quindi considerati come costrutti rispetto a ciò che è desiderabile o meno, giusto o sbagliato, bene o male, per una comunità di persone. Al pari dei desideri, i valori si suddividono in valori in positivo e in negativo, centrali (vincolanti e tassativi) e periferici (addizionali e opzionali). Inoltre essi sono di natura selettiva: solo certe persone oggetti o fenomeni sono degni di valore; nella costituzione dei valori si trovano i processi della preferenza e della scelta. Hofstede (2001) aveva definito i valori come la “tendenza generale a preferire certe condizioni del mondo rispetto ad altre” → questo comporta grande variabilità dei valori in funzione dell'individuo e della cultura. La selettività delle situazioni cui attribuire valore e alla base della gerarchia dei valori: alcuni di essi diventano ideali (individuali o collettivi). Gli ideali sono i vertici delle costellazioni di valori cui ci ispiriamo: senza, non avremmo ispirazioni. Gli ideali, inoltre, attribuiscono coesione ai valori (li raggruppano in unità) e svolgono funzione motivazionale di attivare le risorse delle persone. Desiderio e speranza. La psicologia del desiderio ha ricevuto un notevole impulso dai nuovi apporti della psicologia positiva. Questa, dagli anni 2000, ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulla qualità della vita secondo una prospettiva sia edonica (dimensione del piacere come benessere personale, legato ad emozioni positive), sia eudaimonica (realizzazione delle potenzialità dell'individuo, amcje con il mondo fisico e sociale circostante). La psicologia positiva enfatizza la funzione fondamentale delle risorse e potenzialità dell'individuo. Il desiderio è il tendere a qualcosa il cui raggiungimento riteniamo ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliore rispetto a quello in cui siamo. nel desiderio sono presenti la “molla” che ci spinge ad arrivare a un traguardo (scopo),l' impegno per conseguirlo (tensione e appagamento) e la convinzione di stare meglio dopo averlo raggiunto (ricompensa e soddisfazione). Il desiderio nasce dalla situazione di carenza: pertanto il desiderio è rivolto al futuro come conseguimento di una condizione più soddisfacente rispetto a quella presente. Per queste ragioni il desiderio è strettamente connesso alla speranza: il sentimento che i propri desideri possano essere soddisfatti. La speranza ha molte facce ed influenza in svariati modi di affrontare gli eventi, costituendo una potente leva per sostenere la realizzabilità dei desideri, in quanto rivolti al futuro. Possiamo avere desideri in positivo (raggiungimento di un livello di esistenza migliore) o in negativo (superamento di una situazione di disagio); presentano quindi un carattere di selettività, pertanto ogni desiderio è specifico e ha uno statuto differente in termini di cogenza: esiste infatti una gerarchia dei desideri in funzione della loro priorità. Sensibilita' ai vantaggi (guadagni) e agli svantaggi (perdite). Nell'appagamento dei desideri, entrano in gioco potenti fattori associati alla gratificazione della ricompensa. A livello neurobiologico, regioni della corteccia parietale laterale inferiore sono attivate in associazione con l'ampiezza della ricompensa: quest'ultima è il segnale dell'appagamento del desiderio in oggetto generando benessere ed un senso di completezza. Siamo molto sensibili a ciò che ci può portare vantaggio e beneficio, come pure a ciò che ci può arrecare danno o perdita. Vi è però un'asimmetria fra vantaggi e svantaggi (ostilità per ciò che è negativo è più intensa della propensione verso ciò che è positivo). Secondo il modello del valore atteso (o utilità attesa), elaborato negli anni 60 nello studio degli atteggiamenti verso il rischio, le persone presentano alcune caratteristiche ricorrenti: a) in caso di guadagno, emerge un effetto di diminuzione dell'utilità marginale (più si guadagna meglio è, ma i guadagni aggiuntivi sono valutati meno rispetto a quelli iniziali); b) in caso di perdita, si osserva un fenomeno analogo (le perdite maggiori colpiscono di più, ma la sofferenza diminuisce quando le perdite si accumulano); c) in ogni caso, l'avversione verso le perdite presenta una rilevanza psicologica doppia rispetto all'attrazione per il guadagno (perdita di entità uguale ad un guadagno colpisce il doppio rispetto a quest'ultimo). La repulsione nei confronti delle perdite compare in modo regolare nelle nostre scelte quotidiane e nella regolazione dei desideri. La perdita del valore (utilità) nel cedere qualcosa di nostro è maggiore del guadagno del valore nell'ottenere la medesima cosa per la prima volta, come se un oggetto acquistasse un valore aggiunto solo per il fatto che ci appartiene e di averlo posseduto per un certo periodo di tempo: è il cd. effetto dote.(cap8) Le diverse attribuzioni di valore allo stesso oggetto in caso di vendita o di acquisto a causa degli effetti di cornice. Seppure il valore di un oggetto è il medesimo in modo indipendente dal fatto di averlo posseduto, ma le nostre azioni sono governate dalla valutazione che diamo alle circostanze. Questi processi sono stati illustrati dalla teoria del prospetto (Kahneman e Tversky 1980) in riferimento ai valori che seguiamo e alle scelte che facciamo in situazioni di rischio. Rispetto alla linea retta delle probabilità oggettive (qualora fossimo razionali), la curva delle probabilità soggettive misura la probabilità degli eventi possibili filtrata dal valore. Questa curva è non lineare e ha una pendenza maggiore nella regione delle perdite come espressione dell'avversione a esse (andamento a S inversa): una perdita ha impatto maggiore di un guadagno, pertanto le persone in linea di massima preferiscono la certezza in caso di guadagno, l'incertezza in caso di perdita. 1.3. Contingenza e necessità dei valori Origine e contingente dei valori. In quanto costrutti culturali, i valori sono prodotti storici, determinati dalle vicende storiche. Hanno una radice intrinseca di contingenza: sono quindi elaborati nello scambio continuo e fitto dei rapporti interpersonali nell'arena sociale. Sono l'esito di un accordo su ciò che è bene e ciò che e male fra le persone e i gruppi di una società e sono oggetto di un incessante processo di negoziazione. Appare inverosimile l'esistenza di valori assoluti, dunque perenni universali seguiti da tutti e vincolanti, il proprio punto di vista dei valori non è l'unico valido ed accettabile (il valore della vita per esempio è ritenuto universale ma in realtà guerre e omicidi ci dimostrano altro). Invero, quelli riconosciuti come diritti universali stabiliti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 promossa dalle Nazioni Unite. Il fondamento del valori universali sembra pertato risiedere nel consenso generale da parte degli stati facenti parte dell'assemblea ONU (ad oggi 198), una sorta di convenzione universale. Da subito tale Dichiarazione fu percepita come espressione dei valori della società occidentale e della visione giudaico-cristiana del mondo, infatti 1981 fu promulgata la Dichiarazione islamica dei diritti dell'uomo. Questa origine contingente dei valori ha consentito la formazione della prospettiva relativista. I valori sono locali, storicamente inquadrati, eterogenei in termini spaziali (ciò che è bene in una società è male in un'altra) e dinamici (cambiano nel tempo nella medesima comunità). I relativisti difendono il principio della tolleranza e del rispetto dei vari profili dei valori dei diversi paesi, così come il principio di non ingerenza nei valori delle altre società; tuttavia, questo giustificare qualsiasi valore può portare ad un atteggiamento di indifferenza verso gli altri. Allo stesso tempo può condurre al prevalere dei valori di gruppi che tendono a prevaricare con la forza, aggressività e violenza (esportazione dei valori da un popolo a un altro, facendo ricorso alla guerra. Statuto necessario dei valori. Dallo stato di contingenza dei valori deriva quello della necessità: lo stato di necessità dei valori attribuisce loro visibilità, consistenza e continuità nel tempo. Fornisce agli individui le linee di condotte cui attenersi, assegna responsabilità delle azioni, nonché promuove il confronto fra i valori dei diversi gruppi umani. Una volta istituiti in una comunità diventano vincolanti e tassativi per la stessa. La loro violazione è considerata come la rottura di un patto. Assieme ai valori specifici, vi possono essere valori comuni: prospettiva pluralista ovvero una via intermedia fra assolutismo e relativismo basato sulla molteplicità. Mentre il relativismo si fonda sul consenso generale fra i gruppi umani partecipanti, il puralismo si basa sul confronto diretto e sullo scambio fra gruppi interessati → tale confronto implica il riconoscimento reciproco della legittimità del proprio punto di vista, quale esito di incessante negoziazione per la ricerca delle convergenze nel rispetto delle divergenze. Segue il principio della tolleranza, ovvero la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza fra i gruppi, con pari dignità. Ciò non implica la disposizione ad accettare ogni cosa, bensì rifiuta l'intolleranza, intesa come sopruso, violenza, sopraffazione → la prospettiva pluralista segue il principio dell'intolleranza dell'intolleranza (Voltaire 1760 e Popper 1945). 2. MOTIVAZIONE Il nostro comportamento non è casuale, ma motivato (spiegato) da una serie di cause ed è orientato alla realizzazione di determinati scopi e soddisfazione di specifici bisogni. La motivazione è una spinta a svolgere una certa attività, è un processo di attivazione dell'organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. 2.1. Livelli di motivazione La motivazione prevede la presenza di livelli di complessità diversi fra loro, gerarchici: I riflessi → i riflessi rappresentano il sistema più semplice di risposta dell'organismo come reazione a stimoli esterni o interni; sono meccanismi innati, automatici, involontari, determinati e regolati da dispositivi neurofisiologici a base genetica. Svolgono una funzione di difesa nei riguardi degli stimoli nocivi o di regolazione dell'organismo. La coscienza ha importante funzione di integrazione Il cognitivismo afferma che l'uomo tende a raggiungere il successo cercando di evitare l'insuccesso; inoltre, questa fornisce elementi utili per spiegare l'induzione di bisogni nuovi negli individui (per es. la tecnologia crea in continuazione nuovi bisogni per rispondere a standard di vita sempre più elevati). 4.4. Punto di vista interazionista Secondo il punto di vista interazionista, le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dalle interazioni con gli altri. Anche a livello delle motivazioni primarie (fame, sessualità), i rapporti interpersonali assumono un ruolo fondamentale nell'orientare la loro manifestazione e il loro soddisfacimento (es. cibo ai matrimoni e celebrativo). 5. MOTIVAZIONI SECONDARIE David McClelland (1985), nella sua teoria dei bisogni, ha individuato tre grandi costellazioni di motivazioni secondarie: bisogno di affiliazione, il bisogno di successo e il bisogno di potere. 5.1. Bisogno di affiliazione Il bisogno di affiliazione consiste nel ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di fare parte di un gruppo. Gli individui motivati dall'affiliazione hanno un forte senso di appartenenza al gruppo e riservano una quota rilevante di risorse per la cura delle relazioni sociali. Il bisogno di affiliazione e assai più forte e diffuso nelle culture orientali ove vale il principio dell'interdipendenza, ovverso il senso di reciprocità e appartenenza, come predominio del gruppo sull'individuo. Bisogno di attaccamento. Una delle radici della condotta affiliativa è da attribuire alla relazione di attaccamento che il bambino piccolo sviluppa con la figura di accudimento (la madre) nella prima infanzia. Secondo la teoria dell'attaccamento elaborata inizialmente da Bowlby e poi ripresa da altri studiosi, la relazione di attaccamento è definita da: a) la ricerca della vicinanza alla figura preferita (fisica e psicologica); b) la funzione di “base sicura” svolta dalla figura preferita (fonte di sicurezza); c) la protesta per la separazione (in caso di allontanamento, il bambino reagisce con pianto, urla, proteste). Facendo ricorso a un'esperienza di separazione, codificata in una situazione-test, Mary Ainsworth e colleghi hanno classificato il sistema delle condotte (ostili) di attaccamento in 3 tipi: 1) attaccamento insicuro-evitante (avendo sperimentato numerosi rifiuti il bambino mostra pochi segnali di angoscia per la separazione); 2) attaccamento sicuro (non angosciato in caso di separazione ma rassicurato dalla figura d'appoggio dell'adulto); 3) attaccamento insicuro ansioso-ambivalente (angosciato in caso di separazione, cerca e rifiuta allo stesso tempo il contatto con la madre). A questi 3 tipi, Mary Main e Judith Solomon hanno aggiunto un quarto tipo di attaccamento: insicuro-disorganizzato: in caso di allontanamento il bambino mostra un comportamento incoerente (confuso). Queste condotte di sicurezza o insicurezza nei legami con gli altri favoriscono l'elaborazione di modelli operativi interni, ovvero sistema organizzato di rappresentazioni mentali che riguardano credenze e aspettative del bambino nei confronti delle risposte della figura di attaccamento. Tali modelli sono relativamente stabili, anche se soggetti a modificazioni in funzione delle varie esperienze di attaccamento fatte dall'individuo; si dimostrano efficaci nella scelta del partner, nella costruzione del legame, nonchè nei processi di separazione della coppia. Comportamento pro-sociale e altruismo. Grazie alle precoci esperienze di attaccamento, i bambini, già nel secondo anno di vita, mostrano sensibilità verso i problemi altrui e partecipano alla sofferenza. Questo comportamento prosociale è alla base della relazione di aiuto, della cooperazione e condivisione delle esperienze; nello stesso periodo in cui compare il comportamento prosociale, il bambino sviluppa la competenza opposta di far soffrire gli altri. Il comportamento prosociale nell'adulto si manifesta con la capacità di collaborazione; tale comportamento implica la capacità di assumere il punto di vista altrui. Un caso emblematico di comportamento prosociale e l'altruismo; abbiamo un comportamento di altruismo spontaneo quando l'azione di un individuo genera vantaggi per gli altri anche a discapito di se stessi. Si ha altruismo reciproco quando un individuo presta aiuto ad un altro a condizione di essere ricambiato. Perchè siamo altruisti? Da dove nasce l' altruismo? Gli sviluppi della teoria evoluzionistica di Darwin (1859, la quale spiegava l'altruismo con la selezione naturale, istinti che consentono la prosecuzione della specie stessa grazie a forme più resistenti nella lotta per l'esistenza) hanno sottolineato gli aspetti genetici dell'altruismo. La selezione naturale favorisce i singoli che si comportano in modo tale da accrescere il successo riproduttivo del gruppo: è il concetto di selezione di gruppo 1962, i vantaggi riproduttivi per il gruppo hanno successo solo se sono svantaggiosi per il singolo, pertanto gli individui altruisti sono disposti a non riprodursi per aumentare le risorse per il gruppo. Questa concezione e stata ridimensionata dalla teoria della selezione di parentela proposta da Hamilton 1964; egli ipotizza l'esistenza di un gene per l'altruismo: il comportamento altruistico produce un vantaggio globale per la famiglia superiore a quello raggiungibile senza tale comportamento. L'altruismo è una condotta caratterizzata da aspetti di ambiguità: non è solo un atto di generosità e di beneficenza. È una relazione di aiuto in cui si realizza un gioco complesso fra il benefattore e il beneficiario. L'aiuto richiesto può suscitare reazioni positive nel destinatario, poiché vede soddisfatta la sua richiesta. Tuttavia, può essere considerato come minaccioso, a causa dell'implicita inferiorità e dipendenza di chi chiede aiuto. 5.2. Bisogno di successo Il bisogno di successo consiste nella motivazione a fare le cose al meglio per un intrinseco bisogno di affermazione e di eccellenza. Il bisogno di successo individuale è fortemente distintivo della cultura occidentale, poiché privilegia i valori dell'indipendenza e dell'autonomia, l'affermazione di sè e l'individualismo. Per contro, nelle culture orientali detto bisogno è più attenuato a favore dei bisogni di affiliazione, di armonia e di appartenenza (talora punito nei bambini quale forma di egoismo e ostilità). Bisogno di successo e aspettative. Una delle radici più importanti del bisogno di successo è data dall'estensione delle aspettative che le figure parentali nutrono nei confronti del figlio. Se le aspettative sono: -elevate e realistiche, vi è una buona probabilità che il figlio sviluppi un elevato bisogno di successo; -eccessivamente alte o troppo basse, il bambino cresce con un modesto bisogno di successo. Il livello di motivazione al successo appare quindi associato al modello familiare di educazione. Bisogno di successo e motivazione al lavoro. Il lavoro umano consiste in un'attività produttiva organizzata in modo collettivo da un'istituzione, che può essere alimentata e sostenuta da tre principali motivazioni: • motivazione razionale-economica (stipendio, sostentamento dei bisogni); • motivazione sociale (appagamento attraverso le relazioni sociali sul lavoro); • motivazione all'autorealizzazione (migliorare, progredire). 5.3. Bisogno di potere Il bisogno di potere consiste nell'esigenza di esercitare la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha un forte bisogno di potere cerca di occupare posizioni di comando e di concentrare l'attenzione altrui su di sè. Tale bisogno nasce da uno stato di disagio e di insicurezza interiore che si placa solo attraverso la strumentalizzazione dell'altro, al fine di dimostrare la propria capacità di dominio sociale. Relazione di potere. Il potere non è un'entità assoluta, a sè stante, ma va concepito come una relazione fra A e B; la relazione è definita da vari parametri: a) le risorse possedute da A; b) l'asimmetria (A maggiore di B); c) la sfera del potere (il potere di A su B); d) la creazione di aspettative (A ha potere su B se B si aspetta che, adeguandosi ad A, ottenga dei vantaggi). Pertanto, la relazione di potere è intrinsecamente instabile ed è polemica, luogo di scontro; implica pertanto il concetto di coercizione e costrizione. Potere e leadership. La leadership, intesa come attività di comando, prevede di occupare una posizione sociale in grado di prendere decisioni nei confronti degli altri e di dirigere le loro azioni verso un certo traguardo. Vi sono vari stili di leadership: - autoritario: accentratore e verticistico; - democratico: partecipativo e condiviso; - permissivo: laissez-faire, delega piena. Ogni stile ha vantaggi e svantaggi e non esiste uno migliore dell'altro, poiché la leadership va considerata in una determinata situazione, in funzione del momento, delle condizioni generali e del contesto, i quali determinano lo stile di comando più adeguato. La psicologia distingue fra due tipi di leader: -il leader funzionale: concentrato sul raggiungimento degli obiettivi e sulla realizzazione dei compiti; è attivo e dinamico, possiede idee ed una spiccata attitudine al problem-solving; -il leader socioemotivo: impegnato a mantenere la coesione del gruppo, si impegna per favorire i rapporti interpersonali. 5.4 Competenza, motivazione intrinseca e interessi Esiste inoltre un livello motivazionale di base che riguarda l'esigenza intrinseca di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. In base a questi processi riusciamo ad attribuire un senso alla nostra esistenza e a occupare una posizione favorevole nel gruppo. Entra in gioco il senso della propria competenza di base quale capacità di realizzare con successo i propri obiettivi, è una motivazione di fondo, essenziale per continuare a vivere. sono emozioni miste (secondarie), intese quali miscele delle emozioni primarie (teoria della tavolozza). Accenniamo qui secondo Ekman, le espressioni facciali delle emozioni primarie sono universali, in quanto configurazioni distinte del sistema nervoso autonomo → vi è dunque corrispondenza biunivoca fra emozione ed espressione. Le emozioni avrebbero un’insorgenza rapida e una durata breve (minuti, non ore) e sarebbero accadimenti involontari e automatici che capitano nella vita di un individuo ma che non possono essere scelti. La concezione categoriale come generi naturali ha ricevuto aspre critiche poiché non tiene conto del contesto immediato e degli aspetti culturali, privilegiando gli aspetti biologici ed evoluzionistici. 1.3.Teoria dell’ “apprasail” In contrapposizione alla concezione categoriale, la teoria dell'appraisal, sorte negli anni 60, sostengono che le emozioni siano suscitate da un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento ai propri significati, interessi e scopi. L'interesse come centro delle emozioni. L’interesse è il cuore delle emozioni, poiché è ciò che attribuisce significato affettivo agli eventi. Questi costituiscono un atteggiamento affettivo basilare, e le emozioni sono un loro sviluppo. È ovvio che le emozioni siano strettamente collegate con le relazioni interpersonali; sono indispensabili per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona. Possiamo distinguere gli interessi: profondi, i quali riguardano gli scopi, le aspettative e i desideri generali condivisi dalla maggioranza delle persone; superificiali, i quali concernono gli scopi e i desideri di una singola persona o di singoli gruppi. Vi è dunque una stretta connessione fra interessi e desideri poiché i desideri sono il motore del nostro funzionamento mentale. La valutazione cognitiva. Secondo la psicologia ingenua, le emozioni si oppongono alla razionalità e sono considerate passioni, simili a condotte istintive che sorgono e si svolgono in modo involontario, senza che siano previste né programmate dall’individuo. Le emozioni capitano nella nostra vita e non possiamo scegliere quale emozione provare, o quando. Rispetto a questa prospettiva, le teorie dell’appraisal pongono in evidenza come le emozioni siano profondamente intrecciate con i processi cognitivi, poiché la loro attivazione implica l’elaborazione cognitiva della situazione. Fra emozione e cognizione esiste un legame diretto molto forte: le emozioni non compaiono all’improvviso senza una ragione d’essere, bensì sono l’esito di un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento alle sue aspettative nonché agli standard sociali e culturali. Le emozioni, suscitate da una valutazione cognitiva della situazione, implicano una sconnessione e una mediazione fra antecedente e condotta emotiva e hanno una stretta connessione con l’importanza degli scopi e interessi dell’individuo; le emozioni sorgono in risposta alla struttura di significato di una data circostanza: sono attivate dai significati e vaori che un individuo attribuisce a questo stimolo. Situazioni che soddisfino i suoi scopi e desideri suscitano emozioni positive; situazioni valutate come dannose o minacciose conducono a emozioni negative; situazioni inattese generano sorpresa e stupore. Le emozioni, quindi, cambiano quando cambiano i significati e i valori di riferimento o quando le situazioni sono valutate in modo differente → significato situazionale, il quale spiega la diversità e l'intensità delle emozioni. Le teorie dell’appraisal mostrano la flessibilità e versatilità delle emozioni, rispondendo in maniera efficace e tempestiva, continue nelle vicissitudini della nostra esperienza. Natura componenziale delle emozioni. Le teorie dell’appraisal rimandano ad una configurazione componenziale delle emozioni, poiché esse sono intese come mediatori fra il mondo interno e quello esterno, variando secondo alcune componenti continue. Di volta in volta, a seguito di una data valutazione della situazione, emerge una specifica emozione, chiamata emozione modale, ovvero la più compatibile con una data situazione. Es: se veniamo colti di sorpresa da un uomo che ci vuole derubare, le emozioni modali saranno sorpresa e paura. Inoltre, è evidenziata la condizione dimensionale delle emozioni, poiché variano in continuazione lungo diverse dimensioni (Wundt 1896). La prospettiva dell’apprasail consente inoltre di capire meglio le vicissitudini delle emozioni nel loro decorso, poiché le stesse sono suscitate non solo da stimoli ambientali, ma possono essere suscitate anche da altre emozioni. Altresì la memoria di esperienze emotive passate può attivare la medesima emozione, anche in assenza di ragioni oggettive per il suo insorgere → attacchi di panico. 1.4.Teoria costruttivistica La teoria costruttivistica, sostenuta da diversi studiosi ('80-'90) come Averill, Harré e Mandler, si pone agli antipodi della teoria dei programmi affettivi. Le emozioni si configurano non come fenomeni biologici, bensì come prodotti sociali e culturali; costituiscono processi coordinati e appresi che servono a regolare le interazioni sociali fra gli individui più che a salvaguardare la sopravvivenza biologica. Il punto di partenza della teoria costruttivistica è la registrazione delle emozioni nella memoria. Quando si verifica un episodio emotivo, le informazioni relative agli antecedenti situazionali sono organizzate in circuiti di memoria che, nel loro insieme, costituiscono lo schema emotivo di quell’episodio; la ripetizione di quell’episodio favorisce il consolidamento della memoria; a questo punto anche una sola parte dello schema può attivare una specifica emozione corrispondente. Le emozioni vanno intese come uno standard di condotta sociale, acquisito attraverso educazione familiare e scolastica, che indica e prescrive come comportarsi in date situazioni. Gli schemi emotivi sono assimilazione e rappresentazione interna delle norme valori e credenze della cultura di riferimento → tesi prescrittiva delle emozioni, ovvero sono un insieme socialmente atteso di risposte. L’emozione è puramente situazionale, non esiste fuori, ma è prodotto culturale che implica anche l'attivazione dell'organismo. 2.PRINCIPALI COMPONENTI DELLE EMOZIONI Le emozioni sono processi articolati in cui convergono in modo sinergico sia aspetti neurobiologici sia attività mentali. 2.1. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni Le componenti essenziali puramente neuro-fisiologiche cui riferirsi riguardo a cervello emotivo sono l’ipotalamo e l’amigdala. L'ipotalamo → svolge la funzione di governo del sistema autonomo, è la sede della regolazione centrale dell’ambiente interno dell’organismo (omeostasi: temperatura, fame, sazietà, sete, sessualità ecc…). Per quanto riguarda le emozioni, la stimolazione di specifici siti dell’ipotalamo nella regione mediale produce reazioni emotive complete. In generale l’eccitazione dell’ipotalamo posteriore genera in modo prevalente risposte simpatiche ad alta attivazione dell’organismo (collera, paura), mentre la stimolazione dell’ipotalamo anteriore produce risposte parasimpatiche a bassa attivazione (tristezza e depressione). L'amigalda → svolge notevoli funzioni, è il computer dell'emotività poiché composta da diversi nuclei; è un sistema di connessione e di raccordo fra tutte le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente e i vari sistemi di risposta emotiva. L’amigalda è coinvolta nella rilevazione più dell’intensità emotiva degli stimoli che della loro valenza positiva o negativa. L’intreccio delle connessioni sinaptiche fra l’amigalda e specifiche regioni corticali è deputato alla modulazione delle risposte emotive a livello visceromotorio, mediante una sorta di memoria affettiva di lavoro. La regione prefrontale destra reagisce in modo tempestivo e forte a situazioni spiacevoli, mentre quella sinistra risponde in modo più graduale agli eventi piacevoli. Questa asimmetria fra emisfero destro e sinistro conferma l’ipotesi avanzata anni addietro da Richard Davidson circa la specializzazione emotiva degli emisferi cerebrali. 2.2 Attività mentali coinvolte nelle emozioni La nostra mente partecipa nel suo insieme all’insorgenza, allo sviluppo, alla manifestazione e regolazione delle emozioni. 2.2.1 Le “leggi” delle emozioni Nel loro decorso, le emozioni mostrano delle regolarità che indicano un modello peculiare di funzionamento mentale. Tali regolarità, chiamate leggi da Nico Frijda 2007, possono essere utili per comprendere per quali ragioni proviamo le emozioni. Dal punto di vista mentale le emozioni sorgono come risposta alle informazioni che definiscono il significato delle situazioni è la cd. → legge del significato situazionale (emozioni diverse per significati diversi - come evidenza l’appraisal) e sono connesse con gli eventi considerati importanti per gli interessi degli individui → legge dell’interesse. La legge della realtà manifesta → secondo la quale le emozioni sono più intense tanto più sono rilevanti gli accadimenti osservabili immediatamente e direttamente nel contesto immediato. Inoltre, i cambiamenti, soprattutto inattesi, sono un fattore importante di attivazione delle emozioni → legge del cambiamento. Per contro, la ripetizione delle medesime condizioni conduce a un’attenuazione delle emozioni → legge dell’assuefazione. Per quanto concerne la legge dell'assuefazione, va evidenziato che le situazioni piacevoli, se ripetute, facilmente conducono ad assuefazione, mentre le condizioni penose generano emozioni negative durature (→ legge dell’asimmetria edonica). Le emozioni positive sono contingenti, rispecchiano i cambiamenti e diminuiscono con la ripetizione degli stimoli piacevoli, mentre quelle negative persistono nel tempo. In linea di massima, siamo indotti a considerare la situazione in modo da minimizzare il carico emotivo negativo e di massimizzare il guadagno emotivo positivo (legge del carico minimo e del guadagno massimo). Questo avviene a causa della nostra inclinazione a prestare maggiore attenzione e a imparare di più dalle informazioni negative che da quelle positive. È la distorsione della negatività, intesa come disposizione generale ad essere influenzati molto più dalle informazioni negative (impatto maggiore) che da quelle positive. Legge della precedenza del controllo → le emozioni prendono il sopravvento sulle azioni in corso data dalla legge della vicinanza → condizione di contingenza o di vicinanza delle emozioni con gli eventi che interferiscono con gli interessi dell'individuo nell'azione. 2.2.2 Emozioni e memoria Come detto, le emozioni sono connesse alla memoria, ed i rapporti sono densi e articolati. quelli cognitivi e a quelli sociali: -Novità: l’organismo valuta la novità e la discrepanza dello stimolo rispetto alle proprie aspettative; -Piacevolezza\Spiacevolezza intrinseca: l’organismo valuta la qualità edonica dello stimolo. La piacevolezza suscita risposte di avvicinamento, appartenenza ed inclusione; mentre la spiacevolezza induce reazioni di allontanamento, fuga, rigetto o attacco. -Pertinenza dello stimolo per i bisogni e gli scopi dell’organismo: il soggetto procede a valutare se un certo stimolo favorisce o ostacola il raggiungimento dei propri scopi e desideri. -Capacità di far fronte (“coping”) allo stimolo: l’organismo si trova a valutare le proprie possibilità di controllo nei confronti dello stimolo emotigeno, nel verificare la natura della causa, nell’accertare il grado di controllabilità dell’evento attraverso il ricorso a un’azione specifica o, in caso di impotenza, nel procedere a una sorta di ristrutturazione interna degli scopi, dei desideri e el concetto di sé. Il coping può essere primario (capacità controllare l'evento che ha attivato l’emozione), secondario (capacità di gestire le proprie reazioni emotive). Può essere attivo (prontezza ad entrare in azione), o passivo (preparazione alla difesa). Posto a parte merita il coping intrapsichico, quale tendenza dell’individuo a valutare un evento come più favorevole di quanto non consenta in un primo momento lo stato reale delle cose, attraverso la negazione, humor,ecc. -Compatibilità con le norme sociali e con l’immagine di sé: il soggetto valuta se e quanto la situazione emotigena sia conforme con gli standard e le aspettative del proprio gruppo sociale. Si tratta delle cd. emozioni autoconsapevoli. → Le emozioni rappresentano quindi l’indicatore per la lettura dello stato psicologico dell'individuo, in quanto impegnato ad affrontare le diverse situazioni. 3.2 Dare un nome alle emozioni Provata un’emozione, dobbiamo darle un nome, etichettarla. Non è un'operazione semplice, talvolta vi sono discrepanze fra ciò che sentiamo (esperienza interna) e il vincolo di chiudere tale esperienza in una categoria. Le nostre sensazioni interne, chiamate da Daniel Dennet 1988 qualia, sono sfuggenti. 3.2.1 Lessico emotivo Il lessico emotivo è l'insieme delle entrate lessicali che in una lingua riguardano il mondo delle emozioni, dei sentimenti e degli affetti. Esiste un lessico universale delle emozioni? Sembra esistere un soddisfacente grado di somiglianza nei concetti emotivi fra le diverse culture, almeno a livello superficiale, poiché presentano diversità nei lessici emotivi. Questi si distinguono anche per estensione: dal lessico emotivo inglese di oltre 2.000 parole a quello cinese con 750 e dei Chewong con 10 parole → per il bambino, il primo ambiente facilita la differenziazione delle esperienze emotive. L'assenza della parola non è assenza di emozione. L'estensione del lessico comporta il problema della traducibilità dei significati delle esperienze emotive da una cultura all'altra, si pensi che il termine stesso “emozione” non è universale ed è assente presso alcune popolazioni, le quali hanno parole diverse per riferirsi alle esperienze emotive. Culture diverse, parole emotive diverse per la stessa emozione. Questa diversità culturale fra i lessici emotivi comporta rilevanti specificità linguistiche, che, a loro volta, influenzano in modo significativo le possibilità della corrispettiva competenza emotiva e affettiva. Diversi termini emotivi presenti nella lingua italiana non hanno l’equivalente semantico e lessicale in altre lingue e viceversa. 3.2.2. Categorie emotive Tassonomia delle parole emotive. Le categorie emotive sono strutturate secondo la dimensione verticale, avendo come: livello sovraordinato la categoria EMOZIONE, come livello di base categorie quali FELICITA’, PAURA, COLLERA, TRISTEZZA, ODIO, come livello subordinato categorie quali IRRITAZIONE, AGITAZIONE, FRUSTRAZIONE, FASTIDIO, RABBIA, FEROCIA,VENDETTA,FURIA in relazione a COLLERA. Il dominio EMOZIONE prevede un’organizzazione gerarchica interna simile a quella di molte altre categorie. Tale struttura gerarchica è regolata dalla presenza di alcune dimensioni come -valenza edonica (piacevoli o spiacevoli) -l’intensità (alta attivazione come la paura e bassa attivazione come tristezza) -la causa delle emozioni (esperienze di sé o degli altri). Per contro, le categorie emotive si sono dimostrate meno compatibili con la dimensione orizzontale della categorizzazione concernente la comparsa di prototipi, intesi come gli elementi che rappresentano al meglio e in modo esemplare la categoria medesima: tale condizione implica che le categorie emotive siano situate, associate a una circostanza particolare, dipendenti dal contesto. Categorie emotive e cultura. Le categorie emotive non sono rappresentazioni mentali di “generi naturali”, bensì modelli mentali, ampiamente influenzati dalla cultura. Esempio della categoria COLLERA: condotta emotiva di difesa e di attacco a fronte di un ostacolo che impedisce il raggiungimento o il mantenimento di una condizione desiderata. Essa assume significati molto diversi nelle culture; anche l'atteggiamento collettivo è differente a seconda della cultura. 3.2.3.Script emotivi Le categorie emotive sono costrutti articolati e rimandano a esperienze che nascono, si sviluppano e si esauriscono nel tempo. In quanto tali, le emozioni, pur essendo apparentemente caotiche, seguono un copione o script, inteso come una forma schematica di rappresentazione mentale di un evento, organizzata in modo sequenziale a livello temporale e psicologico, nella quale l’evento in esame è scomposto in sottoeventi (prospettiva applicata alle emozioni negli anni 80) → le emozioni sono scomponibili in una sequenza e sono organizzate con una configurazione globale definita. Il modello dello script emotivo comporta un metodo di analisi e sintesi, di scomposizione e ricomposizione dell’esperienza emotiva nelle sue diverse componenti essenziali e tipiche; è una teoria della conoscenza, poiché indica il percorso mentale utilizzato per cogliere, assemblare e ordinare le informazioni derivanti dal flusso degli eventi, nonché per impiegarle in modo efficace. Nello stesso tempo, lo script consente di collegare in modo interdipendente gli aspetti semantici delle emozioni con le pratiche quotidiane a esse connesse. 4.Manifestazione delle emozioni Non solo le emozioni sono “sentite”, ma sono altresì manifestate all’esterno dall’intero organismo. Diversamente dai pensieri, dalle fantasie e dai ricordi, le emozioni “emergono” in modo visibile dal nostro corpo attraverso una serie molto estesa di indizi più o meno palesi. Parliamo di ostensione emotiva. La comprensione delle emozioni implica l’analisi del percorso e dello scambio fra chi prova emozioni (manifestate all'esterno attraverso indizi in parte osservabili) e chi le osserva (il quale attribuisce determinati stati d'animo al primo). 4. MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI 4.1 Espressioni emotive della faccia Le espressioni facciali sono universali, dinamiche e mutevolicapaci di assumere una gamma molto estesa di forme, attivate e regolate da un gruppo ampio di fasce muscolari volontarie, idonee a produrre movimenti anche lievi e sottili. 4.1.1. Fisiognomica delle emozioni Fin dall’antichità, le espressioni facciali sono state oggetto di studio da parte della fisiognomica. Già Aristotele, sosteneva che le emozioni naturali generano segnali per cui siamo in grado di inferire il carattere di una persona dalle sue sembianze. Tale concezione fu sviluppata poi, fra gli altri, da Darwin 1872 come supporto alla sua teoria evoluzionistica, da Cesare Lombroso 1876 nell’ambito dell’antropologia criminale e da Lersch 1932 nel dominio della caratterologia. Secondo la fisiognomica, la conformazione del volto produce specifiche espressioni facciali. Essa si fonda sul metodo del giudizio (concezione strutturalista). Questa concezione fu rivoluzionata dalla metodologia neurofisiologica messa a punto da Ekman e Friesen 1978. essi seguirono il metodo delle componenti, che consente di misurare in modo accurato le diverse componenti motorie di una data configurazione facciale. Attraverso meticolose misurazioni elettromiografiche dei muscoli facciali, Ekman e Friesen furono in grado di individuare 44 “unità di azione”, ossia movimenti elementari, attivati da una o più fasce muscolari striate, in grado di dare origine a oltre 7000 configurazioni espressive della faccia → sulla scorta di questo, elaborarono il FACS, sistema di tutti i movimenti facciali visibili, fondato sulla rilevazione dei loro correlati anatomo-fisiologici. 4.1.2. Ipotesi dell’universalità delle espressioni emotive Per primo Darwin (1872) si è chiesto se le espressioni facciali delle emozioni fossero culturalmente invarianti; giunse alla conclusione che le emozioni fossero categorie discrete (emozioni di base), che le loro espressioni facciali fossero universali in quanto attivate da esperienze emotive comuni e che fossero riconosciute in modo attendibile dagli intervistati (ipotesi dell’universalità). Inoltre, quelle degli esseri umani hanno caratteri comuni con quelli di primati non umani (ipotesi della continuità evoluzionistica). I dati di partenza. A un secolo di distanza, Ekman, Sorenson e Friesen 1969, si sono proposti di verificare empiricamente le affermazioni di Darwin. Basandosi sul metodo standard (mostrare fotografie di espressioni facciali a varie culture anche non alfabetizzate), questi studiosi si sentirono autorizzati ad affermare che le espressioni facciali emotive sono Gestalt unitarie e chiuse, universali e fisse, di natura discreta. L’espressione facciale di ciascuna delle sei emozioni di base (collera, disgusto, paura, gioia, tristezza, sorpresa) è unica e universale, presente in tutte le culture, riconosciuta da tutti in modo attendibile. Inoltre, alla nascita, le emozioni di base emergono già strutturate e distinte seguendo un programma maturativo innato (teoria differenziale). L’universalità e il fondamento genetico delle espressioni emotive facciali sarebbero dimostrate dalle condotte emotive degli individui non vedenti congeniti: sono state notate notevoli somiglianze nell’attivazione delle espressioni facciali spontanee delle emozioni in soggetti vedenti e non vedenti sia nei bambini sia negli adulti. Seppur la mimica facciale dei non vedenti risulti assai più ridotta e limitata, Ekman ha sostenuto che le espressioni facciali delle emozioni siano biologicamente programmate, universali e univoche, costanti in tutte le culture. Regole di esibizione e teoria neuroculturale. Ekman, pur ribadendo la determinazione genetica e l’universalità delle espressioni emotive della faccia, ha ammesso che nella loro esibizione esistono rilevanti differenze culturali. Tali differenze espressive sono generate e governate dalle regole di esibizione, apprese nei primi anni di vita in funzione delle esperienze e degli apprendimenti culturali. Data una certa situazione impariamo a esprimere le emozioni così come le stiamo provando (genuinità), ad aumentare le loro espressioni mostrando più di quanto sentiamo (accentuazione), a diminuirle manifestandole di meno (attenuazione), a nasconderle del tutto non Congruenza vs incongruenza fra gesti ed espressioni facciali. Le situazioni di congruenza contro incongruenza fra le manifestazioni emotive della faccia e quelle dei gesti consentono di verificare come elaboriamo informazioni emotive complesse. Nella situazione in cui le espressioni provenienti da entrambi questi sistemi siano fra loro coerenti, abbiamo un forte incremento nell’accuratezza dei giudizi sia per la faccia sia per i gesti. Per contro, nella condizione di conflitto tra le manifestazioni emotive della faccia e quelle dei gesti, i soggetti tendono ad attribuire maggiore importanza ai gesti. In generale, il valore emotivo dei gesti tende a prevalere su quello della mimica facciale. 5. REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI 5.1 Equilibrio instabile nella regolazione emotiva Come esseri umani, non solo proviamo emozioni, ma siamo anche in grado di procedere alla loro regolazione. A fronte delle emozioni abbiamo una serie di grandi libertà che ci consentono di regolarle in modo selettivo. La regolazione delle emozioni va considerata come loro parte integrante, e opera fin dal momento in cui esse sorgono. La regolazione delle emozioni consiste nel dare forma alla condotta emotiva a fronte di un evento saliente, in modo da orientare la sua esperienza e manifestazione nel senso più consono ed efficace con la situazione. E’ un processo che mettiamo in atto molto spesso. Nel processo di regolazione occorre evitare qualsiasi forma di eccesso. Da un lato, abbiamo il rischio di un’iperregolazione emotiva come controllo rigido e costante delle esperienze affettive attraverso processi legati alla soppressione e alla coartazione delle emozioni. Dall’altro, vi è l’iporegolazione emotiva, che comporta manifestazioni di impulsività, reattività immediata agli stimoli emotigeni e labilità emotiva. 5.2 Principali percorsi di regolazione delle emozioni La regolazione delle emozioni prevede una gamma di processi concernenti le varie fasi dell’episodio emotivo: valutazione della situazione, attivazione dell’organismo, manifestazione dell’emozione stessa. James Gross e Ross Thompson hanno proposto un modello teorico che distingue fra le operazioni di regolazione concernenti gli antecedenti e quelle riguardanti la risposta emotiva. Gli antecedenti emotivi: sono 4 i principali interventi che gli individui possono compiere sugli antecedenti emotivi. Essi possono regolare le loro emozioni attraverso la selezione della situazione (accettare o evitare certe persone o certe situazioni poco desiderabili o diff da controllare); la modificazione della situazione (introdurre un elemento di cambiamento nel contesto fisico o sociale); la dislocazione dell’attenzione (concentrare le risorse attentive su alcune informazioni anziché su altre); la rivalutazione della situazione (attribuire un significato diverso alla situazione rispetto a quello standard). La risposta emotiva. In riferimento alla risposta emotiva, la regolazione delle emozioni consiste nel saperla modulare nelle sue diverse componenti. La modulazione può avvenire mediante farmaci (per l'ansia), jogging contro la depressione, esercizi di rilassamento come lo yoga. La modulazione riguarda altresì la calibrazione nelle forme delle espressioni: accentuazione o attenuazione della mimica facciale, della voce, della postura del corpo, ... Inoltre, è possibile modulare la risposta emotiva attraverso la condivisione sociale delle emozioni. Bernard Rimé ha rilevato che circa il 90% delle persone in età diverse condivide con altri le proprie emozioni, di solito, nel giorno stesso che le ha provate, anche se questa condivisione riattiva i sentimenti e le sensazioni fisiologiche provate durante l’episodio emotivo → questo favorisce la definizione del significato e la rilevanza personale e sociale. Infine, la modulazione della risposta emotiva può trarre rilevanti benefici dal riportare per iscritto le esperienze emotive provate nel corso della giornata. È il metodo della scrittura espressiva, messo a punto da James Pennebaker (1995). Ogni sera per circa 15-20 min occorre descrivere gli episodi emotivi provati durante il giorno, senza preoccuparsi dello stile e della grammatica. Questa pratica, che deve durare per un certo periodo di tempo (almeno una settimana), facilita il grado di apertura emotiva, consente di assumere una maggiore distanza dalle esperienze negative, espande il livello di elaborazione riflessiva e di comprensione emotiva. La regolazione delle emozioni è un indicatore valido e attendibile dell’intelligenza emotiva, intesa come abilità di percepire ed esprimere le emozioni, integrandole nel proprio pensiero, comprendendo e ragionando sulle emozioni stesse, nonché regolandole in se stessi e negli altri. 6. EMOZIONI E CULTURA Poichè le emozioni sono provate e manifestate nelle relazioni interpersonali, esse sono modellate dalle condizioni culturali. 6.1 Valutazione delle situazioni attivanti Dato che le emozioni sono attivate dal modo in cui interpretiamo le situazioni, la loro categorizzazione varia da cultura a cultura. In effetti, la cultura incide profondamente sulla prospettiva con cui considerare gli eventi emotivi: se dal punto di vista personale o degli altri. Nel caso dei cartoni animati, gli americani (indipendenti) si focalizzano sulle emozioni del protagonista, i giapponesi (interdipendenti) prestano attenzione anche gli altri presenti → l’esperienza emotiva è focalizzata sul gruppo nelle culture interdipendenti, mentre è centrata sull'individuo nelle culture indipendenti. Nella valutazione degli antecedenti emotivi, le culture individualistiche enfatizzano il conseguimento dei risultati positivi connessi con l’autoaffermazione. Sono culture della promozione delle emozioni positive. Per contro, quelle collettivistiche privilegiano l’evitamento dei risultati negativi, ponendo attenzione ai vincoli sociali, alle responsabilità di gruppo, all’armonia sociale. Sono culture della prevenzione e inibizione delle emozioni negative. Inoltre, le emozioni connesse con le relazioni interpersonali assumono una configurazione assai diversa in funzione della cultura. Svolgono un ruolo centrale nei rapporti sociali nelle società interdipendenti, assai meno in quelle indipendenti. 6.2 Manifestazione delle emozioni e cultura Anche la regolazione delle emozioni varia in modo profondo da cultura a cultura. Nelle culture occidentali le persone attribuiscono a se stesse la responsabilità e la capacità di governare le emozioni (controllo primario), e, in caso di successo, provano orgoglio. Gli individui appartenenti alle culture orientali considerano irrilevante il controllo personale, ma assegnano maggiore importanza al destino, alla partecipazione di più cause e all’interdipendenza con altri individui. In sintesi, ogni cultura fornisce una gamma estesa e comprensiva di criteri, spesso impliciti, in base ai quali valutare gli eventi, e di registri in grado di organizzare e manifestare le emozioni. 6.3 Memoria delle emozioni e cultura I sistemi di memoria variano in modo sistematico da cultura a cultura e questo incide anche sulla memoria emotiva. nelle culture occidentali → le persone ricordano più le esperienze positive che negative, tuttavia caratterizzate dall'ottimismo della memoria nelle culture orientali → i ricordi delle emozioni positive sono bilanciati da quelli delle emozioni negative. Tuttavia pessimismo della memoria. 6.4 Emozioni e predisposizione all’azione Le emozioni preparano gli individui all’azione in modo conforme agli standard previsti da ogni cultura ( i comportamenti legati alla gioia o alla felicità sono configurati dalla cultura). 6.5 Focalità emotiva e cultura Ogni cultura ha una matrice di modelli mentali tale per cui alcune emozioni sono più rilevanti di altre. Pertanto alcune sono centrali, altre periferiche o inesistenti. Le emozioni focali (centrali per una data cultura) fanno riferimento a eventi rilevanti per la vita quotidiana del soggetto, strutturati grazie a norme culturali chiare e condivise su come interpretare gli eventi e rispondervi. La focalità emotiva è connessa alle categorie emotive dominanti in una cultura, come, per esempio, la categoria del successo nella cultura americana, quella dell’onore a Bali o della dignità fra i beduini….Tale focalità innalza in modo rilevante la sensibilità emotiva delle persone di una data cultura a certe situazioni piuttosto che ad altre, con l’attivazione più tempestiva dell’attenzione e con la comparsa più immediata di reazioni. La focalità emotiva promuove la convergenza delle emozioni entro i membri di un gruppo o di una comunità → grazie a tale processo si osserva una sorta di regressione al centro che favorisce l’aumento del grado di regolarità e omogeneità emotiva negli individui che compongono il gruppo o la comunità. Questa condizione si manifesta nell'ipercognitivizzazione di alcune emozioni, ossia una cultura possiede una struttura cognitiva particolarmente elaborata rispetto ad esse; nell’ipocognitivizzazione di altre. Iper e ipo cognitivizzazione si riflettono nella granularità emotiva, intesa come la capacità di descrivere e qualificare in modo discriminante le esperienze emotive con precisione e accuratezza. In conclusione, le emozioni, pur essendo esperienze personali associate ai propri interessi e mostrate all’esterno, rivestono una profonda rilevanza relazionale per un soggetto che vive entro una varietà di contesti sociali e all’interno di una rete culturale, definita da convenzioni comunicative, pratiche quotidiane, norme, valori, credenze. Le emozioni sono, quindi, una cerniera fra il biologico, lo psicologico e il culturale, in grado di attribuire senso e vivacità alla nostra vita.