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Parafrasi Canto 17esimo GERUSALEMME LIBERATA, Esercizi di Letteratura Italiana

Parafrasi Canto 17esimo GERUSALEMME LIBERATA

Tipologia: Esercizi

2020/2021

In vendita dal 15/04/2021

Clarissa.RFr
Clarissa.RFr 🇮🇹

4.4

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CANTO DICIASSETTESIMO 1 Gaza è città de la Giudea nel fine, su quella via ch’inver Pelusio mena, posta in riva del mare, ed ha vicine immense solitudini d’arena, le quai, come Austro suol l’onde marine, mesce il turbo spirante, onde a gran pena ritrova il peregrin riparo o scampo ne le tempeste de l’instabil campo. 1 Gaza è una città posta ai confini (nel fine) della Giudea, su quel percorso (via) che conduce (mena) verso la città di Pelusio, posta in riva al mare e ha vicino sterminati deserti, il vento avvolgente (turbo spirante) mescola e solleva (mesce) le sabbie del deserto (le quai rif. al v. 4), come il vento del sud agita il mare, per cui (onde) con gran fatica (a gran pena) il viaggiatore (il peregrin) trova un riparo o la salvezza nelle tempeste del deserto sempre in movimento (instabil campo, perché modifica con il vento il suo aspetto) 2 Del re d’Egitto è la città frontiera, da lui gran tempo inanzi a i Turchi tolta; e però ch’opportuna e prossima era a l’alta impresa ove la mente ha vòlta, lasciando Egitto e la sua regia altera qui traslato il gran seggio e qui raccolta già da varie provincie insieme avea l’innumerabil oste a l’assemblea. 2 è situata al confine del regno d’Egitto, dove il suo re, Abdul Kassem (e cfr. I, 67, 2), già molto tempo prima l’aveva sottratta al dominio dei Turchi; il dato riportato da T. non è del tutto preciso, poiché la città passò sotto il controllo egiziano già nel 635- 640, durante il califfato di Omar I. ‘e dato che era vicina (prossima) e strategicamente ben collocata (opportuna) rispetto alla grande impresa, cioè la guerra contro i cristiani, che intende compiere (la mente ha volta)’ lasciando Egitto e la sua regia altera ha trasferito (traslato) qui, a Gaza, le sede del trono (il gran seggio) e ha chiamato qui a riunirsi (a l’assemblea) da molte province uno sterminato esercito (innumerabil oste) 3 Musa, quale stagione e qual là fosse stato di cose or tu mi reca a mente: qual arme il grande imperator, quai posse, qual serva avesse e qual compagna gente, quando del Mezzogiorno in guerra mosse le forze e i regi e l’ultimo Oriente; tu sol le schiere e i duci e sotto l’arme mezzo il mondo raccolto, or puoi dettarme. 3 Musa, ricordami tu ora (or tu mi reca a mente) quale tempo (stagione) e quale fosse in quel luogo la situazione; prende avvio la rassegna dell’esercito egiziano con un’invocazione alla musa, analogamente a quanto avveniva per quella l’esercito cristiano (cfr. I, 36, 1 e n.) ‘quali armi avesse il potente re d’Egitto (grande imperator), quali forze (posse), quante genti aveva come alleate (compagna) e a lui soggette (serva), quando dal Sud (Mezzogiorno, cioè dall’Egitto verso Gerusalemme) spinse in guerra le forze e i re delle estreme regioni orientali (ultimo Oriente) solamente tu, o musa, mi puoi suggerire, puoi dettarmi (dettarme) le schiere dei soldati, i comandanti (i duci) e il raduno di un enorme numero di uomini in armi (sotto...raccolto) 4 Poscia che ribellante al greco impero si sottrasse l’Egitto e mutò fede, del sangue di Macon nato un guerriero se ’n fe’ tiranno e vi fondò la sede. Ei fu detto Califfo, e del primiero chi n’ha lo scettro al nome anco succede. Così per ordin lungo il Nilo i suoi Faraon vide e i Tolomei dopoi. 4 dopo che l’Egitto ribellandosi si sottrasse all’impero Bizantino (greco) e da cristiano divenne mussulmano (mutò fede), un guerriero discendente di Maometto (dal sangue di Macon nato; si tratta di Muhammad al Kaim, genero del profeta) ne divenne il signore (tiranno) e vi fondò la capitale (la sede); in realtà onori e di potere (regno). 8 Ancor guerreggia per ministri, ed have tanto vigor di mente e di parole che de la monarchia la soma grave non sembra a gli anni suoi soverchia mole. Sparsa in minuti regni Africa pave tutta al suo nome e ’l remoto Indo il cole, e gli porge altri volontario aiuto d’armate genti ed altri d’or tributo. 8 ancora conduce guerre attraverso (per) i suoi ministri e ha, possiede (have) che il gravoso peso (soma grave) della carica di sovrano non sembra eccessivo (soverchio) per la sua età. divisa, disseminata (sparsa) in tanti piccoli (minuti) regni l’Africa trema per lo spavento (pave) solo a sentire il suo nome, e anche le popolazioni delle lontanissime regioni indiane lo venerano (il cole) e alcuni (altri) gli offrono volontariamente un aiuto di truppe armate (armate genti), altri tributi in oro. 9 Tanto e sì fatto re l’arme raguna, anzi pur adunate omai l’affretta contra il sorgente imperio e la fortuna franca, ne le vittorie omai sospetta. Armida ultima vien: giunge opportuna ne l’ora a punto a la rassegna eletta. Fuor de le mura in spazioso campo passa dinanzi a lui schierato il campo. 9 un re così forte e potente riunisce l’esercito (l’arme raguna), anzi avendole già riunite (pur adunate) le sollecita ormai (omai l’affretta ) contro il nascente (sorgente) impero e la fortuna dei cristiani (franca), ormai sospetta, minacciosa per i troppi successi; in altre parole, vede nei cristiani una fonte di pericolo anche per il suo regno; Armida si aggiunge per ultima: arriva proprio nel momento scelto (eletta) per la rassegna dell’esercito; si ricordi che la maga a XVI, 75 aveva deciso di partire alla volta di Gaza per mettere in atto la sua vendetta contro Rinaldo. inizia la rassegna dell’esercito egiziano; si noti che il distico riecheggia, anche nella rima equivoca campo | campo, quello di I, 34, 7-8 che dava analogamente avvio alla rassegna dei crociati. Più in generale i due cataloghi si rispondono a distanza, con una caratterizzazione di quello egiziano all’insegna dello sfarzo esotico e della babelica confusione di lingue 10 Egli in sublime soglio, a cui per cento gradi eburnei s’ascende, altero siede: e sotto l’ombra d’un gran ciel d’argento porpora intesta d’or preme co ’l piede, e ricco di barbarico ornamento in abito regal splender si vede: fan torti in mille fascie i bianchi lini alto diadema in nova forma a i crini. 10 il re d’Egitto sta seduto altero su un alto trono (sublime soglio), al quale si accede (ascende) salendo cento gradini di avorio (cento gradi eburnei) e sotto un padiglione dalla volta argentea (gran ciel d’argento) poggia i piedi su di un tappeto di porpora intessuto con fili d’oro (intesta d’or) e si vede risplendere in un abito regale impreziosito da fregi orientali (barbarico ornamento) i bianchi lini avvolti tra loro in mille giri formano un alto turbante, strana e inusitata corona da poggiare sulla testa (a i crini) 11 Lo scettro ha ne la destra, e per canuta barba appar venerabile e severo; e da gli occhi, ch’etade ancor non muta, spira l’ardire e ’l suo vigor primiero, e ben da ciascun atto è sostenuta la maestà de gli anni e de l’impero. Apelle forse o Fidia in tal sembiante Giove formò, ma Giove allor tonante. 11 Nella mano destra ha lo scettro e a causa della barba bianca (canuta) appare venerabile e severo; tratti che ricordano la ieratica rispettabilità del Catone dantesco (cfr. Purg. I, 31-36, già ripreso a XIV, 33); che la vecchiaia non ha cambiato, mutato; lo sguardo, in altre parole, resta vigile e forte, spira l’ardire dell’età giovanile, di quanto era nel fiore degli anni (primiero) e da ogni suo gesto (ciascun atto) è sorretta, dimostrata (sostenuta) la composta regalità (maestà) dell’età e del comando. forse Apelle o Fidia ritrassero (formò) in un simile atteggiamento (tal sembiante) Giove, ma Giove irato nell’atto di scagliare fulmini (Giove tonante); Apelle, famoso pittore greco vissuto nel IV secolo a.C.; Fidia (490 a.C.-430 a.C.), celebre scultore della Grecia. 12 Stannogli, a destra l’un, l’altro a sinistra, due satrapi, i maggiori: alza il più degno la nuda spada, del rigor ministra, l’altro il sigillo ha del suo ufficio in segno. Custode un de’ secreti, al re ministra opra civil ne’ grandi affar del regno, ma prence de gli esserciti e con piena possanza è l’altro ordinator di pena. 12 Gli uno alla sua destra e uno alla sua sinistra due ministri (satrapi), i più importanti strumento di giustizia; il primo dei due ministri è quello della guerra, per questo ritenuto il più degno (e vedi la spiegazione fornita ai vv. 5-8): l’altro ministro tiene il sigillo come emblema della sua carica; il sigillo serviva per deliberare leggi e decisioni del re, per cui il secondo ministro dovrebbe essere una sorta di cancelliere il secondo ministro (quello del sigillo) è custode dei segreti di stato, e offre, presta (ministra) al sovrano il suo servizio (opra civil) nei grandi affari di stato, ma l’altro ministro è con pieni poteri amministratore della giustizia (ordinator di pena) e comandante dell’esercito. 13 Sotto, folta corona al seggio fanno con fedel guardia i suoi Circassi astati, ed oltre l’aste hanno corazze ed hanno spade lunghe e ricurve a l’un de’ lati. 13 sotto – l’alto trono – è circondato (folta corona) da una schiera di uomini della Circassia armati di lancia 17 Quella che terza è poi, squadra non pare ma un’oste immensa, e campi e lidi tiene; non crederai ch’Egitto mieta ed are per tanti, e pur da una città sua viene: città, ch’a le provincie emula e pare, mille cittadinanze in sé contiene. Del Cairo i’ parlo; indi il gran vulgo adduce, vulgo a l’arme restio, Campsone il duce. 17 quella che sfila per terza non sembra una semplice squadra ma un esercito (oste) immenso, che occupa (tiene) campi e coste non crederesti che l’intero Egitto sia in grado di arare e mietere grano per così tanta gente, e pure vengono da una sua città che emula e pari a un’intera provincia, dove vivono mille etnie diverse dal Cairo (indi) guida l’enorme esercito, esercito restio a combattere, il capitano Campsone. 18 Vengon sotto Gazèl quei che le biade segaron nel vicin campo fecondo, e più suso insin là dove ricade il fiume al precipizio suo secondo. La turba egizia avea sol archi e spade, né sosterria d’elmo o corazza il pondo: d’abito è ricca, onde altrui vien che porte desio di preda e non timor di morte. 18 seguono poi comandati da Gazèl quelli che raccolgono le messi (le biade segaron) nella fertile pianura vicina al Cairo, e più all’interno dell’Egitto dove il Nilo (il fiume) ricade nella sua seconda cateratta (al precipizio suo secondo). La truppa egizia aveva solo archi e spade né sarebbe in grado di sopportare (sosterria) il peso dell’elmo o della corazza: indossa abiti preziosi, e ciò suscita nei nemici (altrui) il desiderio di rubarli per la ricchezza della preda, e non il timore della morte. 19 Poi la plebe di Barca, e nuda, e inerme quasi, sotto Alarcon passar si vede, che la vita famelica ne l’erme piaggie gran tempo sostentò di prede. Con istuol manco reo ma inetto a ferme battaglie, di Zumara il re succede; quel di Tripoli poscia: e l’uno e l’altro nel pugnar volteggiando è dotto e scaltro. 19 poi si vede passare sotto il comando di Alarcon la soldataglia (plebe) proveniente dalla Barca, quasi nuda e priva di armi (inerme); il territorio della Barca, anticamente Marmarica, è una ragione costiera dell’Africa settentrionale, posta tra Libia ed Egitto che visse per molto tempo sostentandosi nella dura vita desertica rubando e saccheggiando; con una schiera meno criminale ma inadatta a battaglie campali (ferme) segue il re di Zumara; Zumara è la capitale del popolo dei Nasamoni, che abitavano una regione posta lungo il Golfo della Sirte, poi a Tripoli e tutti e due questi eserciti sono abili (dotto) e rapidi (scaltro) a combattere con veloci attacchi e altrettanto repentine ritirate (volteggiando); è una spiegazione alla scarsa abilità alle ferme battaglie dei vv. 5-6. 20 Diretro ad essi apparvero i cultori de l’Arabia Petrea, de la Felice, che ’l soverchio del gelo e de gli ardori non sente mai, se ’l ver la fama dice; ove nascon gl’incensi e gli altri odori, ove rinasce l’immortal fenice, ch’in quella ricca fabrica ch’aduna a l’essequie, a i natali, ha tomba e cuna. 20 Dopo di loro (dietro) si videro (apparvero) i coltivatori (ma da intendersi per esteso, gli abitanti) dell’Arabia Petrea e Felice; l’Arabia Petrea (dal nome della capitale Petra) era posta a nord-ovest dell’Arabia (oggi corrispondente a Giordania, Siria meridionale, Sinai e parte dell’Arabia Saudita); quella Felice si estendeva invece nella parte meridionale della penisola arabica, nei territori oggi dello Yemen e Oman; se la loro fama è vera (’l ver...dice), non soffrono né il rigido freddo (’l overchio del gelo) né l’eccezionale arsura, calore, sono, in altre parole, insensibili alle condizioni climatiche, per quanto estreme. dove crescono le piante aromatiche dove rinasce la fenice immortale; si riferisce all’araba fenice, uccello che si pensava vivesse cinquecento anni e poi, una volta morto, rinascesse dalle proprie ceneri, divenendo così immortale; grandissima la fortuna letteraria di questo mitico uccello; che nel profumato nido (ricca fabrica), che costruisce (aduna) per la morte (essequie) e per la nascita (natali), ha sia la tomba sia la culla (cuna) 21 L’abito di costoro è meno adorno, ma l’armi a quei d’Egitto han simiglianti. Ecco altri Arabi poi, che di soggiorno certo non sono stabili abitanti: peregrini perpetui usano intorno trarne gli alberghi e le cittadi erranti. Han questi voce e feminil statura, crin lungo e negro, e negra faccia e scura. 21 indossano armature meno sfarzose di quelle degli egiziani (cfr. 18, 7-8), ma un simile armamento leggero (cfr. 18, 5-6). Ecco altri arabi che non sono abitanti di un luogo fisso; sono cioè gli Arabi Sceniti, popolazione nomade che vive nel deserto eterni nomadi (peregrini perpetui) portano sempre ovunque vadano (erranti) le tende e le città hanno voce e statura femminei, lunghi capelli (crin) neri, e la faccia di carnagione scura. 22 E gran canne indiane arman di corte punte di ferro, e ’n su destrier correnti diresti ben che un turbine lor porte, se pur han turbo sì veloce i venti. Da Siface le prime erano scòrte, Aldino in guardia ha le seconde genti, le terze guida Albiazàr ch’è fiero omicida ladron, non cavaliero. 22 hanno come armi delle canne con la punta di ferro e cavalcano cavalli velocissimi (correnti) tanto che li diresti trasportati del turbine di vento, se pure i venti sono in grado di formare turbini così veloci le prime truppe, quelle d’Arabia Petrea, accompagnavano il comandante Siface Aladino Saprallo ben (l’annunzio) il popol franco, ed è ragion ch’insino ad or ne tema. I suoi guerrieri indosso han la corazza, la spada al fianco ed a l’arcion la mazza. il suo minor pregio è che è un sovrano autonomo (libero diadema)’; quindi ha deciso di prestare soccorso al re d’Egitto volontariamente, non perché suo vassallo (e per questo l’inserto patetico della moglie a 26, 5-8 pare ancor più pregnante). così è abile nell’uso delle armi e così unisce a un valoroso coraggio una grandissima forza (gagliardia suprema). lo saprà ben, lo annuncio fin da ora (l’annunzio), l’esercito crociato, ed è ben motivo che già da adesso ne abbia timore (ne tema) con evidente contrasto rispetto ai soldati sfilati sino ad ora, quelli comandati da Altamoro, uomo di cui si sono fatti grandi elogi, sono armati di tutto punto, veri combattenti. 28 Ecco poi fin da gl’Indi e da l’albergo de l’aurora venuto Adrasto il fero, che di serpenti indosso ha per usbergo il cuoio verde e maculato a nero, e smisurato a un elefante il tergo preme così come si suol destriero. Gente guida costui di qua dal Gange che si lava nel mar che l’Indo frange. 28 ecco poi passare in rassegna il feroce (fero) Adrasto venuto dall’estremo Oriente, dove l’Aurora risiede e si fa vedere che indossa una corazza (usbergo) fatta di pelle (cuoio) di serpente verde con macchie nere; la provenienza geografica sempre più lontana degli eserciti comporta anche un accresciuto elemento di esotismo misto alla bizzarria, come si può vedere nel ritratto di Adrasto e cavalca (il tergo preme) come si fa con un cavallo (destriero) un enorme (smisurato) elefante conduce soldati al di qua del Gange che vivono sulle coste del golfo di Oman nel quale sfocia l’Indo 29 Ne la squadra che segue è scelto il fiore de la regal milizia, e v’ha que’ tutti che con regal mercé, con degno onore, e per guerra e per pace eran condutti, ch’armati a securezza ed a terrore vengono in su i destrier possenti instrutti; e de’ purpurei manti e de la luce de l’acciaio e de l’oro il ciel riluce. 29 Nello schieramento che segue c’è l’élite dell’esercito del re d’Egitto ci sono (v’ha) tutti coloro che con ricompensa, paga data dal re (regal mercé), con degno onore, sono assoldati (condutti) sia durante la pace sia durante la guerra che avanzano ben ordinati (instrutti) su cavalli potenti, armati per mantenere la sicurezza con il terrore, incutendo cioè paura: e il cielo risplende (riluce) dei mantelli rossi, dei bagliori di luce delle corazze d’acciaio e d’oro. 30 Fra questi è il crudo Alarco ed Odemaro ordinator di squadre ed Idraorte, e Rimedon che per l’audacia è chiaro, sprezzator de’ mortali e de la morte; e Tigrane e Rapoldo il gran corsaro, già de’ mari tiranno; e Ormondo il forte, e Marlabusto arabico a chi il nome l’Arabie dièr che ribellanti ha dome. 30 Fra questi ci sono i crudeli Alarco e Odemaro capitano di molte squadre e Idraorte e Rimedon che sprezzano i mortali e la morte, e Tigrane (da non confondere con il personaggio apparso a III, 43, 6 e ucciso da Dudone) e Rapoldo il corsaro già tiranno dei mari e Ormondo il fortee Marlabusto arabo al quale il nome (cioè arabico) fu dato dalle tre regioni arabe che da lui furono domate (dome). 31 Evvi Orindo, Arimon, Pirga, Brimarte espugnator de le città, Sifante domator de’ cavalli; e tu de l’arte de la lotta maestro, Aridamante; e Tisaferno, il folgore di Marte, a cui non è chi d’agguagliar si vante o se in arcione o se pedon contrasta, o se rota la spada o corre l’asta. 31 Vi erano Orindo, Arimon, Pirga, Brimante espugnatore di città, Sifante domatore di cavalli, e Aridamante maestro dell’arte della lotta, e Tisaferno guerriero abilissimo (folgore di Marte) al quale non c’è nessuno che possa vantarsi di essere pari quando combatte o a cavallo (arcione) o a piedi (pedon), e se usa la spada o carica con la lancia (asta). 32 Ma duce è un prence armeno il qual tragitto al paganesmo ne l’età novella fe’ da la vera fede, ed ove ditto fu già Clemente, ora Emiren s’appella; per altro, uom fido e caro al re d’Egitto sovra quanti per lui calcàr mai sella: è duce insieme e cavalier soprano per cor, per senno e per valor di mano. 32 ma è comandante un principe armeno che si convertì (tragitto...fe’) durante la giovinezza (ne l’età novella) dal cristianesimo (vera fede) alla religione mussulmana (al paganesmo), chiamato un tempo Clemente, ora ribattezzatosi Emireno uomo caro e fedele al re d’Egitto più di quanti altri mai per lui hanno militato al suo servizio: è condottiero e cavaliere abilissimo (soprano) grazie al cuore, al senso del giudizio e valor di mano. 33 Nessun più rimanea, quando improvisa Armida apparve e dimostrò sua schiera. Venia sublime in un gran carro assisa, succinta in gonna e faretrata arciera; e mescolato il novo sdegno in guisa co ’l natio dolce in quel bel volto s’era, che vigor dàlle, e cruda ed acerbetta par che minacci e minacciando alletta. 33 Non rimaneva nessun altro quand’ecco che improvvisamente, inattesa giunse Armida e sfilò (dimostrò) con la sua schiera; nuova irruzione sulla scena di Armida che compie un’ulteriore metamorfosi, presentandosi questa volta nelle vesti di guerriera; l’effetto che susciterà la vista della donna tra i soldati dell’esercito egiziano però, ricorda da vicino quello scaturito al suo arrivo nel campo cristiano (cfr. IV, 28 sgg.); veniva seduta in alto (sublime...assisa) in un gran carro, con una gonna corta (succinta in gonna) e armata con l’arco e la faretra; la succinta gonna ricorda le e gli fa strada al seggio, ed ei v’ascende; già intuiva l’intenzione del re (presago), viene per accettare l’onore del comando che sa di meritare con il viso (fronte) ben degno del grado, cioè, con una postura solenne e orgogliosa: il corpo di guardia dei Circassi (che circonda il trono, cfr. 13, 1- 4) si allarga in due per lasciargli aperta la strada verso il trono, e lui vi sale (ascende). 38 e chino il capo e le ginocchia, al petto giunge la destra. Il re così gli dice: «Te’ questo scettro; a te, Emiren, commetto le genti, e tu sostieni in lor mia vice, e porta, liberando il re soggetto, su’ Franchi l’ira mia vendicatrice. Va’, vedi e vinci; e non lasciar de’ vinti avanzo, e mena presi i non estinti». 38 e inginocchiatosi e con la testa bassa, pone la mano destra sul petto’. Il re dice: «Tieni (te’) questo scettro a te, Emireno, affido (commetto) i soldati (le genti), e tu prendi il mio posto (sostieni mia vice) su di loro (in loro) e porta la mia ira vendicatrice contro l’esercito cristiano, liberando Aladino mio vassallo (soggetto). Vai, osserva la situazione e poi vinci; e non lasciare nessuno degli sconfitti, e conduci (mena) prigionieri (presi) quelli che non saranno morti durante il combattimento (non estinti)». 39 Così parlò il tiranno, e del soprano imperio il cavalier la verga prese: «Prendo scettro, signor, d’invitta mano,» disse «e vo co’ tuo’ auspici a l’alte imprese, e spero, in tua virtù, tuo capitano, de l’Asia vendicar le gravi offese; né tornerò se vincitor non torno, e la perdita avrà morte, non scorno. 39 Così parlò il re d’Egitto (il tiranno) Emireno (il cavalier) prese lo scettro (la verga) del comando affidatogli dal re: «Prendo lo scettro da una mano mai sconfitta, invincibile (invitta mano) » disse «e vado (vo) sotto i tuoi auspici a un’impresa gloriosa; e spero, per tua volontà (in tua virtù), come tuo capitano di vendicare le gravi offese arrecate a tutta l’Asia né ritornerò se non sarò vincitore, e la sconfitta, se dovesse esserci, mi darà la morte, non il disonore (scorno); in altre parole, dichiara di essere disposto a morire piuttosto di perdere e sopravvivere in modo poco coraggioso. 40 Ben prego il Ciel che, s’ordinato male (ch’io già no ’l credo) di là su minaccia, tutta su ’l capo mio quella fatale tempesta accolta di sfogar gli piaccia; e salvo rieda il campo, e ’n trionfale più che in funebre pompa il duce giaccia». Tacque, e seguì co’ popolari accenti misto un gran suon de’ barbari instrumenti. 40 prego il Cielo che, se minaccia di lassù una predestinata sconfitta (ma io non lo credo affatto), gli piaccia di sfogare tutta sulla mia testa (su ’l capo mio) quella destinata (fatale) tempesta e l’intero esercito (il campo) ritorni (rieda) salvo, e il capitano (cioè lui stesso) giaccia in un corteo trionfale più che funebre». Tacque e seguì con le acclamazioni di tutti i soldati dell’esercito (co’ popolari accenti) insieme al suono degli strumenti barbari. 41 E fra le grida e i suoni in mezzo a densa nobile turba il re de’ re si parte; e giunto a la gran tenda, a lieta mensa raccoglie i duci e siede egli in disparte, ond’or cibo, or parole altrui dispensa, né lascia inonorata alcuna parte. Armida a l’arte sue ben trova loco quivi opportun fra l’allegrezza e ’l gioco. 41 e il re d’Egitto se ne va (si parte) circondato da un grande (densa) seguito di nobili (nobile turba) e fra le grida e al suono degli strumenti e giunto al suo padiglione (la gran tenda), ad un gradevole banchetto (lieta mensa) raccoglie i condottieri e egli siede (in disparte) in un luogo appartato, riservato a lui da dove ora fa mandare cibo, ora parla con i suoi ospiti (altrui), né dimentica, priva dell’onore della sua attenzione nessuna parte degli invitati Armida trova qui un posto ben adatto (opportuno) alle sue arti seduttive, nel clima allegro e scherzoso (fra l’allegrezza e ’l gioco). 42 Ma già tolte le mense, ella che vede tutte le viste in sé fisse ed intente, e ch’a’ segni ben noti omai s’avede che sparso è il suo venen per ogni mente, sorge e si volge al re da la sua sede con atto insieme altero e riverente, e quanto può magnanima e feroce cerca parer nel volto e ne la voce. 42 ma dopo che sono già stati portati via i cibi (tolte le mense), Armida si accorge di avere tutti gli sguardi concentrati su di sé e si accorge (s’avede) dai segnali ormai a lei ben noti che il suo veleno – amoroso – ha ormai pervaso ogni persona; analogamente a quanto era accaduto nel campo cristiano nel corso della sua apparizione (IV, 28 sgg.), Armida attira tutte le attenzioni (cfr. IV, 28, 4: «...’l guardo ognun v’intende») e legge nei volti altrui i segni del suo fascino (cfr. IV, 33); solo dopo questa prima opera seduttiva comincia a parlare. si alza (sorge) e si rivolge dal suo posto al re con atto nello stesso tempo coraggioso e rispettoso (riverente)’e quanto può nobile e fiera (magnanima e feroce) cerca parer nel volto e nella voce. 43 «O re supremo,» dice «anch’io ne vegno per la fé, per la patria ad impiegarmi. Donna son io, ma regal donna: indegno già di reina il guerreggiar non parmi. Usi ogn’arte regal chi vuol il regno, dansi a l’istessa man lo scettro e l’armi; saprà la mia (né torpe al ferro o langue) ferir e trar da le ferite il sangue. 43 «O re supremo,» dice «anch’io vengo ad arruolarmi (impiegarmi) in difesa della mia religione e della mia patria; Armida, secondo il suo consueto costume, tiene un discorso dissimulato ed ambiguo, nel quale le ragioni politiche e militari di carattere collettivo nascondono motivi tronchi il capo odioso e me ’l presenti, a grado avrò questa vendetta ancora, benché fatta da me più nobil fòra, (drizza) la mano che si vendica giustamente (giusta mano) contro i colpevoli (nocenti); il riferimento è alla mano regale di Armida che imbraccia le armi; ma se ci sarà (fia) qualcuno che a Rinaldo, il barbaro privo di pietà umana, tagli l’odiosa testa (capo odioso) e me la presenti mi farà piacere, gradirò anche questa vendetta, benché se fatta con le mie stesse mani sarebbe (fora) più nobile. 48 a grado sì che gli sarà concessa quella ch’io posso dar maggior mercede: me d’un tesor dotata e di me stessa in moglie avrà, s’in guiderdon mi chiede. Così ne faccio qui stabil promessa, così ne giuro inviolabil fede. Or s’alcun è che stimi i premi nostri degni del rischio, parli e si dimostri.» 48 gradirò così tanto – il dono della testa mozzata di Rinaldo – che a quello che me la darà sarà concessa la maggior ricompensa (mercede) che io posso dare. Se mi chiede come ricompensa (in guiderdon), avrà me come moglie con la mia dote regale e con la mia bellezza (me stessa); puntuale ripresa dei propositi dichiarati da Armida a XVI, 66, 1-2 e 5-6. Ne faccio qui ferma (stabil) promessa ne faccio giuramento inviolabile. ora se c’è qualcuno che giudichi (stimi) la nostra ricompensa degna del rischio, parli e si faccia vedere. » 49 Mentre la donna in guisa tal favella, Adrasto affigge in lei cupidi gli occhi: «Tolga il Ciel» dice poi «che le quadrella nel barbaro omicida unqua tu scocchi, ché non è degno un cor villano, o bella saettatrice, che tuo colpo il tocchi. Atto de l’ira tua ministro sono, ed io del capo suo ti farò dono. 49 Mentre la donna parla in questo modo, Adrasto fissa su di lei gli occhi desiderosi non voglia (tolga) il Cielo che tu mai (unqua) debba scoccare (scocchi) le frecce (quadrella) contro Rinaldo (barbaro omicida, con ripresa di 47, 5), perché un cuore vile (cor villano) non è degno di essere colpito (il tocchi) da una tua freccia (tuo colpo); si noti come nelle pieghe del discorso di Adrasto serpeggi l’atteggiamento di un uomo già conquistato dall’amore; io sono il perfetto esecutore (atto...ministro) della tua ira, ed io ti darò in dono la sua testa 50 Io sterparogli il core, io darò in pasto le membra lacerate a gli avoltoi». Così parlava l’indiano Adrasto, né soffrì Tisaferno i vanti suoi: «E chi sei,» disse «tu, che sì gran fasto mostri, presente il re, presenti noi? Forse è qui tal ch’ogni tuo vanto audace supererà co’ fatti, e pur si tace». 50 io gli strapperò (sterparogli) il cuore, io darò il suo corpo smembrato in pasto agli avvoltoi. Parlava così l’indiano Adrasto né sopportò (soffrì) le vanterie di Adrasto’ e chi sei tu, che dimostri una così grande presunzione (fasto) davanti al re e davanti a noi?’ ‘forse c’è qui qualcuno che ogni tua vanteria audace supererà con i fatti, e però tace, non parla’; evidente il riferimento a se stesso. 51 Rispose l’Indo fero: «Io mi son uno ch’appo l’opre il parlare ho scarso e scemo. Ma s’altrove che qui così importuno parlavi, tu parlavi il detto estremo». Seguito avrian, ma raffrenò ciascuno dimostrando la destra il re supremo. Disse ad Armida poi: «Donna gentile, ben hai tu cor magnanimo e virile; 51 Rispose l’indiano sono uno che rispetto alla fierezza delle opere ha una debole e scarsa abilità oratoria’; in altre parole, i miei fatti sono assai più eloquenti delle mie misere parole, secondo un ritratto canonico dell’eroe epico cavalleresco; ma se tu avessi pronunciato queste tue parole così inopportune, offensive in un altro posto che qui, alla presenza del re, tu avresti detto le tue ultime parole (detto estremo)’; benché interpretato secondo modalità più tipicamente epiche, sia per contegno sia per il linguaggio adottato, il diverbio tra Adrasto e Tisaferno ripropone il tema delle conflittualità interna al campo prodotta da Armida, così come era avvenuto per l’esercito cristiano avrebbe continuato – a litigare –, ma il re d’Egitto placò (raffrenò) gli animi sollevando la destra. Poi disse ad Armida: donna nobile, hai un cuore regale e coraggioso (magnanimo e virile). 52 e ben sei degna a cui suoi sdegni ed ire l’uno e l’altro di lor conceda e done, perché tu poscia a voglia tua le gire contra quel forte predator fellone. Là fian meglio impiegate, e ’l vostro ardire là può chiaro mostrarsi in paragone» Tacque, ciò detto; e quegli offerta nova fecero a lei di vendicarla a prova. 52 e sei ben degna che a te (a cui) sia Adrasto che Tisaferno (l’uno e l’altro) ti concedano e ti offrano (conceda e done) i loro sdegni e le loro ire, affinché tu le possa poi, secondo il tuo desiderio (a tua voglia), rivolgere (le gire) contro Rinaldo (forte predator fellone) là, nel combattimento con Rinaldo, saranno (fian) utilizzate in modo più opportuno (meglio impiegate) e il vostro coraggio (ardire) là potrà mettersi in luce (chiaro mostrarsi) nella lotta, nella battaglia (in paragone). Detto ciò tacque e fecero a gara, in competizione (a prova), tra di loro per vendicarla. 53 Né quelli pur, ma qual più in guerra è chiaro la lingua al vanto ha baldanzosa e presta. S’offerser tutti a lei, tutti giuraro vendetta far su l’essecrabil testa, tante contra il guerrier ch’ebbe sì caro armi or costei commove e sdegni desta. 53 né solamente quei due, ma tutti i più famosi (chiaro) i cavalieri e hanno la lingua veloce e baldanzosa a vantarsi’ di promettere di vendicare Armida. Si offrirono a lei giurarono tutti di farle vendetta sulla testa le impronte o di un uomo o di un cavallo (destriero) o di qualcun altro che possa in qualche modo informarli della strada che devono percorrere 57 Poi che stati sospesi alquanto foro, mossero i passi e dièr le spalle al mare. Ed ecco di lontano a gli occhi loro un non so che di luminoso appare, che con raggi d’argento e lampi d’oro la notte illustra e fa l’ombre più rare. Essi ne vanno allor contra la luce, e già veggion che sia quel che sì luce. 57 dopo che rimasero per un po’ incerti (sospesi), si incamminarono (mossero i passi) e lasciarono alle loro spalle il mare. Ecco da lontano appare una luce indistinta (un non so che di luminoso) che illumina (illustra) la notte e dirada (fa...più rare) le tenebre (l’ombre) con raggi di luce argentea e dorata. Essi vanno verso, incontro (contra) e già vedono, distinguono che cosa sia l’oggetto che riluce in quel modo 58 Veggiono a un grosso tronco armi novelle incontra i raggi de la luna appese, e fiammeggiar, più che nel ciel le stelle, gemme ne l’elmo aurato e ne l’arnese; e scoprono a quel lume imagin belle nel grande scudo in lungo ordine stese. Presso, quasi custode, un vecchio siede che contra lor se ’n va, come li vede. 58 vedono delle armi nuove appese ad un grosso tronco brillare ai raggi della luna scintillavano, più di quanto fanno nel cielo le stelle, pietre preziose (gemme) nell’elmo dorato e nella corazza (arnese) e vedono grazie a quella luce (quel lume) delle splendide raffigurazioni distribuite in successione nel grande scudo vicino (presso) a queste armi siede, come se ne fosse il custode, un vecchio che va loro incontro (contra lor) non appena li vede; si tratta del mago d’Ascalona. 59 59 Ben è da’ due guerrier riconosciuto di saggio amico il venerabil volto. Ma, poi che ricevé lieto saluto e ch’ebbe lor cortesemente accolto, al giovenetto, il qual tacito e muto il riguardava, il ragionar rivolto: «Signor, te sol» gli disse «io qui soletto in cotal ora desiando aspetto, il volto venerabile del sapiente (saggio) amico è riconosciuto da Carlo e Ubaldo cominciò a parlare (il ragionar rivolto) a Rinaldo (giovenetto), che lo guardava silenzioso e muto; l’atteggiamento contrito e timoroso di Rinaldo lo accompagnerà per tutta la sequenza narrativa della sua redenzione, quasi un cammino penitenziale necessario per riportarlo sulla retta via; ‘signore, io qui tutto solo in questo momento aspetto, desiderandolo, solamente te 60 ché, se no ’l sai, ti sono amico; e quanto curi le cose tue chiedilo a questi, ch’essi, scòrti da me, vinser l’incanto ove tua vita misera traesti. Or odi i detti miei, contrari al canto de le sirene, e non ti sian molesti, ma gli serba nel cor fin che distingua meglio a te il ver più saggia e santa lingua. 60 perché, se non lo sai, ti sono amico; e quanto mi preoccupi del tuo destino (curi le cose tue) chiedilo a questi due cavalieri che, guidati da me (scòrti da me), hanno sconfitto l’incantesimo nel quale tu conducevi una vita triste ora ascolta le mie parole, del tutto opposte al lusinghiero e ingannevole canto delle sirene, e non ti siano fastidiose’; netta contrapposizione tra le ragioni del mondo sensoriale, seduttore e moralmente pericoloso, cui invitano le sirene (e cfr. XIV, 62, 5), e quelle della virtù razionale ma conserva – le mie parole – nel tuo animo (nel cor) fino a che te ne spieghi più diffusamente il senso (distingua) un uomo più sapiente e saggio’; sarà Pietro l’Eremita di cui il mago d’Ascalona è una sorta di allievo 61 Signor, non sotto l’ombra in piaggia molle tra fonti e fior, tra ninfe e tra sirene, ma in cima a l’erto e faticoso colle de la virtù riposto è il nostro bene. Chi non gela e non suda e non s’estolle da le vie del piacer, là non perviene. Or vorrai tu lungi da l’alte cime giacer, quasi tra valli augel sublime? 61 signor, il nostro bene è posto sulla sommità (in cima) del ripido e faticoso colle della virtù, non sotto la rinfrescante ombra in una delicata spiaggia circondata da fiori e piante, tra ninfe e sirene’. Evidente il riferimento al palazzo d’Armida e alle sue false lusinghe; il conseguimento della vera virtù è invece, per contrapposizione, difficile e faticoso, ma in cima al colle irto e faticoso ‘chi non soffre i patimenti del freddo e non suda e non si allontana, si sottrae (s’estolle) alle vie del piacere, non raggiunge la vetta del colle della virtù (là) vorrai rimanere (giacer) tu lontano dalle alte cime – della virtù –, quasi come un uccello destinato a volare nei cieli più alti (sublime) che invece volteggia nelle basse valli? 62 T’alzò natura inverso il ciel la fronte, e ti diè spirti generosi ed alti, perché in su miri e con illustri e conte opre te stesso al sommo pregio essalti; e ti diè l’ire ancor veloci e pronte, non perché l’usi ne’ civili assalti, né perché sian di desideri ingordi elle ministre, ed a ragion discordi, 62 La natura ti ha alzato verso il cielo e ti ha dato sentimenti generosi e nobili (alti), perché tu rivolga verso l’alto il tuo agire e con opere gloriose ed egregie (conte) tu possa innalzare (essalti) te stesso verso la più alta e nobile virtù’ e ti ha dato le forze dell’ira rapide e pronte, non perché tu le usassi nelle battaglie civili, né perché siano strumento (ministre) di un avido desiderio, e contrarie, ostili Del sangue d’Azio, glorioso, augusto l’ordin vi si vedea, nulla interrotto: vedeasi dal roman fonte vetusto i suoi rivi dedur puro e incorrotto. Stan coronati i principi d’alloro, mostra il vecchio le guerre e i pregi loro. (espresse) con raffinata tecnica (sottil magistero) in uno spazio ristretto (campo angusto) un’infinità di figure (forme infinite) Del sangue...interrotto: vi si vedeva la gloriosa e nobile discendenza (ordin) degli Estensi (sangue Azio), senza alcuna interruzione, tutta intera si vedevano dall’antica sorgente romana pura e incorrotta derivare (dedur) i suoi fiumi, in altre parole la progenie successiva che ha mantenuto inalterata la nobiltà romana delle origini. I princi hanno la corona d’alloro, il vecchio mostra le loro guerre e i loro pregi (le glorie) 67 Mostragli Caio, allor ch’a strane genti va prima in preda il già inclinato impero, prendere il fren de’ popoli volenti e farsi d’Esti il principe primiero, ed a lui ricovrarsi i men potenti vicini a cui rettor facea mestiero. Poscia, quando ripassa il varco noto, a gli inviti d’Onorio, il fero goto, 67 secondo la versione proposta da Pigna Caio Azio divenne signore d’Este all’epoca delle invasioni dei Goti, guidate da Alarico; i Goti (strane genti) sono preda del declinanate, decadente impero romano (inclinato impero) che si sottoposero volontariamente al suo dominio (popoli violenti) che avevano bisogno di un governatore, poi quando ripassa il passo delle Alpi già conosciuto da Alarico (varco noto) perché vi era passato nel corso della prima invasione dei Visigoti. 68 e quando sembra che più avampi e ferva di barbarico incendio Italia tutta, e quando Roma, prigioniera e serva, sin dal profondo teme esser destrutta, mostra ch’Aurelio in libertà conserva 68 e quando sembra che tutta l’Italia sia infiammata e avvampi dell’incendio dei barbari e quando Roma prigioniera e serva crede di essere distrutta dalle la gente sotto al suo scettro ridutta. Mostragli poi Foresto che s’oppone a l’unno regnator de l’Aquilone. fondamenta (dal profondo) fa vedere che Aurelio (il successore di Caio) conserva in libertà tutte le popolazioni che si erano radunate sotto la protezione del suo scettro’ gli fa vedere Foresto d’Este che si oppone ad Attila, il re degli Unni 69 Ben si conosce al volto Attila il fello, ché con occhi di drago ei par che guati, ed ha faccia di cane, ed a vedello dirai che ringhi e udir credi i latrati; poi vinto il fero in singolar duello mirasi rifuggir fra gli altri armati, e la difesa d’Aquilea poi tòrre il buon Foresto, de l’Italia Ettorre. 69 è ben noto il volto del fellone Attila, perché sembra che guardi con occhi di drago, ed ha la faccia simile al muso di un cane, e vedendolo diresti che ringhi e crederesti di sentire i latrati; i tratti selvaggiamente animaleschi della figura di Attila appartengono alla tradizione narrativo-cronachistica che lo disegna, per l’appunto, come un mostro selvaggio poi dopo averlo battuto nel duello singolare, lo si vede fuggire in mezzo agli altri per trovare scampo e il buon Foresto prendere (tòrre) poi la difesa di Aquileia, Ettore d’Italia, perché difende la sua patria assediata e, alla fine, trova la morte. 70 Altrove è la sua morte, e ’l suo destino è destin de la patria. Ecco l’erede del padre grande il gran figlio Acarino, ch’a l’italico onor campion succede. Cedeva a i fati, e non a gli Unni, Altino, poi riparava in più secura sede; poi raccoglieva una città di mille in val di Po case disperse in ville. 70 in un’altra parte dello scudo (altrove) è raffigurata la sua morte, e il suo destino – di rovina – è anche il destino della patria l’erede di Foresto è Acarino, che prese il potere nel 453, anche lui indicato come difensore dell’onore italico lasciava al destino, e non agli Unni, la città di Altino, e poi si ritirava in un luogo più sicuro si tratta di Ferrara, che raccoglie anche le popolazioni dei villaggi vicini 71 Contra il gran fiume ch’in diluvio ondeggia muniasi, e quindi la città sorgea che ne’ futuri secoli la reggia de’ magnanimi Estensi esser dovea. Par che rompa gli Alani e che si veggia contra Odoacro aver fortuna rea, e morir per l’Italia: oh nobil morte, che de l’onor paterno il fa consorte! 71 costruisce solidi argini per proteggersi dalle piene del Po la città di Ferrara, sede nei secoli successivi degli Estensi si vede (par) mentre sconfigge (rompa) gli Alani (nel 463) e lo si vede nel destino avverso (fortuna rea) combattendo contro Odoacre, morire in difesa dell’Italia accomuna all’onore del padre la nobile morte’ sul campo di battaglia 72 Cader seco Alforisio, ire in essiglio Azzo si vede e ’l suo fratel con esso, e ritornar con l’arme e co ’l consiglio, dapoi che fu il tiranno erulo oppresso. Trafitto di saetta il destro ciglio, segue l’estense Epaminonda appresso; e par lieto morir, poscia che ’l crudo Totila è vinto e salvo il caro scudo. 72 con Acarino morì Alforisio Azzo e Costanzo, figli di Acarino, dovettero andare in esilio in Germania, per la persecuzione di Odoacre; alla morte di questi (cfr. v. 4), tornarono in Italia e ripresero il potere. Pochè il re degli Eruli fu ucciso Bonifacio, figlio di Massimo e nipote di Alforisio, fu trafitto da una freccia all’occhio e morì durante la battaglia contro Totila, re dei Goti 73 Di Bonifacio parlo; e fanciulletto premea Valerian l’orme del padre: già di destra viril, viril di petto, cento no ’l sostenean gotiche squadre. Non lunge, ferocissimo in aspetto, fea contra Schiavi Ernesto opre leggiadre; ma inanzi a lui l’intrepido Aldoardo da Monscelce escludeva il re lombardo. 73 Parlo di Bonifacio e Valeriano ancora fanciullo seguiva (premea) le orme del padre non potevano resistergli (no ‘l sostenean) gli schieramenti goti rappresentato poco lontano si vedeva Ernesto, ferocissimo nell’aspetto, compiere imprese gloriose (opre leggiadre) ma prima di lui si vede Aldoardo d’Este che allontana da Monselice il re longobardo Agilulfo scudo la si vede mentre sbaraglia (rompea) Enrico IV, e preso a lui lo stendardo imperiale, lo offre al papa (al tempio) Matilde liberò il papa, probabilmente Gregorio VII, imprigionato dal prefetto di Roma. 79 Poi vedi, in guisa d’uom ch’onori ed ami, ch’or l’è al fianco Azzo il quinto, or la seconda. Ma d’Azzo il quarto in più felici rami germogliava la prole alma e feconda. Va dove par che la Germania il chiami Guelfo il figliuol, figliuol di Cunigonda; e ’l buon germe roman con destro fato è ne’ campi bavarici traslato. 79 poi vedi rappresentato nello scudo Azzo V, nell’atteggiamento di un uomo che onori e ami Matilde, ora è al suo fianco, ora la segue ma in più lieti rami fioriva la figliolanza nobile e feconda di Azzo IV in realtà si tratta di Azzo II Guelfo, figlio di Cunegonda e Azzo IV (in realtà II), andò in Germania, dove diede origine al ramo tedesco degli Estensi e il valoroso seme romano con un destino favorevole si trapianta nei campi della Baviera 80 Là d’un gran ramo estense ei par ch’inesti l’arbore di Guelfon, ch’è per sé vieto, quel ne’ suoi Guelfi rinovar vedresti scettri e corone d’or, più che mai lieto, e co ’l favor de’ bei lumi celesti andar poggiando, e non aver divieto: già confina co ’l ciel, già mezza ingombra la gran Germania, e tutta anco l’adombra. 80 sembra che in Germania si innesti in un ramo della dinastia dei Guelfi, ormai di per sé vecchio, sterile il ramo estense (quel) lo potresti vedere mentre si rinnova con scettri e corone d’oro, più felice e florido che mai ‘e con il favore delle stelle benigne continuare salendo negli onori, senza trovare impedimenti il ramo estense tocca quasi il cielo e sovrasta quasi mezza Germania, e tutta intera la ricopre d’ombra 81 Ma ne’ suoi rami italici fioriva bella non men la regal pianta a prova. 81 ma la stirpe estense (la regal pianta) fioriva non meno Bertoldo qui d’incontra a Guelfo usciva, qui Azzo il sesto i suoi prischi rinova. Questa è la serie de gli eroi che viva nel metallo spirante par si mova. Rinaldo sveglia, in rimirando, mille spirti d’onor da le natie faville, bella nei suoi rami italiani a gara con quelli tedeschi’si vede rappresentato Bertoldo di fronte (d’incontra) a Guelfo, e qui Azzo VI rinnova le gesta dei suoi antenati; Bertoldo e Azzo VI sarebbero i due capostipiti del ramo italiano degli Estensi, come Guelfo lo è per quello tedesco; questa è la rassegna, la serie degli eroi che sembra muoversi come se fosse viva nel metallo animato (spirante) Rinaldo, osservando questa serie di eroi (mirando), risveglia dal suo naturale ardore mille spiriti di gloria e di onore 82 e d’emula virtù l’animo altèro commosso avampa, ed è rapito in guisa che ciò che imaginando ha nel pensiero, città abbattuta e presa e gente uccisa, pur, come sia presente e come vero, dinanti a gli occhi suoi vedere avisa; e s’arma frettoloso, e con la spene già la vittoria usurpa e la previene. 82 e il suo animo altero si infiamma commosso, profondamente toccato da una virtù che intende emulare ed è esaltato in modo tale che quello che si figura con il pensiero, cioè Gerusalemme distrutta e conquistata (abbattuta e presa) e la strage dei nemici (gente uccisa), gli sembra (avisa), come se fosse presente e vero, di averlo davanti ai suoi occhi e in tutta fretta indossa le armi, e con la speranza strappa (usurpa) – ai nemici – la vittoria e la anticipa 83 Ma Carlo, il quale a lui del regio erede di Dania già narrata avea la morte, la destinata spada allor gli diede: «Prendila,» disse «e sia con lieta sorte, e solo in pro de la cristiana fede l’adopra, giusto e pio non men che forte; e fa del primo suo signor vendetta 83 Ma Carlo, che già aveva raccontato a Rinaldo la morte di Sveno (del regio erede di Dania), gli consegnò la spada a lui destinata prendila – disse – e sia con sorte lieta, e utilizzala (l’adopra) solamente a che t’amò tanto, e ben a te s’aspetta». vantaggio (in pro) della fede cristiana, giusto e pio non meno che forte; la spada destinata da Dio a Rinaldo deve essere potente strumento di giustizia e di fede, non solamente di morte e vendica il suo primo proprietario, Sveno, che tanto ti ammirò (t’amò tanto), e ben a te spetta questo compito 84 Rispose egli al guerriero: «A i cieli piaccia che la man che la spada ora riceve, con lei del suo signor vendetta faccia: paghi con lei ciò che per lei si deve». Carlo, rivolto a lui con lieta faccia, lunghe grazie ristrinse in sermon breve. Ma lor s’offriva il mago, ed al viaggio notturno l’affrettava il nobil saggio. 84 Rispose egli al guerriero: «A i cieli piaccia che la man che la spada ora riceve con questa spada (con lei) vendicate il suo signore paghi attraverso la spada (con lei) il tributo che si deve per averla (per lei)», in altre parole, che io vendichi Sveno uccidendo Solimano ‘un breve discorso’ (sermon breve) nel quale riassume mille ringraziamenti a Rinaldo ma si offriva a loro come guida il mago, e lo stesso mago li sollecitava al viaggio notturno 85 «Tempo è» dicea «di girne ove t’attende Goffredo e ’l campo, e ben giungi opportuno. Or n’andiam pur, ch’a le cristiane tende scorger ben vi saprò per l’aer bruno.» Così dice egli, e poi su ’l carro ascende e lor v’accoglie senza indugio alcuno; e rallentando a’ suoi destrieri il morso gli sferza, e drizza a l’oriente il corso. 85 è ormai ben tempo di andare (girne) dove ti aspettano Goffredo e tutto l’esercito cristiano (campo), e arrivi (giungi) ben utile, opportuno ora andiamoci, che vi saprò ben guidare (scorger) attraverso le tenebre notturne (aer bruno) verso il campo dei crociati (le cristiane tende). Così egli dice e poi sale (ascende) sul carro e allentando il morso ai cavalli (destrieri) li incita e rivolge verso oriente la corsa (il corso) (diadema) gloria al tuo sangue, punto d’eccellenza della tua stirpe (gemma); si disegna, attraverso queste parole e allo scudo istoriato già visto, una sorta di lunga parabola della casata estense che dal punto di partenza, costituito dal mito fondativo delle lontane origini romane, giunge al sommo della sua gloria nel presente, nella persona di Alfonso II. 91 Darà, fanciullo, in varie imagin fere di guerra, i segni di valor sublime: fia terror de le selve e de le fère, e ne gli arringhi avrà le lodi prime; poscià riporterà da pugne vere palme vittoriose e spoglie opime, e sovente averrà che ’l crin si cigna or di lauro, or di quercia, or di gramigna. 91 sin dall’età della fanciullezza darà prova di un grande valore (i segni di valor sublime) nei giochi e nei tornei cavallereschi (varie imagin fere di guerra)’ ‘sarà il terrore dei boschi e degli animali selvaggi (fère), e nei tornei (arringhi) avrà le massime lodi; si riferisce alla caccia e ai tornei cavallereschi poi nelle vere guerre otterrà vittorie gloriose (palme vittoriose) e ricchi bottini (spoglie opime) «i romani conferivano la corona d’alloro ai generali vittoriosi, quella di quercia a chi aveva salvato un cittadino romano, quella di gramigna a chi aveva liberato una città dall’assedio 92 De la matura età pregi men degni non fiano stabilir pace e quiete, mantener fra sue città l’arme e i regni di possenti vicin tranquille e chete, nutrire e fecondar l’arti e gl’ingegni, celebrar giochi illustri e pompe liete, librar con giusta lance e pene e premi, mirar da lunge e preveder gli estremi. 92 meriti (pregi) non meno degni e propri della piena maturità (matura età) saranno quelli di stabilire e consolidare la pace e la tranquillità conservare tranquille e quiete le sue città confinanti con stati ricchi e potenti ; si tratta delle città di Ferrara, Modena e Reggio alimentare e stimolare le arti e gli artisti, gli intellettuali, con riferimento al mecenatismo di Alfonso II festeggiare con tornei, cacce e lieti spettacoli (pompe liete), amministrare la giustizia correttamente, stabilendo le giuste pene e i giusti premi (librar), saper prevedere con abile intelligenza i pericoli e trovare rimedio in anticipo 93 Oh s’avenisse mai che contra gli empi che tutte infesteran le terre e i mari, e de la pace in quei miseri tempi daran le leggi a i popoli più chiari, duce se ’n gisse a vendicare i tèmpi da lor distrutti e i violati altari, qual ei giusta faria grave vendetta su ’l gran tiranno e su l’iniqua setta! 93 o se avvenisse che contro i Turchi (empi) che infestano le terre e i mari e in quei tempi tristi i Turchi stabiliranno le condizioni della pace (de la pace...daran le leggi) alle popolazioni più illustri e civili andasse come capitano (duce se ’n gisse) a vendicare le chiese distrutte da loro e gli altari profanati (violati) quale legittima, giusta vendetta compirebbe sul sultano turco e su quella religione ingiusta (iniqua setta) 94 Indarno a lui con mille schiere armate quinci il Turco opporriasi e quindi il Mauro, ch’egli portar potrebbe oltre l’Eufrate, ed oltre i gioghi del nevoso Tauro ed oltre i regni ov’è perpetua state, la Croce e ’l bianco augello e i gigli d’auro, e per battesmo de le nere fronti del gran Nilo scoprir le ignote fonti”». 94 invano gli si opporrebbero mille schiere di soldati, da una parte dei Turchi, dall’altra dei Mauri (da intendersi come popoli dell’Africa settentrionale) che egli (Alfonso II) potrebbe portare le insegne cristiane (la Croce) e della casata d’Este (la cui insegna araldica era formata da un’aquila bianca e dai gigli dorati) ben oltre l’Eufrate, oltre i passi montani del nevoso Tauro (monte dell’Anatolia), oltre i regni africani ‘e scoprire le misteriose sorgenti del Nilo per battezzare le popolazioni di colore (nere fronti) 95 Così parlava il veglio, e le parole lietamente accoglieva il giovenetto, che del pensier de la futura prole un tacito piacer sentia nel petto. L’alba intanto sorgea nunzia del sole, e ’l ciel cangiava in oriente aspetto, e su le tende già potean vedere da lunge il tremolar de le bandiere. 95 Così parlava il vecchio e le parole accoglievano il giovanotto che si sentiva un silenzioso compiacimento (tacito piacer) nell’animo pensando alla sua progenie futura (futura prole) l’alba intanto annunciava il sole (nunzia il sole) e il cielo cambiava aspetto e sulle tende si potevano già vedere da lontano (da lunge) il tremolar delle bandiere. 96 Ricominciò di novo allora il saggio: «Vedete il sol che vi riluce in fronte, e vi discopre con l’amico raggio le tende e ’l piano e la cittade e ’l monte. Securi d’ogni intoppo e d’ogni oltraggio io scòrti v’ho fin qui per vie non conte; potete senza guida ir per voi stessi omai; né lece a me che più m’appressi». 96 Ricominciò il mago d’Ascalona (il saggio) «vedi lo sol che in fronte ti riluce», a sottolineare ulteriormente la trama allegorica che accompagna il canto e il rapporto tra il mago e Rinaldo modellato su quello tra la ragione-Virgilio e il pellegrino Dante l’accampamento dei crociati (tende), la zona pianeggiante, Gerusalemme (la cittade) e i colli che la circondano vi ho condotti sin qui proteggendovi da ogni ostacolo (intoppo) e da ogni attacco dei nemici (oltraggio) percorrendo strade nascoste, segrete (non conte) potete andare (ir) ormai da soli, senza guida né mi è consentito (lece a me) avvicinarmi di