Scarica Parafrasi e riassunto L. Ariosto - Orlando Furioso (solo canti I-XIX-XXIII-XXXIV-XLVI) e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LUDOVICO ARIOSTO ORLANDO FURIOSO (SOLO CANTI I-XIX-XXIII-XXXIV-XLVI) INTRODUZIONE OPERA La genesi. L’Orlando Furioso è un poema in ottave, che si inserisce nel filone cavalleresco, un genere molto popolare in Italia tra il Quattrocento e il Cinquecento. Ariosto vi lavorò dal 1505 al 1532, l’anno che precedette la morte del poeta. Le prime notizie certe circa la stesura del poema risalgono al 1507, con riferimenti in una lettera di Isabella d’Este al fratello cardinale Ippolito. Da una lettera scritta nel 1509 da Alfonso d’Este e destinata a Ippolito si può dedurre che in quell’anno il poema ariostesco avesse già una stesura avanzata e che il testo fosse presentato come una «gionta», un ampliamento dell’Innamoramento di Orlando del Boiardo. Le tre edizioni del poema. La prima delle tre edizioni dell’Orlando Furioso risale al 22 aprile 1516: il poema conta 40 canti ed è dedicato a Ippolito d’Este. Sono passati 7 anni dalla lettera di Alfonso d’Este e 4 da quella in cui Ariosto stesso scrisse a Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, parlando di un poema ancora non pronto perché in attesa di un lungo processo di perfezionamento. In quei 4 anni verosimilmente Ariosto continuò a lavorare sul poema nel massimo riserbo. Fu intorno al 1518 che l’autore progettò una revisione linguistica dell’opera, in seguito al dibattito culturale intorno al volgare. Per questa ragione i modelli dal punto di vista stilistico furono Le Stanze del Poliziano e il Morgante di Pulci, entrambi toscani e ritenuti esempi notevoli di italiano letterario. La struttura del poema non mutò. Questa revisione portò all’edizione del 1521. La terza edizione, pubblicata nel 1532, risentì fortemente delle teorie di Bembo espresse nelle Prose della volgar lingua: la lingua subì un ulteriore processo di revisione, per essere il più possibile vicina ai modelli linguistici di Petrarca e Boccaccio. Ariosto aggiunse 6 canti che corrispondevano a 4 nuove vicende e diede maggiore risalto ai rapporti con la situazione politica della sua epoca. Il rapporto con Boiardo. L’innamoramento di Orlando (meglio noto come L’Orlando innamorato) è la fonte principale del poema ariostesco: l’opera del Boiardo aveva rifondato il genere cavalleresco, con un’operazione raffinata tendente a ridare lustro ai valori cortesi alla luce del nuovo sistema etico dell’umanesimo. Al contempo lo sguardo di Boiardo era intriso di nostalgia, per un mondo che andava scomparendo, e di timori per un futuro che si preannunciava fosco (la discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494, a cui l’autore fa cenno nelle ultime pagine, segnava a tutti gli effetti la fine di un’epoca). Come altri autori prima di lui, Ariosto si cimentò nell’impresa di portare a termine le vicende dei paladini lì dove Boiardo le aveva interrotte. Nell’Orlando Furioso tuttavia quel mondo cortese diventa quasi un pretesto per sviluppare un’indagine più complessa sulla vita umana: il cavaliere valoroso perde ogni tratto che possa legarlo a un sistema di valori riconoscibile e non c’è nessun fine escatologico né ideologico nelle sue azioni; il tempo sfuma in un indistinta temporalità mitica e perfino lo scontro tra cristiani e pagani non è più centrale nel poema, per via delle infinite ramificazioni delle vicende e motivazioni alla base delle battaglie. Il genere cavalleresco e altre fonti. Ariosto eredita da Boiardo anche il rapporto con i due grandi filoni dell’epica cavalleresca: L’Orlando innamorato fondeva i due cicli, quello delle chansons de geste e quello bretone. Il primo esaltava i nobili valori dei cavalieri, nello specifico i paladini di Carlo Magno, con Orlando protagonista; il secondo, con protagonisti i cavalieri della tavola rotonda, esplorava tematiche più avventurose tra mondi misteriosi e fatati, ma soprattutto con al centro l’amore che muove gli eroi alle imprese. Nella complessa trama del Furioso, tuttavia, si riscontrano altri rimandi: i trattati latini, i miti greci, i cantari quattrocenteschi, i racconti orali che importavano nella grande tradizione novellistica italiana motivi esotici, i grandi poemi epici greci e latini. Questo complesso repertorio diede ad Ariosto il materiale per imbastire la sua mirabolante trama e trattare la grande varietà di temi che nutrono il poema. “Le armi”. Come è evidente fin dai primi versi del poema, la materia guerresca è la base dell’opera. Lo scontro tra cristiani e pagani, e più nello specifico tra franchi e saraceni, fa da sfondo e costituisce il nucleo connettore delle molteplici vicende che arricchiscono la trama del Furioso. Orlando e Rinaldo sono prima di tutto dei cavalieri, i paladini di Carlo Magno, tenuti a difendere Parigi dall’assedio saraceno guidato dal re Agramante. “Gli amori”. Orlando e Rinaldo tuttavia sono innamorati della bella e sfuggente Angelica e le loro peripezie sono innescate proprio dal desiderio amoroso, che si rivela come il vero motore primo della storia. Se l’argomento bellico rimanda dunque al ciclo carolingio delle chansons de geste, il tema erotico è un retaggio del ciclo arturiano. La fuga di Angelica di fatto dà il via al racconto e allarga anche l’orizzonte geografico delle vicende, consentendo all’autore di variare la materia narrativa e di distogliere l’attenzione dal campo di battaglia. Il tema encomiastico. L’Orlando Furioso, come visto, è dedicato al cardinale Ippolito d’Este. I poemi cavallereschi della seconda metà del Quattrocento sono un notevole strumento di propaganda politica e celebrazione di una casata, in virtù dei nobili valori e dello spirito devoto dei cavalieri protagonisti. Nacquero con questi propositi il Morgante di Pulci, patrocinato dalla famiglia Medici, e L’Orlando innamorato di Boiardo, che già inserì tra le vicende di Orlando l’amore tra Bradamante (sorella di Rinaldo) e Ruggiero (guerriero saraceno), dalla cui unione sarebbe nata la famiglia d’Este. Si tratta in ogni caso di opere nate in seno a un ambiente cortigiano, promosse dagli stessi signori che ospitavano a corte gli autori. Ariosto, che come Boiardo viveva alla corte ferrarese, dà ancora maggior rilievo agli episodi che riguardano Bradamante e Ruggiero, appositamente per celebrare i nobili natali della famiglia d’Este; la profezia sulla loro unione e sull’origine della famiglia è affidata nel Furioso alla voce del mago Merlino (leggendario personaggio del ciclo arturiano), sul cui sepolcro si reca Bradamante, condotta dalla maga Melissa. Una trama complessa. L’intreccio di questi tre temi dà vita a una struttura estremamente complessa, ricca di storie secondarie che si snodano dal ramo principale e godono di una propria compiutezza, quasi come fossero vicende a sé stanti. Raccontare la trama del Furioso è infatti impossibile: il lettore si perde, così come i personaggi, nella struttura labirintica del poema, in ragione di una forza centrifuga che si manifesta dalla prima apparizione di Angelica. Molte azioni si svolgono simultaneamente su di una mappa geografica estesa ben al di là del mondo fino allora conosciuto (basti pensare che Astolfo a cavallo dell’Ippogrifo giunge al paradiso terrestre, parla con san Giovanni Evangelista, si reca sulla Luna…), pertanto non è possibile individuare una linea narrativa principale: siamo piuttosto di fronte a una trama senza centro, che cresce su se stessa e si dipana all’infinito, dando addirittura la sensazione di potersi svolgere senza una fine. Più che un finale, infatti ci sono molti sotto-finali (la battaglia dei tre più valorosi paladini contro i tre guerrieri saraceni, la morte di Brandimarte, il discorso in suo onore di Orlando, il matrimonio di Ruggiero e Bradamante, la battaglia finale di Ruggiero contro Rodomonte) che potrebbero preludere ad ulteriori azioni. Ariosto riesce con Impaurita dall’ardore dell’uomo, Angelica si infila l’anello magico in bocca e scompare, riprendendo così la sua fuga. Il saraceno perde anche l’Ippogrifo e deve proseguire a piedi. Viene quindi fatto prigioniero dal mago Atlante in un castello incantato. Orlando giunge finalmente ad Ebuda e corre in aiuto della donna destinata ad essere sacrificata all’orca: è Olimpia. Il paladino uccide il mostro marino ma viene assalito dagli abitanti dell’isola. Giunge a Ebuda anche l’esercito mandato dall’Irlanda per porre fine a quella crudeltà e fa una strage. Il loro re si prende carico di vendicare Olimpia ed Orlando può proseguire il suo viaggio. Tornato in Europa, il paladino viene ingannato dall’ennesimo incantesimo di Atlante e diviene prigioniero del suo castello incantato insieme ad altri cavalieri, tra i quali Ferrù e Sacripante. Angelica libera questi tre cavalieri dall’incantesimo grazie all’anello magico. Tra i Orlando e Ferraù inizia un feroce combattimento e la donna scappa nuovamente inseguita dai contendenti. Il paladino giunge infine presso ad una caverna dove è tenuta prigioniera Isabella, promessa sposa di Zerbino, e libera la donna. Informata da Melissa della sorte di Ruggiero, Bradamante parte per liberare l’amato ma viene anch’essa fatta prigioniera nel castello di Atlante. Nel frattempo, il cavaliere Mandricardo lascia l’esercito saraceno per trovare Orlando e potersi confrontare con lui. Presso ad un fiume, il saraceno fa prigioniera Doralice, promessa sposa del saraceno Rodomonte, e tra i due si scatena la passione. A Parigi i saraceni iniziano l’assedio della città. Re Carlo è privo dei suoi più valorosi cavalieri e fatica a difendersi. Rodomonte penetra nelle mura e fa strage di cristiani. Arrivano appena in tempo gli aiuti portati da Rinaldo; la sconfitta viene evitata e sono ora i saraceni a doversi rifugiare nel loro accampamento. Venuto a sapere che Mandricardo ha fatto prigioniera l’amata Doralice, Rodomonte lascia Parigi e corre all’inseguimento del rivale. Rinaldo nel frattempo uccide Dardinello. Lasciato il regno di Logistilla, Astolfo giunge in Africa e continua il suo viaggio a cavallo. Sconfitto il gigante Caligorante ed ucciso il ladrone invulnerabile Orrilo, il paladino si unisce a Grifone, Aquilante, Sansonetto e Marfisa (terribile guerriera) e si imbarca con loro per fare ritorno in Europa. Una tempesta improvvisa li obbliga però ad approdare alla città delle donne omicide ed i cavalieri vengono fatti prigionieri. La comitiva incontra così Guidon Selvaggio, parente di Orlando, e grazie al suo aiuto riesce a scappare: Astolfo prosegue per terra e gli altri per mare. Giunti infine in Europa, Aquilante, Grifone, Sansonetto e Guidon proseguono insieme il loro viaggio ma vengono catturati da Pinabello di Maganza. Marfisa procede invece oltre da sola in cerca di avventure. Nell’accampamento saraceno nei pressi di Parigi, Medoro (umile ma bellissimo fante) e Cloridano piangono la morte di Dardinello e decidono di approfittare dell’oscurità per raggiungere il campo di battaglia e seppellire il loro amato padrone. Un gruppo di cavalieri cristiani si accorge però della loro presenza: Cloridano muore mentre Medoro riporta delle gravi ferite. Angelica incontra Medoro e se ne innamora perdutamente. La ragazza si prende cura del ragazzo nella casa di un pastore e poi lo sposa. I due partono quindi insieme per raggiungere la Spagna ed imbarcarsi per l’oriente. Anche Astolfo giunge infine in Europa e viene fatto prigioniero da Atlante nel suo castello incantato. Grazie all’aiuto del suo corno magico, il cui orribile suono fa scappare tutti terrorizzati, il paladino riesce però ad annullare l’incantesimo del mago ed a liberare tutti i prigionieri. Astolfo entra così in possesso anche del cavallo alato Ippogrifo ed inizia il suo lungo viaggio per cielo. Bradamante e Ruggiero, liberati dal castello, possono finalmente riabbracciarsi e decidono subito di procedere al battesimo di lui e quindi di sposarsi. Vengono però raggiunti da una donna che chiede loro aiuto per salvare la vita ad un ragazzo condannato a morte dal re spagnolo Marsilio per avere amoreggiato con la figlia. Bradamante è molto scossa dalla notizia (si tratta del fratello Ricciardetto). I due cavalieri decidono di accettare l’incarico e cambiano pertanto itinerario. Giunti nei pressi del palazzo di Pinabello, Ruggiero è costretto a combattere contro Grifone, Aquilante, Sansonetto e Guidon Selvaggio, catturati da Pinabello e costretti da lui a scontrarsi contro ogni estraneo. Grazie all’aiuto di uno scudo incantato, in grado di abbagliare gli avversari, il saraceno ha la meglio e può proseguire il viaggio. Bradamante ha però nel frattempo riconosciuto Pinabello e dopo averlo inseguito nel bosco, perdendosi, lo uccide. La donna, vagando da sola in cerca dell’amato, giunge a Montalbano ed è costretta a fermarsi dai suoi parenti. Incarica quindi Ippalca di informare Ruggiero e di riconsegnargli il suo cavallo Frontino. La ragazza incontra però Rodomonte ed il cavaliere saraceno le sottrae il destriero. Zerbino giunge sul posto dove Bradamante ha ucciso Pinabello ed a causa di una vecchia traditrice viene incolpato dell’omicidio e condannato a morte. Giunge però Orlando in compagnia di Isabella e subito libera il prigioniero, che può così riabbracciare la sua amata. Arriva sul posto anche Mandricardo ed inizia con Orlando un violento scontro, interrotto solo dal cavallo del saraceno che, impaurito, scappa portandosi dietro il padrone. Orlando riprende il proprio viaggio alla ricerca di Angelica e giunge infine proprio nei luoghi dove la donna e Medoro avevano dato sfogo alla loro passione. Il paladino viene travolto dalla follia: getta le armi, abbandona il cavallo, si spoglia delle vesti ed inizia a fare strage di chiunque e di qualunque cosa gli capiti a tiro. Astolfo e Isabella giungono nei luoghi dove è scoppiata la pazzia di Orlando nello stesso momento in cui vi giungono anche Firodiligi e poi Mandircardo. Il saraceno non esita ad impossessarsi della spada abbandonata dal conte, Zerbino interviene con coraggio, ma viene ucciso. Isabella è sul punto di uccidersi, ma viene salvata all’ultimo da un eremita che si propone di condurla in un monastero. Mandricardo e Rodomonte si incontrano ad una fonte e subito danno luogo ad un terribile duello per il possesso di Doralice. Un messaggero di re Agramante ferma però il combattimento e chiede ai due di fare ritorno a Parigi. Ruggiero giunge nel frattempo in soccorso del giovane condannato a morte da re Marsilio, lo salva e scopre così che si tratta del fratello di Bradamante, di nome Ricciardetto. I due si recano poi insieme nel castello di Aldighieri e Ruggiero accetta di dare aiuto a quest’ultimo per salvare i suoi due fratelli fatti prigionieri da Ferraù e destinati ad essere venduti ai Maganza. Grazie anche all’aiuto di Marfisa, giunta sul posto in cerca di un duello, l’impresa viene compiuta facilmente. Mentre Ruggiero, Marfisa e gli altri del seguito sono presso una fonte a festeggiare, Ippalca arriva ed informa il saraceno dei fatti. Arrivano subito dopo anche Mandricardo e Rodomonte ed inizia una confusa contesa con Ruggiero e Marfisa. I quattro cavalieri si recano infine a Parigi aprendosi a forza la strada tra le schiere cristiane messe ad assedio dell’accampamento nemico. L’esercito di re Carlo, privo dei più valorosi cavalieri, è costretto a tornare nuovamente tra le mura della città. Marfisa, Rodomonte, Mandricardo e Ruggiero espongono a re Agramante le loro ragioni e chiedono di poter combattere per farle valere. Grazie all’aiuto della Discordia (chiamata dall’arcangelo Michele) la lite tra i quattro si allarga anche ad altri valorosi cavalieri saraceni. Il duello tra Mandricardo e Rodomonte per Doralice è subito risolto: la donna sceglie il primo ed il secondo abbandona l’esercito. Allontanatosi da Parigi, Rodomonte si ferma a vivere in un paese abbandonato, dal quale passa un giorno anche Isabella e l’eremita al suo seguito. Il violento saraceno si libera dell’uomo ed uccide anche involontariamente e stupidamente la donna. Rodomonte è disperato per questo suo omicidio e decide quindi di costruire un monumento funebre alla memoria di lei e di Zerbino, donando loro le armi di chiunque si presenterà sul posto. Proseguendo il suo folle viaggio, Orlando prima si scontra con Rodomonte presso il monumento funebre e getta nel fiume l’avversario, poi, raggiunta la costa spagnola, incontra anche Medoro ed Angelica, e solo grazie all’anello magico di lei non riesce a fare del male ad entrambi. Il paladino raggiunge infine l’Africa. Nell’accampamento saraceno ha luogo il duello tra Ruggiero e Mandricardo ed è quest’ultimo ad avere la peggio ed a rimanere morto. Ruggiero è però ferito gravemente, è costretto a letto per un lungo periodo ed è quindi impossibilitato a raggiungere l’amata Bradamante. Rinaldo fa nel frattempo ritorno a Parigi insieme ad un seguito di settecento cavalieri. Nel suo viaggio incontra anche il fratello Guidon Selvaggio, Grifone, Aquilante e Sansonetto che subito si uniscono alla spedizione. Mentre il gruppo di guerrieri guidati da Rinaldo assaltano la retroguardia saracena, Fiordiligi incontra l’amato Brandimarte e gli racconta quanto accaduto ad Orlando. Entrambi raggiungono subito il ponte dove Rodomonte è solito sfidare i suoi avversari. Il cavaliere cristiano viene però sconfitto e fatto prigioniero. A Parigi l’esercito di re Carlo ha la meglio su quello di re Agramante, che è quindi costretto a ritirarsi nella città di Arles. L’unico pagano ad attardarsi nella fuga è re Gradasso che, interessato al cavallo Baiardo di Rinaldo, fissa un duello per il giorno dopo con il paladino. Dopo aver atteso invano l’arrivo dell’amato ed ingelosita dalle notizie su una possibile storia d’amore tra Ruggiero e Marfisa, Bradamante decide infine di fare ritorno a Parigi. Il duello tra re Gradasso e Rinaldo si svolge presso ad una fonte ma è subito interrotto da Malagigi. Il mago invoca con un incantesimo un mostro alato che fa scappare il cavallo Baiardo, oggetto del contendere. Il destriero viene ritrovato da re Gradasso ed il saraceno si imbarca subito dopo per fare ritorno in patria, sarà però sorpreso da una tempesta. Astolfo giunge in Etiopia in sella all’Ippogrifo ed aiuta il re Senapo a liberarsi dalle Arpie utilizzando il suo corno incantato. Volando dietro ai mostri alati fuggiti dall’Inferno, il paladino raggiunge il monte della luna e quindi la sua sommità: il paradiso terrestre. Ad aspettarlo c’è San Giovanni che gli comunica che la sua missione è quella di restituire il senno ad Orlando, tolto a lui da Dio come punizione per non aver saputo difendere il popolo cristiano. Astolfo e l’evangelista si recano quindi sulla luna e nel luogo dove si trovano le cose perdute sulla terra, il paladino trova il proprio senno e quello del conte Orlando. Dopo aver osservato l’attività delle tre Parche e del Tempo, il paladino fa infine ritorno sulla terra. Nel suo viaggio verso Arles Bradamante incontra Fiordiligi e decide di prestarle aiuto per liberare l’amato Brandimarte. Grazie all’aiuto della lancia incantata, Rodomonte viene sconfitto ma il paladino non c’è più, è già stato inviato in Africa come prigioniero. Le due donne si recano quindi ad Arles e Bradamante incarica la compagnia di riconsegnare Frontino a Ruggiero e di chiedere al cavaliere saraceno di uscire dalla città per sfidarla. Prima di Ruggiero esce a sfidare il misterioso Marfisa. Tra le due donne inizia un violento scontro che scatena un nuovo combattimento tra cristiani e pagani. Ruggiero ha capito che il cavaliere misterioso è Bradamante, infuriata per aver aspettato invano il suo arrivo, e convince quindi la donna a raggiungere un luogo appartato per parlare. I due raggiungono un sepolcro eretto in mezzo ad un bosco ma arriva poi anche Marfisa ed il duello riprende, coinvolgendo anche il cavaliere saraceno. Il confronto violento viene interrotto dallo spirito del mago Atlante (il sepolcro è la sua tomba) che comunica a Ruggiero e Marfisa che sono fratelli gemelli. Saputo dal cavaliere che il loro padre era stato ucciso dal padre di re Agramante, Marfisa si dichiara cristiana ed obbliga il fratello a fare altrettanto. L’uomo promette però soltanto di approfittare della prima occasione buona per abbandonare l’esercito pagano. Sentito il pianto di una donna ed ascoltata la storia di Marganorre ed il suo odio per le donne, i tre guerrieri non esitano ad intervenire per punire il malvagio e porre fine ad ogni sopruso. Ruggiero torna infine ad Arles e le due donne si recano all’accampamento cristiano. Marfisa mette le sue armi al servizio di re Carlo e viene quindi battezzata. Astolfo torna nuovamente in Etiopia e seguendo le indicazioni ricevute da San Giovanni, conduce l’esercito etiope per tutta l’Africa muovendo guerra ai pagani rimasti in patria. Lo scontro è impari ed in breve i saraceni sono costretti a rifugiarsi nella città di Biserta. Saputo delle varie vittorie ottenute in Africa dai cristiani, re Agramante vuole porre fine al più presto alla guerra in Europa. Viene quindi deciso di rimettere le sorti della contesa in un unico duello tra Ruggiero e Rinaldo. I due cavalieri giurano di servire l’esercito avversario, se qualcuno dei loro dovesse intervenire nel combattimento. Durante il duello tra i due cavalieri Melissa assume le sembianze di Rodomonte e convince re Agramante ad intervenire rompendo i patti. Inizia una nuova feroce battaglia e l’esercito saraceno E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto, ma subito si pentì di esservi giunto. 7 Gli anche fu tolta la donna che amava: ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali aveva difeso con una tanto lunga guerra, ora gli viene tolta tra tanti suoi amici, senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra. Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere un grave incendio (pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela. 8 Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vedeva di buon occhio tale lite, che poteva mettere in dubbio il loro aiuto, questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa, prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera; 9 promettendola in premio a chi dei due, nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale, avesse ucciso il maggior numero di infedeli, e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio. Gli eventi fecero però venire meno le promesse; perché i cristiani dovettero ritirarsi, insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita). 10 Rimasta sola nella tenda, la donzella, che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore, visto l’andamento degli eventi, salì in sella ad un cavallo e ad momento opportuno scappò, avuto presagio che, quel giorno, avversa alla fede cristiana sarebbe stata la fortuna. Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero incontrò un cavaliere che avanzava a piedi. 11 Con addosso la corazza, in testa l’elmo, al fianco la spada ed al braccio lo scudo, correva per la foresta più rapidamente di un contadino poco vestito in una gara di corsa. Una timida pastorella mai così rapidamente sottrasse il piede dal morso di un serpente letale, quanto rapidamente Angelica tirò le redini per cambiare direzione non appena si accorse del guerriero che sopraggiungeva a piedi. 12 Era questo guerriero (Rinaldo) quel paladino, figlio di Amone, signore di Montauban, al quale poco prima il proprio destriero per uno strano caso era fuggito di mano. Non appena posò lo sguardo sulla donna, riconobbe, nonostante fosse lontana, l’angelica figura ed il bel volto che lo avevano fatto prigioniero delle reti dell’amore. 13 La donna volta indietro il cavallo e per il bosco lo lancia in corsa a briglia sciolta; più per la rada (sgombra) che per la fitta boscaglia non va cercando la via migliore e più sicura, perché pallida, tremante, e fuori di sé, lascia che sia il cavallo a frasi strada da solo. L’animale da ogni parte, nell’inospitale foresta, tanto vagò che infine giunse alla riva di un fiume. 14 In riva al fiume trovò Ferraù tutto impolverato e sudato. Poco prima lo aveva tolto dalla battaglia una grande desiderio di bere di riposarsi; e poi, contro la sua volontà, lì si dovette fermare , perché, nella fretta di bere, lasciò cadere nel fiume il proprio elmo ed ancora non era riuscito a ritrovarlo. 15 Sopraggiunse, gridando quanto più poteva la donzella spaventata. Udita la voce, il Saracino salta sulla riva la guarda attentamente in viso e subito riconosce che chi sta arrivando arriva al fiume, nonostante fosse pallida e turbata dalla paura e fossero passati più giorni dall’ultima volta che ne ebbe notizia, era senza dubbio la bella Angelica. 16 Essendo di indole gentile e forse avendo anche l’animo infiammato non meno dei due cugini, porse a lei tutto l’aiuto che era in grado di dare, come se avesse riavuto l’elmo, temerario e spavaldo: sguainò la spada e corse minaccioso verso Rinaldo, che in realtà non era per niente intimorito da lui. Più volte si era già non solo visti ma anche scontrati con le armi. 17 Cominciò lì una battaglia crudele, a piedi, come si trovavano entrambi, con le spade sguainate, Non solo le piastre della corazza e la maglia di ferro ma neanche gli scudi reggevano ai loro colpi. Ora, mentre l’uno si occupa affannosamente dell’altro, il destriero di Angelica è costretto ad affrettare il passo, perché con quanta forza riesce a spronarlo, la donna lo spinge a correre per il bosco e l’aperta campagna. 18 Dopo che si furono affaticati invano i due cavalieri nel tentativo ognuno di fare soccombere l’altro, in quanto, con la spada in mano, non meno istruito, capace, era l’uno dell’altro; fu per primo il signore di Montauban a rivolgersi al cavaliere spagnolo, così come colui ha in petto, nel cuore, tanto fuoco che lo fa ardere tutto senza trovare pace. 19 Disse al pagano: “Avrai creduto me solo di ferire quando invece ferisci anche te stesso, se questo accade perché la sfavillante bellezza di Angelica ha acceso d’amore anche il tuo petto, che cosa guadagni facendomi perdere tempo qui? Che anche se tu mi catturi o mi uccidi non riuscirai a fare tua la bella donna, da momento che, mentre noi ci attardiamo, lei scappa via. 20 Quanto sarebbe meglio, poiché ancora la ami, che tu le vada invece ad incrociarne la strada a trattenerla e farla fermare, prima che ancora più lontano scappi! Appena ne avremo il possesso, allora a chi dei due avrà appartenere verrà poi deciso con la spada: non so altrimenti, dopo una lungo e faticoso combattimento, cosa riusciamo ad ottenere se non un danno.” 21 Al pagano (Ferraù) la proposta piacque: così il duello fu rimandato e la tregua proposta fu subito fra loro attuata; tanto l’odio e l’ira vengono dimenticati, che il pagano nel partire dalle fresche acque del fiume non lasciò a piedi il buon figlio di Amone: lo preghiere lo invita ed alla fine lo fa montare a cavallo ed all’inseguimento di Angelica galoppa. 22 Oh bontà dei cavalieri antichi! Erano rivali, parlavano una diversa lingua, si sentivano dei duri colpi crudeli ancora dolere tutto il corpo; eppure per boschi oscuri e sentieri tortuosi vanno insieme senza temersi tra loro. Da quattro speroni punto, il destriero arriva ad un bivio. 23 E come quelli che non sapevano se l’una l’altra via avesse imboccato la donzella (poiché senza alcuna differenza, su entrambi i sentieri l’impronta appariva fresca, recente) per ogni cespuglio che tocca al proprio passaggio crede di essere già già in bocca alla belva crudele. 35 Quel giorno, la stessa notte e per metà del giorno seguente vagò senza sapere dove stesse andando. Venne a trovarsi infine in un boschetto leggiadro, mosso delicatamente da un vento fresco. Due ruscelli trasparenti, riempiendo l’aria del loro gorgoglio, consentono la presenza sempre dell’erba e la sua crescita; e rendevano piacevole da ascoltare il concerto, interrotto solo tra piccoli sassi, del loro scorrere lento. 36 Qui, credendo di essere al sicuro e lontana mille miglia da Rinaldo, per lo stancante tragitto ed il caldo estivo decide di riposare per un po’ tempo: scende da cavallo tra i fiori e lascia andare a nutrirsi, senza briglia, libero, il proprio destriero; l’animale vaga quindi nei dintorni dei ruscelli, che avevano piene le rive di fresca erba. 37 Non lontano da sé Angelica scorge un bel cespuglio, fiorito di susine e di rose rosse, che si specchia nelle onde limpide dei ruscelli ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose; vuoto nel mezzo, così da concedere fresco giaciglio tra le ombre più nascoste: le sue foglie ed i suoi rami sono talmente intrecciati che non passa il sole, e nemmeno la vista dell’uomo, meno penetrante. 38 L’erbetta morbida crea un letto all’interno del cespuglio, invitando a stendersi sopra chi vi giunge. La bella donna si mette in mezzo al cespuglio, lì si corica e quindi si addormenta. Ma non rimane lì addormentata molto tempo, che le sembra di sentire avvicinarsi un rumore di calpestio: si solleva piano piano e presso la riva di un ruscello vede essere giunto un cavaliere armato. 39 Angelica non riesce a capire se gli è amico o nemico: il timore e la speranza le scuotono il suo cuore dubbioso; attende che quella avventura giunga ad un termine senza emettere neanche un solo sospiro. Il cavaliere si siede in riva al ruscello reggendosi la testa con un braccio; e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che, immobile, sembra essersi mutato in insensibile pietra. 40 Assorto dai propri pensieri, con il capo basso, per più di un’ora stette, cardinale Ippolito, il cavaliere abbattuto; dopo di ché cominciò con un lamento afflitto e dolente a lamentarsi in modo tanto struggente, che avrebbe infranto un sasso per pietà, una crudele tigre fatta misericordiosa. Piangeva tra i sospiri, tanto che un ruscello sembrava scorrergli sulle guance ed il petto un vulcano infuocato. 41 Diceva: “Pensiero che mi ghiaccia ed arde il cuore, e causa il dolore che sempre lo consuma, che ci posso fare se sono giunto tardi ed altri, arrivati prima, avevano già colto il frutto (Angelica)? Ho ricevuto a stento suoi sguardi e parole, altri hanno invece ricevuto tutto il ricco bottino. Se a me non spettano né il frutto né il fiore, perché per lei voglio ancora tormentare il mio cuore? 42 La vergine è simile ad una rosa, che in un bel giardino, sul rovo che l’ha generata, si riposa finché è sola ed al sicuro, e né gregge né pastore le si avvicinano; la brezza delicata e la rugiada del mattino, l’acqua e la terra si inchinano davanti al suo fascino: giovani amanti e donne innamorate amano ornarsi il collo e la testa lei, la rosa. 43 Ma non appena dallo stelo materno e dal ceppo verde del cespuglio viene staccata, quanto aveva per gli uomini e per il cielo fascino, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che il proprio fiore, del quale deve avere cura più che dei propri begli occhi e della propria vita, lascia cogliere ad altra persona, perde l’ammirazione che poco prima aveva nel cuore di tutti i propri amanti. 44 Diviene di scarso valore agli occhi degli altri, ed amata solo da colui al quale fece così grande dono di sé. Ah, fortuna crudele, fortuna ingiusta! Gli altri godono mentre io muoio di stenti. Non potrebbe allora essermi lei meno cara? Non potrei forse abbandonare la mia propria vita? Ah, che io muoia oggi stesso piuttosto che vivere più a lungo, se non dovessi amare lei!” 45 Se qualcuno mi domandasse chi sia questo cavaliere, che versa così tanta lacrime sopra il torrente, io risponderò che lui è il re di Circassia, Sacripante, tormentato dall’amore; dirò ancora che della sua pena, grave da sopportare, la prima e sola causa è l’amare una donna, ed è proprio uno degli amanti di Angelica: è subito fu infatti da lei riconosciuto. 46 In Occidente, dove il sole tramonta, per amore di lei era giunto dal confine estremo dell’Oriente; appena, in India, venne a conoscenza, con suo grande dolore, che lei aveva seguito Orlando in occidente: poi seppe, giunto in Francia, che l’imperatore l’aveva allontanata dalle altre persone, con l’intento di darla a chi dei due, contro gli arabi, avesse meglio aiutato la Francia. 47 Era stato sul campo di combattimento ed aveva intravisto la crudele confitta che di lì a poco avrebbe subito re Carlo: cercò tracce della bella Angelica, ma non era ancora riuscito a trovarne. Questa è dunque la triste e dolorosa vicenda che lo fa penare per il male d’amore, lo fa affliggere, lamentare, e dire parole che potrebbe fare fermare il sole per pietà nei suoi confronti. 48 Mentre Sacripante in tale modo si affligge e soffre, rende i suoi occhi una tiepida fonte di lacrime, e pronuncia queste e molte altre parole, che non mi sembra necessario siano raccontate; la sua buona sorte vuole che dalle orecchie di Angelica siano conosciute: e così accadde in un’ora, in un solo momento, quello che il mille anni, od anche mai, può succedere. 49 Con molta attenzione Angelica, presa ascolto al pianto, alle parole, ai gesti di colui che di amarla si affaccenda molto; e non è una scoperta di questo giorno: ma, dura e fredda più di una colonna, non si degna di avere pietà di lui, come colei che snobba tutto il mondo e pensa non esista persona alcuna degna di lei. 50 Solo il fatto di trovarsi sola tra quei boschi le fa pensare di prendere il cavaliere come guida; perché chi sta nell’acqua fino alla gola, annegando, sarebbe molto ostinato se non chiedesse aiuto. Se questa occasione ora le sfugge, non potrà poi mai più trovare una scorta più fidata; poiché già in precedenza aveva sperimentato a lungo quel re, fedele più di qualunque altro suo amante. 51 Non pensa però di alleviare l’affanno che distrugge lui che la ama, e rimediare ad ogni precedente danno donandogli quel piacere che ogni amatore più desidera: e fu vantaggioso che furono di buona fattura e perfette le corazze, tanto che salvarono i loro petti da ferite mortali. 63 I due cavalli, uno di fronte all’altro, non deviarono in corsa, anzi si scontrarono violentemente tra loro come fanno i montoni: il cavallo di Sacripante morì sul colpo, pur potendo essere annoverato, da vivo, tra i buoni destrieri: anche l’altro cadde a terra, ma si rialzò non appena sentì pungere al suo fianco gli speroni. Quello del re saracino restò disteso, tendendo schiacciato con il proprio peso il padrone. 64 Il misterioso campione che rimase dritto a cavallo, e vide l’altro cavaliere in terra con il cavallo, ritenendo di avere avuto sufficiente trionfo da quel conflitto, non ritenne necessario rinnovare il combattimento; la dove, attraverso la selva, il sentiero è dritto, si lancia invece al galoppo; e prima che il pagano riesca a liberarsi dall’impaccio, si è già allontanato di un miglio o poco meno. 65 Come lo stordito e stupito aratore, dopo che è passato il fulmine, si alza in piedi dal posto dove il fragore assordante l’aveva sbattuto a terra vicino ai buoi uccisi dallo stesso; guarda privo di rami, e quindi privo di onore, il pino che da lontano era abituato a scorgere: allo stesso modo si alzò Sacripante, con Angelica testimone alla situazione imbarazzante. 66 Sospira e geme, non perché gli dia fastidio l’essersi rotto o slogato un braccio od un piede, ma solamente per la vergogna, per la quale, mai in vita sua, né prima né dopo quel momento, arrossì tanto in viso: ed in aggiunta, oltre all’essere caduto, fu Angelica a liberarlo dal grande peso che aveva addosso. Il saraceno sarebbe restato muto, lo posso capire, se Angelica non gli avesse ridato la voce ed il dono della parola. 67 Disse lei: “Dai! Signore, non preoccupatevi! Perché la colpa della caduta non è vostra ma del cavallo, il quale di riposo e di cibo aveva più bisogno che di un altro duello. E l’altro guerriero non esalti troppo il proprio trionfo perché ha dimostrato di essere stato lui lo sconfitto: valuto, per quel poco che ne capisco a riguardo, così l’accaduto, dal momento che per primo ha abbandonare il combattimento. 68 Mentre lei conforta così il saraceno, ecco che, con il corno ed al fianco la borsa, sopraggiunge, galoppando sopra un ronzino, un messaggero che appariva stanco e sconsolato; dopo essersi avvicinato a Sacripante, gli chiese se, con un scudo bianco e con un pennacchio bianco sul l’elmo, avesse visto passare un cavaliere attraverso la foresta. 69 Sacripante rispose: “Come vedi, il cavaliere che cerchi mi ha disarcionato ed è appena ripartito; affinché io possa sapere chi mi ha fatto cadere da cavallo, fammi conoscere il suo nome, nelle armi l’ho già conosciuto.” Ed il messaggero a lui: “Il tuo desiderio di sapere verrà soddisfatto senza alcuna esitazione: devi perciò sapere a disarcionarti è stato l’alto valore di una nobile donzella. 70 Lei è energica, ma soprattutto bella; ma il suo famoso nome non ti nasconderò oltre: è stata Bradamante ha toglierti più onore di quanto tu ne abbia mai guadagnato al mondo.” Dopo essersi così pronunciato, il messaggero ripartì al galoppo lasciando molto poco allegro Sacripante, che non sa più che dire o fare, con la faccia completamente infiammata dalla vergogna. 71 Dopo aver pensato a lungo, invano, alla situazione fortunosa che gli era capitata, si trovò infine steso a terra da una femmina, e più ci pensa e più ne soffre; monta sul cavallo di Angelica, silenzioso ed incapace di parlare: senza proferire parola, con calma, prede in groppa Angelica, e rimanda quindi i suoi piani ad una momento più lieto, ad un luogo più tranquillo. 72 Non avevano percorso più di due miglia, che udirono risuonare il bosco che li circondava con un tale rumore e strepitio, che sembrava tremasse tutta la foresta: poco dopo compare dalla vegetazione un destriero possente, abbellito con oro e adornato riccamente, che procede scavalcando con balzi cespugli e torrenti, travolge e distrugge gli alberi ed ogni altro impedimento al suo passaggio. 73 “Se la presenza di rami intricati e la scarsa luce (disse la donna) non mi ingannano gli occhi, è Baiardo quel destriero che in mezzo al bosco, con tale frastuono, si apre a forza la strada. Questo destriero è di certo Baiardo, lo riconosco: deh, quanto bene può fare alla nostra causa! Perché un solo destriero per due perone sarebbe poco adatto, ed è lui venuto a soddisfare subito il nostro bisogno! 74 Sacripante smonta e si avvicina al fianco di Baiardo, pensando di riuscire ad impugnarne il freno. Il destriero risponde al tentativo con i muscoli posteriori, girandosi velocemente come un fulmine; ma non arriva a colpire là dove aveva indirizzato i calci: povero il cavaliere se avesse colpito in pieno! Poiché il cavallo aveva una tale forza nel calciare da riuscire a spezzare anche una montagna di metallo. 75 Poi va invece mansueto dalla donzella con fare umile ed atteggiamento docile, così come il cane è solito saltellare introno al proprio padrone, dopo essere da lui stato lontano per due o tre giorni. Boiardo si ricordava ancora di lei, che in Albracca lo aveva accudito e governato personalmente, nel periodo in cui Angelica tanto amava Rinaldo, che invece si mostrava allora crudele ed insensibile. 76 Angelica impugna con la mano sinistra la briglia del cavallo, accarezzandone con la destra il collo ed il petto; quel destriero, dotato di ottima intelligenza, nei confronti di lei si dimostra mansueto come un agnello. Nel frattempo Sacripante coglie l’attimo favorevole: monta Boiardo, lo sprona tendendolo a freno nello stesso tempo. Angelica abbandona quindi la groppa del suo ronzino ora alleggerito, e si rimette quindi, più comoda, in sella. 77 Poi, posando intorno a se lo sguardo, vede sopraggiungere di corsa un possente guerriero a piedi. Angelica si accende d’ira e di disappunto; riconosce infatti in lui Rinaldo. Più dalla propria vita lui la ama e desidera: lei lo odia e lo evita più di quanto faccia la gru con un falcone. Prima accadde che lui odiasse lei più della morte; lei amò invece lui: ora la propria sorte hanno invertito. 78 Ciò è stato causato da due fontane che rilasciano liquidi che producono effetti contrari, entrambe si trovano nelle Ardenne, poco distanti tra loro: l’una riempie il cuore di desiderio d’amore; chi beve dall’altra viene invece privato dell’amore, e tramuta in ghiaccio il proprio ardore iniziale. Rinaldo assaporò un liquido e si tormenta ora d’amore; Angelica dall’altra ed ora lo odia e fugge da lui. 79 Quel liquido mescolato ad un filtro magico, che trasforma in odio la passione amorosa, rende la donna che ha visto Rinaldo subito oscura negli occhi sereni; di salvarsi, giovane infelice; ma il pesante carico che aveva sulle spalle, rendeva vani tutti i suoi tentativi. Non conosce quei luoghi, e la via sbaglia, tornando ad avvolgersi nei rovi. Lontano da lui si era invece messo al sicuro Cloridano, avendo la spalla più leggera, senza pesi da sostenere. 4 Cloridano si è rifugiato in un luogo da quale non può sentire il rumore egli schiamazzi di chi è al suo inseguimento: ma quando si accorge che Medoro non è più con lui, è lontano da lui, gli sembra si avere lasciato indietro il proprio cuore. Diceva a sé stesso: “Deh, come sono stato tanto negligente, deh, come ho perso il controllo di me stesso, che mi sono travotato ad essere senza di te, Medoro, qui, senza neppure sapere quando e dove ti ho lasciato!” 5 Così dicendo, si ributta nell’attorcigliato sentiero di quell’intricata selva; riavviandosi verso il punto da dove era venuto, e torna sulle tracce che condurranno alla sua morte. Sente continuamente il rumore dei cavalli, le urla dei cavalieri, ed i nemici che pronunciano minacce: infine sente il suo Medoro, e lo vede, tra molti altri a cavallo, unico a piedi. 6 Ce ne sono cento a cavallo e sono tutti intorno a lui: Zerbino comanda i cavalieri e grida loro l’ordine di catturarlo. L’infelice Medoro si aggira come un tornio, tenendosi quanto può cerca di difendersi da loro, ora dietro una quercia, ora un olmo,ora un faggio ed ora un ornello, senza mai separarsi dal caro peso che porta sulle spalle. Alla fine lo posa nuovamente sull’erba, quando non può più reggerne il peso, e gli gira intorno, vagando senza meta: 7 come un orsa, che il cacciatore di montagna abbia sorpreso nella sua tana di pietra, si pone con animo combattuto sopra i propri figli, e si agita con frastuono tra l’amore per i cuccioli e la ferocia per il cacciatore: spinta dall’ira e dal suo furore innato a tirar fuori le unghie ed a voler insanguinare le labbra; l’amore la intenerisce e la fa indietreggiare, nel mezzo dell’ira, per guardare con attenzione ai propri figli. 8 Cloridano, che non sa come poter essere d’aiuto a Medoro, e che vuole essere al suo fianco anche nella morte, ma non vuole che il suo vivere sia trasformato in morte prima di aver trovato il modo di uccidere più di un nemico: pone nell’arco una delle sue frecce acuminate, e, rimanendo nascosto, fa con quell’arma un lavoro tanto buono, che trapassa le cervella ad un nemico Scozzese, e lo fa quindi cadere morto da cavallo. 9 Tutti gli altri volgono lo sguardo da quella parte dalla quale era arrivato il dardo omicida. Il saraceno intanto ne lancia un altro, per uccidere un secondo nemico, quello a lato del primo caduto morto; e mentre costui in tutta fretta domanda in giro chi abbia tirato con l’arco, gridando forte, arriva la freccia e gli trapassa la gola, e la parola gli interrompe a metà. 10 Ora Zerbino, che era il loro capitano, non poté a quel punto avere più pazienza. Con ira e con furore si avvicinò a Medoro, dicendo: “Ne pagherai tu le conseguenze.” Allungò la mano afferrando la sua bionda chioma e lo trascinò a sé con violenza: ma non appena pose i propri occhi su quel bel volto, non poté fare a meno di provare pietà per lui, e non lo uccise. 11 Il giovane ragazzo ricorse alle preghiere, e disse: “Cavaliere, in nome del tuo Dio, non essere tanto crudele da impedire che io possa dare degna sepoltura al corpo del mio re. Non voglio che nessun altra pietà nei miei confronti pieghi la tua volontà, né voglio che tu possa pensare che abbia solo il desiderio di poter vivere: ho tanta cura della mia vita, niente di più, quanta ne basta per poter dare sepoltura al mio signore. 12 E se vuoi invece vuoi nutrire fiere ed uccelli, lasciando il corpo insepolto, perché vi è in te la collera del tebano Creonte, che impedì la sepoltura dei nemici morti, fa banchettare loro con le mie membra, e quelle del figliolo di Almonte lascia invece che vengano seppellite.” Così si pronunciò Medoro con belle maniere, e con parole adatte a smuovere anche una montagna; ed aveva talmente commosso Zerbino, che costui ormai ardeva tutto d’amore e di pietà. 13 Ma nel frattempo, un cavaliere maleducato, dimostrando poco rispetto nei confronti del suo signore, con una lancia impugnata al di sopra della spalla, ferì il petto delicato del supplicante Medoro. L’atto crudele e barbaro non piacque a Zerbino; tanto più che, per il colpo ricevuto, vide cadere il giovane ragazzo tanto smorto e con espressione tanto impaurita, che credette che fosse morto. 14 E si indignò per l’atto e se ne addolorò in tale misura, che disse: “Non rimarrà ora senza vendetta!” e pieno di sdegno di rivolse al cavaliere che aveva compiuto quell’atto malvagio: ma costui agì d’anticipo, gli si tolse da davanti in un attimo e fuggì via. Cloridano, che vede ora Medoro giacere in terra, salta fuori dal bosco per combattere allo scoperto. 15 Getta l’arco, e tutto pieno di rabbia agita la propria spada in mezzo ai nemici, più per trovare anch’esso la morte, che con l’intenzione di ottenere una qualche vendetta che possa compensare la sua ira. Vede la sabbia divenire rossa del proprio sangue, tra tante spade nemiche, e si vede ormai in fin di vita; vedendosi tolta ogni forza, si lascia quindi cadere accanto al suo Medoro. 16 Gli scozzesi proseguono dove il loro comandante Zerbino per la profonda selva, viene condotto dal suo nobile sdegno, dopo che ha lasciato sul campo l’uno e l’altro moro, uno completamente morto e l’altro con molta poca vita. Giceva in terra già da molto tempo il giovane Medoro, perdendo sangue dalla tanto profonda ferita, che la sua vita, alla fine, avrebbe perduto, se non fosse sopraggiunto chi gli poi gli diede aiuto. 17 Arrivò per caso dove lui si trovava una donzella, avvolta in vestiti umili, da pastore, ma di aspetto regale e con un bel viso, di maniere nobili e convenientemente piene di decoro. Da tanto tempo io non ne diedi più notizia, ed a malapena dovreste quindi riuscire a riconoscerla: quella ragazza, se non lo sapete, era Angelica, superba figlia di Galafrone, re del Catai. 18 Dpo che rientrò in possesso del proprio anello magico, del quale Brunello l’aveva privata derubandola, la sua superbia ed il suo orgoglio crebbero in tale misura, che tutto il mondo sembrava adesso avere a sdegno. Va in giro da sola, e non si degnerebbe di avere come compagno neanche il più famoso che ci fosse al mondo: non si degna di ricordare di avere già nominato a suo amante Orlando, o Sacripante. 19 E più di ogni altro sue errore, molto di più si era pentita del bene che aveva voluto a Rinaldo, ritenendo di essersi troppo avvilita, e di aver indirizzato gli occhi per guardare così in basso. L’Amore, avendo sentito ormai troppa arroganza, non la volle tollerare più a lungo: là dove giaceva Medoro, l’Amore si pose al varco e l’aspettò, dopo avere posto una freccia nel suo arco. il vostro illustre valore, ditemi, a cosa può giovare? Ditemi in che misura sia apprezzato il vostro sublime onore, o che riconoscenza ottenga la vostra servitù d’amore. Fatemi l’esempio anche di un solo gesto di cortesia che mai Angelica vi abbia fatto dono, o del passato o recente, come ricompensa, premio o per acquisizione di merito per tutto quello che per amore di lei avete sofferto. 32 Oh, se potessi ritornare invita oh re Agricane, morto per l’amore di lei, quanto ti sembrerebbe duro il destino! che già ti manifestò tanto disprezzo nei tuoi confronti con crudeli ed inumani gesti di avversione. Oppure Ferraù, o mille alri dei quali non scrivo, che avete dato mille dimostrazioni del vostro valore per questa donna ingrata, quanto duro vi sarebbe se la vedeste ora tra le braccia di costui! 33 Angelica la propria verginità da Medoro lasciò che venisse colta, mai prima di allora toccata: nessuna persona fu infatti mai tanto fortunata, da poter mettere piede in quel giardino. Per coprire, per rendere legittima la cosa, venne celebrato con santo cerimoniale il loro matrimonio, che ebbe il Dio Amore come testimone dello sposo, e la moglie del pastore a testimone della sposa. 34 Le nozze fuorono celebrato sotte l’umile tetto della dimora del pastore, furono le più fastose che si sarebbero potutote svolgere; e per più di un mese stettero piacevolemente i due tranquilli amanti a svagarsi. Non riusciva a vedere null’altro che il giovanotto la donna, e non poteva mai sentirsi sazia di lui; né, per quanto pendesse sempre dal suo collo, sentiva sazio il desiderio che provava nei suoi confronti. 35 Se stava al coperto o se usciva fuori casa, aveva sempre, giorno e notte, il bel giovane accanto a sé: dal mattino alla sera, ora questa ed ora quella riva del fiume andava percorrendo a passeggio, o altrimenti qualche prato verde: a mezzogiorno trovavano riparo in una grotta, forse non meno comoda e gradita di quella che ebbero, per evitare un temporale, Enea e Didone a fedele testimone dei loro segreti. 36 Tra tanti piaceri, ovunque un dritto arbusto vedesse fare ombra ad una fonte od a un limpido ruscello, vi conficcava subito uno spillone od un coltello; allo stesso modo agiva se trovava qualche roccia poco dura: e vi erano scritti all’aperto in mille diversi luoghi, ed anche sul muro di casa in altrettanti luoghi , i nomi di Angelica e Medoro, in diversi modi intrecciati tra di loro. 37 Dopo che le sembrò di avere soggiornato in quel luogo a sufficienza, decise di fare ritorno in India nella regione del Catai, e di incoronare quindi Medoro re del suo bel regno. Portava al braccio un cerchio d’oro, adornato da gemme preziose, a testimonianza e simbolo del bene che il conte Orlando provava nei suoi confronti; e l’aveva al braccio da molto tempo. 38 Quel cerchio d’oro fu donato da Morgana, innamorata, a Ziliante, quando lo tenne nascosto sul fondo del lago; e Ziliante, dopo che dal padre Monodante poté tornare grazie all’opera ed al grande valore di Orlando, lo diede poi ad Orlando stesso: il paladino innamorato, tollerò di portare al braccio il cerchio, così poco virile, avendo deciso di portarlo in dono alla sua regina, Angelica, della quale vi sto ora raccontando. 39 Non per amore nei confronti del paladino, piuttosto perché era un ornamento prezioso e di ottima fattura, la donna l’aveva tanto caro, che di più non si potrebbe avere caro un oggetto di valore. Lo conservò con sé quando era sull’isola di Ebuba, non so come riuscì ad ottennere un tale privilegio, là dove venne esposta, completamente nuda, al mostro marino da parte della gente crudele e inospitale che abita l’isola. 40 Ora, non disponendo di altra ricompensa da poter dare al buon pastore ed alla sua moglie, che li avevano serviti con così grande devozione dal giorno in cui entrarono nella loro dimora, si levò dal braccio il cerchio e lo diede loro, e vollè che lo tenessero come segno del suo amore. Quindi, iniziarono a risalire la montagna, i Pirenei, che divide la Francia dalla Spagna. 41 Dentro Valencia o dentro Barcellona aveva pensato di fermarsi per qualche giorno, finché non fosse capitata qualche buona nave che si fosse apprestata a salpare verso l’Asia. Videro apparire il mare in prossimità di Gerona, mentre scendevano dalle dorsali montuose; e costeggiando alla loro sinistra il litorale, lungo la via più battuta giunsero a Barcellona. 42 Ma non vi giunsero in tempo per evitare di incontrare un uomo folle che giaceva sulla battigia, sul limite della spiaggia, e che, come fosse un porco, di fango e di acqua era completamente sporco in volto, petto e schiena. Costui sì lanciò con violenza contro di loro così come un cagnaccio subito va ad assalire uno straniero; e diede loro noia e fu sul punto di recare loro danno. Ma torno ora a raccontarvi nuovamente di Marfisa. RIASSUNTO Cloridano, abbandonato il carico, riesce a scappare velocemente attraverso il bosco ed a porsi anche in salvo. Appena si accorge della mancanza di Medoro decide però subito di tornare indietro. Medoro, rallentato dal peso del corpo esangue di Dardinello, è invece stato raggiunto da Zerbino ed dagli altri cavalieri cristiani, che lo circondano e lo minacciano. Cloridano, rimanendo nascosto, scocca due frecce dal suo arco ed uccide altrettanti cavalieri. Zerbino minaccia quindi Medoro di pagare lui le conseguenze di quel gesto, ma visto il bel viso del ragazzo prova pietà per lui e non riesce ad ucciderlo. Medoro, prega il paladino di consentirgli di seppellire il proprio padrone, ed è anche riuscito a convincerlo ma un altro cavaliere interviene però in quel momento e lo trapassa con la propria lancia facendolo cadere come morto. Visto il caro amico a terra, Cloridano esce dal proprio nascondiglio e viene subito ucciso. Infine, Zerbino, sdegnato per il gesto del suo cavaliere e per non essere riuscito a punirlo, torna con il suo seguito all’accampamento cristiano. Angelica, vestita di panni umili ma con il solito aspetto regale, giunge per caso là dove si trova Medoro. L’orgoglio della ragazza è cresciuto oltre ogni misura, va ormai in giro da sola e non ritiene che ci sia nessuno all’altezza della sua compagnia. Amore, non potendo più tollerare questo suo comportamento, aspettò Angelica vicino al giovane, la colpì con una sua freccia e la fece quindi prigioniera d’amore per Medoro. Angelica cura la ferita di Medoro con delle erbe medicinali. Convince quindi un pastore, incontrato lì vicino, ad aiutare insieme a lei il giovane, dando loro ospitalità. Prima di essere portato via di lì Medoro chiede però ed ottiene che venga data sepoltura a Dardinello ed a Cloridano. Quanto più la ferita del giovane guarisce, tanto più si allarga la ferita aperta nel cuore di Angelica da Amore. I due sfogano infine le loro passioni e Medoro ottiene da Angelica ciò che nessun altro cavaliere era mai riuscito ad avere, nonostante le incredibili imprese che per lei aveva compiuto e l’incredibile valore che le aveva mostrato. Nella casa del pastore, per rendere quindi leggittima la loro unione, i due amanti si sposano. Passano poi più di un mese ad amoreggiare in ogni luogo e in ogni luogo lasciano la loro firma intrecciata in mille modi. Angelica decide infine di ripartire con Medoro per fare ritorno in India e paga l’ospitalità del pastore donandogli il bracciale prezioso che aveva ricevuto da Orlando come pegno del suo amore. In viaggio verso Barcellona in cerca di una nave per l’India, per poco non subiranno danni da un uomo completamente folle incontrato su una spiaggia. Dopo giorni passati a fronteggiare il mare in tempesta, la nave, ormai completamente distrutta, che ospita Sansonetto, Astolfo, Marfisa, Grifone ed Aquilante, giunge infine sulle coste della città di Alessandretta. Il capitano racconta al duca Astolfo che in quella città vivono femmine crudeli ed omicide, che uccidono o fanno prigioniero ogni uomo che giunga presso la loro terra e non riesca a superare una prova di valore: sconfiggere in combattimento dieci uomini e soddisfare a letto, la notte stessa, altrettante donne. Se l’uomo riesce nell’impresa, allora salva la propria vita (non la propria libertà poiché dovrà comunque sposare dieci donne) e dona la libertà al proprio seguito; altrimenti viene messo a morte e tutto il suo seguito viene Avevano ornato l’ingresso (di quella grotta) edere e viti rampicanti con i loro fusti contorti. Nei giorni più caldi, qui erano soliti stare abbracciati i due felici amanti. C’erano i loro nomi dentro ed intorno (alla grotta) più che nei luoghi circostanti, scritti alcuni con il carbone ed altri con gesso e altri erano impressi con punte di coltelli. 107 Qui scese il triste cavaliere; e vide sull’ entrata della grotta tante parole, che erano state scritte dalla mano di Medoro, e sembravano esser state scritte proprio in quel momento. Per esprimere il grande piacere che provò (con Angelica) nella grotta, aveva composto questa iscrizione in versi. Io penso che fosse poeticamente elaborata in arabo (lingua di Medoro), ed era tale il senso nella nostra lingua: 108 “Liete piante, verdi erbe, limpide acque, grotta gradevole per la fresca ombra, dove la bella Angelica nacque di Galafron, è stata amata vanamente da molti, spesso nelle mie braccia giacque nuda; dei piaceri che qui mi sono stati dati, io povero Medoro non posso ricompensarvi in altro modo, se non lodandovi in ogni momento: 109 e di pregare ogni signore che vi ha amato, e cavalieri e damigelle ed ogni persona, del posto o forestiere, che capiti qui intenzionalmente o per caso; che all’erba, all’ombra, all’ingresso (delle grotta), al fiume e alle piante dica: che sole e luna vi siano favorevoli, e vi protegga il coro delle ninfe dai danni che potrebbero recare le greggi condotte lì da qualche pastore.” 110 Era scritto in arabo, che il cavaliere capiva bene come il latino: tra molte lingue che conosceva, il paladino sapeva benissimo quella; e gli fece evitare più volte danni e scontri, quando si trovò tra il popolo saraceno: ma non si rallegri, se altre volte (la conoscenza dell’arabo) gli fu propizia; perché ora gli arreca un danno tale da cancellare tutti i vantaggi ottenuti. 111 Lesse tre, quattro, sei volte la triste poesia l’infelice, ed anche cercando invano (di immaginare) che non ci fosse ciò che vi era scritta; ma gli risultava sempre più chiaro e facile da comprendere: ed ogni volta (che leggeva) si sentiva in mezzo al petto afflitto stringere il cuore con mano gelida. Rimase lì con gli occhi e con il pensiero rivolti al sasso, impietrito. 112 Fu allora che inizio ad impazzire, così che in preda al dolore si abbandona completamente. Credete a chi lo ha provato su se stesso, che questa, d’amore, è la sofferenza che fa passare tutte le altre. Gli era caduto il mento sopra il petto (testa bassa), la fronte era priva di rughe ed era bassa; non poté aver e (che il dolore l’occupò tanto) voce per lamentarsi o lacrime per piangere. 113 Rimase dentro l’impetuoso dolore, che voleva uscire con troppa fretta. Così vediamo restare l’acqua nel vaso, che abbia largo il ventre e stretta la bocca; così ché, capovolgendo il vaso, l liquido che vorrebbe uscire, tanto velocemente si riversa, e si ingorga nella stretta apertura, uscendo così goccia a goccia, a fatica. 114 Poi ritorna abbastanza in sé, e pensa se la cosa potrebbe essere non vera: che qualcuno voglia così infamare il nome della sua donna, e crede e spera e brama, oppure (che qualcuno voglia) gravarlo di un così insopportabile peso di gelosia, da farlo morire; e abbia, chiunque sia stato, imitato molto bene la sua calligrafia (di Angelica). 115 Con una così debole speranza, gli si rianimarono gli spiriti vitali; quindi salì in groppa al suo Brigliadoro quando il sole stava già lasciando il posto a sua sorella luna (tramonto). Non va molto avanti, che dagli alti comignoli dei tetti vede uscire del fumo, sente cani abbaiare e una mandria muggire: va fino alla villa e prende posto. 116 Languido smonta (da cavallo), e lascia Brigliadoro a un abile garzone perché ne abbia cura: si fa disarmare da uno, gli sperono d’oro un altro gli leva, e si fa lucidare l’armatura da un altro ancora. Era questa la casa dove Medoro visse quando fu ferito, e dove ebbe grande fortuna. Orlando chiede solo da dormire e niente per cena, è sazio di dolore e non di altro cibo. 117 Quanto più cerca di trovare tranquillità, tanto più prova travaglio e dolore; vede piena della odiata poesia (quella scritta da Medoro) ogni parete ogni finestra, ogni porta. Vorrebbe chiedere a riguardo ma poi tiene le labbra ferme (sta zitto); perché teme di rendere (a se stesso) troppo evidente, troppo chiara la cosa che cerca di dimenticare (offuscare), per provare meno dolore. 118 Ingannare se stesso non gli giova; perché senza domandare (dell’accaduto) c’è chi ne parla. Il pastore, che lo vede così oppresso dalla sua tristezza, e vorrebbe alleviarla, iniziò a raccontargli la storia che conosceva bene; raccontava spesso dei due amanti a chi voleva ascoltare una storia molto dilettevole, e così, senza rispetto, cominciò a raccontare 119 come egli, pregato dalla bella Angelica, aveva portato in casa sua Medoro, ferito gravemente; e che ella (Angelica) curò la ferita ed in pochi giorni la guarì: ma lei, con una piaga ancora maggiore di quella, nel cuore fu ferita da Amore (cupido); e da una piccola scintilla si accese tanto del così cocente fuoco, che la faceva ardere tutta, e non trovava pace: 120 e senza aver riguardo che ella (Angelica) fosse figlia del più grande re che abbia mai avuto l’oriente, sospinta da un grandissimo amore fu portata a sposare Medoro, umile soldato. La conclusione della storia fu che il pastore mostrò ad Orlando il gioiello, che al momento della partenza, come ricompensa della buona ospitalità, gli diede Angelica. 121 Questa conclusione fu la scure che gli levò la testa dal collo in un colpo solo, una volta che delle innumerevoli bastonate fu sazio il carnefice Amore. Orlando si sforza di nascondere il dolore ; e tuttavia quello è talmente violento che difficilmente lo può tenere nascosto: attraverso le lacrime degli occhi ed i sospiri della bocca è inevitabile che esploda. 122 Dopo che poté dar libero sfogo al dolore (perché resta solo senza doversi preoccupare di nessun altro), dagli occhi, rigando le guance sparge un fiume di lacrime sul petto: sospira e piange, e cammina, girandosi spesso, di qua e di là esplorando il letto: e più duro che un sasso, e più pungente dell’ortica se lo sente. Ma tanto né quella, né una scure, né una bipenne (scure a due lame) erano necessarie alla sua immensa forza. Qui fece davvero alcune tra le sue imprese più straordinarie, sradicò un grande pino con un solo scrollone: 135 e ne abbatté, dopo il primo, molti altri ancora come se fossero state piante dal fusto tenero; e fece la stessa cosa con querce, vecchi olmi, faggi e abeti. Come un uccellatore che per ripulire il campo, dove mettere le reti, estirpa le erbaccie, i ramoscelli e le ortiche, Orlando faceva con le querce e con le altre piante secolari del bosco. 136 I pastori che avevano sentito il gran chiasso, lasciando il gregge sparso per la foresta, da ogni luogo, di corsa vanno a vedere che cosa fosse quel rumore. Ma sono giunto a quel punto che se lo oltrepasso, la mia storia vi potrebbe essere dannosa; e io la voglio rinviare ad un altro canto prima che vi possa infastidire per la sua lunghezza. RIASSUNTO Ucciso Pinabello, Bradamante si accorse di non sapere più tornare al luogo in cui aveva lasciato Ruggiero. Dovette dormire in un bosco, tra sospiri e lacrime, accusandosi di essersi lasciata prendere dall’ira, di non essere stata al fianco dell’amato e di non essersi nemmeno guardata intorno durante l’inseguimento, tanto ardeva dal desiderio di vendicarsi. Vagando per il bosco, il giorno dopo la donna raggiunge il palazzo nel quale era stata tenuta prigioniera, per incantesimo, insieme ad altri cavalieri, ed incontra quindi suo cugino Astolfo. Il paladino è ben contento di incontrare Bradamante, la miglior persona alla quale avrebbe mai potuto affidare Rabicano. Astolfo consegna quindi alla donna il proprio destriero, l’armatura, così da potersi muovere leggero nell’aria a cavallo dell’ippogrifo, e la lancia incantata, chiedendole il piacere di portarle a Montalbano e di conservarle fino al suo ritorno. Il cavaliere prende infine la sua via nel cielo. Aiutata da un campagnolo, la donna riprende quindi il proprio viaggio con l’intenzione di recarsi prima alla badia di Vallombrosa, per ritrovare l’amato, e solo dopo fare ritorno a Montalbano, dove aveva la madre ed alcuni suoi fratelli ad aspettarla. Vagando per il bosco, si ritrova però subito a Montalbano. Teme di essere riconosciuta e di trovarsi quindi costretta a rimanere contro la propria volontà, per tale motivo riparte lungo la via a lei nota che porta alla badia. Non fa però in tempo ad allontanarsi che incontra il fratello Alardo. Si incammina con lui verso Montalbano e riabbraccia così la madre Beatrice ed anche gli altri suoi fratelli. Non potendo più andarci di persona, Bradamante invia Ippalca, figlia della sua balia, a Vallombrosa per informare Ruggiero degli avvenimenti e chiedergli quindi di procedere nel battesimo per poi raggiungerla a Montalbano. Affida a lei anche Frontino, il cavallo di Ruggiero, che aveva portato a Montalbano dopo che l’amato era stato rapito dall’ippogrifo. Ippalca incontra sulla propria via Rodomonte, il quale, partito alla ricerca di Doralice a piedi, si era promesso di entrare in possesso del cavallo del primo cavaliere che gli fosse capitato di incontrare. Da quel momento non aveva incontrato altri cavalli se non quello condotto dalla messaggera di Bradamante. Al guerriero Pagano dispiace di doverlo sottrarre ad una donna, saputo però che si tratta del destriero di Ruggiero, che la donna dice essere, seguendo le istruzioni ricevute da Bradamante per spaventare ogni malintenzionato, il più valoroso cavaliere, il crudele saraceno non esita oltre, sale in groppa al destriero e si rimette in viaggio. Rodomonte chiede ad Ippalca di fare il suo nome a Ruggiero e di dirgli che se lo rivuole indietro potrà trovarlo facilmente seguendo le chiare tracce del suo passaggio. Sentito il rumore di una battaglia, subito Zerbino, seguito da Gabrina, corre sul posto e trova così il cadavere di Pinabello poco dopo la partenza di Bradamante. Mentre il cavaliere cerca invano di trovare il colpevole dell’omicidio, la vecchia sottrae al morto tutto ciò che di valore riesce a nascondersi addosso, tra cui una cintura. I due, ripartiti, giungono presso al palazzo del padre di Pinabello. Zerbino finge di non sapere nulla del corpo per paura di essere accusato dell’omicidio. Il padre di Pinabello, il conte Anselmo, aveva però promesso un ricco premio a chi riuscisse a indicargli l’assassino, e la vecchia Gabrina subito approfitta dell’occasione per indicare in Zerbino l’omicida e, per essere meglio creduta, mostra anche al conte la cintura sottratta al cadavere. Zerbino viene subito fatto prigioniero e condannato ad essere squartato là dove Pinabello era stato ucciso. Giunge per fortuna sul posto il paladino Orlando in compagnia della bella Isabella. Il cavaliere, lasciata la compagna su di un monte, si avvicina al condannato a morte chiedendo spiegazioni. Zerbino gli racconta la sua storia e convince così bene Orlando della propria innocenza (aiutato anche dal fatto che Orlando conosce bene la crudeltà dei Maganzanesi) che subito il paladino decide di aiutarlo. Orlando si lancia in combattimento e fa una strage uccidendo senza pietà tutti quelli che riesce a raggiungere. Zerbino, riavuta la libertà ed indossate nuovamente le proprie armi (quindi non riconoscibile a causa dell’elmo), si accorge della presenza dell’amata Isabella e arde pertanto d’amore. Vorrebbe riabbracciarle ma teme che il paladino, verso cui è debitore della propria vita, sia il nuovo amante di lei, e perciò si trattiene. Giunti presso una fonte, Zerbino si toglie infine l’elmo e viene riconosciuto da Isabella, che corre ad abbracciarlo. Un rumore giunto dal bosco pone fine ai ringraziamenti dei due amanti verso Orlando ed i tre vedono arrivare a cavallo Mandricardo e Doralice. Il crudele pagano era alla ricerca di quel cristiano che aveva fatto una strage di guerrieri saraceni presso Parigi, per potersi confrontare con lui; riconosciutolo quindi nel cavaliere che si trova in quel momento di fronte, sfida subito il conte a duello. Orlando si stupisce di vedere l’avversario privo di spada e Mandricardo gli dice di essersi promesso di non portare con sé nessuna spada finché non riuscirà a togliere la spada Durindana al conte Orlando. Infine, dice di volersi vendicare anche dell’uccisione del proprio padre, Agricane, per mano del paladino. Orlando dichiara la propria identità, appende ad un albero la propria spada e si prepara al duello. La lancia viene subito ridotta in pezzi nei primi scontri e gli sfidanti, non avendo altre armi, non possono fare altro che cercare di avere la meglio con i pugni e nel combattimento corpo a corpo. Il cavallo di Mandricardo rimane senza le briglie, tolte da Orlando, e parte subito al galoppo, accecato dalla paura, portandosi dietro il proprio padrone. Terminerà la propria corsa cadendo in un fosso. Doralice, corsa dietro alla propria guida, offre al guerriero le briglie del proprio cavallo. Mandricardo si impossessa invece di quelle del cavallo guidato da Gabrina, giunta lì per caso. Orlando, non vedendo ricomparire l’avversario, decide di andare alla ricerca di Mandricardo e si separa così dai due amanti, chiedendo però prima loro, dovessero mai incontrare il guerriero pagano, di dire lui che potrà trovare il paladino in quei boschi per altri tre giorni, prima che faccia poi ritorno a Parigi. Dopo aver girato invano per due giorni, il conte Orlando giunge infine nei luoghi dove Angelica e Medoro sfogarono la loro passione amorosa. Vede i loro nomi incisi su ogni albero ed ogni pietra. Il paladino cerca di convincersi prima che si tratti di un’altra Angelica, ma conosce purtroppo bene la grafia della donna amata, poi che Medoro fosse il soprannome che lei gli aveva dato, ma in una grotta trova una poesia scritta dal giovane in onore della passione vissuta insieme ad Angelica, e non può infine fare altro che scontrarsi con la dura realtà. Inizia a crescere la pazzia in Orlando. Pensa anche che le scritte siano opera di qualche malintenzionato, che voglia disonorare e screditare la sua amata, oppure che siano state fatte con l’intenzione di ferirlo ingiustamente. Quella sera si trova però a dormire nella casa dello stesso pastore che aveva accolto Angelica e Medoro e li aveva infine sposati. Gli viene raccontato ogni dettaglio della storia d’amore dei due giovani e gli viene anche mostrato il bracciale, donato da Orlando come pegno d’amore, con il quale Angelica aveva ripagato il pastore dei favori ricevuti. Questa storia è la scure che tolse definitivamente il capo dal collo del paladino. Fugge nella notte da quella casa dove la sua amata aveva sfogato la sua passione amorosa per Medoro. Raggiunge il bosco, grida il suo dolore, versa lacrime per giorni e si sente morire. Giunto nuovamente nei luoghi dove ovunque erano incisi i nomi dei due amanti, l’Orlando furioso sguaina la propria spada e distrugge tutto ciò che abbia quelle scritte. Ormai sfinito si sdraia sul prato e rimane così, immobile, per tre interi giorni. Orlando si spoglia poi dell’armatura, di ogni arma e di ogni veste, rimanendo completamente nudo. Il paladino ha perso ora completamente il senno: è la pazzia di Orlando. Il conte furioso distrugge tutto ciò che incontra sulla propria strada utilizzando la propria immensa forza. CANTO 34 PARAFRASI Il canto è interamente dedicato all’episodio noto come Astolfo sulla Luna. Il paladino Astolfo raggiunge il paradiso terrestre in sella al cavallo alato Ippogrifo e da qui viene accompagnato da San Giovanni sui monti della Luna, dove poter ritrovare il senno perso dal paladino Orlando. 1 Oh fameliche, ingiuste e feroci arpie (gente straniera) che per l’Italia accecata e piena di ogni sbaglio, forse per punire antiche e malvagie colpe, la giustizia divina conduce in ogni mensa! Ragazzini innocenti e madri devote non si reggono in piedi dalla fame, e vedono che in una sola cena questi mostri malvagi divorano completamente ciò che sarebbe il sostegno per il loro vivere. 2 Commise un grosso errore colui che aprì la grotta (le frontiere) dove già da molti anni erano state loro rinchiuse; grotta dalla quale emerse il fetore e l’ingordigia, che si diffuse poi per l’Italia rendendola infetta. Il bel vivere a quel punto si sommerse; e la quiete fu in tal modo lasciata fuori, che in guerre, in povertà ed in ansia l’Italia è stata continuamente dopo, e ci starà per ancora molti anni: 3 fino a che un giorno, ai figli indolenti, pigri, non scuterà, prendendoli per i capelli, la testa e li strapperà così al letargo, Sarebbe troppo lungo se delle infelici anime di femmine ingrate, che si trovano in questa parte dell’Inferno, io volessi ad una ad una raccontarti; poiché sono tante da tendere all’infinito. Più lungo ancora sarebbe parlarti degli uomini ai quali l’ingratitudine ha recato danno, e che vengono ora puniti in un luogo peggiore, dove il fumo li acceca ed il fuoco li cuoce. 14 Perché le donne sono più facili e propense nel credere alle cose, una maggiore punizione merita però chi le inganna. Lo sano bene Teseo e Giasone ed Enea, colui che mosse guerra nel Lazio all’antico regno Romano; lo sa bene Ammone, che il proprio fratello Assalone spinse contro di sé, con sanguinosa ira, per l’aver violentato la sorella Thamar; ed altri ed altri ancora: in numero infinito, che hanno abbandonato chi le mogli e chi i mariti. 15 Ma per raccontare più di me che degli altri, e rendere più evidente l’errore che mi condusse poi qui, tanto bella, ma altezzosa ancora di più, fui in vita, tanto che non so se altra mai donna mi avesse eguagliata: neppure saprei dirti chiaramente, tra questi due, se prevalesse in me l’orgoglio oppure la bellezza; sebbene la superbia o l’essere altezzosa, nacque dalla bellezza che a tutti gli occhi piacque. 16 Vi era a quel tempo in Tracia un cavaliere, Alceste, ritenuto il migliore al mondo con le armi, il quale, da più di testimone attendibile, sentì tessere le lodi della mia particolare bellezza; a tal punto che spontaneamente decise di voler darmi in dono tutto il suo amore, ritendendo di meritare, in nome del proprio valore, che io tenessi come cosa cara il suo cuore. 17 Giunse in Lidia; e con un laccio più forte rimase quindi legato, intrappolato, dopo che mi ebbe vista. Con gli altri cavalieri si mise nella corte di mio padre, nella quale accrebbe di molto la propria fama. Il grande valore personale e gli svariati atti di coraggio che mostrò, sarebbe lungo a raccontarti, e le infinite ricompense che si sarebbe meritato se avesse servito un uomo con maggiore gratitudine di mio padre. 18 Panfilia e Caria, ed anche il regno dei Cilici, mio padre potè vincere in battaglia per opera di costui; tanto che mai mio padre spinse l’esercito contro nemici più di quanto questo cavaliere valoroso voleva. Costui, ritenendo ora che i benefici portati lo meritassero, un giorno con il re ebbe un colloquio privato e gli chiese, quale premio per le numerose conquiste generate dal suo aiuto, che io diventassi sua moglie. 19 Fu respinto dal re, che ambiva a fare maritare sua figlia con un uomo di alta condizione sociale, non con costui che, essendo solo un cavaliere, non possedeva altro se non il proprio valore personale: e mio padre, troppo abbandonato al semplice guadagno, e anche all’avarizia, scuola per apprendere ogni vizio, apprezza tanto le buone maniere o ammira le virtù personali, quanto un asino può apprezzare ed ammirare il suono di una lira. 20 Alceste, il cavaliere di cui io ti parlo (essendo questo il suo nome) vedendosi respinto da cui più di ogni altro avrebbe dovuto mostrargli gratitudine, chiede il permesso di partire; e minaccia il re, allontanandosi, di farlo pentire di non avergli dato in sposa la figlia. Se ne andò quindi dal re di Armenia, antico rivale del re di Lidia e suo principale nemico; 21 e tanto lo stimolò, lo istigò, da indurlo a prendere le armi ed a muovere guerra contro mio padre. Alceste, come merito per le sue illustri e famose gesta, fu quindi fatto capitano di quelle squadre dell’esercito. Per il re di Armenia tutte le altre cose cose disse che avrebbe conquistato: solo il mio corpo elegante e bello voleva come ricompensa per il suo operato, una volta ottenuta la completa vittoria. 22 Io non sarei in grado di spiegare in modo chiaro il grave danno che Alceste fece a mio padre in quella guerra. Sconfigge quattro eserciti, ed in meno di un anno di guerra lo riduce in condizioni tali da non lasciargli più in possesso alcuna terra, ad eccezione di un castello, che ripidi pendii rendono fortissimo; e là dentro il re si serra con quelli della corte che più gli sono cari, e con il tesoro che in breve vi potrebbe portar fuori da tale situazione- 23 In quel castello ci assediò Alceste; ed in non molto tempo ci ridusse ad un tale stato di disperazione, che mio padre avrebbe, con buon patto, accettato che la moglie e la serva, ed anche me con loro, gli venissero lasciate insieme alla metà del regno, se in questo modo avesse sperato di poter essere risparmiato da ogni altro danno. Di vedersi in breve tempo privato di quel poco che ancora gli restava era ben certo, per morire poi come prigioniero. 24 Si appresta quindi a tentate, prima che ciò accada, ogni rimedio che avesse potuto aver successo; invia me, che ero causa di ogni male, fuori dalla rocca, là dove Alceste si trovava. Io vado d Alceste con l’intenzione di cosegnarmi come prigioniera, e di pregarlo affinché prenda la parte del regno che più voleva, e tramuti quindi l’ira in pace. 25 Non appena Alceste apprende che io vado a trovarlo, subito mi viene incontro pallido e tremante: di un vinto e di un prigioniero, a guardarlo bene, aveva l’aspetto piuttosto che di un vincitore. Io, conoscendo che cosa lo faceva ardere, non mi rivolgo a lui così come avevo prima meditato: vista l’occasione che mi si presenta, prendo una nuova decisione, più adeguata allo stato d’animo in cui lo trovo. 26 Comincio quindi a maledire l’amore che lui provava nei miei confronti, ed a lamentarmi con forza della sua crudeltà, del fatto che ingiustamente aveva oppresso mio padre, e che aveva cercato di prendermi con la forza; che mostrando più grazia nei miei confronti sarebbe riuscito ad avermi di lì a pochi giorni, se solo avesse saputo mantenere in modo deciso le buone maniere che aveva avuto inzialmente, e che al re ed a tutti noi furono tanto gradite. 27 E sebbene, inizialmente, mio padre gli aveva respinto l’onesta sua richiesta di matrimonio (essendo per sua natura un poco scontroso, non si piega mai alla prima richiesta), non avrebbe dovuto diventare restio a servirlo con devozione per questo rifiuto, e provare subito ira nei suoi confronti; anzi, agendo sempre meglio, doveva essere sicuro gli do la speranza di poter divenire sua sposa; ma prima, contro altri nostri nemici, dico di volere che dia dimostrazione del suo valore. 38 A volte da solo, a volte con poca gente al seguito, lo mando a compiere strane e pericolose imprese, che avrebbero potuto causare la morte, facilmente, di mille cavalieri: ma a lui invece riuscirono tutte bene; perché tornò sempre vittorioso, e spesso dovette combattere con persone orribili e mostruose, contro i Giganti e contro i cannibali Lestrigoni, che erano pericolosi per le nostre regioni. 39 Non lo fu mai dal fratellastro Euristeo, non fu mai Ercole tanto messo alla prova neanche dalla matrigna Giunone in Lerna, in Nemea, in Tracia, in Erimanto, fino alle valli dell’Etolia, alle valli Numide, sul Tevere, sul fiume Ebro ed in ogni altro luogo; quanto, con infinite preghiere e con desiderio omicida, fu sottoposto ad imprese colui che mi amava, cercando sempre di togliermelo di torno. 40 Non potendo raggiungere l’intento di dargli la morte, arrivo ad architettarne uno di eguale fine: lo induco a trattare male tutti quelli che io senti possano essere suoi amici, e faccio in modo che tutti lo odino. Alceste, che provava contentezza soltanto nell’ubbidirmi, senza prestare alcuna cura era sempre disposto a menare le mani ad ogni mio cenno, senza guardare nemmeno chi aveva davanti. 41 Dopo che mi resi conto, con questo aiuto, di aver estinto ogni nemico di mio padre, e di aver quindi conquistato Alceste, per mezzo di lui stesso, poiché non aveva mantenuto, per fare a noi piacere, amico alcuno; ciò che gli avevo con finto viso nascosto fino ad allora, gli spiego ora in modo chiaro: che un grande e mortale odio nutro nei suoi confronti, e cerco solo, continuamente, che venga ucciso. 42 Considerando poi che se causassi personalmente la sua morte sarei cadruta in pubblico disonore (era cosa nota quanto io fossi in debito nei suoi confronti, e sarei quindi sempre stata additata come crudele), ritengo che avrei fatto abbastanza se gli avessi impedito di presentarsi innanzi ai miei occhi. Non volli più né vederlo né parlargli, nessun suo messaggero ascoltai, nessuna sua lettera accettai. 43 Questa mia ingratitudine gli diede tanta sofferenza che alla fine, sopraffatto dal dolore, e dopo aver lungamente chiesto invano pietà, cadde ammalato e ne rimase ucciso. Come punizione richiesta per il mio peccato, ora ho gli occhi lacrimosi ed il viso colorato dal nero fumo: e così li avrò in eterno; poiché nessuna redenzione è prevista all’Inferno.” 44 Dopo che l’infelice Lidia ha smesso di parlare, il duca Astolfo procede oltre per vedere se può trovare altre anime: ma il fumo, che era la punizione per i peccati di ingratitudine verso gli amanti, diviene più denso davanti a lui, tanto da non consentirgli più di procedere oltre; anzi, è costretto a tornare indietro, anzi, perché la vita non gli venga tolta dal fumo, deve accelerare sempre più i propri passi. 45 Il rapido alternarsi dei piedi ha l’aspetto di una corsa, e nondi chi passeggia o prosegue trottando. Avanza tanto, risalendo lungo la ripida salita, che vede alla fine il punto dove la grotta si apriva verso l’esterno; e l’aria, prima piena di fumo e triste, cominciava ad essere attraversata dalla luce del giorno. Alla fine, con grande affanno e grave difficoltà respiratoria, esce dall’antro e si lascia alle spalle il denso fumo. 46 E perché la via di uscita sia impedita a quelle bestie, le Arpie, che hanno il ventre tanto ingordo, raduna massi ed abbatte molti alberi che si trovavano nei paraggi, alcuni di zenzero ed altri di pepe; come gli è possibile, davanti all’apertura della grotta costruisce con le proprie mani una barriera: e gli viene tanto bene quella costruzione, che le Aripe non riusciranno mai più a tornare libere all’aperto. 47 Il fumo nero prodotto dalla scura pece, mentre Astolfo si trovava nella tetra caverna, non macchiò soltanto, ed infettò, l’esterno del duca, corpo ed abiti, ma entrò e penetrò anche sotto i panni; così che alla ricerca di acqua fu spinto ad andare per un bel pò di tempo; ed alla fine fuori da una pietra, nella foresta, vide sgorgare una fonte d’acqua nella quale potè lavarsi dalla testa ai piedi. 48 Salì poi in groppa al cavallo alato, l’ippogrifo, e si alzò in aria per giungere fino alla cima di quel monte, che si crede non essere lontano, nel punto più alto, dal cerchio della luna. Tanto è il desiderio che lo spinge a poter vedere con i propri occhi, che si interessa solo del cielo e della terra non si cura ora più. Sale sempre più in alto in cielo, fino ad arrivare alla cima della montagna. 49 A zaffiri, rubini, oro, topazi e perle, e diamanti ed altre pietre preziose di colore giallo, potrebbero assomigliare i variopinti fiori che il venticello aveva fatto nascere lungo i lieti pendii: così verde le erbe che, potendole avere giù sulla terra, avrebbero superato per bellezza gli smeraldi; no beno belle erano le fronde degli alberi, sempre ricche di frutti e di fiori. 50 Cantano fra i rami i leggiadri uccellini, di colore azzurro, bianco, verde, rosso e giallo. Mormoranti ruscelli e placidi laghi superano per limpidezza i cristalli. Un dolce venticello che sembra soffiare sempre allo stesso modo e dalla sua dolcezza non sembra mai allontanarsi, faceva ondeggiare l’aria circostante tanto che il calore del giorno non poteva dare fastidio: 51 e quel venticello ai fiori, ai frutti ed alla verdura, andava rubando i diversi profumi, e di tutti ne faceva una mistura con la quale nutriva di dolcezza l’aria. In mezzo alla pianura sorgeva un palazzo che sembra essere acceso da una viva fiamma: tanto splendore e tanta luce tutt’intorno irradiava, ben oltre ogni consuetudine umana. 52 Alstolfo verso quel palazzo, il cui perimetro superava trenta miglia, 62 il quale lo prese per mano, e con lui discorse di molte cose meritevoli del silenzio: e poi disse: “Figliolo, tu forse non sai che cosa stia accadendo in Francia, sebbene tu venga proprio da lì. Sappi quindi che il vostro cavaliere Orlando, avendo deviato dal giusto cammino le insegne di difensore della Chiesa a lui affidate, è ora punito da Dio, che, quando viene offeso, si infiamma d’ira di più contro chi di più ama. 63 Il vostro Orlando, al quale, alla nascita, diede Dio, con immenso rischio, una immensa forza, e gli concesse, fuori dalle usanze umane, che nessun ferro avrebbe mai potuto ferirlo; poiché a difesa della sua santa fede l’ha voluto porre con questi poteri, così come Sansone contro i Filistei pose a difesa degli Ebrei: 64 al suo Signore il vostro Orlando ha dato in cambio una ingiusta ricompensa per i tanti benefici ricevuti; poiché quanto lo doveva avere in suo aiuto il popolo fedele, il popolo cristiano, tanto ne è rimasto privo, è stato abbandonato a sé stesso. Tanto l’aveva reso cieco l’amore peccaminoso nei confronti di una donna pagana, da avere ormai tollerato di divenire, in due e più occasioni, crudele e malvagio, e sul punto di dare la morte al suo fedele cugino Rinaldo. 65 E per questo Dio fa sì che egli vaghi preso dalla follia, e mostri nudi il ventre, il petto ed il proprio fianco; e gli offusca e toglie tanto l’intelletto, da non essere in grado di riconoscere gli altri, e nemmeno sé stesso. Allo stesso modo si legge che Dio volle punire anche Nabuccodonosor, e che per sette anni lo mandò in giro completamente folle al punto che, come fosse stato un bue, si nutriva di erba e di fineo. 66 Ma poichè molto minore è tuttavia stato il peccato del paladino, rispetto a quello di Nabucco, dal volere divino soli tre mesi sono stati imposti come periodo per purificare questa colpa. Non per un altro scopo, dopo un così lungo viaggiare, ti ha concesso il Redentore di salire fino al Paradiso terrestre, se non perché tu possa da noi apprendere il modo per rendere ad Orlando il suo senno. 67 Dovrai in verità intraprendere un altro viaggio in mia compagnia, ed abbandonare quindi completamente la terra. Ti devo condurre sulla Luna, che, tra tutti i pianeti, si muove in cielo più vicina alla terra, perché la medicina che può rendere saggio Orlando viene tenuta là sù. Non appena la Luna questa notte sarà giunta sopra di noi, ci metteremo sulla via per raggiungerla.” 68 Su questo e su altre cose fu abbondante la conversazione dell’apostolo quel giorno. Ma dopo che fu giunta la sera ed il sole si nascose nel mare, e la Luna innalzò sopra di lorò il suo corno, fu preparato un carro, che era impiegato per andare scorrazzando nei dintorni di quel cielo: un tempo quel carro nelle montagne di Giudea aveva sottratto il profeta Elia dalla vista degli uomini mortali. 69 Quattro destrieri molto più rossi di una fiamma il santo evangelista attaccò al giogo del carro; e dopo essersi sistemato sul carro con Astolfo ed aver preso il freno, li spinse al galoppo verso il cielo. Il carro, ruotando, si alzò in aria, e subito giunse in mezzo alla sfera del fuoco eterno; il veccho fece miracolosamente in modo che, mentre passavamo attraverso il fuoco, lo stesso non risultava ardente. 70 Attraversano tutta la sfera di fuoco e quindi proseguono verso il regno della Luna. Vedono quel luogo essere per la maggior parte come un acciaio privo di qualunque macchia; e lo trovano uguale, o poco meno, per dimensioni, alla superficie complessiva del globo terrestre, della terra di questo ultimo globo, il globo terrestre, comprendendo anche il mare che la terra circonda e stringe. 71 Lì Astolfo rimase meravigliato due volte: che visto da vicino quel luogo era tanto grande, metre assomiglia invece ad un piccolo tondo a noi che lo osserviamo da queste parti; e che gli conveniva aguzzare lo sguardo, se dalla Luna la terra ed il mare, che intorno ad essa si spande, vuole distinguere; poiché, non avendo luce propria, la loro immagine arriva poco lontana. 72 Ben altri fiumi, altri laghi, altre campagne ci sono là sulla Luna, rispetto a quelli che ci sono qui tra noi; ben altre pianure, altre valli, altre montagne hanno a disposizione le città ed i castelli della Luna, con case in confronto alle quali mai più grandi potè vederne il paladino né prima di allora né dopo: e ci sono anche vaste e solitarie selve, dove le ninfe cacciano ad ogni ora le belve che vi abitano. 73 Il duca Astolfo non rimase ad esplorare tutto quel luogo; poiché non era salito là per quello scopo. Dal santo apostolo Giovanni fu condotto in un valle stretta tra due montagne, dove veniva miracolosamente raccolto ciò che viene da noi perso, o per nonstra colpa, o a causa del tempo o della Fortuna: ciò che si perde qua sulla terra, là sulla Luna si raduna. 74 Non parlo solo di regni o di ricchezze, su cui ha potere la mutevole ruota della Fortuna; ma voglio anche dire di ciò che la Fortuna non ha alcun potere di togliere o di dare, Là si trova molta di quella fama che, come fosse un tarlo, il tempo, con il suo lungo passare, qua sulla terra divora: là sulla Luna stanno le infinite preghiere e promesse, che vengono fatte a Dio da noi peccatori. 75 Le lacrime ed i sospiri degli amanti, l’inutile tempo che si perde giocando, ed il lungo ozio di uomini ignoranti, i vani propositi che non hanno mai attuazione, i desideri infruttuosi sono tanti da ingombrare la maggior parte di quel luogo: in conclusione, ciò che qua sulla terrà tu potresti perdere, salendo là sù potrai ritrovarlo. 76 Passando il paladino attraverso quei mucchi di cose perse, chiede alla propria guida ora di questo ed ora di quello. Vide un monte fatto da gonfie vesciche, dal cui interno sembravano provenire grida e gravi turbamenti; seppe che erano gli antichi re, sia degli Assiri che della Lidia, e che Turpino ammetta, da quel momento in avanti, che Astolfo visse per un lungo periodo come un uomo saggio; ma fu un errore che fece successivamente quello che una altra volta gli tolse ancora il senno. 87 L’ampolla più capiente e piena, nella quale c’era il senno che avrebbe dovuto rendere saggio il conte, prese Astolfo; e non era tanto leggera quanto aveva stimato, vedendola ammucchiata insieme alle altre. Prima che il paladino Astolfo dal cielo della luna discenda alle sfere sottostanti, del fuoco e dell’aria, fu condotto dal santo apostolo in un palazzo a fianco del quale scorreva un fiume; 88 palazzo che aveva ogni sua stanza piena di batuffoli di lino, di seta, di cotone, di lana, tinti in vari colori, alcuni brutti ed alcuni belli. Nel primo cortile una donna canuta, con la chioma bianca, traeva un filo da tutti quei batuffoli e lo avvolgeva ad un aspo, come vediamo, in estate, la donna di campagna ricavare dai bozzoli dei bachi, precedentemente bagnati, la seta che viene poi filata. 89 Vi è chi, finito un batuffolo, giunge a rimetterne un altro, e chi ne porta altri da un altro logo: un’altra donna separa, tra tutte quelle matasse, quelle belle da quelle brutte, che non vengono invece distinte dalla prima. “Che lavoro viene fatto qui, che io non riesco a comprendere?” chiede Astolfo a Giovanni; e gli risponde l’altro: “Le donne vecchie sono le Parche, che con questi fili tessono la vita di voi mortali. 90 Quanto dura uno dei batuffoli, tanto dura, non un momento in più, la vita umana ad esso associata. Controllano questo posto sia la Morte che la Natura, per sapere l’ora in cui un uomo dovrà morire. La seconda Parca ha molta cura nello scegliere i filati più belli, perchè verranno poi utilizzati per tessere l’ornamento del Paradiso; e con i fili più brutti si fanno invece severi legacci per i dannati.” 91 I nomi di tutti i batuffoli che erano già stato messi sull’aspo, e scelti per essere impiegati per i diversi lavori, venivano impressi su piccole piastre, alcune di ferro, altre d’argento o d’oro: venivano poi accantonati a formare cumuli compatti, di quei batuffoli alicuni, senza mai riposarsi, ne portava via continuamente, senza farsi mai vedere stanco, un vecchio, il Tempo, per poi ritornare sempre e prenderne ancora. 92 Era quel vecchio tanto spedito e veloce, che sembrava fosse nato per correre; e da quel cumulo il lembo del proprio mantello portava pieno delle piastre, sulle quali erano segnati i nomi dei proprietari. Dove si recava e perché facesse quel lavoro vi sarà raccontato nel prossimo canto, se mostrerete di averne piacere con quel benevolo ascolto che siete solito offrire. RIASSUNTO Giunto ai piedi dei monti della Luna, all’ingresso della caverna che conduce all’Inferno, dove si erano rifugiate le arpie, Astolfo decide di avventurarsi per i gironi infernali ed entra quindi nell’apertura. Il fumo nero e sgradevole che ne riempie l’aria diviene però via via più denso man mano che si procede verso il basso, finché il cavaliere è costretto a fermarsi. Astolfo incontro un’anima che gli racconta la propria storia. Il suo nome è Lidia, figlia del re di Lidia, ed è condannata a stare in quel fumo per non essersi dimostrata riconoscente verso il suo amante. L’anima dannata racconta la sua storia. In vita era stata tanto bella quanto altezzosa ed aveva fatto innamorare di sé Alceste, il cavaliere più valoroso del suo tempo. Il ragazzo si mise per amore al servizio del re di Lidia, e con le proprie imprese gli consentì innumerevoli conquiste. Alceste chiese un giorno la mano di Lidia, ma il re, intenzionato ad ottenere un ben più vantaggioso matrimonio (Alceste aveva solo il valore dalla sua parte e non ricchezze), gli rispose con un rifiuto. Il cavaliere, acceso d’ira per l’ingratitudine, lasciò la corte per offrire le proprie armi al re di Armenia, acerrimo nemico del padre della ragazza, convincendolo quindi a muovere guerra alla Lidia. Nel giro di un anno al re di Lidia rimase il possesso del suo solo castello e decise così di mandare la figlia a trattare la resa con Alceste. La ragazza, accortasi del potere che aveva nei confronti del cavaliere (si presentò pallido e tremante come se fosse lui lo sconfitto), riuscì invece ad ottenere molto di più. Lo fece subito sentire in colpa per i danni causati al padre quando, gli disse, avrebbe potuto più facilmente ottenere lo stesso risultato (averla in sposa) con modi più gentili. Gli disse infatti che prima di allora non avrebbe trovato alcun ostacolo in lei, ma dopo quello che era successo, non voleva ora più amarlo, preferiva piuttosto la morte. Alceste si lanciò ai piedi della ragazza chiedendo perdono, lei glielo promise a patto di fare riconquistare al padre tutto ciò che gli era stato sottratto in quella guerra. Tornato dal re di Armenia, il cavaliere lo pregò di ridare al re di Lidia il suo regno. La risposta negativa accese subito d’ira il giovane che uccise sul posto il re di Armenia ed in meno di un mese ridiede il regno al padre della amata a proprie spese, e conquistò anche buona parte delle terre confinanti. La ragazza ed il re decisero poi di fare morire Alceste e, Lidia con la scusa di voler avere prova del suo valore, cominciò ad assegnargli imprese pericolosissime. Il cavaliere riuscì però sempre vincitore e la ragazza decise infine di seguire un’altra via: approfittando della sua totale ubbidienza, gli fece perdere ogni amico, e dichiarandogli poi apertamente il proprio odio nei suoi confronti, lo allontanò infine dalla corte. La sofferenza per quel trattamento fece ammalare e quindi morire Alceste. Gli occhi di Lidia vengono ora fatti lacrimare da quel fumo denso, per punirla dell’ingratitudine mostrata verso chi l’amava. Terminato il racconto di Lidia, Astolfo tenta di proseguire oltre per incontrare altre anime; il denso fumo diviene però insopportabile ed il cavaliere è costretto a tornare all’aperto. Chiusa con massi e tronchi l’apertura della caverna, così da impedire alle arpie di uscire nuovamente, e dopo essersi lavato con l’acqua di una fonte, il cavaliere sale in sella all’ippogrifo ed inizia l’ascesa del monte. Raggiunta la cima della montagna, Astolfo rimane incantato dalla bellezza del paesaggio, il paradiso terrestre, che non ha eguali sulla terra. In mezzo ad una splendida pianura sorge un ricco, bellissimo e luminosissimo palazzo, dal cui vestibolo esce un vecchio, che accoglie Astolfo dicendogli che è per volontà di Dio che ha potuto raggiungere quel posto; gli anticipa quindi che lo scopo di quel suo viaggio è mostrargli come essere d’aiuto a re Carlo e quindi alla Santa Chiesa. Il vecchio è san Giovanni, il discepolo di Cristo, salito al cielo con il proprio corpo quando era ancora in vita. Il mattino dopo san Giovanni racconta ad Astolfo gli avvenimenti accaduti in Francia, soprattutto per quanto riguarda il paladino Orlando. Il conte aveva infatti ricevuto il dono dell’invulnerabilità da Dio per stare in difesa dei cristiani, ma, reso cieco e violento per amore di una donna pagana, aveva mancato al proprio compito, e, per punizione, era stato poi privato della ragione da Dio. Per volontà divina, la follia di Orlando deve avere termine dopo tre mesi; ad Astolfo spetta il compito di fare rinsavire il cavaliere utilizzando la medicina che dovranno prelevare sulla Luna. Non appena la luna compare in cielo, il cavaliere e l’evangelista si sistemano su di un carro trainato da quattro cavalli rosso fuoco ed iniziano così il loro viaggio. Giunti sulla Luna, san Giovanni conduce Astolfo in una valle dove viene raccolto tutto ciò che sulla terra è stato smarrito: non solo regni e ricchezze, ma anche fama, preghiere e promesse fatte a Dio, lacrime e sospiri degli amanti… Astolfo vede infine un monte costituito da ampolle contenenti il senno, in forma di liquido, perso sulla terra. Le ampolle hanno volume diverso tra loro ed ognuna riporta il nome del suo proprietario. L’ampolla contenente il senno di Orlando è la più grande di tutte ed è quindi facile da individuare. Astolfo ritrova anche quella contenente il proprio di senno e quelle contenenti il senno di persone insospettabili. Il cavaliere si porta al naso la sua ampolla e torna così nuovamente in possesso di ciò che aveva smarrito. Vivrà a lungo come un uomo saggio, prima di perdere ancora una volta il proprio senno. Dopo che il cavaliere ha prelevato l’ampolla del conte Orlando, l’evangelista Giovanni lo conduce in un palazzo pieno di batuffoli di lino, seta, cotone… In una stanza vede una donna intenta ad ottenere da ogni batuffolo un filo che poi avvolge su di un aspo per formare una matassa. Un’altra donna separa le matasse brutte da quelle belle. Sono le parche ed hanno il compito di tessere la vita di ogni mortale. Tanto più lungo è il filo e tanto più lunga sarà la vita degli uomini. I filati più belli verranno utilizzati per tessere l’ornamento del paradiso, quelli più brutti per fare i legacci dei dannati nell’inferno. Un vecchio, il Tempo, porta via senza riposo le piastrine che accompagnano le matasse con incisi i nomi delle persone loro proprietarie. CANTO 46 PARAFRASI Leone rinuncia a Bradamante e convince Ruggiero a abbandonare l’idea di lasciarsi morire. Tornano quindi insieme a Parigi per svelare l’identità misteriosa del cavaliere che ha vinto in duello la mano della donna. Re Carlo organizza in grande stile il matrimonio tra Ruggiero e Bradamante, ma durante la cerimonia arriva Rodomonte che accusa il cristiano di tradimento e lo sfida a duello. Dopo un duro combattimento Ruggiero uccide il pagano. ed anche Paulo Pansa e mi sembra ci siano Gian Giorgio Trissino e Latino Giovenale, ed i miei amici Capilupi, ed anche Panfilo Sasso ed il Monza e Floriano Floriani; e colui che per guidarci alla fonte delle Muse ci ha mostrato un cammino più facile e più veloce, Giulio Camillo; mi sembra anche di riconoscere Marco Antonio Flaminio, il Sanga ed il Berni. 13 Ecco Alessandro Farnese, il mio signore: oh con che persone dotte si accompagna! Tommaso Inghirami, Cappella, Camillo de’ Porcari, il bolognese Filippo Beroaldo, Maffei da Volterra, il Maddaleni, Blosio, Pierio, il cremonese Vida, fonte inesauribile di espressioni verbali efficaci, ed anche Lascaris e Musuro e Navagero, ed Andrea Marone ed il monaco Severo Varini. 14 Ecco anche altri due Alessandro in quel gruppetto, l’uno degli Orologi, l’altro di cognome Guarini. Ecco Mario Equicola, ed ecco la rovina dei principi, il divino Pietro Aretino. Vedo anche due Girolamo, uno di cognome fa Verità, l’altro Cittadino. Vedo Giovanni Mainardi, vedo Niccolò Leoniceno, il Pannizzato, e Celio e Benedetto Tagliacarne. 15 La c’è Bernardo Capel, là vedo Pietro Bembo, che come la nostra lingua pura e dolce può essere tolta dal suo triste uso volgare, come dovrebbe sempre essere, ci ha mostrato con il suo alto esempio. L’uomo che lo segue è Gasparo Obizi, che ammira e studia il suo modo tanto bello di scrivere. Vedo Girolamo Fracastoro, Agostino Bevazzano, Trifon Gabriele, e poco più lontano Bernardo Tasso. 16 Vedo Nicolò Tiepolo, e insieme a lui Nicolò Amanio con gli occhi fissi su di me; C’è Antonio Fregoso che nel vedermi oramai vicino alla riva mostra tutta la sua gioia e meraviglia. Il mio amico Valerio è quello che si è messo là, lontano da tutte le donne; e forse ascolta il consiglio di Pietro Barignano, che è lì con lui, su come, sempre tormentato dalle donne, non innamorarsi mai. 17 Vedo anche persone dall’intelligenza alta e sovrumana, uniti dal sangue e dall’affetto, Pico della Mirandola e Alberto Pio. L’uomo che sta con loro, è che dai due più degni riceve tanto onore, non l’ho invece mai visto; ma, se le notizie che mi furono date sono vere, è lui l’uomo che tanto desidero incontrare, è Iacopo Sannazzaro, che convinse le Muse a lasciare i monti per andare ad abitare sulle spiagge. 18 Ed ecco il colto, il fedele, il diligente Bonaventura Pistofilo, segretario di Astolfo, che insieme agli Acciaiuoli e con Pietro Martire d’Anghera prova gioia, non dovendo più temere il mare per me. Vedo Annibale Malaguzzi, mio cugino, insieme con Edoardo, che mi dà la speranza di poter ancora sentire il nome della mia città, Reggio, riecheggiare in tutto il mondo. 19 Vittorio Fausto ed anche Tancredi fanno festa per avermi rivisto, e con loro altre cento persone. Vedo tutte le donne e tutti gli uomini sembrare contenti di questo mio ritorno. Quindi, per terminare la breve via che ancora mi resta da percorrere, non devo trattenermi oltre, ora che il vento mi è favorevole; torniamo a raccontare di Melissa, e dell’aiuto che diede per salvare la vita a Ruggiero. 20 Questa Melissa, come so di avervi già detto molte volte, aveva il grande desiderio che Bradamante e Ruggiero riuscissero ad unirsi nello stretto nodo sentimentale del matrimonio; ed il bene ed il male di entrambi aveva così a cuore, che ogni ora voleva essere informata su di loro. Per questo evocava in continuazione gli spiriti, che si susseguivano uno dopo l’altro. 21 In preda ad un dolore difficile da fare passare ed intenso intenso aveva visto il suo Ruggiero, nel folto bosco, che era più che mai saldamente deciso a non assaporare più nessun alimento, e voleva così darsi la morte con il digiuno estremo: ma l’aiuto di Melissa fu rapido; e, uscita dalla sua dimora, prese la via che le permise di incontrare Leone: 22 il quale aveva mandato, uno dietro l’altro, tutta la sua gente a cercare in tutti i luoghi intorno; e poi era infine anche andato di persona per riuscire a ritrovare il guerriero dell’unicorno. La saggia incantatrice, che aveva quel giorno messo freno e sella ad uno spirito, dandogli la forma di in ronzino, trovò infine Leone, figliolo di Costantino. 23 – Se il tuo animo è tanto ricco di nobiltà, come si vede dal di fuori, signore (disse lei), mostrami il tuo viso; se la vostra cortesia e bontà interiore sono riprodotte fedelmente dal vostro aspetto esterno, un poco di conforto, un poco d’aiuto siate disposto a dare al migliore cavaliere dei giorni nostri: perché se non riceve subito conforto ed aiuto, non mancherà allora molto prima che muoia. 24 Il migliore cavaliere, che mai portasse e porti ancora spada a lato e scudo al braccio; il più bello ed il più gentile che mai ci sia stato al mondo, mai considerando sia tutti i vivi che i morti, solo a causa di una nobile cortesia che ha fatto, ora sta per morire, se non trova chi lo conforti. Per dio, signore, venite, e provate se per la sua salvezza può essere d’aiuto un buon consiglio. – 25 Nell’animo di Leone viene subito il sospetto che il cavaliere di cui sta parlando quella donna, sia proprio colui per ritrovare il quale lui sta facendo andare tutti i paesi alla ricerca, e lui stesso ne prende parte; tanto che dietro a lei, che lo convince a compiere un’opera tanto pietosa, sprona in fretta il suo cavallo: lei lo portò (e non fecero un lungo viaggio) dove Ruggiero era oramai sul punto di morire. 26 Lo trovarono al terzo giorno di completo digiuno, e talmente sfinito ed abbattuto dalla fame, che avrebbe fatto fatica a tirarsi in piedi, e sarebbe poi subito caduto anche se nessuno l’avesse spinto. Giaceva disteso a terra con ancora indosso l’armatura, in testa l’elmo, e legata al fianco la spada; usava come fosse il guanciale di un cuscino il suo scudo, sul quale era stato ritratto l’unicorno. 27 Ripensando così alla grave offesa che aveva fatto alla sua donna, ed a quanto ingrato e quanto poco riconoscente fosse stato nei confronti di lei, si infuria, non solo prova dolore; e si tormenta a tal punto, che si morde le mani, morde le labbra, bagna le guance con un pianto ininterrotto; ed è talmente concentrato sui suoi pensieri, che non sente arrivare né Leone e nemmeno Melissa; 28 non interrompe pertanto il suo continuo lamento, non smette di sospirare, non smette neanche di piangere. Leone si ferma, e sta ad ascoltare con attenzione; poi smonta da cavallo e gli si avvicina. Sa bene che è l’amore l’origine di tutto il suo tormento; ma non ha chiaro chi sia la persona amata, colei per la quale sopporta una tale punizione; perché Ruggiero non glielo ha ancora detto. esercito fu sbaragliato a causa del tuo stupendo valore, quando io ti avevo ancora in odio, avessi saputo che tu eri Ruggiero, come ho appena saputo; tanto il tuo valore avrebbe fatto presa su di me, come fece anche allora, quando non lo potevo sapere; che avrei cacciato l’odio dal mio cuore, e subito avrei messo tutto questo amore che ora provo per te. 41 Che avevo in odio il nome di Ruggiero prima di sapere che quel Ruggiero eri tu, non lo negherò di certo; ma che adesso possa durare quell’odio che provai per te, non pensarci proprio. E se, quando ti ho fatto uscire dal carcere, avessi saputo il vero, quello che ho adesso appreso, avrei comunque fatto anche allora la stessa cosa che sto per fare ora per te, per il tuo bene. 42 E se lo avrei fatto volentieri anche allora, quando non ti ero ancora debitore, come lo sono ora; tanto più devo farlo adesso, dato che altrimenti sarei, non facendolo, il peggiore degli ingrati; dopo che tu, rinunciando a ciò che desideri, ti sei privato d’ogni tuo bene per donarlo a me. Ma io te lo rendo, e sono molto più contento di renderlo a te di quanto avrei potuto esserlo se l’avessi ricevuto. 43 Si addice molto più a te che a me costei, Bradamante, visto che, sebbene io la ami per tutte le sue qualità, non succederà mai che io possa pensare, come hai fatto tuo, se un altro l’avesse, di tagliare il filo della mia vita. Non voglio che la tua morte mi sia d’aiuto, così che possa, una volta che lei avrà sciolto la promessa di matrimonio che vi siete fatti, averla come mia legittima sposa. 44 Non solo di lei, ma voglio anche privarmi di tutto ciò che ho al mondo, e poi della mia stessa vita, prima che si possa dire che stia soffrendo per colpa mia cavaliere così valoroso condotto a morte. Mi dispiaccio anche della tua diffidenza: tu che puoi, non meno di quanto possa io stesso, disporre del mio sostegno, hai preferito morire per il dolore piuttosto che ricevere aiuto da me. – 45 Disse Queste parole ed altre ne seguirono, e andrei per le lunghe se volessi riportarle tutte, e sempre rispondendo a tutte le ragioni che Ruggiero poteva addurre in contrario; fece tanto, che alla fine il cavaliere disse: – Cedo al tuo volere, e sarò quindi contento di non morire. Ma quando potrò ripagare il debito con te, che per due volte mi hai ridato la vita, salvandomi dalla morte? – 46 Buon cibo e vino pregiato Melissa fece portare all’istante in quel luogo; e diede ristoro a Ruggiero, che era prossimo, se non soccorso, a morire di stenti. Nel frattempo Frontino, sentendo rumore di cavalli, era accorso velocemente in quel luogo. Leone lo fece catturare dai suoi scudieri, lo fece sellare, e lo diede infine a Ruggiero; 47 il quale, con gran fatica, sebbene fosse aiutato in questo da Leone, ci salì sopra: tanto era venuto meno tutto quel suo vigore, che solo pochi giorni prima aveva dato gran mostra di sé, sconfiggendo tutto solo un intero esercito, e compiendo poi tutte quelle grandi imprese con armi falsate. Partiti da qui, giunsero, dopo aver percorso meno di mezza lega, ad una abbazia. 48 dove riposarono per tutto il resto di quel giorno, ed anche il successivo, ed tutto il giorno dopo ancora, fintanto che il cavaliere con lo stemma del liocorno riuscì infine a riacquistare tutte le sue forze. Poi insieme a Melissa ed a Leone fece infine ritorno Ruggiero alla città sede del re, Parigi, e trovò che una ambasciata dei Bulgari vi era già giunta la sera precedente. 49 Perché quella nazione, che aveva scelto Ruggiero come proprio re, a Parigi aveva mandato questi suoi rappresentanti, credendo di poterlo trovare in Francia alla corte di Carlo Magno: perché voleva giurargli fedeltà, affidare a lui il suo dominio, ed incoronarlo re. Lo scudiero di Ruggiero, che si trova in mezzo a questa gente, ha portato notizie su di lui. 50 Ha raccontato della battaglia che aveva sostenuto a Belgrado in favore del popolo bulgaro, dove aveva sconfitto Leone ed il padre imperatore, e la loro gente aveva ucciso e messo in fuga; e per questo i bulgari lo avevano eletto loro signore, mettendo da parte qualunque uomo della loro stirpe: raccontò poi di come a Novigrado era stato fatto prigioniero da Ungiardo e consegnato infine a Teodora: 51 raccontò che poi era stata data per certa la notizia che il suo guardiano era stato trovato morto, ucciso, mentre Ruggiero era fuggito e la sua cella era aperta: di cosa fosse successo dopo non c’era notizia alcuna. Ruggiero, attraversando una via segreta, entrò in città senza che nessuno potesse vederlo in viso. La mattina seguente, insieme al compagno Leone, si presentò infine alla corte di Carlo Magno. 52 Ruggiero si presentò con lo stemma imperiale dell’uccello doro a due teste su sfondo rosso acceso, e come era stato stabilito tra loro due, con le stesse insegne e la stessa sopravveste che, come in precedenza era state ridotte nel duello, erano adesso ancora tagliate, forate e segnate; così che subito venne riconosciuto come colui che aveva combattuto contro Bradamante. 53 Con vestiti in materiali preziosi e regalmente adornato, Leone avanzava al suo fianco senza portare armi; e davanti e dietro e da ogni altro lato era seguito da una compagnia rispettabile e stimabile. Si inchinò davanti a Carlo, che già si era alzato per andargli incontro; e continuando a tenere la mano di Ruggiero, sul quale attenti e fissi erano posati gli sguardi di tutti i presenti, disse così: 54 – Questo è quel valoroso cavaliere che è riuscito a difendersi dal nascere del giorno fino al tramonto: e poiché Bradamante non è riuscita ad ucciderlo a farlo prigioniero o a spingerlo fuori dal recinto, o generoso signore, se ha bene compreso il vostro bando, è allora certo di avere vinto e di essersi quindi guadagnato in moglie Bradamante; e così si presenta da voi, affinché gli si data. 55 Oltre che per diritto, per quelle che erano le condizioni del bando, comunque nessun altro uomo può avanzare pretese: se la si deve meritare mostrando il proprio valore, quale cavaliere è più degno di lui? se la deve avere chi più prova amore per lei, non c’è nessuno che superi o arrivi al suo sentimento. Ed è qui pronto, contro chiunque si opponga, a difendere con le armi tutti i suoi diritti.. 56 Carlo e tutta la sua corte restarono stupefatti al sentire queste parole; dato che avevano creduto che la battaglia fosse stata sostenuta da Leone, e non da questo cavaliere sconosciuto. Marfisa, che con gli altri si era unità lì per ascoltare il discorso, e che a fatica era riuscita a tacere fintanto che Leone non ebbe terminato il suo discorso, si fece infine avanti e disse: 57 nonostante gli insulti ed i risentimenti furono stati sedati grazie al saggio intervento di re Carlo; il loro sorriso era stato poi nuovamente spento dalle uccisioni di Pinabello e Bertolagi; ma continuavano comunque a tenere nascosto il tradimento, facendo finta di non sapere chi li aveva uccisi. 69 Gli ambasciatori bulgari che erano giunti alla corte di re Carlo, come ho prima detto, spinti dalla speranza di ritrovare il valoroso guerriero che portava un liocorno come stemma, scelto come loro signore; sentendo che era lì, si dichiararono fortunati, poiché la loro speranza si era poi tramutata in realtà; gli si gettarono tutti riverenti ai suoi piedi, e lo pregarono di tornare con loro in Bulgaria; 70 dove, nella città di Adrianopoli, erano già stati riservati a lui lo scettro e la corona da re: ma deve correre a difendere lo stato: perché, per danneggiare nuovamente loro, si dice che Costantino abbia questa volta preparato un esercito ancora più grande, ed è ritornato anche di persona: ed essi, potendo avere il loro re dalla loro parte, sperano anche di riuscire a conquistare l’impero greco. 71 Ruggiero accettò il regno, senza opporsi alle loro preghiere, e promise loro anche di farsi trovare in Bulgaria al loro fianco fra tre mesi, a condizione che la Fortuna non decidesse diversamente. Leone Augusto, avendo inteso la situazione, disse a Ruggiero che, e si fidasse delle sue parole, ora che è lui il signore del popolo bulgaro, può considerare pace fatta con l’imperatore Costantino: 72 e non dovrà quindi neanche partire in tutta fretta da Parigi, per andare a comandare il suo esercito, perché ad ogni terra che i Bulgari abbiano assoggettato farà rinunciare il padre Costantino. Non c’è nessuna tra le virtù di Ruggiero già note, che sappia muovere dalla sua opposizione al matrimonio la madre di Bradamante, e fare in modo che ami il futuro genero, più del sentirlo adesso chiamare re. 73 Vennero organizzate nozze splendide e reali, degne di chi si prende cura dell’organizzazione: re Carlo se ne prende cura, e le organizza come dovrebbero essere, se stesse per maritare una sua figlia. I meriti della donna, di Bradamante, erano tali, oltre ai meriti di tutta la sua famiglia, che non gli sembrò di fare una pazzia spendendo per lei metà di tutto il suo regno. 74 Rende libero l’accesso alla corte da ogni luogo, così che ognuno possa entrarci senza temere; e campo libero per nove giorni di fila concede a tutti quelli che devono risolvere una contesa con un duello. Fece preparare in aperta campagna gli addobbi per la cerimonia, intrecciando rami e abbellendo con fiori, e poi con tendaggi di seta ornati con oro, tanto bello a vedersi da renderlo il più bel posto che ci fosse al mondo. 75 Dentro a Parigi non avrebbero mai potuto alloggiare tutte le genti venute da fuori, sia povere che ricche e di ogni varietà che c’era al mondo, greci, barbari e latini. I tanti signori, e le ambasciate mandate da ogni parte del mondo, non avevano mai fine: in padiglioni, tende ed alloggi fatti con rami, tutti trovarono alloggio nella massima comodità. 76 Con un arredamento singolare e di eccellente finitura, la notte prima, la maga Melissa aveva fatto preparare la stanza nuziale, cosa che aveva desiderato di fare già da tanto tempo. Quella indovina, aveva desiderato che già molto tempo prima avesse avuto luogo questo matrimonio: capace di prevedere il futuro, sapeva bene quale stirpe gloriosa avrebbe avuto origine dalla loro unione. 77 Aveva posto il fecondo letto matrimoniale in mezzo ad un padiglione ampio e capiente, il più prezioso, il più abbellito, il più piacevole che mai era stato prima allestito, in guerra o in pace, sia prima che anche dopo, in tutto il mondo; l’aveva preso dalla costa della Tracia; l’aveva tolto proprio da sopra la testa di Costantino, che aveva deciso di accamparsi sulla riva del mare. 78 Melissa, con il consenso di Leone, ma soprattutto per farlo stupire, mostrandogli un buon esempio della sua arte magica, che ha il potere di dominare non solo il demonio, per usarlo secondo la propria volontà, ma anche tutti quei demoni che sono in odio a Dio; fece portare dai servi infernali il padiglione da Costantinopoli fino a Parigi. 79 Da sopra la testa di Costantino, che aveva il dominio della Grecia, lo tolse circa a mezzogiorno, con tutte le corde ed anche il fusto, e con tutte le cose che vi si trovavano dentro e tutt’intorno: lo fece trasportare in aria, ed infine lo fece diventare il ricco alloggiamento di Ruggiero. Dopo, terminate le nozze, lo fece ritornare con un altro incantesimo dove era stato preso. 80 Erano già passati circa duemila anni da quando quel ricco padiglione fu cucito. Un ragazza della città di Troia, che accompagnava l’arte della profezia ad un lungo studio e a veglie, lo fece tutto con le sue mani. Il suo nome era Cassandra, e lo diede in dono al suo famoso fratello Ettore. 81 Il più cortese tra i cavalieri che mai sarebbe nato dalla stirpe generata da suo fratello (sapendo bene che dalla radice si sarebbe dovuti passare per molti rami prima di arrivare a lui) lo aveva anche ritratto negli allegri ricami fatti in oro e seta varia, tutto con le sue mani. Ettore, fintanto che fu in vita, lo ebbe molto caro non solo perché fatto da Cassandra, ma anche per la qualità del lavoro. 82 Ma dopo che fu ucciso a tradimento, e che il popolo troiano fu sconfitto dai greci; dopo che il falso Sinon fece aprire le loro porte, e ciò che accadde dopo fu molto peggio di come viene raccontato; il re Menelao ricevette il padiglione in sorte, con il quale venne poi a capitare in Egitto, dove lo lasciò al re Proteo, per poter riavere indietro la moglie che quel tiranno gli aveva rapito. 83 Elena era il nome di quella donna per riavere la quale Menelao diede a Proteo il padiglione; che poi passò per diritto di successione ai Tolomei, così che fu poi ereditato da Cleopatra. Dai soldati di Agrippa fu sottratto a lei nel mare presso Leucadio insieme a molte altre cose preziose: finì nelle mani di Augusto e di Tiberio, e fu quindi tenuto a Roma fino ai tempi di Costantino; 84 quel Costantino a causa del quale si deve ancora dolere tutta la bella Italia, per sempre. Costantino, dopo essersi stancato del fiume Tevere, portò a Bisanzio quel prezioso padiglione: Melissa lo ebbe da un altro Costantino. Le corde erano d’oro, il palo centrale in avorio; tutto trapuntato con belle figure, più belle di quelle che avrebbe potuto dipingere il famoso pittore Apelle. 85 ed con poca gente raccolta alla rinfusa si oppone ad eserciti bene organizzati ed armati; e il solo fatto che lui sia presente tra loro viene tanto in aiuto agli ecclesiastici, che il fuoco viene spento prima ancora che possa iniziare ad ardere: tanto che si può ben dire che venne, vide e vinse. 97 Altrove ancora è rappresentato sulla sponda del fiume Po mentre combatte contro la flotta più forte che mai, contro Turchi o contro greci o bizantini, fu mandata da parte dei veneziani: la sbaraglia e la sconfigge, e la dona come prigioniera al fratello insieme a tutto il resto del bottino; non lo puoi vedere trattenere nulla per sé, se non l’onore, e solo perché non può donarlo ad altri. 98 Le donne ed i cavalieri osservano con attenzione, senza riuscire a capirle, tutte queste figure; perché non c’è nessuno lì con loro che li informi che quelli che vedono sono fatti che accadranno in futuro. Provano semplicemente piacere a guardare i visi belli e ben fatti, ed a leggere le scritte. Solo Bradamante, istruita da Melissa, gioisce tra sé e sé; perché conosce tutta la storia. 99 Ruggiero, pur non essendo tanto informato quanto lo era stata Bradamante, ricorda però che il mago Atlante era solito, tra i suoi vari nipoti, lodare spesso questo cardinale Ippolito. Chi potrebbe mai riuscire in versi a raccontare tutte le cortesie che re Carlo fece ad ogni persona? Si fa continuamente feste con vari giochi, e la mensa è piena di vivande ad ogni ora. 100 Si può valutare bene chi è un buon cavaliere; visto che ogni giorno vengono rotte mille lance: si svolgono duelli a piedi ed in sella al cavallo, altri in coppia, altri confusamente schiera contro schiera. Ruggiero mostra il suo valore più di ogni altro, perché vince sempre, e duella sia di giorno che di notte; e lo stesso nella danza, nella lotta ed in ogni altra arte, sempre, con molto onore, è superiore agli altri. 101 L’ultimo giorno, nell’ora in cui il solenne banchetto era cominciato in modo molto festoso; con Carlo che aveva alla sua sinistra Ruggiero, e teneva Bradamante alla sua destra; dalla campagna arrivò a tutta velocità, in direzione delle tavolate, un cavaliere armato, tutto coperto di nero, così come il suo cavallo, dalla corporatura imponente e dai modi fieri. 102 Costui era Rodomonte, il re d’Algeri, che a causa dell’offesa subita sul ponte da parte di Bradamante, si era giurato di non indossare più nessuna corazza, di non impugnare la spada, né di montare un cavallo, prima di avere passato un anno, un mese ed un giorno chiuso, come fosse un eremita, in una cella. Così erano soliti punirsi a quel tempo i cavalieri per aver commesso gravi errori. 103 Sebbene fosse venuto a conoscenza nel frattempo di ciò che era successo a re Carlo e a re Agramante; per non mancare al giuramento, non prese comunque le armi e fece come se il resto non lo riguardasse. Ma dopo che tutto l’anno e tutto il mese arrivarono al termine, e così anche il giorno successivo, con una nuova armatura e nuovo cavallo e spada e lancia, raggiunge ora la corte di re Carlo in Francia. 104 Senza smontare da cavallo, senza chinare la testa, e senza fare nessun altro segno di riverenza, mostra tutto il suo disprezzo verso l’importante ruolo di re Carlo e verso tutte le altre persone presenti. Tutti rimangono stupiti e senza parole, per il fatto che costui si prenda una tale libertà. Smettono di mangiare e rimangono in silenzio per ascoltare quello che il cavaliere vuole dire. 105 dopo essersi messo di fronte a re Carlo ed a Ruggiero, ad alta voce e con un forte grido: – Io sono (disse) Rodomonte, il re di Sarza, e tu, Ruggiero, sfido ora in duello; e proprio qui voglio, prima che il sole tramonti, mostrare la tua infedeltà verso il tuo re Agramante; che non meriti, essendo tu un traditore, nessun onore tra tutti questi cavalieri. 106 Benché il tuo tradimento sia più che evidente, visto che non puoi negare di essere ora un cristiano; comunque, per renderlo ancora più chiaro a tutti, vengo qui per provarlo su questo campo di battaglia: e se c’è qui una persona che si vuole offrire di combattere al tuo posto, la accetto volentieri. Se non ne basta una, ne accetto anche quattro o sei; mostrerò a tutti con le armi quello che ho detto. – 107 Ruggiero si alzò in piedi sentendo quelle parole, e con il permesso di re Carlo gli rispose dicendogli che mentiva lui e anche chiunque altro volesse chiamarlo traditore; che sempre si era comportato con re Agramante in un modo tale che nessuno poteva aver ragione di accusarlo; e che era quindi pronto a sostenere con le armi che verso di lui aveva sempre fatto il suo dovere: 108 e che era quindi capace di difendere le sue ragioni, senza dover prendere nessun in suo aiuto; e che sperava quindi di mostrargli con i fatti, che ne avrebbe avuto abbastanza di uno, e che forse era anche troppo. Si erano fatti avanti Rinaldo e Orlando, anche Oliviero ed i figli Grifone il bianco e Aquilante il nero, Dudone e Marfisa, tutti contro il crudele pagano, pronti a prendere le difese di Ruggiero: 109 sostenendo che essendo Ruggiero un novello sposo, non poteva rovinare le sue stesse nozze. Ruggiero rispose loro: – State tutti fermi; perché queste scuse mi darebbero solo disonore. – Gli furono portate le armi che aveva tolto a Mandricardo, e fu messa fine a tutte le lunghaggini. Orlando strinse gli speroni a Ruggiero, e re Carlo gli legò al fianco la spada. 110 Bradamante e Marfisa gli avevano fatto indossare la corazza, e tutto il resto dell’armamento. Astolfo teneva fermo un destriero di buona razza, Dudone, figlio del Danese, ne teneva le staffe. Fecero subito sgomberare il campo tutto intorno Rinaldo, Namo ed il marchese Oliviero: cacciano in fretta ognuno fuori dallo steccato, sempre pronto per tale necessità, per ospitare un duello. 111 Le donne e le ragazze, pallide in volto, stanno tutte timorose come fossero colombe, che dai campi ricchi di grano vengono cacciate ai loro nidi da venti rabbiosi che agitandosi si portano dietro tuoni e lampi, ed il cielo scuro minaccia grandine e pioggia, danni e distruzione per i campi: sono timorose per la sorte di Ruggiero, che sembra essere inferiore per forza a quel crudele pagano. 112 Appariva più debole anche a tutta la plebe ed alla maggior parte dei cavalieri e dei baroni; perché era ancora vivo nella loro memoria il ricordo di tutto quello che il pagano aveva compiuto a Parigi; che, da solo, con il ferro e con il fuoco ne aveva distrutta una buona parte, e c’erano ancora e ci sarebbero stati per molti giorni i segni: quel regno non aveva subito maggiore danno da nessun altro. 113 niente; tanto è intontita la sua tesa, tanto è offuscata la sua mente. Ma il saracino riesce molto bene a farlo risvegliare: gli cinge il collo con il suo potente braccio; e lo afferra con un presa ed una forza tale, che lo toglie di sella e lo sbatte a terra. 125 Non rimase molto a terra che subito si rialzò, molto più colmo di vergogna che d’ira; avendo rivolto il suo sguardo verso Bradamante ed avendo visto che il suo bel viso sereno era sconvolto. Lei, vedendolo cadere a terra, iniziò a dubitare dell’esito del duello, e fu sul punto di morire. Ruggiero per porre subito rimedio all’umiliazione, stringe la spada e riprende il duello con il pagano. 126 L’altro sprona il cavallo contro di lui, ma Ruggiero riesce ad evitarlo con astuzia, si tira indietro e mentre gli passa vicino, afferra il freno del cavallo con la mano sinistra e lo fa girare intorno; intanto con la mano destra punta a ferire il fianco, il ventre ed il petto del cavaliere; con due colpi di punta gli fece provare dolore, uno nel fianco e l’altro nella coscia. 127 Rodomonte, che teneva ancora in mano il pomo e l’elsa della spada rotta, picchia Ruggiero sull’elmo con una forza tale che sarebbe bastato un’altro colpo per lasciarlo ancora stordito. Ma Ruggiero che, secondo giustizia, doveva essere il vincitore, gli afferrò il braccio e lo tirò tanto, aggiungendo alla destra anche la mano sinistra, che alla fine riuscì a disarcionare il pagano. 128 La forza e l’abilità del pagano gli permisero di cadere ma di rimanere comunque alla pari con Ruggiero: e voglio con questo dire che cadde in piedi; perché per il fatto di avere la spada era da ritenere in vantaggio. Ruggiero cerca di tenere il pagano a bada lontano da sé, ed evita assolutamente di avvicinarlo: non gli conviene che gli si scaraventi addosso un uomo con un corpo così grande e grosso. 129 Vede tuttavia che sanguina dal fianco, dalla coscia e da tutte le altre ferite. Spera che a poco a poco gli vengano meno le forze, e che infine gli dia quindi vinto il duello. Il pagano aveva ancora in mano il pomo e l’elsa, ed unendo tutte le sue forze, lo lanciò lontano e colpì Ruggiero con una tale violenza da lasciarlo stordito più di quanto fosse mai stato prima. 130 Ruggiero viene colpito dove l’elmo protegge la guancia, e a una spalla, e risente talmente di quel duro colpo, che vacilla tutto e traballa, è sul punto di cadere e fa fatica a tenersi dritto in piedi. Il pagano vuole farsi sotto, ma l’appoggio del piede gli viene meno, essendo indebolito dalla coscia ferita: il volere fare in fretta più di quanto poteva permettersi lo fa piegare a terra su un ginocchio. 131 Ruggiero non perde tempo, e con un grande slancio lo colpisce al petto ed al volto; lo martella di colpi dall’alto, così da vicino, che gli fa mettere anche una mano a terra. Ma tanto si sforza il pagano, che riesci infine a rimettersi in piedi; si stringe tanto a Ruggiero fino ad abbracciarlo: si girano l’un l’altro, si scuotono e si stringono, unendo alla tecnica le ultime forze residue. 132 Di tutta la forza di Rodomonte, una gran parte era stata tolta dalle ferite al fianco ed alla coscia. Ruggiero era agile, aveva una gran tecnica, era aveva un gran allenamento nella lotta: sente di essere in vantaggio, e non vuole perderlo; e dove vede che il sangue esce in maggior quantità, là dove vede che il pagano ha subito più ferite, pone le sue braccia ed il petto, ed entrambi i piedi. 133 Rodomonte pieno d’ira ed indispettito dalla situazione, prende Ruggiero per il collo e per le spalle: ora la tira, poi lo spinge, poi lo tiene sollevato da terra sopra il proprio petto, lo fa ruotare da una parte e dall’altra, e lo tiene stretto, e cerca in tutti i modi di farlo cadere a terra. Ruggiero sta tutto raccolto in sé, ed agisce con ingegno e capacità per avere la meglio. 134 Tante furono le prese provate dal valoroso e coraggioso Ruggiero, che alla fine riuscì ad avvinghiare Rodomonte: gli premette il petto con il suo fianco sinistro, e quindi lo strinse con tutta la sua forza. Contemporaneamente spinse la sua gamba destra davanti al ginocchio sinistro dell’avversario e fece leva: lo sollevò da terra verso l’alto per farlo ricadere infine a terra a testa in giù. 135 La testa e la schiena di Rodomonte lasciarono un segno nella terra; e tanto forte fu l’imbatto che dalle sue ferite, come fossero un fonte, schizzò lontano il sangue a tingere la terra di rosso. Ruggiero, che aveva oramai afferrato la Fortuna per i capelli, per fare in modo che il saracino non possa rialzarsi, gli tiene un pugnale davanti agli occhi, l’altra mano alla gola, e le ginocchia nel ventre. 136 Come accade talvolta, ove si recupera l’oro là in Ungheria o nelle miniere spagnole, quando una improvvisa frana cade su coloro che sono stati condotti là spinti da avidità di ricchezza, che restano talmente schiacciati, che la loro anima riesce a fatica a trovare la via d’uscita: allo stesso modo rimase il saracino schiacciato dal vincitore, subito dopo essere stato gettato a terra. 137 Alla visiera dell’elmo gli avvicina la punta del pugnale che aveva appena estratto: e, minacciandolo, tenta di convincerlo ad arrendersi, e propone un patto per lasciargli salva la vita. Ma quello, che ha meno paura di morire che di commettere un piccolo atto di codardia, si contorce e si agita, cerca con tutte le forze di ribaltare la situazione, e non dice parola. 138 Come fa il mastino quanto è vinto dal feroce alano che gli tiene fissi i denti nella gola, che si affatica e si dibatte inutilmente di continuo, con gli occhi rossi dalla rabbia e la bava alla bocca, ma non può fare in modo di sfuggire al suo predatore, che lo supera per forza e non per rabbia: allo stesso modo risulta vano ogni tentativo del pagano di uscire da sotto al vincitore Ruggiero. 139 Continua a torcersi ed a dibattersi fino a che riesce a liberare il suo braccio migliore; e con la mano destra, con la quale stringe un pugnale, che era riuscito ad estrarre durante la colluttazione, tenta di ferire Ruggiero sotto ai reni: ma il giovane si accorso subito dell’errore che avrebbe potuto commettere ritardando ulteriormente l’uccisione del crudele saracino. 140 E per due e tre volte nell’orribile fronte di Rodomonte, alzando il suo braccio più in alto che poteva, cacciò per intero il suo pugnale, e si tolse così da quella situazione di pericolo. Fino alle squallide rive del fiume Acheronte, libera da un corpo più freddo del ghiaccio, fuggì bestemmiando l’anima sprezzante di Rodomonte, che fu in vita tanto superbo e tanto orgoglioso. FINIS. PRO BONO MALUM.