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Patologia generale Paola Perin, Sbobinature di Patologia Generale

Sbobine integrate con il libro di patologia generale della prof. Paola Perin complete per il superamento dell'esame.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 07/03/2023

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Scarica Patologia generale Paola Perin e più Sbobinature in PDF di Patologia Generale solo su Docsity! 1 5/10/2021 Lezione 1 Cosa è la patologia? RICHIAMI DI FISIOLOGIA Gli individui sono sistemi termodinamicamente aperti che scambiano energia e materia con l’esterno; per rimanere vivi questi scambi devono continuare favorendo l’ingresso di ossigeno e di sostanze nutritive per la costruzione delle molecole, per compiere lavoro, per dissipare calore, per mantenere la temperatura costante ed eliminare le scorie. Tutto ciò venne formalizzato alla fine dell’Ottocento da Walter Cannon, padre della fisiologia, che si è accorto che la stabilità in un sistema aperto non è un sistema passivo ma servono azioni per mantenere l’equilibrio. Il principio alla base della fisiologia è l'omeostasi, ovvero il mantenimento di determinati parametri. Per mantenere l’omeostasi nei sistemi corporei sono necessarie una serie di strutture che rilevano stimoli, segnali dall'esterno, presso recettori sensoriali specializzati chiamati sensori. Per ciascun parametro è necessario poi un centro di integrazione che stabilisce il valore a cui il parametro si deve mantenere e un comparatore che misura la differenza tra valore misurato e valore atteso in modo tale da indurre o meno la modificazione del parametro da parte di un attuatore. Es. nell’ipotalamo è presente una struttura che permette di mantenere la temperatura corporea a 37°; affinchè esso possa svolgere questa funzione l’ipotalamo deve ricevere i segnali da una serie di vie afferenti e rispondere mediante delle vie efferenti in modo da modificare il parametro: se la temperatura è troppo alta si attivano meccanismi necessari ad abbassarla e viceversa se la temperatura è bassa. Tutte le vie sono a feedback: nel momento in cui il centro di elaborazione del segnale riceve lo stimolo la risposta rilasciata modifica lo stimolo mediante una retroazione negativa che inibisce la risposta o positiva che la rafforza. Nel caso della temperatura i sistemi attivati dal nostro organismo sono la contrazione muscolare nel caso in cui la temperatura corporea sia bassa; i brividi sono, infatti, contrazioni caotiche muscolari per dissipare l’energia sottoforma di calore. Dall’altra parte se si deve perdere calore in quanto la temperatura è alta vengono attivate le ghiandole sudoripare. Il corpo normalmente è compatibile con temperature comprese tra i 28° e i 42° anche se di per sé la temperatura generalmente è costante intorno ai 37°, temperatura necessaria per l’avvenire delle principali reazioni biochimiche e metaboliche; la febbre è un meccanismo protettivo per l’organismo che serve a limitare il metabolismo dei patogeni. Di fronte ad una minaccia che richiede la comparsa della febbre, il macrofago del sistema immunitario viene attivato e, producendo i pirogeni-endogeni, inviano segnali all’ipotalamo in modo da cambiare la temperatura. Eliminato il responsabile della patologia il segnale decade 2 mediante degli antipiretici endogeni o altri antipiretici assunti che bloccano il sistema e l’aumento della temperatura. Può capitare che il meccanismo della febbre perde il controllo e la temperatura diventa troppo alta i problemi iniziano a coinvolgere anche l’uomo. In patologia, infatti, ci sono diversi casi come questo in cui i meccanismi protettivi, se non controllati, possono diventare un problema. Pertanto si può dire che l'organismo che sta bene può subire una mutazione esterna (patogeno) o interna che fa perdere l’omeostasi; se tutto va bene si torna allo stato di salute altrimenti si possono avere altri esiti più o meno compromessi (perdita parziale di indennità strutturale e funzione o morte). SALUTE «Lo stato di salute è uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non l’assenza di stato di malattia o d'infermità. Il godimento dello stato di salute più elevato che si possa conseguire è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, opinione politica, condizione economica e sociale.» (Costituzione dell’OMS, 1948) Ciò che esula dallo stato di salute è, quindi, da considerarsi condizione patologica, ma con differenze in quanto esistono diversi tipi e gradi di patologie; ad esempio, in questa definizione rientrano tutte le patologie mentali (depressione, schizofrenia ecc.) che non hanno ancora una chiara base patologica. Parlando di intensità si ha la distinzione in: ● fenomeno morboso: condizione più lieve; non è presente una sintomatologia pericolosa (es. sbucciatura); ● processo morboso: coordinazione di più fenomeni morbosi (es. frattura gamba); ● stato morboso: condizione patologica che predispone alla comparsa della malattia (es. assenza di un rene); ● malattia: condizione dinamica in cui l’organismo reagisce all’alterazione dei meccanismi omeostatici; la malattia può essere: - asintomatica (disease): presente anche se non avvertita dal paziente; - disturbo (illness): avvertito dal paziente ma non dall’esterno; es. acufene, disturbo legato all’udito causato da un processo nervoso alterato caratterizzato dalla percezione di un fischio continuo nell’orecchio; - malattia conclamata (sickness): avvertita sia dal paziente che dall’esterno; - sindrome: associazione di diversi fenomeni patologici con un nesso comune, ovvero condizioni che coinvolgono più organi anche associati ad apparati differenti contemporaneamente; (es. sindrome di Usher, causata dall’alterazione di una proteina che comporta la concomitanza di cecità e sordità). In associazione alla malattia si può avere sofferenza e/o degradazione della funzione. Si parla di decorso clinico per indicare la durata di una malattia: ➢ Disordine (malattia) fulminante è rapido e solitamente letale; ➢ Disordine acuto è intenso e dura giorni o settimane; il recupero (guarigione) è possibile; ➢ Disordine subacuto ha insorgenza strisciante in quanto è difficile capire da dove comincia e un decorso che dura settimane; la guarigione spesso dubbia. (es. processo collegato alla malattia dell'Alzheimer). ➢ Disordine cronico è lieve e progredisce in stadi nel corso di mesi e lo si distingue in: 5 Note le cause, si entra nel campo della patogenesi che consiste nell’insieme dei meccanismi responsabili dello sviluppo e della progressione della malattia, che comprendono cambiamenti cellulari e molecolari coinvolti nelle anormalità funzionali e strutturali di una particolare malattia. Le cause di una malattia possono essere: ● estrinseche e quindi: - ambientali: inerenti alle temperature, qualità aria, clima ecc. - sociali: comportano modificazioni del DNA per legami di gruppi metile o acetile in modo da stabilire se un gene o meno debba essere espresso (oggetto di studio dell’epigenetica); ad esempio se la madre, quando è incinta, è sottoposta ad un periodo stressante, viene prodotto cortisolo che induce modificazioni epigenetiche sul feto che lo rendono maggiormente suscettibile alla genesi di patologie neuropsichiatriche. - infettive: batterica, virale o altro (micosi, protozoi ecc.); ● intrinseche in quanto: - associate ad una patologia genetica; - congenite non genetiche in quanto l’individuo nasce in quelle condizioni causate da danni in età fetale; il caso più noto è la focomelia da talidomide, un farmaco consigliato alle donne incinta che si è rivelato inibitore dei vasi sanguigni che causava parziale o assente sviluppo degli arti; - familiarità, campo dubbioso in quanto si può avere una patologia non genetica ma che ha una distribuzione familiare (forse legato alla dieta). La definizione di eziologia e patogenesi non sono solo essenziali per comprendere la malattia ma anche la base per lo sviluppo razionale di trattamenti e misure preventive efficaci. Al fine di diagnosticare una malattia, i patologi clinici identificano marcatori, ossia alterazioni nella struttura macro- o microscopica di cellule e tessuti, nella composizione dei fluidi corporei, e nella funzionalità di cellule, tessuti od organi. Per valutare la presenza di una patologia si può guardare: ➔ l’individuo in toto mediante la semeiotica, disciplina medica che si occupa della valutazione dei sintomi diagnostici; ➔ l’organo o aprendolo o mediante metodi di imaging come l’attack, la termografia, l’angiografia o la risonanza magnetica che permettono di valutare l’integrità strutturale e funzionale dell’organismo; ➔ il tessuto mediante una biopsia in modo da valutare le alterazioni cellulare; ➔ le cellule mediante dei marker molecolari per una determinata proteina o componente. Attualmente, nella patologia moderna sta prendendo sempre più piede la tecnica di imaging in vivo, in quanto meno invasiva affiancata ad un’analisi molecolare caratterizzata dallo studio del genoma umano. 6 Oggi, in clinica è possibile ottenere una gran mole di dati sulla composizione molecolare dell’organismo in quanto l’approccio è passato dal singolo componente a quello «omico», cioè esteso a vari livelli di complessità dell’organismo; è possibile infatti valutare: - genoma permette di valutare alterazione dei singoli geni o di regioni di controllo; - epigenoma ovvero l’insieme delle modificazioni epigenetiche che permettono l’espressione di alcuni geni e di altri no; - trascrittoma permette di valutare i singoli trascritti di RNA; - proteoma, insieme delle proteine; - metaboloma, l’insieme di tutte le vie del metabolismo cellulare; - microbioma, la flora batterica che si trova a livello corporeo. Trattamento delle malattia Per curare una malattia si può agire sulle sue cause o sui suoi meccanismi e gli esiti possono essere la guarigione parziale o totale che si ottiene mediante: -> Eliminazione della causa; es. se riesco a modificare il gene dell’emoglobina modificato (terapia genica) si può curare l’anemia falciforme; -> Eliminazione degli effetti; es. il diabete di tipo I può venire trattato con somministrazione di insulina; Nel singolo individuo, in generale, una malattia può avere tre esiti: ● Guarigione: restitutio ad integrum; ● Cronicizzazione: passaggio ad uno stato compatibile con la vita ma con presenza di disturbi persistenti trattabili o meno; ● Morte Se si considera la popolazione, i problemi riguardano la salute pubblica e non individuale che esulano dalla patologia; in questo caso anche la strategie di intervento sono diverse (non limitate alla medicina). A livello di popolazione non si parla quindi più solamente di cura ma anche di prevenzione che si divide in: - Primaria: individuazione ed eliminazione delle cause di malattia - Secondaria: diagnosi precoce - Terziaria: prevenzione delle ricadute (follow-up) nel caso delle malattie croniche 1 7/10/2021 Lezione 2 Eziologia generale: cause estrinseche (patologia ambientale) Con cause estrinseche si intendono tutte quelle cause che hanno un'origine esterna: • cause chimiche (alimentazione, tossici, veleni) • cause fisiche (temperatura, radiazioni, traumi) • sociale COSA POSSO DANNEGGIARE NELLE CELLULE? La cellula è l’unità più piccola funzionale dal punto di vista biologica che può subire i danni. Ciò che danneggia una cellula e inevitabilmente anche l’organismo. Un agente lesivo provoca una lesione che a livello cellulare si può ripercuotere sulle funzioni irrinunciabili come la respirazione cellulare necessaria alla produzione di energia indispensabile a tutte le funzioni vitali, la sintesi proteica, l’integrità patrimonio genetico e delle membrane cellulari. Queste sono attività vitali in quanto se non funzionano inducono la morte cellulare che viene constatata quando la cellula non è in grado di conservare il mezzo interno cioè quando non c’è un sistema caratterizzato da permeabilità selettiva (membrana cellulare) capace di conservare ciò che era dentro e non fare entrare ciò che era all’esterno. CAUSE CHIMICHE Ciò che può perturbare un sistema cellulare sono le cause chimiche: sostanze in grado di danneggiare sia dal punto di vista morfologico che funzionale. Esistono in questo caso sostanze dannose che possono provocare danni diffusi come gli acidi e le basi forti, i solventi organici dei lipidi e le sostanze con azione denaturante. Esistono poi sostanze chimiche che causano, invece, un danno selettivo; si parla in caso di sostanze tossiche o veleni che hanno origine biologica, minerale o industriale (prodotti dall'uomo). Sono presenti anche sostanze definite xenobiotici (xeno=estraneo, biotico=vita) che non hanno a che fare con le funzioni cellulari ma che possono creare ugualmente danni; queste sostanze provengono dall’esterno e interagisce con l’organismo biologico senza avere a che fare con esso. Sono xenobiotici tutte le sostanze chimiche che entrano nel ciclo di Krebs e che quindi non hanno a che fare con l’alimentazione. Una sostanza proveniente dall’esterno può essere assorbita dall’esterno attraverso: 4 Lesione per acido forte (acido solforico), formazione di una lesione secca. Lesione per base forte (ammoniaca), formazione di una lesione gonfia e bollosa per discioglimento del tessuto. -> ALTRI AGENTI (FISICI) Tra gli altri agenti che possono indurre lesioni vi sono gli agenti fisici responsabili delle ustioni che hanno un tessuto bersaglio preferenziale, ovvero l’epidermide. Le ustioni possono essere dovute: • calore: ustioni termiche causate da fiamme, corpi metallici, liquidi bollenti o esposizioni prolungati ai raggi solari; • sostanze chimiche: causticazioni causate da acidi e basi forti; • corrente elettriche: folgorazioni; • radiazioni: causate dall’esposizione prolungata ai raggi UV senza protezioni o radiazioni ionizzanti (radioterapia). A seconda dell’intensità dell’esposizione si verificano fenomeni differenti e le ustioni si organizzano in 4 gradi a seconda della gravità: - I grado: sono le più lievi e provocano un arrossamento (segno di infiammazione) causato da un processo di vasodilatazione; - II grado: l’esposizione è più intensa e causa una maggiore vasodilatazione con fuoriuscita di liquido da un circolo verso i tessuti; il danno inizialmente è localizzato con la formazione di bolle (flittene), manifestazione dell’infiammazione; - III e IV grado: l’intensità del danno è tale da causare il danno tissutale sino ad arrivare alla necrosi per carbonizzazione nei casi più gravi. A livello dell’intero organismo, quando l’ustione colpisce una superficie maggiore al 10% di quella intera ci possono essere danni di tipo sistemico. La prima risposta ad un danno sistemico è uno shock primario (fase acuta) determinato dal passaggio dei liquidi plasmatici dal vaso sanguigno negli spazi extracellulari per essudazione. Se è diffuso la fuoriuscita del liquido diminuisce la quantità di sangue circolante (volemia) inducendo squilibri della concentrazione di sali e, nel caso di fuoriuscita di globuli rossi, ipossia in quanto manca il mezzo di trasporto dell’ossigeno. In una fase subacuta o tossico-infettiva, dopo 48 ore ci possono essere lesione epatiche e renali dovuti al riassorbimento di sostanze tossiche rilasciate dai tessuti necrotici formatisi con l’ustione. L’effetto generalmente si presenta dopo un paio di giorni dall’ustione come complicazione. In una fase cronica o tardiva si ha uno stato ipermetabolico con ipoproteinemia, ovvero una carenza di proteine paragonabile al digiuno prolungato. -> SOSTANZE TOSSICHE O VELENI 5 Gli agenti chimici e tossici sono sostanze naturali o di sintesi che determinano un danno di tipo selettivo; esiste quindi un meccanismo preciso attraverso cui la tossina produce un danno: le tossine ortano un segnale dannoso che viene ricevuto dai recettori cellulari e tradotto dalla cellula. Es. la tossina del colera ha sulla superficie cellulare un suo recettore preciso al quale si può attaccare e, mediante un meccanismo di trasduzione del segnale tossico, che comprende l'intervento dell'adenosintrifosfato ribosio e dell’adenilato ciclasi necessari alla produzione di cAMP, può provocare un danno attraverso il quale ioni e acqua fuoriescono dalla cellula. L’organismo umano, però, presenta meccanismo di difesa di fronte ai veleni di tipo aspecifico e specifico. Aspecifici: ● eliminazione immediata della sostanza velenosa per via gastrica prima che ne avvenga l’assorbimento e distribuzione tissutale mediante vomito o diarrea; ● deposito nel tessuto adiposo (sostanze lipidiche) e rilascio graduale in dosi diluite e non tossiche; ● emorragia; es. per allontanare un veleno penetrato in seguito a lesione o morso ● sistemi endogeni di protezione di tipo tampone nel caso in cui sia dovuto al pH, antiossidanti per danno ossidativo, detossificanti; ● sintesi protettiva che coniuga lo xenobiotico con sostanze idrofile per favorirne l’escreazione per via renale. -> XENOBIOTICI “Si definiscono xenobiotici quelle sostanze a cui un organismo è esposto che non fanno parte del metabolismo dell’organismo stesso (Croom 2012)”. La maggior parte di questi sono di natura lipofila e pertanto sono in grado di attraversare la cute e le mucose; questo è il motivo per cui per facilitare l’assorbimento di determinati principi attivi spesso si utilizzano creme in cui il principio è dissolto in una matrice di natura lipidica. Essi diffondono nelle membrane cellulari, che sono composte da lipidi, si associano alle lipoproteine plasmatiche (mezzo di trasporto dei lipidi nel sangue) e devono essere resi idrosolubili per poter essere eliminati mediante un processo di biotrasformazione epatica. Gli xenobiotici possono subire idrolizzazione o reazioni di ossidoriduzione in modo da produrre un primo metabolita nella reazione di fase 1 di trasformazione. A questo segue la reazione di fase 2 in cui si ha una reazione di coniugazione con acido glucuronico (gluconazione) in modo da rende ulteriormente idrosolubile lo xenobiotico così da poterlo eliminare mediante la bile, l’urina e le feci in quanto reso compatibile con la natura idrofila del mezzo attraverso cui è rilasciato. In alcuni casi però si può verificare la bioattivazione; questo processo può avere esiti positivi come la produzione della forma attiva dal punto di vista farmacologico di un farmaco a partire dal profarmaco o rendere idrosolubile il precursore di una sostanza in modo da distribuirla attraverso il sangue in tutto l’organismo più facilmente. Tuttavia, la bioattivazione può agire su molecole bersaglio che possono dare origine ad un danno cellulare (enzimi, proteine recettoriali, membrane, DNA). In questi casi, se non avvengono eventi di riparo del danno si ha un effetto tossico con effetti a lungo termine. Le possibili azioni della bioattivazione degli xenobiotici sono: 6 - Danneggiamento macromolecole - Perossidazione lipidica se coinvolti radicali liberi e ossigeno - Azione mutagena in cui il bersaglio è il DNA; la mutazione se non riparata comporta conseguenze cancerogene. Esempi: Esiste uno xenobiotico, l’anilina o 2-naftilamina, usato a livello industriale come colorante rosso che si è rivelato cancerogeno in quanto induceva mutazione del DNA. L’anilina veniva biotrasformata e coniugata con acido glucuronico; questa coniugazione però a pH acido (come nell’urina 7,4) era debole a tal punto che l’acido si staccava lasciando libero il principio attivo cancerogeno da cui si sviluppa una lesione cancerosa (es. nella vescica urinaria). Il mercurio presenta una coniugazione con un gruppo metilico per formare dimetilmercurio che facilmente dimerizza risultando tossico nei confronti del tessuto nervoso. La bioattivazione di questo causava quindi un danno neurologico. “La malattia di Minamata è un’intossicazione da mercurio che prende il nome dalla città Giapponese di Minamata. In questa città vi era un’industria che rilasciava il mercurio nel mare e i pesci che vivevano in questa area inquinata facevano da organismo intermedio concentratore del mercurio. Gli organismi, assumendo dosi tossici di mercurio, erano affette da una serie di paralisi.” -> RADICALI LIBERI I radicali liberi sono specie chimiche che contengono un elettrone spaiato e quindi particolarmente reattive. Essi possono provocare un danno di tipo ossidativo, uno squilibrio che è tenuto sotto controllo da una serie di sistemi di controllo interno alla cellule: ● Superossido dismutasi ● Catalasi ● Glutazione perossidasi ● Antiossidanti naturali come: ○ Chain breakers: sostanze che interrompono la catena di trasferimento ossidativo indotto dalla formazione di radicali liberi; es.vitamina E ○ Free radical scavengers: conservanti non tossico che previene dall’ossidazione. es. BHT butilatoidrossitoluene ○ Quenchers: intrappolatori naturali di una specie reattiva dell’ossigeno singoletto; es. polifenoli (importante è un gruppo ossidrile) ○ Metal scavengers: agente ossidante che impedisce la reazione di Fenton in cui è coinvolto un metallo di transizione (Fe e Cu); es EDTA CAUSE FISICHE Le cause fisiche possono essere: caldo, freddo, pressione atmosferica, patologie da accelerazione, suoni e ultrasuoni, traumi meccanici, corrente elettrica, radiazioni. Possono avere effetti locali come ustioni o congelamento o sistemici come collasso e colpo di calore o assideramento. -> CALDO L’esposizione prolungata a temperature elevate può produrre: - Crampi da calore: causato dalla perdita di elettroliti con il sudore che causa ipocalcemia o ipopotassiemia, soprattutto in associazione con esercizio fisico vigoroso; 9 - Molecolare: risposta più lenta che coinvolge il fattore HIF, fattore inducibile dall’ipossia, che viene utilizzato solo in condizioni di carenza d’ossigeno. Una delle subunità della forma attiva di HIF (l’HIF beta) generalmente va incontro a degradazione: viene ubiquitinato ed entra poi nel proteasoma, che elimina le proteine. Se è necessario l’intervento di HIF si viene a formare un eterodimero tra l'estremità 1- beta e quella 1-alpha che agisce da fattore di trascrizione nucleare: entra nel nucleo, si lega in regioni specifiche del DNA che agiscono da recettore e consente la trascrizione di geni come quelli che codificano per la eritropoietina, un ormone che stimola l’eritropoiesi, ovvero la produzione di globuli rossi ad opera del midollo osseo. L’eritropoietina è prodotta in modo naturale ed è una sostanza dopante utilizzata dagli sportivi per aumentare la concentrazione di globuli rossi nel sangue (ematocrito) in modo da portare maggior sangue al tessuto muscolare scheletrico e migliorare le prestazioni. -> VARIAZIONI DI ACCELERAZIONE Altri stimoli a cui si può essere sottoposti sono le variazioni di accelerazione; l’uomo è adattato a vivere in condizioni statiche in cui l’unica accelerazione è quella di gravità g. Le accelerazioni vengono riconosciute a livello del sistema vestibolare dove sono presenti delle cellule sensoriali ciliate che riconoscono i movimenti avanti, indietro o rotazionali muovendosi seguendo l'endolinfa a livello degli organi vestibolari. Se si compiono movimenti che comportano variazioni di accelerazione si possono indurre patologie quando: • compressione di organi e vasi sanguigni; Lo stress da accelerazione si verifica nei piloti di aerei molto veloci dato che l’organismo resiste ad accelerazioni forti sino a 6 volte quella di gravità solo per qualche secondo e se posti in posizione trasversa; per questo esistono delle tute anti gravità con un’intercapedine gonfiata di aria compressa per comprimere gli arti inferiori o altre parti in cui scorrono vasi sanguigni in modo che, se sottoposti all’accelerazione positiva, il ritorno venoso degli arti inferiori venga facilitato. In caso contrario si può generare insufficienza venosa e si perde conoscenza per ipossia generale. In caso di accelerazione negativa si può avere congestione dei vasi della testa che provoca l’aumento della pressione della struttura cerebrale e eventuale rottura con conseguente emorragie cerebrali. Esistono sistemi di controlli come i barocettori del seno carotideo che rilevano l’aumento di pressione a livello cerebrale e hanno azione inibitoria nei confronti della attività cardiaca così da abbassare la pressione e inducendo un ritorno verso i valori fisiologici. • stimolazione del sistema vestibolare in modo aberrante (cinetosi): si tratta di un disequilibrio a livello vestibolare tra i movimenti rilevati dagli organi vestibolari e i segnali visivi e propriocettivi provenienti dall’esterno; esempio di cinetosi sono mal d’auto, mal di mare e mal di terra. • assenza di gravità: si possono avere disfunzioni vestibolari (vertigini), riduzione dei liquidi corporei e calo pressorio (ipovolemia), anemia da insufficiente eritropoiesi, ipertrofia muscolare e rarefazione del tessuto osseo. -> CORRENTE ELETTRICA Le condizioni patologiche dovute al passaggio della corrente elettrica possono essere influenzate dalla qualità della corrente elettrica (continua o alternata), dall’intensità, dallo stato 10 del tessuto di interfaccia tra l’organismo e il conduttore attraverso cui passa la corrente (es. la cute asciutta oppone maggior resistenza; quella bagnata o lesionata ne favorisce il passaggio). Un danno da corrente elettrica è associato a: - un effetto termico per cui vale la legge di Joule (Q=kRI2t) che mette in relazione il calore sviluppato all’intensità della corrente; - un effetto elettrochimico in quanto i fluidi corporei contengono elettroliti che si muovono verso anodo e catodo; - un effetto elettrofisiologico: la corrente elettrica può agire su cuore e muscolo scheletrico causando un aumento di contrazione muscolare o inducendo il fenomeno del tetano muscolare. - la folgorazione: condizione drastica non sempre letale, a meno che non si passi per il cuore; possono provocare danni di tipo termico come scottature visibili (figure di Lichtenberg). -> TRAUMI MECCANICI I traumi meccanici causano lesioni cutanee: contusioni (rottura di vasi sanguigni e fuoriuscita di sangue), abrasioni, escoriazioni, feriti da taglio, combinazioni tra ferite da taglio e contusioni (ferite lacero-contuse) o ferite da arma da fuoco. Esistono traumi che comportano anche ferite ad organi interni: commozione (cerebrale), frattura (osso) o pneumotorace (collasso del polmone quando si verifica una comunicazione tra l’interno della gabbia toracica e l’ambiente esterno riduce quello che è la differenza di pressione per mantenerlo espanso). Il trauma cranico causa emorragie cerebrali che possono essere epidurali se al di sopra della duramadre; questi traumi causano ipossia cerebrale in quanto il passaggio di sangue è impedito. Esiste anche una condizione patologica dovuta a fratture importanti: si parla di embolia grassosa o lipidica; la matrice interna all’osso contenente gli adipociti (parte gialla) va in circolo e i lipidi, in un mezzo acquoso come il sangue, formano delle bolle inducendo embolia che determina interruzione del circolo. Se questo avviene a livello di organi vitali può dare esiti letali. -> RADIAZIONI Le radiazioni sono una modalità di trasferimento dell’energia da un punto ad un altro senza trasporto di materia che può essere trasferita al substrato biologico; in fisica le radiazioni si dividono in: • elettromagnetiche: composte da fotoni prive di massa. Essendo un mezzo di trasferimento dell’energia, esiste una relazione lineare tra la lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica e l’energia associata ad essa; per cui maggiore è la frequenza, più è elevata l’energia trasportata. Radiazioni con lunghezza d’onda molto lunga (frequenza minore) presentano un’energia molto bassa; raggi ad altissima frequenza (raggi X o raggi cosmici) hanno invece un’energia associata molto elevata. • corpuscolate: in cui si ha trasporto di particelle. Le radiazioni che raggiungono l’ambiente terrestre arrivando a livello del suolo passano attraverso delle finestre; queste sono le radiazioni che passano attraverso la banda elettromagnetica del visibile ma anche del non visibile come le radiazioni UV. 11 Esistono anche altri raggi che vengono filtrati dalla regione più elevata dell’atmosfera e arrivano al suolo come radiazione cosmica con lunghezza d’onda elevata e quindi prive di molta energia (non nocive). Le radiazioni UV si suddividono in tre bande: UVA (320-400nm), UVB (290-320nm), UVC (200-290nm); le ultime due non arrivano al suolo perché filtrati dalla regione dell’ozono (atmosfera). Queste radiazioni hanno effetto eccitanti: spostano l’elettrone da un orbitale ad uno più esterno inducendo la formazione di una specie molto reattiva in quanto carica. La protezione endogena nei confronti dei raggi UV avviene a livello dei melanociti collocati nello strato basale dell’epidermide; essi rispondono alla radiazione solare e alla radiazione UVA stimolando i melanociti a produrre melanina a partire dalla tirosina per passaggio intermedio per DOPA. L’effetto principale dell’esposizione alla luce ultravioletta si hanno quando la molecola bersaglio è il DNA; i raggi UV, infatti, possono indurre la dimerizzazione delle piridine. In condizioni normali le citosine si legano alle guanine; se l’energia della radiazione ultravioletta colpisce la molecola di DNA si può avere la fusione delle due citosine o timine in modo da formare un dimero. Questo può creare un danno a singola catena che può essere riparato da meccanismi di riparazione: il danno viene isolato, si taglia la regione di DNA danneggiato e dalla parte della catena che ha subito il danno viene risintetizzata la porzione di DNA complementare a quella inalterata grazie all’azione di DNA polimerasi e ligasi. Se il danno viene fissato mediante una divisione cellulare si ha un mistering: il dimero si accoppia con due adenine e entrambe le catene del DNA subiscono mutazione; nel caso in cui si ha una nuova replicazione del DNA il danno è fissato e non viene riparato; si ha una situazione alterata (midmatch) che induce un effetto mutageno a livello somatico con esito il cancro (basotelioma, melanoma cutaneo) -> RADIAZIONI IONIZZANTI Le radiazioni ionizzanti sono radiazioni ad energia molto elevata; il bersaglio molecolare è sempre il DNA su cui esse possono avere 2 effetti: - provocare la rottura della molecola di DNA a singola o a doppia elica; la rottura a singola elica è un evento potenzialmente riparabile in quanto quella controlaterale viene utilizzata come stampo per la riparazione; la rottura a doppia elica è un evento letale o, comunque, principio di aberrazioni cromosomiche; - provocare danni indiretti; in questo caso il bersaglio molecolare nella cellula è l’acqua, una delle molecole maggiormente presenti. La radiazione ha un'energia sufficiente a romperla (produce radiolisi), formando degli intermedi di specie reattive dell’ossigeno che possono indurre effetti di tipo ossidativo. es. l’effetto ossidativo è quello che deriva dall’ossidazione di una base del DNA dovuta a specie reattive dell’ossigeno quale l'idrossi radicale che deriva dal processo di radiolisi dell’acqua. Questo radicale generalmente reagisce con la guanina a dare una ossiguanina che fa sì che, se nella sua conformazione naturale essa può formare 3 ponti ad idrogeno con la citosina, ossidandosi ne forma solamente due e quindi si accoppia all’adenina e non più alla citosina. In questo caso si ha quindi una mutazione per sostituzione di base. Le radiazioni ionizzanti hanno energie associate diverse; alcune di queste sono particolate, ovvero sono portatrici di particelle subatomiche come i raggi alpha. 1 19/10/2021 Lezione 4 Eziologia generale: cause estrinseche (patologia infettiva) CAUSE INFETTIVE La patologia infettiva è causata da agenti esterni di natura batterica, virale oppure di altre forme come protozoi, elminti ecc. Parlando di agenti di natura vivente come cause di malattia si ha a che fare con concetti come contagio, infezione e malattia, correlati tra loro ma diversi. Contagio: aver preso contatto con un microrganismo patogeno; tutti i giorni si entra a contatto con patogeni presenti nell’ambiente rispetto a molti dei quali si è immuni. Anche nell’organismo stesso sono presenti molti microrganismi alcuni dei quali possono diventare patogeni se alterati. Infezione: consiste nella colonizzazione dell’ospite; il patogeno trova quindi un ambiente in cui crescere e moltiplicarsi (presupposto della malattia). Non tutte le infezioni provocano una malattia o perché i meccanismi di difesa immunitaria sono forti in modo sufficiente per eliminarlo o perché in condizioni buone di salute il patogeno non ha le caratteristiche per manifestare la sua patogenicità. E’ possibile venire in contatto con il patogeno, averlo all’interno dell’organismo e avere o meno la malattia. Le caratteristiche del patogeno possono essere utilizzate per la diagnosi di malattia o di presenza di un patogeno; in genere vengono condotti test per valutare la presenza di un microrganismo patogeno nell’organismo. Per effettuare un test si deve scegliere: un metodo, cosa rilevare, in che modo rilevarlo e valutare se questo ha un significato diagnostico nel sviluppare una malattia o meno. E’ possibile effettuare un tampone molecolare che permette di rilevare anche in modo quantitativo la presenza di acido nucleico estraneo all’organismo di RNA di origine virale. Se lo si rileva vuol dire che si è stati infettati dal virus. Un test antigenico (test rapido) serve invece a valutare se sono presenti nell’organismo particelle o molecole di origine virale che non sono acido nucleico; questo test può dire se si è entrati a contatto con il virus che ha lasciato delle molecole di sua proprietà ma si può avere o meno sviluppato la malattia. Consiste in una lastrina cromatografica in un chip su cui vengono separate le molecole virali dalle altre. Altro test è il sierologico (più antico) che valuta se nel sangue sono presenti degli anticorpi specifici rivolti ad un patogeno mediante una reazione del sangue con l’antigene dell’anticorpo. Esso non dà informazioni circa la presenza del virus ma conferma che nel corso della vita in un certo momento si è stati a contatto con il patogeno, senza però necessariamente sviluppare l’infezione; questo test non ha quindi una funzione diagnostica. MICROBIOTA Il microbiota è l’insieme delle colonie di microrganismi presenti in varie regioni dell’organismo. Il più importante è il microbioma intestinale che ha un suo significato a livello evolutivo: i microrganismi di questa regione vivono con l’organismo in simbiosi (entrambi traggono beneficio) in quanto essi compiono azioni che l’organismo non sa fare ricevendo gli alimenti mediante la dieta. Nell’intestino inoltre il microbioma ha interazioni positive con il sistema immunitario e lo mantiene in equilibrio; esso serve sia a contrastare le immunosoppressioni sia per far sì che 2 le cellule abbiano la possibilità di fare una distinzione tra il self e il non self, soprattutto quando si sviluppano malattie autoimmuni che generano confusione tra self e non self. Esistono altre regioni dove sono presenti altri microrganismi compresi quelli che possono sviluppare una malattia in particolari condizioni, ad esempio, immunosoppressione, ovvero in caso di disequilibrio del sistema immunitario. Patogenicità e virulenza La pericolosità di un microrganismo si valuta in base alla: - patogenicità: capacità di provocare malattia; dipende sia da fattori presenti nel patogeno sia dalla sensibilità dell’ospite; in buone condizioni di salute il patogeno viene combattuto e non origina la malattia ma, al contrario, in presenza di disequilibrio omeostatico si è maggiormente predisposti alla malattia da microrganismi. - virulenza: insieme di fattori che consentono all’agente infettivo patogeno di superare le barriere difensive dell’ospite causando danno tissutale e la malattia; dipende dall’acquisizione di determinati fattori genetici (es. capacità di penetrare nelle cellule). Dal punto di vista evolutivo, una virulenza elevata non è molto vantaggiosa per il microrganismo patogeno, soprattutto se è un parassita obbligatorio, cioè non in grado di vivere al di fuori dell'organismo; infatti, se provoca una malattia letale il patogeno non può più vivere in quanto homeless. Nei microrganismi, i fattori di virulenza genetici sono trasmissibili tra patogeni. Questo è stato scoperto mediante l’esperimento condotto dalla Lederberg in cui mediante la trasposizione di plasmidi da un microrganismo ad un altro si è conferito al ricevente un anellino nuovo di DNA che ha permesso l’insorgenza di nuove caratteristiche tra cui la virulenza. I fattori di virulenza possono essere quindi trasmettersi tra patogeni attraverso il trasferimento di frammenti di acido nucleico (trasformazioni), di DNA in altra forma (transduzione) o di DNA sotto forma di plasmide (coniugazione). Problematiche dei patogeni Sino a due anni fa, i problemi principali che riguardavano i patogeni erano: - il loro sviluppo di resistenza antibiotica; - per alcuni agenti virali non esistevano ancora cure efficaci; es. HIV, oggi nonostante ancora non ci sia una cura precisa, esistono comunque farmaci che consentono il mantenimento di una qualità di vita buona per un periodo relativamente lungo nonostante si abbia contratto il virus. Attualmente a queste due problematiche se ne aggiunge una terza: esistono i EAD, le emergent infectious diseases, che sono agenti infettivi con caratteristiche di aggressività differente dal momento che l’acquisizione delle caratteristiche di virulenza è correlata al il fatto che i batteri e i virus hanno un genoma instabile rispetto all’organismo: i batteri, infatti, hanno un solo meccanismo di riparazione ed un sistema immunitario composto da soli due enzimi; i virus, invece, sono privi di un sistema di difesa ed hanno un tasso di mutazione molto elevato. Agenti infettivi e patogeni efficaci I microrganismi patogeni per sviluppare le loro caratteristiche infettive devono: - entrare nell’ospite - trovare una nicchia trofica nell’ospite - neutralizzare il sistema immunitario dell’ospite - replicarsi usando le risorse dell’ospite - uscire dall’ospite e infettare il successivo per mantenere la continuità della specie. 3 Alcuni patogeni sono obbligati, ovvero non possono vivere senza l’ospite e altri facoltativi, che possono vivere anche fuori dell’organismo vivente dove trovano una nicchia trofica in cui crescere e moltiplicarsi. Alcuni patogeni sono legati a un singolo ospite mentre altri possono infettare diverse specie. I patogeni infettivi inducono danni resi manifesti attraverso: • Ingresso e replicazione nelle cellule e citotossicità (capacità di danneggiare o addirittura uccidere le cellule per poi colonizzarne delle altre) • Rilascio di tossine citotossiche (dannose) • Rilascio di enzimi che degradano le componenti tissutali • Danno ai vasi sanguigni e, impedendo il passaggio di sangue, inducono necrosi ischemica. • Risposta infiammatoria eccessiva/aberrante (che può essere dannosa direttamente o indirettamente); il danno è una lesione infiammatoria in risposta al patogeno con rilascio di mediatori chimici (tempesta citochinica) piuttosto che alle citochine. Altra caratteristica del patogeno è l’invasività: il microrganismo deve essere in grado di colonizzare tessuti diversi e per fare questo sulla sua superficie sono richiesti fattori che ne facilitino l'ingresso nelle cellule e la loro sopravvivenza all’interno. Tra questi fattori vi sono: ● adesine che consentono ai batteri di incollarsi al tessuto che vogliono infettare; ● inversione che sono enzimi che idrolizzano la matrice extracellulare o la superficie cellulare e promuovono la permeabilità vascolare. es. una categoria di invasive distrugge la componente fondamentale della matrice del tessuto connettivo in modo da farsi strada. La superficie del microrganismo (batterio) presenta una parete composta da un rivestimento di peptidoglicani e acido lipoteicoico (gram +) oppure non presentare queste sostanze ma ciglia, flagelli, fimbrie, appendici cellulari che consentono il movimento e l’adesione. La superficie può anche presentare esposte delle tossine come il liposaccaride batterico, che scatenano una risposta molto potente e rendono il patogeno più sensibile ad una risposta immunitaria (infiammazione acuta). I microrganismi presentano anche delle esotossine specifiche per particolari effetti indesiderati; queste possono entrare nella cellula e originare le manifestazioni di varie malattie come attivare meccanismi di trasduzione del segnale. A volte le esotossine sono costituite da più subunità e spesso viene fatto in modo che una sola entri nella cellula dove si lega a recettori specifici. Altre tossine sono quelle proteolitiche che causano la lisi delle proteine; es. la tossina tetanica prodotta dal batterio Clostridium tetani che provoca la contrazione tetanica dei muscoli scheletrici (malattia non ancora debellata). Esistono tossine citolitiche come l'alpha emolisina di Escherichia coli, microrganismo apparentemente innocuo, che rompe le cellule e provoca dei danni. BIOFILM E MECCANISMI DI DIFESA I microrganismi presentano diverse modalità di difesa tra cui formare il biofilm, un agglomerato di cellule batteriche in cui i batteri sono avvolti da una matrice viscosa di polisaccaridi e altre macromolecole che le tiene unite ed aderenti ai tessuti dell’ospite. I microrganismi hanno un comportamento sociale, questo è un esempio. Il biofilm è una struttura difficile da aggredire, perché è meccanismo di protezione fisico e impedisce l’azione di alcuni farmaci come antibiotici che non riescono ad interagire con recettori sulla superficie batterica. Esistono anche altri meccanismi di protezione in cui ogni microrganismo sfodera le proprie armi per resistere. 6 genetica (virale) in grado di far sintetizzare alla cellula un enzima, la trascrittasi inversa che replica l’RNA convertendolo poi in DNA. Ottenuto l’mRNA vengono codificati gli enzimi necessari alla proliferazione e alla costruzione di tutte le altre componenti proteiche del virus come le pareti stesse che isolano il materiale genetico. In genere, i virus a RNA sono meno stabili di quelli a DNA in quanto lo scheletro zuccherino rende l’RNA più facile da idrolizzare. Questo significa che sono soggetti a maggior azione mutagena, soprattutto nel caso di quelli a singolo filamento perché non possono sfruttare i meccanismi di riparazione della cellula in quanto non esiste la catena opposta che serva di stampo per risintetizzare la catena. Altra caratteristica dei virus è lo shift antigenico per cui periodicamente possono cambiare le varianti antigeniche. Es. il virus dell’influenza contiene 8 segmenti di RNA nel genoma che possono venire a contatto con ceppi diversi con cui possono ricombinarsi producendo ceppi completamente nuovi. Proprio per questo il vaccino antinfluenzale ha una durata stagionale in quanto le componenti riconosciute sono diverse. Danni da virus I virus per provocare dei danni possono: ● scombinare il sistema metabolico della cellula attaccando i mitocondri e la produzione di ATP; ● indurre la lisi cellulare uscendo dalla cellula per infettarne un’altra; ● provocare la trasformazione neoplastica (se oncogeni) ● esprimere sulla cellula ospite degli antigeni virali che consentono il riconoscimento da parte del sistema immunitario che si occupa di eliminarla; ● rimanere all’interno della cellula come inclusioni virali e mantenersi latenti; ● ridurre le attività vitali della cellula come sintesi di proteine, replicazione di RNA e DNA sottraendone le risorse energetiche. I meccanismi difensivi dell’organismo sono: - l’inibizione dell’ingresso del virus nella cellula; - eliminazione del rivestimento del virus; - inibire la replicazione, la produzione di proteine del virus e il loro assemblaggio. - inibire le proteasi per evitare che il virus esca dalla cellula. Patologie virali 7 Esistono diverse malattie virali: • poliomielite: esiste un vaccino che ha permesso l’estinzione del poliovirus, causa della patologia; • influenza: causata da virus non molto pericolosi se non per soggetti non fragili; esistono vaccini stagionali a causa delle sue diverse varianti; • rabbia: causata da un virus che provoca encefalite; • herpes: causata da un virus che provoca a livello cutaneo l’infezione erpetica; • epatite B: causata da virus che causa infiammazione al fegato; • mononucleosi infettiva: causata dal virus di Epstein Barr; ha sintomi vicini a quelli dell'influenza e non produce danni permanenti. Può rimanere latente nelle cellule e dare origine ad un’azione a distanza di tipo oncogeno. • AIDS: causa l’HIV; infetta i linfociti CD4 che organizzano la risposta immunitaria. Uccidendo questi si induce immunosoppressione persistente con la predisposizione a tutte le infezioni, compresa la malattia neoplastica (sarcoma di Kaposi). Esistono anche molti virus oncogeni: • HIV • Epstein Barr •papilloma virus: può avere due forme: 1) induce la formazione di verruche tumorali benigne che si formano quando il virus è nella cellula sotto forma di plasmide isolato e sotto controllo di proteine; l’unico effetto che ha il virus è quello di indurre un aumento dell’indice di proliferazione cellulare con un’iperproduzione di tessuto normale. 2) induce il carcinoma della cervice uterina se il virus si integra nel genoma della cellula ospite traducendo geni oncogeni. Quando avviene questo fenomeno a livello dell’epitelio della parete uterina le cellule aderenti alla lamina basale proliferano verso l’esterno a formare il papilloma; a questo punto si verifica una trasformazione neoplastica che induce l’inversione della polarità di accrescimento delle cellule e si sfonda la membrana basale (caratteristica della malignità neoplastica). Il papilloma è un virus trasmissibile sessualmente e pertanto esiste un programma vaccinale contro questo virus sia per uomo che per donna. • virus della leucemia a cellule T: virus a RNA responsabile del linfoma e della leucemia. Alcuni di questi virus sono più diffusi in alcune aree mondiali piuttosto che in altre; è importante ricordare però che i virus sono responsabili solamente del 5% dei casi oncologici. Le principali cause dei tumori sono: fumo di sigaretta e cibo. Fortunatamente esistono meccanismi di riconoscimento anche per i patogeni endocellulari che, se vengono a trovarsi negli endosomi, inducono l’espressione di recettori riconosciuti come molecole esogene, i cosiddetti PAMP (pathogen-associated molecular patterns). SARS-CoV 2 Il virus SARS-CoV 2 è un virus a doppia membrana che in genere entra nella cellula attraverso il recettore dell’angiotensina II che ha la proteina spike (ligando); raggiunta la cellula attiva meccanismi che disturbano il suo funzionamento tra cui l’infiammazione, la fibrosi, la vasocostrizione ma anche i rispettivi processi opposti come antiinfiammazione, anti fibrosi e vasocostrizione. Il virus stimola nella cellula la produzione di una citochina tipica dell’infiammazione, il TNF alpha che a sua volta stimola la cellula stessa. 8 Quando avviene l’infezione da SARS CoV 2, le cellule endoteliali dei vasi infettate vengono danneggiate e, prima di andare incontro a morte, producono dei mediatori chimici (citochine) dell’infiammazione che a loro volta vanno ad attivare altri tipi cellulari, come i pneumociti. Questa tempesta citochinica induce poi la morte degli pneumociti in seguito ad una risposta iper-infiammatoria. Questo induce la permeabilità vascolare: escono fluidi (essudati infiammatori) dai vasi sanguigni riempiono lo spazio tra gli alveoli polmonari, impedendo scambi gassosi, inducono la sindrome respiratoria. E’ possibile anche una reazione infiammatoria sistemica come febbre, dolori, malessere ecc. senza compromissione dell’efficienza respiratoria. Questo virus, inoltre, viaggiando nel sistema circolatorio può produrre dei trombi all'interno del microcircolo (coagulazione intravasali). -> Funghi I funghi microscopici sono infettivi nei confronti dell’uomo; sono presenti nell’ambiente e nella flora intestinale sia umana che animale. L’infezione fungina, la micosi, nell’uomo può variare da un’aspetto leggero dando infezione superficiale, sino a dare effetti letali in pazienti ancora una volta immunocompromessi. Le micosi hanno due aspetti: - superficiale: colpisce solo lo strato più esterno - invasiva: provoca danni cellulari e tissutali. I funghi diventano patogeni quando si trasformano da organismi unicellulari ad organismi pluricellulari sotto forma di colonie, di ife o di muffe. Tra le patologie dovute alla micosi: • Polmonite micotica: causata da un pneumocystis, fungo di forma intracellulare; questa malattia è insidiosa in quanto non aggredita dal sistema immunitario; • Candidiasi: causata dalla candida, fungo di forma extracellulare; è un’infiammazione acuta con attivazione delle proteine del complemento. I funghi si riconoscono dalla loro superficie: presentano dei peptidoglicani e delle mannoproteine per cui esistono dei recettori specifici che attivano una cascata di trasduzione del segnale necessaria all’infiammazione; la risposta comprende l’attivazione dei globuli bianchi con attività fagocitica. -> Protisti I protisti o protozoi sono procarioti patogeni. Spesso hanno cicli vitali complessi che coinvolgono più ospiti nelle diverse fasi vitali; l’ospite primario è quello in cui avviene la riproduzione del patogeno. es. protozoo della malaria, diffuso prevalentemente nelle aree di pianura e paludose prima delle attività di bonifica. La malaria è ospite primario del plasmodio della malaria, dove avviene la sua riproduzione, mentre l’uomo è ospite intermedio. -> Macroparassiti I macroparassiti sono parassiti con un livello dimensionale tali da poter essere identificati ad occhio nudo contrariamente a quelli macroscopici che richiedono l’utilizzo di microscopi o tecniche più raffinate. 11 Lo stile di vita può indurre o proteggere da determinate patologie (oggetto di studio della fisiopatologia dei sistemi). Un esempio di fisiopatologia multisistemica è la depressione dovuta alla colite in cui da un problema intestinale si passa ad uno nervoso che comporta disturbi legati alla sfera sociale (ansia, depressione ecc.). Barriera intestinale A livello del tratto gastroenterico sono presenti microrganismi commensali che formano il microbiota (batteri, funghi, virus ecc.) e che sono in equilibrio con l’organismo. Affinché questo equilibrio esista è necessario che ognuno stia però al suo posto; pertanto, esiste una barriera tra l’intestino, che assorbe sostanze nutritive ed elimina le scorie, e il sangue che le porta in circolo. A livello intestinale la barriera è composta da uno strato di muco seguito da epitelio monostratificato composto da cellule caliciforme (che secernono il muco) e enterociti (che assorbono il muco) che regola il passaggio delle sostanze in arrivo dal lume. Tra una cellula e l'altra non passa nulla; i trasferimenti di sostanze nutritive avvengono mediante strutture di trasporto che non permettono il passaggio ai patogeni. Vi è poi un’altra barriera tra epitelio e sangue in modo da essere sicuri che i batteri non raggiungano i capillari fenestrati e quindi la circolazione sanguigna. Barriera nervosa A livello nervoso, invece, la barriera si trova nel parenchima nervoso; si tratta della barriera ematoencefalica, che regola lo scambio di sostanze con il sangue. Nel cervello i vasi sanguigni sono composti da parete chiusa e sono avvolti da periciti che contribuiscono ulteriormente alla chiusura e da astrociti che selezionano le sostanze in arrivo al cervello. Il cervello si trova poi nel liquor, un fluido prodotto dal plesso coroideo, un epitelio monostratificato come quello intestinale con sotto un capillare fenestrato attraverso cui può giungere ciò che esce dall’intestino. Questo però non rappresenta un problema in quanto, se fino a 10 anni fa si pensava che il sistema nervoso non presentava cellule immunitarie, si è scoperto che invece il sistema immunitario entra in quello nervoso ma mediante un meccanismo più complesso. Infatti, si è osservato che, togliendo linfociti T, si sviluppavano problemi di memoria; questo è uno degli effetti collaterali dell’infezione da virus dell’HIV che, attaccando i linfociti CD4, causa anche problemi di memoria. Studio Quando si ha un processo infiammatorio a livello intestinale, le cellule non aderiscono più bene l’una all’altra ma sviluppano delle fessure sia a livello epiteliale che a livello dei vasi sanguigni. Tutti i batteri quindi iniziano ad entrare nel sangue e mediante il sistema portale epatico che drena l’intestino raggiungono il fegato, che filtra ciò che può eliminando in parte le tossine batteriche. Un’infiammazione a livello gastroenterico però a lungo andare causa un danno anche a livello epatico e pertanto, i batteri possono passare oltre. Passato il fegato le sostanze possono quindi raggiungere il SN e indurre effetti anche a livello comportamentale, ovvero modificare l'umore. La presenza di questi disturbi nervosi è stata riscontrata nell'uomo e in particolare nel roditori: attraverso degli studi comportamentali, che nel topo consistevano nel valutare la latenza e il 12 tempo impiegato nel raggiungere un luogo illuminato da uno buio, si è osservata la presenza o meno di ansia e depressione (aumento di latenza e tempo impiegato). Un gruppo di ricercatori ha poi verificato tutto questo partendo da biopsie di topi affetti da colite ulcerativa (in cui il colon era leso) e marcandolo con marcatori tra cui il PV1 (per fenestrature vascolari), notando che nel caso di paziente sano le fessure all’interno della barriera erano ridotte e il passaggio di sostanze era impedito e che la permeabilità aumentava in caso di tessuto danneggiato. Attraverso questi fori potevano passare sostanze e cellule; le prime cellule che passavano in seguito a infiammazione erano i macrofagi e i monociti (precursori dei macrofagi) e i neutrofili. Valutando le cellule a livello di intestino, di fegato e di cervello, a tempi diversi dopo l’induzione dell’infiammazione si è notato che: ● nell’intestino, dopo 5 giorni, qualunque cellula passava; ● nel fegato si ha una permeabilità più ridotta ma comunque importante; ● nel cervello i monociti continuavano a passare attraverso la barriera, i macrofagi continuavano fino al terzo giorno ma poi smettevano, mentre i neutrofili cominciavano già il primo giorno a non passare. Nel cervello quindi, dopo che si accorge che comincia ad entrare qualcosa che non dovrebbe, si chiudono le barriere del plesso coroideo in modo da impedire il passaggio di cellule infiammatorie. Lo studio, quindi, ha analizzato il plesso coroideo, dissociandone le cellule e studiandone singolarmente il trascrittoma, ovvero i geni espressi in un determinato momento e in una determinata condizione (individuo sano o affetto da colite). Una volta ottenuto il quadro di tutti i geni trascritti è stato possibile possibile raggruppare le cellule in cluster a seconda di determinate caratteristiche che si volevano considerare (es. se un muscolo liscio esprime una determinata emoglobina per individuare le sue cellule si ricercano quelle in cui sono espressi i geni che caratterizzano per quella determinata categoria di emoglobina). Manipolando geneticamente l’animale si è provato a rimuovere un gene che regolava la beta- catenina in modo da renderlo un transgenico condizionale: finchè non si aveva uno stimolo il gene veniva espresso; somministrando del tamoxifen, ovvero dando lo stimolo necessario alla ricombinazione genetica, il gene veniva silenziato e le proprietà vascolari del plesso coroideo mutavano in modo che, impedendo la chiusura in seguito ad infiammazione intestinale, le cellule immunitarie potessero passare e non si manifestassero più le alterazioni a livello emotivo (es. ansia). 1 2/11/2021 Lezione 7 Eziologia generale: cause intrinseche PATOLOGIE CONGENITE, EREDITARIE, FAMILIARI Le cause intrinseche sono raggruppate in tre categorie: ● Patologie genetiche, anomalie nel codice genetico, ovvero nel DNA; ● Patologie congenite, patologie presente dalla nascita (ad esempio quando uno nasce con una malformazione o un’alterazione del metabolismo); ● Patologie familiari, o ereditarie sono quelle che vengono trasmesse di generazione in generazione ma non sono dovute né alla genetica né a fattori congeniti; sono patologie che ricorrono in una famiglia di più di quanto ci si aspetterebbe (non c’è un caso solo ma ce ne sono diversi) che possono essere dovute non solo da fattori genetici ma anche dallo stile di vita, i luoghi che si frequentano (es. l’obesità è difficile capire se è determinata da una predisposizione genetica o dalle abitudini della famiglia). Esse hanno un’intersezione abbastanza ampia (infatti la maggior parte delle patologie genetiche sono anche congenite) ma non sono sinonimi perché si possono avere patologie genetiche non congenite, patologie congenite non genetiche e patologie con distribuzione familiare che non sono riconducibili né alla genetica né a fattori congeniti. Una patologia genetica, ovvero una mutazione del DNA, non è necessariamente ereditaria perchè se la mutazione avviene nella linea germinale (gameti) viene trasmessa mentre se avviene a carico di una cellula somatica può fare dei grandissimi danni ma non è trasmissibile alle generazioni. Inoltre molte patologie possono avere avere forme genetiche, forme ambientali o una via di mezzo (se c’è un difetto del metabolismo che rende più sensibile ad un certo fattore ambientale finchè non ci si viene in contatto non succede niente ma vi è comunque un gene che rende sensibile e quindi quella patologia è una via di mezzo tra genetica e ambientale). Le patologie genetiche si possono suddividere in: ● patologia monogenica: è alterato un singolo gene (sono i casi più semplici); ● patologia poligenica: non si ha una mutazione chiara in un certo gene e tutto il resto è normale ma ho un gene un po’ alterato e un altro gene che su questo contesto genomico fa un altro danno e quindi, in generale accade che ciascun gene partecipa alla formazione della patologia; ● alterazioni cromosomiche: sono quelle che possono provocare o aberrazione cromosomica (cromosoma che si forma in modo errato) o addirittura l’assenza o la presenza di un numero sbagliato di cromosomi. ● mitocondriale: alterazione geni che si trovano a livello dei mitocondri (se viene alterato a livello mitocondriale, viene trasmesso alle generazioni successive ma in modo strano poiché i mitocondri nella cellula sono tanti e quindi la traduzione non è sempre 50 a 50) Altro fattore che complica lo studio delle patologie genetiche è la penetranza. La penetranza è la percentuale di individui che hanno una determinata anomalia e mostrano un fenotipo patologico: è possibile, infatti avere a carico dello stesso gene la stessa mutazione che in un certo individuo porta allo sviluppo di una determinata patologia (conclamata) mentre in un’altra persona non fa niente (è asintomatica), e questo dipende da altri geni che ci sono e da una serie di concause annesse. 4 Per esprimere proteine, da un gene, che è un tratto di DNA, viene trascritto l’RNA messaggero che poi esce dal nucleo e dà informazione per la sintesi proteica. Nel DNA solo l’1,5% è materiale genetico vero e proprio, mentre tutto il resto serve a regolare l’espressione genica: l’RNA polimerasi, infatti, per attaccarsi al DNA deve avere dei determinati segnali che sono fattori di trascrizione, ovvero proteine che cambiano da cellula a cellula e che stabiliscono per quali geni l’RNA deve trascrivere. Mediante questi fattori partendo da una cellula iniziale o precursore e a un certo punto delle divisioni una delle cellule figlie comincia ad esprimere una certa proteina, poi durante le divisioni successive una sola delle due esprime altre proteine e alla fine dopo tutte queste divisioni cellulari ciascuna delle cellule figlie, tende ad avere una combinazione diversa . Se qualcosa va ad influenzare i geni che codificano per i fattori di trascrizione si possono avere condizioni incompatibili con la vita. Nel momento in cui le cellule cominciano ad avere ciascuna una identità cominciano anche a comunicare e a richiamarsi tra di loro mediante fattori di inibizione, di attrazione, di crescita e anche di morte; in questo modo si riescono a formare delle strutture ramificate come i bronchi (partendo da un tubo si ramificano). Le cellule del mesenchima (connettivo embrionale) cominciano a secernere FGF10 (fattore di crescita dei fibroblasti o fibroblast growth factor); questo prodotto viene rilasciato nell’ambiente esterno e le cellule dell’epitelio respiratorio rispondono producono il fattore Sonic che inibisce la produzione di FGF10. In questo modo le cellule che sono a fianco, non esposte a sonic, continuano a produrre l’FGF10 mentre quella in mezzo no; si sviluppano quindi i due rametti laterali che a loro volta possono dare ramificazioni mediante lo stesso meccanismo. ALTERAZIONI DELLA MORFOGENESI Le cause di un'alterazione della morfogenesi possono essere: ● Mutazione genetiche: ad esempio è stato scoperto che durante i processi di crescita c’è una proteina detta miostatina che durante lo sviluppo decide quando deve smettere di crescere la massa muscolare e quindi se io altero la miostatina posso produrre individui con massa muscolare abnormemente aumentata (principio sfruttato nell’allevamento intensivo). ● Fattori esterni: durante la morfogenesi è possibile andare ad alterare anche la comunicazione tra le cellule con un farmaco o un virus o un fattore ambientale inducendo malformazioni nell’individuo (fattore esterno); es. focomelia causata dall’assunzione della talidomide, un farmaco assunto dalle donne in gravidanza come antiemetico (contro le nausee); questo farmaco, non essendo stato testato a sufficienza, si è rivelato avere un effetto antiangiogenetico, 5 ovvero in grado di impedire la crescita dei vasi sanguigni e durante lo sviluppo embrionale induceva quindi alterazione nello sviluppo e costruzione degli arti superiori. E’ un agente teratogeno che causa alterazioni nello sviluppo del corpo anche l’abuso dell’alcool. FAMILIARITA’ Le patologie genetiche però non sempre manifestano i loro effetti alla nascita; possono insorgere in età pediatrica o anche nella fase adulta. Queste patologie possono essere diagnosticate mediante l’analisi genetica che permette di sapere se il disturbo potrà o meno essere manifestato. Per capire se una patologia abbia familiarità o meno, ovvero sia diffuso in una linea famigliare, e quindi identificare la sua origine si può costruire il pedigree o albero genealogico che deriva dall’interazione di fattori genetici e ambientali. In un pedigree si rappresenta la famiglia composta da persone sane e malati, raffigurate in colore diverso; in genere si utilizzano i quadrati per i maschi e i cerchi per le femmine, collegati mediante linee di discendenza. Nell’esempio si ha una famiglia composta da sorella e fratello malati; la progenie discendente dal fratello è sana, mentre quella discendente dalla donna è sempre malata. In questo caso, il figlio (malato) dà una progenie sana mentre le figlie danno, invece, figli malati. Il fatto che le donne diano una progenie malata è dovuto al fatto che la neuropatia di Leber è una patologia mitocondriale: nello sviluppo embrionale, quando si fondono i due gameti, lo spermatozoo perde tutti i mitocondri e pertanto quelli che vengono utilizzati sono solo quelli della madre che vengono trasmessi a tutta la progenie. Pertanto, se la patologia interessa i mitocondri è solo la madre a trasmetterla. PATOLOGIA GENETICA Patologia monogenica Le patologie genetiche sono dovute a delle mutazioni: il DNA deve venire mutato assumendo una sequenza abnormale. Affinchè queste patologie siano ereditarie la mutazione deve avvenire nelle cellule germinali (ovociti e spermatozooi); se le mutazioni sono nelle cellule somatiche possono portare al cancro o ad anomalie dello sviluppo ma non possono venir trasmesse alla progenie. Le mutazioni genetiche più semplici sono: - mutazioni puntiformi: in un segmento di DNA in seguito ad esposizione a radiazioni UV si formano dimeri di pirimidine che anziché legarsi all’adenina riconoscono la guanina inducendo una mutazione di due basi successive; 6 - inserzioni/delezioni: danno dovuto alla correzione errata di una rottura a doppio filamento che comporta l’eliminazione di una base azotata o l’inserimento di una base non corretta. Per sapere se una mutazione è monogenica è necessario conoscere le leggi di Mendel, il fondatore della genetica che ha studiato la trasmissibilità dei caratteri fenotipici (colore, fiore, stelo ecc.) nelle piante dei piselli. Mendel aveva osservato che incrociando piante con tratti fenotipici diversi la progenie poteva avere le caratteristiche dell’una o dell’altra pianta; in particolare, incrociando la pianta dai piselli gialli con quella dai piselli verdi la prima generazione ha piselli gialli perchè questo è il carattere dominante. Questo accade perché quando i gameti maschili e femminili si uniscono ciascuno ha una copia del gene (carattere) che può essere dominante se viene ad esprimersi a discapito di quello recessivo che rimane silente. Si può poi fare una distinzione in organismo eterozigote se presenta sia sia il gene dominante che quello recessivo anche se ad essere espresso è quello dominante e omozigote se presenta solo il carattere dominante o solo quello recessivo (che in questo caso si manifesta). La realizzazione di un pedrigree è utile per valutare la familiarità di una patologia e per distinguere le malattie in: - autosomica dominante: la progenie manifesta necessariamente la patologia se riceve l’allele malato, in quanto questo presenta un carattere dominante; - autosomica recessiva: se da una progenie sana si ottiene una discendenza malata si può valutare la trasmissione di una patologia di tipo recessivo che si manifesta solo in caso di individuo omozigote recessivo; - legata al cromosoma X: sono quasi sempre patologie recessive che quindi non vengono espresse a livello fenotipico a meno che l’individuo sia omozigote recessivo; in questi casi la madre è in genere portatore sano; - legata al cromosoma Y: sono le più rare; - non mendeliane: mutazioni mitocondriali Le mutazioni non coinvolgono solamente i geni. Bisogna, infatti, tenere conto che nel genoma, che contiene 3,2 miliardi di paia di basi, solo 20.000 sono i geni che codificano per proteine, ovvero solo l’1.5% viene trascritto. L’85% del genoma viene trascritto in RNA non codificanti proteine, che hanno funzione enzimatica o strutturale, oppure costituisce DNA che non viene trascritto in nulla. Queste sequenze non codificanti si suddividono in 5 classi: - promotori e enhancers che fanno legare i fattori di trascrizioni e aiutano la trascrizione aumentando la trascrizione di un fattore o meno; - siti di legame per i fattori di organizzazione della cromatina (insieme di DNA e proteine accessorie); - sequenze trascritte in RNA regolatori; - elementi genetici mobili di origine casuale o virale che si muovono in modo casuale nel genoma (trasposoni); - regione di DNA strutturale (telomeri e centromeri) che sono generalmente sequenze ripetute; Una mutazione nel DNA dà esiti differenti a seconda di dove si trova: 9 La tecnica FISH ci fa vedere che il DNA non è messo a caso ma ciascuna cellula ha una organizzazione della cromatina (DNA e proteine associate) molto ordinata: alcuni pezzi del DNA si trovano associati ai polinucleari, altri si trovano al centro del nucleo e pertanto non sono tutti esposti agli agenti dannosi allo stesso modo; ci sono quindi regioni del genoma più fragili di altre, soprattutto in certi tipi di cellule (per esempio una regione di eucromatina dove il DNA non coperto da istoni è più fragile di una regione di eterocromatina). Quindi è vero che le mutazioni sono casuali ma alcune avvengono più facilmente di altre. Le mutazioni del DNA a seconda di dove vengono espresse hanno effetti diversi. Se la mutazione interessa le proteine della matrice si hanno delle alterazioni a carico della struttura di tutti gli organi in particolare dell'apparato muscolo scheletrico: un esempio è la sindrome di Marfan che riguarda la fibrillina e il collagene. SINDROME DI MARFAN Si verifica se ho una mutazione a carico della fibrillina, una delle proteine che fanno parte delle fibre elastiche (dove abbiamo fibrillina 1, fibrillina 2 ed elastina) e che danno la forma alla fibra. Se i geni FBN1 e/o FBN2 sono mutati, ho alterazione nella produzione delle fibre elastiche. Conseguenze: 1. La fibrillina è indispensabile per produrre le fibre del cristallino e quindi a livello oculare se il cristallino si forma male non sono in grado di avere accomodazione (non si riesce a mettere a fuoco o in alcuni casi esso viene dislocato dalla sua posizione (ciò causa grossi problemi di vista)); 2. I soggetti che presentano mutazione hanno statura alta perchè mentre l’osso si forma le fibre elastiche non mantengono più compatta la struttura della cartilagine che poi forma l’osso; molto spesso ci sono anche delle deviazioni nella formazione dell’osso poichè ossa così lunghe non hanno la robustezza per sostenere l’organismo; 3. Hanno il cosiddetto petto carenato perché lo sterno non viene formato in modo corretto; 4. A livello della cute sono proni ad avere smagliature perchè il derma è un connettivo dove ci sono fibre collagene ed elastiche che servono a mantenere la resistenza; 5. Hanno problemi ai denti perchè la dentina è simile al tessuto osseo e quindi durante la formazione ci sono delle alterazioni; 6. Hanno delle giunture eccessivamente mobili perchè se la fibrillina non viene deposta in modo corretto anche le fibre collagene restano più lasse; 7. Non essendoci abbastanza fibre elastiche il cuore e i grossi vasi non hanno la componente elastica e questo porta alla morte per problemi cardiovascolari in età anche piuttosto giovane perché a livello cardiaco ma soprattutto a livello dell’arco aortico sono proni ad avere un collasso vascolare o un aneurisma dell’aorta. Una sindrome è un quadro patologico con più sintomi diversi apparentemente non correlati. Nel caso della sindrome di Marfan c’è un problema muscolo-scheletrico che si ripercuote poi a livello cardiovascolare; di fatto c’è però associato anche un altro problema apparentemente non correlato che è un’anomalia nella distribuzione di un fattore di crescita TGFbeta. Questo fatto è importante in quanto nei connettivi le proteine della matrice, oltre che tenere insieme tutto, fungono da deposito per la maggior parte dei fattori di crescita che rimangono locali grazie alle fibre elastiche e alle fibre collagene; quindi, se si ha un’alterazione a livello delle fibre elastiche si ha una distribuzione errata dei fattori di crescita con una serie di effetti collaterali. 10 Il 70/85% dei casi affetti da questa sindrome sono familiari e trasmessi in modo dominante, il restante 30% sono casi sporadici: l’analisi del pedigree ci fa capire che la malattia è genetica a livello di popolazione; può essere però che il singolo individuo abbia avuto la sfortuna di avere il gene della fibrillina che ha avuto una mutazione nell’ovocita della madre o nello spermatozoo del padre. Oltretutto si tratta di un gene voluminoso e per come è fatto ci possono essere 1000 tipi di mutazioni diverse (è propenso a mutare). Mutazioni metaboliche: glicogenosi Altro tipo di mutazione sono le mutazioni metaboliche che alterano la funzione di uno degli enzimi che servono alla biosintesi o biotrasformazione di qualcosa. Un esempio sono le glicogenosi: il glicogeno è un polimero di accumulo del glucosio che si accumula prima nel fegato poi nel muscolo scheletrico (ha bisogno di avere zucchero nel caso di sforzi prolungati o intensi) e poi nel cervello (negli astrociti ci sono riserve di glicogeno che servono per produrre glucosio, a sua volta trasformato in lattato che serve per i neuroni). Essendo che il glicogeno nell’adulto è presente prevalentemente nel fegato, nel muscolo scheletrico e nel cervello mentre durante nell’organismo in via di sviluppo ci sono quasi ovunque strutture che accumulano glicogeno, l'assenza degli enzimi che regolano il il suo metabolismo può andare a toccare l’organismo durante lo sviluppo senza poi che nell’adulto si veda un effetto poichè se l’organo che aveva bisogno di glicogeno durante lo sviluppo non aveva il suo enzima poi una volta finito lo sviluppo nel fegato, nel muscolo scheletrico e nel cervello ci sono comunque scorte. Inoltre bisogna in quasi tutte le vie metaboliche c’è ridondanza per meccanismo di protezione: per ogni enzima solitamente vi è più di una forma così che se una non funziona in tanti casi un’altra che normalmente non viene espressa comincia a prendere il posto di quella che ha perso la sua funzione. Questo fa sì che la penetranza di una patologia genetica sia variabile. Nella glicogenosi mancano enzimi o che producono glicogeno o che lo distruggono per formare glucosio utilizzabile. A livello epatico succede che un individuo che ha una mutazione a livello epatico non è in grado di usare glicogeno epatico e quindi è molto sensibile all’ipoglicemia (perchè il glicogeno epatico viene rilasciato in condizioni di digiuno sotto azione del glucagone o dell'adrenalina o sotto azione del cortisolo, ma se il fegato non è in grado di utilizzare glicogeno quando ne ho bisogno non ho glucosio a disposizione). Se si hanno problemi a carico del muscolo scheletrico, il fegato libera il glicogeno nel momento in cui serve ma se si fa uno sforzo muscolare intenso non si riesce a sostenere gli stessi sforzi di una persona che può utilizzare glicogeno a livello locale quindi provoca debolezza muscolare e crampi perchè non si ha abbastanza energia. Il tipo peggiore è quello della glicogenosi generalizzata dove il problema è che il glicogeno viene stoccato a livello cardiaco. Questo ha effetti gravi poiché le cellule cardiache hanno depositi intracellulari di glucosio e si genera un’ipertrofia cardiaca; se il cuore diventa troppo grosso il problema principale è che, dato che la forza di contrazione dipende dalla lunghezza del sarcomero (c’è una grandezza ottimale), se il cuore diventa troppo grande, le teste di miosina non fanno la stessa forza sull’ actina e non riesce più a dare la forza di prima; l’altro problema è che se si ingrossa le cavità diminuiscono e il contenuto diventa minore. La glicogenosi può essere causata da vari motivi, uno di questi è il fatto che i depositi possono non essere degradati a livello lisosomiale; se i lisosomi non funzionano si hanno delle 11 malattie da accumulo in quanto si allargano, continuano ad accumulare i loro contenuti e le proteine accumulate possono essere tossiche o si possono radicali liberi e la cellula o entra in apoptosi oppure può avere grosse difficoltà a svolgere la propria funzione. La maggior parte degli effetti di queste patologie riguardano il tessuto nervoso e la maggior parte dei substrati che non riescono a venire degradati sono i lipidi o parti della matrice (lipopolisaccaridi e carboidrati complessi che fanno parte del glicocalice). Patologie legate al cromosoma X Durante la trasmissione ereditaria i geni che arrivano da parte materna e paterna toccano la prole maschile e femminile in modo diverso (una donna ha due cromosomi X e quindi una patologia legata all’X che è recessiva non avviene e la donna risulta portatrice sana). Questo è quello che succede nella maggior parte dei casi, come ad esempio nell’emofilia, in cui le donne sono portatrici sane mentre gli uomini sono affetti da questa patologia che riguarda la coagulazione del sangue. Andando a vedere come vengono trasmesse le malattie legate all’X, in alcuni casi si hanno una serie di problemi poiché nella donna i due cromosomi X funzionano ma non del tutto; per la maggior parte dei geni si ha l'inattivazione casuale di uno dei due cromosomi per via dell’espressione di un gene che inattiva tutti quelli dell’altro cromosoma (Lyonizzazione). Tuttavia questo è vero e funziona solo in parte, poiché se avessimo la lyonizzazione completa del cromosoma X alcune patologie non avrebbero senso: ad esempio la sindrome di Turner, in cui l’individuo ha un solo cromosoma X, se la ionizzazione del cromosoma X fosse completa le donne con questa sindrome sarebbero indistinguibili da quelle sane; invece questa sindrome provoca una serie di problemi come sterilità, malformazione organi genitali, statura bassa, problemi cardiovascolari. Come si può avere l’assenza di un cromosoma X, si può avere anche l’eccesso di un cromosoma X: l’individuo che ha un genotipo XXY è affetto della sindrome di Klinefelter in cui gli affetti hanno statura più alta del normale, problemi di fertilità (a causa di un eccesso di estrogeni nello sviluppo che risulta quindi anomalo). Queste sono patologie compatibili con la vita ma se c’è cromosoma X in meno o in più ci sono comunque una serie di anomalie. MUTAZIONI DI GLUCOSIO-6P-DEIDROGENASI Le mutazioni di glucosio-6P-deidrogenasi sono delle mutazioni legate al cromosoma X, a carico di un enzima. Si tratta di uno dei difetti ereditari più frequente nell'uomo e più complicato, perché riguarda un singolo gene altamente polimorfo; in questo gene sono note diverse centinaia di varianti, alcune sono polimorfismi normali, altre sono legate alla perdita o all’acquisto di funzioni. L’uomo ha due copie di questo gene ma la sua lyonizzazione è variabile, quindi nella donna può esprimersi anche se legato all’X e i globuli rossi prodotti in vari punti del midollo osseo possono in parte funzionare correttamente e in parte no. Queste mutazioni inducono difetti, in genere, enzimatici che causano patologie tutte legate all'anemia emolitica dove vengono distrutti i globuli rossi. Infatti, se la glucosio-6 fosfato-deidrogenasi non agisce correttamente non viene prodotto il glutatione (antiossidante naturale) inducendo una condizione iperossidativa; i globuli rossi, essendo esposti all’ossigeno più di chiunque altro, subiscono attacchi ossidativi e non hanno 14 Per rilevare i repeats si usa l’analisi della lunghezza degli acidi nucleici: per esempio, prendendo jun primer che si lega appena prima e appena dopo la regione dove ci sono i repeats si può determinare la lunghezza di quella regione (se è corta i repeats sono pochi, man mano che la lunghezza di questa regione aumenta ci sono molti repeats); si possono avere 3 casi: - normale - permutazione (c’è un gran numero di repeats ma non c’è ancora la patologia) - mutazione completa Questa tecnica dà dei problemi quando ci sono un migliaio di repeats e non si riesce più a fare un numero sufficiente di amplificazioni. In questo caso si utilizza un altro metodo che è la restrizione. Restrizione Questo metodo utilizza degli enzimi di restrizione che si legano ad una sequenza particolare di DNA e tagliano solo quella sequenza in modo da valutare il numero di repeats. Si può quindi osservare la lunghezza normale, la lunghezza della permutazione (dove si hanno alcune amplificazioni) e la lunghezza della mutazione completa (che è ancora più lunga e quindi significa che ci sono ancora più repeats). Anomalie cromosomiche Le anomalie cromosomiche sembrano le più facili da identificare. Ciascun cromosoma ha una sua forma particolare con due braccia, chiamate p e q e presenta delle bande di eucromatina ed eterocromatina caratteristiche di ciascun cromosoma attraverso cui si possono riconoscere. Nella maggior parte dei casi le anomalie cromosomiche non sono compatibili con la vita poichè portano all’aborto spontaneo: ad esempio nel caso della trisomia 21 (3 copie del cromosoma 21), che è la più comune, solo il 25% degli zigoti arrivano alla nascita. Sono anomalie abbastanza grandi e gravi e i sistemi di controllo abbastanza importanti tali da impedire lo sviluppo di un organismo autosufficiente. Le trisomie sono soltanto a carico dei cromosomi più piccoli (più grande è il cromosoma, maggiore è il numero di geni che porta e maggiore è lo scompenso che si ha quando c’è un’anomalia); la trisomia 21 infatti è la più comune perché questo cromosoma è il secondo più piccolo. Possono essere causa di aborti spontanei anche le triploidie e tetraploidie in cui tutto il genoma è presente in più copie. In biologia vegetale ciò fa parte della normalità (le fragole grosse sono tetraploidi, tetrasomiche) perchè nelle piante più cromosomi ci sono più aumenta il volume della struttura, mentre negli animali è tutto più complicato. Le triploidie e tetraploidie possono essere causate da: ● aberrazione nella formazione dei gameti che porta i cromosomi a non separarsi nella formazione dell’ovocita o dello spermatocita ● polispermia poichè se normalmente, quando l’ovocita viene fecondato, il primo spermatozoe entra innescando la reazione corticale che blocca l’entrata di tutti gli altri, ci sono casi in cui due spermatozoi entrano nello stesso momento e così si hanno 3 corredi genetici da unificare (questo è il caso più comune di triploidia) 15 Altri problemi a livello cromosomico si hanno quando i cromosomi si spezzano o si fondono tra di loro. Esistono delle macro-delezioni o micro-delezioni in cui si perdono alcuni geni (ossia regioni intere del cromosoma). Se durante la divisione meiotica, nella fase di crossing over, i pezzi vengono scambiati non tra cromosomi omologhi ma tra cromosomi che non c'entrano nulla tra loro si parla di traslocazioni; una delle più pericolose è il cromosoma Philadelphia dove il cromosoma 9 e 22 si scambiano un pezzo all’estremità (è possibile osservarlo tramite delle sonde che vedono questi due cromosomi): i cromosomi si fondono e si crea un prodotto genico che è la fusione tra due proteine (BCR E ABL). Questo BCR-ABL ha un grosso effetto nella proliferazione cellulare poiché è un recettore che diventa intrinsecamente attivo e nel momento in cui le due proteine vengono messe insieme si attivano in modo irreversibile e provocano un tipo particolare di leucemia. RETINOBLASTOMA (Rb) Parlando di malattie genetiche e cancro esistono avere molte possibilità: si possono avere dei geni singoli mutati che caratterizzano la persona dalla nascita; il gene più noto è il gene Rb che se mutato induce il retinoblastoma, un tumore pediatrico raro che causa a livello della retina (foglio piatto di neuroni) una crescita abnorme non più di epitelio pigmentato; per questo la luce che entra nell’occhio viene riflessa e quindi uno dei due occhi è normale mentre l’altro presenta il segno caratteristico del riflesso della luce da fuori. Un gene da solo è in grado di far insorgere un tumore pediatrico favorendo una proliferazione incontrollata delle cellule e quindi attivando meccanismi che portano la cellula alla morte programmata. Quindi dopo che il primo gene è mutato deve mutare un gene che controlla che la cellula mutata muoia; dopo la seconda mutazione potrebbero esserci dei danni a cui fanno seguito delle altre mutazioni che aiutano il tumore ad evadere del sistema immunitario. Per favorire l’insorgenza di un tumore quindi ci devono essere una serie di meccanismi contemporanei. Tornano al gene Rb, la prima mutazione avviene già prima della nascita e quindi la seconda è abbastanza per fare insorgere dei problemi. Patologie poligeniche Le patologie genetiche non sono necessariamente causata da una mutazione ad un gene; esistono casi in cui le varianti coinvolte nella patologia sono ovunque (ce n'è almeno una per cromosoma). Ci sono degli studi che utilizzano il cosiddetto linkage tra due loci (frammenti di DNA) per capire effettivamente quali geni sono coinvolti. Nella trasmissione del DNA quando si passa di generazione in generazione i cromosomi si riassortiscono in modo casuale, quindi se due geni sono su due cromosomi diversi nelle varie famiglie saranno distribuiti casualmente; se però i due geni sono sullo stesso cromosoma è più probabile che si trasmettano insieme nelle generazioni. All’interno di un cromosoma, dato che si ha il fenomeno del crossing over, non si ha il 100% di linkage ma il linkage aumenta tanto più vicini sono i loci. Noto il genoma umano è possibile identificare migliaia di polimorfismi ad un nucleotide o SNP (single nucleotide polymorphism) ma anche polimorfismi più lunghi, i minisatelliti e i microsatelliti. - microsatelliti: sequenze ripetute di 2/6 basi che arrivano fino a 1000 basi di lunghezza e variano da persona a persona; 16 - minisatelliti: sono un pò più lunghi (da 15 a 70 basi). I polimorfismi possono essere valutati nel momento in cui bisogna capire dove un gene sia: non conoscendo il gene ma sapendo che è vicino a determinati SNP, si può valutare nella popolazione come questo colocalizza con un determinato polimorfismo. Quindi se tutte le persone che hanno una certa patologia hanno anche un certo polimorfismo allora significa che il gene che la provoca è sempre vicino a quello. Con questo si possono fare degli studi detti genome-wide association studies GWAS I genome-wide association studies sono studi di associazione sull’intero genoma. Servono per vedere nella popolazione che differenze ci sono nella trasmissione degli SNP tra la popolazione sana e quella soggetta alla patologia. Riconosciuti i SNP si valutano i geni vicini per capire quali dei geni vicini sono quelli importanti, una volta noti i meccanismi cellulari e fisiologici. E’ un metodo statistico, dove non si parte da ipotesi. MALATTIE DEL METABOLISMO CELLULARE Quando una cellula viene danneggiata, vengono perturbati i suoi processi metabolici; i più importanti sono quelli di housekeeping, che la cellula deve compiere per rimanere in vita. Questi processi sono: protezione dall’ambiente (barriere); fare entrare sostanze nutritizie; produrre energia dalle sostanze introdotte; comunicare con le altre cellule; potersi muovere (in modo particolare per il tessuto proliferante); rinnovare le componenti senescenti, dal momento in cui sia le cellule stesse che i loro organelli, possono avere una vita breve. Tutte queste funzioni devono essere mantenute in equilibrio (omeostasi fisiologica) e gli organelli presenti nella cellula, devono rimanere al suo interno. All’interno della cellula ci sono degli organelli, alcuni racchiusi da una membrana, altri liberi nel citoplasma, i quali svolgono funzioni separate e danno esiti differenti nel momento in cui qualcosa viene alterato. Infatti, se in una cellula, un certo organello viene alterato, non è possibile intuire subito, dall’alterazione cellulare o subcellulare, la patologia a livello di organismo, ma bisogna integrare tutte le informazioni a livello cellulare, subcellulare e molecolare con il resto del sistema. Es. se la patologia riguarda lo scambio di gas, si possono osservare i polmoni, anche se il problema può essere a livello cardiovascolare. Nell’organismo ci sono tre sistemi deputati al controllo di questi meccanismi, e sono: sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. Quando questi tre sistemi non funzionano, producono a cascata una serie di danni a carico del resto dell’organismo. -> ANEMIA PERNICIOSA L’anemia perniciosa è una patologia derivata dalla carenza della vitamina B12. La sua struttura è molto simile al gruppo eme, ma al posto di un atomo di ferro c’è un atomo di cobalto. L’organismo non è in grado di produrla, dunque deve essere assunta con la dieta; il problema è che, la vitamina così com’è, non può essere assorbita dall’uomo. Normalmente, la vitamina B12 è associata a delle proteine e, quindi, per essere assimilata deve essere staccata da queste proteine. L’organo che si occupa di digerire le proteine nel sistema digerente è (prevalentemente) lo stomaco; per cui, una delle cause che può provocare la carenza di questa molecola è l’assunzione cronica di inibitori dell’acido gastrico (antiacidi), poiché la digestione delle proteine viene compromessa e la liberazione di questo fattore diventa meno efficiente. Tuttavia, lo stomaco produce un fattore intrinseco, senza il quale non è possibile assorbire questa vitamina. 19 Un altro organo che non può rimanere senza ossigeno è il cuore e quindi se si ha un’ipossia acuta si hanno dei danni cardiaci (necrosi disseminata). Anche il fegato è sensibile all’ipossia che in particolar modo colpisce i lobuli che, alle estremità hanno le arterie e la vena porta, mentre al centro la vena centrolobulare che è la parte meno ossigenata e intorno alla quale il danno da ippossia si sviluppa. Nel momento in cui si ha ipossia quando l’ossigeno torna ad arrivare tutto in una volta, si può assistere ad una riperfusione improvvisa e rapida che può provocare il danno da riperfusione, che può essere peggiore del danno dovuto ad ipossia stessa. Il danno da riperfusione provoca stress ossidativo delle molecole. -> SQUILIBRI DEL CALCIO Il Ca2+ è uno ione estremamente importante perché è coinvolto in molti processi cellulari; il calcio viene assorbito a livello intestinale e eliminato, se in eccesso, dal rene o dell’intestino. In parte però, viene accumulato nelle ossa. La prima cosa che accade, quando si ha un eccesso, è la variazione del potenziale cardiaco (basato sugli influssi di Ca2+) che diventa troppo lungo e, il che, causa aritmia estremamente pericolosa. Se il calcio aumenta leggermente, può provocare, per esempio, calcoli a livello renale, o problemi a vari organi; ad esempio, nella ghiandola pineale si possono formare delle calcificazioni locali (corpora arenacea), che non hanno però, ripercussioni sul funzionamento della ghiandola. Il calcio viene sregolato non tanto per carenze nutrizionali, quanto più per carenze ormonali. Gli ormoni che regolano il metabolismo del calcio sono: il paratormone, prodotto dalle paratiroidi; la vitamina D, prodotto quando esposti al sole; la calcitonina, prodotta dalla tiroide, che regola concentrazione di calcio, con ruolo secondario. -> SQUILIBRI DEL SODIO, POTASSIO E CLORO Il calcio è il più importante degli ioni siccome è il principale componente delle ossa, sia perché impiegato nella contrazione muscolare, le trasmissioni sinaptiche, ecc. Tuttavia, anche sodio, potassio e cloro possono provocare anomalie sia a livello genetico, che a livello ormonale. I disturbi del metabolismo di questi tre elettroliti dipendono dal funzionamento dei trasportatori (canali ionici), che si trovano nelle varie cellule, oppure dagli ormoni che ne regolano la quantità nel sangue. Un esempio di questi disturbi è la fibrosi cistica, una patologia genetica, che causa l’alterazione del canale ionico deputato al trasporto del cloro, espresso nel tessuto epiteliale, soprattutto in quello delle mucose. In questa patologia, il passaggio di cloro è compromesso, poiché accoppiato al trasporto di acqua. La conseguenza è che, i secreti delle mucose, sono estremamente densi perché non viene secreta abbastanza acqua e questo provoca problemi gravi in quanto non permette di espellere patogeni in modo ottimale a livello respiratorio, e non permette l’ottimale scorrimento delle sostanze nel tubo digerente. Anche nel pancreas, si osserva un addensamento della secrezione esocrina. In generale, quindi, ogni ghiandola fatica ad espellere il secreto e quindi tutto l’organismo risente dell’alterazione di un solo canale ionico. -> SQUILIBRI DEL FERRO 20 Un enorme deposito di ferro è rappresentato dal sangue. Nel momento in cui si ha un problema emolitico (un’elevata quantità di globuli rossi vengono distrutti), è possibile depositare il ferro proveniente dalla degradazione del gruppo eme dell’emoglobina, nel fegato, dove i macrofagi sono specializzati a catturare il ferro libero. -> SQUILIBRI DEL RAME La quantità di rame è inferiore rispetto a quella del ferro; in caso di eccesso di rame, i danni sono a carico del fegato, perché viene trasferito nella bile; secondariamente provoca anche danni al sistema nervoso centrale. ACCUMULO Nel momento in cui ho un problema a carico di un enzima, di un trasportatore o di una proteina, si può avere l’accumulo di sostanze, che può essere sia intracellulare che extracellulare, sia innocuo che tossico. Le sostanze che si possono accumulare sono sia esogene che endogene; per esempio, nella silicosi si ha un accumulo di particelle esogene nei polmoni, mentre possono essere endogene quando vengono prodotte dall’organismo e si accumulano in qualche cellula. Perché si accumulano le sostanze? Le sostanze si accumulano perché: - i sistemi di rimozione non funzionano come dovrebbero; - una proteina ha un’alterazione nella sequenza di codifica, che la rende più propensa ad accumularsi in una specifica zona - un’alterazione, che non è genetica, provoca una modifica della forma della proteina. Queste alterazioni fanno parte di una categoria di patologie che prendono il nome di amiloidosi, in cui le proteine non hanno la forma che dovrebbero avere, possono essere mutate, o possono essere normali ma in condizioni particolari modificano il loro ripiegamento in modo tale da precipitare e aggregarsi tra di loro. L’accumulo può essere reversibile o irreversibile (quando manca il fattore che dovrebbe eliminare una certa sostanza). Le sostanze possono essere accumulate nelle cellule, o attorno alle cellule, per cui bisogna capire come normalmente le cellule le eliminino: si parla di catabolismo per indicare il metabolismo che si occupa di degradare le molecole; questo di divide in due branche principali: ● degradazione lisosomiale: nella cellula ci sono i lisosomi che contengono enzimi in grado di scindere le molecole; essi normalmente stanno all’interno della cellula e quando una cellula internalizza qualcosa attraverso la fusione con il fagosoma avviene la degradazione e i prodotti di questa possono restare nella cellula o essere buttati fuori. Fagosoma e lisosoma servono anche per degradare parti della cellula, in quella che viene chiamata autofagia (capacità della cellula di degradare sé stessa); ● degradazione mediante proteasoma: per le proteine si sfrutta un’altra via, localizzata al citoplasma e che sfrutta il proteasoma, un organello non rivestito da membrana (aggregato di proteine); il proteasoma srotola le proteine (in genere citoplasmatiche) e stacca gli amminoacidi per riciclarli. Le proteine prodotte a livello del reticolo endoplasmatico, se hanno dei problemi di dimensione o di senescenza, danno una risposta chiamata unfolded protein response, che porta allo stress del reticolo (indice che la cellula deve morire). Se qualcosa in questo processo catabolico non funziona, si hanno patologie da accumulo intracellulare: 21 - i lisosomi non riescono a degradare qualche sostanza e si ha una malattia da accumulo lisosomiale: sono malattie genetiche perché, nei lisosomi degli individui malati, manca un enzima; - l’iperproduzione a livello lipidico causa accumulo di goccioline di acidi grassi (comune nel fegato); - le proteine vengono prodotte in una conformazione alterata e non vengono dirette al proteasoma, ma si aggregano senza possibilità di essere mobilitate; - Ingresso nella cellula di qualcosa che non può essere eliminato o distrutto; -> MALATTIE LISOSOMIALI Lisosomi I lisosomi sono organelli di dimensioni limitate, che servono per digerire svariate sostanze; essi devono quindi avere delle proteine che permettano di fondersi con un’altra vescicola (fagosoma) e che prendono il nome di SNARE. I lisosomi lavorano a pH acido perché all’interno c’è una concentrazione di protoni più acida che all’esterno; il pH è di circa 4-5 e questo richiede una pompa protonica ATPasica che permette di portare protoni all’interno. All’interno del lisosoma sono presenti dei nucleotidi, aminoacidi e zuccheri che mi servono poi per fare uscire le sostanze agendo da trasportatori e indispensabili alla degradazione. Gli enzimi, in particolare, vengono diretti al lisosoma in quanto legano il mannosio-6-fosfato, che viene aggiunto nell’apparato di Golgi; se questo viene attaccato in modo anomalo, gli enzimi finiscono altrove ed è come se non ci fossero. Le patologie da accumulo lisosomiali sono quasi tutte malattie neuromotorie, perché la maggior parte delle molecole che vengono continuamente degradate si trovano a livello del SNC. Anche il tessuto ematopoietico è molto colpito, con conseguenti problemi nella produzione delle cellule del sangue; questi problemi nascono dal fatto che, i lisosomi, continuano ad accumulare sostanze e ad un certo punto causano lo scoppio della cellula perché non può più portare avanti il suo metabolismo. -> ACCUMULO DI PROTEINE Oltre al problema a carico dei lisosomi, esistono anche problemi a carico dell’accumulo di proteine. Le proteine si accumulano per vari motivi a seconda delle regioni dell’organismo: perché presenti in concentrazione troppo elevata o perchè si ha un’iperproduzione o perchè in seguito ad aggregazione si generano delle anomalie. Una di queste proteine è quella responsabile della Corea di Huntington, l’huntingtina; essa ha un gain of function tossico, cioè diventa tossica producendo una coda che si aggrega alle proteine e potendo venir rimossa provoca disfunzioni cellulari. -> TOSSICITA’ DELLE PROTEINE POLI-Q Una delle conseguenze che possono avere i disturbi poli-Q, è che il proteasoma non funziona più, in quanto i repeat poli-Q riescono a bloccare il sistema di degradazione delle proteine; alla cellula, quindi, non resta che affidarsi ai lisosomi e ai fagosomi per riuscire a riciclare le sue componenti. In questo modo si sballa il catabolismo cellulare. -> AMILOIDOSI 24 A mano a mano che vengono tolti i trigliceridi rimane una lipoproteina a bassa densità, “il colesterolo cattivo”, che contiene la apoproteina B100 e che viene utilizzata dalle membrane plasmatiche, quindi da tutte le cellule, ma soprattutto dal fegato per produrre i sali biliari e dalle ghiandole endocrine (gonadi e surreni) per produrre gli ormoni a base di steroidi. Il colesterolo viene recuperato mediante endocitosi mediata da recettori che si trovano sulla membrana cellulare e sono specifici per le LDL che legano la ApoB(B100). Sulla membrana, in prossimità di questi recettori, vi è una proteina chiamata clatrina che, nel momento in cui i recettori legano il loro ligando costruisce una sorta di gabbia attorno alla membrana, stacca la vescicola e la fa entrare a livello del citoplasma. La vescicola, chiamata vescicola rivestita, entra nel sistema endolisosomiale della cellula e libera il colesterolo (oltre agli amminoacidi). Il colesterolo serve in parte per costruire membrane cellulari, in parte viene depositato sotto forma di estere e in parte viene rimpacchettato in VLDL per rimandarlo in circolo. Un aumento di colesterolo assunto con la dieta inibisce gli ormoni che lo sintetizzano; allo stesso modo la presenza in grande quantità di colesterolo inibisce anche la produzione del recettore per il suo recupero a livello del sangue. ● IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE Il recettore delle LDL è uno dei geni con più mutazioni (sono note più di 2000 mutazioni tra inserzioni, delezioni, mutazione nonsense e missenso). Questa classe di mutazioni del gene del recettore delle LDL rientra nelle ipercolesterolemie familiari. Nel momento in cui questo non recettore funziona come dovrebbe o addirittura non c’è, il colesterolo rimane in circolo e ciò non va bene in quanto un suo accumulo è dannoso. Queste mutazioni possono modificare la produzione del recettore, il trasferimento alla membrana, la capacità di legare le LDL, l’internalizzazione, etc. e se il recettore non è adeguato il metabolismo del colesterolo diventa sregolato e quindi si ha in circolo una quantità maggiore di LDL. Il colesterolo può accumularsi principalmente perché i lisosomi negli adipociti non sono in grado di smontare gli LDL. A livello extracellulare, invece, il caso più frequente di accumulo di colesterolo si ha quando si sviluppano i calcoli biliari nella cistifellea: infatti, la bile è piena di pigmenti biliari (derivati del colesterolo) e colesterolo vero e proprio che possono accumularsi dando formazione di concrezioni che precipitano. Questa condizione può diventare molto grave nel momento in cui si mettono di traverso nel dotto che viene dal fegato e provocano una compressione con conseguente sofferenza delle cellule. Il caso più preoccupante di accumulo di colesterolo è l’accumulo di cellule schiumose, chiamate così poiché hanno una forma con diverse bollicine interne; sono cellule appartenenti a due differenti categorie: i macrofagi e le cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni che accumulandosi formano le masse ateromatose all’interno dei vasi che nel tessuto connettivo sono chiamati xantomi in quanto sono masse pigmentate (colore giallo). Altri lipidi Gli altri lipidi si accumulano in condizioni diverse; i fosfolipidi, dato che formano normalmente dei doppi strati, quando si accumulano non formano goccioline ma una serie di strati a cipolla dette figure mieliniche, in quanto ricordano la mielina e la serie di suoi avvolgimenti attorno all’assone e hanno lo stesso aspetto in sezione della mielina I trigliceridi si possono accumulare in condizioni fisiologiche, principalmente nelle cellule dello strato adiposo, ma, in condizioni patologiche, in tutti i tessuti formando delle goccioline. ● STEATOSI L’accumulo di trigliceridi, chiamato steatosi, è comune a livello epatico (fabbrica chimica dei lipidi) e può essere dovuto a diverse cause; la forma più nota è quella alcolica, poi c’è la 25 steatosi tossica e quella epatica non alcolica che è una delle cosiddette malattie dello stile di vita perché può essere correlata a una nutrizione alterata, obesità o diabete. Perché nel fegato è così comune la steatosi? Nel fegato la steatosi è molto comune in quanto questo organo si occupa di prendere i lipidi che vengono dall’intestino attraverso il sistema linfatico e li impacchetta in base alle esigenze dell’organismo. Se non ce ne sono abbastanza li produce mentre se ce ne sono troppi li distrugge mediante ossidazione (dopo averli esterificati vengono o rimessi in circolo o stoccati nelle cellule sotto forma di goccioline). Al fegato i lipidi arrivano o dall’interno (in quanto è in grado di produrre lipidi), dai chilomicroni dell’intestino o dal tessuto adiposo che rilascia acidi grassi. A livello epatico, il processo di lipogenesi può aumentare in seguito ad un’elevata glicemia, in quanto i lipidi sono, a parità di peso e volume, più efficienti come deposito rispetto al glicogeno che viene infatti convertito in acidi grassi. Steatosi alcolica L’etanolo è utilizzato come fonte di energia e quindi a livello epatico deve essere convertito in acido acetico in modo da dare acetil-coenzima A. L’etanolo deve quindi venire ossidato utilizzando: - quattro diversi microsomi, utilizzando il citocromo P - i mitocondri - i perossisomi. Queste tre vie di ossidazione di etanolo non sono un problema se è poco; se però l’etanolo è tanto si comincia a saturare la capacità riducente-ossidante del fegato. Steatosi epatica Se l’etanolo viene ossidato tanto non è più possibile ossidare altri acidi grassi; infatti se il fegato è occupato ad ossidare l’etanolo ad acetaldeide e poi acido acetico, non ha più abbastanza potere ossidante per ossidare gli acidi grassi che non possono più essere utilizzati come fonte di energia. A questo punto, quindi, se sono tanti vengono messi in circolo inducendo problemi di iperglicemia, o vengono accumulati inducendo problemi di steatosi. Nel fegato principalmente gli acidi grassi vengono accumulati aspettando che vengano utilizzati. Si genera quindi un danno acuto da steatosi epatica moderata e reversibile che può però evolvere in caso di un problema cronico, causando danni irreversibili. Steatosi epatica tossica Il problema di non riuscire a ossidare più gli acidi grassi può essere causato anche da una serie di altre condizioni, una di queste è la steatosi tossica. La sostanza più nota per dare questo problema è il tetracloruro di carbonio, sostanza metabolizzata anch’essa nel fegato attraverso le stesse vie che servono per ossidare gli acidi grassi. Anche in questo caso, qualora non si ha più possibilità di produrre energia dagli acidi grassi, questi si accumulano inducendo steatosi. Un ruolo importante nell’insorgenza della steatosi è la catalasi (utilizzata nel metabolismo dell’etanolo e per convertire l’acqua ossigenata in acqua e ossigeno), un enzima che se saturato induce un aumento di possibilità di danno ossidativo avendo acqua ossigenata in eccesso che può perossidare i vari contenuti della cellula, inclusi i lipidi, dando danno di membrana. Tuttavia la maggiore criticità si ha non nel caso di danni alle membrane plasmatiche, quanto agli epatociti; se si danneggia il RER di conseguenza si hanno problemi di sintesi proteica e quindi si manifesta un danno da stress del reticolo endoplasmatico in quanto le cellule hanno segnali che inducono a continuare la sintesi proteica, ma il reticolo è danneggiato e quindi la cellula viene indirizzata verso la morte cellulare. Steatosi epatica non alcolica (NASH) 26 Correlata a condizioni metaboliche, come per esempio il diabete mellito di tipo II, può insorgere una disbiosi intestinale dovuta ad alterazioni della dieta o del metabolismo della bile che inducono una serie di reazioni responsabili di danno cellulare e incapacità delle cellule di utilizzare gli acidi grassi. Negli epatociti del fegato comincia quindi a formarsi un’infiltrazione di goccioline di grasso sino ad arrivare ad una steatosi conclamata quando le cellule sono piene (ballooning) a tal punto da sembrare adipociti. Questo danno induce il richiamo delle cellule del sistema immunitario che però peggiorano la situazione in quanto molte cellule muoiono, altre non crescono come dovrebbero e quindi l’organismo per compensare le sostituisce con delle fibre. Questa condizione si chiama fibrosi ed è pericolosa in quanto esaurisce lo spazio per far ricrescere le cellule. Per cui, quando il fegato inizia ad avere la fibrosi entra in una condizione patologica in quanto non ha più un lobulo funzionante. La fibrosi poi nei casi peggiori evolve nella cirrosi in cui le cellule epatiche vengono sostituite con tessuto cicatriziale. La condizione infiammatoria e fibrotica porta a predisposizione ad oncogenesi in fegato. -> ACCUMULO DI GLUCIDI L’accumulo di glucosio nel sangue è un problema di accumulo a livello sistemico che caratterizza i diabeti melliti. Il diabete mellito è un gruppo di disordini caratterizzato da una mancata secrezione o risposta all’ormone insulina che causano iperglicemia. Per avere diabete conclamato la glicemia deve essere maggiore di 120mg/100cc di sangue. Diabete mellito Una quantità elevata di glucosio nel sangue può essere dovuta a vari motivi e può indurre la formazione di prodotti di glicazione, ossia residui attaccati all’emoglobina. Il diabete mellito è correlato ad un malfunzionamento dell’insulina, un ormone che nei tessuti è utile per l’anabolismo; essa è prodotta nelle isole di Langherans del pancreas dove si trovano diversi tipi di cellule: le cellule beta che producono insulina e altre cellule producono il glucagone (suo antagonista), la somatostatina e vari altri ormoni peptidici. L’insulina viene prodotta a livello post prandiale (quando la glicemia si alza) e viene distrutta quando non ce n’è più bisogno. La produzione di insulina da parte delle cellule beta è associata ad un trasportatore di glucosio insulina-insensibile, il GLUT-2. Quando il glucosio è alto entra nelle cellule, aumenta la produzione di ATP e favorisce la chiusura del canale del potassio. La cellula si depolarizza e induce l’apertura di un canale del calcio con rilascio dell’insulina nelle sinapsi. Questo meccanismo viene attivato quando il glucosio è alto mentre quando il glucosio è basso l’insulina non viene rilasciata poiché non viene attivato questo meccanismo a feedback negativo autoregolatorio. DIABETE MELLITO DI TIPO I: tra le condizioni patologiche in questo ambito il caso più chiaro è il diabete mellito di tipo I, un diabete giovanile molto spesso immuno-mediato. Questo insorge in età pediatrica in seguito ad un attacco autoimmune alle cellule beta delle isole del pancreas da parte del sistema immunitario. Questo diabete è trattato con l’iniezione dell’insulina ed è caratterizzato da un calo progressivo nei livelli di insulina (in quanto c’è un periodo di transizione in cui le cellule beta vengono distrutte). Di fronte ad un disturbo di questo tipo il problema principale è la crisi di chetoacidosi: in assenza di insulina esogena il glucosio non viene utilizzato e quindi si ha una fortissima ipoglicemia. In questa patologia autoimmune c’è una componente genetica associata al gruppo MHC di classe II che è una delle proteine che chiama le cellule del sistema immunitario; quindi una 1 16/11/2021 Patologia e fisiologia dei processi cellulari Nella cellula esistono una serie di processi che devono avvenire con un dato equilibrio altrimenti è possibile l'insorgenza di un danno a livello cellulare. Di fronte a questa situazione la cellula può adattarsi oppure può essere danneggiata, se non è in grado di adattarsi. Se la cellula viene danneggiata può mettere a punto dei meccanismi per cercare di tornare sana: se il danno viene risolto si parla di danno reversibile; se il danno continua a progredire di irreversibile e alla lunga porta a morte cellulare. Il danno può essere di diverso tipo fisico, chimico, genetico, autoimmune che provoca dei cambiamenti biochimici e strutturali a cui la cellula, il tessuto e l’organismo cercano di adattarsi; se tutto ciò non funziona s’instaura uno stato di malattia. Nel momento in cui una cellula è sana riceve una serie di stimoli. Gli stimoli dannosi possono essere: - stimoli fisiologici disregolati che inducono mancanza o l’eccesso di qualche sostanza normalmente presente; - stimoli esterni che non sono normalmente presenti. In entrambi i casi la cellula dà delle risposte adattative. La cellula può dare iperplasia, ipertrofia, ipotrofia o atrofia, metaplasia oppure una serie di risposte all’ipossia. Se riesce a dare una di queste risposte torna tutto a posto altrimenti si ha una lesione che può essere reversibile se la cellula riesce a mettere in atto altre risposte oppure irreversibile e in questo caso si ha la morte di diverse cellule. COSA SI PUO’ DANNEGGIARE NELLE CELLULE? Nelle cellule il danno può dare diverse conseguenze: danneggiare la respirazione cellulare, la sintesi proteica, l’integrità del genoma e delle membrane cellulari. In un tessuto le cellule ricevono dei segnali che gli dicono se devono crescere, proliferare, morire o se devono differenziarsi; condizioni di stress modificano questi segnali e quindi inducono le cellule a differenziarsi in un modo piuttosto che in un altro. RISPOSTE ADATTATIVE Ipertrofia: la si può avere in un muscolo quando il carico di lavoro a cui è sottoposto è troppo intenso perché il muscolo riesca a fare sforzo sufficiente. In genere le cellule muscolari sia a livello cardiaco che a livello scheletrico crescono di dimensioni in modo da resistere al danno; questo processo può essere adattativo ma anche patologico. Iperplasia: è l’aumento del numero di cellule che si può avere in seguito a un danno. Per esempio, rimossa una parte del fegato, la parte rimanente inizia a proliferare per ricostituire l’organo com’era in precedenza. Un caso in cui si ha sia iperplasia che ipertrofia è durante la gravidanza a carico dell’utero in quanto le cellule dell’utero aumentano sia in volume che in numero. Atrofia: nel momento in cui non si ha l’utilizzo di una parte del corpo (organo/tessuto) diminuiscono le dimensioni delle cellule (es. i muscoli degli arti dopo essere stati ingessati a lungo sono molto più piccoli). Metaplasia: è una trasformazione di un tipo cellulare in un altro; ne esistono due tipi: trasformazione dell’epitelio bronchiale da colonnare monostratificato in epitelio squamoso pluristratificato (nei fumatori); l’esofago di Barrett, in cui alla fine dell’esofago la struttura cambia al contrario, ossia se normalmente si ha epitelio pavimentoso pluristratificato in seguito ad un continuo reflusso gastro-esofageo, la mucosa dell’esofago diventa uguale a quella dello stomaco, quindi colonnare monostratificata, per resistere agli acidi gastrici. La metaplasia è 2 un adattamento: nel caso dell’esofago di Barrett serve a resistere meglio al continuo reflusso di acido, nel caso dei bronchi dei fumatori serve ad avere meno irritazione dal fumo. Alla lunga la metaplasia predispone a disturbi della proliferazione cellulare: le cellule iniziano a cambiare identità e possono diventare pericolose a tal punto che spesso alla metaplasia segue una neoplasia. Risposta all’ipossia: nell’organismo è presente il fattore HIF1alfa, che viene continuamente prodotto e distrutto. In presenza di ossigeno un enzima attacca due ossidrili a questa proteina marcandola e inviandola al proteasoma. Quando l’ossigeno manca questo meccanismo viene spento e HIFalpha si lega a HIFbeta, che è stabile e agisce da fattore di trascrizione; arrivato al nucleo, si lega a sequenze particolari nel DNA e induce la trascrizione. I geni di controllo di HIF1alpha sono diversi, tra cui l’eritropoietina, l’ormone che regola la produzione di globuli rossi a livello renale, e VEGF=fattore di crescita vascolare, che induce la formazione di nuovi vasi sanguigni; pertanto, se manca ossigeno a livello di una cellula si è anemici oppure localmente non si ha perfusione in seguito a compormissione dei vasi sanguigni. Tutte queste sono le prime risposte messe in atto, poi comincia il danno cellulare o dell’organo che cominciano come alterazione biochimica, quindi non è riscontrabile macroscopicamente in un primo momento. In clinica, quindi, la prima cosa che si osserva è una perdita della funzione e una serie di alterazioni biochimiche che possono venire usate come iniziatori precoci. Ad esempio, essendo presenti a livello epatico o cardiaco una serie di enzimi che si trovano all’interno delle cellule, quando queste vengono compromesse gli enzimi vengono liberati nel sangue e quindi è possibile fare un test per questi marcatori genetici. Dopo le alterazioni biochimiche si cominciano ad avere cambiamenti ultrastrutturali e le cellule cominciano ad accumulare inclusioni lipidiche. L’ultima cosa che si verifica sono i cambiamenti morfologici macroscopici. Esempio di risposta adattativa al danno: il fegato Essendo che il fegato ha un sistema portale che assorbe la maggior parte della circolazione, nel momento in cui si ha un danno epatico si sviluppa ipertensione portale e quindi tutto quello che passerebbe dalla porta cerca di costruirsi delle altre vie di passaggio. Si ha, pertanto, una neovascolarizzazione estremamente aberrante e importante. Questo è evidente nel fatto che uno dei segni più evidenti della cirrosi allo stadio avanzato è quello che viene chiamato caput medusae (la testa di medusa), perché ci sono questi vasi venosi estremamente contorti che si vedono in superficie in parete addominale. Altra problematica correlata alla cirrosi sono le emorroidi in quanto ciò che non passa per il sistema portale passa per il plesso emorroidale e quindi la parete dei vasi viene messa sotto pressione. Le risposte cellulari al danno possono essere: - adattative: non ci sono lesioni cellulari vere e proprie; - reversibili: sono presenti delle lesioni ma la cellula riesce a recuperare la sua integrità; - irreversibili: sono presenti delle lesioni non riparabili e viene indotta la morte cellulare. 3 Il danno cellulare può derivare da ischemia, ovvero mancanza di perfusione sanguigna, oppure da un danno da radicali liberi oppure da un danno immunitario. Il danno può toccare il genoma, i meccanismi di sintesi e metabolismo delle proteine, la respirazione cellulare (ovvero mitocondri) o l’integrità delle membrane cellulari. Tutti questi sistemi hanno un ruolo essenziale nel determinare il punto di non ritorno della cellula che può morire o riuscire a recuperare l’integrità. Se si hanno alterazioni a carico del genoma (DNA) le alterazioni possono riguardare gli acidi nucleici e queste, essendo evidenti quando la cellula si riproduce, sono maggiormente importanti in tessuti che si riproducono rapidamente. Esistono meccanismi in cui, se viene replicato il DNA in modo non corretto, bloccano il ciclo cellulare oppure inducono la morte cellulare se l’integrità cellulare è troppo compromessa e quindi i meccanismi di riparazione non possono essere efficaci. In caso di ischemia invece viene indotta l’ipossia (scarsità di ossigeno) e questo a livello cellulare causa: - attivazione dei fattori sensibili a questa condizione; - scarsità di ATP in quanto il mitocondrio non riesce a lavorare in maniera adeguata; - processi a cascata che innescano o meccanismi di adattamento o la morte cellulare. RISPOSTA CELLULARE AL DANNO In generale, se si ha un danno cellulare, si induce: • rigonfiamento della cellula e degli organelli; • formazione di vescicole sulla membrana (blebbing); • rigonfiamento delle membrane cellulare e quindi, in seguito ad un cambiamento strutturale del reticolo endoplasmatico, i ribosomi si staccano e la sintesi proteica viene compromessa; • rigonfiamento dei mitocondri e conseguente calo della produzione di ATP; la cellula si affida alla glicolisi citoplasmatica per ottenere energia e questo induce l’abbassamento del pH cellulare; • variando il pH si ha un addensamento del nucleo. • accumulo gocciole lipidiche a livello epatico se mancano i fattori per l’ossidazione (nel fegato). -> Pompe ioniche Nel momento in cui viene inibita la produzione di ATP, le prime strutture a risentirne sono le pompe ioniche che, consumando molta energia regolano i gradienti ionici all’interno della cellula; la sola pompa sodio-potassio consuma un terzo dell’energia introdotta nell’organismo. A provocare i maggiori danni cellulari però è il cloro, uno ione privo di pompa che viene trasportato mediante un trasporto passivo (co-trasporto) regolato da sodio e potassio; pertanto, danni alla pompa sodio-potassio, alterano il co-trasporto del cloro. Inoltre, essendo che il cloro può subire co-trasporto mediante il bicarbonato, uno dei principali regolatori del pH, uno squilibrio nella concentrazione di questo ione cambia il pH di tutta la cellula. Ca2+ e danno cellulare La disregolazione dei meccanismi di trasporto di membrana, e quindi la carenza di ATP, causa anche accumulo di calcio nella cellula, la cui concentrazione intracellulare deve rimanere bassa; se la concentrazione aumenta si hanno 2 conseguenze: - se l’aumento è prolungato si attivano enzimi calcio-dipendenti (fosfo-lipasi, proteasi, nucleasi ecc.) che distruggono tutte le componenti cellulari (macromolecole) inducendo un'azione citotossica (è il modo in cui muoiono i neuroni); 6 (interviene nell’effetto Warburg che consente alle cellule tumorali di sopravvivere in condizioni ipossiche). I due complessi vengono regolati da sensori che rilevano i vari segnali come la quantità di amminoacidi (Rag A/B o Rag C/D), di ossigeno (REDD) ecc. Una volta metabolizzato il segnale i recettori dei fattori di crescita inducono delle cascate di segnali che dicono alla cellula che cosa deve fare. Se tutto questo meccanismo non avviene correttamente si sviluppano dei danni a livello cellulare e se questo procede al di là di quello che la cellula riesce ad aggiustare, la cellula va incontro alla morte. MORTE CELLULARE La morte cellulare può avvenire in due modi, che danno risultati uguali (appunto la morte) ma mediante processi differenti: - necrosi: morte cellulare accidentale - apoptosi: morte cellulare programmata Esistono anche delle varianti di questi processi. Necrosi La necrosi è un insieme di fenomeni che si verificano dopo che la cellula è morta. A livello sistemico se si ha necrosi importante a carico di un organo le reazioni principali sono la febbre e il dolore; A livello sistemico quello che accade è che il tessuto viene infiltrato dal sistema immunitario, le cellule si sfaldano e i contenuti cellulari raggiungono il torrente circolatorio; pertanto, per identificare una patologia importanti si possono riconoscere nel sangue gli enzimi di un determinato tessuto. es. nel momento in cui si ha un infarto (occlusione della coronaria che causa ischemia nel muscolo cardiaco), si riconoscono enzimi come la creatina chinasi o la troponina che in genere si trovano nelle cellule muscolari cardiache che vengono rilasciati quando la cellula muore. 7 La morte cellulare non è immediata; la morte cellulare comincia dopo due ore dall’insorgenza di una condizione di ischemia e sono richieste 24 ore prima che la parete vada totalmente in necrosi. Più il tempo passa, se l’occlusione persiste, il danno si estende. Nel caso di danno al fegato si hanno le transaminasi che in genere sono presenti negli epatociti. Nel caso di danno al pancreas esocrino si ha amilasi pancreatica a livello del torrente circolatorio. Questo processo permette di identificare precocemente un danno ed è utile per evitare che questo progredisca. A livello cellulare, le cellule necrotiche perdono l’RNA che viene degradato e le proteine si accumulano e diventano ipereosinofile (il tessuto diventa molto rosa); pertanto mediante tecnica di colorazione ematossilina-eosina in cui l’ematossilina colora di rosa le proteine e l’eosina di viola gli acidi nucleici, prevale il colore rosa, nonostante il tessuto sia bucherellato in quanto tra i coaguli di proteine si trovano: - i vacuoli, ovvero i lisosomi che cominciano la degradazione; - le figure mieliniche, ovvero accumuli di lipidi che derivano dalla degradazione della membrana - le calcificazioni dovute alla presenza eccessiva di calcio. A livello del nucleo si possono riconoscere le seguenti alterazioni: - cariolisi, ovvero schiarimento della cromatina per degradazione del DNA - picnosi, ovvero un addensamento del nucleo che forma la figura picnotica quando è compattato e molto scuro. - carioressi, ovvero la frammentazione del nucleo a cui segue la sua perdita. La cellula perde quindi integrità di membrana e parte del contenuto che viene riversato fuori. Quando si ha un danno alla cellula cala l’ATP, calano le pompe ioniche, la cellula si rigonfia, i ribosomi si staccano, i mitocondri non funzionano più bene e passano alla glicolisi, si abbassa dunque il pH che condensa la cromatina (picnosi). Fino a qui il danno è reversibile e la cellula, finché può, cerca di tornare alla normalità; il danno diventa irreversibile nel momento in cui la membrana viene degradata in quanto in seguito a stress ossidativo vengono prodotte delle specie reattive dell’ossigeno che degradano i fosfolipidi, danneggiano il citoscheletro e inducono una perdita di forma della cellula con il rilascio intracellulare gli enzimi lisosomiali. La cellula può degenerare in diversi modi: Pattern di necrosi tissutale -> Necrosi coagulativa La necrosi tissutale dopo ischemia è di tipo coagulativo in quanto le proteine precipitano ma l’architettura del tessuto è preservata e quindi se ne ha una consistenza solida. In questo caso, in seguito a danni ossidativi e a variazioni di pH, anche gli enzimi perdono la loro funzionalità e quindi il tessuto non può più degradarsi perché gli agenti che si occupano di ciò vengono meno. Questo tipo di necrosi richiama un’importante risposta immunitaria; è quindi una risposta iper- immunitaria e infiammatoria. -> Necrosi colliquativa Nel momento in cui si ha un danno che coinvolge il SN si ha una necrosi colliquativa in cui il tessuto è trasformato in un liquido viscoso per digestione cellulare che coinvolge l’impalcatura connettivale. Necrosi di questo tipo la si ha anche in caso di infezione; in questo 8 caso il sistema immunitario induce la produzione di un liquido composto da patogeni, macrofagi ecc. (il pus). -> Necrosi gangrenosa La necrosi gangrenosa interessa una parte del corpo coinvolgendo più tessuti. Essa si distingue in: • umida: in genere infettiva • secca: in genere non infettiva Questa distinzione non è però così rigida. -> Necrosi grassa La necrosi grassa si ha quando in seguito al rilascio di lipasi pancreatiche da parte del pancreas esogeno i lipidi liberati dalle cellule adipose saponificano con gli ioni calcio, producendo accumuli biancastri. -> Necrosi caseosa La necrosi caseosa si osserva nella tubercolosi (caseum: formaggio) e ha un aspetto biancastro e friabile. Lo si osserva a livello polmonare come compresenza di tessuto originario, patogeno e cellule del sistema immunitario. -> Necrosi fibrinoide La necrosi fibrinoide si ha quando il sistema immunitario attacca i vasi sanguigni; le proteine plasmatiche escono dai vasi sanguigni provocando un accumulo locale. Esistono dei casi in cui le cellule devono essere distrutte necessariamente. Guardando la metamorfosi di alcuni animali Lockshin e Williams hanno osservato che esistevano delle cellule che morivano senza causare danno nell'organismo. Questo tipo di morte è stata chiamata apoptosi (dal graco apoptosis = caduta delle foglie). APOPTOSI Nelle cellule apoptotiche si hanno dei meccanismi che dividono la cellula in molti pezzetti impacchettati (che comprendono tutti i contenuti cellulari) in modo da non scatenare una risposta infiammatoria. Ciascuno di questi è rivestito da membrana, la quale viene modificata in modo da esporre gli “eat me signals” (mangiami) che fanno sì che i macrofagi degradino i vari pezzi senza richiamare nulla dell’esterno. L’apoptosi è un processo fisiologico che si verifica sia nell’adulto che durante lo sviluppo embrionale. Nel corpo muoiono circa 1 milione di cellule al secondo. Le cellule maggiormente soggette a questo processo sono quelle del sistema immunitario prodotte dal midollo osseo come i globuli rossi (distrutti dalla milza) e i globuli rossi come linfociti (riconoscono antigeni ben precisi) o globuli bianchi autoreattivi del timo o i neutrofili (eliminati se non trovano patogeni da attaccare). Sono soggette ad apoptosi anche le cellule dell’endometrio. Le cellule, normalmente, muoiono per apoptosi in caso di: - danno al DNA - accumulo di proteine misfolded - cellule tumorali - patologie (ad esempio, nel caso in cui il dotto pancreatico viene ostruito si ha sofferenza cellulare che invia i segnali patologici per mandare le cellule in apoptosi) Il meccanismo di apoptosi viene indotta da: 1) via mitocondriale o intrinseca 2) via di membrana o estrinseca 11 recettori di morte di membrana) ma passa tramite le proteine RIP e RIPK che provocano la morte come la necrosi (con attivazione del sistema immunitario) = necroptosi. - PARTHANATOS In questo caso partiamo da danni diretti al DNA. PAR (poli-adenyl-ribosio) è prodotto dall’enzima PARP: esso rileva i danni al DNA ma invece di usare i nucleotidi per riparare il danno, produce dei polimeri di adenil ribosio (PAR) che escono dal nucleo e danno dei segnali di morte. Questi polimeri vanno al mitocondrio che porterà la cellula alla morte. Viene attivato BAX (sistema dell’apoptosi) e c’è un rilascio di calcio; è una morte a metà tra apoptosi e da danno dal calcio. Questo tipo di morte è tipica se si ha una instabilità genetica; infatti se un cromosoma viene replicato in modo anomalo si ha questo tipo di degenerazione che porta alla morte. - PIROPTOSI È dovuta dalla presenza nella cellula da segnali di pericolo che possono essere derivati batterici, cristalli di acido urico, xenobiotici di vario tipo. Si attiva nella cellula un complesso simile all’apoptosoma, l'inflammasoma che è un complesso con simmetria a 9 che attiva una caspasi, diversa da quella dell’apoptosoma, che non uccide direttamente la cellula ma induce: 1. la trascrizione di una forma matura dell'interleuchina 1 beta (citochina, uno dei principali segnali dell’infiammazione) 2. la produzione delle gasdermine, proteine che formano dei pori nella membrana; sono prodotte dal sistema immunitario. Questo tipo di morte ha dei meccanismi tipici del sistema immunitario; ha come caratteristica quella di far fuoriuscire attraverso pori creati nella membrana il contenuto cellulare e anche le varie citochine pro-infiammatorie. Tipicamente è indotta o da tossici o patogeni. RECETTORI DI MORTE (MA ANCHE NO) La necroptosi parte dai recettori di morte ma ci sono altri meccanismi che possono partire dai recettori di morte (TNF alfa) che causano un’infiammazione cronica della cellula che non implica necessariamente la morte cellulare. - FERROPTOSI 12 È dovuta dall’ossidazione all’interno della cellula da parte delle specie reattive dell’ossigeno che possono venire generate quando c’è un eccessivo accumulo di ferro intracellulare e una riduzione della capacità riducente della cellula nei confronti del ferro (si satura il glutatione). La cellula non ha più capacità di compensazione delle sue specie reattive dell'ossigeno (non ci sono tante specie reattive dell’ossigeno ma la cellula ha minor capacità di eliminarle). È simile alla morte dovuta da un eccesso di specie reattive dell’ossigeno. - NECROSI DA TRANSIZIONE DI PERMEABILIZZAZIONE MITOCONDRIALE I mitocondri hanno una serie di pori che sono simili ai canali dei batteri che mantengono la membrana interna sigillata; essi possono aprirsi in determinate condizioni come lo stress ossidativo. L’apertura di questi canali è responsabile di un tipo di morte cellulare simile a quella che caratterizza le cellule che muoiono in seguito a ischemia e successiva riperfusione (morte dei cardiomiociti). La declina 1 è una proteina molto importante perché oltre a recuperare i mitocondri danneggiati, è implicata nella morte autofagica. La proteina rubicone e la declina cominciano l’autofagia ma se ci sono delle mutazioni o delle alterazioni nella regolazione di queste due proteine il processo comincia ma non finisce: la cellula si riempie di vacuoli autofagici che non riescono a fondersi con i lisosomi, così la cellula muore piena di sostanze che potrebbero venire riutilizzate ma non possono essere usate nè così come sono, perchè gli organelli sono degradati, nè come materiali di costruzione, perchè non sono stati degradati dai lisosomi. PERCHÉ FAR MORIRE LE CELLULE? La morte è necessaria per: 1. limitare la risposta infiammatoria; se le cellule muoiono spontaneamente si attiva la risposta infiammatoria. 2. evitare che la cellula continui a proliferare quando è danneggiata (per evitare oncogenesi). Se una cellula ha un danno a carico del DNA e poi ne subisce altri, quando comincia a proliferare in modo incontrollato può provocare una neoplasia. 1 23/11/2021 Proliferazione cellulare, ciclo cellulare e cancerogenesi PROLIFERAZIONE CELLULARE Nel nostro organismo abbiamo diversi tessuti che si possono classificare in: ● Labili: hanno cellule che continuano a proliferare ● Stabili: le cellule non proliferano a meno che non ce ne sia bisogno, sono in quiescenza (fegato normalmente non prolifera ma se c’è una lesione comincia a proliferare per riparare il danno) ● Perenni: le cellule non hanno più la capacità proliferativa, sono differenziate in modo terminale (neuroni) Anche in un tessuto labile non tutte le cellule sono in grado di proliferare ma ci sono alcune cellule dette staminali che riescono continuamente a riprodursi e che o direttamente o grazie a un precursore di amplificazione danno origine a delle cellule differenziate. La cellula staminale quando si divide deve produrre una cellula staminale e una che poi prende il percorso differenziativo. CELLULE STAMINALI Le cellule staminali si autorinnovano; hanno una divisione quasi sempre asimmetrica per quanto riguarda l’epigenetica: il genoma rimane uguale ma la capacità proliferativa rimane solo in una delle due cellule figlie, mentre l’altra può avere una parziale capacità proliferativa (transit amplifying) e continua a dividersi per un breve periodo per poi dare cellule differenziate oppure può essere direttamente differenziata. Le cellule staminali non danno senescenza (o la danno molto più lentamente di tutte le altre cellule). In ciascun organo ci sono delle nicchie staminali in cui le cellule hanno capacità proliferativa ma vengono differenziate solo in alcuni tipi cellulari (una cellula dell’intestino riesce a produrre tutte le cellule dell’intestino ma non cellule di altri organi a meno che non si decida di cambiargli la natura). -> CELLULE STAMINALI INDOTTE Shinya Yamanaka ha preso dei fibroblasti, li ha sdifferenziati (con un opportuno cocktail di fattori di crescita) ed ha creato delle cellule staminali indotte. Queste cellule staminali sono delle cellule che hanno la capacità di produrre tanti tipi cellulari diversi. I fattori di crescita utilizzati hanno fatto produrre OCT4, SOX2, KLF4 e MYC che sono i fattori di trascrizione che attivano la cellula sdifferenziandola e facendola diventare un precursore di una qualsiasi cellula. Questa tecnica è allo studio perché è utile per patologie tipo: ● Diabete mellito (per rigenerare le cellule beta del pancreas endocrino) ● Capacità di rigenerare i denti (si crea uno scaffold=impalcatura con delle stampanti 3D che usano la matrice decellularizzata come struttura, e si inseriscono le cellule staminali al suo interno per ricreare un dente vero che si integra perfettamente). CICLO CELLULARE Una cellula che si riproduce segue un ciclo cellulare che consta di due fasi: interfase e mitosi. L’interfase è divisa in 3: ● G1 ● S: dove viene duplicato il DNA della cellula ● G2 4 Alle estremità dei cromosomi ci sono delle sequenze che non contengono geni ma sono delle sequenze ripetute e c’è un enzima, la telomerasi, che è una RNA polimerasi DNA-dipendente che produce i frammenti di RNA tali da mantenere la lunghezza del telomero. La telomerasi non è presente in tutte le cellule, è presente nelle cellule della linea germinale in grande quantità (quindi nell’embrione le cellule continuano a rifarsi i telomeri a ogni duplicazione). Nelle cellule staminali, i telomeri si accorciano molto poco mentre nelle altre cellule non c’è la telomerasi quindi a ogni replicazione i telomeri si accorciano. Questo fa sì che quando un telomero si accorcia più di un tot la cellula va incontro a senescenza. Le cellule prelevate da tessuti tumorali, come le HELA (prime cellule tumorali immortalizzate) hanno le telomerasi che fanno sì che ad ogni divisione cellulare si ricreino i telomeri e quindi non vanno incontro a senescenza. FASE G2 In G2 bisogna controllare che i due cromatidi siano uguali e per fare questo ci sono delle proteine chiamate coesine le quali fanno in modo che i cromatidi siano attaccati fino all’inizio della mitosi. Se i cromatidi sono aggrovigliati vengono sgarbugliati dalle proteine topoisomerasi di tipo 2; da G2 a M dopo essersi duplicato il DNA viene messo in file ordinate che poi condensano a formare i cromosomi mitotici. Alla fine di G2 c’è un checkpoint in cui la ciclina B attiva tutto ciò che serve per la mitosi: ● Smantellamento della membrana nucleare ● La formazione del fuso ● L’accoppiamento dei cromosomi ● La frammentazione del Golgi e delle membrane intracellulari Questi eventi avvengono perché le cicline sono accoppiate alle chinasi che compiono il lavoro. Le chinasi sono proteine che fosforilano le varie proteine della cellula e la membrana nucleare si smantella quando vengono fosforilate le proteine dei pori. Controllo cellulare ciclina B La ciclina B è prodotta progressivamente durante la fase G2 e poi viene attivata per fosforilazione all’inizio della mitosi. Quando i cromatidi fratelli si staccano l’uno dall’altro, la ciclina B viene degradata grazie all’azione di APC/C che la manda al proteasoma e la cellula completa la mitosi. CANCEROGENESI Può essere indotta da diversi fattori: chimici, virus oncògeni o attivazione di oncogéni o rimozione di oncosoppressori. -> DEFINIZIONI Quando parliamo di cancro ci si riferisce a: cancro, tumore, neoplasia. - Tumore: è un rigonfiamento; dove si ha un tumore, si ha una risposta infiammatoria; non indica sempre una neoplasia - Neoplasia: nuova crescita di cellule; è un disordine genetico della crescita cellulare che è scatenato da mutazioni acquisite (o ereditate) che interessano una singola cellula e la sua progenie clonale. Tutte le neoplasie derivano da una sola cellula che poi prolifera e le sue cellule figlie mutano a loro volta e si forma il tumore. - Oncologia: scienza che studia le neoplasie - Trasformazione neoplastica: è l’insieme delle alterazioni alle quali un qualsiasi tipo cellulare può andare incontro nella transizione da cellula normale a neoplastica. Tumori benigni e maligni Benigni: rimane localizzato in una zona perché o ha una capsula o rimane confinato, come nel caso degli epiteli, nella membrana basale (non sconfina dal tessuto in cui si è generato). 5 Maligno: è capace di invadere altre strutture limitrofe o distanti. Le cellule tumorali possono rimanere simili e quindi riconoscibili come derivanti da un tessuto particolare oppure possono perdere completamente le caratteristiche di differenziamento del tessuto di origine. Per vedere il tessuto di origine del tumore si possono usare dei marcatori che evidenziano le proteine del citoscheletro. Generalmente dal punto di vista morfologico il tumore presenta la perdita del differenziamento cellulare. Questi cambiamenti sono: metaplasia, displasia, anaplasia, carcinoma in situ METAPLASIA, DISPLASIA, ANAPLASIA, CARCINOMA IN SITU - Metaplasia: è un cambiamento del tipo di organizzazione del tessuto che non è ancora neoplastico (nel polmone il tessuto epiteliale monostratificato diventa pluristratificato). Nella metaplasia c’è ancora un ordine anche se è diverso da quello normale. - Displasia: è una disorganizzazione del tessuto; le cellule non sono più tutte uguali tra di loro: alcune sono più grandi, altre più piccole. Nel caso di una displasia dell'epitelio della mucosa si hanno alcune cellule con attività mitotica anche negli strati più esterni. Il tessuto è alterato ma non è ancora necessariamente in proliferazione eccessiva, non è ancora in grado di uscire dal suo tessuto. - Anaplasia: è quando il tessuto non è più riconoscibile come tessuto differenziato. - Carcinoma in situ: riguarda i tessuti epiteliali; si ha una displasia severa in tutto lo spessore l’epitelio (es. nella cervice uterina) in cui le cellule proliferano in modo aberrante però è ancora localizzato e non ha capacità invasiva. NOMENCLATURA DELLE NEOPLASIE Le neoplasie sono nominate a seconda dell’origine perché la struttura dei tessuti è fondamentalmente bipolare. Ci sono: cellule epiteliali, che determinano un tessuto composto prevalentemente da cellule tutte coese tra di loro con poca matrice, o cellule mesenchimali che carattereizzano tessuti in cui c'è tanta matrice e le cellule sono adese lassamente le une alle altre e hanno una forma affusata. Nell’oncogenesi spesso si ha la trasformazione tra epiteliale e mesenchimale e viceversa ma la nomenclatura dipende dal tessuto sano di partenza. Se ho un tumore di origine epiteliale parlo di carcinoma se è maligno, papilloma o adenoma se è benigno. I melanociti sono derivati dal tessuto nervoso che è più o meno di origine epiteliale però migrano come le cellule mesenchimali. Dal punto di vista di una crescita non maligna parliamo di neo; nel momento in cui i melanociti cominciano a proliferare ho un melanoma. Le neoplasie di origine mesenchimale dipendono dal tessuto di origine ovvero se si ha una neoplasia maligna nella maggior parte dei casi si parla di sarcoma: condrosarcoma (se deriva da cartilagine), liposarcoma (se deriva da tessuto adiposo), fibrosarcoma (se deriva dai fibroblasti), oppure -oma + il nome del tessuto di origine. I mielomi derivano dalla linea mieloide del midollo osseo e si parla di linfomi o leucemie. Il meningioma che riguarda l’involucro esterno del sistema nervoso. A livello del tessuto nervoso le cellule gliali proliferano provocando gliomi o glioblastomi che sono classificati in ordine di invasività. PROGRESSIONE TUMORALE Cosa devono fare le cellule tumorali per progredire fino a diventare una neoplasia? 6 ● Devono avvenire dei danni al DNA e non devono essere riparati ● Bisogna avere un’alterazione del controllo dell’apoptosi ● Deve esserci una sregolazione del ciclo cellulare Si ha quindi quando una cellula danneggiata non muore e continua a proliferare espandendosi. Questa cellula ha un’espansione clonale e per sopravvivere deve: 1. mangiare 2. saper dare angiogenesi (richiamare vasi sanguigni); se non li può fare il tumore si autolimita perché non ha abbastanza nutrimento 3. non essere riconosciuto dal SI; se il tumore cresce più di un tot ha delle caratteristiche aberranti che lo fanno riconoscere dal sistema immunitario come “non normale” e le cellule del sistema immunitario attaccano le cellule tumorali. Il caso peggiore dell’oncogenesi è la capacità di metastatizzare e di attaccare altri organi. HALLMARKS OF CANCER Hallmarks of cancer sono tutte quelle caratteristiche del cancro. Questi sono tutti quei meccanismi che consentono alle cellule del tumore di proliferare e non venire distrutte dall’organismo. Ognuno di questi meccanismi è o sta venendo chiarito a livello molecolare; per esempio capendo come fa il tumore a richiamare i vasi sanguigni, somministrando un inibitore di questo fattore il tumore non riesce a ottenere il nutrimento e muore da solo. Se si riesce a far sì che il sistema immunitario veda il tumore esso distrugge autonomamente il cancro. Tutti questi meccanismi possono venire sfruttati dal punto di vista farmacologico per creare delle nuove cure. 3 Negli anni 20-30 del 900 Thomas Lewis notò che, non solo le cellule avevano un'attività propria, ma c’erano anche una serie di sostanze che regolavano gli elementi vascolari e le varie fasi dell’infiammazione. Lewis osservò quella che viene chiamata “risposta triplice”; per comprendere ciò si può prendere un oggetto appuntito e strisciarlo sulla pelle: - la prima cosa che si vede è una riga che diventa bianca perchè si sono compressi i vasi sanguigni sottostanti; - poi si ha una reazione a questa compressione poiché i capillari subito dopo essere stati schiacciati si dilatano per reazione con un rilascio di NO come mediatore; i capillari dilatati provocano la linea rossa; - subito dopo si ha una piccola risposta infiammatoria che si espande: attorno alla linea rossa nel giro di un minuto si rigonfia la zona. Il motivo sta nel fatto che i capillari non solo fanno passare più sangue perché si dilata la muscolatura liscia, ma c’è un'apertura delle cellule dell’endotelio che staccandosi le une dalle altre lasciano passare maggiormente la componente senza proteine del plasma verso l’interstizio; - alla fine del processo tutto torna normale. Se l’infiammazione è dovuta alla presenza di un danno si ha il richiamo delle cellule immunitarie e l’infiammazione va avanti. DOLORE Il segno dell’infiammazione più particolare è il dolore poiché non dipende direttamente dai cambiamenti di permeabilità vascolare ma da una classe di neuroni detti nocicettori. I nocicettori sono una categoria di neuroni del midollo spinale sensibili a molte sostanze e sono forse le uniche cellule (salvo le cellule piramidali della corteccia) dove si verifica un riflesso assonale: attivati i nocicettori, oltre alla possibilità di far partire un segnale che va al midollo spinale e poi all'encefalo dando la sensazione di dolore, è possibile anche far tornare il segnale che, a partire da una terminazione, si propaga a tutte le altre. 4 I nocicettori non solo portano la sensazione di dolore ma sono influenzati dalla risposta infiammatoria e sono in grado a loro volta di influenzare la risposta infiammatoria (non sono solo recettori). Non tutti i nocicettori sono in grado di fare questo perchè ne esistono diverse classi: -> Dolore nocicettivo Nocicettori termici, meccanici (attivati da stimoli estremi) e polimodali (attivati da stimoli termici, meccanici e chimici). Questi nocicettori rispondono agli stessi stimoli a cui risponde il resto del sistema sensoriale ma di intensità maggiore che attiva il recettore sulla membrana ad esempio riscaldamento molto forte o uno stimolo meccanico intenso o la presenza di acidi. I nocicettori meccanici o termici rispondono in questo modo perché hanno dei recettori molecolari, ossia dei canali ionici meccanosensibili o termosensibili che mandano poi i segnali al sistema nervoso. -> Dolore infiammatorio I nocicettori silenti si attivano solo in presenza di infiammazione (sono recettori dell’infiammazione) e servono a evitare di avere dei comportamenti che mettano a rischio l’individuo. I nocicettori infiammatori hanno dei recettori diversi sulla membrana; uno è il recettore TNF, che è il recettore di morte, chiamato così poiché induce apoptosi per via esogena ma può anche servire come segnale di danno. Questi recettori si possono dividere in più categorie: - fattori di crescita come l’NGF; - chinine (sono sostanze rilasciate dalle cellule del sistema immunitario); - prostaglandine e leucotrieni (la loro produzione come derivati dell’acido arachidonico viene bloccata dall’aspirina, che agisce da antidolorifico); - interleuchina 1 beta (citochina pro-infiammatoria che rappresenta un segnale di infiammazione rilasciato da tante cellule diverse del sistema immunitario in presenza di infiammazione). In queste cellule basta solo l'infiammazione per attivare un segnale nocicettivo: mi fa male perché è infiammato. Esistono anche delle terminazioni nocicettive che possono venire attivate direttamente dalla presenza di patogeni perchè hanno i recettori che rispondono direttamente a componenti della parete batterica o della parete fungina (candida) o a componenti di vari patogeni (virus dell'Herpes). 5 SENSITIZZAZIONE CENTRALE E PERIFERICA Anche i nocicettori normali (termici, meccanici, polimodali), che non sono infiammatori di per sé, vengono sensitizzati in presenza di infiammazione, ovvero diventano più sensibili (poiché esprimono più canali nella membrana o perché i canali vengono fosforilati e diventano più sensibili allo stimolo originario) in risposta a citochine, chemochine, mediatori lipidici come prostaglandine, fattori di crescita, ossia gli stessi fattori prodotti dalle cellule immunitarie. Quindi significa che l’infiammazione sensitizza, a livello periferico, i nocicettori (motivo per cui se mi tiro una martellata sul dito già infiammato fa più male). Nel dolore cronico ciò che accade è che c’è una sensitizzazione da parte di cellule del sistema immunitario e del sistema nervoso a livello del midollo spinale e quindi non solo a livello periferico il nocicettore è più sensibile ma a livello centrale il segnale passa più facilmente. Di conseguenza quando c’è un dolore cronico il dolore viene mantenuto da questi stimoli anche in assenza dello stimolo periferico. Il caso estremo è il cosiddetto dolore dell’arto fantasma: quando si subisce un’amputazione in condizione estreme, ossia quando l’arto viene amputato in assenza di anestesia e quindi con dolore, questo dolore poi permane a livello centrale e si sviluppa una memoria che porta i soggetti a soffrire di dolore cronico a livello dell’arto fantasma. INFIAMMAZIONE NEUROGENA A livello periferico i nocicettori nel momento in cui rispondo inviano indietro dei segnali. Questi segnali sono sostanze di natura prevalentemente peptidica che possono attivare le cellule deputate all’infiammazione (soprattutto i mastociti). L’attivazione dei nocicettori provoca il flare cioè l’espansione della zona dolorante e infiammata rispetto alla zona lesa: a causa dei riflessi assonali si abbassa la soglia del dolore e i capillari sono resi permeabili per richiamare più facilmente le cellule del sistema immunitario anche nelle vicinanze del danno. 8 scoppia e rilascia il contenuto, compreso l’ATP, all’esterno. Un altro segnale di danno è il potassio perchè solitamente all’esterno della cellula i fluidi sono a base di Na mentre all’interno della cellula si ha una maggiore concentrazione di K. Di conseguenza se ho molto K extracellulare significa che sono morte molte cellule intorno. Nel caso dell'infiammazione esiste una classe di molecole (LPS della parete batterica) e dei recettori che riconoscono tutte queste molecole, che sono divise in due classi: ● PAMP (pathogen-associated molecular pattern): è un tipo di molecola associata ai patogeni (ad esempio un componente della parete batterica o un RNA a doppio filamento che noi non abbiamo); ● DAMP (damage-associated cell pattern): sono dei recettori che riconoscono classi di molecole che sono associate al danno cellulare. Queste due classi di recettori non riconoscono la singola cellula o la singola istanza che causa il danno ma sanno che in un caso è entrato un batterio o un virus mentre nell’altro caso sono morte delle cellule intorno. L’attivazione di questi recettori provoca l'attivazione di un complesso nel citoplasma detto inflammasoma che induce a sua volta la produzione di citochina IL-1 (una fra le principali citochine infiammatorie). REAZIONI VASCOLARI NELL'INFIAMMAZIONE ACUTA Il flusso sanguigno ha una pressione con una componente idrostatica (pressione data dal cuore) e una componente osmotica (dovuta in parte ai sali e in parte alle proteine plasmatiche che in particolare contribuiscono alla pressione oncotica che richiama elementi nel plasma). In condizioni normali lungo i capillari la pressione idrostatica diminuisce e all’inizio del capillare la pressione è abbastanza alta da far uscire il fluido mentre alla fine del capillare la pressione viene ad abbassarsi in modo da far rientrare il fluido; in questo modo non si ha edema, ossia accumulo di fluidi, poichè c’è un bilancio tra ciò che viene fatto uscire (pressione del cuore) e ciò che viene fatto entrare (pressione dovuta al richiamo osmotico delle proteine). In condizioni normali non si ha la fuoriuscita di proteine plasmatiche. Nel caso di infiammazione acuta aumenta la permeabilità vascolare, le proteine plasmatiche escono nell’interstizio e si ha solamente la pressione idrostatica poiché esce fluido senza che una forza lo faccia rientrare all'interno dei capillari. Se non si ha più il richiamo all’interno del sangue, il liquido che non viene riassorbito provoca edema (tessuto di rigonfia fino a che la resistenza meccanica del tessuto va a contrastare). -> PERMEABILITÀ VASCOLARE 9 In caso di infiammazione i capillari diventano permeabili anche alle proteine plasmatiche. Normalmente in un tessuto i capillari sono fatti da cellule endoteliali che sono attaccate le une con le altre, possono essere fenestrati o continui ma anche nel caso di presenza di fenestrature esse sono dei buchi con un diaframma proteico selettivo (alcune cose passano ma la maggior parte no). In condizioni di infiammazione i mastociti rilasciano istamina che fa contrarre le cellule endoteliali: l’endotelio si ritira e rimangono degli spazi tra una cellula e l’altra da dove escono le proteine plasmatiche. Se l’infiammazione continua e peggiora posso avere un danno alla parete vascolare. -> ESSUDATO Dal vaso infiammato non escono solo le proteine ma anche le cellule del sistema immunitario. Ciò che esce dai vasi viene detto essudato e può essere di molti tipi: - il modello base è quello sieroso che per esempio si trova nelle vesciche della pelle dove il derma si stacca dall’epidermide e si accumula del liquido all’interno; - se l’essudato contiene proteine plasmatiche tra cui fibrinogeno che polimerizza diventando fibrina si ha un essudato fibrinoso; lo si può trovare, ad esempio, a livello polmonare e di pericardio; - se si ha un’infiammazione a carico delle mucose una delle risposte protettive è quella produrre più muco, un essudato catarrale; lo si trova evidente nelle mucose respiratorie ma anche in quella gastrointestinale, in presenza di gastrite; - l’essudato purulento che contiene pus, ossia una grande quantità di cellule del sistema immunitario, soprattutto neutrofili (lo si trova per esempio a livello degli ascessi dentali); - l’essudato emorragico lo si ritrova quando non ci sono solo cellule del sistema immunitario ma in seguito ad una lesione vascolare esce il contenuto di sangue inclusi i globuli rossi. Può essere causato da motivi traumatici come nel caso degli ematomi (che son depositi di essudato emorragico a livello locale) o a causa di infezioni che danneggiano la parete vascolare, come nel caso del tifo. -> VASODILATAZIONE A livello del vaso sanguigno vi sono due risposte: una a carico del muscolo liscio che provoca dilatazione e una a carico dell’endotelio che provoca l’aumento di permeabilità. La vasodilatazione è una reazione indotta dall’endotelio dove si trova la NOS (NO sintetasi) che in risposta dell’attivazione dell’endotelio da parte dell’infiammazione rilascia monossido di azoto che agisce sulla muscolatura liscia e promuove la vasodilatazione in seguito a rilassamento muscolare. Il rilassamento della muscolatura liscia apre gli sfinteri capillari e quindi fa passare più sangue, apre la muscolatura dell’arteriola a monte e quindi aumenta il flusso sanguigno. Siccome il capillare si dilata, il flusso aumenta ma allo stesso tempo è più lento e questo aiuta a equilibrarsi dal punto di vista osmotico l’interno e l’esterno dei vasi sanguigni, quindi aiuta la formazione di edema. 10 -> RISPOSTA VASCOLARE E LEUCOCITI Se il flusso sanguigno rallenta, la distribuzione delle cellule all’interno dei vasi cambia: normalmente quando c’è un flusso abbastanza veloce nei vasi sanguigni, le cellule del sangue si dispongono con un profilo per cui la maggior parte stanno verso il centro del vaso. Durante l'infiammazione, rallenta il flusso ed esce una buona parte del plasma (aumenta l’ematocrito, cioè la concentrazione di cellule) e le cellule invece di stare verso il centro del vaso, fanno la cosiddetta marginazione, cioè si spostano dal centro del vaso e si avvicinano alla parete vascolare. Quando i globuli bianchi marginano, si avvicinano alla parete del vaso, ci sono molecole dette selectine sulla superficie dell’endotelio e sulla superficie dei globuli bianchi che si toccano tra di loro. Le selectine legano un recettore sui globuli bianchi e danno un legame abbastanza debole che rallenta il flusso di queste cellule: si dice che i globuli bianchi fanno rolling (rotolamento), cioè si attaccano alla parete vascolare e pian piano ci rotolano sopra. Il legame delle selectine rallenta i globuli bianchi senza fermarli ma è abbastanza forte da indurre l’espressione delle integrine. Le proteine (già presenti sui globuli bianchi) sono proteine di membrana formate da due subunità (alfa e beta) che si possono presentare in stato attivo o inattivo con la particolarità che possono legarsi a strutture esterne alla cellula (altre cellule o componenti della matrice) o all’interno della membrana al citoscheletro di actina o a delle proteine segnale all’interno della cellula e sono tra le poche molecole di segnale bidirezionale. Quando l’integrina viene attivata da un segnale che viene dall’interno della cellula, l’esterno dell’integrina stessa si attiva e cambia conformazione: le due subunità diventano espanse. Pertanto, quando un tessuto si infiamma: - il flusso rallenta; - i globuli bianchi si avvicinano alla parete; - la parete espone le selectine; - i globuli bianchi fanno il rolling e arrivano nel punto infiammato, dove ci sono le selectine che li rallentano; - i globuli bianchi legano la selectina; - il legame con la selectina avvia all’interno della cellula una serie di reazioni, di segnali che attivano le integrine; - quando l’integrina entra nella sua forma ad alta affinità può legarsi al suo recettore che si trova sull'endotelio infiammato; 13 Questa strategia è utilizzata anche per rispondere anche ai pattern molecolari associati al danno delle cellule; ciò che induce una risposta è, per esempio, la liberazione delle chaperonine dall’esterno che aiutano il folding delle altre proteine e che devono rimanere all’interno delle cellule altrimenti significa che la cellula si è rotta. Anche cristalli come l’acido urico danno una risposta infiammatoria che si vede nella botta. La presenza di proteine nucleari sono un pattern molecolare associato al danno cellulare in quanto non dovrebbero stare fuori; c’è però un caso nei neutrofili in cui il nucleo viene buttato fuori dalla cellula per aumentare la risposta infiammatoria. -> PRR (pattern-recognition receptors) I recettori principali sono: - RLR, recettori del DNA citosolico in grado di legare l’RNA virale - recettori dei peptidi formilati - TOLL-LIKE RECEPTOR (TLR) sono versatili e riconoscono varie molecole - NOD-LIKE RECEPTOR (NRL) riconoscono i peptidoglicani della parete batterica - CLR, le lectine che riconoscono i residui glucidici (mannosio e fruttosio) e i glucani presenti nelle pareti funginee e batteriche. Nell’organismo, quindi, è presenta qualcosa che riconosce gli acidi nucleici, qualcosa che riconosce le proteine, qualcosa che riconosce i carboidrati e qualcosa che riconosce i lipopolisaccaridi. I PRR non sono tutti sulle cellule ma ce ne sono anche di solubili che appartengono a 4 famiglie molto importanti nella risposta reattiva e che costituiscono gli antenati evolutivi degli anticorpi. Il primo sistema molecolare per riconoscere i patogeni è composto da queste molecole. 14 Le PENTRAXINE/PENTRASSINE sono un’ eccezione rispetto al sistema perché alcune di queste proteine sono prodotte nel fegato e rilasciate nel plasma, altre sono prodotte dai macrofagi e sono più complesse perché legate all’immunità acquisita. La prima ad essere caratterizzata tra le pentraxine è la proteina C reattiva, una delle principali proteine in fase acuta, che riconosce la fosforilcolina, una componente molto espressa nei batteri e nelle cellule danneggiate e precursore del fosfatidilcolina che si trova nelle cellule quando si espongono le vie di produzione fosfolipidiche. Si chiamano pentraxine perché hanno struttura pentamera. Le COLLECTINE e le FICOLINE sono delle lectine che legano dei carboidrati che finiscono con mannosio e fruttosio e hanno simmetria esamera. IL COMPLEMENTO Il complemento è una cascata di proteine che riconoscono i patogeni e attivano le cellule dell’infiammazione avviando la opsonizzazione (opsonizzare= rendere gustoso), il fenomeno per cui un certo fattore si lega a un patogeno e rende più facile ai fagociti di mangiarlo. Oltre a organizzare l’attività delle altre 3 classi di proteine, un’altra cosa che fa è uccidere il patogeno formando un complesso di attacco alla membrana; il principio base è fare dei buchi sulla membrana in modo da far uscire i contenuti del patogeno. È una cascata complicata: il fattore C1 del complemento è un fattore a simmetria isomerica (come le collectine e ficoline) e che si attiva quando si lega a determinate molecole dando il via ad una cascata di proteolisi tale per cui ogni proteina ha un pezzo che si stacca; ad esempio: C2 è intera e per attivarla se ne deve staccare un pezzo, quando C2 si attiva stacca C3 che quando si attiva stacca C4 ecc.. fino a C9. Tutte queste proteine poi arrivano alla membrana del patogeno e assemblano il complesso di attacco alla membrana. Succede anche un’altra cosa: C3 e C5 si dividono in due frammenti di cui uno va a continuare la cascata e l’altro il C3a e C5a si legano a un recettore sui neutrofili o macrofagi per indurre l’attivazione delle cellule. Quindi, il complemento da una parte fa la cascata litica e dall’altra attiva le cellule coinvolte nell’infiammazione —> si divide quindi in 2 cascate che sono sinergiche. Chi attiva C1? 15 Ci sono 3 modi per attivare il complemento: 1) via classica: è la prima che è stata scoperta; è attivata dalla parte costante di un anticorpo che poi legandosi a C1 dà il via alla cascata del complemento. 2) via delle lectine 3) via alternativa Anche se è la prima via scoperta è evolutivamente l’ultima perché in realtà quello che attiva le vie del complemento possono essere gli anticorpi ma anche le pentrassine, ficoline e le collectine che legano C1q e avviano la cascata. Perché gli anticorpi sono un’evoluzione successiva? PROTEINE DI FASE ACUTA Le proteine di fase acuta si chiamano così perché rispondono subito in quanto già presenti nel circolo; sono prodotte dal fegato e la loro produzione viene aumentata dall’infiammazione senza la necessità di una risposta adattativa; è tutta una risposta innata: gli anticorpi potenziano la risposta, ma con le pentraxine è possibile avere già da subito l’attivazione di una risposta del complemento che elimina i patogeni, prima ancora di avere una memoria dei linfociti. In questo senso gli anticorpi sono un'evoluzione successiva. Tra le proteine di fase acuta ci sono, infatti, le stesse proteine del complemento che in seguito all’infiammazione aumentano ma anche le pentrassine (proteina C reattiva e la siero-amiloide A) e anche alcune proteine impegnate nella cascata della coagulazione del sangue. SISTEMI DI MEDIATORI PLASMATICI L’infiammazione è legata in modo stretto alla cascata di coagulazione del sangue. Quando si attiva qualcosa nel plasma i 4 sistemi importanti sono: - il sistema che viene attivato in presenza dell’infiammazione - le chinine - la cascata della coagulazione, importante in caso di patologia, ma che va limitata - il sistema che distrugge la rete di fibrina che si forma con la coagulazione in parallelo al sistema di coagulazione. Nel plasma, la prima risposta si ha quando i vasi diventano permeabili e i fattori possono uscire, ancor prima delle cellule perché non devono passare l’endotelio con le integrine. TOLL-LIKE RECEPTORS 18 CITOCHINE INFIAMMATORIE Le citochine infiammatorie svolgono ruoli importanti in fasi diverse della risposta infiammatoria e possono essere soggette a dei problemi di regolazione. Le citochine infiammatorie sono 3 e vengono sempre prodotte nell’infiammazione acuta: 1) INTERLEUCHINA 1 2) TNF-ALPHA 3) INTERLEUCHINA 6 Hanno attività pleiotropica, ossia dire ciò che esattamente fanno è complicato a meno di specificare esattamente dove, come e in che concentrazione. -> IL-1 IL-1, insieme al TNF-ALPHA, ha come funzione quella di aumentare l’espressione delle selectine (molecole di adesione) nell’endotelio e la produzione di monossido di azoto, favorendo così la vasodilatazione. L’IL-1, inoltre, è uno dei fattori principali che induce e sostiene l’attivazione dei macrofagi—> meccanismo di feedback positivo. La via che va sui macrofagi è a 2 direzioni quindi rispondono ad essa ma lo producono anche. In più l’IL-1 è un pirogeno endogeno, ovvero agisce a livello ipotalamico per variare la temperatura (provoca la febbre), provoca aumento di sonno e perdita di appetito e induce la produzione di proteine della fase acuta che inducono effetti sul cervello per la regolazione del comportamento e sul fegato per la produzione di proteine di fase acuta. L’interleuchina 1 agisce anche sui neutrofili, basofili e mastcellule per far produrre istamina, trombossano e chemiotassi e, nella fasi tardive dell’infiammazione, sui fibroblasti in modo da favorire la deposizione del collagene e la riparazione del tessuto. es. questo lo si ritrova nella sinovia (nelle articolazione) dove IL-1 induce la produzione di collagene che se eccessiva può indurre fibrosi; ci sono anche dei casi in cui in seguito a produzione di collagenasi si ha invece una degradazione dei tessuti. 19 Negli ultimi anni si è scoperto che la sua via di trasduzione è più complessa di quella della maggior parte dei peptidi nel nostro organismo. Essa possiede una serie di recettori finti, i recettori DECOY, che hanno lo stesso dominio extracellulare, possono essere solubili e quindi possono venire rilasciati; se l’interleuchina è troppa, non è possibile eliminarla così com’è e, pertanto, è possibile utilizzare questi recettori che costituiscono sistemi di tamponamento molto usati in terapia per ridurre la quantità di interleuchina. -> TNF-alpha Il TNA-alpa agisce sui recettori di morte che sono 2 e che attivano 2 vie distinte: una dell’apoptosi e una della produzione di NFkB. Il recettore 2 è incapace di attivare la morte cellulare ma attiva solo la produzione di NFkB, Il recettore 1 fa entrambe le cose. Anche in questo caso possono essere prodotti dei DECOY, recettori trimeri aventi una subunità in grado di legare questo ligando che viene tagliata via dalla proteasi MMP (metallo- proteasi della matrice) portando la cellula a non rispondere più in quanto priva di dominio di riconoscimento. Il TNF-alpha può essere solubile o presentarsi in forma legata alla membrana in modo tale da indurre la morte cellulare di una cellula mediante contatto con la membrana. Le sue risposte sono a concentrazioni dipendenti: alcune risposte avvengono solo a concentrazioni molto alte, altre a concentrazioni minori. 20 -> IL-6 L’IL-6 è la più complicata in quanto agisce su una via diversa: va a finire su JAKSTAT che è un’altra via di trasduzione cellulare e anch’essa regola la trascrizione genica. Il recettore è il gp130 e anche qui c’è un DECOY che regola la loro risposto in caso di eccessiva produzione. Per l’IL-6 è stata caratterizzata un’enorme quantità di regolazioni preliminari alla sua produzione: o non si produce RNA o non si trascrive l’RNA o viene distrutto intanto che è nel citoplasma. CELLULE SENTINELLA -> LEUCOCITI La maggior parte dei leucociti sono neutrofili e di fatto questi sono anche i primi ad essere attivati nelle risposte infiammatorie. Il primo giorno di un’infiammazione si hanno le risposte vascolari e all'interno del tessuto la prima ondata di risposta è data dai neutrofili, mentre la seconda ondata è data dai macrofagi. Anche i neutrofili hanno la capacità fagocitica: sono delle cellule con un’alta attività citotossica (riescono a produrre candeggina, ipoclorito di sodio, grazie all’enzima mieloperossidasi) e sono capaci di intrappolare i patogeni con il loro contenuto cellulare. I neutrofili sono dei granulociti, ossia cellule caratterizzate dall’avere un nucleo con forme particolari (sono dette polimorfonucleate). Il nucleo dei neutrofili è utilizzato come arma: riescono a fermare i patogeni espellendo il DNA e formando una specie di rete in cui vengono intrappolati. Proprio per questo hanno una vita breve (vita media di poche ore). Rientrano in questa categoria anche i linfociti, i basofili e i monociti che sono molto importanti anche se sono pochi. Tutte le cellule implicate nell’infiammazione sono derivate dalla linea ematopoietica (dal midollo osseo) nell’adulto; l’unica eccezione sono i macrofagi che si trovano nella parete vascolare della coclea che sono derivati nervosi, dei melanociti che si trasformano in macrofagi. Le cellule sentinella sono i mastociti, le cellule dendritiche e i macrofagi. -> MASTCELLULE (mastociti) La prima cellula sentinella che viene attivata quando arriva un segnale o di danno o di invasione sono i mastociti; essi hanno una serie di granuli che contengono istamina, prostaglandine, leucotrieni e fattori di attivazione piastrinica che vengono rilasciati dando la risposta: a livello del polmone si ha la broncocostrizione, a livello intestinale la motilità della muscolatura liscia. I mastociti vanno anche a stimolare gli altri tipi cellulari come neutrofili e linfociti T. Chi attiva i mastociti? Essi vengono attivati o direttamente dai patogeni tramite i tool-like receptors o da una classe di anticorpi, le IgE, che sono implicati nelle allergie. Sono cellule tessutali a lunga vita che derivano da precursori prodotti nel midollo osseo che poi si integrano nei tessuti e stanno lì. -> GRANULOCITI BASOFILI
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