Scarica Per un'ermeneutica dell'educativo. L'insegnamento scritto e non scritta di Edda Ducci. e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Per un’ermeneutica dell’educativo L’insegnamento scritto e non scritto di Edda Ducci Premessa L’educativo deve essere inteso in una duplice accezione: - Come quel che c’è in noi di educabile: ovvero ciò che se sviluppato rende più giusta e bella la nostra umanità; - Come quel che ci educa: ciò che consente al nostro potenziale di passare dalla potenza all’atto. Ducci riconosce l’educativo come una realtà misteriosa, realtà che non si può risolvere ma solo abitare vivendola. Introduzione La ricerca praticata da Ducci viene da lei presentata come un “sapere sempre inquieto e mai saziato, descrivibile come “filosofare sull’educativo”; una nuova modalità di leggere la realtà dell’educativo, attraverso un singolare approccio interpretativo dei testi di quegli autori che hanno qualcosa da dire sull’uomo agli altri uomini. Si tratta di riproporre oggi il filosofare di Ducci come un’ermeneutica praticabile da chi sia motivato a fare ricerca in ambito educativo. Cap. 1: La ratio di un’ermeneutica dell’educativo 1.1. L’educativo come mistero L’educativo, termine più ampio di quello di “educazione” (educabilità umana, prassi educativa, finalità e mezzi educativi), ha una natura misteriosa che non può essere esplicitata solo ed esclusivamente attraverso un linguaggio descrittivo o puramente logico-razionale. L’uomo è un mistero e un mistero è ciò che in lui c’è di educabile, ovvero l’educativo. Il mistero dell’uomo sfugge al sapere sperimentale e sistematico; l’essere umano e la sua educabilità, in quanto oggetto di ricerca, rappresentano un oggetto anomalo che rifiuta ogni tipo di oggettivazione e che, dunque, rifiuta il rigore scientifico. 1.2. Coinvolgimento personale A chi intende impegnarsi nel fare ricerca nel campo dell’educativo, si richiede, quindi, sapienza e capacità di dosare la componente razionale e non, nel suo operare. L’approccio adeguato a questo tipo di ricerca, può risultare più facile da individuare se si guarda al fine a cui è tesa l’attenzione sull’uomo: il suo umanarsi. Si tratta, infatti, di un fine “esistenziale”; per il quale sono evidenti i limiti sia di un approccio circoscritto a solo ciò che è misurabile sia di un approccio solo teorico e astratto. 1.3. Sconfinamento esistenziale Per individuare un procedimento appropriato bisogna accettare la sfida che occuparsi dell’umano e della sua educabilità implica: non escludere la propria persona da questa ricerca e l’accettazione della natura ermeneutica di un procedimento che rifiuta sia la misurabilità sia l’astrazione. Cap. 2: Un’ermeneutica esigente 2.1. La strumentazione soggettiva La proposta di Ducci ha un tratto che la caratterizza e che la rende scomoda: essa richiede un coinvolgimento personale di chi intende operare questa ricerca. Innanzitutto, chi si occupa di educativo, cioè chi esercita questa singolare proposta ermeneutica, deve essere preoccupato per l’umanarsi dell’essere umano e, in primo luogo, deve essere preoccupato per lo sviluppo dell’umano che è in lui (la propria umanità). Possedere tale preoccupazione comporta un coinvolgimento personale totale: quest’ultimo non è da intendere come arbitrario o equivoco ma vera e propria strumentazione soggettiva da affiancare a quella oggettiva, tipica del mondo accademico, che comunque rimane necessaria. I tratti fondamentali della strumentazione soggettiva sono la sensibilità per l’educativo e l’esperire interiore, tra loro fortemente legati. Affinare il proprio senso per l’educativo comporterà l’intensificare dell’esperire interiore, cuore pulsante della strumentazione soggettiva (ma in realtà è vero anche il contrario: quanto più si intensifica l’esperire interiore, tanto più si affina la sensibilità per l’educativo). 2.2. Conservare la primitività Al ricercatore dell’educativo, che grazie all’affinarsi del proprio senso per l’educativo avrà intensificato la propria capacità di esperire interiormente, viene richiesto l’impegno a restare fedele alla propria primitività (intesa secondo Kierkegaard come il tessuto vivo del proprio pensare e sentire, il proprio avvertire e percepire, la singolarità del proprio esprimersi). Conservare la primitività non è semplice se consideriamo l’illimitata quantità di informazioni e spesso si cede all’accumulo oggettivo di dati e conoscenze. È importante riuscire a preservale la vitalità della propria primitività e spenderla bene sia nel viverla sia nell’indagare e scrivere sull’educativo. La primitività è, dunque, uno strumento impagabile da unire al resto della strumentazione. La giustificazione, la sua funzione, il suo diritto ad esserci in un momento in cui informazione e tecnica sembrano non aver bisogno di nulla, rappresenta per la primitività un problema maledetto (che non può essere risolto). Grazie agli autori si perfeziona la strumentazione oggettiva ma soprattutto quella soggettiva che è più difficile da ottenere perché comporta un serio mettersi in gioco da parte di chi fa ricerca. Gli autori ben individuati restano delle guide senza tempo, affinano il senso per l’educativo ed invogliano a percorrere la propria strada. Per quel che concerne l’educativo, il ricercatore deve essere ben consapevole che le parole contenute nell’opera costituiscono soltanto il veicolo oggettivo con cui un auctor giunge fino a noi e che, perciò, la loro comprensione logico razionale non costituisce il punto di arrivo. Riepilogando, compito di chi vuole praticare un’ermeneutica dell’educativo sarà, per Ducci, quello di porre attenzione ai grandi temi che concernono l’educabilità umana, individuare gli auctores e le opere più utili al tema dell’educativo che si vuole indagare e disporsi nella condizione di leggere la parola dell’autore per incontrarlo IN essa e per effettuare attraverso di essa, quel viaggio che gli autori ci additano. 3.4. Rivivere la parola dell’autore La filosofia dell’educazione è un pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il cammino del suo umanarsi, servendosi di una vera esperienza umana. Attenzione sull’uomo, esperienza umana e concreto umanarsi formano la formazione di questo studio. L’educativo è un mistero da abitare e che ci riguarda personalmente. È necessario un ben preciso approccio che esige di essere convalidato nell’interiorità di chi esercita questa azione speculativa. La via per abitare il mistero dell’educativo sembra, perciò, anch’essa avere il carattere di un mistero al quale bisogna essere iniziati: quello relativo al rapporto che il ricercatore che vuole esercitare questa ermeneutica deve stabilire con l’opera dell’autore. Per il ricercatore si tratta non tanto di acquisire una tecnica ma di sviluppare una sensibilità: parlare e scrivere di sensibilità non è certo un’operazione semplice. Quanto si dice/scrive rischia di non avere risonanza interiore in chi non ha ancora sviluppato questa sensibilità e la sensibilità stessa è sempre frutto di un delicato e misterioso lavoro interiore che fatica a trovare le sue forme per esprimersi. Accostare l’autore in modo appropriato diventa sinonimo di sensibilità che si acuisce e si affina. Il cuore misterioso di questa ermeneutica è rappresentato dal fatto che la conoscenza avviene per connaturalità. Il principio ontologico della partecipazione giustifica la conoscenza per connaturalità che consiste nel rivivere nell’originalità della propria interiorità quel che viene additato dalla parola dell’autore. Rivivere in sé i movimenti dell’umano proposti dai grandi autori non può lasciare indifferenti e quindi si potrà dover fare i conti con bisogni che non erano stati nemmeno immaginati e, forse, non facili da soddisfare. Questo rivivere che assume la forma di un partecipare, come richieste nell’ermeneutica dell’educativo, può essere facilitato dal fatto che nell’autore stesso dell’opera il pensare e il vivere, a volte, procedono di pari passo. L’ermeneutica dell’educativo sembra chiedere molto al ricercatore che intende esercitarla. L’autore su cui Ducci ha esercitato maggiormente la sua proposta ermeneutica è Ebner. In Ebner, così come in Tommaso e Kierkegaard, si ritrova quello che ci si deve aspettare di trovare nell’opera di un auctor su cui si sceglie di esercitare un’ermeneutica. Nelle opere di un auctor deve essere sempre deducibile l’ipotesi di un sapere che si avvale della razionalità e contestualmente del vissuto personale. Questi ultimi devono arricchirsi e decondizionarsi a vicenda. Quando ci si stupisce dell’umano e si sente l’urgenza di un impegno di studio serio e di coraggioso esperire interiore, si filosofa sull’educativo. Cap. 4: Cosa deve produrre questa ermeneutica 4.1. Anthropine sophia L’ermeneutica dell’educativo deve utilizzare un linguaggio particolare: il linguaggio educativo attraverso cui deve produrre Anthropine sophia ovvero la sapienza umana che è sapienza dell’umano e Sapienza umanante. Ducci respinge tutti quei tentativi di costringere il sapere sull’educativo dentro moduli ispirati al solo rigore scientifico. E l’anthropine sophia le appare come l’unico vero parametro per misurare l’esserci reale di questo sapere. Ma quando un sapere ha la forza di rendere umano chi se ne impossessa, chi lo pratica, chi lo comunica o lo riceve? E come riacquista tale forza se l’ha persa? Il sapere che concerne i temi dell’educativo non ha una sola forma e la forma che si sceglie di perseguire condiziona sia la modalità di trasmissione sia il che cosa questo sapere può procurare in chi lo accoglie. Ducci propone una polarizzazione grazie alla quale possiamo individuare due tipi di sapere A e B; tra questi due saperi c’è una differenza abissale: - Sapere A: sapere che se trasmesso fornisce agli uomini informazioni utili, conoscenze, li immette nel mondo della cultura, della politica, dell’economia. Alimenta il flusso del progresso, è impartito da autorità riconosciute, è oggetto di sicuro apprezzamento; - Sapere B: è il sapere che se accolto, risveglia, illumina, sconvolge, direziona o ridireziona il vivere personale verso la pienezza umana possibile e fa avvertire le reali necessità. Si fonda su sicura autorevolezza ma nessuno sembra potersene attribuire l’autorità. 4.2. Pubblicazione scritta Per la pubblicazione di un lavoro di ricerca, Ducci propone di utilizzare un procedimento a spirale: un tema non si affronta e si esaurisce in un unico momento, ma torna ad essere ripreso dopo un percorso che ne consente un approfondimento e un allargamento. Privilegiare la serietà rispetto al freddo rigore e il ricorso frequente all’analogia; perché è la serietà e non la scientificità ciò che edifica. Analogia, miti, metafore, linguaggio poetico ed evocativo per rendersi meglio capace di aderire alle realtà che vuole comunicare e all’effetto che questa comunicazione deve produrre in chi ne fruisce. La pubblicazione dei risultati di una ricerca ermeneutica che segua il dettato della proposta di Ducci, per gli elementi poetici di cui deve farsi carico, richiede un consistente impegno creativo da parte di chi scrive. La natura poetica della pagina letta e l’elaborazione poetica della pagina scritta costituiscono uno dei cuori di questo affascinante modello. Più semplice, perché non richiede creatività, ma pur sempre impegnativa e atipica per uno studioso, è invece la richiesta di mettersi in gioco in prima persona per garantire, attraverso quella serietà che l’esposizione di una verità per sé comporta, il rigore della ricerca. L’esposizione potrà, attraverso il coinvolgimento personale, liberarsi da ogni carattere esortativo e da ogni finalità effimera, perché attualmente agganciata al vivere di chi scrive, così da poter meritare l’ascolto intimo da parte di chi legge. Questo linguaggio che indaga l’educativo deve essere esso stesso educativo; dovrà rispondere alle leggi della libertà e dell’edificazione (il costruirsi della persona dalle fondamenta in su). Si tratta di un linguaggio che deve avere la forza di provocare un’accensione interiore nel soggetto a cui si rivolge, cosicché questo possa farsi, in virtù di quella accensione, vera causa delle decisioni che concretizzeranno il suo proprio potenziale. Il linguaggio educativo non è inteso a comunicare contenuti, bensì ad avviare la dinamica interiore, ad accendere un potenziale che dovrà continuare ad ardere per forza propria. Il linguaggio non deve temere di farsi poetico, di evocare piuttosto che di enunciare, e di assumere, così, quella forma necessaria per superare il formalismo razionale e oggettivo che non può aspirare a parlare in modo concreto dell’umano. Importante una ricerca attenta delle parole da utilizzare quando ci si appresta a scrivere dell’educativo. Chi intende esercitare l’ermeneutica che Ducci propone e realizza non può, dunque, sottrarsi all’impegno di approfondire e ricercare il linguaggio che sia proprio dell’educativo per giungere ad intenderlo propriamente ma, soprattutto, ad appropriarsene e a saperlo usare. Questo linguaggio ha nel rispetto della libertà dell’altro e nel potere edificante i suoi grandi specifici. Si tratta di un linguaggio che si inserisce in quella comunicazione che Kierkegaard definisce di potere e non di sapere: mira a generare nell’altro l’energia necessaria per l’agire libero. Il linguaggio educativo non è inteso a comunicare contenuti ma ad avviare la dinamica interiore, accendere un potenziale che dovrà continuare ad ardere per forza propria, a far sì che l’agire interiore sia libero, responsabile e la decisione non condizionata.