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Per una storia dell'asilo nido in Europa tra Ottocento e Novecento, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Storia SocialeStoria dell'EducazioneStoria della famigliaStoria della sanità pubblica

sintesi del libro di D.Caroli ' Per una storia dell'asilo nido in Europa tra Ottocento e Novecento' Franco Angeli, Milano 2014

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 18/06/2023

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erikameo28 🇮🇹

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Scarica Per una storia dell'asilo nido in Europa tra Ottocento e Novecento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! PER UNA STORIA DELL’ASILO NIDO IN EUROPA TRA 800 E 900 Nella metà dell’800 in Europa a seguito dell’impiego delle donne nell’ambito industriale e urbano, sorse l’esigenza della custodia della loro prole, che era affidata a balie o bambinaie oppure nel caso degli esposti, affidati ad istituti per gettatelli o brefotrofi. In Francia per accogliere i bambini legittimi venne costituita la prima crèche, nel 1844, essa era una prima forma di asilo nido che aveva l’obiettivo di garantire accoglienza, custodia e assistenza alla primissima infanzia per contrastare la mortalità infantile e l’abbandono. La mortalità infantile era molto diffusa all’inizio dell’Ottocento, circolavano nella popolazione malattie come: malformazioni genetiche, gastroenteriti, malattie infettive di vario tipo e polmoniti che andavano a troncare la vita dei neonati nei primissimi mesi. La crèche che nacque in Francia ebbe poi una vasta diffusione in molti paesi: in Italia, dove il termine crèche venne tradotto inizialmente con ‘presepe’, nel Regno Unito con il termine ‘day nursey’, in Germania con ‘Krippe’ e in Russia con ‘detskij jasel’. La diffusione della crèche in Francia portò una vera e propria ondata modernizzatrice nel campo dell’assistenza all’infanzia, con una specializzazione anche in campo medico verso questa fascia di età che finalmente venne presa in considerazione e non più considerata come forza lavoro o piccoli adulti. L’intento era quello di offrire interventi in campo educativo ed assistenzialistico per combattere la mortalità infantile e prevenire l’abbandono, tali iniziative posero le basi per una vera e propria rivoluzione nell’accudimento del neonato, che favorirono il suo passaggio dalle braccia di balie, non sempre interessate al suo benessere psicofisico ad un personale specializzato che lo lavava, lo nutriva e lo accudiva nel migliore dei modi. Le crèche accudivano i bambini nella loro prima infanzia, dopodichè una volta usciti da questi istituti venivano accolti nelle salles d’asile, dove i bambini permanevano fino alla loro entrata nelle scuole elementari. La nascita delle salle d’asile avvenne grazie all’opera del sacerdote Federic Oberlin, fondatore di alcune scuole presso la parrocchia di Ban de la Roche, dove alcune fanciulle insegnavano alle bambine dai quattro ai sette anni alcuni rudimenti di storia naturale, geografia a lavorare a maglia e a recitare le preghiere in francese. Il tasso di mortalità e di abbandono come abbiamo detto era molto alto soprattutto nei primi anni dell’800, tra il settembre 1800 e marzo 1801 morirono oltre il 98% degli esposti e il 79% di quelli che erano stati affidati a balie. I tassi di abbandono erano poco alti nei piccoli paesi e molto alti nelle grandi città ove le donne contadine si recavano nelle aree urbane per partorire e sbarazzarsi della prole indesiderata. I motivi che spingevano i genitori ad abbandonare i propri figli erano molteplici: molti li abbandonavano poiché illegittimi e non si voleva macchiare l’onore della famiglia, molte volte a causa della povertà, che non permetteva ai genitori di dare ai figli un’esistenza dignitosa, oppure perché il bambino era malato o storpio o perché il padre era rimasto vedovo dopo il parto della madre. L’abbandono avveniva solitamente dopo il tramonto o alle prime luci dell’alba per non essere visti o identificati; esso avveniva per mezzo della ruota, un dispositivo che solitamente si installava al di fuori degli istituiti o degli ospedali, tale strumento era formato da una piccola culla in legno che ruotava su un perno. La ruota rotando su se stessa, faceva suonare una campanella che avvertiva il guardiano di turno, dopodichè una volta identificato il bambino spesso con biglietti, in cui la madre annotava nome e anno di nascita, quest’ultimo veniva preso in carico dall’istituto. La ruota, oltre a garantire la custodia permetteva l’anonimato di chi sceglieva di ricorrere all’abbandono. A causa dell’abuso di questo dispositivo da parte dei genitori, tra il 1813 e 1823 fu avviata la chiusura delle ruote, che scomparirono completamente nel giro di qualche anno. La creazione del primo asilo nido, in francese crèche, avvenne il 14 novembre 1844 a Jeans-Luis d’Antin, grazie al giurista e segretario parigino Firmin Marbeau. Tale asilo accoglieva i bambini dalle prime settimane di vita fino ai due anni e mezzo e il suo scopo era quello di assistere l’infanzia povera e prevenire l’abbandono. La crèche era un’istituzione che andava incontro alle madri lavoratrici, destando quest’ultime dall’affidare i loro figli a balie mercenarie, le quali offrivano scarse cure materne in cambio di un sussidio. Quest’ultime non sempre si dedicavano nel migliore dei modi a questi bambini poiché spesso si occupavano di sette bambini contemporaneamente e ciò causava un’alta diffusione di malattie (gastro-intestinali, sifilide, vaiolo, malattie polmonari) e una grave malnutrizione poiché una sola balia non aveva abbastanza latte per sfamare tutti i bambini a lei affidati. La crèche di Sant-Luis d’Antin era divisa in tre sale e al di fuori era presente un piccolo cortile, dove i bambini potevano dormire e giocare. Nella prima sala furono disposte 12 culle, donate dalle dame di carità per i bambini non ancora svezzati, nella seconda sala erano accolti i bambini svezzati e nella terza invece venivano preparate le pappe da fornire ai bambini. La crèche apriva all’alba e chiudeva alle otto di sera e nei giorni festivi non svolgeva alcun servizio. Le madri pagavano una retta di cinquanta centesimi al giorno e i bambini per essere ammessi dovevano avere un’età al di sotto dei due anni; la madre inoltre doveva condurre il proprio bambino fasciato in modo adeguato e nelle ore dei pasti le era richiesto di recarsi ad allattarlo per poi riprenderlo la sera. Il personale addetto era formato da donne giovani, anch’esse madri, incaricate di accudire amorevolmente i neonati come se fossero loro; esse dovevano garantire pulizia, un ambiente a temperatura costante e una buona ventilazione. Le ‘berseuses’ o cullatrici erano divise in due gruppi: una cullatrice sorvegliava quattro lattanti, mentre i divezzi erano suddivisi in gruppi da dieci e sorvegliati da una cullatrice ciascuno. La distanza fra le culle doveva essere di un metro e mezzo e la biancheria doveva essere sostituita in caso di necessità, inoltre ogni giorno passavano a far visita due medici che annotavano su un registro le loro osservazioni sulla salute fisica dei bambini e sull’organizzazione della crèche. Le malattie venivano arginate grazie a una serie di misure previste dal regolamento, secondo cui i bambini malati non venivano ammessi nella crèche e i fanciulli ammessi dovevano possedere il certificato di vaccinazione antivaiolosa. Lo scopo principale di questi istituti era quello di allevare il bambino in un ambiente consono alla sua tenera età dal punto di vista igienico e di offrire un nutrimento sufficiente; permettendo alle madri di dedicarsi alla propria occupazione, anche se poi i bambini, soprattutto i lattanti, venivano lasciati nelle culle per tutto il tempo tranne quando dovevano cambiare le fasce. Jules Delbruck nel 1846 pubblicò un trattato dove descrisse le creches di Parigi; la sua opera fu divisa in due parti: la prima parte conteneva una descrizione della crèche ideale, essa doveva essere collocata in ambienti luminosi, spaziosi, pieni di colori e suoni piacevoli per i bambini. Quest’ultimi venivano poi suddivisi in lattanti e divezzi. Delbruck precisava che i bambini non dovevano essere lasciati nelle culle ma dovevano essere impegnati in attività ludiche e ricreative. Nonostante i presepi si stessero diramando in tutta Italia, non sempre venivano scelti dalle madri come luogo per recare i propri figli durante l’orario di lavoro poiché questi venivano considerati come un pericolo per la famiglia e un focolaio di epidemie. Fra l’ultimo decennio dell’800 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale si assistette all’elaborazione di tutta una serie di riforme. Con la Legge Crispi del 17 luglio 1890 si enunciava che l’assistenza diveniva una funzione pubblica dello Stato, il quale aveva il diritto e il dovere di finanziare queste forme di assistenza. Successivamente con la Legge Crispi Pagliani, si contribuì al miglioramento delle cure sanitarie per la popolazione e l’impegno da parte di molti studiosi nel trovare delle soluzioni per sconfiggere i tassi elevati di mortalità infantile. La Legge Crispi Pagani si impegnava di offrire cure mediche alle madri dopo il parto e una più accurata selezione delle cullatrici all’interno dei presepi. Quest’ultime dovevano essere amorevoli e pazienti con i bambini e non dovevano per alcun motivo ricorrere a percussioni e grida verso di loro. Sempre nello stesso periodo Giuseppe Sacchi, nel 1893 pubblicò l’opera ‘ il primo ammaestramento dell’infanzia e della puerizia, giusta i metodi della scuola sperimentale italiana: guida teorico-pratica per le istitutrici delle scuole infantili e primarie’. Secondo Sacchi, i bambini fin dai sei anni, dovevano essere avviati all’ insegnamento del catechismo, della storia sacra e dei rudimenti della letteratura. L’obiettivo era quello di formare le coscienze dei bambini, per farli divenire un giorno bravi cittadini, laboriosi e onesti. In tal modo i presepi non erano più solo delle sale di custodia ma il luogo familiare ideale, in cui il bambino veniva assistito, educato e amato. Giuseppe Tropeano, noto medico igienista, fu eletto direttore di uno dei più importanti brefotrofi italiani : ‘ il Regio Stabilimento dell’Annunziata di Napoli’. Quest’uomo italiano introdusse una riforma senza precedenti nel campo dell’assistenza all’infanzia che prevedeva l’obbligo di registrare il nome della madre ai fini dell’ammissione del neonato per evitare che il bambino fosse abbandonato in forma anonima. Tale riforma prevedeva anche l’ideazione di un sistema di distribuzione di latte per tutti quei bambini che ne avevano bisogno poiché le madri non potevano allattarli. Questo sistema venne nominato ‘ Latteria Materna’ e venne istituito il 4 aprile 1915; esso aveva il compito di distribuire latte sterilizzato per un periodo di dodici mesi. Il progetto era destinato alle madri appartenenti alla bassa classe sociale che non sempre ricorrevano all’allattamento naturale, anzi, esse somministravano un’alimentazione solida ai neonati, creando problemi molto gravi all’apparato digestivo, provocando molto spesso la morte del bambino. Ma per godere della ‘Latteria Materna’, le madri dovevano partecipare alle lezioni di igiene tenute dai medici del presepe nel consultorio istituito all’interno dell’istituto. Questo presepe quindi, non si occupava solo dell’assistenza e accudimento dei bambini ma anche all’educazione delle madri, poiché tale assistenza doveva continuare anche nelle ore in cui i bambini restavano a casa. Nell’istituto, si avevano in custodia più di 100 bambini, suddivisi in lattanti e divezzi; al suo interno si prestava attenzione alla qualità e quantità del cibo fornito e all’igiene; una volta che i bambini arrivavano nel presepe, venivano lavati, vestiti con gli indumenti dell’istituto e visitati quotidianamente dai medici presenti nella struttura. Per quanto riguarda al personale, esso era formato da quindici cullatrici, quest’ultime dovevano avere più di ventuno anni di età, appartenenti alla classe medio-alta. Si preferivano quelle sposate, italiane e con dei bambini, ad esse si richiedeva inoltre di accudire sempre gli stessi bambini. I bambini per essere ammessi dovevano avere un’età compresa tra gli 0 e i 3 anni ed essere perfettamente sani, a tal fine venivano sottoposti ad una scrupolosa visita medica, che selezionava i bambini da ammettere. Alle madri veniva chiesto di seguire alla regola il regolamento del presepe, il quale prevedeva di portare e riprendere il bambino in perfetto orario. La reiterazione dei ritardi portava all’esclusione del bambino dal presepe e a una denuncia verso la madre per abbandono d’infante. I bambini all’interno del Regio Stabilimento dell’Annunziata di Napoli venivano suddivisi in due classi: i lattanti e i divezzi. Ai primi veniva fatto quotidianamente un bagno caldo e veniva applicata loro una medaglietta con su scritto il numero della culla. Ai secondi veniva fatto un bagno a giorni alterni e forniti loro dei giocattoli per farli divagare nel tempo libero. In tale istituto era presente anche un cortile dove venivano recati i bambini nelle giornate soleggiate. Le conseguenze della Grande Guerra, la mancanza di lavoro, le emigrazioni e la grave crisi in cui si trovava la nostra penisola aveva portato ad un drastico calo delle nascite. Per porre rimedio al problema, Mussolini fondò nel 1925 l’Opera nazionale Maternità e Infanzia (OMNI), i cui obiettivi erano quelli di ridurre la mortalità infantile, prevenire l’abbandono e incoraggiare l’allattamento naturale per far in modo che le nuove generazioni crescessero sane e robuste. Il principale settore di intervento dell’OMNI non riguardava tutte le donne lavoratrici con bambini legittimi, ma solo le donne e i bambini che non avevano una famiglia fortunata che li proteggessero; è il caso di ragazze madri, vedove impoverite, donne sposate i cui mariti, essendo invalidi, carcerati o assenti per altri motivi, non erano in grado di fornire aiuto. L’OMNI decise anche di istituire tutta una serie di cattedre ambulanti che avevano lo scopo di istruire tutte le donne del popolo alla tutela dell’infanzia e all’importanza dell’igiene; tali cattedre si impegnavano anche a somministrare alle madri i pasti per favorire l’allattamento. Vennero inoltre fondati vari asili materni per l’accoglienza delle madri a rischio, col duplice scopo di prevenire il parto clandestino, l’infanticidio e l’abbandono grazie all’opera di educazione delle madri all’allattamento. Si offriva perciò un’assistenza sanitaria nei confronti della madre e del suo bambino fino allo svezzamento; allo stesso tempo si cercava di rafforzare i legami della famiglia grazie all’azione di riconoscimento dei figli, promuovendo l’allattamento al seno, l’uso di prodotti per l’infanzia, distribuendo campioni gratuiti di latte in polvere, detergenti, disinfettanti, medicinali e cibo per neonati. A causa delle ristrettezze economiche, l’OMNI si concentrò sull’assistenza dei bambini di tenera età senza poter estendere i servizi a un’assistenza più globale, che inglobasse ad esempio, i ragazzi a rischio. Per incoraggiare gli italiani a fare figli il Duce utilizzò tutti i mezzi a sua disposizione: aiuti alle famiglie, assegni familiari, assicurazioni di maternità, proibizione di pratiche contraccettive e l’istituzione della tassa sul celibato. Tale imposta era rivolta a tutti gli uomini scapoli tra i 25 e i 66 anni che dovevano pagare una tassa mensile di 70-100 lire; questa sorta di tributo doveva spingere gli uomini a sposarsi e fare figli. Il 24 dicembre 1933 il Duce istituì la ‘Giornata della Madre e del Fanciullo’, durante la quale egli in persona assegnava un premio in denaro alle donne con più figli, ad esempio le donne che avevano più di 7 figli ricevevano un premio di 7000 lire e una polizza di assicurazione Durante il periodo fascista, come precedentemente in Francia, vennero istituiti delle sale di maternità nelle industrie manifatturiere, tessili e dei tabacchi in cui si registrava una grande manodopera femminile. In queste fabbriche vennero create degli spazi riservati ai figli delle operaie, suddivisi in lattanti e divezzi e sorvegliati dalle cullatrici. I bambini venivano accolti secondo la solita procedura che prevedeva la visita del medico e la vaccinazione. Le sale di custodia si istituivano solo se nelle fabbriche erano presenti almeno 50 operaie madri e quest’ultime avevano il diritto di due pause di mezz’ora per allattare i propri figli, anche se gli industriali non sempre osservavano questa normativa. Si aprì poi, nel corso del tempo, un forte dibattito riguardo ai periodi di gestazione delle donne, secondo Giulio Casalini, la soluzione ideale non era creare sale di custodia, ma lasciare la madre accanto al suo bambino nel primo anno di vita. Non era della stessa idea Gennaro Fiore dell’OMNI, il quale affermava che il periodo in cui la madre doveva dedicarsi esclusivamente alle cure di suo figlio doveva avere la durata di 4 mesi, dopodichè il bambino poteva essere indirizzato verso un tipo di allattamento misto, fornito dagli asili. L’OMNI, istituì nel corso del tempo vari asili nido, denominati ‘Casa della madre e del bambino’, che conobbero la loro massima diffusione a partire dal 1937. Questa proliferazione di asili nido veniva accompagnata da discorsi ufficiali da parte del Duce, sulla difesa della stirpe e sul suo progetto di Italia forte, sana, popolosa e fascista. Gli asili nido istituiti in questo periodo erano molto moderni, costituiti da locali salubri, spaziosi, luminosi, da un’assistenza qualificata, un’alimentazione basata su diete specifiche e un’accurata vigilanza igienico sanitaria. In queste strutture venivano ammessi i bambini dai 3 mesi ai 3 anni, figli di madri che risultassero regolarmente occupate fuori casa. Questi asili riflettevano molto l’ideale della crèche francese, poiché i bambini appena arrivati venivano spogliati, lavati e vestiti con gli abiti dell’asilo e inoltre i bambini dovevano essere accompagnati e ripresi con puntualità. Al suo interno si svolgevano tutta una serie di attività: dal bagno, alla merenda, ai servizi igienici, al pranzo, al pisolino e così via… I piccoli, come al solito venivano suddivisi in lattanti e divezzi, sorvegliati dalle cullatrici, che fornivano ai primi 3 poppate ogni 3 ore mentre ai secondi un pasto ogni 4 ore. Grazie alla diffusione di questi asili in tutto il nostro Paese, si conobbe una diminuzione del tasso di mortalità. L’infanzia diventò dunque un argomento di interesse di molti studiosi, tanto che iniziarono a compiere varie indagini sulle funzioni del bambino, in particolare alle sue funzioni psicologiche. Gino Ferretti, nel suo saggio ‘il bimbo che poppa nel primo semestre della vita. Note di nipiopsicologia’, osservava lo sviluppo dei sensi e le reazioni agli stimoli esterni di un lattante durante le prime settimane e il primo mese di vita. Lo studioso riteneva che il momento della poppata fosse il punto di partenza delle manifestazioni psicologiche e che il bambino sviluppasse il riflesso di suzione. Tale riflesso faceva sì che se al lattante veniva avvicinato un oggetto alla bocca quest’ultimo imitava il momento della suzione. Gino Ferretti notò inoltre, che già nelle prime settimane di vita, il bambino era in grado di riconoscere il latte materno rispetto a quello di un’altra madre e mostrava una preferenza verso il primo. Lo studioso vide anche che il bambino, nel corso del tempo andava via via migliorando il senso della vista; passava infatti da una vista offuscata ad una molto dettagliata, tanto da saper riconoscere i volti dei cargiver a partire dai due mesi. Lo studioso si accorse anche che già al quarto mese di vita il neonato manifestava le espressioni di collera, rabbia e gioia, come il ‘sorriso endogeno,’ volto a segnalare stati di benessere fisico anche se non è ancora definibile come emozione. Angiola Borrio, docente di clinica pediatrica presso l’Università di Perugia, metteva in relazione il malessere psichico del bambino con il mancato allattamento materno. Notò infatti che nei bambini non allattati o allattati in modo misto si aveva una probabilità elevata di contrarre malattie come: diarrea, otite, infezioni alle vie urinarie e malattie respiratore. Tutto ciò spiegava che il latte materno era un alimento ricco di sostanze nutrienti fondamentali per la crescita del piccolo. Secondo la studiosa, il momento della poppata doveva essere svolto esclusivamente dalla madre, poiché quest’ultimo era un momento essenziale per lo sviluppo di una prima forma di attaccamento tra madre e bambino.