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Plasticità e Apprendimento, Appunti di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione

Appunti del corso di Plasticità e Apprendimento del professor. Turatto

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 09/01/2019

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Flag27 🇮🇹

4.6

(15)

3 documenti

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Scarica Plasticità e Apprendimento e più Appunti in PDF di Psicologia Dei Processi Di Apprendimento E Motivazione solo su Docsity! 1. SISTEMA VISIVO 1.1 DALLA RETINA AL NGL La funzione cui è deputato il nostro sistema visivo è quella di darci la capacità di discriminare gli stimoli presenti nel mondo che ci circonda. Questa capacità discriminativa può essere allenata, dimostrando che il sistema visivo può apprendere a vedere, e che il cervello rimane plastico anche nell’età adulta. Le vie visive dall’occhio alla corteccia comprendono: - Occhio (e la retina) - Nervo ottico - Chiasma - Tratto ottico - Nucleo genicolato laterale (NGL) - Corteccia visiva primaria (striata) o V1 Queste formano la via retino-genicolo-striata. Dalla retina al chiasma ottico - Rispetto al punto di fissazione l’informazione visiva proietta nell’emiretina nasale e temporale di ciascun occhio - Ogni nervo ottico contiene informazioni dalle due emiretine - Nel chiasma le fibre dalle due emiretine nasali incro- ciano andando ad unirsi con quelle temporali dell’al- tro occhio, formando il tratto ottico - Si noti che ogni emicampo visivo è più ampio per l’oc- chio ipsilaterale che controlaterale. Questo perché il naso delimita il campo visivo dell’emiretina tempo- rale controlaterale Dal chiasma ottico a V1 - Il tratto ottico, che porta informazioni da due occhi, ma dallo stesso campo visivo, termina nel NGL - Da qui le fibre procedono, formando le radiazioni otti- che, verso V1 - Ogni V1 riceve informazioni dallo stesso emicampo (controlaterale) ma da due occhi diversi La retina - Qualsiasi forma di discriminazione percettiva visiva non può prescindere dall’attività che avviene nell’occhio a livello retinico - La sua funzione è quella di tradurre la luce in segnali nervosi da inviare al cervello, del quale è legitti- mamente considerata un’estensione La retina consiste di un insieme di strati di fotorecettori e cellule nervose - Coni e Bastoncelli - Cellule orizzontali - Cellule bipolari - Cellule amacrine - Cellule gangliari CONNESSIONI DIRETTE ED INDIRETTE Le connessioni dirette - Pochi fotorecettori sono collegati con una cellula bipolare, e questa (o poche di que- ste) è a sua volta collegata con una cellula gangliare Le connessioni indirette - Una cellula orizzontale collega molti foto- recettori con una cellula bipolare - Una cellula amacrina collega molte cellule bipolari con una cellula gangliare Convergenza dei segnali nervosi nella retina - Nella fovea, zona di massima acuità visiva, ogni fotorecettore è collegato con una cellula bipolare e questa ad una gangliare - Spostandoci in periferia della retina si osserva un fenomeno di convergenza: più fotorecettori su una cellula bipolare e più cellule bipolari su una cellula gangliare Il concetto di campo recettivo è uno strumento importante per capire il comportamento di una cellula senso- riale, sia essa gangliare, del NGL, o della corteccia visiva (ma si applica anche alle altre modalità sensoriali). Nella sua accezione più restrittiva definisce quali recettori forniscono informazioni ad una cellula del sistema nervoso. Quando si definisce il campo recettivo di una cellula non si determinano solo i suoi limiti spaziali ma anche quali caratteristiche deve possedere lo stimolo per evocare una risposta cellulare. Stephen Kuffler, attorno al 1950, fu il primo a registrare la risposta delle cellule gangliari dalla retina del gatto (presentava macchie di luce di varie dimensioni). La prima scoperta fu che al buio la cellula non era silente ma aveva una frequenza (1-5 Hz) di risposta di base. La stessa frequenza si osserva con una illuminazione diffusa su tutta la retina. Ma con una presentazione luminosa più puntuale la risposta della cellula poteva essere modulata - sia aumentata sia depressa. Utilizzando un’area di illuminazione molto piccola Kuffler scoprì che la risposta di base della cellula poteva essere modulata: aumentata o diminuita. Muovendo la luce in vari punti individuò le proprietà del campo recettivo: - Forma circolare - Zona centrale e periferica - Centro di tipo ON o OFF (ON = attivazione centro/depressione periferia; OFF = attivazione periferia/de- pressione centro) Muovendo un punto luminoso H&W hanno mappato il campo recettivo delle cellule semplici. In funzione della risposta possono essere identificati 3 tipi di campi recettivi in cui la zona eccitatoria ed inibitoria sono sempre separate da una linea diritta. Il campo recettivo delle cellule semplici ha una organizzazione geometrica più complessa rispetto a quella circolare/concentrica del NGL. Cellula di tipo «centro OFF»: quando la luce è accesa al centro da una risposta inibitoria. Quando viene spenta diventa eccitatoria. La stessa risposta eccitatoria si osserva anche quando la luce viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Cellula di tipo «centro ON»: dà una risposta eccitatoria (anche se debole in questo caso) quando la luce è accesa al centro del campo recettivo, mentre da una risposta inibitoria quando viene accesa nella perife- ria, sia a destra sia a sinistra della zona ver- ticale centrale. Nessuna risposta con illumi- nazione diffusa. Maggiore l’area stimolata maggiore la risposta neurale e stimolazioni contemporanee di aree eccitatorie ed inibitorie riducono la risposta cellulare. In realtà lo stimolo più efficace per attivare la risposta del neurone è una piccola barra di luce (a patto che sia posizionata e orientata correttamente). Esistono neuroni selettivi per tutti gli orientamenti: piccoli scostamenti (entro i 20°) dall’orientamento preferenziale provocano un declino nella risposta neurale. Le dimensioni del campo recettivo variano ovviamente in funzione del fatto che la cellula mappi porzioni del campo visivo centrale oppure più periferico. Nella parte foveale o paravofeale le dimensioni più piccole indivi- duate corrispondono a 0.25° x 0,25° di angolo visivo, con una parte centrale avente una ampiezza di pochi minuti di arco. A 57 cm di distanza dall’osservatore un centimetro corrisponde ad 1° di angolo visivo. Quindi a questa distanza la parte centrale del campo recettivo copre pochi millimetri. H&W hanno proposto come potrebbero essere collegati i neuroni del NGL con le cellule semplici per spiegare il campo recettivo di quest’ultime. Riassunto: - Selettività spaziale ▪ Ogni neurone risponde per una zona molto piccola del campo visivo - Selettività per l’orientamento ▪ Ogni neurone risponde solo per un dato orientamento dello stimolo - Risposta ON oppure OFF - Campo recettivo diviso in zone eccitatorie ed inibitorie ▪ Le regioni eccitatorie ed inibitorie non sono concentriche e circolari ma sono ampie aree separate da bordi lineari - Risposta ottimale a barre di luce (chiare o scure). Risposta meno ottimale solo a punti di luce o buio - Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa - Non particolarmente sensibili al movimento - Campo recettivo monoculare o binoculare - Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 - Presenti negli strati 2-3 e 5-6 CELLULE COMPLESSE Sono cellule che si trovano inframezzate con quelle semplici nei vari strati della corteccia. Rispetto alle cellule semplici, da cui ricevono le afferenze, hanno alcune proprietà di risposta particolari: - Rispondo, come le semplici, a barre luminose orientate in modo appropriato, non ha punti né a con- dizioni di illuminazione diffusa - Nel campo recettivo la distinzione tra zone ON e OFF (ed eccitatoria e inibitoria) non è così netta come nelle cellule semplici In alcune cellule una barra di luce stazionaria con orientamento appropriato evoca una risposta molto debole. Altre invece rispondono, e la risposta è indifferenziata rispetto alla posizione dello stimolo, a patto che sia orientato correttamente. La geometria del campo può essere molto complessa e particolare: può esserci una risposta ON nella parte superiore ed una OFF in quella inferiore. Alcune cellule complesse non rispondo alle linee sottili ma solo a bordi tra aree chiare e scure (il bordo deve essere orientato correttamente). Lo stimolo ottimale per evocare la risposta di una cellula complessa è una barra che si muove nel campo re- cettivo. Una parte delle cellule complesse risponde solo ad una direzione di movimento; altre non presentano alcuna selettività rispondendo ad ogni direzione. Riassunto: - Selettività spaziale - Selettività per l’orientamento - Campo recettivo complesso dove le zone ON e OFF non sono sempre nettamente demarcate - Lo stimolo ottimale è in movimento - Alcune selettive per la direzione di movimento, altre no - Risposta ottimale a barre e bordi, in qualsiasi punto del campo - Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa - Campo recettivo monoculare o binoculare - Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 - Presenti negli strati 2-3 e 5-6 2. PLASTICITÀ L’idea che il cervello possa essere modificato non è così ovvia. In genere si pensa al cervello come a una strut- tura stabile che analizza le informazioni sensoriali, prende decisioni, e attua comportamenti appropriati alla situazione. Ma se pensiamo alla capacità del cervello di apprendere, e alla memoria, allora l’idea che sia im- modificabile è messa in crisi. A meno che non adottiamo una prospettiva dualista (mente/corpo), tale per cui le mente trascende il corpo (cervello) e l’apprendimento è una proprietà della mente immateriale, dobbiamo chiederci alcune cose: - Cosa implica materialmente per il cervello apprendere? - Cosa significa acquisire un’informazione o un’abilità prima sconosciuta? L’acquisizione di una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica. Tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare. Per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Santiago Ramòn y Cajal sosteneva che: «Per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e crescita di arborizzazioni dendritiche e ter- minali nervosi» Un tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita. Tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta - Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose - Quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso - Le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo L’idea che il cervello fosse plastico solo durante l’infanzia ha importanti conseguenze anche circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali. Se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambia- menti sostanziali del cervello, è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963-1965) sul «periodo critico». Anche i lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting suggerivano l’esistenza di tale periodo post- natale cruciale. Studio sulle oche e pulcini: in un certo periodo della vita (qualche giorno/una settimana), i pulcini sviluppano un attaccamento emotivo nei confronti dell'oggetto a cui sono esposti per la prima volta. Una volta terminato il periodo di imprinting, esso rimane (PERIODO POST-NATALE CRUCIALE). Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una note- vole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia. Tuttavia, rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi. Per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini: apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa, e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli. La moderna visione della plasticità non considera questa caratteristica come un qualcosa legato ad un parti- colare periodo dello sviluppo, ma piuttosto come uno stato continuo del cervello. Il cervello è una strutta in continuo cambiamento, modificata in ogni istante dalle esperienze sensoriali, motorie, emotive e cognitive. PLASTICITÀ CORTICALE NEL SISTEMA MOTORIO STUDI DI PASCUAL-LEONE E COLL. (1995-1996) Gli studi di Pascual-Leone e coll. (1995-1996) - Ai soggetti era richiesto di eseguire ripetutamente una certa sequenza di movimenti con le dita sui tasti del pianoforte - Due ore di allenamento ogni giorno per 5 giorni, per 5 settimane - Ogni giorno, prima e dopo ogni sessione di allenamento, attraverso l’uso della TMS veniva mappata l’area motoria coinvolta nel movimento delle dita - Si stimolano alcuni punti della corteccia e si vede quando si induce un movimento nelle dita. In questo modo si può ricostruire l’area corticale coinvolta nel controllo della dita della mano (soglia di stimola- zione = viene trovata l'area cerebrale coinvolta nel movimento corporeo preso in esame) - Dopo ogni sessione l’accuratezza del movimento, migliorava (sia in termini di errori sia di tempo), a riprova dell’avvenuto apprendimento (modifica corticale) - La mappatura dell’area motoria coinvolta ha rivelato due tipi di cambiamenti - Un gruppo di soggetti fu invitato semplicemente ad immaginare di eseguire il compito. In questo stu- dio anche il mero allenamento mentale può indurre una modifica cerebrale, comparabile a quella pro- dotta dal reale esercizio fisico - Rapida riorganizzazione della rappresentazione motoria indotta da TMS o Compito: stringere ritmicamente il pugno della mano destra ogni secondo o Il soggetto è nello scanner fMRI ▪ Condizione presenza di TMS vs. assenza di TMS Prima Dopo Attivazione della M1 controlaterale e della SMA La stimolazione di M1 con rTMS 1Hz riduce l’eccitabilità della corteccia L’attivazione di M1 controlaterale e della SMA rimane invariata Attività in M1 controla- terale diminuisce, men- tre, come compensa- zione per mantenere efficiente il compito, appare un’attivazione di M1 ipsilaterale e un aumento di attività in SMA Gli studi TMS che abbiamo appena visto ci dimostrano che: - L’esecuzione ripetuta di un certo gesto motorio determina una modificazione dell’area corticale coin- volta nel controllo di tale gesto - Se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre per eseguire il movimento La corteccia motoria (M1) presenta quindi elevata plasticità e capacità riorganizzative piuttosto rapide (con- nessioni neurali silenti). PLASTICITÀ CORTICALE E CECITÀ COHEN E COLL. (1997) L’essere umano è un organismo prettamente visivo. La perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di deficit sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Esistono ormai evidenze consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità. Questo potrebbe spie- gare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo ve- denti. La corteccia visiva si attiva anche quando le persone leggono senza la vista (es. scrittura Braille). Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno dimostrato un’attivazione di V1 in soggetti ciechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille. L’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse passivamente su simboli Braille, una condizione in cui la “lettura” non era richiesta (quindi fondamentale per l’attivazione è la volontà di lettura) L’attività nelle aree visive osservata durante la lettura Braille non è comunque prova di un ruolo causale di tale attivazione per la lettura, potrebbe trattarsi di un’attivazione non necessaria. Ma il caso di una paziente nata cieca ha fornito prova del ruolo causale dell’attivazione occipitale: dopo un ictus in zona occipitale la paziente, che prima era un’ottima lettrice Braille, perse le sue abilità di lettura. Il danno non riguardò la corteccia so- mato-sensoriale che si rappresentava la mano (le sue abilità tattili rimasero intatte). Il ruolo fondamentale dell’attività occipitale nella capacità discriminatoria tattile in persone nate cieche è stato dimostrato anche attraverso l’uso della TMS: Cohen e coll. (1997) hanno stimolato le aree occipitali in un gruppo di ciechi con- geniti, i quali dopo tale stimolazione non riuscivano più a leggere i simboli Braille. Ruolo delle aree visive nella discriminazione tattile in persone affette da cecità congenita: - Stimolazione di una mano con stimoli Braille - A intervalli variabili dallo stimolo Braille viene data la TMS o in area somatosensoriale oppure in area occipitale TMS in occipitale dopo circa 60ms dallo stimolo tattile impedisce il ri- conoscimento dello stimolo Braille, ma non la sua detenzione TMS in somatosensoriale impedisce sia detenzione sia identificazione 3. DEPRIVAZIONE VISIVA E PERIODO CRITICO Dal 1963 al 1965 Hubel & Wiesel pubblicarono una serie di lavori di 6 lavori fondamentali sulla plasticità cere- brale nella fase di sviluppo. Da questi lavori emerse il concetto di “periodo critico”, che negli anni a venire influenzò profondamente la psicologia e le neuroscienze. 3.1 EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE VISIVA NELLA MORFOLOGIA E FISIOLOGIA DELLE CELLULE DEL NGL NEI GATTI Già prima dello studio 1 era nota l’importanza di una normale stimolazione sensoriale per lo sviluppo ed il mantenimento del sistema nervoso. Nel sistema visivo questo aspetto era stato studiato esaminando gli effetti della deprivazione sensoriale sulle varie strutture neurali e sul comportamento dell’animale. Lo scopo del primo lavoro della serie è quello di estendere queste conoscenze studiando gli effetti della deprivazione mo- noculare sulle cellule del NGL, a livello della risposta fisiologica e morfologica. Per valutare gli effetti della deprivazione la tecnica è quella della registrazione da singole unità (neuroni), e dell’esame anatomico della struttura (post mortem). - Metodo o Soggetti: 9 gattini e 1 gatto adulto o Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi o Tipo di deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio ▪ I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo ▪ Il gatto adulto ovviamente da adulto o Sito di registrazione: NGL sinistro ▪ Da uno strato con afferenze dall’occhio deprivato ▪ Da uno strato con afferenze dall’occhio aperto - Risultati: cambiamenti fisiologici nel NGL o Tutte le cellule (34) registrate, sia dall’occhio chiuso sia aperto, mostrano il classico campo recettivo concentrico organizzato in centro On periferia OFF o viceversa o La dimensione della parte centrale del campo recettivo era normale o Se ne deduce che l’input sensoriale non è necessario per lo sviluppo normale dei campi recet- tivi dei neuroni del NGL o Tuttavia, alcune cellule mostrano una risposta meno pronta e precisa alla luce: il centro del loro campo recettivo era molto più grande di quello delle altre cellule nel NGL, anche più grande di quello delle cellule del gatto adulto. o A parte queste eccezioni, in generale la deprivazione monoculare non sembra aver modificato la risposta fisiologica delle cellule del NGL - Risultati: cambiamenti morfologici nel NGL o A seguito della deprivazione, in tutti i gattini sono emersi profondi cambiamenti morfologici nei neuroni del NGL o I neuroni che ricevevano l’input dall’occhio chiuso sono risultati marcatamente atrofici o Gli strati dell’occhio deprivato risultano più sottili degli altri, assottigliamento causato princi- palmente dalla atrofia delle cellule - Risultati: cambiamenti morfologici in altre strutture o La deprivazione monoculare non sembra aver modificato la struttura e le cellule in: ▪ Retina ▪ Nervo ottico ▪ Collicolo superiore o I cambiamenti morfologici sembrano quindi aver avuto luogo solo nel NGL - Deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva o È stata valutata in gattini deprivati a 2 mesi di età (uno deprivato per 4 mesi ed uno per 1 mese) o L’atrofia era presente, anche se meno marcata di quella generata quanto la deprivazione a veniva sin dalla nascita - Deprivazione monoculare in animale adulto: o Un fatto adulto deprivato per 3 mesi: ▪ Nessun differenza tra gli strati del NGL che ricevevano afferenze dall’occhio aperto e da quello chiuso ▪ Normale spessore degli strati e grandezza delle cellule in essi contenute o Questo risultato suggerisce un ruolo importante dell’età nella quale avviene la deprivazioni - Conclusioni: o La deprivazione monoculare dalla nascita induce una marcata atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso o La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in qualche caso ridotta o Se la deprivazione inizia dopo breve periodo di esperienza visiva risulta meno marcata, o as- sente negli animali adulti o La marcata atrofia nel NGL dovuta a deprivazione non era stata osservata negli studi prece- denti o Un possibile motivo è il fatto che gli studi precedenti usavano una deprivazione binoculare, mentre qui si è usata quella monoculare o La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il NGL 3.2 CAMPI RECETTIVI DELLE CELLULE NELLA CORTECCIA STRIATA IN CUC- CIOLI DI GATTI INESPERTI ALLA VISIONE In questo lavoro, che è il secondo della serie, gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto. Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva al fine di assicurare un normale sviluppo di V1. - Metodo: o 2 gattini, dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi vengono testati (la deprivazione avviene con delle lenti translucide che fanno passare poca luce diffusa) o 1 gattino ha una normale esperienza visiva e funziona da controllo - Risultati o Dopo 2 settimane, di cui la seconda di deprivazione, i neuroni hanno una forte tendenza ad andare incontro ad affaticamento o I neuroni rispondo in modo meno vigoroso agli stimoli, e gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative o Questi effetti di affaticamento sembrano essere ristretti alla corteccia, non nel NGL o A parte la lentezza e fatica nella risposta le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto ▪ Selettività per orientamento, movimento, etc. o Normali interazioni binoculari, con preferenza oculare differenziata da neurone a neurone - Conclusioni: o I risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività di risposta) della corteccia del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva o Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra retina, NGL e corteccia, non richiede esperienza visiva ▪ Questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia 3.3 RISPOSTE DELLE SINGOLE CELLULE NELLA CORTECCIA STRIATA IN CUC- CIOLI DI GATTO MONOCULARMENTE DEPRIVATI Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del NGL. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, dopo deprivazione monoculare, allo stadio suc- cessivo di analisi visiva: V1. Nella corteccia striata, dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare. Le risposte qualitative dei neuroni binoculari ai due occhi sono simili, ma può essere diversa la forza di risposta all’uno o all’altro occhio. - Metodo: o Soggetti: 7 gattini e 1 gatto adulto o Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi o Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio ▪ I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo ▪ Il gatto adulto ovviamente da adulto o Sito di registrazione: V1 sinistra ▪ Da strati (2-3) con neuroni binoculari o L’occhio precedentemente deprivato viene aperto mentre l’occhio precedentemente aperto viene chiuso - Effetti comportamentali delle deprivazione o Prima di effettuare le registrazioni elettrofisiologiche viene aperto l’occhio deprivato e viene chiuso l’occhio che era rimasto aperto o L’animale si muove in modo incerto o Sbatte contro gli oggetti, anche contro i muri, che riesce a seguire con le vibrisse o Cade dal tavolo se posto a camminarci sopra Distribuzione preferenza oculare nel gattino deprivato binocular- mente alla nascita Distribuzione preferenza oculare nel gatto adulto - Risultati istologici nel NGL o A livello del NGL si conferma che gli strati con afferenze dall’occhio deprivato mostrano neuroni atrofici o Lo stesso grado di atrofia si manifesta anche nel caso di deprivazione binoculare, la quale pro- duce quindi atrofia in tutti gli strati di entrambi i NGL - Effetti comportamentali o Quando uno dei due occhi venne aperto, dopo 4 mesi di deprivazione binoculare, non emer- sero indicazioni che il gatto vedesse dall’occhio, né che seguisse oggetti in movimento che gli venivano presentati o Quattro mesi di deprivazione binoculare avevano reso l’animale cieco. Un risultato in linea con precedenti studi su deprivazione indotta mantenendo gli animali al buio 3.5 ESTENSIONE DELLA RIPRESA DAGLI EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE VI- SIVA DEI GATTINI Nell’ultimo lavoro della serie gli autori indagano un altro aspetto della plasticità nel sistema visivo, e cioè la capacità di recupero dai deficit indotti dalla deprivazione visiva. Gli effetti della deprivazione da luce per alcuni mesi portano a marcate anormalità nelle vie visive. La cecità è accompagnata da cambi morfologici nel NGL, e alla distruzione di connessioni con la corteccia visiva, che creano anormalità nella risposta binoculare dei neuroni. Questa forma di plasticità (mal adattamento o adat- tamento disfunzionale) indotta dalla deprivazione sembra essere riscontrabile solo nei primi mesi di vita (un gatto adulto deprivato per lo stesso periodo di tempo non mostra alcun deficit). - Metodo o Soggetti: 7 gattini o Deprivazione: 3 mesi di deprivazione dalla nascita, 6 monoculari e 1 binoculare o Recupero: periodo da 3 a 18 mesi ▪ A 2 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso ▪ A 4 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso, ma chiuso quello che era aperto ▪ Al deprivato binocularmente viene riaperto uno dei due occhi - Effetti comportamentali: testare il gatto appena nato (dopo 3 settimane) o dopo diversi mesi non cam- bia a livello di danni visivi. Il recupero è solo iniziale ma successivamente il sistema non recupera più la visione originale. Nei bambini ambliopi, nel periodo critico, viene coperto l'occhio sano per permettere all'occhio con deficit visivo di "allenarsi" (miglioramento nel periodo critico). o Ad un primo gatto è stato aperto l’occhio chiuso, ed è stata testata la visione coprendo l’altro occhio ▪ Inizialmente l’animale era cieco. Dopo 3 settimane ha mostrato qualche segno di recu- pero, riuscendo ad evitare oggetti molto grandi. Era comunque insicuro nei movimenti. Appena veniva riaperto l’occhio sano riprendeva il suo comportamento normale ▪ Dopo 3 mesi riusciva a seguire per qualche secondo gli oggetti, ma la visione non è mai tornata normale, sbattendo ancora contro oggetti piccoli (per esempio le gambe delle sedie) o Ad un secondo gatto è stato aperto l’occhio chiuso, ed è stata testata la visione dopo 18 mesi, coprendo l’altro occhio ▪ Nessun miglioramento particolare rispetto al primo gatto ▪ Il grado modesto di recupero era quello avvenuto nei primi 3 mesi dopo la riapertura dell’occhio o Quindi anche allungando di oltre 15 mesi il potenziale periodo di recupero non si osserva nes- sun beneficio particolare o Ad altri 4 gatti durante il periodo di recupero è stato chiuso l’occhio che era rimasto aperto durante la deprivazione monoculare o Questo per verificare se il recupero potesse essere indotto forzando l’animale ad «usare» l’oc- chio prima deprivato o Anche dopo 18 mesi il recupero era molto modesto ▪ Un gatto che era il leader del gruppo diventò sottomesso quando fu costretto ad usare l’occhio deprivato o Gli stessi effetti sono stati osservati anche nel gatto con deprivazione binoculare - Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione monoculare o In 3 animali dopo 3 mesi di chiusura dell’occhio destro questo fu aperto e fu chiuso il sinistro per altri 3 mesi o Dopo questi 3 mesi la registrazione mostra che i neuroni rispondono ancora solo all’occhio sinistro (quello inizialmente non deprivato) ▪ La deprivazione durante il periodo iniziale sembra essere cruciale - Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione binoculare o Nel gatto che aveva subito la deprivazione binoculare per 3 mesi è stato riaperto l’occhio de- stro o Dopo 18 mesi è stata registrata l’attività dei neuroni in V1 (NGL e V1 dipendono entrambi dal periodo critico, anche se si presentano come strutture differenti) ▪ La distribuzione della dominanza oculare non era particolarmente alterata, come ci si poteva aspettare da una deprivazione binoculare (iniziale) ▪ Nei neuroni che rispondevano (circa la metà), si sono osservate risposte anomale, so- prattutto in quelli che rispondevano all’occhio riaperto - Morfologia dei neuroni nel NGL o L’iniziale deprivazione monoculare per 3 mesi ha causato la nota atrofia della cellule del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso o Anche dopo 18 mesi dalla riapertura dell’occhio inizialmente chiuso non si è osservato nessun recupero dell’atrofia indotta dalla deprivazione iniziale o Si conferma che il periodo iniziale è cruciale nell’indurre una modifica morfologica, che non pare essere poi recuperabile - Conclusioni generali o Nella serie dei lavori che abbiamo visto, Hubel & Wiesel hanno dimostrato una forma di plasti- cità del sistema visivo Risposta dopo 3 mesi di recupero: nell’emi- sfero sinistro ci sono neuroni che rispondono solo all’occhio sinistro (ipsilaterale) Risposta dopo 3 mesi di recupero: nell’emi- sfero destro ci sono neuroni che rispondono solo all’occhio sinistro (controlaterale) Gli effetti dell’iniziale deprivazione per 3 mesi sembrano essere irreversibili o Attraverso la deprivazione monoculare e binoculare hanno messo in luce come esista un pe- riodo critico, che nei gatti corrisponde alle prime settimane di vita, durante il quale il sistema visivo può essere fortemente modificato a livello funzionale, morfologico e strutturale o La deprivazione monoculare induce ▪ Atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio deprivato, ma modesti cambiamenti funzionali ▪ Pochi cambiamenti morfologici ma sostanziali cambiamenti funzionali nelle proprietà di risposta dei neuroni in V1. I neuroni rispondono solo all’occhio non deprivato ▪ La deprivazione monoculare sembra indurre deficit maggiori di quella binoculare ▪ Se la deprivazione dura più di 3 mesi non è possibile nessun recupero funzionale e mor- fologico ▪ I deficit prodotti dalla deprivazione monoculare non sono dovuti al mancato normale sviluppo, quando ad una distruzione di connessioni esistenti già alla nascita ▪ Studi sull' iperstimolazione tattile nei bambini appena nati: iperstimolando un gruppo di neonati comparandolo ad un gruppo di controllo stimolato normalmente, si è ri- scontrata una maturazione precoce della corteccia visiva nel primo gruppo rispetto al secondo. Successivamente però, entrambi i gruppi hanno proseguito la maturazione visiva in modo analogo (in futuro può dare vantaggi per lo sviluppo?) o Il grado di recupero dipende dal periodo della deprivazione o Se la deprivazione supera il periodo critico il recupero possibile, in termini comportamentali, fisiologici e morfologici, è veramente modesto se non assente o Il grado di deficit prodotti dalla deprivazione dipende dal fatto che sia binoculare o monoculare, e quindi dalla interazioni corticali tra le afferenze dei due occhi 3.6 INVERSIONE DEGLI EFFETTI FISIOLOGICI DA DEPRIVAZIONE MONOCU- LARE IN GATTINI: ULTERIORI EVIDENZE SUL “PERIODO CRITICO” - Ulteriori evidenze circa la presenza del periodo critico o Grado di recupero dopo deprivazione monoculare - Metodo o Deprivazione monoculare e binoculare o La deprivazione monoculare era invertita tra i due occhi dopo un certo periodo di tempo È stato confermato che la sutura delle palpebre di un occhio (privazione monoculare), fino a solo 5 settimane di età, lascia praticamente ogni neurone nella corteccia visiva del gattino interamente dominato dall'altro oc- chio (dimostrazione sistema plastico). D'altro canto, la privazione di entrambi gli occhi non causa alcun cam- biamento nella normale dominanza oculare dei neuroni corticali, poiché la maggior parte delle cellule è gui- data da un binocolo (nessun effetto sulla dominanza oculare con switch a 14 settimane). 4. REMAPPING CORTICALE DA DEAFFERENZIAZIOINE Gli studi di Hubel & Wiesel (1963-1965) hanno dimostrato la presenza di un «periodo critico» post-natale du- rante il quale il sistema visivo mostra un elevato grado di plasticità a seguito di deprivazione sensoriale. Oltre tale periodo critico, i deficit prodotti dalla deprivazione non possono più essere recuperati, ma nemmeno in- dotti: la plasticità della corteccia visiva pareva quindi ristretta nel periodo critico. Lo studio della plasticità corticale è stato successivamente rivolto anche agli effetti della riduzione o elimina- zione dell’input sensoriale in aree corticale diverse da quella visiva. Una delle prime dimostrazioni della plasti- cità corticale nell’età adulta ha riguardato il sistema somatosensoriale dei primati (scimmie adulte). --- di conseguenza di è scoperto che il sistema somatosensoriale è il migliore per poter effettuare esperimenti di plasticità corticale su animali adulti poiché il periodo critico sembra avere una finestra, un periodo critico di lunga durata, quindi si può lavorare meglio rispetto al sistema visivo --- Pioniere dei questo tipo di studi sul sulla plasticità della corteccia somatosensoriale nei primati non umani è stato Michael Merzenich. Assieme ai suoi collaboratoti ha condotto una serie di studi nei quali ha testato la riorganizzazione delle aree corticali di rappresentazione della mano (aree di Brodmann 3b e 1), a seguito di deafferentazione dell’input cutaneo tramite taglio del nervo mediano. Lo studio è stato guidato da una serie di domande - Quali conseguenze si osservano nella corteccia somatosensoriale a seguito di un danno ai nervi perife- rici (nello specifico, al nervo mediano)? - I settori corticali delle aree 3b e 1 che non ricevono più input sensoriale rimangono silenti o iniziano a rispondere ad input da altre regioni cutanee? In altre parole: a seguito di denervazione periferica i settori corticali che si rappresentano la parte di cute denervata continuano a rappresentarsi tale di- stretto corporeo o sono riutilizzati da altri input sensoriali? Gli esperimenti di Merzenich - Soggetti: scimmie adulte - Tecnica: registrazione, tramite microelettrodi, della risposta corticale (aree 3b e 1 della corteccia so- matosensoriale) alla stimolazione cutanea di varie parti della mano - Sezione del nervo mediano della mano Il nervo mediano nella scimmia innerva la parte palmare della mano che va dal pollice a metà del dito medio. Rappresentazione corticale della mano nella corteccia SI (aree 3b e 1) nella scimmia Rappresentazione corticale della mano nella corteccia 3b e 1 nella scimmia dopo sezione del nervo mediano I risultati mostrano che l’area corticale che riceve afferenze dall’area della mano denervata non continua a rappresentarsi la stessa porzione di mano. L’area viene reclutata dall’input proveniente dalle zone della cute adiacenti rimaste innervate. Si osserva quindi un’espansione dell’area corticale che risponde sia al nervo Radiale sia a quello Ulnare, a sca- pito di quella che prima rispondeva al nervo Mediano. Dopo qualche mese dalla lesione l’occupazione è com- pleta, e non rimangono aree corticali silenti che si rappresentano zone della mano denervate. DINAMICITÀ DELLE MAPPE CORTICALI - I risultati dei lavori di Merzenich dimostrano che anche nei soggetti adulti le mappe corticali non sono statiche ma dinamiche (e questo procedimento si può anche prevedere in qualche modo poiché la rimappatura delle varie zone avviene tra zone vicine, anche se la competizione di input sensoriali po- trebbe anche rendere imprevedibile questo processo) - La rappresentazione corticale di una certa superficie corporea non è fissa, e le aree coinvolte possono essere dedicate ad altri segnali se queste smettono di essere stimolate dall’input sensoriale - Questo suggerisce che nella corteccia sensoriale normale sono in atto processi di competizione tra input sensoriali Radiale Mediale Area (in nero) in cui dopo la lesione non si osservano risposte cutanee in corteccia PRIMA della lesione sia in Area 1 sia 3b ci sono porzioni di tali aree che rispondono a stimola- zione da cute innervata dal nervo Mediale. DOPO la sezione non rimane corteccia che risponde al nervo Mediale, ma solo a quello Ulnare e Radiale. DOPO - Le varie rappresentazioni corticali dei distretti corporei creano una mappa che non è statica, ma che è mantenuta stabile da processi competitivi tra i vari input sensoriali Dopo aver visto gli studi sulla plasticità corticale indotta da deafferentazione nel sistema somatosensoriale di primati adulti passiamo a vedere studi analoghi nel sistema visivo. La domanda fondamentale cui hanno cer- cato di dare una risposta questi studi è se il sistema visivo in un mammifero adulto può essere soggetto a plasticità. In particolare: possono le mappe spaziali visive della corteccia riorganizzarsi? (Principio di precau- zione: assenza di prova non è prova di assenza) La corteccia visiva contiene diverse mappe spaziali del campo visivo che dipendono dalla distribuzione dei fotorecettori sulla retina (organizzazione topografica). Normalmente queste mappe spaziali (anche in altre modalità sensoriali) si sviluppano in modo regolare e consistente in tutti gli individui della specie. Le mappe visive possono essere però alterate da deprivazioni periferiche, come nel caso dello strabismo in- dotto alla nascita (Hubel & Wiesel, 1965). Tuttavia queste evidenze sembrano indicare una forma di plasticità in cui le modifiche nella organizzazione corticale possono avvenire solo durante un «periodo critico» post na- tale (Hubel & Wiesel, 1965). – evidenze degli esperimenti precedenti Quindi l’idea era che oltre tale periodo critico le rappresentazioni sensoriali a livello corticale rimangano rela- tivamente stabili nell’animale adulto. Questa prospettiva è però stata messa in discussione dagli studi di Mer- zenich sul sistema somatosensoriale nelle scimmie adulte (massiva riorganizzazione corticale dopo lesione nervo periferico della mano). Gli studi di Merzenich hanno dimostrato che, in un periodo che va da ore a settimane, la parte della corteccia che viene deprivata dell’input sensoriale si riorganizza in modo da rispondere ad input sensoriali provenienti da altri recettori cutanei. I neuroni della corteccia acquisiscono quindi nuovi campi recettivi, iniziando a pro- cessare informazioni dagli altri nervi (Radiale e Ulnare). Modello schematico di riorganizzazione corticale da deafferenzioazione periferica o I nuovi campi recettivi hanno proprietà di risposta normali, sia per quanti riguarda la selettività all’orientamento, al contrasto e alle frequenze spaziali o Le parti silenti della corteccia sono state completamente riattivate, attraverso una sposta- mento dei campi recettivi verso zone retiniche intatte I risultati del gruppo immediato dimostrano che una lesione bilaterale (locale in un occhio + enuclea- zione altro occhio sano) è necessaria per indurre una rapida riorganizzazione topografica della cortec- cia. Ma l’enucleazione dell’occhio sano è necessaria per la riorganizzazione corticale se si dovesse la- sciare molto più tempo per il recupero? - Risultati gruppo ritardato: o A quattro gatti vengono lasciati 2 mesi per recuperare dalla lesione, senza enucleazione dell’oc- chio sano o Vengono testati o Poi si procede ad enucleazione o Vengono quindi ritestati subito dopo Si noti, subito dopo l’enucleazione dell’occhio sano, la comparsa di nuovi campi recettivi attorno all’area lesionata. Questi sono i campi recettivi di quei neuroni corri- spondenti all’area lesionata. I neu- roni spostano il loro campo recettivo solo dopo la rimozione dell’occhio sano - Conclusioni o I risultati indicano che solo poche ore dopo la lesione retinica che depriva una parte della cor- teccia di input sensoriale si può osservare una profonda riorganizzazione corticale della zona deprivata o Perché questa riorganizzazione avvenga è necessaria una deprivazione binoculare, locale (oc- chio lesionato) e totale (occhio enucleato) o La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni pre-esistenti, normal- mente silenti a causa di meccanismi competitivi o I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale o I sistemi di riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio pos- sono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio (quando questa rimane normale) 5. REMAPPING CORTICALE DA STIMOLAZIONE Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denerva- zione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale. La parte della corteccia che si rap- presentava l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati. Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino. Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: - Le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si riorganizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale - A seguito della riorganizzazione non rimangono parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico - La parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, possiamo chiederci se analoghe modifiche cor- ticali possano essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o di- sconnessione. ESPERIMENTO DI JENKIS E COLL. (1990) Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990). I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organiz- zazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale, la cor- teccia si riorganizza. E’ possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimola- zione, possa produrre alterazioni corticali? Jenkins e coll. verificano quest’ipotesi testando gli effetti di un allenamento tattile sulla corteccia somatosen- soriale (area 3b) della scimmia adulta. - Metodo: o La stimolazione è ristretta ad una porzione limitata delle dita della mano o 6 scimmie adulte o Viene esposta la corteccia 3b e vengono impiantati gli elettrodi per mappare la mano - Normale rappresentazione corticale nell’area 3b della mano nella scimmia 2D 3D - Risultati esperimento di controllo in cui il disco rimane fermo o Nessun cambiamento corticale di rilievo: non basta toccare il disco; infatti occorre che lo stesso giri per permettere la stimolazione attiva della mano. Se il disco rimane fermo, l’iper- stimolazione non avviene. - Conclusioni: o I risultati dimostrano che i campi recettivi dei neuroni corticali possono essere alterati a se- guito di un uso esteso del recettori periferici o Gli studi che abbiamo visto sinora hanno riguardato mammiferi o addirittura primati non umani. Questo può indurci a ipotizzare che meccanismi analoghi funzionino anche nel cervello dell’essere umano. Ma come potrebbe essere testata questa ipotesi nell’essere umano? ▪ Elbert e collaboratori hanno testato l’effetto di una stimolazione intensiva delle dita della mano nell’essere umano • Soggetti: violisti, chitarristi e altri musicisti che usano estesamente le falangi di una mano (D2-D5) rispetto all’altra • Non musicisti come controlli • Sono stati applicati stimoli tattili alle dita mentre contemporaneamente ve- niva registrata la risposta corticale indotta da tali stimolazioni, e sulla base della quale è stata ricostruita la mappa corticale delle dita • I risultati hanno messo in luce un ampliamento della dimensione dell’area corticale che si rappresenta le dita della mano che premono le corde dello strumento o I risultati confermano che l’organizzazione corticale non è stabile ma dipende dall’input sen- soriale, non solo per il suo sviluppo, ma anche durante tutta la vita o I cambiamenti indotti dall’allenamento sono reversibili o Problema: qual è il ruolo dell’attenzione nella modulazione dell’input sensoriale, e nella suc- cessiva riorganizzazione corticale? Uno dei risultati emersi dallo studio di Jenkins et al. (1990) è che la riorganizzazione corticale era avvenuta solo nel caso in cui la scimmia toccava il disco rotante. Se il disco era fermo non si era osservato nessun cambia- mento significativo nella rappresentazione corticale delle falangi. Esiste però la possibilità che la differenza tra le due condizioni sia invece dovuta alla differenza di attenzione posta dall’animale al disco rotante piuttosto che stazionario. Quello rotante poteva essere più saliente. ESPERIMENTO DI RECANZIONE E COLL. (1992) Recanzone e collaboratori hanno esplorato questa possibilità in uno studio del 1992. - Metodo: o Soggetti: 10 scimmie adulte (Owl Monkeys) o Compito: l’animale deve riuscire a discriminare la presentazione di uno stimolo oddball su di una falange del dito medio o Gli stimoli standard sono stimoli vibro-tattili con una frequenza di 20Hz o Il target è uno stimolo con una frequenza superiore ai 20Hz o Registrazione dall’area somatosensoriale 3b o 700 trial al giorno - Due condizioni sperimentali o Tattile attiva: Attenzione allo stimolo tattile, solo stimoli tattili e compito tattile o Tattile passiva: Attenzione allo stimolo uditivo, presentazione di stimoli uditivi sui quali l’ani- male deve fare una discriminazione di frequenza + stimolazione tattile passiva - Risultati o La rappresentazione del dito stimolato è stata confrontata con quella: ▪ Di un dito vicino a quello stimolato ▪ Del dito corrispondente nella mano non allenata ▪ Dito vicino a quello corrispondente non allenato ▪ Del dito stimolato passivamente (compito uditivo) o Grandezza della rappresentazione delle dita ▪ Il confronto con il dito adiacente a quello stimolato non mostra differenze nella gran- dezza dell’area che si rappresenta il dito ▪ Il confronto con il dito corrispondente a quello stimolato nella mano non stimolata, non mostra differenze nella grandezza dell’area rappresentata ▪ Il confronto tra la condizione di stimolazione tattile attiva e passiva non mostra diffe- renze per quanto riguarda la dimensione della rappresentazione corticale del dito sti- molato. Che si presti attenzione o meno, non vi sono differenze apparenti. o L’analisi della dimensione delle rappresentazione corticali del dito stimolato non ha messo in luce alcuna differenza tra le varie condizioni o E’ stata però condotta un’analisi più precisa confrontando le varie condizioni solo in merito all’area del dito specificatamente stimolata. Si sono quindi confrontate le rappresentazioni corticali facendo riferimento allo specifico punto stimolato sul dito. Quando il confronto ri- guarda solo lo specifico punto di stimolazione attiva, ed un punto analogo nel dito adiacente non stimolato, allora emerge un chiaro incremento dell’area corticale indotto dalla stimola- zione attiva. Se la stimolazione è passiva NON emerge NESSUN incremento dell’area corticale quando confrontata con il dito adiacente. Dimostrazione che la sola stimolazione non è suffi- ciente per indurre un remapping corticale. Occorre anche l'attenzione attiva al compito, la quale funge da stimolatore. In determinate condizioni però, l'apprendimento e riorganizza- zione corticale può avvenire anche per l'attenzione passiva (Dinse) - Conclusioni: o I risultati del lavoro di Recanzone e collaboratori confermano quelli dello studio precedente dei Jenkins o Si dimostra che la rappresentazione corticale somatosensoriale può essere modificata dalla stimolazione sensoriale, ma solo per lo specifico sito di stimolazione o Si dimostra inoltre che non basta che tale stimolazione avvenga passivamente, ma deve essere una stimolazione rilevante per l’animale o L’attenzione gioca quindi un ruolo cruciale nel modulare la plasticità corticale Within subject Between subject Abbiamo visto che lesioni periferiche (nervi della mano o porzioni della retina) inducono una riorganizzazione topografica della corteccia, sia somatosensoriale (SI) che visiva (V1) [Merzenich et al. (1983); Kaas et al. (1990)]. Esistono inoltre evidenze che la corteccia somatosensoriale si riorganizza anche a seguito di una iper- stimolazione attiva di alcuni distretti corporei [Jenkins et al. (1990); Recanzone et al. (1992)]. Come si comporta la corteccia uditiva? Esistono evidenze che anche la corteccia uditiva si riorganizza tonoto- picamente a seguito di lesioni cocleare specifiche che impediscono la percezione di certe frequenze (Ro- bertson & Irvine, 1989). ESPERIMENTO DI RECANZONE ET AL. (1993) In uno studio del 1993 Recanzone e collaboratori dimostrano una analoga riorganizzazione tonotopica a se- guito di un training su di una specifica frequenza. - Metodo: o Soggetti: scimmie adulte o Allenate per vari giorni a distinguere stimoli di una certa frequenza target o Alla fine del training registrazione da A1 (corteccia uditiva primaria) o Confronto dell’ampiezza della zona di corteccia che si rappresenta la frequenza stimolata tra scimmie allenate e non allenate - Risultati: o Psicofisica: l’allenamento produce un miglioramento della prestazione discriminativa che si traduce in una riduzione della differenza di frequenza tra target e non target. Dopo 60 giorni di training bastano meno Hz per la percezione del secondo stimolo (procedura adattiva: riduzione graduale della soglia percettiva) Soglia differenziale Hz: differenza minima percepi- bile tra uno stimolo ed un altro o Mapping corticale: in parallelo al miglioramento di prestazione, l’allenamento induce una espansione dell’area corticale che si rappresenta la fre- quenza allenata, ma non se presentata passivamente - Conclusioni o Anche la corteccia uditiva mostra la capacità di riorganizzarsi non solo a seguito di lesioni ma anche in risposta ad un allenamento specifico (per una certa frequenza) o Inoltre, a conferma di quanto emerso nel lavorio di Recanzone et al. (1992), i risultati dimo- strano ancora una volta il ruolo cruciale dell’attenzione nel regolare questa forma di plasticità corticale A: 2,5KHz presentazione passiva B: 2,5KHz presentazione attiva La teoria Hebbiana (1949) spiega come avverrebbe l’apprendimento (associativo) a livello neurale. Descrive i meccanismi della «plasticità sinaptica», che sta alla base dell’apprendimento. La plasticità sinaptica è un pro- cesso per mezzo del quale un incremento dell’efficacia sinaptica è prodotto dalla persistenze e ripetuta stimo- lazione del neurone postsinaptico da parte dei quello pre-sinaptico. Regola di Hebb (1949): - Qualsiasi coppia di cellule o sistema di cellule che sono ripetutamente attive allo stesso momento tendono a diventare «associate», così che l’attività di una facilita l’attività dell’altra (principio di coat- tivazione) - Quando una cellula interviene ripetutamente nell’indurre la scarica in un’altra, l’assone della prima cellula sviluppa bottoni sinaptici (o ingrandisce quelli che ha già) in contatto con la seconda cellula ➔ Cellule che scaricano assieme tendono ad essere collegate assieme STUDIO DI FRÈGNAC ET AL. (1988) Sulla base dei meccanismi di plasticità sinaptica teorizzati da Hebb, lo studio di Frègnac et al. (1988) indaga la plasticità dei campi recettivi dei neuroni. - Procedura: o Soggetti: ▪ Gattini ▪ Gatti adulti o Metodo ▪ Procedura di accoppiamento tra stimolo e risposta modulata da ionoforesi • Ionoforesi: tecnica attraverso la quale viene modulata la risposta fisiologica della cellula ad uno stimolo. La modulazione avviene attraverso la sommini- strazione al neurone di correnti positive o negative o Stimoli ▪ Stimolo S+ o stimolo S-, in grado di evocare risposte diverse nella cellula per quanto riguarda dominanza oculare e orientamento o Controllo ▪ Presentazione di S+ e S- senza ionoforesi o Pseudo Pairing ▪ Presentazione di S+ e S- senza relazione con ionoforesi o Pairing ▪ Presentazione sistematica di S+ seguito da corrente positiva e S- seguito da corrente negativa o Condizioni sperimentali ▪ 50 sequenze di S+ e S- per ogni condizione ▪ Uno stimolo evocava una risposta maggiore dall’occhio destro ed era verticale, mentre l’altro evocava una risposta maggiore dall’occhio sinistro ed era orizzontale - Risultati o Effetti della ionoforesi sulla risposta di dominanza oculare di un neurone monoculare sinistro o Effetti della ionoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento: neurone verticale. Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che passa da una selettività di risposta per lo stimolo verticale ad una selettività per quello oriz- zontale. La tecnica utilizzata ha consentito di cambiare le proprietà del campo recettivo dei neuroni, modificando sia la loro dominanza oculare sia la selettività per l’orientamento. Gli effetti più forti di questa plasticità neurale sono stati dimostrati nei gattini durante il periodo critico. Tuttavia effetti analoghi anche se minori sono stati Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da prevalentemente monoculare sinistro diventa binoculare con leggera prefe- renza sinistra. Inizialmente la cellula mostra una marcata preferenza mono- culare sinistra. La ionoforesi si è accoppiata con la presentazione dello sti- molo all’occhio destro ma non al sinistro. Nella fase di test a vari intervalli dalla procedura di pairing, la cellula mostra una risposta aumentata all’occhio destro. Inizialmente la cellula mostra una marcata preferenza per l’orientamento verticale. La ionoforesi è applicata nei seguenti accoppiamenti: S+ orizzontale ed S- verticale. Nella fase di test a vari intervalli dalla procedura di pairing, la cellula mostra una risposta aumentata allo stimo orizzon- tale e ridotta a quello verticale (inizialmente preferito). Stimolo orizzontale Stimolo verticale osservati anche nei gatti adulti. La plasticità si osserva anche a livello del campo recettivo del neurone. La modifica è probabilmente dovuta ad un meccanismo di plasticità sinaptica che si basa sulla correlazione tem- porale di risposta pre e post sinaptica, qui modulata attraverso ionoforesi. I dati sono compatibili con la teoria di Hebb sull’apprendimento e la plasticità sinaptica. STUDIO DI BAKIN & WEINBERGER (1990) Bakin & Weinberger (1990) si chiedo se le proprietà del campo recettivo del neurone dipendano solo dalle proprietà dello stimolo o se queste possano essere modificate dalla rilevanza dello stimolo per l’animale (pla- sticità del campo recettivo indotta tramite condizionamento classico). - Metodo: o Soggetti: ▪ 8 maschi adulti di Guinea Pig (porcellino d’India o cavia domestica) o Procedura: ▪ Prima viene misurata la risposta neurale a varie frequenze acustiche, e si identifica la miglior risposta della corteccia uditiva (10 kHz) ▪ Poi si inizia una procedura di condizionamento avversivo, in cui un tono di 6kHz anticipa di 2 secondi due scosse elettriche ▪ Condizione di controllo di pseudo condizionamento, in cui il tono non predice mai la scossa, ma vengono dati lo stesso numero di toni e scosse ▪ Si stima ancora la risposta corticale alle varie frequenze acustiche - Risultati o L’animale mostra una serie di risposte comportamentali allo stimolo condizionato come mo- vimenti della testa, arretramento, masticazione (tono di 6kHz) o Questo assicura che il condizionamento è avvenuto, e l’animale ha identificato lo SC (6kHz) come un evento saliente che predice l’arrivo dello SI (scossa) - Risultati elettrofisiologici o La procedura di condizionamento modifica la risposta alle frequenze nelle cellule registrare: cambio di "frequenza preferita" da parte dell'animale, da quella naturale a quella post condi- zionamento o Procedura: ▪ La discriminazione dei vari grating, semplici o complessi, si basa su di un compito a scelta forzata a 2 intervalli (2AFI) ▪ Nel compito con i grating complessi c’è un grating di riferimento, a, che viene presen- tato con il grating b, c, oppure d • Ogni grating presentato per 100 ms. ISI=500ms ▪ I due grating sono presentati in due intervalli separati ▪ Il primo grating è presentato con un suono ▪ Il soggetto riporta se il grating a era presente nel primo (con suono) o secondo intervallo ▪ La stessa procedura è usata per studiare la discriminazione dei grating semplici con di- verse frequenze spaziali ▪ Il grating di riferimento aveva una frequenza spaziale pari a 10Hz. Il grating test pari al 7% in più ▪ Per trovare lo stimolo difficile, si usano degli stimoli adattivi (al collettivo o al semplice soggetto). Parto presentando stimoli (abbastanza difficile per il collettivo, semplice per i soggetti) e si adatta finché non si ottiene che solo il 70% delle persone risponde cor- rettamente (esempio). Fatto ciò si ottiene lo stimolo discriminativo che permette l’ap- prendimento. La variabile è il parametro dello stimolo fisico che permette di ottenere il 70% di risposte corrette del soggetto. Processo a staircase. ▪ Nelle prime 3 sessioni sperimentali ogni soggetto è testato con gli stimoli complessi verticali, oppure con gli stimoli semplici con una certa frequenza spaziale di riferimento (10Hz). Questo per valutare gli effetti dell’apprendimento e del suo mantenimento nel tempo ▪ Nelle successive sessioni sperimentali i grating complessi vengono presentati ruotati di 90°, cioè orizzontali. Quelli semplici con una nuova frequenza di riferimento più alta. Questo per valutare il grado di trasferimento del PL da un set di stimoli ad un altro con altri parametri (orientamento oppure frequenza) ▪ Numero di prove: da 100 a 500 per sessione o Soggetti: 10 ▪ 5 soggetti esperti di esperimenti di psicofisica ▪ 5 soggetti naive (senza esperienza) - Risultati: apprendimento del compito o Compito con grating complessi di differente forma d’onda A sinistra: forma d’onda complessa Sopra: forme d’onda semplice Differenti contrasti in base alla forma d'onda. Grating caratterizzati da più onde di diverso contrasto all'interno di onde "principali" ▪ I risultati mostrano un chiaro effetto dell’appren- dimento. I soggetti diventano sempre più bravi nel discriminare gli stimoli, in tutti e 3 gli accop- piamenti. Si mostra quindi PL o Compito con i grating semplici di diverse frequenze spaziali ▪ I risultati mostrano che in questo tipo di compito non c’è apprendi- mento. Quindi non si evidenzia PL - Risultati: mantenimento del compito o Compito con i grating complessi di differente forma d’onda ▪ Il PL si mantiene di sessione in sessione nei vari giorni. Ad ogni nuovo giorno il livello di AC parte da un va- lore sempre più elevato. Un soggetto è stato testato a 6 settimane di distanza e il PL era parzialmente conservato. - Risultati: PL specifico per orientamento o Compito con i grating complessi di differente forma d’onda ▪ Con l’orientamento orizzontale, si può vedere come il trasferimento non ci sia stato (crollo delle prestazioni), dimostrando la specificità dell’apprendimento al singolo sti- molo che viene presentato. Il PL si dimostra specifico per l’orientamento dello stimolo anche quando la caratteristica appresa è la forma d’onda. Esiste trasferimento sino ad una rotazione di 30°. A 45° il PL non si trasferisce più ▪ Il PL si dimostra specifico anche per la frequenza spaziale dello stimolo. Se allenato con stimolo a 3c/d quando si passa a 6c/d il PL deve ricominciare ▪ c/d = CICLI PER GRADO (ANGOLO) VISIVO, numero più alto -> immagine più fitta SPECIFICITÀ PER POSIZIONE SPAZIALE Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per posizione dello stimolo, o se si trasferisce nelle varie parti del campo visivo, alcuni soggetti sono stati allenati in due differenti parti del campo visivo. Questo vieni giustificato a prescindere per via dei campi recettivi piccoli dei neuroni. Quando dopo aver appreso la discriminazione di forma d’onda con gli stimoli verticali si passa a quelli orizzontali la presta- zione riparte dal valore inziale. Non c’è trasferimento del PL, che si dimostra specifico per la caratteristica dello stimolo ESPERIMENTO 2 - Metodo: o Uguale all’Esperimento 1 solo che viene tolto il feedback ad ogni trial per valutare il suo effetto sul PL. In realtà alla fine di ogni sessione viene dato un feedback complessivo sulla prestazione nella sessione - Risultati o Il feedback non è necessario per l’apprendi- mento lungo gli assi cardinali o Ha un ruolo modesto su quelli obliqui o L’aiuto fornito dal feedback lungo gli assi obli- qui probabilmente dipende dal fatto che il compito in queste condizioni è più difficile e quindi un aiuto dal parte del feedback in con- dizioni di maggior incertezza può migliorare il PL Lo scopo dei prossimi esperimenti è quello di cercare di individuare, per quanto possibile, le basi neurali del PL associato alla discriminazione della direzione di movimento. Per capire lo stadio a cui avviene il PL usano la manipolazione dell’allenamento monoculare. La logica è che se il PL non trasferisce da un occhio all’altro allora le basi neurali possono essere identificate o nello strato 4 di V1, o prima nel NGL. Oltre questi stadi i neuroni diventano per i 4/5 binoculari e quindi dovrebbe osservarsi trasferimento. ESPERIMENTO 4 - Metodo: o Uguale all’Esperimento 1 con le seguenti modifiche ▪ Training monoculare ▪ Test monoculare per entrambi gli occhi Direzione allenata Area di trasferimento del PL ri- spetto alla direzione allenata - Risultati: ESPERIMENTO 5 - Metodo: o Uguale all’Esperimento 2 con le seguenti modifiche ▪ Test e training solo sull’occhio destro ▪ Rispetto al punto di fissazione viene presentato il movimento nell’emicampo destro (emiretina nasale destra -> emisfero sinistro) oppure sinistro (emiretina temporale de- stra -> emisfero destro) ▪ Test su due direzioni: 90° o 180° ▪ Training solo su una direzione e un emisfero - Risultati: o L’obiettivo è verificare se il PL per la direzione allenata in un emisfero trasferisce anche all’altro emisfero o I risultati dimostrano che quanto il test viene fatto sullo stesso emisfero del training (condizione SAME) si osserva PL. Il PL però non trasferisce dall’emisfero allenato a quello non allenato, e quindi il test nell’emisfero diverso (condi- zione DIFFERENT) non mostra segni di apprendimento Dopo il training l’occhio allenato mostra una pre- stazione leggermente migliore di quello non alle- nato. Tuttavia anche quello non allenato mostra un chiaro miglioramento rispetto al test iniziale. Viene stimata la percentuale di trasferimento in- teroculare del PL, che è pari al 74%. Questo indica che buona parte del learning coin- volge neuroni binoculari (trasferimento parziale). LAVORO DI KARNI E SAGI (1991) Cercano di determinare quale sia il livello neurale a cui avviene il PL nei compiti di discriminazione di tessitura. L’interesse di partenza era quello di valutare se e che tipo di apprendimento è possibile osservare in un com- pito di segregazione figura-sfondo (texture segregation). ➔ Processo automatico e pre-attentivo ➔ Si ritiene avvenga a livelli precoci dell’elaborazione visiva (V1-V2) È possibile migliorare le proprie prestazioni in compiti di texture segregation, che coinvolgono stati così precoci di elaborazione dell’informazione? Gli autori sono inoltre interessati a valutare la specificità di questo tipo di apprendimento, in termini di: - Orientamento - Posizione spaziale (retinotopia) - Monocularità - Metodo o Partecipanti: ▪ 5 soggetti inesperti (naive) ed uno degli autori o Procedura: ▪ I soggetti venivano sottoposti a sessioni di 16-20 blocchi di 50 prove ciascuno (circa 1000 prove a sessione) ▪ Le sessioni venivano svolte a distanza di 1-2 giorni o Stimoli ▪ Usano la tecnica del masking per ridurre la visibilità dello stimolo e rendere il compito impegnativo Gli stimoli erano composti da trame (textures) in cui il target (foreground) era composto da tre elementi che si distinguevano dallo sfondo (background) solo per il loro orientamento La posizione esatta del target veniva variata casual- mente all’interno di un area ristretta della scena vi- siva di modo da permettere una successiva misura- zione del grado di trasferimento su altre posizioni Per assicurarsi che i soggetti mantenessero lo sguardo fisso al centro, e quindi i target venissero presentati sempre nella stessa posizione retinica, veniva presentato un compito centrale (compito a scelta forzata sul riconoscimento di lettere) - Trasferimento inter-oculare o Ultimo esperimento in cui gli autori valutano il grado di trasferimento dell’apprendimento tra i due occhi o 3 partecipanti sottoposti allo stesso paradigma di training ma su un solo occhio, mentre l’altro veniva bendato per tutta la durata delle sessioni o I risultati dimostrano una percentuale di trasferimento piuttosto bassa (18%), paragonabile a quella ottenuta spostando i target su una nuova posizione all’interno dello stesso quadrante - Conclusioni o I risultati di questo studio indicano che l’efficienza con cui i partecipanti riescono ad estrarre informazioni rilevanti da una texture può essere migliorata attraverso la pratica, fino ad una drastica diminuzione del tempo necessario per una corretta elaborazione degli stimoli o Questo tipo di apprendimento risulta specifico per posizione ma non per orientamento dei- target o Tuttavia l’apprendimento risulta specifico per l’orientamento delle linee sullo sfondo. Gli au- tori non forniscono una spiegazione convincente per questo risultato Il lavoro di Karni e Sagi ci dà una prima idea di come Il PL sia un fenomeno complesso, strettamente legato al tipo di compito ed ai meccanismi visivi coinvolti. Ma cosa ci può dire la specificità retinica che è stata osservata nel loro studio in merito allo stadio di analisi in cui avviene il PL? SCHOUPS, VOGEL & ORBAN (1995) L’intento principale del loro studio è quello di investigare a fondo il trasferimento e la specificità del PL, te- nendo in considerazione varie posizioni spaziali a distanza diversa da quella addestrata. Inoltre gli autori inten- dono studiare anche il trasferimento del PL a livello interoculare. - Metodo o Partecipanti: 6 soggetti naïve o Stimoli: gratings definiti da strisce di rumore visivo, della grandezza di 2.5° - Procedura o Un solo grating veniva presentato ad ogni prova per 300 ms o I partecipanti dovevano rispondere se il grating era orientato in senso orario o antiorario rispetto ad un’inclinazione di riferimento (inclinazione a sinistra) o Venivano effettuati 16 blocchi di 100 prove al giorno, fino al raggiungimento dell’asintoto di apprendimento o Ad ogni blocco veniva utilizzata una procedura staircase up-down che puntava all’84% di ri- sposte giuste o Questa percentuale era chiamata JND (Just Noticeable Difference) e forniva una misura in gradi di angolo visivo (inclinazione dello stimolo dai 45°) della capacità discriminativa del sog- getto - Risultati: o Tutti I soggetti migliorarono le prestazioni nel compito di discriminazione di orientamento o Il training è evidente come gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.) o Se però viene ruotato lo stimolo di 90° il PL viene perso e deve ricominciare o L’effetto è presente nel gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.) o Così come nei risultati di Karni e Sagi, l’apprendimento era rapido nella fase iniziale e rallen- tava dopo le prime 5-10 sessioni Trasferimento retinotopico Dopo aver testato lo stimolo su varie posizioni spaziali, gli autori osservarono una completa mancanza di tra- sferimento. Trasferimento inter-oculare 4 soggetti vennero sottoposti a training monoculare nel compito di discriminazione di orientamento. Dopo il raggiungimento del grado massimo di apprendimento, vennero testati con gli stessi stimoli, ma sull’occhio non addestrato. 3 dei 4 soggetti mostrarono un trasferimento inter-oculare completo. 1 2 1 3 1 4 1 5 1 7 1 6 1 1 2 1 3 1 4 1 5 1 fovea 6 - 7 fovea Non avviene apprendimento nelle sessioni sperimentali. Occorre consolidamento tra una sessione e l'altra: riposo (sonno per il consolidamento della memoria). Non è ancora evidente il motivo per il quale a volte oc- corra un consolidamento tra i trials sperimentali mentre altre no. L’apprendimento pare aver luogo solo tra sessioni consecutive in diversi giorni. Gli autori ipotizzano che sia necessaria una fase di consolidamento dell’apprendimento che avviene durante il sonno notturno. - Conclusioni: o L’apprendimento percettivo legato alla pratica porta ad un significativo aumento della capa- cità di discriminare orientamenti Nel successivo esperimento i ricercatori si chiedono quale sia il ruolo dell’attenzione nel PL. Alcuni lavori pre- cedenti avevano già messo in luce che l’attenzione è importante per il PL, ma non è chiaro quanto debba essere specifico. Uno stimolo può avere più caratteristiche che lo definiscono, e quindi basta che l’attenzione diretta allo stimolo o è selettiva per la caratteristica dello stimolo attesa? Esperimento 3 - Stimoli: o Linee inclinate a 7° o 9.8° o Luminosità: ▪ 48 o 21 cd/m2 (compito facile) ▪ 48 o 31 cd/m2 (compito difficile) o Orientamento e luminosità variati in modo ortogonale (indipendente) - Compito: o Discriminazione («stessa luminosità» o «diversa luminosità»?) - Metodo o Test iniziale su discriminazione orientamento o 5 sessioni di training su discriminazione della luminosità o Test finale su discriminazione orientamento o Feedback sempre assente - Previsioni in merito all’effetto sull’orientamento o HP 1: allenamento su luminosità non ha effetto su discriminazione orientamento o HP 2: anche se si presta attenzione alla luminosità è sufficiente per indurre apprendimento percettivo di tutto lo stimolo, e quindi anche sull’orientamento (ma miglioramento solo nella posizione allenata) - Risultati o Non c’è differenza significativa tra pre-test e post-test nel compito di orientamento né per coloro che si sono allentati con compito facile né difficile. o Il miglioramento non è maggiore nella posizione allenata rispetto a quella non allenata, e quindi non dipende dall’allenamento o Questo significa che senza attenzione alla specifica caratteristica non c’è PL - Conclusioni o Il miglioramento è specifico per posizione retinica e orientamento dello stimolo o Può avvenire anche in assenza di feedback durante l’apprendimento → «unsupervised lear- ning mechanism» o L’apprendimento non ha bisogno di feedback ma richiede l’attenzione sulla caratteristica che rilevante per il compito AHISSAR & HOCHSTEIN (1993) Diversi studi hanno mostrato che l’apprendimento percettivo è altamente specifico per le caratteristiche dello stimolo usato durante l’allenamento, e questo fa supporre che l’apprendimento avvenga ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. Lo scopo di questo studio è scoprire se l’apprendimento percettivo è un fenomeno che è completamente determinato in modo bottom-up o se meccanismi di controllo di tipo atten- tivo possono intervenire controllando il processo di apprendimento anche quando si suppone che avvenga a livelli precoci del sistema visivo - Stimoli o Matrici da 5x6 o 6x5 elementi o Gli elementi sono inclinati di 30° o 60° o I due parametri sono variati in modo ortogonale o Mask: matrice di 7x7 elementi (asterischi) - SOA (Stimulus Onset Asynchrony) o Compreso tra 16 e 183 ms - Compiti o Identificazione globale: la configurazione della matrice è un rettangolo verticale o orizzontale? o Detezione locale: C’è un elemento con orientamento diverso nella matrice? o Feedback per risposte corrette - Ogni sessione di training iniziava con un SOA lungo che gradualmente veniva diminuito fino a raggiun- gere il valore minimo (valori iniziali: max 183ms e min 16ms). → 16ms è il tempo di refresh dello schermo, quindi si è scelto quel tempo per questioni tecniche - In base alla performance nei primi blocchi, vengono scelti i valori estremi del blocco successivo. o SOA massimo è il più breve che permette una performance del 95% o SOA minimo è il più lungo che permette una performance del 55% o Prestazione media nel blocco di 75% o Valori vengono adattati di volta in volta - Viene misurato il valore di SOA a cui i partecipanti hanno una prestazione del 82% - Risultati o In seguito all’allenamento diminuisce il tempo di esposizione dello stimolo necessario ad ot- tenere la stessa accuratezza (spostamento verso sinistra e verticalizzazione della curva psico- metrica), sia per il compito locale che per quello globale. Il SOA per accuratezza del’82% dimi- nuisce mediamente di più del 50% in seguito a training ad asintoto. o Il miglioramento della performance è specifico per le caratteristiche fisiche dello stimolo. Que- sto suggerisce che l’apprendimento avviene ad un livello in cui i diversi attributi dello stimolo (come orientamento e dimensione), sono analizzati separatamente. o La specificità dell’apprendimento è limitata alle caratteristiche che sono rilevanti per il com- pito utilizzato durante l’allenamento. Una domanda interessante è: cosa succede se, nella fase di test, lo stimolo rimane lo stesso usato durante l’allenamento, ma il compito è diverso? L’apprendimento è guidato solo dalle caratteristiche dello stimolo o c’è specificità dell’apprendimento anche per il contesto comportamentale in cui avviene l’apprendimento? Il Lavoro di Shiu & Pashler aveva suggerito un ruolo specifico dell’attenzione - Risultati: stessi stimoli ma compito diverso o L’allenamento sul compito locale porta ad un miglioramento della performance sul compito allenato, ma non sul compito globale. Nel compito globale il learning viene perso quando si riduce la di- mensione della matrice. Nel compito locale il learning viene perso quando si ruotano gli ele- menti della matrice e quando si cambia la sua dimensione o Ripetuta stima delle curve psicometriche (step 2) - Risultati: soglia complessiva o Tutti i partecipanti migliorano in seguito al training, sia nel compito di detezione che in quello di discriminazione - Risultati: funzioni psicometriche - Conclusioni o Apprendimento di discriminazione si trasferisce a detezione, ma non viceversa. La direzione del movimento, che non era rilevante per il compito, non fa parte delle informazioni che ven- gono apprese nel compito di detezione, e quindi non trasferisce al compito di discriminazione. Viceversa il compito di discriminazione richiede sempre anche di rilevare la presenza del mo- vimento (detezione) e quindi l’allenamento trasferisce al compito di detezione o I risultati di questi studi suggeriscono che l’attenzione sia un meccanismo fondamentale per il controllo dell’apprendimento percettivo o Perché ci sia apprendimento non solo bisogna portare l’attenzione su uno stimolo, ma bisogna anche selezionare attivamente la caratteristica che si vuole apprendere. Allenamento su dete- zione migliora la dete- zione ma non la discrimi- nazione. A e C Allenamento su discrimi- nazione migliora la discri- minazione ma anche la detezione. B e D 7.3 SPECIFICITÀ E TRASFERIMENTO Abbiamo visto che esiste un notevole livello di specificità nell’apprendimento di semplici stimoli visivi: - Specificità per posizione - Specificità per orientamento - Specificità per frequenza spaziale - Specificità per direzione di movimento - Specificità per compito (globale vs. locale) L’elevato livello di specificità è in parte un problema per il PL, perché lo rende limitato alle caratteristiche dello stimolo/compito usato durante l’allenamento. Una questione interessante è se questa specificità sia inevitabile, o se possa essere in qualche modo superata/attenuata. E’ quindi possibile indurre una generaliz- zazione o trasferimento del PL? ESPERIMENTO DI XIAO, ZHANG, WANG, KLEIN, LEVI E YU (2008) Come si può spiegare la specificità del PL? La spiegazione tradizionale è che l’allenamento cambi qualche proprietà di risposta dei neuroni delle aree visive primarie. L’allenamento provocherebbe una regolazione della proprietà di risposta (tuning) dei neuroni, in modo che diventino sempre più sensibili alla caratteristica allenata. PL come turning in aree visive primarie Esiste però anche un’altra spiegazione, che presuppone che il PL non dipenda da cambiamenti nelle pro- prietà di risposta dei neuroni nelle aree visive primarie. Il PL avviene perché cambiano le connessioni tra aree decisionali di alto livello e i neuroni sensoriali. Dipende dal peso che le connessioni hanno in base allo stimolo (attenzione, solo ciò che mi interessa). Meccanismo del ripesaggio delle connessioni. PL COME TUNING DELLE CONNESSIONI TRA AREE DI ALTO LIVELLO E AREE VISIVE PRIMARIE - Nessun cambiamento nelle proprietà di risposta in V1 - Il PL dipenderebbe dal fatto che le aree decisionali si connettono meglio con i neuroni rilevanti per il compito, riducendo le connessioni con quelli meno rilevanti - Meccanismo di re-weighting (ripesaggio delle connessioni) - Il meccanismo di re-weighting è specifico per posizione allenata - L’unità decisionale per ottimizzare le connessioni deve essere quindi collegata con una certa area del campo visivo - L’idea di Xiao et al. è quindi vedere se si può trasferire il learning preparando il collegamento PARADIGMA DEL DOUBLE TRAINING Prevede tre fasi distinte - Nella prima fase – FEATURE LEARNING - si allena la discriminazione di una certa caratteristica dello stimolo (p.e. orientamento) nella posizione 1 - Nella seconda fase – LOCATION LEARNING - si allena la discriminazione di una diversa caratteristica (p.e. contrasto) dello stimolo nella posizione 2 - Nella terza fase si testa la caratteristica allenata in 1 nella posizione 2 per valutarne l’eventuale trasfe- rimento ESPERIMENTO 1 - Compito o 8 partecipanti o Discriminazione di contrasto in una scelta forzata a 2 intervalli (2IFC) (“Quali dei 2 stimoli ha contrasto maggiore?”) o Usi di una staircase per stimare la soglia di contrasto al 80% di risposte corrette - Procedura o 6 sessioni di allenamento o 2 ore di allenamento per sessione di una posizione o Test in una posizione diversa nello stesso emisfero Xiao et al. (2008) ipotizzano che il double training consenta il trasferimento perché l’attenzione in posizione 2 mette in collegamento questa posizione con l’unità decisionale, che poi può trasferire il compito appreso in posizione 1. ESPERIMENTO DI MASTROPASQUA ET AL. (2015) ESPERIMENTO 1 L’obiettivo è replicare la specificità spaziale del PL in un compito di di- scriminazione di orientamento di un gabor (800 trial per sessione gior- naliera) - Risultati o Si conferma la specificità spaziale del PL per quanto riguarda la discriminazione di orientamento ESPERIMENTO 2 Il lavoro di Xiao et al. (2008) suggeriva che il trasferimento poteva avvenire perché il doppio compito portava l’attenzione nella seconda posizione, mettendola quindi in collegamento con l’unità decisio- nale. Nel lavoro di Xiao nella seconda posizione non c’era solo l’at- tenzione ma veniva svolto anche un compito. Si ottiene lo stesso tranfer senza compito ma solo se viene portata l’attenzione? - Paradigma: in ogni prova il gabor nella posizione 1 era se- guito da un onset nella posizione 2 (l’onset serviva per por- tare l’attenzione in posizione 2) - Risultati o Solo l’attenzione nella posizione 2 non basta a favo- rire il trasferimento del PL dalla posizione 1 alla 2 ESPERIMENTO 3 L’obiettivo è verificare/confermare che con un compito nella posizione 2 è possibile indurre trasferimento del PL dalla posizione 1. Inoltre, diversamente da Xiao et al. (2008), in posizione 2 viene usato un compito (discri- minazione X vs Y) con uno stimolo completamente diverso da quello usato per il PL in posizione 1. - Paradigma o Posizione 1: orientamento gabor o Posizione 2: X oppure Y? - Risultati o Si osserva completo trasferimento del PL dalla posizione 1 a 2 o C’è PL anche nella posizione 2 nel compito X/Y ESPERIMENTO 4 - Obiettivo: quanto è importante la quantità di allenamento nella posizione 2 affinchè trasferisca il PL dalla posizione 1? Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) nella posizione 2 appare solo nel 20% delle prove. - Risultati: nessun trasferimento! ESPERIMENTO 5 - Obiettivo: è sufficiente la stimolazione passiva nella posi- zione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) appare ma non è richie- sto alcun compito. - Risultati: Nessun trasferimento! CONLUSIONI Gli esperimenti di Xiao et al. (2008) e di Mastropasqua et al. (2015) suggeriscono quanto segue: - Il trasferimento del PL è possibile solo se nella seconda posizione si porta l’attenzione – L’attenzione da sola però non basta – Sembra sia necessario un compito nella seconda posizione - Il secondo compito può riguardare uno stimolo che non ha nulla in comune con quello allenato nella posizione 1, e per il quale si vuole indurre il trasferimento - La quantità di PL nella posizione 2 è critica per indurre il trasferimento del PL dalla posizione 1 ESPERIMENTO DI MASTROPASQUA E TURATTO (2015) – Premesse o Il raggruppamento percettivo influenza il modo in cui si distribuisce l’attenzione spaziale o L’attenzione spaziale modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’ – Conclusione (ipotesi sperimentale) o Il raggruppamento percettivo modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’ ESPERIMENTO 1 - Procedura o 32 partecipanti (4 esclusi dalle analisi) o La procedura è quella adottata da Gutnisky et al. (2009) con piccole modifiche ▪ 5 sessioni sperimentali condotte in giorni consecutivi ▪ Ogni sessione prevede una fase di training (esposizione) e poi una fase di test ▪ Eye tracker per il controllo dei movimenti oculari o Fase di training ▪ Perceptual grouping indotto attraverso il principio di similarità (Gestalt) ▪ 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi o Fase di test ▪ 900 trial divisi in 3 blocchi consecutivi, ciascuno per ogni posizione ▪ Task: discriminazione di orientazione (same vs. different) - Risultati o Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima ses- sione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping Critica: è stato davvero il perceptual grouping a favorire una prestazione più alta nella posizione grouping rispetto a quella no-grouping? Il miglioramento di prestazione potrebbe essere dovuto ad un trasferimento di learning dalla posizione attesa a quella grouping. In entrambe le posizioni, il test di discriminazione avviene attorno allo stesso asse di orientazione (60°). Invece, nella posizione no-grouping il test di discriminazione avviene attorno ad un asse ortogonale (150°) Modello associativo del condizionamento pavloviano (accoppiamenti necessari ma non sufficienti) Contiguità temporale tra CS e US Affinchè avvenga condizionamento di norma CS precede US (Forward conditioning: l’intervallo ottimale tra l’inizio di CS e US è solitamente inferiore ai 2 secondi). - Trace e Delay conditioning differiscono per il tipo di relazione temporale tra CS e US CONDIZIONAMENTO DI SECONDO ORDINE Il meccanismo di apprendimento associativo può coinvolgere più di un CS - Overshadowing: non tutti gli stimoli hanno la stessa potenzialità di condizionamento. Quello preferen- ziale ostacola il condizionamento dell’altro. Ogni specie ha i propri stimoli preferenziali, determinati da particolari vincoli biologici - Generalizzazione della risposta condizionata: o La generalizzazione è il fatto che stimoli simili al CS sono in grado di evocare la medesima CR ▪ Se CS è un tono 100 Hz, anche uno di 98 Hz evoca la CR o Quanto più lo stimolo è simile al CS tanto più è facile che evochi la CR. Quanto più è diverso tanto meno è probabile - Estinzione della risposta condizionata o Se si continua a presentare solo CS la CR verrà abolita o Due possibili meccanismi: ▪ Viene cancellata l’associazione CS → US ▪ Viene appresa una nuova relazione CS → no US - Recupero spontaneo della CR o Una volta ottenuta l’estinzione di CR se si aspetta un po’ di tempo e poi si ripresenta CS allora riappare CR ▪ L’estinzione dopo recupero spontaneo è più rapida ▪ Questo fatto suggerisce che durante l’estinzione non fosse cancellata la relazione CS → US Che cosa causa il condizionamento classico di Pavlov? Il condizionamento avverrebbe perché US funziona come un rinforzo del legame associativo con CS. Più forte il legame più facilmente CS agirà come US e quindi attiverà CR (o UR). L’ac- coppiamento CS->US, cioè la contiguità temporale tra i due eventi, sarebbe quindi sufficiente. Ma accoppiamento e contiguità sono sufficienti? Negli anni 60 del secolo scorso alcuni lavori hanno cominciato a mettere in crisi l’idea che la semplice contiguità tra CS e US fosse sufficiente, dimostrando che il meccanismo che consente il condiziona- mento classico era più complesso (Kamin e Rescorla). LAVORO DI KAMIN (1968) Lo stimolo B non produce condizionamento perché l’informazione che fornisce circa la probabilità di comparsa di US è già fornita dallo stimolo A (condizionato precedentemente). Quindi B non aggiunge nessuna nuova informazione al sistema cognitivo in merito a US, e pertanto la sua relazione con US non viene appresa perché irrilevante. LAVORO DI RESCORLA (1967) Nel suo lavoro Rescorla dimostra come la contiguità non sia sufficiente affinché si verifichi il condizionamento. Il fattore cruciale è invece la contingenza, cioè deve esistere una relazione predittiva tra CS e US. Si osserva condizionamento solo quando la probabilità di comparsa di US è maggiore in presenza di CS che in sua assenza. Tradotto formalmente: p(US | CS) > p(US | no-CS). Gli esperimenti di Rescorla così come il fenomeno del blocking dimostrano che anche nel condizionamento classico sono in gioco fattori cognitivi. L’organismo (animale o uomo) deve poter crearsi un’aspettativa, quindi una credenza su uno stato del mondo nel formato “se… allora…”. - Nello specifico l’aspettativa riguarda la relazione tra CS e US - Solo in questo caso avviene il condizionamento - Non basta la semplice associazione CONDIZIONAMENTO STRUMENTALE Thorndike: l’apprendimento è un processo incrementale che avviene per prove ed errori. Misura quanto tempo impiega il gatto a trovare la soluzione per uscire dalla gabbia. Una volta uscito il gatto ottiene la ricom- pensa e viene rimesso nella gabbia per un’altra prova. Thorndike scopre che il tempo impiegato dall’animale diminuisce gradualmente con l’aumentare delle prove. Apprendimento per prove ed errori: il gatto è motivato a cercare una soluzione per uscire perchè vede del cibo all’esterno e vuole raggiungerlo. Il comportamento è quindi emesso con un obiettivo. Questo è un aspetto teorico importante che differenzia il lavoro di Thorndike da quello di Skinner. Le azioni sono inizialmente ca- suali ma guidate dalla motivazione. Alcuni comportamenti non portano a nessuna conseguenza piacevole e quindi non vengono rinforzati. La pressione della leva, all’inizio per puro caso, è invece seguita da un premio. Questo aumenta la probabilità che sia ripetuta in seguito. Quello che dimostrano gli esperimenti di Thorndike è che l’individuo apprende per mezzo delle conseguenze delle proprie azioni. Thorndike scopre il principio di base del condizionamento strumentale o operante stu- diato poi estesamente sia da Konorski sia da Skinner. L’apprendimento avviene in base a rinforzi e punizioni. Il fatto che l’animale impari dalle conseguenze delle proprie azioni non implica ne- cessariamente che esso “creda” che la sua risposta sia causa del risultato (outcome) che la segue. Semplicemente il premio potrebbe agire sull’associazione tra le due rappresentazioni attive, quella dello stimolo e quella della risposta, rinforzandone il legame. SKINNER L’approccio di Skinner allo studio del comportamento è chiamato comportamentismo radicale. Radicale per- ché non viene riconosciuto a processi mentali un ruolo causale nel comportamento. Il comportamento è de- terminato da vincoli genetici e biologici, ma soprattutto dall’interazione dell’organismo con l’ambiente. Per Skinner le cause del comportamento non risiedono in pensieri, emozioni, stati di coscienza. Non nega che esitano questi stati mentali, ma ritiene però che non siano le cause del comportamento. Per spiegare il com- portamento si farebbe appello a queste cause “interne” semplicemente perché non si è in grado di scoprire le vere cause “esterne” del comportamento. Accetta però il concetto di motivazione indotto dallo stato fisiolo- gico come spinta iniziale ad agire, e come condizione per dare valore al rinforzo (p.e. il cibo). Infatti mantiene i suoi animali al 75% del proprio peso corporeo… Il comportamento è invece determinato dalla storia o schema di rinforzi/punizioni che l’organismo riceve dall’ambiente. Riprende quindi l’idea di Thorndike della legge dell’effetto. Skinner riteneva che qualsiasi comportamento potesse essere riconducibile a due classi: - Comportamento rispondente, spiegato dai riflessi e dai principi del condizionamento classico (Pavlov) - Comportamento operante, spiegato dalla risposta che l’organismo riceve dall’ambiente in conse- guenza delle proprie azioni (Thorndike) Nel condizionamento classico US viene presentato a prescindere da quello che l’animale sta facendo. Nel con- dizionamento operante US o reward viene presentato solo se l’animale esegue une certa risposta. La risposta è di solito emessa solo in presenza di uno stimolo (discriminativo). Terminologia: - Operante: ogni risposta emessa dall’organismo che produce un effetto sull’ambiente circostante, cioè “opera” sull’ambiente. La pressione della leva (operante) porta alla comparsa del cibo (risposta am- bientale) - Rinforzo (reinforcer): ogni evento ambientale che seguendo un certo comportamento alteri la proba- bilità che questo sia nuovamente prodotto Esistono due principali classi di eventi ambientali che modificano il comportamento: i rinforzi e le punizioni. Sia i rinforzi sia le punizioni possono essere suddivisi in positivi e negativi ▪ Dopo aver mangiato non siamo più motivati ad uscire per andare a prendere una pizza. Prima invece sì - Con il tempo si riproduce lo squilibrio omeostatico e quindi ricompare la motivazione Critiche e problemi: - Sebbene offra una spiegazione molto intuitiva, la teoria di Hull, dopo un periodo di successo, venne progressivamente abbandonata a causa di alcune scoperte - Olds e Miller (1954) scoprirono che i ratti erano molto motivati ad auto-stimolarsi elettricamente i centri del piacere nel cervello o Ipotalamo laterale e Nucleo Accumbens (NAcc) o Tra premere una leva per il cibo e una per la stimolazione preferiscono la seconda azione LAVORO DI OLDS E MILLER (1954) Il loro risultati sono un problema per la Drive-Reduction Theory: - La motivazione ad auto-stimolarsi non dipendeva da nessuna pulsione che derivasse da uno squilibrio di uno stato di omeostasi - Sono disposti a sopportare scosse elettriche molto forti per potersi stimolare - I ratti lavoravano senza mai raggiungere uno stato di “sazietà” Questo ha messo in crisi la teoria della motivazione di Hull; in particolare l’idea che tutta la motivazione nasca da pulsioni dovute a necessità di riportare in equilibrio un sistema. La motivazione non è necessariamente legata alla presenza di una pulsione che nasce da uno squilibrio dell’omeostasi. Il reward non agisce (solo) come rinforzo della relazione S-S o S-R attraverso la riduzione di una pulsione. Negli anni 70 inizia una nuova prospettiva teorica secondo cui la motivazione può essere scatenata anche da alcuni stimoli ambientali. La funzione del reward non sarebbe quella (o solo quella) di rinforzare una associa- zione ma piuttosto agirebbe come un incentivo alla motivazione. Uno dei precursori di questa teoria è Bolles: nel 1972 è uno dei primi ricercatori che propongono un diverso ruolo del reward nei meccanismi di apprendimento. Il ruolo principale del reward non è quello di funzionare come rinforzo della risposta attraverso una riduzione della pulsione. Bolles considera il fenomeno dell’auto- shaping, e sostiene che non si spieghi con il concetto di rinforzo della risposta da parte del reward. AUTOSHAPING E’ un fenomeno osservato la prima volta da Brown & Jenkins nel 1968, nell’ambito di un paradigma di condi- zionamento pavloviano: l’animale è esposto a un CS seguito dall’arrivo di un US. Di fatto US è un reward per l’animale, reward nel senso di stimolo piacevole. Dopo la prima fase di condizionamento, l’animale sviluppa interesse per il CS. Nell’autoshaping l’animale comincia a compor- tarsi come se CS fosse US. Si noti che US non può aver agito come un rinforzo, perché non c’è alcuna risposta che viene rinforzata. Infatti, il reward (US) viene dato a prescindere da quello che l’animale sta facendo: non è richie- sta alcuna risposta. Però si potrebbe ancora sostenere che US ha involontariamente rinforzato il beccare CS (come per il piccione superstizioso di Skinner). Che il rinforzo di una risposta non abbia un ruolo nell’autoshaping è però provato dalla procedura di omissione: l’autoshaping si verifica anche se US (il reward) viene omesso ogni volta che l’animale agisce su CS (per esem- pio beccando la luce). Nonostante l’azione su CS comporti l’omissione del reward, l’animale non riesce a smet- tere di agire su CS. Questo esclude la spiegazione secondo cui l’autoshaping si verifica perché US ha rinforzato l’azione su CS. Non tutti gli individui mostrano autoshaping, e quelli che lo mostrano sono definiti sign tracker (ad un certo punto sono più interessati al CS che a US). Quelli che continuano a mostrare interesse per il reward (US) sono detti goal tracker. Le cause che portano un animale a diventare un sign tracker piuttosto che un goal tracker non sono chiare, ma è possibile siano coinvolte differenze genetiche. Sebbene non esista una spiegazione univoca del autoshaping, si ipotizza che il CS acquisisca una salienza o valore motivazionale spropositato tanto da innescare comportamenti consumatori compulsivi (come quelli presenti nella dipendenza). Questa interpretazione è coerente con la presenza dell’autoshaping anche nella procedura di omissione. Bolles (1972) propone che l’azione del reward non riguardi principalmente rinforzare la relazione tra S e R o tra S e S. Il reward porterebbe l’animale ad imparare che esiste uno stimolo (CS) che anticipa l’arrivo di un altro stimolo (il reward stesso) con proprietà edoniche e motivazionali. Rispetto a Pavlov enfatizza il fatto che il CS genera un’aspettativa di tipo edo- nica e motivazionale circa l’arrivo del reward TEORIA DEGLI INCENTIVI MOTIVAZIONALI La teoria degli incentivi motivazionali viene ulteriormente sviluppata da Bindra (1978). Secondo Bindra l’ap- prendimento della relazione CSReward riguarda il fatto che CS acquisisce le stesse proprietà edoniche e moti- vazionali del reward. CS evoca nell’animale lo stesso stato motivazionale evocato dal reward. Questo spiega perché, nell’autoshaping, l’animale tenti di consumare CS, come farebbe con il reward. CS diventa un incentivo ad agire, così come lo è il reward (prima di esser consumato!). Attraverso meccanismi di tipo Pavloviano, le caratteristiche incentivanti del reward vengono acquisite dal CS (il CS è percepito come se fosse un reward). Toates (1986) sottolinea il fatto che i reward edonici sono l’oggetto della nostra motivazione. Il reward edonico è quindi uno stimolo incentivante che produce sensazioni piacevoli quando ottenuto. Toates nota che il valore edonico degli incentivi non è assoluto, ma dipende dallo stato motivazionale. Quanto ci può piacere un cibo dipende dal fatto che siamo affamati o meno, cioè dallo stato motivazionale. Cabanac (1979) infatti aveva dimostrato che i soggetti umani giudicano la stessa soluzione zuccherina più o meno buona a seconda del livello di fame (allestesia). Toates aggiunge un aspetto importante alla teoria originariamente sviluppata da Bolles e Bindra: se le pulsioni o motivazioni aumentano il potere incentivante del reward, allo stesso moto il reward può aumentare il livello di motivazione. ➔ L’influenza tra stato motivazionale e reward e BIDIREZIONALE La motivazione può potenziare il valore edonico del reward ma il quest’ultimo, funzionando come incentivo, può potenziare il livello di motivazione Come abbiamo visto, però, anche i CS possono assumere le proprietà di un reward. Quindi, anche un CS può essere in grado di funzionare come incentivo che genera una motivazione. STUDIO DI WEINGARTEN (1983) Weingarten (1983) nota che normalmente si ritiene che un organismo cerchi il cibo quando ha fame, cioè è in uno stato di deficienza nutrizionale (simile alla teoria drive-reduction di Hull). Alcune teorie (Toates, Bindra) suggeriscono però che non sia solo la fame a motivare l’animale a mangiare, ma anche alcuni stimoli esterni associati al cibo. Weingarten vuole quindi testare questa ipotesi, cioè che dei CS possano controllare quando e se l’animale cerca e consuma il cibo, a prescindere dallo stato di fame. - Procedimento: o Prima fase (11 giorni) di condizionamento Pavloviano: ▪ CS+ (suono) precede rilascio del latte (US) in una ciotola o Seconda fase di test (21 giorni) ▪ Il ratto ha pieno accesso al cibo tramite un dispenser durante tutto il giorno, ma una volta al giorno viene presentato anche il CS+ e rilasciato altro latte nella ciotola - Risultati: o I risultati mostrano che pur essendo sazio il ratto consuma il cibo rilasciato nella ciotola quando è preceduto dal CS+ o Conduce poi un secondo esperimento simile al primo, ma nella fase di test ci sono giorni in cui il CS+ è presente e giorni in cui è assente o La quantità di latte assunto è simile nei due giorni, ma nei giorni in cui è presente il CS+ il 20% del latte viene assunto dalla ciotola dopo il CS+ o Il ratto quindi compensa la quantità di cibo ingerito in fun- zione di quella assunta tramite l’incentivo CS I risultati del lavoro di Weingarten dimostrano in modo convincente che la motivazione ad assumere cibo non è determinata solo dalla fame, ma anche da stimoli ambientali (incentivi) che hanno acquisito un loro valore motivazio- nale attraverso un condizionamento Pavloviano. Il ruolo principale del reward non è quello di rinforzare una risposta ma di promuoverla. Il reward è quindi un incentivo all’azione. Il livello di motivazione modula il potere edonico del reward. Il reward però può alterare il livello di motivazione. Stimoli condizionati (CS) possono assumere le stesse proprietà del reward, innescando un desiderio (motivazione) per il reward. Riassunto: - Il reward è un oggetto che ha un valore edonico positivo per un organismo (a Skinner non interessava la componente edonica) o Il reward può essere primario (cibo) o condizionato (soldi) attraverso meccanismi pavloviani o Può essere inteso sia come incentivo sia come rinforzo (sia prima della somministrazione che dopo) - L’incentivo è un oggetto che genera un desiderio o motivazione nell’animale o L’incentivo può essere primario o condizionato I ratti assumono la stessa quantità di cibo nei giorni con CS e senza Il CS è responsabile dell’assunzione del 20% del cibo Apprendere senza aspettative Secondo Skinner (e Thorndike) il condizionamento operante non richiede che l’animale si “aspetti” che la ri- sposta porti alla ricompensa. Anche se Thorndike, rispetto a Skinner, credeva che il rinforzo portasse con sé una componente edonica. La ricompensa rafforzerebbe semplicemente la relazione tra stimolo (leva) e rispo- sta (pressione della leva). Ù Se l’animale non si rappresenta la conseguenza del suo comportamento non possiamo parlare di “azione” ma di una sorta di “risposta automatica” alla presenza di uno stimolo che è mantenuta dal reward (Outcome). Azioni e risposte nella dipendenza Le droghe sono sostanze che attivano in modo esagerato gli stessi circuiti neurali attivati dai reward naturali. Quindi, capire se il comportamento messo in atto per ottenere il reward è un’azione sotto controllo volontario oppure una risposta automatica, è importante per capire il comportamento di ricerca e assunzione della droga, e quindi i meccanismi della dipendenza. Lo studio delle cause del comportamento attraverso i modelli animali ha portato a due spiegazioni o modelli principali − Il modello Stimolo-Risposta − Il modello Teleologico In alcuni casi è molto semplice capire se un comportamento è una risposta o una azione, mentre in altri è meno ovvio. MODELLO STIMOLO-RISPOSTA Si assume che il comportamento (la risposta) sia innescato in modo automatico dalla presenza di uno stimolo. Esistono vari esempi di risposte automatiche: − Alcuni sono riflessi fisiologici: e.g., il riflesso patellare, o quello di ammiccamento − Altri sono risposte apprese che vengono emesse in automatico: e.g., la risposta condizionata nel condizionamento classico, o lo sviluppo di una abitudine MODELLO TELEOLOGICO Si assume che il comportamento (l’azione) non sia innescato in modo automatico dalla presenza di uno sti- molo. Il comportamento è pianificato per il raggiungimento di uno scopo, è quindi sotto il controllo dell’agente, che si rappresenta le conseguenze delle proprie azioni. Il comportamento è quindi anche “razionale”, nella misura in cui lo sforzo è proporzionato al risultato che si vuole ottenere. Il comportamento razionale si ha quando è coerente con l’aspettativa di ottenimento di un certo scopo. Per esempio, se penso il concerto sarà fantastico, posso esser disposto a fare 1000 km per vederlo, oppure posso esser disposto a pagare 200 euro per un vino che mi aspetto sia eccellente. Quindi spendere o investire (tempo, denaro, affetti) molto per ottenere qualcosa che ci aspettiamo ci piaccia molto è assolutamente ra- zionale. Se poi l’aspettativa non sarà soddisfatta questo non cambia la razionalità del comportamento nel mo- mento in cui è stato messo in atto. Un comportamento è irrazionale quando non è giustificato dall’aspettativa di quanto potrà piacere il risultato. Decidere di spendere 1000 euro per una pizza, quando non stiamo morendo di fame, non è un comportamento razionale, dato che la pizza non può mai valere quella cifra. Decidere di mangiare una torta intera se soffriamo di diabete non è sensato. Si osserva quando l’azione che si compie non è giustificata dal risultato atteso. Decision utility: la scelta di agire per ottenere un certo risultato Predicted utility: aspettativa circa il valore del risultato Comportamento razionale → Decision utility = Predicted utility (La decisione di agire è commisurata al valore atteso del risultato) Comportamento irrazionale → Decision utility > Predicted utility (La decisione di agire è spropositata dato il risultato atteso) La dipendenza si caratterizza spesso per il fatto che i soggetti fanno spesso scelte irrazionali (Decision utility > Predicted Utility). Il soggetto “dipendente” può decidere di rubare nel posto di lavoro per ottenere i soldi per la droga, a costo di perdere il lavoro. VANTAGGI DEL MODELLO TELEOLOGICO I riflessi controllano parte del nostro comportamento, e lo fanno in modo veloce. Però il sistema teleologico fornisce un grosso vantaggio all’organismo, perché consente un controllo flessibile del comportamento. Con- sente di cambiare rapidamente il comportamento in funzione di come variano gli stati motivazionali e il valore degli obiettivi. Consente quindi un comportamento razionale perché adatto alla situazione e ai suoi cambia- menti. Il sistema teleologico consente quindi una grande flessibilità nel controllo del comportamento e nell’intera- zione con l’ambiente. Non è solo l’ambiente che controlla il comportamento (S-R), ma sono le motivazioni e le conoscenze circa le conseguenze delle proprie azioni a determinare come l’animale agisce nell’ambiente. Gli umani sono capaci di comportamenti teleologici; per esempio possiamo decidere di non mangiare il nostro dolce preferito se scopriamo di avere la glicemia alta. Sapere se gli animali sono capaci di azioni e non di rispo- ste è cruciale per due motivi: − Per poter usare i modelli animali per lo studio della dipendenza anche nell’essere umano − Per capire il ruolo di motivazioni, azioni e abitudini nella dipendenza I criteri per definire il condizionamento strumentale un’azione e non una risposta sono: − L’animale deve possedere una rappresentazione della relazione causale tra la sua azione e la comparsa del reward (deve “sapere” che agendo in quel modo otterrà il reward) − L’animale deve possedere una rappresentazione del valore motivazionale del reward (deve “deside- rare” quel reward perché soddisfa un suo bisogno) Come possiamo capire se l’animale sa che agendo in un certo modo otterrà il reward? [Il problema è che non possiamo interrogare verbalmente l’animale] La soluzione al problema è stata proposta da Adams & Dickinson (1981) attraverso il paradigma di svalutazione del rinforzo. STUDIO DI ADAMS & DICKINSON (1981) PARADIGMA DI SVALUTAZIONE DEL RINFORZO L’esperimento è diviso in 4 fasi e coinvolge 2 gruppi di ratti (Paired e Unpaired). - Fasi: 1. Condizionamento strumentale 2. Condizionamento avversivo 3. Test in estinzione 4. Riacquisizione condizionamento strumentale - Logica: o Se nel condizionamento strumentale esiste una rappresentazione della relazione A → O, al- lora non c’è ragione per emettere un’azione se porta ad ottenere un outcome spiacevole o Se invece si tratta di una mera relazione S → R, la risposta evocata dallo stimolo è indipen- dente dal fatto che il rinforzo sia stato svalutato dopo l’apprendimento o Nella fase 2 il cibo diventa un CS predittore di uno stato di malessere. Diventa quindi un CS avversivo e non desiderato - Risultati: o I ratti del gruppo P (reward svalutato) non sono interessati a premere la leva per otte- nere un alimento che è diventato un CS avver- sivo. Questo è evidente sia in fase di estin- zione sia in fase di riacquisizione del learning o I ratti accoppiati hanno una curva di estin- zione più veloce rispetto a quelli non accop- piati, in quanto consapevoli dello stimolo av- versivo o Si noti che l’animale non ha mai avuto occa- sione di associare la pressione della leva con il malessere causato dalla iniezione di LiCl - Conclusioni: o I risultati suggeriscono che i ratti sanno che remendo la leva arriverà un certo reward. In- fatti, quando in un secondo momento questo reward viene reso indesiderabile, i ratti riducono molto la pressione della leva o Questo significa che posseggono una rappresentazione che associa tra loro stimolo (la leva) risposta (pressione della leva) e conseguenze dell’azione (arrivo di un certo outcome) Quindi anche un semplice ratto è in grado di mostrare un comportamento strumentale guidato in modo te- leologico. Tuttavia nemmeno per gli esseri umani si può sostenere che tutti i comportamenti siano vere azioni − Anche noi mostriamo comportamenti stereotipati del tipo S-R − In alcuni casi è addirittura necessario che ci siano tali gesti automatici, come quando impariamo a guidare l’auto in modo efficiente − Nella letteratura sull’essere umano si distingue tra processi controllati e automatici È stato ipotizzato che nel condizionamento strumentale il passaggio da un comportamento controllato di tipo teleologico ad uno automatico regolato dalle abitudini avvenga attraverso una pratica estesa → La ripetizione di un’azione può trasformarla in una risposta Scoprire se la pratica può trasformare un comportamento guidato da conoscenze e aspettative, in uno auto- matico o abitudinario che è indipendente dal valore del rinforzo, è potenzialmente importante per spiegare in parte la dipendenza. Quando un’azione diventa un’abitudine quest’ultima potrebbe essere meno sensibile al valore dell’obiettivo o rinforzo che la segue. STUDIO DI ADAMS (1982) L’esperimento è diviso in 3 fasi e coinvolge 4 gruppi di ratti: - Un gruppo che esegue poco training (100 prove) − Sottogruppo con svalutazione (Devalued) − Sottogruppo senza svalutazione (NoDevalued) del reward - Un gruppo che esegue molto training (500 prove) − Sottogruppo con svalutazione (D) − Sottogruppo senza svalutazione (N) del reward Prima fase di training (condizionamento strumentale), poi fase di condizionamento avversivo, e poi test in estinzione. - Dolore (crampi allo stomaco) - Depressione - Ansia - Irritabilità - Apatia TEORIA DEI PROCESSI OPPONENTI – SOLOMON & CORBIT (1974) L’assunzione di droga genera dei processi fisiologici (rilascio di neurotrasmettitori, tipo DA) e psicologici (rea- zione di piacere), che sono seguiti da processi in direzione opposta (riduzione DA, e malessere). Questi processi opposti, almeno a livello fisiologico, sono tentativi di ristabilire l’equilibrio o omeostati nel sistema (p.e. quello dopaminergico). Con l’assunzione ripetuta i processi positivi si riducono (assuefazione) mentre quelli negativi si amplificano (sensibilizzazione) nel tempo. La dipendenza si sviluppa come tentativo di ridurre gli effetti ne- gativi, con il risultato di distruggere sempre più l’omeostasi nel sistema DA. Molte evidenze neurobiologiche indicano che le droghe sono in grado di produrre due tipi di plasticità neurale, che agiscono contemporaneamente e portano a due tipi di adattamenti: - Assuefazione (abituazione), per cui le sensazioni di piacere diminuiscono nel tempo, portando ad un aumento graduale della dose - Sensibilizzazione, per cui la stessa dose produce nel tempo effetti sempre maggiori, per esempio au- mentando sia i sintomi da astinenza, sia la risposta di desiderio della droga alla vista di alcuni stimoli che sono collegati alla droga La causa principale della dipendenza sarebbe il fatto che la droga altera permanentemente l’equilibrio del sistema DA. Con l’uso prolungato si crea assuefazione (tolleranza) ai sintomi piacevoli, ma aumentano quelli legati all’astinenza, che portano il soggetto a cercare altra droga (e dosi maggiori). Il sistema DA e affet- tivo/emotivo perde il suo equilibrio. Un punto chiave di questa teoria è che la DA è ritenuta essere il neurotrasmettitore del piacere (Wise, 1985). Dis-regolazione del sistema del piacere: assuefazione al piacere della dose, più sensibilizzazione nella risposta di compensazione inibitoria della DA con aumento del malessere Dal punto di vista cognitivo la teoria chiama in causa meccanismi di condizionamento strumentale. L’assun- zione della droga sarebbe regolata da: - Meccanismo di rinforzo positivo: è predominante all’inizio dell’uso della droga, la quale agisce come rinforzo positivo producendo una sensazione piacevole dopo l’uso e quindi rinforzandolo - Meccanismo di rinforzo negativo: entra in gioco con l’uso prolungato, quando diventano dominanti i sintomi spiacevoli dell’astinenza. In questo caso la droga agisce come rinforzo negativo eliminando la condizione spiacevole La spiegazione che invoca i due meccanismi di rinforzo, positivo e negativo, è intuitiva e coerente con il senso comune: - Ci si droga per piacere - E poi si continua per evitare i sintomi spiacevoli dell’astinenza Questa spiegazione presenta tuttavia alcuni problemi, soprattutto per quanto riguarda il rinforzo negativo: ci sono delle evidenze critiche a riguardo. Gli psicostimolanti, come anfetamine o derivati, e gli allucinogeni (LSD), generano una forte dipendenza psi- cologica (desiderio della droga) a fronte di scarsi sintomi fisici da astinenza. → Il forte desiderio di droga non dipende dal fatto che si stia particolarmente male senza Farmaci che possono produrre forti sintomi da astinenza, come gli antidepressivi, non generano dipendenza e uso compulsivo. Le ricadute sono frequenti anche dopo che i sintomi da astinenza sono terminati da molto tempo. Quindi il meccanismo di rinforzo negativo non pare in grado di spiegare il bisogno di drogarsi quando la condizione spiacevole causata dall’astinenza è finita. LAVORO DI STEWART & WISE (1992) Stewart & Wise (1992) discutono la possibilità che nella dipendenza la droga sia assunta per eliminare i sintomi da astinenza. Secondo la teoria dell’omeostasi edonica il meccanismo del rinforzo negativo è molto potente perché agirebbe curando i sintomi. - Ipotesi: se è vero che la dipendenza è mantenuta attraverso un meccanismo di rinforzo negativo, allora sostanze che inducono sintomi di astinenza dovrebbero essere in grado di promuovere l’uso della droga - Procedura: o Allenamento: attraverso il condizionamento strumentale gli animali imparano a autosommi- nistrarsi dell’eroina o Estinzione: viene tolta la droga o Riacquisizione: prima vengono iniettate 3 diverse sostanze: ▪ Soluzione salina ▪ Eroina (basso dosaggio) ▪ Naltrexone: antagonista dell’eroina che si lega fortemente ai recettori oppiacei pro- ducendo sintomi di astinenza - Risultati o La sostanza che più spinge il ratto a ricominciare a drogarsi è l’eroina non il Naltrexone - Conclusioni o Contrariamente a quanto predetto dalla teoria degli processi opponenti non sembrano essere i sintomi di astinenza che motivano l’uso continuativo della droga o Questi risultati sono un grosso problema per la spiegazione basata sul meccanismo di rinforzo negativo o Eliminare i sintomi di astinenza non è la ragione principale nel mantenimento della dipen- denza e nelle ricadute dopo fine astinenza o Un risultato importante è il fatto che l’iniezione priming era basata su una piccola dose di eroina, che però ha favorito la ripresa dell’uso di eroina o Questo indica che è illusorio e pericoloso, per un individuo disintossicato, pensare di poter controllare l’assunzione della droga con bassi dosaggi senza diventarne ancora dipendente ▪ Dopo la disintossicazione anche una sola piccola dose di droga, o una sigaretta, o un bicchiere di alcol, può reinnescare la dipendenza Ci sono anche delle evidenze critiche per poter spiegare il rinforzo positivo. Quando si considera una possibile spiegazione del perché le droghe producono dipendenza bisogna evitare un argomento circolare del tipo: “Le persone assumo droga perché la droga è un rinforzo positivo”. L’argomento è chiaramente tautologico, perché equivale a dire: “Le persone assumo droga perché la droga promuove l’assunzione della droga”. Spiegare la dipendenza dicendo che la droga è un forte rinforzo è solo una ri-descrizione del risultato, non una spiegazione dello stesso. La spiegazione che deve esser data è “perché” la droga è un rinforzo positivo. Tipica- mente la spiegazione che viene data è che la droga è un rinforzo positivo perché induce uno stato edonico (piacere/euforia). Quindi la persona per riprovare lo stato di piacere continua ad assumere la droga. Ci sono tuttavia una serie di problemi legati alla spiegazione dell’effetto edonico (euforia/piacere): 1. Se consideriamo la quantità di problemi che la dipendenza comporta, come distruzione relazioni af- fettive, perdita lavoro, disgregazione familiare, problemi economici e di salute, etc., è difficile credere che la dipendenza (ricerca compulsiva della droga) sia motivata dal raggiungimento di un breve stato di benessere 2. Ci sono droghe, ad esempio la nicotina, la cui assunzione non produce un grande stato di piacere/eu- foria, ma che sono in grado di produrre notevole dipendenza 3. Alcune ricerche dimostrano che c’è una scarsa correlazione tra lo stato soggettivo edonico e l’assun- zione di droga a. Lo stato edonico tipicamente diminuisce con l’uso prolungato, mentre il bisogno o desiderio di droga aumenta b. Quindi il desiderio di droga dovrebbe esser maggiore all’inizio, quando il piacere è maggiore, e non dopo un uso prolungato quando il piacere diminuisce 4. Lamb et al. (1991) hanno dimostrato che le persone sono disposte a lavorare per dosi di morfina così basse che non producono effetti piacevoli ABITUDINE Una visione tradizionale della dipendenza vuole che il passaggio dall’uso ricreativo a quello compulsivo av- venga perché la droga trasforma un’azione (A-O) in una abitudine (S-R). Molti autori hanno proposto che la dipendenza si basi su un meccanismo S-R che, data la presenza di certi stimoli, porta all’assunzione della droga (Tiffani, 1990; O’Brien & McLennan, 1996; Robbins & Everitt, 1999; Berke & Hyman 2000). L’abitudine farebbe perdere, in alcune persone, il controllo volontario sull’uso della droga. Particolari stimoli ambientali, associati con l’uso della droga, scatenano la risposta compulsiva di ricerca e assunzione della droga. SITUAZIONE NON PATOLOGICA SITUAZIONE PATOLOGICA S (CS) → R | O (cibo) S (CS) → R | O (droga) Il soggetto mantiene R sotto controllo: può decidere di non mangiare perché sa che quel cibo lo farà in- grassare. Il soggetto non ha nessun controllo su R. La sua ri- sposta è determinata dalla presenza e disponibilità della droga. L’ipotesi è che le droghe favoriscano l’insorgere di comportamenti automatici, che sono indipendenti dalle conseguenze, cioè dal valore del rinforzo (la droga stessa): - Assumo la droga anche se mi fa male - Assumo la droga anche se distrugge la mia vita - Assumo la droga anche se non mi piace più, etc. STUDIO DI DICKINSON, WOOD & SMITH (2002) Tiffany (1990) sostiene che la dipendenza si sviluppa nel passaggio da un’azione ad un’abitudine: si instaura una risposta stereotipata (assunzione della droga) innescata da alcuni CS ambientali (visione della siringa, del posto dove si consuma la droga, delle persone che spacciano, etc.). Dickinson e colleghi si chiedono quindi se è vero che le droghe, per esempio l’alcol, facilitino lo sviluppo di abitudini. Dato che la rappresentazione del reward non ha alcun ruolo nei meccanismi S-R, una insensibilità al valore dell’outcome suggerisce la presenza di una abitudine. Viceversa, una sensibilità alla svalutazione dell’outcome suggerisce la presenza di un comportamento teleologico guidato da obiettivi. Il condizionamento strumentale rinforzato dalle droghe è più resistente alla svalutazione dell’outcome rispetto a quello rinforzato da altri reward naturali, come il cibo? Gli autori mettono quindi a confronto due tipi di reward, dei pellet di cibo contro una soluzione con etanolo, e vogliono vedere in che modo agiscono i ratti quando avviene una svalutazione del reward. - Procedura: o L’esperimento è diviso in 3 fasi o Coinvolge 2 gruppi di ratti (Etoh e Pel) - Risultati: o Osservazione preliminare Durante il condizionamento strumentale i ratti rispondono maggiormente al pellet che all’etanolo. Quindi bisogna tener conto di questa differenza per intepretare i dati dopo la svalu- tazione del rinforzo. o Risultati effettivi I ratti per quali è stato svalutato il reward pellet premono meno la leva corrispondente rispetto ai ratti del gruppo etha- nolo. Risentono quindi della svalutazione del reward. I ratti per quali è stato svalutato il reward ethanolo premono la leva corrispondente tanto quanto I ratti del gruppo pellet. Non risentono quindi della svalutazione del reward ma cer- cano di riottenerlo. La differente resistenza alla svalutazione con i due tipi di rinforzi, dimostra che rispetto alla ricerca del cibo, la ricerca dell’alcol è più facile si trasformi in un’abitudine governata da meccanismi S-R. In questo modo, anche se poi l’alcol perde di valore perché piace meno o addirittura crea malessere viene assunto lo stesso. Nell’ottica della dipendenza questo può significare che la dipendenza da alcol si può mantenere anche quando l’assunzione di un alcolico non è più vissuta come un’esperienza desiderabile e piacevole. Robinson & Berridge (2003) discutono varie ragioni per cui la dipendenza non si basa su un meccanismo SR 1. Assumere che un’abitudine equivalga a un automatismo obbligatorio è sbagliato. Un’abitudine, per quanto forte, non implica una compulsione. Ci sono molti esempi di comportamenti automatici o abi- tudinari che mettiamo in atto quotidianamente ma che non sono compulsioni: a. Guidare l’auto, lavarsi i denti, leggere, allacciare le scarpe… 2. Nessuno sacrificherebbe la sua vita, le sue relazioni affettive, i suoi guadagni, la sua salute per un’abi- tudine, mentre questo avviene nella dipendenza 3. Il comportamento di un drogato quando deve cercare e procacciarsi la droga non è necessariamente così stereotipato come nel caso di una risposta automatica quale potrebbe diventare quella di un ratto che in laboratorio preme una leva per una iniezione di eroina a. Spesso la ricerca della droga richiede di coordinare attività complesse, come rubare o elemo- sinare soldi, vendere dei beni, cercare uno spacciatore, etc. b. Queste attività richiedono una pianificazione e quindi un sistema flessibile. Non possono es- sere sostenute da una abitudine S – S Un’altra possibilità è che la dipendenza si basi su di un meccanismo di condizionamento Pavloviano, per cui alcuni CS ambientali attivano la rappresentazione della droga (US) e delle relative sensazioni edoniche (CR). Una volta che il CS ha attivato le reazioni tipiche prodotte da US, nel soggetto nasce il desiderio di renderli reali Mette quindi in atto dei comportamenti per riprovare (edonia) o evitare (sintomi da astinenza) quelle sensa- zioni. LAVORO DI CICCOCIOPPO (2001) L’obiettivo è verificare se uno stimolo condizionato può attivare il desiderio di droga anche dopo astinenza. - Procedura: o Allenano dei ratti a premere una leva per ottenere cocaina ▪ Se assieme alla leva è presente un CS rosso allora la pressione porta ad una iniezione di Cocaina ▪ Se è presente un CS verde la pressione porta ad una iniezione di soluzione salina (pla- cebo) o Dopo estinzione, quindi dopo disintossicazione, verificano la forza del CS nel promuovere il desiderio di cocaina ▪ Viene valutato come disponibilità alla pressione della leva - Risultati: o Durante la fase di Self Administration (SA) il ratto preferisce rispondere premendo la leva quando questo porta alla droga rispetto che al placebo o Questa preferenza è successivamente innescata anche dalla presenza del CS+, anche se la droga non viene somministrata o Anche dopo 4 mesi la presenza del CS+ porta il ratto a lavorare per cer- care l’iniezione della droga Stimoli presenti durante la fase di somministrazione della droga funzionano come po- tenti promotori del comportamento di ricerca della droga quando vengono incontrati, anche dopo molti mesi di disintossicazione. Importanti implicazioni per la dipendenza: - E’ facile ricadere nell’uso di droga anche dopo disintossicazione se si è esposti a stimoli (frequentazione di luoghi/oggetti o persone) presenti quando ci si drogava Droga Placebo
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