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Plasticità e apprendimento - Parte 1, Appunti di Psicologia dell'Apprendimento

Integrazione tra le slide e le lezioni: documento diviso in due parti (prima e dopo la pausa didattica di novembre). Parte 1: sistema visivo, plasticità cerebrale, perceptual learning e condizionamento; Parte 2: dal condizionamento alle teorie sulla dipendenza.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 06/02/2019

d.r.a.p.
d.r.a.p. 🇮🇹

4.4

(26)

22 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Plasticità e apprendimento - Parte 1 e più Appunti in PDF di Psicologia dell'Apprendimento solo su Docsity! Plasticità e apprendimento Il sistema visivo: dalla retina al genicolato La funzione cui è deputato il nostro sistema visivo è quella di darci la capacità di discriminare gli stimoli presenti nel mondo che ci circonda. Questa capacità discriminativa può essere allenata, dimostrando che il sistema visivo può apprendere a vedere, e che il cervello rimane plastico anche nell’età adulta. La plasticità del cervello decresce con la maturazione della persona, però non smette mai di esistere: in infanzia si ha una super-plasticità che protegge l’individuo; infatti, se avviene un danno neurologico in età fragile, il cervello impara a bypassare questo danno e a riorganizzarsi per “non farsi mancare nulla”. Se però ciò avviene in età adulta, i danni e le conseguenze sono maggiori, in quanto la plasticità del cervello è limitata. In realtà, la diminuita plasticità dopo una certa età è un vantaggio: un cervello super plastico si modifica a qualsiasi, anche minore, cambiamento dell’ambiente, anche quando ciò non sarebbe necessario (o anche dannoso), mentre la rigidità porta ad avere una certa stabilità di apprendimento nell’ambiente. Le vie visive dall’occhio alla corteccia comprendono: - l’occhio e la retina; -il tratto ottico; - il nervo ottico; - il nucleo genicolato laterale (NGL) radiazioni visive - il chiasma ottico; - la corteccia visiva primaria (striata) o V1.⎬ Insieme formano la via retino-genicolo-striata. Dalla retina al chiasma ottico: Rispetto al punto di fissazione, l’informazione visiva proietta nell’emiretina nasale e temporale di ciascun occhio. Ogni nervo contiene informazioni delle due emiretine: rispetto al punto di fissazione, le due emiretine nasali vedono i settori più’ esterni, e le emiretine temporali gli emicampi nasali centrali. Inoltre, ogni emicampo visivo è piu’ ampio per l’occhio ipsilaterale che controlaterale. Questo perchè il naso delimita il campo visivo dell’emiretina temporale controlaterale. Nel chiasma le fibre dalle due emiretine nasali incrociano andando ad unirsi con quelle temporali dell’altro occhio, formando il tratto ottico: ogni parte è formata da neuroni monoculari di entrambi gli occhi (NO BINOCULARI). Dal chiasma ottico a V1: Il tratto ottico, che porta informazioni da due occhi, ma dallo stesso campo visivo, termina nel NGL (nucleo genicolato laterale). Da qui le fibre procedono, formando radiazioni ottiche, verso V1. Ogni V1 riceve informazioni dallo stesso emicampo (controlaterale) ma da due occhi diversi. Inoltre, un piccolo fascio di neuroni si separa per andare al collicolo superiore, per produrre movimenti oculari (movimenti riflessi) (i campi oculari frontali, che si trovano nella corteccia frontale producono movimenti volontari). Strutture neurali di analisi dell’informazione visiva: - la retina nell’occhio; - il NGL; -V1 LA RETINA: Qualsiasi forma di discriminazione percettiva visiva non può prescindere dall’attività che avviene nell’occhio a livello retinico. La sua funzione è quella di tradurre la luce in segnali nervosi da inviare al cervello, del quale è legittimamente considerata un’estensione. Consiste di un insieme di strati di fotorecettori e cellule nervose: • Coni e Bastoncelli • Cellule Bipolari • Cellule Amacrine • Cellule Orizzontali • Cellule Gangliari → gli assoni formano il nervo ottico Connessioni dirette: pochi fotorecettori sono collegati con una cellula bipolare, e questa (o poche di queste) è a sua volta collegata con una cellula gangliare. Connessioni indirette: una cellula orizzontale collega molti fotorecettori con una cellula bipolare; una cellula amacrina collega molte cellule bipolari con una cellula gangliare. Convergenza dei segnali nervosi nella retina: Nella fovea, zona di massima acuità visiva, ogni fotorecettore è collegato con una cellula bipolare e questa ad una gangliare. Spostandosi in periferia della retina si osserva un fenomeno di convergenza: più fotorecettori su una cellula bipolare e più cellule bipolari su una cellula gangliare. Come interpreta le informazioni visive la retina? Per sapere quali sono le informazioni sul mondo esterno che la retina invia al cervello dobbiamo guardare alla risposta (output) delle cellule gangliari. Sono queste infatti l’ultimo stadio di elaborazione retinica, in cui vengono raccolti i segnali provenienti da fotorecettori e cellule bipolari Il campo recettivo delle cellule gangliari: Il concetto di campo recettivo è uno strumento importante per capire il comportamento di una cellula sensoriale, sia essa gangliare, del NGL, o della corteccia visiva (ma si applica anche alle altre modalità sensoriali). Nella sua accezione più restrittiva definisce quali recettori forniscono informazioni ad una cellula del sistema nervoso. Quando si definisce il campo recettivo di una cellula non si determinano solo i suoi limiti spaziali ma anche quali caratteristiche deve possedere lo stimolo per evocare una risposta cellulare. Stephen Kuffler, attorno al 1950, fu il primo a registrare la risposta delle cellule gangliari della retina del gatto: presentava macchie di luce di varie dimensioni. La prima scoperta fu che al buio la cellula non era silente ma aveva una frequenza (1-5 Hz) di risposta di base. La stessa frequenza si osserva con una illuminazione diffusa su tutta la retina Ma con una presentazione luminosa più puntuale la risposta della cellula poteva essere modulata: sia aumentata sia depressa. Utilizzando un’area di illuminazione molto piccola Kuffler scoprì che la risposta di base della cellula poteva essere modulata: aumentata o diminuita. Muovendo la luce in vari punti Kuffler individuò le proprietà del campo recettivo: Le cellule nel primo strato, ovvero lo strato 4, hanno un’organizzazione funzionale centro/periferia simile a quelle osservate nella retina e nel NGL. Campi recettivi circolari organizzati in centro ON oppure centro OFF: sino al 1958 si pensava che i neuroni di V1 non si comportassero diversamente dalle cellule nel NGL o nella retina. I neuroni sono strettamente monoculari - come quelli nel NGL I lavori di Hubel e Wiesel sulla corteccia visiva Negli anni 50-60 del secolo scorso Hubel e Wiesel compiono una serie di lavori fondamentali per capire l’organizzazione anatomica e funzionale della corteccia visiva primaria. Registrando la risposta dei neuroni in V1 agli stimoli visivi (in gatti e scimmie): Le loro scoperte hanno avuto un enorme valore teorico, ma anche applicativo. E’ grazie al loro lavoro che oggi, per esempio, sappiamo (in parte) trattare un grave difetto visivo come l’ambliopia (le informazioni visive sono su due assi troppo diversi per poter essere unite insieme, creare senso di profondità, e l’informazione viene bloccata), o si possono progettare e sperimentare protesi elettroniche in grado di simulare l’analisi della corteccia visiva per le persone non vedenti. Le cellule semplici e complesse In due lavori, del 1959 e del 1962, H&W scoprono in V1 del gatto l’esistenza di due tipi di cellule: semplici e complesse (le stesse cellule sono presenti anche nelle scimmie e nell’uomo). Come le cellule gangliari, quelle del NGL, e quelle granulari dello strato 4, le cellule semplici hanno campi recettivi in cui un punto luminoso produce una risposta eccitatoria oppure inibitoria. I campi recettivi delle cellule semplici (presenti negli strati supragranulari 2 e 3 e infragranulari 5 e 6) hanno una geometria diversa rispetto a quelle dei livelli precedenti (4 in V1, NGL, gangliari nella retina). Le cellule semplici: campo recettivo Muovendo un punto luminoso H&W hanno mappato il campo recettivo delle cellule semplici. In funzione della risposta possono essere identificati 3 tipi di campi recettivi in cui la zona eccitatoria ed inibitoria sono sempre separate da una linea diritta (un bordo). Basta campi circolari, abbiamo campi che iniziano a diventare oblunghi, non più organizzazione concentrica, ma con bordi più o meno dritti. Ha una organizzazione geometrica più complessa rispetto a quella circolare/concentrica del NGL. Cellula di tipo «centro OFF»: quando la luce è accesa al centro da una risposta inibitoria. Quando viene spenta diventa eccitatoria. La stessa risposta eccitatoria si osserva anche quando la luce viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Cellula di tipo «centro ON»: dà una risposta eccitatoria (anche se debole in questo caso) quando la luce è accesa al centro del campo recettivo, mentre da una risposta inibitoria quando viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Effetti di sommazione spaziale nel campo recettivo: maggiore l’area stimolata maggiore la risposta neurale ← cellule sensibili alla quantità di stimolazione che cade nel loro campo recettivo. Effetti antagonistici: stimolazioni contemporanee di aree eccitatorie ed inibitorie riducono la risposta cellulare. In realtà lo stimolo più efficace per attivare risposta è una piccola barra di luce, a patto che sia orientata e posizionata correttamente ← importante LINEE E ORIENTAMENTO La selettività per l’orientamento dello stimolo Esistono neuroni selettivi per tutti gli orientamenti: piccoli scostamenti (entro i 20°) dall’orientamento preferenziale provocano un declino nella risposta neurale. Es.: stimolo preferenziale verticale: per il neurone, la forza della risposta diminuisce se ci si allontana dall’asse verticale (inclinando la barra). Ogni informazione è trasmessa come differenza della frequenza di base (neuroni depressi ed eccitati) Ampiezza del campo Le dimensioni del campo recettivo variano ovviamente in funzione del fatto che la cellula mappi porzioni del campo visivo centrale oppure più periferico. Nella parte foveale o paravofeale le dimensioni più piccole individuate corrispondono a 0.25° x 0.25° di angolo visivo, con una parte centrale avente un’ampiezza di pochi minuti di arco. A 57 cm di distanza dall’osservatore un centimetro corrisponde ad 1° di angolo visivo. Quindi a questa distanza la parte centrale del campo recettivo copre pochi millimetri. Le cellule semplici: afferenze dal NGL e forma del campo recettivo (da concentrico a oblungo) – H&W hanno proposto come potrebbero essere collegati i neuroni del NGL con le cellule semplici per spiegare il campo recettivo di quest’ultime Neuroni del NGL Cellula semplice di V1 Le cellule semplici di V1: riassunto delle caratteristiche – Selettività spaziale: Ogni neurone risponde per una zona molto piccola del campo visivo – Selettività per l’orientamento: Ogni neurone risponde solo per un dato orientamento dello stimolo – Risposta ON oppure OFF – Campo recettivo diviso in zone eccitatorie ed inibitorie: Le regioni eccitatorie ed inibitorie non sono concentriche e circolari ma sono ampie aree separate da bordi lineari – Risposta ottimale a barre di luce (chiare o scure). Risposta meno ottimale solo a punti di luce o buio – Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa – Non particolarmente sensibili al movimento – Campo recettivo sia monoculare che binoculare: per convergenza da due cellule monoculari che convergono in una cellula binoculare – Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 – Presenti negli strati 2-3 e 5-6 LE CELLULE COMPLESSE Sono cellule che si trovano inframezzate con quelle semplici nei vari strati della corteccia Rispetto alle cellule semplici, da cui ricevono le afferenze, hanno alcune proprietà di risposta particolari: rispondo, come le semplici, a barre luminose orientate in modo appropriato, non ha punti né a condizioni di illuminazione diffusa; nel campo recettivo la distinzione tra zone ON e OFF (ed eccitatoria e inibitoria) non è così netta come nelle cellule semplici. Le cellule complesse: geometria del campo In alcune cellule una barra di luce stazionaria con orientamento appropriato evoca una risposta molto debole Altre invece rispondono, e la risposta è indifferenziata rispetto alla posizione dello stimolo, a patto che sia orientato correttamente La cellula risponde alla linea in tutto il campo recettivo, a patto dove la metta, ma vuole che sia orientata nel “modo giusto” ← rimane la selettività di orientamento. Geometria molto complessa: può esserci una risposta ON nella parte superiore e una OFF nella parte inferiore. In alcuni casi non rispondono a linee sottili, ma bordi tra aree chiare e scure (non è più una linea, ma un’area chiara e un’area scura). IL BORDO DEVE AVERE UN ORIENTAMENTO OTTIMALE. Cellule sensibili al movimento: lo stimolo ottimale per evocare una risposta è una barra che si muove nel campo recettivo ← è una risposta molto più forte. Rispondono non solo a stimoli in movimento, ovviamente orientati nella direzione corretta, ma a stimoli che si muovono in una certa direzione: una parte di cellule risponde solo ad una direzione del movimento, altre non presentano nessuna selettività, rispondendo ad ogni direzione. RIASSUNTO CELLULE COMPLESSE IN V1 – Selettività spaziale – Selettività per l’orientamento – Campo recettivo complesso dove le zone ON e OFF non sono sempre nettamente demarcate – Lo stimolo ottimale è in movimento – Alcune selettive per la direzione di movimento, altre no – Risposta ottimale a barre e bordi, in qualsiasi punto del campo – Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa – Campo recettivo monoculare o binoculare – Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 – Presenti negli strati 2-3 e 5-6 LA CONVERGENZA BINOCULARE Le informazioni arrivano alle aree visive da due occhi. Possiamo quindi chiederci quali sia il primo stadio di analisi in cui i segnali provenienti da un occhio e quelli provenienti dall’altro si combinano. La prima struttura in cui c’è la possibilità di una interazione è il NGL, tuttavia nel NGL i neuroni sono monoculari (vengono tenuti separati in 6 strati distinti, ogni strato ha solo neuroni monoculari). Anche i neuroni dello strato 4 di V1 hanno campi recettivi strettamente monoculari. La convergenza si osserva invece in alcuni neuroni degli strati supragranulari (2 e 3): qui troviamo sia neuroni monoculari sia neuroni binoculari. A meno che non adottiamo una prospettiva dualista (mente/corpo), tale per cui le mente trascende il corpo (cervello) e l’apprendimento è una proprietà della mente immateriale, dobbiamo chiederci alcune cose: • cosa implica materialmente per il cervello apprendere? • cosa significa acquisire un’informazione o un’abilità prima sconosciuta? L’acquisizione di una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica Tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare. Per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Santiago Ramòn y Cajal sosteneva che: «Per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e crescita di arborizzazioni dendritiche e terminali nervosi» Il cervello plastico: il periodo critico (=un massimo livello di plasticità) Un tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita: tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta. Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose. Quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso. Le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo. L’idea che il cervello fosse plastico solo durante l’infanzia ha importanti conseguenze anche circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali: se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. Il periodo critico nelle varie forme di vita è tanto più lungo quanto più complesso è il proprio sistema neurale. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambiamenti sostanziali del cervello, è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963-1965) sul «periodo critico».Anche i lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting suggerivano l’esistenza di tale periodo postnatale cruciale. La plasticità nell’età adulta Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una notevole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia. Tuttavia, rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi. Per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini. Apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa, e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli. La moderna visione della plasticità non considera questa caratteristica come un qualcosa legato ad un particolare periodo dello sviluppo, ma piuttosto come uno stato continuo del cervello. Il cervello è una struttura in continuo cambiamento, modificata in ogni istante dalle esperienze sensoriali, motorie, emotive e cognitive. LA PLASTICITÀ CORTICALE NEL SISTEMA MOTORIO Gli studi di Pascual-Leone e coll. (1995-1996) Ai soggetti era richiesto di eseguire ripetutamente una certa sequenza di movimenti con le dita sui tasti del pianoforte. Due ore di allenamento ogni giorno per 5 giorni, per 5 settimane Ogni giorno, prima e dopo ogni sessione di allenamento, attraverso l’uso della TMS veniva mappata l’area motoria coinvolta nel movimento delle dita, stimando la sua grandezza. Si stimolano alcuni punti della corteccia e si vede quando si induce un movimento nelle dita. In questo modo si può ricostruire l’area corticale coinvolta nel controllo delle dita della mano. Dopo ogni sessione l’accuratezza del movimento migliorava (sia in termini di errori sia di tempo), a riprova dell’avvenuto apprendimento. La mappatura dell’area motoria coinvolta ha rivelato due tipi di cambiamenti: 1) Una rapida espansione dell’area corticale coinvolta nel controllo motorio a seguito dell’allenamento settimanale. Ma questo cambiamento veniva in gran parte perso durante il fine settimana di riposo. 2) Un cambiamento più lento attraverso cui l’area coinvolta nell’apprendimento aumenta settimana dopo settimana in modo stabile. Un gruppo di soggetti fu invitato semplicemente ad immaginare di eseguire il compito: in questo studio anche il mero allenamento mentale può indurre una modifica cerebrale, comparabile a quella prodotta dal reale esercizio fisico: basta la programmazione dell’esecuzione. Rapida riorganizzazione della rappresentazione motoria indotta da TMS Compito: stringere ritmicamente il pugno della mano destra ogni secondo; il soggetto è nella fMRI Condizione presenza di TMS vs. assenza di TMS nella corteccia motoria NO rTMS: - prima: Attivazione della M1 controlaterale e della SMA - dopo: L’attivazione di M1 controlaterale e della SMA rimane invariata 1 Hz rTMS: - prima: Attivazione della M1 controlaterale e della SMA; la stimolazione di M1 con rTMS 1Hz riduce l’eccitabilità della corteccia - dopo: Attività in M1 controlaterale diminuisce, mentre, come compensazione per mantenere efficiente il compito, appare un’attivazione di M1 ipsilaterale e un aumento di attività in SMA (dopo un certo tempo) Gli studi TMS che abbiamo appena visto ci dimostrano che: l’esecuzione ripetuta (allenamento) di un certo gesto motorio determina una modificazione dell’area corticale coinvolta nel controllo di tale gesto e se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre per eseguire il movimento. La corteccia motoria presenta quindi elevata plasticità e capacità riorganizzative piuttosto rapide. PLASTICITÀ CORTICALE E CECITÀ L’essere umano è un organismo prettamente visivo. La perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di mancanza di stimolazione sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Esistono ormai evidenze consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità. Questo potrebbe spiegare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo vedenti. Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno mostrato un’attivazione di V1 in soggetti ciechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille (dimostra come il cervello non lasci parti di corteccia non utilizzata, vengono selezionati per altre modalità somatosensoriali). L’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse passivamente su simboli Braille, una condizione in cui la «lettura» non era richiesta: la corteccia visiva viene reclutata in aiuto al compito di lettura SOLO SE è coinvolto il compito di lettura, non anche se c’è una semplice stimolazione tattile. L’attività nelle aree visive osservata durante la lettura Braille non è comunque prova di un ruolo causale di tale attivazione per la lettura ← potrebbe trattarsi di un’attivazione non necessaria Ma il caso di una paziente nata cieca ha fornito prova del ruolo causale dell’attivazione occipitale: Dopo un ictus in zona occipitale (corteccia visiva) la paziente, che prima era un’ottima lettrice Braille, perse la sua abilità di lettura → il danno non riguardò la corteccia somato-sensoriale che si rappresentava la mano: le sue abilità tattili rimasero intatte ← non si può più attivare la corteccia visiva per leggere. Il ruolo fondamentale dell’attività occipitale nella capacità discriminatoria tattile in persone nate cieche è stato dimostrato anche attraverso l’uso della TMS. Cohen e coll. (1997) hanno stimolato le aree occipitali in un gruppo di ciechi congeniti, i quali dopo tale stimolazione non riuscivano più a leggere i simboli Braille. Ruolo delle aree visive nella discriminazione tattile in persone affette da cecità congenita: • Stimolazione di una mano con stimoli Braille A intervalli variabili dallo stimolo B. viene data la TMS o in area somatosensoriale oppure in area occipitale. PLASTICITÀ CORTICALE INDOTTA NEI NORMO VEDENTI Gli esperimenti con persone cieche mostrano come le aree visive non rimangono inattive, ma reclutate per processare informazioni in altre modalità. Possiamo chiederci se un simile fenomeno di plasticità sia riproducibile anche in soggetti normo vedenti. E’ possibile che le aree visive siano usate per compiti non visivi in persone sane? Pascual-Leone & Hamilton (2001) bendano per 5 giorni delle persone normo vedenti Durante i 5 giorni l’attività corticale delle persone mentre eseguono compiti di discriminazione tattile di oggetti viene registrata tramite fMRI. Attività in V1 registrata durante compito tattile: • Primo giorno di bendaggio non c’è nessuna attività in V1; • Giorno 5 di bendaggio c’è evidente attività in V1; • Alcune (poche) ore dopo la rimozione del bendaggio si ha una forte riduzione attività in V1 L’esperimento di Pascual-Leone & Hamilton (2001) dimostra l’elevata plasticità della corteccia, indicando inoltre che: • Sono sufficienti 5 giorni di totale deprivazione per indurre la corteccia visiva ad iniziare a processare informazioni tattili; Conclusioni La deprivazione monoculare dalla nascita induce marcata atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in qualche caso ridotta. Se la deprivazione inizia dopo un breve periodo di esperienza visiva risulta meno marcata, o assente negli animali adulti. La marcata atrofia del NGL dovuta a deprivazione non era stata osservata negli studi precedenti. Un possibile motivo è il fatto che gli studi precedenti usavano una deprivazione binoculare, mentre qui si è usata quella monoculare: in caso di deprivazione binoculare c’è meno disturbo che in caso di deprivazione monoculare, in quanto il sistema funziona in competizione, una parte stimola o inibisce l’altra. Quindi c’è una spinta forte solo da un lato, cosa che genera danni alla parte non stimolata (quella sana). La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il NGL. Receptive fields of cells in striate cortex of very young, visually inexperienced kittens. 1963b In questo lavoro, che è il secondo della serie, gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto. Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva al fine di assicurare un normale sviluppo di V1. METODO: – 2 gattini, dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi vengono testati. La deprivazione avviene con delle lenti translucide che fanno passare poca luce diffusa. → 1 gattino ha una normale esperienza visiva e funziona da controllo. RISULTATI: dopo 2 settimane, di cui la seconda di deprivazione, i neuroni hanno una forte tendenza ad andare incontro ad affaticamento. I neuroni rispondo in modo meno vigoroso agli stimoli, e gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative. Questi effetti di affaticamento sembrano essere ristretti alla corteccia, non essere presenti nel NGL. A parte la lentezza e fatica nella risposta le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto → selettività per orientamento, movimento, etc. La deprivazione binoculare non altera la preferenza di risposta nei neuroni binoculari (che invece c’è in caso di deprivazione monoculare). Conclusioni: i risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività di risposta) della corteccia del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva (funzionamento della corteccia visiva e strutture sottostanti non dipendono dall’esperienza visiva). Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra retina, NGL e corteccia, non richiede esperienza visiva ← questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia. Single-cell responses in striate cortex of kittens deprived of vision in one eye. 1963c Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del NGL. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, dopo deprivazione monoculare, allo stadio successivo di analisi visiva: V1. Nella corteccia striata, dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare. Le risposte qualitative dei neuroni binoculari ai due occhi sono simili, ma può essere diversa la forza di risposta all’uno o all’altro occhio. METODO: – Soggetti: 7 gattini e 1 gatto adulto – Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi; – Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio. • I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo; Il gatto adulto ovviamente da adulto – Sito di registrazione: V1 sinistra, da strati (2-3) con neuroni binoculari. Effetti comportamentali della deprivazione – Prima di effettuare le registrazioni elettrofisiologiche viene aperto l’occhio deprivato e viene chiuso l’occhio che era rimasto aperto. L’animale si muove in modo incerto;– Sbatte contro gli oggetti, anche contro i muri, che riesce a seguire con le vibrisse. Cade dal tavolo se posto a camminarci sopra; non segue nessun oggetto in movimento nel campo visivo. Se si apre l’occhio non deprivato il comportamento ritorna normale. Si conclude che la deprivazione monoculare induce uno stato di profonda e completa cecità per l’occhio corrispondente. RISULTATI: cambiamenti fisiologici I neuroni non rispondevano in alcun modo all’occhio deprivato. La figura mostra gli istogrammi di dominanza oculare in V1 sinistra di un gattino cui era stato deprivato l’occhio destro (dopo una settimana di vita e per 2,5 mesi): risposta dei neuroni solo all’occhio ipsilaterale; nessuna risposta dall’occhio deprivato. Le cellule che rispondono mostrano campi recettivi sia di tipo semplice che complesso, e hanno normali risposte all’orientamento, in funzione della loro preferenza: quelle che sono state stimolate, sviluppano una risposta naturale. Normale organizzazione secondo colonne di orientamento. Deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva: Come per lo studio sul NGL una breve esperienza visiva precedente alla deprivazione sembra in qualche modo attenuarne gli effetti (meno plasticità, una volta che la struttura si è stabilizzata, non sono più possibili cambiamenti drastici). Durante il periodo nel quale la deprivazione non avviene, il sistema riesce a strutturarsi stabilmente. Niente atrofia in V1 (a differenza di ciò che succede nel NGL) → perchè i neuroni sono binoculari, e ricevono comunque stimolazione (sbilanciata) dall’occhio libero. Deprivazione monoculare in animale adulto: un gatto adulto deprivato monocularmente per 3 mesi non presenta nessun deficit nella risposta dei neuroni di V1. Cambiamenti morfologici: sia negli animali deprivati dalla nascita sia negli animali adulti non è emersa nessuna evidenza di atrofia nei neuroni di V1 ← sempre perché ricevono afferenze dall’altro occhio. Conclusioni Alla luce dei risultati del primo lavoro, quelli del presente lavoro possono sembrare paradossali: la deprivazione dalla nascita aveva prodotto nel NGL una marcata atrofia (+ assottigliamento dei strati che lo costituiscono) ma un modesto deficit funzionale. Nella corteccia visiva si è osservato un pattern opposto, con irrilevanti cambiamenti morfologici ma con eclatanti deficit funzionali. La ragione sta nel fatto che nel NGL i neuroni sono selettivamente monoculari e separati in strati diversi. Nella corteccia la maggior parte dei neuroni ha afferenze binoculari. Quindi l’input arriva comunque dall’occhio aperto, e in V1 è lecito non attendersi differenze morfologiche causate dalla deprivazione monoculare. Esiste una profonda differenze funzionale indotta dalla deprivazione: • I neuroni del NGL, continuano a rispondere anche all’occhio deprivato. • I neuroni di V1 mostrano una drammatica assenza di risposta all’occhio deprivato. Una maturazione corretta del sistema visivo è impedita da una stimolazione asimmetrica tra i due occhi, come nella deprivazione monoculare. Questo fa pensare a vie anatomiche prestabilite geneticamente che devono ricevere una stimolazione bilanciata (presente o assente) per maturare correttamente. Comparison of the effects of unilateral and bilateral eye closure on cortical unit responses in kittens- 1965a Questo è il quarto lavoro della serie, nel quale si comparano gli effetti della deprivazione monoculare contro quella binoculare. Dai lavori precedenti è emerso che la deprivazione monoculare precoce causa notevoli cambiamenti nel sistema visivo, mentre una breve deprivazione binoculare non produce grossi danni. Nella deprivazione monoculare, quando l’attività del NGL e della corteccia è registrata 3 mesi dopo la chiusura delle palpebre, quello che si osserva è una marcata riduzione dei neuroni che in V1 rispondono all’occhio deprivato, per esempio cambiando la dominanza oculare. Nel NGL le cellule rispondono perlopiù normalmente, sia all’occhio deprivato, sia a quello aperto, anche se è presente una marcata atrofia per quelle che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Dal lavoro precedente era emerso in modo chiaro che la deprivazione monoculare è senza dubbio la condizione che crea maggior danni al sistema visivo, mentre quella binoculare non sembrava sortire particolari effetti. Ma è proprio vero che una deprivazione binoculare non porta a nessun danno per i neuroni di V1? Cosa accade se la deprivazione è binoculare è sostenuta? Metodo: Soggetti: 7 gattini; - Durata deprivazione: cca 4 mesi; - Inizio deprivazione: una settimana dopo la nascita; - Tipo deprivazione: monoculare in due animali, binoculare in 5 animali; - Sito registrazione: V1 Nei neuroni che rispondevano (circa la metà), si sono osservate risposte anomale, soprattutto in quelli che rispondevano all’occhio riaperto. Morfologia dei neuroni nel NGL L’iniziale deprivazione monoculare per 3 mesi ha causato la nota atrofia della cellule del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Anche dopo 18 mesi dalla riapertura dell’occhio inizialmente chiuso non si è osservato nessun recupero dell’atrofia indotta dalla deprivazione iniziale. Si conferma che il periodo iniziale è cruciale nell’indurre una modifica morfologica, che non pare essere poi recuperabile. Conclusioni generali Nella serie dei lavori che abbiamo visto, Hubel & Wiesel hanno dimostrato una forma di plasticità del sistema visivo. Attraverso la deprivazione monoculare e binoculare hanno messo in luce come esista un periodo critico, che nei gatti corrisponde alle prime settimane di vita, durante il quale il sistema visivo può essere fortemente modificato a livello funzionale, morfologico e strutturale. La deprivazione monoculare induce • Atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio deprivato, ma modesti cambiamenti funzionali; • Pochi cambiamenti morfologici ma sostanziali cambiamenti funzionali nelle proprietà di risposta dei neuroni in V1. I neuroni rispondono solo all’occhio non deprivato; • La deprivazione monoculare sembra indurre deficit maggiori di quella binoculare; • Se la deprivazione dura più di 3 mesi non è possibile nessun recupero funzionale e morfologico; • I deficit prodotti dalla deprivazione monoculare non sono dovuti al mancato normale sviluppo, quando ad una distruzione di connessioni esistenti già alla nascita. Il grado di recupero dipende dal periodo della deprivazione. Se la deprivazione supera il periodo critico il recupero possibile, in termini comportamentali, fisiologici e morfologici, è veramente modesto se non assente. Il grado di deficit prodotti dalla deprivazione dipende dal fatto che sia binoculare o monoculare, e quindi dalla interazioni corticali tra le afferenze dei due occhi. Ulteriori evidenze circa la presenza del periodo critico → grado di recupero dopo la deprivazione monoculare: Reversal of the psychological effects of monocular deprivation in kittens: further evidence for a sensitive period. 1965c Metodo: deprivazione monoculare e binoculare; la deprivazione monoculare era invertita tra i due occhi dopo un certo periodo di tempo. NB: questi numeri valgono per il gatto, per le altre specie le soglie sono diverse. Il ruolo dell’ambiente nella plasticità Negli stessi anni in cui Hubel & Wiesel conducevano i loro lavori sulla corteccia del gatto, si stava sviluppando un’altra importante linea di ricerca sulla plasticità corticale. Rosenzweig è stato l’esponente di spicco di questa linea di ricerca che ha indagato il l’effetto della complessità dell’ambiente nel quale viene cresciuto l’animale, sulla sua organizzazione corticale. Gli esperimenti di Rosenzweig: suddivise dei ratti appena nati in 3 gruppi, ognuno dei quali era sottoposto ad un tipo diverso di ambiente (gabbia) nel quale vivere. • Ambiente Impoverito = un animale da solo; • Ambiente Standard = 3 ratti con cibo e acqua • Ambiente Arricchito = 10 ratti con cibo, acqua e oggetti nella gabbia. Gli esperimenti dimostrarono che lo sviluppo cerebrale dipende non solo dal corredo genetico, ma anche dall’interazione con l’ambiente. Lo sviluppo del ratto in un ambiente arricchito, in cui poteva avere molteplici interazioni (motorie, sociali e cognitive) con vari aspetti dell’ambiente, induceva attraverso una ramificazione una maggior crescita delle spine dendritiche dei neuroni. Cervello e ambiente arricchito Studi più recenti hanno confermato i risultati degli esperimenti originali di Rosenzweig e collaboratori; È stato inoltre dimostrato che lo sviluppo in un ambiente arricchito induce anche un aumento del numero di neuroni nell’ippocampo Anche lavori di Lamberto Maffei: 2 gruppi di bambini appena nati, un gruppo veniva stimolato attraverso (quantità di stimolazione tattile superiore) carezze e un altro gruppo aveva interazione normale: ambiente arricchito vs. ambiente standard. Registrano la risposta elettrocorticale a stimoli visivi → la risposta è tanto più forte quanto il sistema del bambino sta maturando. Risultati: l’ambiente arricchito ha prodotto una maturazione più rapida rispetto all’ambiente normale, però questo vantaggio è limitato solo alla rapidità di maturazione (anche i bambini normo stimolati lo raggiungono ugualmente, solo che con tempi diversi). La ricerca si sta spingendo nella direzione farmacologica per capire se sia possibile riaprire il periodo plastico attraverso neurotrasmettitori: isolare il messaggero chimico che chiude la plasticità, che ferma la formazione di nuove sinapsi,etc. Gli studi di Hubel & Wiesel (1963-1965) hanno dimostrato la presenza di un «periodo critico» post- natale durante il quale il sistema visivo mostra un elevato grado di plasticità a seguito di deprivazione sensoriale. Oltre tale periodo critico, i deficit prodotti dalla deprivazione non possono più essere recuperati, ma nemmeno indotti – La plasticità della corteccia visiva pareva quindi ristretta nel periodo critico. Lo studio della plasticità corticale è stato successivamente rivolto anche agli effetti della riduzione o eliminazione dell’input sensoriale in aree corticale diverse da quella visiva (può questa plasticità essere applicata ad altre competenze sensoriali?) Una delle prime dimostrazioni della plasticità corticale nell’età adulta ha riguardato il sistema somatosensoriale dei primati (scimmie adulte). Pioniere dei questo tipo di studi sul sulla plasticità della corteccia somatosensoriale nei primati non umani è stato Michael Merzenich. Assieme ai suoi collaboratori ha condotto una serie di studi nei quali ha testato la riorganizzazione delle aree corticali di rappresentazione della mano (aree di Brodmann 3b e 1), a seguito di deafferentazione dell’input cutaneo tramite taglio del nervo mediano. Lo studio è stato guidato da una serie di domande – Quali conseguenze si osservano nella corteccia somatosensoriale a seguito di un danno ai nervi periferici? – I settori corticali delle aree 3b e 1 che non ricevono più input sensoriale rimangono silenti o iniziano a rispondere ad input da altre regioni cutanee? In altre parole: a seguito di denervazione periferica i settori corticali che si rappresentano la parte di cute denervata continuano a rappresentarsi tale distretto corporeo (rimangono inutilizzati) o sono riutilizzati da altri input sensoriali? Altre nuove connessioni possono essere stabilite nel tempo. Questi processi riorganizzativi sono importanti perché consentono al cervello di rispondere in modo adattivo e plastico a danni periferici e centrali. Reorganization of retinotopic contical maps in adult mammals after lesions of the retina L’obiettivo del lavoro di Kaas e collaboratori del 1990, è quello di verificare se anche nel sistema visivo è possibile una tale rapida riorganizzazione nel mammiferi adulti. Registrazione dall’area visiva primaria del gatto Prima fase: producono una lesione retinica nell’occhio destro in modo da indurre uno scotoma – L’occhio sinistro è normale – Risultati: • Nessun segno di riorganizzazione corticale • L’unica alterazione è che i neuroni binoculari che si rappresentano l’area lesionata ora rispondo solo all’altro occhio, per la stessa porzione del campo visivo (in accordo con quanto osservato da H&W) Seconda fase: – Enucleazione dell’occhio sano; – Registrazione dopo 2-6 mesi. Riorganizzazione della mappa retinotopica a livello corticale: → L’occhio viene rimosso e non solo suturato per evitare la possibilità che partano scariche spontanee verso l’area visiva, ed andare incontro ad un non completo sbilanciamento. Nessuna risposta dai neuroni i cui campi recettivi coprivano l’area danneggiata se viene presentato uno stimolo in quest’area; I neuroni però rispondono per stimoli adiacenti all’area; Spostamento dei campi recettivi dei neuroni di V1 in porzioni retiniche non lesionate → Rapid reorganization of cortical maps in adult cats following restricted deafferentation in retina Un successivo lavoro di Chino e collaboratori (1992) indaga ulteriormente i meccanismi corticali che consentono la riorganizzazione nel sistema visivo a seguito di lesioni retiniche. In particolare, Chino et al. vogliono verificare se sia possibile osservare riorganizzazioni corticali in tempi rapidi dopo la lesione periferica. Se le evidenze fossero positive questo suggerirebbe che anche il sistema visivo, come quello somatosensoriale, presenta un elevato grado di plasticità in tempi brevi anche nell’animale adulto. Procedura – Lesione della retina di un occhio; – Misura dello scotoma a livello corticale; – Enucleazione dell’occhio sano; – Nuova misura dello scotoma corticale per valutare possibile riorganizzazione: • Condizione immediata • Condizione ritardata (dopo 2 mesi) Risultati prima della enucleazione: – La topografia corticale risulta normale quando mappata attraverso l’occhio sano; – Quando viene testato l’occhio lesionato emerge una zona corticale (corrispondente a quella retinica lesionata) in cui i neuroni non rispondono. Se si registra dai neuroni che hanno il campo recettivo nella zona lesionata non si osserva risposta. Quindi non ci sono campi recettivi attivi per la porzione di campo visivo lesionata. Risultati gruppo immediato – Confronto tra campi recettivi dell’occhio lesionato, prima e subito dopo enucleazione di quello sano before enucleation after enucleation Si noti, subito dopo l’enucleazione dell’occhio sano, la comparsa di nuovi campi recettivi attorno all’area lesionata. Questi sono i campi recettivi di quei neuroni corrispondenti all’area lesionata. I neuroni spostano il loro campo recettivo solo dopo la rimozione dell’occhio sano. I nuovi campi recettivi hanno proprietà di risposta normali, sia per quanti riguarda la selettività all’orientamento, al contrasto e alle frequenze spaziali. Le parti silenti della corteccia sono state del tutto riattivate, attraverso uno spostamento dei campi recettivi verso zone retiniche intatte. Questi risultati dimostrano che una lesione bilaterale (locale in un occhio + enucleazione altro occhio sano) è necessaria per indurre una rapida riorganizzazione topografica della corteccia. Ma l’enucleazione dell’occhio sano è necessaria per la riorganizzazione corticale se si dovesse lasciare molto più tempo per il recupero? Risultati gruppo ritardato – A quattro gatti vengono lasciati 2 mesi per recuperare dalla lesione, senza enucleazione occhio sano (lesiono un’occhio ma non anche tolgo l’altro occhio); Vengono testati; – Poi si procede ad enucleazione: vengono quindi ritestati subito dopo. Conclusioni: I risultati indicano che solo poche ore dopo la lesione retinica che depriva una parte della corteccia di input sensoriale si può osservare una profonda riorganizzazione corticale della zona deprivata. Perché questa riorganizzazione avvenga è necessaria una deprivazione binoculare, locale (occhio lesionato) e totale (occhio enucleato). La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni preesistenti, normalmente silenti a causa di meccanismi competitivi. I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale. I sistemi di riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio possono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio (quando questa rimane normale). Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denervazione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale: la parte della corteccia che si rappresentava l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati, non rimane silente. Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino. Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: – Le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si riorganizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale; – A seguito della riorganizzazione non rimangono parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico; – La parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti. Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, possiamo chiederci se analoghe modifiche corticali possano essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o disconnessione. Functional reorganization of primary somatosensory cortex in adult owl monkeys after behaviorally controlled tactile stimulation Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990). I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organizzazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale la corteccia si riorganizza. → E’ possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimolazione, possa produrre alterazioni corticali? Recanzone e collaboratori hanno esplorato questa possibilità in uno studio del 1992: Topographic reorganization of the hand representation in cortical area 3b of owl monkeys trained in a frequency- discrimination task Lo studio – Soggetti: 10 scimmie adulte (Owl Monkeys) – Compito: l’animale deve riuscire a discriminare la presentazione di uno stimolo oddball (recepire la frequenza di stimoli passivamente o discriminare il stimolo diverso) su di una falange del dito medio – Gli stimoli standard sono stimoli vibro-tattili con una frequenza di 20Hz – Il target è uno stimolo con una frequenza superiore ai 20Hz – Registrazione dall’area somatosensoriale 3b Due condizioni sperimentali – Tattile attiva: Attenzione allo stimolo tattile → Solo stimoli tattili e compito tattile 7 animali – Tattile passiva: Attenzione allo stimolo uditivo → Presentazione di stimoli uditivi sui quali l’animale deve fare una discriminazione di frequenza + stimolazione tattile passiva 3 animali La rappresentazione del dito stimolato è stata confrontata con quella (per vedere se la stimolazione del dito avrebbe interferito con altre parti vicine): • Di un dito vicino a quello stimolato • Del dito corrispondente nella mano non allenata • Dito vicino a quello corrispondente non allenato • Del dito stimolato passivamente (compito uditivo) Risultati confronto grandezza delle rappresentazioni delle dita: Il confronto con il dito adiacente a quello stimolato non mostra differenze nella grandezza dell’area che si rappresenta il dito. Il confronto con il dito corrispondente a quello stimolato nella mano non stimolata non mostra differenze nella grandezza dell’area rappresentata. Il confronto tra la condizione di stimolazione tattile attiva e passiva non mostra differenze per quanto riguarda la dimensione della rappresentazione corticale del dito stimolato. Risultati – L’analisi della dimensione delle rappresentazioni corticali del dito stimolato non ha messo in luce alcuna differenza tra le varie condizioni. – E’ stata però condotta un’analisi più precisa confrontando le varie condizioni solo in merito all’area del dito specificatamente stimolata: si sono quindi confrontate le rappresentazioni corticali facendo riferimento allo specifico punto stimolato sul dito. Rappresentazioni specifiche del punto stimolato: condizione attiva Quando il confronto riguarda solo lo specifico punto di stimolazione attiva, ed un punto analogo nel dito adiacente non stimolato, allora emerge un chiaro incremento dell’area corticale indotto dalla stimolazione attiva. Condizione passiva: Se la stimolazione è passiva, NON EMERGE NESSUN incremento dell’area corticale quando confrontata con il dito adiacente → Conclusioni I risultati del lavoro di Recanzone e collaboratori confermano quelli dello studio precedente dei Jenkins. Si dimostra che la rappresentazione corticale somatosensoriale può essere modificata dalla stimolazione sensoriale, ma solo per lo specifico sito di stimolazione. Si dimostra inoltre che non basta che tale stimolazione avvenga passivamente, ma deve essere una stimolazione rilevante per l’animale. L’attenzione gioca quindi un ruolo cruciale nel modulare la plasticità corticale. Ulteriore forma di modulatore della plasticità Apprendimento percettivo su compiti irrilevanti: quando svolgo un compito correttamente, già averlo eseguito correttamente produce una forma di rinforzo; questi segnali di rinforzo modificano la plasticità. Se presentati stimoli irrilevanti per il compito mentre viene svolto, es. esecuzione corretta compito+pallini che sembrano muoversi in maniera casuale → dopo un nr di ripetizioni, il semplice movimento dei pallini porta all’autogratificazione Le cose che accadono in contemporanea a qualcosa per noi rilevante, è altamente probabile che venga appreso. Abbiamo visto che lesioni periferiche (nervi della mano o porzioni della retina) inducono una riorganizzazione topografica della corteccia, sia somatosensoriale (SI) che visiva (V1) – Merzenich et al. (1983); Kaas et al. (1990). Esistono inoltre evidenze che la corteccia somatosensoriale si riorganizza anche a seguito di una iperstimolazione attiva di alcuni distretti corporei – Jenkins et al. (1990); Recanzone et al. (1992). Come si comporta la corteccia uditiva? Ha lo stesso grado di plasticità? SI – Esistono evidenze che anche la corteccia uditiva si riorganizza tonotopicamente a seguito di lesioni cocleare specifiche che impediscono la percezione di certe frequenze (Robertson & Irvine, 1989). In uno studio del 1993 Recanzone e collaboratori dimostrano una analoga riorganizzazione tonotopica a seguito di un training su di una specifica frequenza. Plasticity in the frequency representation of primary auditory cortex following discrimination training in adult owl monkeys Lo studio di Recanzone et al. (1993) – Soggetti: scimmie adulte; – Allenate per vari giorni a distinguere stimoli di una certa frequenza target; – Alla fine del training registrazione da A1 (corteccia uditiva primaria); Confronto dell’ampiezza della zona di corteccia che si rappresenta la frequenza stimolata tra scimmie allenate e non allenate. Risultati – Psicofisica: l’allenamento produce un miglioramento della prestazione discriminativa che si traduce in una riduzione della differenza di frequenza tra target e non target. – Mapping corticale: in parallelo al miglioramento di prestazione, l’allenamento induce una espansione dell’area corticale che si rappresenta la frequenza allenata, ma non se presentata passivamente. Conclusioni – Anche la corteccia uditiva mostra la capacità di riorganizzarsi non solo a seguito di lesioni ma anche in risposta ad un allenamento specifico (per una certa frequenza). – Inoltre, a conferma di quanto emerso nel lavorio di Recanzone et al. (1992), i risultati dimostrano ancora una volta il ruolo cruciale dell’attenzione nel regolare questa forma di plasticità corticale. Sinora abbiamo visto che la corteccia sensoriale è in grado di riorganizzarsi in seguito a deprivazioni oppure a iperstimolazioni sensoriali. A livello del singolo neurone la plasticità si traduce in cambiamenti dei collegamenti sinaptici attraverso: – l’attivazione di sinapsi latenti (inibite) – la nascita di nuovi collegamenti, e quindi la formazione di nuove vie nervose Uno dei neurotrasmettitori che sembrano essere maggiormente coinvolti nella plasticità cerebrale è la Dopamina. La Ventral Tegmental Area (VTA) è uno dei nuclei più importanti del sistema dopaminergico: proietta a varie parti dell’encefalo, compreso il Nucleo Accumbens, l’Amigdala, e la Corteccia Prefrontale. L’attività modulatoria della dopamina rilasciata dalla VTA sembra in realtà avere come target anche molte altre parti della corteccia, comprese le corteccie sensoriali. Alcuni ricercatori si sono quindi chiesti se fosse possibile indurre plasticità e riorganizzazione corticale per uno stimolo (CS) che fosse associato (condizionamento classico) ad una scarica di dopamina (US) ottenuta tramite stimolazione elettrica della VTA. Cortical remodelling induced by activity of ventral tegmental dopamine neurons Studio di Bao, Chan & Merzenich (2001) Sono utilizzati 7 ratti a cui per 20 giorni due ore al giorno viene fatto sentire un suono di 9kHz (CS) accoppiato ad una stimolazione della VTA (US). Dopo i 20 giorni di accoppiamento è stata mappata la corteccia uditiva primaria per vedere in che modo rispondeva alle varie frequenze, inclusa quella che aveva funzionato da CS per la scarica della VTA. Per essere sicuri che la riorganizzazione corticale fosse stata effettivamente indotta dalla scarica dopaminergica, un gruppo di ratti è stato sottoposto allo stesso paradigma ma con una somministrazione, 30 minuti prima di ogni sessione sperimentale, di un antagonista dei recettori della dopamina: non è emersa nessuna differenza rispetto al gruppo di controllo che non riceveva stimolazione della VTA. Stimoli e condizioni sperimentali – Stimoli: vengono presentati uno stimolo S+ ed uno S- in grado di evocare risposte diverse nella cellula per quanto riguarda dominanza oculare e orientamento – Controllo: Presentazione di S+ e S- senza iontoforesi(senza alterare le proprietà di risposta del neurone) – Pseudo Pairing: presentazione di S+ e S- senza relazione con iontoforesi – Pairing: presentazione sistematica di S+ seguito da corrente positiva e S- seguito da corrente negativa – 50 sequenze di S+ e S- per ogni condizione: uno stimolo evocava una risposta maggiore dall’occhio destro ed era verticale, mentre l’altro evocava una risposta maggiore dall’occhio sinistro ed era orizzontale← evocare la risposta preferenziale oculare ed evocare la risposta preferenziale per l’orientamento. Risultati: 1. Effetti della iontoforesi sulla risposta di dominanza oculare di un neurone monoculare sinistro. Inizialmente la cellula mostra una marcata preferenza monoculare sinistra. La iontoforesi è accoppiata con la presentazione dello stimolo all’occhio destro ma non al sinistro. Nella fase di test a vari intervalli dalla procedura di pairing, la cellula mostra una risposta aumentata all’occhio destro. Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da prevalentemente monoculare sinistro diventa binoculare con leggera preferenza sinistra. E’ avvenuto un rimmappaggio: i pattern di risposta presentano moderata risposta anche nell’occhio a cui non era predisposto a rispondere. 2. Effetti della iontoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento: neurone “verticale” Alla comparsa dello stimolo orizzontale viene applicata una corrente positiva al neurone - forzano il neurone a rispondere allo stimolo Alla comparsa dello stimolo verticale viene applicata una corrente negativa al neurone - forza il neurone a non rispondere allo stimolo La iontoforesi è applicata nei seguenti accoppiamenti: S+ orizzontale ed S- verticale. Inizialmente la cellula mostra una marcata preferenza per l’orientamento verticale. Nella fase di test a vari intervalli dalla procedura di pairing, la cellula mostra una risposta aumentata allo stimo orizzontale e ridotta a quello verticale (inizialmente preferito). Anche per quanto riguarda l’orientamento, sono riusciti a cambiare le proprietà di risposta del neurone. Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da passa da una selettività di risposta per lo stimolo verticale ad una selettività per quello orizzontale. Discussione La tecnica utilizzata ha consentito di cambiare le proprietà del campo recettivo dei neuroni, modificando sia la loro dominanza oculare sia la selettività per l’orientamento. Gli effetti più forti di questa plasticità neurale sono stati dimostrati nei gattini durante il periodo critico. Tuttavia effetti analoghi anche se minori sono stati osservati anche nei gatti adulti. La plasticità si osserva anche a livello del campo recettivo del neurone. La modifica è probabilmente dovuta ad un meccanismo di plasticità sinaptica che si basa sulla correlazione temporale di risposta pre e post sinaptica, qui modulata attraverso iontoforesi. I dati sono compatibili con la teoria di Hebb sull’apprendimento e la plasticità sinaptica. Plasticità del campo recettivo indottavtramite condizionamento classico: Bakin & Weinberger (1990) si chiedo se le proprietà del campo recettivo del neurone dipendano solo dalle proprietà dello stimolo o se queste possano essere modificate dalla rilevanza dello stimolo per l’animale. Classical conditioning induces CS-specific receptive field plasticity in the auditory cortex of guinea pig Metodo: Condizionamento e Pseudo-condizionamento Soggetti: 8 maschi adulti di Guinea Pig Procedura: Prima viene misurata la risposta neurale a varie frequenze acustiche, e si identifica la miglior risposta della corteccia uditiva (10 kHz). Poi si inizia una procedura di condizionamento avversivo, in cui un tono di 6kHz anticipa di 2 secondi due scosse elettriche. Condizione di controllo di pseudo condizionamento, in cui il tono non predice mai la scossa, ma vengono dati lo stesso numero di toni e scosse. Si stima ancora la risposta corticale alle varie frequenze acustiche. Risultati comportamentali L’animale mostra una serie di risposte comportamentali allo stimolo condizionato(tono di 6kHz): movimenti della testa, arretramento, masticazione. Questo assicura che il condizionamento è avvenuto, e l’animale ha identificato lo SC (6kHz) come un evento saliente che predice l’arrivo dello SI (scossa). Risultati elettrofisiologici: condizionamento La procedura di condizionamento modifica la risposta alle frequenze nelle cellule registrare. Risultati elettrofisiologici: controllo Lo pseudo condizionamento NON modifica la risposta alle frequenze nelle cellule registrare DISCUSSIONE La procedura di condizionamento è in grado di modificare il campo recettivo delle cellule della corteccia acustica dell’animale, mostrando plasticità a livello neurale. Le modifiche permesse da tale plasticità del campo recettivo sono relativamente durevoli nel tempo, dato che rimangono presenti anche 24Hr dopo la fine del condizionamento. La plasticità del campo recettivo è emersa solo in quegli animali che avevano mostrano condizionamento Tuttavia, l’apprendimento associativo (misurato comportamentalmente) non è sufficiente ad indurre la plasticità neurale del campo recettivo, in quanto alcuni animali che mostrarono condizionamento non mostrarono le corrispondenti modifiche nella risposta alle frequenze Perceptual Learning Cos’è il Perceptual Learning? Il PL (o apprendimento percettivo) consiste in un miglioramento delle capacità percettive del soggetto dovuto all’esperienza o allenamento, è miglioramento che si mantiene nel tempo. Studiare il PL è interessante per vari aspetti, pratici ma anche teorici. Pratici: come allenare al meglio alcune abilità? Teorici: come apprende e si modifica il sistema sensoriale a livello corticale? Il PL è una manifestazione di plasticità corticale. Un famoso detto recita: «La pratica rende perfetti» Forse la pratica non consentirà di raggiungere la perfezione ma di sicuro aiuta ad aumentare le capacità allenate. A seguito di una quotidiana esposizione alle radiografie, i radiologi sviluppano un’abilità a vedere macchie di contrasto rilevanti in immagini che al profano non dicono nulla. E’ sulla capacità degli operatori ai sistemi x-ray degli aeroporti a discriminare piccoli dettagli che contiamo per la nostra sicurezza in volo – Questa abilità si affina con l’allenamento In merito agli aspetti teorici del PL possiamo porci alcune domande importanti: L’apprendimento è un processo specifico o generale? Una visione comune, anche in ambito educativo, è che allenare il cervello a fare qualcosa produca un effetto positivo generale. • Quali sono i meccanismi che consentono all’apprendimento di aver luogo? • Quali sono le basi neurali del PL? • Cosa ci dice il PL in merito alla plasticità corticale nell’adulto? Per tentare di dare delle risposte a queste e altre domande restringeremo il nostro interesse al Perceptual Learning nella modalità visiva. • Per cominciare vediamo due studi importanti che negli anni 80 del secolo scorso hanno indagato alcuni aspetti del PL: – Fiorentini & Berardi (1981); – Ball & Sekuler (1987) Questi studi sono tra i primi che hanno dimostrato la specificità del PL in riferimento alle caratteristiche dello stimolo sul quale viene fatto un compito di discriminazione. – Senza tecniche di neuro-immagine, ma solo sulla base delle conoscenze dell’organizzazione del sistema visivo, questi due studi cercano anche di dare una risposta sulle possibili basi neurali del PL studiato. Il PL una volta ottenuto si mantiene nel tempo. Mostra trasferimento inter-oculare, il che suggerisce una base neurale che deve essere in V1 o successiva. Direction-specific improvement in motion discrimination Ball & Sekuler (1987) Il loro obiettivo è studiare la «plasticità» del meccanismo di apprendimento della percezione del movimento (da stimoli statici a stimoli in movimento). In particolare sono interessati a studiare la specificità di tale apprendimento e la sua durata. Infine, cercano di capire quali possano essere la basi neurali di questo tipo di PL. Esperimento 1: Metodo Presentano un insieme di punti in movimento lungo un certo asse in due distinti intervalli di tempo. Ogni insieme (dinamic random dots) è composto da 400 punti e si muove per 500 ms (velocità di movimento, 10°/sec). – I due intervalli sono separati da 200 ms In metà delle prove i due insiemi si muovono lungo la stessa direzione, nell’altra metà hanno direzioni diverse (differenza di 3°). Compito del soggetto è dire «uguali» vs. «diversi» – Viene fornito un feedback ad ogni trial. La capacità discriminativa viene misurata lungo vari assi di movimento: • 0°, 45°, 90°, 135°, 180°, 225°, 270° e 315°. 7 Sessioni sperimentali, divise in sessioni di test e di training – Nelle sessioni 1, 4 e 7 viene misurata la capacità discriminativa in ognuna delle 8 direzioni possibili. – Nelle sessioni 2, 3, 5 e 6 viene invece allenata una specifica direzione di movimento, assegnata a caso ad ogni soggetto (500 trial). Da 10 a 12 giorni di allenamento: TEST-TRAINING-TRAINING-TEST-TRAINING-TRAINING- TEST Esperimento 1: Risultati Per misurare la capacità discriminativa lungo i vari assi con il compito same/different viene utilizzato il d’. Un primo risultato dimostra che la capacità discriminativa è migliore lungo gli assi cardinali rispetto a quelli obliqui, sia prima che dopo il training. • Prima: cardinali d’=1.55; obliqui d’=0.55 • Dopo: cardinali d’=3.10; obliqui d’=1.60 La capacità discriminativa migliora con le varie sessioni di allenamento. Il miglioramento è però specifico per la direzione allenata. Miglioramento nella direzione di movimento allenata. Nessun miglioramento nella direzione opposta (non allenata). Il PL in questo compito mostra un limitato effetto di trasferimento, che si osserva per le direzioni che distano al massimo 45° da quella allenata. Mantenimento: la capacità discriminativa dopo essere stata allenata viene mantenuta, senza ulteriore allenamento, per un certo tempo (3 settimane) Soggetti testati anche un anno dopo l’ultimo allenamento mostrano mantenimento dell’allenamento. Per cose che non ci interessano, si mantengono come apprendimento per settimane, imparando ad ignorare stimoli distrattori ← si è formato un modello neurale per le cose inutili, da ignorare, affinché non fungano da bias. Esperimento 2, ruolo del feedback: Metodo – Uguale all’Esperimento 1 solo che viene tolto il feedback ad ogni trial per valutare il suo effetto sul PL. In realtà alla fine di ogni sessione viene dato un feedback complessivo sulla prestazione nella sessione. Risultati: – Il feedback non è necessario per l’apprendimento lungo gli assi cardinali. Solo nella condizione obliqua il feedback ha un grosso impatto (in quanto è più difficile). L’aiuto fornito dal feedback lungo gli assi obliqui probabilmente dipende dal fatto che il compito in queste condizioni è più difficile e quindi un aiuto dal parte del feedback in condizioni di maggior incertezza può migliorare il PL. Lo scopo dei prossimi esperimenti è quello di cercare di individuare, per quanto possibile, le basi neurali del PL associato alla discriminazione della direzione di movimento. Per capire lo stadio a cui avviene il PL usano la manipolazione dell’allenamento monoculare. La logica è che se il PL non trasferisce da un occhio all’altro allora le basi neurali possono essere identificate o nello strato 4 di V1, o prima nel NGL. Oltre questi stadi i neuroni diventano per i 4/5 binoculari e quindi dovrebbe osservarsi trasferimento. Esperimento 4, specificità oculare: Metodo – uguale all’Esperimento 1 con le seguenti modifiche • Training monoculare; • Test monoculare per entrambi gli occhi. Per valutare se ciò che è stato guardato e appreso con un occhio si trasferisce all’altro. Risultati: 1) Dopo il training l’occhio allenato mostra una prestazione leggermente migliore di quello non allenato (da 1,5 a 3,5) 2) Tuttavia anche quello non allenato mostra un chiaro miglioramento rispetto al test iniziale (seppur minore dell’occhio allenato, da 1,5 a 2,7) Viene stimata la percentuale di trasferimento inter-oculare del PL, che è pari al 74%. Questo indica che buona parte del learning coinvolge neuroni binoculari. Esperimento 5, specificità emisferica: Metodo – Uguale all’Esperimento 2 con le seguenti modifiche. Test e training solo sull’occhio destro. Rispetto al punto di fissazione viene presentato il movimento nell’emicampo destro (emiretina nasale destra -> emisfero sinistro) oppure sinistro (emiretina temporale destra -> emisfero destro). • Test su due direzioni: 90° o 180°; • Training solo su una direzione e un emisfero L’obiettivo è verificare se il PL per la direzione allenata in un emisfero trasferisce anche all’altro emisfero (senza utilizzare tecniche di neuroimmagine) Risultati: i risultati dimostrano che quanto il test viene fatto sullo stesso emisfero del training (condizione SAME) si osserva PL. Il PL però non trasferisce dall’emisfero allenato a quello non allenato, e quindi il test nell’emisfero diverso (condizione DIFFERENT) non mostra segni di apprendimento → non c’è trasferimento del learning da un emisfero all’altro. Where practice makes perfect in texture discrimination: Evidence for primary visual cortex plasticity Il lavoro di Karni e Sagi (1991) – Cercano di determinare quale sia il livello neurale a cui avviene il PL nei compiti di discriminazione di tessitura (su sfondo). L’interesse di partenza era quello di valutare se e che tipo di apprendimento è possibile osservare in un compito di segregazione figura-sfondo (texture segregation). Texture segregation: Processo automatico e pre-attentivo; – Si ritiene avvenga a livelli precoci dell’elaborazione visiva (V1-V2) È possibile migliorare le proprie prestazioni in compiti di texture segregation, che dell’informazione? Gli autori sono inoltre interessati a valutare la specificità di questo tipo di apprendimento, in termini di: - Orientamento; - Posizione spaziale (retinotopia); - Monocularità Metodo – Partecipanti: - 5 soggetti inesperti (naive) ed uno degli autori: se io produco un pattern uguale a quello dei soggetti che non sanno niente, è valido ugualmente – Procedura: i soggetti venivano sottoposti a sessioni di 16-20 blocchi di 50 prove ciascuno (circa 1000 prove a sessione) - le sessioni venivano svolte a distanza di 1-2 giorni. Stimoli: Usano la tecnica del masking per ridurre la visibilità dello stimolo e rendere il compito impegnativo, questa tecnica di mascheramento blocca lo stimolo dall’essere analizzato nel sistema visivo e che perduri nella memoria iconica. Sono andati a misurare come variabile dipendente il tempo che passa tra l’accensione di uno sstimolo ed il successivo. Risposta 1: riporta quale delle due lettere è apparsa al centro dello schermo (T o L) feedback uditivo sulla risposta Risposta 2: riporta l’orientamento del target (verticale o orizzontale) notare che la risposta 2 non riguarda Metodo: – Partecipanti: 6 soggetti naïve; – Stimoli: gratings definiti da strisce di rumore visivo, della grandezza di 2.5°. Procedura: – Un solo grating veniva presentato ad ogni prova per 300 ms I partecipanti dovevano rispondere se il grating era orientato in senso orario o antiorario rispetto ad un’inclinazione di riferimento (inclinazione a sinistra). Venivano effettuati 16 blocchi di 100 prove al giorno, fino al raggiungimento dell’asintoto di apprendimento. Ad ogni blocco veniva utilizzata una procedura staircase up-down che puntava all’84% di risposte giuste. Questa percentuale era chiamata JND (Just Noticeable Difference) e forniva una misura in gradi di angolo visivo (inclinazione dello stimolo dai 45°) della capacità discriminativa del soggetto. Risultati – Tutti I soggetti migliorarono le prestazioni nel compito di discriminazione di orientamento. Il training è evidente come gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.) Specificità orientamento: se però viene ruotato lo stimolo di 90° il PL viene perso e deve ricominciare; L’effetto è presente nel gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.). Così come nei risultati di Karni e Sagi, l’apprendimento era rapido nella fase iniziale e rallentava dopo le prime 5-10 sessioni. Trasferimento retinotopico: L’apprendimento osservato nel compito di discriminazione di orientamento è da considerarsi ristretto alla regione stimolata? Quanto è precisa la componente retinotopica dell’apprendimento, e quanto lontano devono essere uno stimolo addestrato ed uno nuovo per non osservare nessun grado di trasferimento? Dopo aver testato lo stimolo su varie posizioni spaziali, gli autori osservarono una completa mancanza di trasferimento. Trasferimento inter-oculare – 4 soggetti vennero sottoposti a training monoculare nel compito di discriminazione di orientamento Dopo il raggiungimento del grado massimo di apprendimento, vennero testati con gli stessi stimoli, ma sull’occhio non addestrato – 3 dei 4 soggetti mostrarono un trasferimento inter-oculare completo!! No apprendimento all’interno della stessa sessione di allenamento!!! L’apprendimento pare aver luogo solo tra sessioni consecutive in diversi giorni → gli autori ipotizzano che sia necessaria una fase di consolidamento dell’apprendimento che avviene durante il sonno notturno. Conclusioni – L’apprendimento percettivo legato alla pratica porta ad un significativo aumento della capacità di discriminare orientamenti. – Date le caratteristiche di questa forma di apprendimento, è possibile assumere che i suoi correlati neurali siano situati a livelli precoci delle aree visive. – Uno dei risultati importanti è l’elevata specificità retinica del PL in questo tipo di compito. - Il miglioramento non avviene nella sessione di training ma tra sessioni diverse in giorni diversi: - Necessità fase di consolidamento notturno; - In realtà spesso si osserva miglioramento anche all’interno della stessa sessione → forse dipende dal compito discriminativo usato Abbiamo visto che l’apprendimento è specifico per le caratteristiche dello stimolo allenato (p.e. posizione retinica, orientamento). Queste specificità dell’apprendimento percettivo sono importanti perché suggeriscono che il meccanismo di apprendimento interessa stati precoci dell’elaborazione dell’input visivo in cui informazioni (come orientamento o posizione retinica) sono segregate. A questo punto possiamo porci alcune domande importanti • Come viene controllato il processo di apprendimento percettivo? • Apprendiamo tutto ciò a cui siamo esposti in modo indiscriminato? Si tratta di un processo completamente «bottom-up»? Senza controllo o supervisione? • Come facciamo a selezionare ciò che è importante? Quali sono i fattori che regolano la plasticità corticale indicando quali informazioni sono rilevanti e quali no? • L’apprendimento sembra avvenire ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. Quanto è forte l’impatto dell’attenzione a questo livello? Improvement in line orientation discrimination is retinally local but dependent on cognitive set Se prestare attenzione ad uno stimolo nel suo complesso è sufficiente ad indurre apprendimento, allora la caratteristica specifica su cui ci si allena dovrebbe essere irrilevante. Ci potrebbe essere un miglioramento della prestazione nella posizione allenata indipendentemente dal compito fatto sullo stimolo. Esperimenti 1 e 2: Specificità e ruolo del feedback – I lavori precedenti avevano dimostrato che il PL era specifico per: • Direzione di movimento (Ball & Sekuler, 1987); • Frequenza spaziale (Fiorentini & Berardi, 1981); • Orientamento della tessitura (Karni & Sagi, 1991); • Posizione spaziale (Vogel & Orban, 1985) Gli autori vogliono quindi confermare che il PL è specifico per la posizione retinica, orientamento dello stimolo e verificare se è influenzato dal feedback. Esperimento 1: metodo generale Stimoli: linee inclinate a 7° o 9.8°; linee presentate in due posizioni retiniche opposte Due tipi di compito: 1. Discriminazione («uguale» o «diverso»?) 2. Identificazione (7° o 9.8°?) Metodo: una sessione di training, 12 blocchi di allenamento - Training in una posizione per i primi 9 blocchi - Test in un’altra posizione per gli ultimi 3 blocchi Manipolazione del feedback (tre gruppi di partecipanti) - Un gruppo: feedback ad ogni prova - Un gruppo: feedback solo a fine blocco (% risposte corrette) - Un gruppo: mai nessun feedback Risultati: Specificità per posizione spaziale La prestazione peggiora in modo significativo quando le linee vengono presentate in una nuova posizione (emicampo opposto o diverso quadrante). Si dimostra quindi specificità per la posizione allenata. Apprendimento non è visibile in assenza di feedback - Tuttavia il learning sembra essere latente perché si osserva una caduta della prestazione nella posizione non allenata. Esperimento 2: Metodo Uguale ad esperimento 1 con le seguenti modifiche: - Feedback sempre assente; - Training distribuito in diverse giornate 8 sessioni di training per partecipante 1; 5 sessioni +2 di test per partecipanti 2 e 3. Il test può riguardare: - lo stimolo nella direzione e posizione allenata - lo stimolo allenato in una posizione nuova - lo stimolo nuovo nella posizione allenata Risultati: Miglioramento delle prestazioni visibile anche in assenza di feedback. Un risultato non in linea con quanto emerso nel primo esperimento.Specificità per posizione spaziale e orientamento. La prestazione peggiora in modo significativo quando le linee vengono presentate in una nuova posizione, o quando viene testato un nuovo orientamento. Nel successivo esperimento i ricercatori si chiedono quale sia il ruolo dell’attenzione nel PL. Alcuni lavori precedenti avevano già messo in luce che l’attenzione è importante per il PL, ma non è chiaro quanto debba essere specifico. Uno stimolo può avere più caratteristiche che lo definiscono, e quindi basta che l’attenzione diretta allo stimolo o è selettiva per la caratteristica dello stimolo attesa? Esperimento 3: metodo Stimoli: linee inclinate a 7° o 9.8°; luminosità: 48 o 21 cd/m2 (compito facile);48 o 31 cd/m2 (difficile) Orientamento e luminosità variati in modo ortogonale (indipendente) • Compito: 1. Discriminazione («stessa luminosità» o «diversa luminosità»?) Test iniziale su discriminazione orientamento - 5 sessioni di training su discriminazione della luminosità Test finale su discriminazione orientamento. Previsioni in merito all’effetto sull’orientamento → Risultati: Non c’è differenza significativa tra pre-test e post-test nel compito di orientamento nè per coloro che si sono allentati con compito facile né difficile. Motion perceptual learning: when only task-relevant information is learned Lo scopo di questo esperimento è studiare se è possibile apprendere delle caratteristiche soprasoglia di uno stimolo quando queste non sono rilevanti durante la fase di allenamento. In questo studio, diversamente da quelli precedenti, il PL riguarda la percezione del movimento. Compito 1 - Detezione di movimento: scelta forzata a due intervalli (movimento nel primo o secondo intervallo?) Compito 2 -Discriminazione: movimento in direzione oraria o antioraria rispetto a direzione di riferimento. Questo implica che la direzione di movimento era rilevante solo per i partecipanti a cui era stato assegnato il compito 2. Metodo Procedura: 1. Sessione di familiarizzazione; 2. Stima delle curve psicometriche per entrambi i compiti per ciascun partecipante. 3. Training con compito di discriminazione oppure di detezione 4. Ripetuta stima delle curve psicometriche (step 2) 1. Sessione di familiarizzazione Orientamento di riferimento: 45° o 135° Compito detezione: Direzione ± 8° dalla direzione di riferimento; % di coerenza fissa (50%) Compito discriminazione: Direzione ± 40° dalla direzione di riferimento - % di coerenza fissa (50%) Feedback ad ogni trial. Ripetuto fino al raggiungimento di accuratezza del 95%. 2. Stima delle curve psicometriche per ciascun partecipante Orientamento di riferimento: 45° o 135° Compito detezione: % coerenza testate: 5%, 10%, 15%, 20%, 30%, 40%; Direzione ± 8° dalla direzione di riferimento Compito discriminazione: % coerenza che garantisce 95% di accuratezza in detezione; Direzioni testate: ±3°, ±5°, ±8°, ±11°, ±15°, ±30°. No feedback La stima delle curve psicometriche viene ripetuta dopo l’allenamento (step 5) 4. Training con compito di discriminazione O detezione Compito detezione: - 10 partecipanti; % Coerenza iniziale: 40%, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette. Compito discriminazione: - 9 partecipanti; - Direzione iniziale: ±20° dalla direzione di riferimento, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette Training per 8 o 15 giorni Feedback ad ogni prova. Risultati soglia complessiva: Tutti i partecipanti migliorano in seguito al training, sia nel compito di detezione che in quello di discriminazione. Conclusioni: Apprendimento di discriminazione si trasferisce a detezione, ma non viceversa. La direzione del movimento, che non era rilevante per il compito, non fa parte delle informazioni che vengono apprese nel compito di detezione, e quindi non trasferisce al compito di discriminazione. Viceversa il compito di discriminazione richiede sempre anche di rilevare la presenza del movimento (detezione) e quindi l’allenamento trasferisce al compito di detezione. Conclusioni generali: i risultati di questi studi suggeriscono che l’attenzione sia un meccanismo fondamentale per il controllo dell’apprendimento percettivo. Perché ci sia apprendimento non solo bisogna portare l’attenzione su uno stimolo, ma bisogna anche selezionare attivamente la caratteristica che si vuole apprendere. Specificità vs trasferimento Abbiamo visto che esiste un notevole livello di specificità nell’apprendimento di semplici stimoli visivi – Specificità per posizione; – Specificità per orientamento; – Specificità per frequenza spaziale; – Specificità per direzione di movimento; – Specificità per compito (globale vs. locale) L’elevato livello di specificità è in parte un problema per il PL, perché lo rende limitato alle caratteristiche dello stimolo/compito usato durante l’allenamento. Una questione interessante è se questa specificità sia inevitabile, o se possa essere in qualche modo superata/attenuata. E’ quindi possibile indurre una generalizzazione o trasferimento del PL? Complete transfer of perceptual learning across retinal locations enabled by double training. Come si può spiegare la specificità del PL? La spiegazione tradizionale è che l’allenamento cambi qualche proprietà di risposta dei neuroni delle aree visive primarie. L’allenamento provocherebbe una regolazione della proprietà di risposta (tuning) dei neuroni, in modo che diventino sempre più sensibili alla caratteristica allenata. PL come tuning (regolazione) in aree visive primarie - affinare le proprietà di risposta del neurone: il training fa sì che i neuroni rispondano solo agli stimoli di un certo tipo, affino la loro specificità di risposta. Esiste però anche un’altra spiegazione, che presuppone che il PL non dipenda da cambiamenti nelle proprietà di risposta dei neuroni nelle aree visive primarie , bensì il PL avviene perché cambiano le connessioni tra aree decisionali di alto livello e i neuroni sensoriali. Fare training solo su alcune tipologie di orientamento fa sì che il neurone decisionale rafforzi le sue connessioni con i neuroni sensoriali che rispondono solo a quella frequenza, e indebolisce quelle con i neuroni “inutili”, eliminando così l’interferenza di neuroni inadatti. Si potenzia il rapporto con le unità coinvolte nella discriminazione, tagliando fuori il rumore dall’analisi del segnale. PL come tuning delle connessioni tra aree di alto livello e aree visive primarie: – Nessun cambiamento nelle proprietà di risposta in V1; – Il PL dipenderebbe dal fatto che le aree decisionali si connettono meglio con i neuroni rilevanti per il compito, riducendo le connessioni con quelli meno rilevanti; – Meccanismo di re-weighting (ripesaggio delle connessioni); – Il meccanismo di re-weighting è specifico per posizione allenata; – L’unità decisionale per ottimizzare le connessioni deve essere quindi collegata con una certa area del campo visivo; L’idea di Xiao et al. è quindi vedere se si può trasferire il learning preparando il collegamento Essendo una messa in connessione, se predispongo il collegamento con un’area dovrei essere in grado di ricreare il collegamento con un’altra area di interesse. Il paradigma del Double training – Prevede tre fasi distinte Nella prima fase – FEATURE LEARNING - si allena la discriminazione di una certa caratteristica dello stimolo (p.e. orientamento) nella posizione 1 Nella seconda fase – LOCATION LEARNING - si allena la discriminazione di una diversa caratteristica (p.e. contrasto) dello stimolo nella posizione 2 Nella terza fase si testa la caratteristica allenata in 1 nella posizione 2 per valutarne l’eventuale trasferimento. Esperimento 1: obiettivo è dimostrare la specificità del PL Procedura: training tradizionale • 6 sessioni di allenamento; • 2 ore di allenamento per sessione in una posizione • Test in una posizione diversa nello stesso emisfero; • 8 partecipanti Compito: • Discriminazione di contrasto in una scelta forzata a 2 intervalli (2IFC) → «Quale dei 2 stimoli ha contrasto maggiore?» • Uso di una staircase per stimare la soglia di contrasto al 80% di risposte corrette Se c’è learning, ci si aspetta che la differenza di contrasto diminuisca durante l’allenamento. Location transfer of perceptual learning: passive stimulation and double training - un lavoro di Mastropasqua et al. ha cercato di dare alcune risposte Esperimento 1 L’obiettivo è replicare la specificità spaziale del PL in un compito di discriminazione di orientamento di un gabor; 800 trial per sessione giornaliera: unico gabor, e doveva dire se rispetto alla linea dei 45° è orientata in maniera oraria o antioraria; staircase che mantiene all’80% Come diminuisce alpha per mantenere la soglia all’80%? Risultati: si conferma la specificità spaziale del PL per quanto riguarda la discriminazione di orientamento: prime sessioni 3 alpha, quarta sessione 1.7-8 alpha (si osserva training. Al quinto giorno sposto la posizione nell’emicampo opposto e osservo che la prestazione non è diversa dalla posizione iniziale → specificità di allenamento per la posizione allenata. Esperimento 2 Il lavoro di Xiao et al. (2008) suggeriva che il trasferimento poteva avvenire perché il doppio compito portava l’attenzione nella seconda posizione, mettendola quindi in collegamento con l’unità decisionale. Nel lavoro di Xiao nella seconda posizione non c’era solo l’attenzione ma veniva svolto anche un compito. Si ottiene lo stesso tranfer senza compito ma solo se viene portata l’attenzione? Paradigma: in ogni prova il gabor nella posizione 1 era seguito da un onset (anello di luce) nella posizione 2 per portare l’attenzione in posizione 2, senza far svolgere al soggetto un compito in p2. HP: se l’attenzione è l’unica condizione necessaria affinché avvenga trasferimento, escludere il compito dovrebbe portare agli stessi risultati. Risultati: solo l’attenzione nella posizione 2 non basta a favorire il trasferimento del PL dalla posizione 1 alla 2. La prestazione non è quella iniziale, ma è comunque diversa da quella ottenuta alla fine dei training. Esperimento 3 L’obiettivo è verificare/confermare che con un compito nella posizione 2 è possibile indurre trasferimento del PL dalla posizione 1. Inoltre, diversamente da Xiao et al. (2008), in posizione 2 viene usato un compito (discriminazione X vs Y) con uno stimolo completamente diverso da quello usato per il PL in posizione 1. Paradigma: → • Posizione 1: orientamento gabor • Posizione 2: X oppure Y? Quanto è importante che sia lo stesso stimolo, per quanto presto attenzione ad orientamento o a contrasto) e quanto invece sia aspecifico questo compito con uno stimolo completamente diverso da quello usato nel PL della posizione 2. Nella sessione 5 inverto gli stimoli gabor e “X o Y?” dove facevo training di discriminazione sul gabor adesso discrimino lettere. Risultati: si osserva completo trasferimento del PL dalla posizione 1 a 2.C’è PL anche nella posizione 2 nel compito X/Y Esperimento 4 Obiettivo: quanto è importante la quantità di allenamento nella posizione 2 affinchè trasferisca il PL dalla posizione 1? Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) nella posizione 2 appare solo nel 20% delle prove – Nessun trasferimento! Se non mi alleno abbastanza, emerge la specificità nella discriminazione, quindi non ho trasferito dalla posizione di training alla posizione 2. • Esperimento 5 Obiettivo: è sufficiente la stimolazione passiva nella posizione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? E’ perchè faccio il compito il 20% delle volte o perché presento lo stimolo solo il 20% delle volte? Basta la stimolazione (la presentazione) oppure è necessario che venga fatta un’azione su affinché si abbia trasferimento? Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) appare ma non è richiesto alcun compito – Nessun trasferimento! Conclusioni Gli esperimenti di Xiao et al. (2008) e di Mastropasqua et al. (2015) suggeriscono quanto segue: • Il trasferimento del PL è possibile solo se nella seconda posizione si porta l’attenzione. ↳ Ma l’attenzione da sola però non basta. • Sembra sia necessario un compito nella seconda posizione. • Il secondo compito può riguardare uno stimolo che non ha nulla in comune con quello allenato nella posizione 1, e per il quale si vuole indurre il trasferimento. • La quantità di PL nella posizione 2 è critica per indurre il trasferimento del PL dalla posizione 1. Perceptual grouping enhances visual plasticity Un caso in cui il trasferimento può avvenire senza compito. Il ruolo del raggruppamento percettivo e dell’attenzione. Mastropasqua & Turatto (2015) Premesse • Il raggruppamento percettivo influenza il modo in cui si distribuisce l’attenzione spaziale • L’attenzione spaziale modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’ – Conclusione (ipotesi sperimentale): il raggruppamento percettivo modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’ Esperimento 1 32 partecipanti (4 esclusi dalle analisi) La procedura è quella adottata da Gutnisky et al. (2009) con piccole modifiche: 5 sessioni sperimentali condotte in giorni consecutivi, ogni sessione prevede una fase di training (esposizione) e una fase di test Eye tracker per il controllo dei movimenti oculari Fase di training Perceptual grouping indotto attraverso il principio di similarità – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi: in quanto fenomeni di perceptual grouping modulano la distribuzione dell’attenzione Il soggetto fissa in centro, compaiono 3 gabor e lui deve prestare attenzione solo al centrale, e deve premere un pulsante ogni volta che in mezzo appare con la luminosità più bassa. gabor 1 e gabor 2 (target) hanno lo stesso orientamento di righe (///), mentre gabor 3 ha un orientamento ortogonale (\\\). Fase di test – 900 trial divisi in 3 blocchi consecutivi, ciascuno per ogni posizione –Task: discriminazione di orientazione (same vs. different) Test nella posizione attesa, nella posizione che si raggruppava e nella posizione che non si raggruppava. Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping (si alza la prestazione anche nel gabor non atteso, ma con il quale c’è uguaglianza percettiva). Critica: è stato davvero il perceptual grouping a favorire una prestazione più alta nella posizione grouping rispetto a quella no-grouping? Il miglioramento di prestazione potrebbe essere dovuto ad un trasferimento di learning dalla posizione attesa a quella grouping: – in entrambe le posizioni, il test di discriminazione avviene attorno allo stesso asse di orientazione (60°) – invece, nella posizione no-grouping il test di discriminazione avviene attorno ad un asse ortogonale (150°) Come faccio a capire se il miglioramento sia dovuto allo spreading attentivo e non all’orientamento? Esperimento 2 • 38 partecipanti (6 esclusi dalle analisi) • Fase di training Perceptual grouping indotto attraverso il principio della regione comune (Gestalt) – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi: gabor attended e gabor grouping con orientamenti diversi /// \\\ ma uniti da una corda comune, e gabor non atteso fa parte della stessa unità percettiva del non atteso \\\ → per eliminare la possibilità che l’apprendimento sia dovuto alla somiglianza di orientamento tra atteso e grouping. Risultati Recupero spontaneo della CR – una volta ottenuta l’estinzione di CR se si aspetta un po’ di tempo e poi si ripresenta CS allora riappare CR. L’estinzione dopo recupero spontaneo è più rapida Questo fatto suggerisce che durante l’estinzione non fosse cancellata la relazione CS → US. Se avessi cancellato la relazione, non avrei un recupero così rapido della risposta condizionata, la cancellazione implicherebbe un condizionamento da capo - o è diventato latente, o ho imparato CS → no US Che cosa causa il condizionamento classico secondo Pavlov? Il condizionamento avverrebbe perchè US funziona come un rinforzo del legame associativo con CS. Più forte il legame più facilmente CS agirà come US e quindi attiverà CR (o UR). L’accoppiamento CS → US, cioè la contiguità temporale tra i due eventi, sarebbe quindi sufficiente. Ma accoppiamento e contiguità sono sufficienti? Negli anni 60 del secolo scorso alcuni lavori hanno cominciato a mettere in crisi l’idea che la semplice contiguità tra CS e US fosse sufficiente, dimostrando che il meccanismo che consente il condizionamento classico era più complesso (lavori di Kamin e quelli di Rescorla) Kamin, 1968: l’importanza della predittività di CS → il blocking: quanto accoppio 2 stimoli, il primo già condizionato impedisce il condizionamento del secondo, non per salienza, ma perchè c’è già uno stimolo affidabile che prevede l’evento 2. Perché avviene il blocking? Lo stimolo B non produce condizionamento perché l’informazione che fornisce circa la probabilità di comparsa di US è già fornita dallo stimolo A (condizionato precedentemente). Quindi B non aggiunge nessuna nuova info al sistema cognitivo in merito a US, e la sua relazione con US non viene appresa perché irrilevante. L’importanza della contingenza tra CS e US: il lavoro di Rescorla (1967) Nel suo lavoro Rescorla dimostra come la contiguità non sia sufficiente affinché si verifichi il condizionamento, il fattore cruciale è invece la contingenza, cioè deve esistere una relazione predittiva tra CS e US: • si osserva condizionamento solo quando la probabilità di comparsa di US è maggiore in presenza di CS che in sua assenza • tradotto formalmente: p(US | CS) > p(US | no-CS): la probabilità di US dato CS deve essere maggiore della probabilità di US dato no-CS. Aspetti cognitivi nel condizionamento classico – Gli esperimenti di Rescorla così come il fenomeno del blocking dimostrano che anche nel condizionamento classico sono in gioco fattori cognitivi – L’organismo (animale o uomo) deve poter crearsi un’aspettativa, quindi una credenza su uno stato del mondo nel formato “se....allora....”. Nello specifico l’aspettativa riguarda la relazione tra CS e US → solo in questo caso avviene il condizionamento; non basta la semplice associazione. Condizionamento operante Thorndike: l’apprendimento è un processo incrementale che avviene per prove ed errori Misura quanto tempo impiega il gatto a trovare la soluzione per uscire dalla gabbia – Una volta uscito il gatto ottiene la ricompensa e viene rimesso nella gabbia per un’altra prova. Thorndike scopre che il tempo impiegato diminuisce gradualmente con l’aumentare delle prove. Apprendimento per prove ed errori Il gatto è motivato a cercare una soluzione per uscire perchè vede del cibo all’esterno e vuole raggiungerlo. Il comportamento è quindi emesso con un obiettivo – questo è un aspetto teorico importante che differenzia il lavoro di Thorndike da quello di Skinner Le azioni sono inizialmente casuali ma guidate dalla motivazione, alcuni comportamenti non portano a nessuna conseguenza piacevole e quindi non vengono rinforzati – La pressione della leva, all’inizio per puro caso, è invece seguita da un premio ← questo aumenta la probabilità che sia ripetuta in seguito Quello che dimostrano gli esperimenti di Thorndike è che l’individuo apprende per mezzo delle conseguenze delle proprie azioni. Thorndike scopre il principio di base del condizionamento strumentale o operante studiato poi estesamente sia da Konorski sia da Skinner. L’apprendimento avviene in base a rinforzi e punizioni. Azioni e conseguenze: quale relazione? Il fatto che l’animale impari dalle conseguenze delle proprie azioni non implica necessariamente che esso “creda” che la sua risposta sia causa del risultato (outcome) che la segue – semplicemente il premio potrebbe agire sull’associazione tra le due rappresentazioni attive, quella dello stimolo e quella della risposta, rinforzandone il legame. L’approccio di Skinner allo studio del comportamento è chiamato comportamentismo radicale • Radicale perché non viene riconosciuto a processi mentali un ruolo causale nel comportamento – il comportamento è determinato da vincoli genetici e biologici, ma soprattutto dall’interazione dell’organismo con l’ambiente. Per Skinner le cause del comportamento non risiedono in pensieri, emozioni, stati di coscienza • non nega che esitano questi stati mentali, ma ritiene però che non siano le cause del comportamento Per spiegare il comportamento si farebbe appello a queste cause “interne” semplicemente perché non si è in grado di scoprire le vere cause “esterne” del comportamento. Accetta però il concetto di motivazione indotto dallo stato fisiologico come spinta iniziale ad agire, e come condizione per dare valore al rinforzo (p.e. il cibo). Infatti mantiene i suoi animali al 75% del proprio peso corporeo... Il comportamento è invece determinato dalla storia o schema di rinforzi/punizioni che l’organismo riceve dall’ambiente - riprende quindi l’idea di Thorndike della legge dell’effetto Skinner riteneva che qualsiasi comportamento potesse essere riconducibile a due classi: • Comportamento rispondente, spiegato dai riflessi e dai principi del condizionamento classico (Pavlov) • Comportamento operante, spiegato dalla risposta che l’organismo riceve dall’ambiente in conseguenza delle proprie azioni (Thorndike) Nel condizionamento classico US viene presentato a prescindere da quello che l’animale sta facend;o Nel condizionamento operante US o reward viene presentato solo se l’animale esegue une certa risposta - la risposta è di solito emessa solo in presenza di uno stimolo (discriminativo). Concetti fondamentali del condizionamento operante – Operante: ogni risposta emessa dall’organismo che produce un effetto sull’ambiente circostante, cioè “opera” sull’ambiente; la pressione della leva (operante) porta alla comparsa del cibo (risposta ambientale); – Rinforzo (reinforcer): ogni evento ambientale che seguendo un certo comportamento alteri la probabilità che questo sia nuovamente prodotto. Esistono due principali classi di eventi ambientali che modificano il comportamento: rinforzi e le punizioni Sia i rinforzi sia le punizioni possono essere suddivisi in positivi e negativi • Rinforzo positivo: viene dato uno stimolo appetibile • Rinforzo negativo: viene tolto uno stimolo avversivo • Punizione positiva: viene dato uno stimolo avversivo • Punizione negativa: viene tolto uno stimolo appetibile Rinforzo primario e secondario – la distinzione fa riferimento ai tipi di bisogni cui i rinforzi si riferiscono (fame, sete, piuttosto che denaro) – rinforzi di tipo primario: cibo, acqua, sesso, dolore etc. – rinforzi di tipo secondario (noti anche come rinforzi condizionati, vengono appresi con l’esperienza): non soddisfano direttamente bisogni primari, ma agiscono consentendo di ottenere i rinforzi primari (con il denaro compro il cibo), oppure soddisfano altre forme di gratificazione tipiche dell’essere umano, come ad esempio il bisogno di empatia e di attenzione. Si spiegano così gli effetti di lodi, sorrisi, incoraggiamenti e vari tipi di riconoscimenti sociali, tutti eventi che sono emessi al fine di controllare il comportamento di chi li riceve. Schemi di rafforzamento: Pavlovian Instrumental Transfer (PIT) – abbiamo trattato sinora il condizionamento Pavloviano e Strumentale come due procedure distinte. In realtà le due procedure possono anche essere combinate per produrre il PIT, un fenomeno interessante che può avere implicazioni importanti per lo studio e la comprensione delle dipendenze Nel paradigma PIT classico sono previste 3 fasi sperimentali • FASE 1: un condizionamento pavloviano • FASE 2: un condizionamento strumentale • FASE 3: una fase di estinzione in cui i due paradigmi vengono combinati – in alcune versioni la fase 1 e 2 possono essere invertite L’animale è più propenso a lavorare per ottenere il reward (US) se è presente CS – Olds e Miller (1954) scoprirono che i ratti erano molto motivati ad auto-stimolarsi elettricamente i centri del piacere nel cervello: • Ipotalamo laterale e Nucleo Accumbens (NAcc) • Tra premere una leva per il cibo e una per la stimolazione preferiscono la seconda azione Il desiderio di autostimolazione di quei centro non nasce dallo squilibrio omeostatico nell'organismo, a loro inizialmente non mancava niente; inoltre, arrivando a preferire l'autostimolazione al cibo, i squilibri si creano, però loro comunque non provvedono al risolverlo (mangiando). Nonostante la stimolazione fosse negli stessi centri che rispondono anche al cibo, quella stimolazione non portava sazietà, i ratti sono super-stimolati, ma non raggiungono mai lo stato di sazietà ← crisi dell'idea che tutte le azioni / motivazioni nascono dal bisogno di riportare il proprio organismo all'equilibrio. I ratti erano disposti anche a subire delle scosse forti pur poter arrivare alla leva che una volta premuta portava alla stimolazione dei centri del piacere. Olds e Miller (1954): il loro risultati sono un problema per la drive-reduction theory • la motivazione ad auto-stimolarsi non dipendeva da nessuna pulsione che derivasse da uno squilibrio di uno stato di omeostasi. • sono disposti a sopportare scosse elettriche molto forti per potersi stimolare • i ratti lavoravano senza mai raggiungere uno stato di “sazietà” Questo ha messo in crisi la teoria della motivazione di Hull, in particolare l’idea che tutta la motivazione nasca da pulsioni dovute a necessità di riportare in equilibrio un sistema. La motivazione non è necessariamente legata alla presenza di una pulsione che nasce da uno squilibrio dell’omeostasi Il reward non agisce (solo) come rinforzo della relazione S-S o S-R attraverso la riduzione di una pulsione. La nascita della teoria degli incentivi motivazionali Negli anni 70 inizia una nuova prospettiva teorica secondo cui la motivazione può essere scatenata anche da alcuni stimoli ambientali. La funzione del reward non sarebbe quella (o solo quella) di rinforzare una associazione ma piuttosto agirebbe come un incentivo alla motivazione. La motivazione non nasce necessariamente dallo squilibrio che bisogna essere risolto, ma nasce direttamente dal cibo, che non è piu' un rinforzo (che viene dato che viene emesso un certo comportamento) ma diventa incentivo (che viene prima dell'azione, e semmai spinge al compiere quell'azione). Nel 1972 è uno dei primi ricercatori che propongono un diverso ruolo del reward nei meccanismi di apprendimento Il ruolo principale del reward non è quello di funzionare come rinforzo della risposta attraverso una riduzione della pulsione, ma quello di promuovere l’azione. Bolles considera il fenomeno dell’autoshaping, e sostiene che non si spieghi con il concetto di rinforzo della risposta da parte del reward. Autoshaping È un fenomeno osservato la prima volta da Brown & Jenkins nel 1968, nell’ambito di un paradigma di condizionamento pavloviano L’animale è esposto a un CS seguito dall’arrivo di un US. Di fatto US è un reward per l’animale, reward nel senso di stimolo piacevole Dopo la prima fase di condizionamento, l’animale sviluppa interesse per il CS. Esempio del piccione: Luce -> cibo Dopo un po', l'animale comincia a beccare sulla luce (cerca a mangiare la luce) ← è come se l'animale si fosse condizionato strumentalmente da solo. Una cosa analoga capita anche nella situazione del condizionamento operante: procione che deve mettere un gettone in una scatola affinchè riceva cibo <- si osserva una cosa analoga all'autoshaping presentatosi nel condizionamento classico: iniziano a giocare, morsicare, anche per periodi molto lunghi col gettone, non mettendo piu' il gettone dentro, e se esso per caso capita nella scatola, l'animale cerca di recuperarlo, non vuole piu' il cibo; inoltre, anche se il gettone viene messo dentro la scatola dallo sperimentatore per insegnare all'animale qual'è l’azione che deve fare, egli cerca di tirarlo fuori dalla scatola per poterci giocare. Trasferisce la motivazione dalla ricompensa all'incentivo -> si sposta dall'oggetto che produce rinforzo a quello che precede ed anticipa il rinforzo. Come si spiega l’autoshaping? Nell’autoshaping l’animale comincia a comportarsi come se CS fosse US. Si noti che US non può aver agito come un rinforzo, perché non c’è alcuna risposta che viene rinforzata. Infatti, il reward (US) viene dato a prescindere da quello che l’animale sta facendo: non è richiesta alcuna risposta. Però si potrebbe ancora sostenere che US ha involontariamente rinforzato il beccare CS (come per il piccione superstizioso di Skinner). Autoshaping nella procedura di omissione: cioè ogni volta che il piccione va a beccare la luce, non gli viene dato il cibo, smette di beccare la luce, arriva il cibo; ciò non porta il piccione a smettere di beccare la luce.Quando l'azione di trattare il CS come se fosse un US viene punita, egli non smette, il nesso non sparisce. Che il rinforzo di una risposta non abbia un ruolo nell’autoshaping è però provato dalla procedura di omissione. L’autoshaping si verifica anche se US (il reward) viene omesso ogni volta che l’animale agisce su CS (per esempio beccando la luce). Nonostante l’azione su CS comporti l’omissione del reward, l’animale non riesce a smettere di agire su CS: questo esclude la spiegazione secondo cui l’autoshaping si verifica perché US ha rinforzato l’azione su CS. Non tutti gli individui mostrano autoshaping, e quelli che lo mostrano sono definiti sign tracker: ad un certo punto sono più interessati al CS che a US. I sign trackers: cercatore di segni (della ricompensa) - è più' interessato ai segni, anticipatori della ricompensa, che alla ricompensa stessa (es.luce, gettone, non cibo): sviluppano interesse per i predittori della ricompensa tanto quanto se fosse la ricompensa stessa - ci sono individui che sono ipersensibili agli stimoli ambientali anticipatori che gli fanno agire come se fosse la ricompensa stessa, perché quegli stimoli sono diventati sostituto della ricompensa, e generano la motivazione che avrebbe generato la ricompensa. Quelli che continuano a mostrare interesse per il reward (US) sono detti goal tracker (i cercatori di obiettivi: hanno interesse per il US). Le cause che portano un animale a diventare un sign tracker piuttosto che un goal tracker non sono chiare, ma è possibile siano coinvolte differenze genetiche.