Scarica Plasticità e Apprendimento - Slides + Appunti e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PLASTICITÀ: introduzione La parola plastico (o plastica) deriva del greco Plastikos, che significa malleabile, adatto ad essere plasmato => Per plasticità corticale si intende quindi la proprietà del cervello, per quanto riguarda la corteccia, di poter essere modificato La plasticità cerebrale prevede una serie di modifiche delle connessioni neurali e/o di modifiche delle proprietà di risposta dei neuroni. L'apprendimento consiste in tali cambiamenti. Quindi apprendere implica modificare il cervello. => L’acquisizione di una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica. Tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare => Per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Santiago Ramòn y Cajal sosteneva che: «per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e crescita di arborizzazioni dendritiche e terminali nervosi» Cajal introdusse nuove intuizioni circa la modifica delle connessioni sinaptiche. IL PERIODO CRITICO Un tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita. Tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta. • Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose. • Quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso. • Le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo. L’idea che il cervello fosse plastico solo durante l’infanzia ha importanti conseguenze anche circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali. => Se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. Gli approcci di studio per studiare la plasticità sono: l'iper-training e la perturbazione neurale. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambiamenti sostanziali del cervello, è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963-1965) sul «periodo critico». Anche i lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting suggerivano l’esistenza di tale periodo post-natale cruciale. Il periodo critico è diverso per le varie specie. Più complesso è il sistema neurale dell'organismo, più lungo sarà il suo periodo critico. Nel pulcino il periodo critico è più breve rispetto a quello nelle scimmie e nell'uomo. Durante il periodo critico vi è un elevato livello di plasticità cerebrale. Ma non è vero che ciò che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso, in quanto vi è un apprendimento continuo, sia acquisendo nuove informazioni sia dimenticando. L'oblio è funzionale alla memoria. LA PLASTICITÀ NELL'ETÀ ADULTA Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una notevole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia. Tuttavia, rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi. → per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini. (Ipertraining e predisposizione genetica) → apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa, e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli. La moderna visione della plasticità non considera questa caratteristica come un qualcosa legato ad un particolare periodo dello sviluppo, ma piuttosto come uno stato continuo del cervello. Il cervello è una strutta in continuo cambiamento, modificata in ogni istante dalle esperienze sensoriali, motorie, emotive e cognitive. LA PLASTICITÀ CORTICALE NEL SISTEMA MOTORIO Gli studi di Pascual-Leone e coll. (1995-1996) Ai soggetti era richiesto di eseguire ripetutamente una certa sequenza di movimenti con le dita sui tasti del pianoforte. → Due ore di allenamento ogni giorno per 5 giorni, per 5 settimane. → Ogni giorno, prima e dopo ogni sessione di allenamento, attraverso l’uso della TMS veniva mappata l’area motoria coinvolta nel movimento delle dita. => Si stimolano alcuni punti della corteccia e si vede quando si induce un movimento nelle dita. In questo modo si può ricostruire l’area corticale coinvolta nel controllo della mano. Risultati: Dopo ogni sessione l’accuratezza del movimento, migliorava (sia in termini di errori sia di tempo), a riprova dell’avvenuto apprendimento. La mappatura dell’area motoria coinvolta ha rivelato due tipi di cambiamenti: 1. una rapida espansione dell’area corticale coinvolta nel controllo motorio a seguito dell’allenamento settimanale. Ma questo cambiamento veniva in gran parte perso durante il fine settimana di riposo. 2. un cambiamento più lento attraverso cui l’area coinvolta nell’apprendimento aumenta settimana dopo settimana in modo stabile. => C'è un effetto temporaneo dal lunedì al venerdì che consiste in un forte incremento dell'area corticale coinvolta. Vi è anche un effetto permanente da lunedì a lunedì. Incremento forte → reclutamento di molti neuroni, viva via il numero di neuroni coinvolti si riduce. => A seguito della pratica e dell'allenamento vi è una modificazione delle connessioni neurali. Ciò avviene anche solo immaginando di fare qualcosa senza eseguirlo. Basta la programmazione per indurre modifiche a livello neurale. Un gruppo di soggetti fu invitato semplicemente ad immaginare di eseguire il compito. Secondo i risultati di questo studio anche il mero allenamento mentale può indurre una modifica cerebrale, comparabile a quella prodotta dal reale esercizio fisico. La visualizzazione e la programmazione aiutano l'apprendimento e le modifiche neurali. In uno studio i partecipanti dovevano stringere ritmicamente il pugno della mano destra ogni secondo. Il soggetto è all'interno dello scanner fMRI ed è sotto posto a due condizioni: in una condizione veniva usata la TMS, mentre nell'altra condizione no. Risultati: La stimolazione con TMS riduce l'eccitabilità della corteccia. → L'attività di M1 controlaterale diminuisce, mentre, come compensazione per mantenere efficiente il compito, appare un'attivazione di M1 ipsilaterale ed un aumento di attività in SMA. Nella seconda condizione sperimentale, invece, caratterizzata dall'assenza di stimolazione tramite TMS, l'attivazione di M1 controlaterale e della SMA rimane invariata. Questi studi TMS dimostrano che: • l’esecuzione ripetuta di un certo gesto motorio determina una modificazione dell’area corticale coinvolta nel controllo di tale gesto; • se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre per eseguire il movimento. La corteccia motoria presenta quindi elevata plasticità e capacità riorganizzative piuttosto rapide. LA PLASTICITÀ CORTICALE E LA CECITÀ L’essere umano è un organismo prettamente visivo. La perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di deficit sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Esistono ormai evidenze consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità. Questo potrebbe spiegare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo vedenti. Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno dimostrato un’attivazione di V1 in soggetti ciechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille. => L’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse PLASTICITÀ: deprivazione visiva e periodo critico Dal 1963 al 1965 Hubel e Wiesel pubblicarono una serie di 6 lavori fondamentali sulla plasticità cerebrale nella fase di sviluppo. Da questi lavori emerse il concetto di «periodo critico», che negli anni a venire influenzò profondamente la psicologia e le neuroscienze. I sei lavori della seria sulla deprivazione: 1. EFFECTS OF VISUAL DEPRIVATION ON MORPHOLOGY AND PHYSIOLOGY OF CELLS IN THE CATS LATERAL GENICULATE BODY - 1963a 2. RECEPTIVE FIELDS OF CELLS IN STRIATE CORTEX OF VERY YOUNG, VISUALLY INEXPERIENCED KITTENS' - 1963b 3. SINGLE-CELL RESPONSES IN STRIATE CORTEX OF KITTENS DEPRIVED OF VISION IN ONE EYE - 1963c 4. COMPARISON OF THE EFFECTS OF UNILATERAL AND BILATERAL EYE CLOSURE ON CORTICAL UNIT RESPONSES IN KITTENS' - 1965a 5. BINOCULAR INTERACTION IN STRIATE CORTEX OF KITTENS REARED WITH ARTIFICIAL SQUINT - 1965b 6. EXTENT OF RECOVERY FROM THE EFFECT OF VISUAL DEPRIVATION IN KITTENS - 1965c EFFECTS OF VISUAL DEPRIVATION ON MORPHOLOGY AND PHYSIOLOGY OF CELLS IN THE CATS LATERAL GENICULATE BODY Già prima di questo studio era nota l’importanza di una normale stimolazione sensoriale per lo sviluppo ed il mantenimento del sistema nervoso. Nel sistema visivo questo aspetto era stato studiato esaminando gli effetti della deprivazione sensoriale sulle varie strutture neurali e sul comportamento dell’animale. Lo scopo del primo lavoro della serie è quello di estendere queste conoscenze studiando gli effetti della deprivazione monoculare sulle cellule del NGL, a livello della risposta fisiologica e morfologica. Per valutare gli effetti della deprivazione la tecnica usata è quella della registrazione da singole unità (neuroni), e dell’esame anatomico della struttura (post mortem). Metodo utilizzato: – Soggetti: 9 gattini e 1 gatto adulto – Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi – Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio • I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo • Il gatto adulto ovviamente da adulto – Sito di registrazione: NGL sinistro • Da uno strato con afferenze dall’occhio deprivato • Da uno strato con afferenze dall’occhio aperto Risultati: • cambiamenti fisiologici nel NGL! => Tutte le cellule (34) registrate, sia dall’occhio chiuso sia aperto, mostrano il classico campo recettivo concentrico organizzato in centro ON periferia OFF o viceversa. La dimensione della parte centrale del campo recettivo era normale. Se ne deduce che l’input sensoriale non è necessario per lo sviluppo normale dei campi recettivi dei neuroni del NGL. => Tuttavia, alcune cellule mostrano una risposta meno pronta e precisa alla luce. Il centro del loro campo recettivo era molto più grande di quello delle altre cellule nel NGL, anche più grande di quello delle cellule del gatto adulto. A parte queste eccezioni, in generale la deprivazione monoculare non sembra aver modificato la risposta fisiologica delle cellule del NGL • cambiamenti morfologici nel NGL => A seguito della deprivazione, in tutti i gattini sono emersi profondi cambiamenti morfologici nei neuroni del NGL. I neuroni che ricevevano l’input dall’occhio chiuso sono risultati marcatamente atrofici. Gli strati dell’occhio deprivato risultano più sottili degli altri, assottigliamento causato principalmente dalla atrofia delle cellule. “In the normal layers the variation in cell size was relatively large, ranging from about 180 to 600 u. In contrast, in the layers receiving input from the light-deprived eye, cell areas ranged from 150 to130 u, reflecting a marked reduction in the number of large cells.” • cambiamenti morfologici in altre strutture? => La deprivazione monoculare non sembra aver modificato la struttura e le cellule nella retina, nel nervo ottico e nel collicolo superiore. I cambiamenti morfologici sembrano quindi aver avuto luogo solo nel NGL. • La deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva è stata valuta in gattini deprivati a 2 mesi di età: uno deprivato per 4 mesi ed uno per 1 mese. L’atrofia era presente, anche se meno marcata di quella generata quando la deprivazione avveniva sin dalla nascita. • La deprivazione monoculare in animale adulto è stata valutata in un gatto adulto deprivato per 3 mesi. Non vi è nessuna differenza tra gli strati del NGL che ricevevano afferenze dall’occhio aperto e da quello chiuso. Lo spessore degli strati e la grandezza delle cellule in essi contenute si sono rivelati nella norma. Questo risultato suggerisce un ruolo importante dell’età nella quale avviene la deprivazione Conclusioni • La deprivazione monoculare dalla nascita induce marcata atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. • La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in qualche caso ridotta. • Se la deprivazione inizia dopo un breve periodo di esperienza visiva risulta meno marcata, o assente negli animali adulti. • La marcata atrofia del NGL dovuta a deprivazione non era stata osservata negli studi precedenti. • Un possibile motivo è il fatto che gli studi precedenti usavano una deprivazione binoculare, mentre qui si è usata quella monoculare. • La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il NGL. RECEPTIVE FIELDS OF CELLS IN STRIATE CORTEX OF VERY YOUNG, VISUALLY INEXPERIENCED KITTENS' In questo lavoro, che è il secondo della serie, gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto. Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva al fine di assicurare un normale sviluppo di V1. Metodo utilizzato: – 2 gattini, dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi vengono testati. La deprivazione avviene con delle lenti translucide che fanno passare poca luce diffusa. – 1 gattino ha una normale esperienza visiva e funziona da controllo. Risultati • Dopo 2 settimane, di cui la seconda di deprivazione, i neuroni hanno una forte tendenza ad andare incontro ad affaticamento. • I neuroni rispondo in modo meno vigoroso agli stimoli, e gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative. • Questi effetti di affaticamento sembrano essere ristretti alla corteccia. Non si verificano nel NGL. • A parte la lentezza e la fatica nella risposta le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto => selettività per orientamento, movimento, etc. Vi sono normali interazioni binoculari, con preferenza oculare differenziata da neurone a neurone. Conclusioni I risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività di risposta) della corteccia del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva. Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra retina, NGL e corteccia, non richiede esperienza visiva. → Questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia. SINGLE-CELL RESPONSES IN STRIATE CORTEX OF KITTENS DEPRIVED OF VISION IN ONE EYE Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del NGL. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, a seguito di deprivazione monoculare, allo stadio successivo di analisi visiva: V1. Nella corteccia striata, dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare. Le risposte qualitative dei neuroni binoculari ai due occhi sono simili, ma può essere diversa la forza di risposta all’uno o all’altro occhio. Metodo: – Soggetti: 7 gattini e 1 gatto adulto – Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi – Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio • I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo • Il gatto adulto ovviamente da adulto – Sito di registrazione: V1 sinistra • Da strati (2-3) con neuroni binoculari Effetti comportamentali delle deprivazione Prima di effettuare le registrazioni elettrofisiologiche viene aperto l’occhio deprivato e viene chiuso l’occhio che era rimasto aperto. L’animale si muove in modo incerto. Sbatte contro gli oggetti, anche contro i muri, che riesce a seguire con le vibrisse. Cade dal tavolo se posto a camminarci sopra. Non segue nessun oggetto in movimento nel campo visivo. Se si apre l’occhio non deprivato il comportamento ritorna normale. → Si conclude che la deprivazione monoculare induce uno stato di profonda e completa cecità per l’occhio corrispondente. Risultati • cambiamenti fisiologici → I neuroni non rispondevano in alcun modo all’occhio destro deprivato. → La figura mostra gli istogrammi di dominanza oculare in V1 sinistra di un gattino cui era stato deprivato l’occhio destro (dopo una settimana di vita e per 2,5 mesi) • Risposta dei neuroni solo all’occhio ipsilaterale (sinistro) • Nessuna risposta dall’occhio deprivato (destro) → Le cellule che rispondono mostrano campi recettivi sia di tipo semplice che complesso, e con normali risposte all’orientamento, in funzione della loro preferenza → Normale organizzazione secondo colonne di orientamento • Deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva Come per lo studio sul NGL una breve esperienza visiva precedente alla deprivazione sembra in qualche modo attenuarne gli effetti. => Vi è una risposta anche se molto ridotta all'occhio deprivato quando il gattino fa esperienza visiva nei primi mesi di vita. Il gattino in questione mostra già lo sviluppo di una struttura corticale stabile, quindi meno plastica rispetto quella dei gattini che subiscono deprivazione alla nascita. • Deprivazione monoculare in animale adulto Un gatto adulto deprivato monocularmente per 3 mesi non presenta nessun deficit nella risposta dei neuroni di V1. → il sistema del gatto adulto è già formato! • cambiamenti morfologici Sia negli animali deprivati dalla nascita sia negli animali adulti non è emersa nessuna evidenza di atrofia nei neuroni di V1 Conclusioni Alla luce dei risultati del primo lavoro, quelli del presente lavoro possono sembrare paradossali → La deprivazione dalla nascita aveva prodotto nel NGL una marcata atrofia ma un modesto deficit funzionale Nel gatto che aveva subito la deprivazione binoculare per 3 mesi è stato riaperto l’occhio destro. Dopo 18 mesi è stata registrata l’attività dei neuroni in V1: - La distribuzione della dominanza oculare non era particolarmente alterata, come ci si poteva aspettare da una deprivazione binoculare (iniziale). - Nei neuroni che rispondevano (circa la metà), si sono osservate risposte anomale, soprattutto in quelli che rispondevano all’occhio riaperto. Morfologia dei neuroni nel NGL L’iniziale deprivazione monoculare per 3 mesi ha causato la nota atrofia della cellule del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Anche dopo 18 mesi dalla riapertura dell’occhio inizialmente chiuso non si è osservato nessun recupero dell’atrofia indotta dalla deprivazione iniziale. => Si conferma che il periodo iniziale è cruciale nell’indurre una modifica morfologica, che non pare essere poi recuperabile. HUBEL E WIESEL - CONCLUSIONI GENERALI Nella serie dei lavori che abbiamo visto, Hubel & Wiesel hanno dimostrato una forma di plasticità del sistema visivo. Attraverso la deprivazione monoculare e binoculare hanno messo in luce come esista un periodo critico, che nei gatti corrisponde alle prime settimane di vita, durante il quale il sistema visivo può essere fortemente modificato a livello funzionale, morfologico e strutturale La deprivazione monoculare induce: • atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio deprivato, ma modesti cambiamenti funzionali. • pochi cambiamenti morfologici ma sostanziali cambiamenti funzionali nelle proprietà di risposta dei neuroni in V1. I neuroni rispondono solo all’occhio non deprivato. • la deprivazione monoculare sembra indurre deficit maggiori di quella binoculare. • se la deprivazione dura più di 3 mesi non è possibile nessun recupero funzionale e morfologico. • i deficit prodotti dalla deprivazione monoculare non sono dovuti al mancato normale sviluppo, quanto ad una distruzione di connessioni esistenti già alla nascita. Il grado di recupero dipende dal periodo della deprivazione. → Se la deprivazione supera il periodo critico il recupero possibile, in termini comportamentali, fiosiologici e morfologici, è veramente modesto se non assente. Il grado di deficit prodotti dalla deprivazione dipende dal fatto che sia binoculare o monoculare, e quindi dalla interazioni corticali tra le afferenze dei due occhi. STUDIO DI BLACKMORE E VAN SLUYTERS Ulteriori evidenze circa la presenza del periodo critico sono state fornite da uno studio sul grado di recupero a seguito di una deprivazione monoculare: “Reversal of the physiological effects on monocular deprivation in kittens: further evidence for sensitive period”, condotto da Colin Blakemore e Richard C. Van Sluyters. Metodo – Deprivazione monoculare e binoculare – La deprivazione monoculare era invertita tra i due occhi dopo un certo periodo di tempo Riassunto dei punti cruciali del lavoro E' stato confermato che la sutura delle palpebre di un occhio (deprivazione monoculare), fino a sole cinque settimane di età, lascia praticamente ogni neurone nella corteccia visiva del gattino interamente dominato dall'altro occhio. D'altra parte, la deprivazione di entrambi gli occhi non causa alcun cambiamento nella normale dominanza oculare dei neuroni corticali, poiché la maggior parte delle cellule è chiaramente guidata in maniera binoculare. → La deprivazione monoculare porta ad una perdita quasi totale della responsività dei neuroni all’input dell’occhio deprivato. → A seguito di deprivazione binoculare si è potuto osservare che l’esperienza visiva non sembra essere necessaria per mantenere un normale input binoculare ai neuroni di V1. La sutura inversa a 5 settimane ha causato un passaggio completo nella dominanza oculare: ogni cellula era dominata dall'occhio destro inizialmente deprivato. La sutura inversa a 14 settimane, tuttavia, non ha avuto quasi nessun ulteriore effetto sulla dominanza oculare: la maggior parte delle cellule era ancora guidata esclusivamente dall'occhio sinistro. Gli animali sottoposti a sutura in età intermedia avevano neuroni corticali fortemente dominati da un occhio o dall'altro, ed erano organizzati in gruppi colonnari chiari secondo la dominanza oculare. Pertanto, tra 5 settimane e 4 mesi di età, vi è un periodo di decrescente sensibilità (=sensibilità in declino) sia per gli effetti di un periodo iniziale di deprivazione monoculare sia per l'inversione di tali effetti mediante sutura inversa. Grafico C → è sufficiente una settimana in più per notare cambiamenti Grafico F → nonostante la deprivazione, i neuroni non cambiano preferenza di risposta in quanto il sistema ha avuto tempo (14 settimane) per stabilizzarsi e divenire “meno plastico”. PERIODO CRITICO I risultati del lavoro di Blackemore e Van Sluyters confermano la presenza di un periodo critico durante il quale il sistema visivo mostra tutta la sua plasticità. La durata del periodo critico varia da specie a specie. Se nei gatti il periodo critico può avere una finestra massima che copre i primi 3 mesi di vita, nelle scimmie si estende sino a 5-6 mesi di vita. Il reversal index è un indice di plasticità . E’ dato dal numero di neuroni dominati dall’occhio che avuto la recente esperienza visiva, sul totale dei neuroni che rispondono allo stimolo. IL RUOLO DELL'AMBIENTE NELLA PLASTICITÀ Negli stessi anni in cui Hubel & Wiesel conducevano i loro lavori sulla corteccia del gatto, si stava sviluppando un’altra importante linea di ricerca sulla plasticità corticale. Rosenzweig è stato l’esponente di spicco di questa linea di ricerca che ha indagato l’effetto della complessità dell’ambiente nel quale viene cresciuto l’animale, sulla sua organizzazione corticale. Rosenzweig suddivise dei ratti appena nati in 3 gruppi, ognuno dei quali era sottoposto ad un tipo diverso di ambiente (gabbia) nel quale vivere: – ambiente impoverito = un animale da solo – ambiente standard = 3 ratti con cibo e acqua – ambiente arricchito = 10 ratti con cibo, acqua e oggetti nella gabbia → man mano aumento delle stimolazioni ambientali Gli esperimenti dimostrarono che lo sviluppo cerebrale dipende non solo dal corredo genetico, ma anche dall’interazione con l’ambiente. Lo sviluppo del ratto in un ambiente arricchito, in cui poteva avere molteplici interazioni (motorie, sociali e cognitive) con vari aspetti dell’ambiente, induceva attraverso una ramificazione una maggior crescita delle spine dendritiche dei neuroni. → maggiori interazioni ambientali e sociali si traducono in cambiamenti nella struttura neurale CERVELLO E AMBIENTE ARRICCHITO Studi più recenti hanno confermato i risultati degli esperimenti originali di Rosenzweig e collaboratori. E’ stato inoltre dimostrato che lo sviluppo in un ambiente arricchito induce anche un aumento del numero di neuroni nell’ippocampo. • Non vi è alcuna risposta dei neuroni i cui campi recettivi coprivano l'area danneggiata se viene presentato uno stimolo in quest'area. I neuroni però rispondono per stimoli adiacenti all'area danneggiata. → i loro campi recettivi si sono spostati nelle porzioni del campo visivo vicine alle lesioni. → spostamento dei campi recettivi dei neuroni di V1 in porzioni retiniche non lesionate. LO STUDIO DI CHINO: “Rapid reorganization of cortical maps in adult cats following restricted deafferentation in retina” Un successivo lavoro di Chino e collaboratori (1992) indaga ulteriormente i meccanismi corticali che consentono la riorganizzazione nel sistema visivo a seguito di lesioni retiniche. In particolare, Chino et al. Vogliono verificare se sia possibile osservare riorganizzazioni corticali in tempi rapidi dopo la lesione periferica. Se le evidenze fossero positive questo suggerirebbe che anche il sistema visivo, come quello somatosensoriale, presenta un elevato grado di plasticità in tempi brevi anche nell’animale adulto. Procedura – Lesione della retina di un occhio – Misura dello scotoma a livello corticale – Enucleazione dell’occhio sano – Nuova misura dello scotoma corticale per valutare possibile riorganizzazione: • condizione immediata • condizione ritardata (dopo 2 mesi) Risultati prima della enucleazione La topografia corticale risulta normale quando mappata attraverso l’occhio sano. Quando viene testato l’occhio lesionato emerge una zona corticale (corrispondente a quella retinica lesionata) in cui i neuroni non rispondono. => Se si registra dai neuroni che hanno il campo recettivo nella zona lesionata non si osserva risposta. Quindi non ci sono campi recettivi attivi per la porzione di campo visivo lesionata. Risultati gruppo immediato Confronto tra campi recettivi dell’occhio lesionato, prima e subito dopo enucleazione di quello sano: subito dopo l’enucleazione dell’occhio sano, vi è la comparsa di nuovi campi recettivi attorno all’area lesionata. => Questi sono i campi recettivi di quei neuroni corrispondenti all’area lesionata. => I neuroni spostano il loro campo recettivo solo dopo la rimozione dell’occhio sano. Risultati gruppo immediato I nuovi campi recettivi hanno proprietà di risposta normali, sia per quanti riguarda la selettività all’orientamento, al contrasto e alle frequenze spaziali. Le parti silenti della corteccia sono state completamente riattivate, attraverso una spostamento dei campi recettivi verso zone retiniche intatte. I risultati del gruppo immediato dimostrano che una lesione bilaterale (locale in un occhio + enucleazione altro occhio sano) è necessaria per indurre una rapida riorganizzazione topografica della corteccia. => Ma l’enucleazione dell’occhio sano è necessaria per la riorganizzazione corticale se si dovesse lasciare molto più tempo per il recupero? => Se a seguito della lesione si attende un lungo periodo di tempo senza l'enucleazione dell'occhio sano, avviene comunque una riorganizzazione corticale?? No! Vi deve essere una deafferentazione robusta per osservare riorganizzazione corticale. Infatti... Risultati gruppo ritardato A quattro gatti vengono lasciati 2 mesi per recuperare dalla lesione, senza enucleazione dell’occhio sano. Vengono testati e poi si procede ad enucleazione. Vengono quindi ritestati subito dopo. => Dopo due mesi in cui l’occhio sano è rimasto attivo non è avvenuta nessuna riorganizzazione della topografia corticale. => Appena l’occhio sano viene enucleato ha luogo immediatamente la riorganizzazione corticale con lo spostamento dei campi recettivi in zone limitrofe alla lesione. Conclusioni I risultati indicano che solo poche ore dopo la lesione retinica che depriva una parte della corteccia di input sensoriale si può osservare una profonda riorganizzazione corticale della zona deprivata. Perché questa riorganizzazione avvenga è necessaria una deprivazione binoculare, locale (occhio lesionato) e totale (occhio enucleato). La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni pre-esistenti, normalmente silenti a causa di meccanismi competitivi. I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale. I sistemi di riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio possono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio. Quando questa rimane normale. PLASTICITÀ: remapping corticale da stimolazione Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denervazione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale. → La parte della corteccia che si rappresentava l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati. Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino. Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: – le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si riorganizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale. – a seguito della riorganizzazione non rimangono parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico. – la parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti. Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, alcuni studi si sono interrogati circa la possibilità che si verifichi riorganizzazione corticale a seguito di iperstimolazione. Possono analoghe modifiche corticali essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o disconnessione? STUDIO DI JENKINS: “Functional reorganization of primary somatosensory cortex in adult owl monkeys after behaviorally controlled tactile stimulation” Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990) I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organizzazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale la corteccia si riorganizza. → è possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimolazione, possa produrre alterazioni corticali? Jenkins e coll. verificano quest’ipotesi testando gli effetti di un allenamento tattile sulla corteccia somatosensoriale (area 3b) della scimmia adulta. - I soggetti sperimentali sono 6 scimmie adulte. - La stimolazione è ristretta ad una porzione limitata delle dita della mano. - Viene esposta la corteccia 3b e vengono impiantati gli elettrodi per mappare la mano. - Utilizzano un apparato sperimentale durante il compito tattile. Il compito della scimmia era quello di toccare per circa 15 secondi un disco in rotazione senza bloccarlo. Se lo faceva la scimmia riceveva un reward che consisteva in cibo. Il disco, che ruotava ad una frequenza di 1Hz, aveva settori con due diverse superfici. L’animale eseguiva correttamente il compito ed in media otteneva circa 600 pellet in 24Hr. → 109 giorni di allenamento. => La scimmia doveva esercitare una pressione sul disco evitando che lo stesso di fermasse mentre un sensore rilevava la pressione esercitata. Risultati: • Allargamento della rappresentazione corticale dei settori delle dita stimolate. In particolare vi è un'espansione dell'area dei settori 2D e 3D. La falange 2D era sempre (100%) stimolata a contatto con il disco. La falange 3D solo il 50% delle volte. La falange 4D meno del 20%. => scoprono che l'allargamento dell'area dipendeva dalla quantità della stimolazione. => la corteccia si riorganizza in maniera direttamente proporzionale alla stimolazione applicata. • L'incremento dell'area dipende dall'uso ed è reversibile se l'uso viene sospeso. → la mancata stimolazione riduce l'area in corteccia => si manifesta una riduzione dei settori dopo 80 giorni di riposo Gli effetti del training non vengono mantenuti a lungo termine se lo stesso non viene più attuato. • Nell'esperimento di controllo in cui il disco rimane fermo non si verifica alcun cambiamento corticale di Come si comporta la corteccia uditiva? Esistono evidenze che anche la corteccia uditiva si riorganizza tonotopicamente a seguito di lesioni cocleare specifiche che impediscono la percezione di certe frequenze. (Robertson & Irvine, 1989) In uno studio del 1993 Recanzone e collaboratori dimostrano una analoga riorganizzazione tonotopica a seguito di un training su di una specifica frequenza. STUDIO DI RECANZONE: “Plasticity in the frequency representation of primary auditory cortex following discrimination training in adult owl monkeys” (1993) Metodo: - soggetti: scimmie adulte - allenate per vari giorni a distinguere stimoli di una certa frequenza target - alla fine del training registrazione da A1 (corteccia uditiva primaria) → confronto dell’ampiezza della zona di corteccia che si rappresenta la frequenza stimolata tra scimmie allenate e non allenate. Risultati Psicofisica: l’allenamento produce un miglioramento della prestazione discriminativa che si traduce in una riduzione della differenza di frequenza tra target e non target. Mapping corticale: in parallelo al miglioramento di prestazione, l’allenamento induce una espansione dell’area corticale che si rappresenta la frequenza allenata, ma non se presentata passivamente. Conclusioni Anche la corteccia uditiva mostra la capacità di riorganizzarsi non solo a seguito di lesioni ma anche in risposta ad un allenamento specifico (per una certa frequenza). Inoltre, a conferma di quanto emerso nel lavorio di Recanzone et al. (1992), i risultati dimostrano ancora una volta il ruolo cruciale dell’attenzione nel regolare questa forma di plasticità corticale. PLASTICITÀ E CONDIZIONAMENTO Sinora abbiamo visto che la corteccia sensoriale è in grado di riorganizzarsi in seguito a deprivazioni oppure a iperstimolazioni sensoriali. A livello del singolo neurone la plasticità si traduce in cambiamenti dei collegamenti sinaptici attraverso. – l’attivazione di sinapsi latenti (inibite) – la nascita di nuovi collegamenti, e quindi la formazione di nuove vie nervose. Uno dei neurotrasmettitori che sembrano essere maggiormente coinvolti nella plasticità cerebrale è la Dopamina. La dopamina è principalmente prodotta nella VTA. La Ventral Tegmental Area (VTA) è uno dei nuclei più importanti del sistema dopaminergico. → proietta a varie parti dell’encefalo, compreso il Nucleo Accumbens, l’Amigdala, e la Corteccia Prefrontale. → proietta al sistema limbico (come l'amigdala) e a quello mesocorticale (nella corteccia prefrontale). L’attività modulatoria della dopamina rilasciata dalla VTA sembra in realtà avere come target anche molte altre parti della corteccia, comprese le corteccia sensoriali (aree visive ed uditive). Alcuni ricercatori si sono quindi chiesti se fosse possibile indurre plasticità e riorganizzazione corticale per uno stimolo (CS) che fosse associato (condizionamento classico) ad una scarica di dopamina (US) ottenuta tramite stimolazione elettrica della VTA. STUDIO DI BAO, CHAN e MERZENICH (2001): “Cortical remodelling introduced by activity of ventral tegmental dopamine neurons” Sono utilizzati 7 ratti a cui per 20 giorni due ore al giorno viene fatto sentire un suono di 9kHz (CS) accoppiato ad una stimolazione della VTA (US). Dopo i 20 giorni di accoppiamento è stata mappata la corteccia uditiva primaria per vedere in che modo rispondeva alle varie frequenze, inclusa quella che aveva funzionato da CS per la scarica della VTA. => si osserva una netta espansione della corteccia che si rappresenta il tono accoppiato alla scarica della VTA. => il rilascio di dopamina ha alterato la corteccia corticale uditiva primaria. => con un semplice paradigma di condizionamento, avviene una riorganizzazione corticale relativa alla porzione sottoposta allo stimolo. Per essere sicuri che la riorganizzazione corticale fosse stata effettivamente indotta dalla scarica dopaminergica, un gruppo di ratti è stato sottoposto allo stesso paradigma ma con una somministrazione, 30 minuti prima di ogni sessione sperimentale, di un antagonista dei recettori della dopamina. => Non è emersa nessuna differenza rispetto al gruppo di controllo che non riceveva stimolazione della VTA. Ulteriori due esperimenti di controllo hanno dimostrato che la sola presentazione del tono, oppure la sola stimolazione della VTA, non erano in grado di produrre nessuna alterazione della mappa tonotopica corticale. Quindi, solo lo specifico accoppiamento tra tono e rilascio di dopamina può indurre una alterazione della mappa corticale associata al tono. La dopamina è implicata nel rilascio di segnali di rinforzo nei meccanismi di apprendimento associativo Nel condizionamento classico l’apprendimento avviene solo per lo stimolo che predice lo stimolo incondizionato. => Quindi solo un tono che precede (CS), ma non che segue, la scarica della VTA (US) porterà ad una riorganizzazione corticale (??). Per testare questa ipotesi è stato usato un tono di 4kHz che precedeva la scarica di VTA ed uno di 9 kHz che la seguiva. Si osserva una forte espansione dell'area che risponde a 4kHz e riduzione di quella che risponde a 9kHz. => La riorganizzazione corticale indotta dall’attività della VTA ha riguardato solo lo stimolo saliente che precedeva la stimolazione elettrica. L’area dello stimolo irrilevante, quello che seguiva, è risultata addirittura ridotta. I risultati dello studio di Bao et al. dimostrano che l’attività dopaminergica indotta dalla VTA attiva la riorganizzazione corticale. La plasticità sembra quindi essere innescata da deprivazioni e da stimolazioni sensoriali massive. Lo studio di Recanzone aveva dimostrato che l’attenzione gioca un ruolo importante nel regolare la plasticità. Quello di Bao appena visto dimostra che i segnali di rinforzo (dopaminergici) sono un altro fattore in grado di promuovere la plasticità corticale per gli stimoli rilevanti (come un CS nel condizionamento). NB: Backward conditioning → us precede ns => difficile che avvenga condizionamento Le evidenze di plasticità corticale che abbiamo sinora visto riguardano insiemi o popolazioni di neuroni (parti della corteccia) che vengono dedicate all’analisi di altri input sensoriali nel caso di deprivazioni, o che vengono reclutate nell’analisi di input sensoriali particolarmente rilevanti a seguito di allenamento specifico. Tuttavia, anche nel caso in cui i neuroni spostano i loro campi recettivi a seguito di lesioni retiniche, come nel caso dei lavori di Kaas e Chino, le proprietà di risposta dei campi recettivi rimangono normali ed inalterate: stessa sensibilità all’orientamento, frequenze, contrasto, etc. E’ possibile però che la plasticità del sistema nervoso sia tale da consentire modifiche anche della proprietà di base dei campi recettivi dei neuroni? Queste sono caratteristiche definite geneticamente che vengono consolidate durante il normale sviluppo (deprivazione esclusa). Possono essere modificate? Definizione di campo recettivo: parametri dello stimolo sensoriale in grado di alterare l’attività fisiologica della cellula, tipicamente la sua probabilità di risposta. Parametri che definiscono il campo recettivo: posizione, colore, orientamento, direzione di movimento, contrasto, frequenza, etc. PLASTICITÀ ED APPRENDIMENTO Plasticità e apprendimento sono due concetti e fenomeni intimamente connessi. Da un lato possiamo vedere la plasticità, almeno in alcune sue forme, come un modo in cui il cervello apprende a rispondere a nuove condizioni di stimolazione. Dall’altro è evidente che l’apprendimento necessariamente richiede alcune modifiche del cervello, e quindi un certo grado di plasticità. In ultima analisi qualsiasi forma di apprendimento deve trovare una spiegazione a livello neurale. E’ quindi necessario ipotizzare un qualche meccanismo che consenta l’apprendimento, e la plasticità, a livello del comportamento dei singoli neuroni. → Una riposta a questo problema è stata data da Donald Hebb nel 1949 con la sua teoria sull’apprendimento. La TEORIA DI HEBB per l’apprendimento La teoria Hebbiana (1949) spiega come avverrebbe l’apprendimento (associativo) a livello neurale. Descrive i meccanismi della «plasticità sinaptica», che sta alla base dell’apprendimento. La plasticità sinaptica è un processo per mezzo del quale un incremento dell’efficacia sinaptica è prodotto dalla persistenze e ripetuta stimolazione del neurone postsinaptico da parte dei quello pre-sinaptico. → se due neuroni sono attivi contemporaneamente la connessione viene rafforzata → “ciò che scarica assieme sta assieme” Qualsiasi coppia di cellule o sistema di cellule che sono ripetutamente attive allo stesso momento tendono a diventare «associate», così che l’attività di una facilita l’attività dell’altra. Quando una cellula interviene ripetutamente nell’indurre la scarica in un’altra, l’assone della prima cellula sviluppa bottoni sinaptici (o ingrandisce quelli che ha già) in contatto con la seconda cellula. La regola di Hebb può essere quindi riassunta nel seguente enunciato: «Cellule che scaricano assieme tendono ad essere collegate assieme». rimangono presenti anche 24Hr dopo la fine del condizionamento. La plasticità del campo recettivo è emersa solo in quegli animali che avevano mostrano condizionamento. Tuttavia, l’apprendimento associativo (misurato comportamentalmente) non è sufficiente ad indurre la plasticità neurale del campo recettivo, in quanto alcuni animali che mostrarono condizionamento non mostrarono le corrispondenti modifiche nella risposta alle frequenze. PERCEPTUAL LEARNING: specificità dell'input sensoriale Si può allenare il cervello in determinate attività (per esempio attraverso dispositivi wii e nintendo, cruciverba, sudoku, etc), ma ciò porta a risultati trasversali ovvero ad un apprendimento aspecifico? Il Perceptual Learning (o apprendimento percettivo) consiste in un miglioramento delle capacità percettive del soggetto dovuto all’esperienza o allenamento, miglioramento che si mantiene nel tempo. Studiare il PL è interessante per vari aspetti, pratici ma anche teorici: – pratici: come allenare al meglio alcune abilità? – teorici: come apprende e si modifica il sistema sensoriale a livello corticale? => Il PL è una manifestazione di plasticità corticale. Un famoso detto recita: «La pratica rende perfetti». Forse la pratica non consentirà di raggiungere la perfezione ma di sicuro aiuta ad aumentare le capacità allenate. → A seguito di una quotidiana esposizione alle radiografie, i radiologi sviluppano un’abilità a vedere macchie di contrasto rilevanti in immagini che al profano non dicono nulla. → E’ sulla capacità degli operatori ai sistemi x-ray degli aeroporti a discriminare piccoli dettagli che contiamo per la nostra sicurezza in volo. Questa abilità si affina con l’allenamento. In merito agli aspetti teorici del PL possiamo porci alcune domante importanti: • L’apprendimento è un processo specifico o generale (=aspecifico)? – Una visione comune, anche in ambito educativo, è che allenare il cervello a fare qualcosa produca un effetto positivo generale. – L'apprendimento può essere specifico relativamente al contesto: per esempio nella dipendenza da eroina oppure un esempio è relativo all'esperimento in cui dei sommozzatori apprendevano materiale verbale in acqua o su terra ferma e dovevano rievocarlo in acqua o su terra ferma (prestazioni migliori se la rievocazione avveniva nel medesimo contesto della codifica). • Quali sono i meccanismi che consentono all’apprendimento di aver luogo? • Quali sono le basi neurali del PL? • Cosa ci dice il PL in merito alla plasticità corticale nell’adulto? Per tentare di dare delle risposte a queste e altre domande restringeremo il nostro interesse al Perceptual Learning nella modalità visiva. Per cominciare vediamo due studi importanti che negli anni 80 del secolo scorso hanno indagato alcuni aspetti del PL: Fiorentini & Berardi (1981); Ball & Sekuler (1987). Questi studi sono tra i primi che hanno dimostrato la specificità del PL in riferimento alle caratteristiche dello stimolo sul quale viene fatto un compito di discriminazione. → Tali studi sono stati condotti senza tecniche di neuro-immagine, ma solo sulla base delle conoscenze dell’organizzazione del sistema visivo, questi due studi cercano anche di dare una risposta sulle possibili basi neurali del PL studiato. LAVORO DI FIORENTINI E BERARDI (1981): “Learning in grating waveform discrimination: specificity for orientation and spatial frequency” Gli autori studiano il PL per stimoli che consistono in 2 grating semplici oppure di 4 grating complessi di varie forma d’onda. Nello specifico, lo scopo del lavoro è valutare gli effetti dell’allenamento sull’abilità di discriminare tra i vari stimoli, e vedere se l’abilità acquisita: • viene mantenuta nel tempo • si trasferisce tra stimoli diversi Stimoli – 4 differenti grating complessi di differente forma d’onda 2 grating sinusoidali semplici con differente frequenza spaziale (7% di differenza) – Gli stimoli sono visti binocularmente in tutti gli esperimenti, tranne che nell’esperimento sul trasferimento interoculare. NB: se i neuroni coinvolti sono binoculari ci sarà specificità nel trasferimento di apprendimento; se i neuroni implicati sono monoculari non vi sarà specificità nel trasferimento di apprendimento. Procedura La discriminazione dei vari grating, semplici o complessi, si basa su di un compito a scelta forzata a 2 intervalli (2AFI). Nel compito con i grating complessi c’è un grating di riferimento, a, che viene presentato con il rating b, c, oppure d. → Ogni grating viene presentato per 100ms. ISI = 500ms I due grating sono presentati in due intervalli separati, in ordine casuale. Il primo grating è presentato con un suono. Il soggetto riporta se il grating a era presente nel primo (con suono) o secondo intervallo. La stessa procedura è usata per studiare la discriminazione dei grating semplici con diverse frequenze spaziali. Il grating di riferimento aveva una frequenza spaziale pari a 10Hz. Il grating test pari al 7% in più. Nelle prime 3 sessioni sperimentali ogni soggetto è testato con gli stimoli complessi verticali, oppure con gli stimoli semplici con una certa frequenza spaziale di riferimento (10hz). → Questo per valutare gli effetti dell’apprendimento e del suo mantenimento nel tempo Nelle successive sessioni sperimentali i grating complessi vengono presentati ruotati di 90°, cioè orizzontali. Quelli semplici con una nuova frequenza di riferimento più alta. → Questo per valutare il grado di trasferimento del PL da un set di stimoli ad un altro con altri parametri (orientamento oppure frequenza). Numero di prove: da 100 a 500 per sessione. Soggetti: 10 soggetti → 5 soggetti esperti di esperimenti di psicofisica → 5 soggetti naive Risultati: • apprendimento del compito – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda I risultati mostrano un chiaro effetto dell’apprendimento. I soggetti diventano sempre più bravi nel discriminare gli stimoli, in tutti e 3 gli accoppiamenti. Si mostra quindi PL. – Compito con i grating semplici di diverse frequenze spaziali I risultati mostrano che in questo tipo di compito non c’è apprendimento. Quindi non si evidenzia PL. • mantenimento del compito – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si mantiene di sessione in sessione nei vari giorni. Ad ogni nuovo giorno il livello di AC parte da un valore sempre più elevato. Un soggetto è stato testato a 6 settimane di distanza e il PL era parzialmente conservato. • PL specifico per orientamento – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Quando dopo aver appreso la discriminazione di forma d’onda con gli stimoli verticali si passa a quelli orizzontali la prestazione riparte dal valore inziale. => Non c’è trasferimento del PL, che si dimostra specifico per la caratteristica dello stimolo. => specificità dell'apprendimento, quindi non avviene trasferimento di apprendimento. → Vi sono neuroni che codificano un orientamento specifico degli stimoli, per esempio un orientamento verticale e non un orientamento orizzontale. • grado di specificità per orientamento – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si dimostra specifico per l’orientamento dello stimolo anche quando la caratteristica appresa è la forma d’onda. Esiste trasferimento sino ad una rotazione di 30°. A 45° il PL non si trasferisce più. • specificità per frequenza spaziale – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si dimostra specifico anche per la frequenza spaziale dello stimolo. Se allenato con stimolo a 3c/d quando si passa a 6c/d il PL deve ricominciare. SPECIFICITÀ PER POSIZIONE SPAZIALE Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per posizione spaziale dello stimolo, o se si trasferisce nelle varie parti del campo visivo, alcuni soggetti sono stati allenati in due differenti parti del campo visivo. NB: specificità spaziale → neuroni con campi recettivi piccoli. Il PL si dimostra specifico per la posizione del campo visivo nella quale è avvenuta la stimolazione sensoriale. Cambiando la posizione dello stimolo il PL deve ricominciare. SPECIFICITÀ OCULARE Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per l’occhio allenato, prima hanno allenato i soggetti a fare il compito con visione monoculare sinistra. Poi hanno iniziato l’allenamento in visione monoculare destra. → I risultati hanno mostrato trasferimento completo dell’allenamento da un occhio all’altro. Questo indica che le basi neurali dell’apprendimento di questo tipo compito sono localizzabili ad uno stadio di scelta forzata sul riconoscimento di lettere) Lo stimolo viene presentato per 10 ms. Per rendere il compito più o meno difficile variano la durata l'intervallo vuoto variabile. Maggiore sarà la sua durata, minore sarà il potere della maschera. La variabile indipendente scelta per misurare il grado di apprendimento era il tempo trascorso tra lo stimolo e la maschera (SOA). Nei paradigmi di mascheramento temporale, minore è l’intervallo tra lo stimolo e la maschera, minore è la visibilità dello stimolo! Nella prima sessione veniva scelto un SOA abbastanza lungo (250-300 ms) di modo da rendere il compito piuttosto facile (95% di risposte corrette) Ad ogni sessione l’SOA veniva ridotto di 20 ms ogni 150-200 prove. Nelle sessioni successive il valore SOA di partenza veniva scelto come il valore SOA più basso della sessione precedente in cui i soggetti rispondevano correttamente il 95% delle volte. => In questo modo era possibile stimare una funzione psicometrica calcolata sulla percentuale di risposte corrette ad ogni livello di SOA testato. Il valore di soglia per valutare l’apprendimento veniva considerato come il valore di SOA ad ogni sessione per cui i soggetti rispondevano correttamente nell’80% delle prove. Risultati L'intervallo SOA richiesto per eseguire il compito all'80% di risposte corrette era più che dimezzato con la pratica. L’apprendimento mostrava un andamento rapido nelle prime sessioni e lento verso la fine, raggiungendo un livello stabile dopo 5-10 sessioni. L'apprendimento non trasferisce per posizioni diverse da quelle allenate. Se veniva riproposto lo stesso compito dopo il training a soli 3 gradi di distanza dalla posizione addestrata, le prestazioni tornavano pari a quelle di partenza ed il compito doveva completamente essere “riappreso”. Erano necessarie ancora 5-10 sessioni per arrivare ad un miglioramento simile a quello della serie iniziale. Specificità Una volta raggiunto l’asintoto per ogni soggetto (massimo livello di apprendimento) gli autori testarono il grado di specificità di tale apprendimento per mezzo di alcuni cambiamenti sulle proprietà dello stimolo. Specificità per orientamento – I partecipanti venivano testati nuovamente utilizzando orientamenti ortogonali delle linee target. => non vi è alcun cambiamento rispetto al valore di asintoto raggiunto. – vengono presentati target con orientamento verticale, aumentando il gradiente assoluto tra foreground e background da 45 a 90°. => le prestazioni erano addirittura migliori rispetto all'asintoto raggiunto dopo il training. Specificità per orientamento dello sfondo – veniva presentato il background con orientamento ortogonale, mantenendo quello dei target lo stesso. => drammatico decremento delle prestazioni..sogli significativamente più alte!! Trasferimento inter-oculare: – Ultimo esperimento in cui gli autori valutano il grado di trasferimento dell’apprendimento tra i due occhi. – 3 partecipanti sottoposti allo stesso paradigma di training ma su un solo occhio, mentre l’altro veniva bendato per tutta la durata delle sessioni. => I risultati dimostrano una percentuale di trasferimento piuttosto bassa (18%), paragonabile a quella ottenuta spostando i target su una nuova posizione all’interno dello stesso quadrante. Conclusioni I risultati di questo studio indicano che l’efficienza con cui i partecipanti riescono ad estrarre informazioni rilevanti da una texture può essere migliorata attraverso la pratica, fino ad una drastica diminuzione del tempo necessario per una corretta elaborazione degli stimoli. Questo tipo di apprendimento risulta specifico per posizione ma non per orientamento dei target. Tuttavia l’apprendimento risulta specifico per l’orientamento delle linee sullo sfondo. → Gli autori non forniscono una spiegazione convincente per questo risultato! Il lavoro di Karni e Sagi ci da una prima idea di come Il PL sia un fenomeno complesso, strettamente legato al tipo di compito ed ai meccanismi visivi coinvolti. Ma cosa ci può dire la specificità retinica che è stata osservata nel loro studio in merito allo stadio di analisi in cui avviene il PL? LAVORO DI SCHOUPS, VOGEL E ORBAN (1995): “Human perceptual learning in identifying the oblique orientation: retinotopy, orientation specificity and monocularity” L’intento principale del loro studio è quello di investigare a fondo il trasferimento e la specificità del PL, tenendo in considerazione varie posizioni spaziali a distanza diversa da quella addestrata. Inoltre gli autori intendono studiare anche il trasferimento del PL a livello interoculare. Metodo – Partecipanti: 6 soggetti naïve – Stimoli: gratings definiti da strisce di rumore visivo, della grandezza di 2.5° Procedura Un solo grating veniva presentato ad ogni prova per 300 ms. I partecipanti dovevano rispondere se il grating era orientato in senso orario o antiorario rispetto ad un’inclinazione di riferimento (inclinazione a sinistra). Venivano effettuati 16 blocchi di 100 prove al giorno, fino al raggiungimento dell’asintoto di apprendimento. Ad ogni blocco veniva utilizzata una procedura staircase up-down che puntava all’84% di risposte giuste. Questa percentuale era chiamata JND (Just Noticeable Difference) e forniva una misura in gradi di angolo visivo (inclinazione dello stimolo dai 45°) della capacità discriminativa del soggetto. Risultati Tutti I soggetti migliorarono le prestazioni nel compito di discriminazione di orientamento. Il training è evidente come gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.). Specificità orientamento Se però viene ruotato lo stimolo di 90° il PL viene perso e deve ricominciare L’effetto è presente nel gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.) Così come nei risultati di Karni e Sagi, l’apprendimento era rapido nella fase iniziale e rallentava dopo le prime 5-10 sessioni. Trasferimento retinotopico L’apprendimento osservato nel compito di discriminazione di orientamento è da considerarsi ristretto alla regione stimolata? Quanto è precisa la componente retinotopica dell’apprendimento, e quanto lontano devono essere uno stimolo addestrato ed uno nuovo per non osservare nessun grado di trasferimento? => Dopo aver testato lo stimolo su varie posizioni spaziali, gli autori osservarono una completa mancanza di trasferimento. Trasferimento inter-oculare – 4 soggetti vennero sottoposti a training monoculare nel compito di discriminazione di orientamento – Dopo il raggiungimento del grado massimo di apprendimento, vennero testati con gli stessi stimoli, ma sull’occhio non addestrato – 3 dei 4 soggetti mostrarono un trasferimento inter-oculare completo! Non vi è apprendimento all’interno della stessa sessione di allenamento!!! L’apprendimento pare aver luogo solo tra sessioni consecutive in diversi giorni. Gli autori ipotizzano che sia necessaria una fase di consolidamento dell’apprendimento che avviene durante il sonno notturno. Conclusioni L’apprendimento percettivo legato alla pratica porta ad un significativo aumento della capacità di discriminare orientamenti. Date le caratteristiche di questa forma di apprendimento, è possibile assumere che i suoi correlati neurali siano situati a livelli precoci delle aree visive. Uno dei risultati importanti è l’elevata specificità retinica del PL in questo tipo di compito. Il miglioramento non avviene nella sessione di training ma tra sessioni diverse in giorni diversi. • Necessità fase di consolidamento notturno • In realtà spesso si osserva miglioramento anche all’interno della stessa sessione → Forse dipende dal compito discriminativo usato Risultati Non c’è differenza significativa tra pre-test e post-test nel compito di orientamento né per coloro che si sono allentati con compito facile né difficile. Il miglioramento non è maggiore nella posizione allenata rispetto a quella non allenata, e quindi non dipende dall’allenamento. Questo significa che senza attenzione alla specifica caratteristica non c’è PL. Compito sulla luminosità → no apprendimento sull'orientamento Si ha apprendimento per la caratteristica a cui si presta attenzione! Conclusioni Il miglioramento è specifico per posizione retinica e orientamento dello stimolo. Può avvenire anche in assenza di feedback durante l’apprendimento → «unsupervised learning mechanism». L’apprendimento non ha bisogno di feedback ma richiede l’attenzione sulla caratteristica che rilevante per il compito. AHISSAR E HOCHSTEIN: “Attentional control of early perceptual learning” Diversi studi hanno mostrato che l’apprendimento percettivo è altamente specifico per le caratteristiche dello stimolo usato durante l’allenamento, e questo fa supporre che l’apprendimento avvenga ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. Lo scopo di questo studio è scoprire se l’apprendimento percettivo è un fenomeno che è completamente determinato in modo bottom-up o se meccanismi di controllo di tipo attentivo possono intervenire controllando il processo di apprendimento anche quando si suppone che avvenga a livelli precoci del sistema visivo. Metodo Stimoli: • Matrici da 5x6 o 6x5 elementi • Gli elementi sono inclinati di 30° o 60° • I due parametri sono variati in modo ortogonale • Mask: matrice di 7x7 elementi (asterischi) SOA (Stimulus Onset Asynchrony): compreso tra16 e 183ms Compiti: 1. Identificazione globale: la configurazione della matrice è un rettangolo verticale o orizzontale? 2. Detezione locale: C’è un elemento con orientamento diverso nella matrice? → Feedback per risposte corrette Ogni sessione di training iniziava con un SOA lungo che gradualmente veniva diminuito fino a raggiungere il valore minimo (valori iniziali: max 183ms e min 16ms). In base alla performance nei primi blocchi, vengono scelti i valori estremi del blocco successivo. - SOA massimo è il più breve che permette una performance del 95% - SOA minimo è il più lungo che permette una performance del 55% - prestazione media nel blocco di 75% - Valori vengono adattati di volta in volta Viene misurato il valore di SOA a cui i partecipanti hanno una prestazione del 82%. Risultati In seguito all’allenamento diminuisce il tempo di esposizione dello stimolo necessario ad ottenere la stessa accuratezza (spostamento verso sinistra e verticalizzazione della curva psicometrica), sia per il compito locale che per quello globale. => Il SOA per accuratezza del’82% diminuisce mediamente di più del 50% in seguito a training ad asintoto. Specificità dell'apprendimento: → Nel compitio globale il learning viene perso quando si riduce la dimensione della matrice → Nel compitio locale il learning viene perso quando si ruotano gli elementi della matrice e quando si cambia la sua dimensione Il miglioramento della performance è specifico per le caratteristiche fisiche dello stimolo. Questo suggerisce che l’apprendimento avviene ad un livello in cui i diversi attributi dello stimolo (come orientamento e dimensione), sono analizzati separatamente. La specificità dell’apprendimento è limitata alle caratteristiche che sono rilevanti per il compito utilizzato durante l’allenamento. Una domanda interessante è: cosa succede se, nella fase di test, lo stimolo rimane lo stesso usato durante l’allenamento, ma il compito è diverso? L’apprendimento è guidato solo dalle caratteristiche dello stimolo o c’è specificità dell’apprendimento anche per il contesto comportamentale in cui avviene l’apprendimento? Il Lavoro di Shiu & Pashler aveva suggerito un ruolo specifico dell’attenzione. Risultati: stessi stimoli ma compito diverso L’allenamento sul compito locale porta ad un miglioramento della performance sul compito allenato, ma non sul compito globale. Risultati simili si ottengono anche con l’allenamento sul compito globale, anche se si può notare una certa asimmetria (parziale trasferimento dell’apprendimento). => Alcune considerazioni - Asimmetria del trasferimento • Il compito di detezione viene appreso anche in assenza di attenzione selettiva, a differenza di quanto accade per il compito globale • E’ quindi possibile che la detezione avvenga in aree visive primarie che sono meno influenzabili da fattori attentivi Conclusioni I risultati mostrano che l’apprendimento dipende dalle caratteristiche fisiche dello stimolo che sono rilevanti per il compito su cui viene fatto il training. L’apprendimento è però controllato da un meccanismo attentivo, esso infatti è specifico per le caratteristiche su cui viene portata l’attenzione durante l’allenamento. L’apprendimento interessa quindi solo quei neuroni che sono attivati dalle caratteristiche dello stimolo (specificità), e che, allo stesso tempo, sono rilevanti per svolgere il compito. HUANG, LU, TJAN, ZHOU, LIU: “Motion perceptual learning: when only task-relevant information is learned” Lo scopo di questo esperimento è studiare se è possibile apprendere delle caratteristiche soprasoglia di uno stimolo quando queste non sono rilevanti durante la fase di allenamento. In questo studio, diversamente da quelli precedenti, il PL riguarda la percezione del movimento. Metodo Stimoli: Compito: Compito 1 - Detezione di movimento: scelta forzata a due intervalli (movimento nel primo o secondo intervallo?) Compito 2 - Discriminazione: movimento in direzione oraria o antioraria rispetto a direzione di riferimento Questo implica che la direzione di movimento era rilevante solo per i partecipanti a cui era stato assegnato il compito 2. Procedura: 1. Sessione di familiarizzazione • Orientamento di riferimento: 45° o 135° • Compito detezione: - direzione ± 8° dalla direzione di riferimento - % di coerenza fissa (50%) • Compito discriminazione: - direzione ± 40° dalla direzione di riferimento - % di coerenza fissa (50%) • Feedback ad ogni trial • Ripetuto fino al raggiungimento di accuratezza del 95% 2. Stima delle curve psicometriche per entrambi i compiti per ciascun partecipante • Orientamento di riferimento: 45° o 135° • Compito detezione: - % coerenza testate: 5%, 10%, 15%, 20%, 30%, 40% - direzione ± 8° dalla direzione di riferimento • Compito discriminazione: - % coerenza che garantisce 95% di accuratezza in detezione - direzioni testate: ±3°, ±5°, ±8°, ±11°, ±15°, ±30°. • No feedback • La stima delle curve psicometriche viene ripetuta dopo l’allenamento (step 5) 3. Training con compito di discriminazione oppure di detezione • Compito detezione: - 10 partecipanti - % coerenza iniziale: 40%, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette • Compito discriminazione: - 9 partecipanti - direzione iniziale: ±20° dalla direzione di riferimento, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette • Training per 8 o 15 giorni • Feedback ad ogni prova 4. Ripetuta stima delle curve psicometriche (step 2) Risultati soglia complessiva: tutti i partecipanti migliorano in seguito al training, sia nel compito di detezione che in quello di discriminazione. Risultati funzioni psicometriche: – l'allenamento su detezione migliora la detezione ma non la discriminazione – l'allenamento su discriminazione migliora la discriminazione ma anche la detezione Conclusioni L'apprendimento di discriminazione si trasferisce a detezione, ma non viceversa. La direzione del movimento, che non era rilevante per il compito, non fa parte delle informazioni che vengono apprese nel compito di detezione, e quindi non trasferisce al compito di discriminazione. Viceversa il compito di discriminazione richiede sempre anche di rilevare la presenza del movimento (detezione) e quindi l’allenamento trasferisce al compito di detezione. CONCLUSIONI GENERALI I risultati di questi studi suggeriscono che l’attenzione sia un meccanismo fondamentale per il controllo dell’apprendimento percettivo. Perché ci sia apprendimento non solo bisogna portare l’attenzione su uno stimolo, ma bisogna anche selezionare attivamente la caratteristica che si vuole apprendere. Esperimento 2: Metodo 5 partecipanti Compito: • discriminazione di contrasto su gabor verticale (2IFC) «Quale dei 2 stimoli ha contrasto maggiore?» • discriminazione di orientamento su gabor orizzontale (2IFC) «Quale dei 2 stimoli è ruotato in senso orario?» Procedura = doppio training: • 6 sessioni di allenamento (per 2 ore) • Posizione 1 contrasto • Posizione 2 orientamento • Test del contrasto nella posizione allenata con orientamento Risultati In seguito all’allenamento i partecipanti migliorano nella capacità di discriminare: • il contrasto in posizione 1 • l'orientamento in posizione 2 Il risultato cruciale è un miglioramento del contrasto nella posizione 2 Esperimento 3: verifica dell’importanza della sequenza Metodo 6 partecipanti Compito: • discriminazione di contrasto su gabor verticale (2IFC) in posizione 1 «Quale dei 2 stimoli ha contrasto maggiore?» • discriminazione di orientamento su gabor orizzontale(2IFC) in posizione 2 «Quale dei 2 stimoli è ruotato in senso orario?» Procedura = doppio training • Training sequenziale: - prima location training su orientamento - poi feature training su contrasto - poi test su contrasto sulla posizione dell’orientamento Risultati La capacità di discriminare il contrasto migliora a seguito di location training. La capacità di discriminare il contrasto migliora ulteriormente dopo feature training in una diversa posizione spaziale. Complessivamente si osserva un completo trasferimento dell’apprendimento . Il location training ha “preparato” la posizione allenata e questo ha permesso il trasferimento dell’apprendimento sulla discriminazione del contrasto. => il trasferimento può avvenire solo tra due posizioni su cui si è fatto allenamento Conclusioni Il completo trasferimento dell’apprendimento riscontrato con questo paradigma di doppio training mette in dubbio l’ipotesi che l’apprendimento percettivo avvenga esclusivamente nelle aree visive primarie. Hp1: Apprendimento avviene sia in aree precoci dell’elaborazione visiva, sia in aree più avanzate Hp2: Apprendimento percettivo avviene a livelli centrali, ma non viene trasferito in posizioni non allenate a causa di «rumore locale» presente nella posizione non allenata (Mollon e Danilova, 1996) Location training potrebbe agire migliorando la distribuzione dell’attenzione spaziale, che è indipendente dalle caratteristiche dello stimolo, nella posizione allenata Quali sono le condizioni necessarie perché si osservi trasferimento con la procedura di double training? – Che ruolo ha lo stimolo che produce double training? – Che ruolo ha l’attenzione? => Xiao et al. (2008) ipotizzano che il double training consenta il trasferimento perché l’attenzione in posizione 2 mette in collegamento questa posizione con l’unità decisionale, che poi può trasferire il compito appreso in posizione 1 LAVORO DI MASTROPASQUA et al.: “Location transfer of perceptual learning: passive stimulation and double training” Esperimento 1 L’obiettivo è replicare la specificità spaziale del PL in un compito di discriminazione di orientamento di un gabor. → 800 trial per sessione giornaliera Risultati: si conferma la specificità spaziale del PL per quanto riguarda la discriminazione di orientamento. Esperimento 2 => Il lavoro di Xiao et al. (2008) suggeriva che il trasferimento poteva avvenire perché il doppio compito portava l’attenzione nella seconda posizione, mettendola quindi in collegamento con l’unità decisionale. Nel lavoro di Xiao nella seconda posizione non c’era solo l’attenzione ma veniva svolto anche un compito. Si ottiene lo stesso tranfer senza compito ma solo se viene portata l’attenzione? Paradigma: in ogni prova il gabor nella posizione 1 era seguito da un onset nella posizione 2. → L’onset (= in questo caso un anello luminoso) serviva per portare l’attenzione in posizione 2. Risultati: solo l’attenzione nella posizione 2 non basta a favorire il trasferimento del PL dalla posizione 1 alla 2. Esperimento 3 L’obiettivo è verificare/confermare che con un compito nella posizione 2 è possibile indurre trasferimento del PL dalla posizione 1. Inoltre, diversamente da Xiao et al. (2008), in posizione 2 viene usato un compito (discriminazione X vs Y) con uno stimolo completamente diverso da quello usato per il PL in posizione 1. Paradigma • Posizione 1: orientamento gabor • Posizione 2: X oppure Y? Risultati: si osserva completo trasferimento del PL dalla posizione 1 a 2. C’è PL anche nella posizione 2 nel compito X/Y . Esperimento 4 Obiettivo: quanto è importante la quantità di allenamento nella posizione 2 affinchè trasferisca il PL dalla posizione 1? → Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) nella posizione 2 appare solo nel 20% delle prove => Nessun trasferimento! → l'allenamento deve essere di un certo tipo (ci deve essere una stimolazione sufficiente) per poter produrre trasferimento Esperimento 5 Obiettivo: è sufficiente la stimolazione passiva nella posizione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? • → Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) appare ma non è richiesto alcun compito. => Nessun trasferimento! → è necessario eseguire un compito per un certo numero di volte sufficiente a consentire il trasferimento CONCLUSIONI Gli esperimenti di Xiao et al. (2008) e di Mastropasqua et al. (2015) suggeriscono quanto segue: • il trasferimento del PL è possibile solo se nella seconda posizione si porta l’attenzione. • l’attenzione da sola non è sufficiente • sembra sia necessario un compito nella seconda posizione • il secondo compito può riguardare uno stimolo che non ha nulla in comune con quello allenato nella posizione 1, e per il quale si vuole indurre il trasferimento • la quantità di PL nella posizione 2 è critica per indurre il trasferimento del PL dalla posizione 1 Fare il compito alla seconda posizione consente l'attivazione di connessioni tra aree (aree decisionali → di ordine superiore) e quindi il trasferimento. Per ottenere trasferimento si deve eseguire un compito : non basta l'attenzione + il fatto che lo stimolo non debba essere lo stesso. LAVORO DI MASTROPASQUA e TURATTO.: “Perceptual grouping enhances visual plasticity” (2015) → un caso in cui il trasferimento può avvenire senza compito. → il ruolo del raggruppamento percettivo e dell’attenzione. Premesse Il raggruppamento percettivo influenza il modo in cui si distribuisce l’attenzione spaziale. L’attenzione spaziale modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’. Conclusione (ipotesi sperimentale) = Il raggruppamento percettivo modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposurebased’. Esperimento 1 32 partecipanti (4 esclusi dalle analisi) La procedura è quella adottata da Gutnisky et al. (2009) con piccole modifiche – 5 sessioni sperimentali condotte in giorni consecutivi – Ogni sessione prevede una fase di training (esposizione) e poi una fase di test – Eye tracker per il controllo dei movimenti oculari Fase di training: – Perceptual grouping indotto attraverso il principio di similarità (Gestalt) – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi Fase di test: – 900 trial divisi in 3 blocchi consecutivi, ciascuno per ogni posizione – Task: discriminazione di orientazione (same vs. different) Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping. Critica = è stato davvero il perceptual grouping a favorire una prestazione più alta nella posizione grouping rispetto a quella no-grouping? Il miglioramento di prestazione potrebbe essere dovuto ad un trasferimento di learning dalla posizione attesa a quella grouping. → In entrambe le posizioni, il test di discriminazione avviene attorno allo stesso asse di orientazione (60°) → Invece, nella posizione no-grouping il test di discriminazione avviene attorno ad un asse ortogonale (150°) Esperimento 2 38 partecipanti (6 esclusi dalle analisi) Fase di training – Perceptual grouping indotto attraverso il principio della regione comune (Gestalt) – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping. Conclusioni Il raggruppamento percettivo sembra essere un fattore importante nei meccanismi di apprendimento percettivo. Non è chiaro se il perceptual grouping agisca sul perceptual learning direttamente o attraverso l’attenzione. → I dati sembrano suggerire più un’azione diretta. → Sono necessari altri esperimenti per indagare meglio il ruolo del perceptual grouping nel perceptual learning. • Recupero spontaneo della CR = una volta ottenuta l’estinzione di CR se si aspetta un po’ di tempo e poi si ripresenta CS allora riappare CR. L’estinzione dopo il recupero spontaneo è più rapida. Questo fatto suggerisce che durante l’estinzione la relazione CS → US non è stata cancellata. Che cosa causa il condizionamento classico secondo Pavlov? Secondo Pavlov, il condizionamento avviene perché US funziona come un rinforzo del legame associativo con CS. Più CS e US vengono accoppiati, più forte diventa l’associazione tra le loro rappresentazioni, e quindi poi tra CS e UR (o CR). Secondo Pavlov (e molti dopo di lui) il condizionamento è quindi dovuto a un’associazione stimolo – stimolo: CS e US. L’accoppiamento temporale e il ruolo rinforzante di US è tutto quello che serve per produrre l’associazione e quindi il condizionamento. MA ACCOPPIAMENTO E CONTIGUITÀ SONO SUFFICIENTI? Negli anni 60 del secolo scorso alcuni lavori hanno cominciato a mettere in crisi l’idea che la semplice contiguità tra CS e US fosse sufficiente, dimostrando che il meccanismo che consente il condizionamento classico era più complesso. => I lavori di Kamin e quelli di Rescorla. => l'accoppiamento non è sufficiente!! • KAMIN – il fenomeno del BLOCKING Nel 1968 lo psicologo Kamin scopri un fenomeno noto come il fenomeno del blocking. Per prima cosa Kamin condizionò un ratto accoppiando ripetutamente un tono (SC) e una scossa finché il tono da solo non evocasse una forte risposta emotiva condizionata, cioè la paura. Egli continuò poi ad accoppiare il tono con la scossa, accendendo inoltre una luce (SC') ogni volta che il tono veniva emesso. Anche se la luce (SC') e il tono venivano ripetutamente accoppiati, il ratto non mostrava alcun condizionamento alla luce. La luce, da sola, non evocava alcuna RC; il condizionamento alla luce era bloccato, come se il ratto non «vi badasse». Ciò appare perfettamente ragionevole, se si considera il tono come un segnale che permette al ratto di «prevedere» la scossa. Il ratto non ha bisogno di imparare alcunché sulla luce, perché il toro precedentemente condizionato trasmette stessa informazione sulla scossa. => Perché avviene il blocking? Lo stimolo B non produce condizionamento perché l’informazione che fornisce circa la probabilità di comparsa di US è già fornita dallo stimolo A (condizionato precedentemente). Quindi B non aggiunge nessuna nuova informazione al sistema cognitivo in merito a US, e pertanto la sua relazione con US non viene appresa perché irrilevante. La differenza tra il blocking e l’overshadowing è che la mancata risposta allo stimolo B nel blocking è dovuta al precedente condizionamento subito da A, quindi alla sua capacità predittiva. Nell’overshadowing B non viene condizionato perché A è uno stimolo preferenziale per l’animale, non perché A fosse già stato condizionato. • RESCORLA – la CONTINGENZA tra CS e US Nel suo lavoro Rescorla dimostra come la contiguità non sia sufficiente affinché si verifichi il condizionamento. Il fattore cruciale è invece la contingenza, cioè deve esistere una relazione predittiva tra CS e US. Si osserva condizionamento solo quando la probabilità di comparsa di US è maggiore in presenza di CS che in sua assenza. Tradotto formalmente: p(US | CS) > p(US | no-CS) => Aspetti cognitivi nel condizionamento classico Gli esperimenti di Rescorla così come il fenomeno del blocking dimostrano che anche nel condizionamento classico sono in gioco fattori cognitivi. L’organismo (animale o uomo) deve poter crearsi un’aspettativa, quindi una credenza su uno stato del mondo nel formato “se….allora….”. → Nello specifico l’aspettativa riguarda la relazione tra CS e US → Solo in questo caso avviene il condizionamento → Non basta la semplice associazione CONDIZIONAMENTO STRUMENTALE • THORNDIKE – l'apprendimento per prove ed errori I concetti base del condizionamento strumentale/operante furono introdotti grazie al lavoro di Edward Thorndike. Nei suoi esperimenti, per studiare l’apprendimento l’animale (tipicamente un gatto) veniva messo in una gabbia, dal quale era motivato ad uscire per raggiungere la ricompensa: per esempio del cibo. Thorndike misurava quanto tempo impiega il gatto a trovare la soluzione per aprire la gabbia: premere una leva al suo interno. Una volta uscito il gatto ottiene la ricompensa e viene rimesso nella gabbia per un’altra prova. Thorndike scopre che il tempo impiegato dall’animale diminuisce gradualmente con l’aumentare delle prove. Il gatto è motivato a cercare una soluzione per uscire perchè vede del cibo all’esterno e vuole raggiungerlo. Il comportamento è quindi emesso con un obiettivo. → Questo è un aspetto teorico importante che differenzia il lavoro di Thorndike da quello di Skinner. Le azioni sono inizialmente casuali ma guidate dalla motivazione. Alcuni comportamenti non portano a nessuna conseguenza piacevole e quindi non vengono rinforzati. La pressione della leva, all’inizio per puro caso, è invece seguita da un premio: questo aumenta la probabilità che sia ripetuta in seguito. Il meccanismo attraverso cui avviene l’apprendimento è di tipo associativo e riguarda tre termini: stimolo, risposta, conseguenza (Outcome, risultato). Nel caso specifico, dato uno stimolo (la leva), la conseguenza di una risposta (pressione della leva) è una ricompensa, che rinforza l’associazione tra lo stimolo e la risposta, associazione e che viene rinforzata ad ogni ripetizione. Quello che dimostrano gli esperimenti di Thorndike è che l’individuo apprende per mezzo delle conseguenze delle proprie azioni. Thorndike aveva di fatto scoperto il principio di base del condizionamento strumentale o operante studiato poi estesamente da sia da Konorski sia da Skinner. → L’apprendimento avviene in base a rinforzi e punizioni. Il fatto che l’animale impari dalle conseguenze delle proprie azioni non implica necessariamente che esso “creda” che ad una sua risposta segua una certa conseguenza o risultato (outcome). Semplicemente il premio (o la punizione) agiscono sull’associazione tra le due rappresentazioni attive, quella dello stimolo e quella della risposta, rinforzando il legame. • SKINNER – il comportamentismo radicale L’approccio di Skinner allo studio del comportamento, e all’apprendimento come modifica dello stesso, è chiamato COMPORTAMENTISMO RADICALE. → radicale perché non viene riconosciuto a processi mentali un ruolo causale nel comportamento L’assunto centrale di questa prospettiva è che il comportamento è determinato da vincoli genetici e biologici, ma soprattutto dall’interazione dell’organismo con l’ambiente. Skinner ritiene che le cause del comportamento non risiedano in pensieri, emozioni, stati di coscienza,.. => Non nega che esitano questi stati mentali, ma ritiene però che non siano le cause del comportamento Secondo Skinner per spiegare il comportamento si fa appello a queste cause “interne” semplicemente perché non si è in grado di scoprire le vere cause “esterne” del comportamento. => Accetta però il concetto di motivazione indotto dallo stato fisiologico come spinta iniziale ad agire, e come condizione per dare valore al rinforzo (p.e. il cibo). Infatti mantiene i suoi animali al 75% del proprio peso corporeo… Il comportamento è invece determinato dalla storia o schema di rinforzi/punizioni che l’organismo riceve dall’ambiente. Riprende quindi l’idea di Thorndike della legge dell’effetto. Skinner riteneva che qualsiasi comportamento potesse essere riconducibile a due classi: • comportamento rispondente, spiegato dai riflessi e dai principi del condizionamento classico (Pavlov). • comportamento operante, spiegato dalla risposta che l’organismo riceve dall’ambiente in conseguenza delle proprie azioni (Thorndike). Nel condizionamento classico US viene presentato a prescindere da quello che l’animale sta facendo. Nel condizionamento operante US o reward viene presentato solo se l’animale esegue une certa risposta. => La risposta è di solito emessa solo in presenza di uno stimolo (discriminativo). Concetti fondamentali del condizionamento operante: – operante= ogni risposta emessa dall’organismo che produce un effetto sull’ambiente circostante, cioè “opera” sull’ambiente. La pressione della leva (operante) porta alla comparsa del cibo (risposta ambientale). – rinforzo (reinforcer) = ogni evento ambientale che seguendo un certo comportamento alteri la probabilità che questo sia nuovamente prodotto. Esistono due principali classi di eventi ambientali che modificano il comportamento: i rinforzi e le punizioni. Sia i rinforzi sia le punizioni possono essere suddivisi in positivi e negativi: • rinforzo positivo: viene dato uno stimolo appetibile • rinforzo negativo: viene tolto uno stimolo avversivo • punizione positiva: viene dato uno stimolo avversivo • punizione negativa: viene tolto uno stimolo appetibile La distinzione fra rinforzo primario e secondario fa riferimento ai tipi di bisogni cui i rinforzi si riferiscono (fame, sete, piuttosto che denaro). Rinforzi di tipo primario: cibo, acqua, dolore etc. I rinforzi di tipo secondario, noti anche come rinforzi condizionati, vengono appresi con l’esperienza. => Non soddisfano direttamente bisogni primari, ma agiscono consentendo di ottenere i rinforzi primari (con il denaro compro il cibo), oppure soddisfano altre forme di gratificazione tipiche dell’essere umano, come ad esempio il bisogno di empatia e di attenzione. Si spiegano così gli effetti di lodi, sorrisi, incoraggiamenti e vari tipi di riconoscimenti sociali, tutti eventi che sono emessi al fine di controllare il comportamento di chi li riceve. Affinché un certo comportamento si modifichi, e quindi si abbia apprendimento, è importante definire quando premi e punizioni debbano essere somministrati, cioè degli SCHEMI DI RAFFORZAMENTO. Esistono tre schemi di rafforzamento: schema di rafforzamento continuo = il rinforzo viene dato ogni qual volta l’animale emette la risposta che si vuole modificare. schema di rafforzamento ad intervallo = il rinforzo viene dato dopo che un certo tempo è passato dall’ultimo rinforzo, a patto che l’animale emetta la risposta. L’intervallo può essere fisso (per esempio dopo 1 minuto dall’ultimo rinforzo), oppure variabile. - Nello schema ad intervallo fisso il rinforzo viene dato ad intervalli di tempo prefissati (per esempio ogni 30 secondi), indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi - Nello schema ad intervallo variabile il rinforzo viene dato ad intervalli di tempo variabili e non predicibili, indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi. schema di rafforzamento a rapporto - fisso = il rinforzo viene dato dopo un numero prefissato di risposte, a prescindere da quanto tempo è passato dall’ultimo rinforzo. - variabile = il rinforzo viene dato dopo un numero di risposte variabile. PAVLOVIAN INSTRUMENTAL TRANSFER (PIT) Abbiamo trattato sinora il condizionamento Pavloviano e Strumentale come due procedure distinte. In realtà le due procedure possono anche essere combinate per produrre il PIT, un fenomeno interessante che può avere implicazioni importanti per lo studio e la comprensione delle dipendenze. Nel paradigma PIT classico sono previste 3 fasi sperimentali • FASE 1: un condizionamento pavloviano • FASE 2: un condizionamento strumentale • FASE 3: una fase di estinzione in cui i due paradigmi vengono combinati In alcune versioni la fase 1 e 2 possono essere invertite. L’animale è più propenso a lavorare per ottenere il reward (US) se è presente CS rispetto a quando CS è assente. Si noti però che CS non era stato mai presentato durante la fase di condizionamento strumentale (pressione leva). Quindi perché influenza il comportamento? Non esiste una spiegazione univoca del PIT! → Una possibilità è che il CS acquisisca un potere motivazionale (si veda dopo la teoria degli incentivi) che spinge l’animale a lavorare di più per il reward in sua presenza. → Altra possibilità è che il CS renda più saliente la rappresentazione del reward (US) nella mente dell’animale, e che questo aumenti la disponibilità a lavorare per ottenerlo. omissione. L’autoshaping si verifica anche se US (il reward) viene omesso ogni volta che l’animale agisce su CS (per esempio beccando la luce). => Nonostante l’azione su CS comporti l’omissione del reward, l’animale non riesce a smettere di agire su CS. Questo esclude la spiegazione secondo cui l’autoshaping si verifica perché US ha rinforzato l’azione su CS. Non tutti gli individui mostrano autoshaping, e quelli che lo mostrano sono definiti sign tracker (ricercatore disegni, ovvero della ricompensa) = ad un certo punto sono più interessati al CS che a US. Quelli che continuano a mostrare interesse per il reward (US) sono detti goal tracker. Le cause che portano un animale a diventare un sign tracker piuttosto che un goal tracker non sono chiare, ma è possibile siano coinvolte differenze genetiche. Ciò ci fa riflettere... → All'interno della popolazione ci sono individui i quali sono supersensibili a stimoli ambientali che non rappresentano una ricompensa ma che spingono l'individuo ad agire come se questi stimoli ambientali fossero essi stessi la ricompensa. → questi stimoli ambientali si sostituiscono alla ricompensa!! → Ecco perché gli individui che hanno sviluppato una dipendenza hanno difficoltà ad evitare quelli stimoli ambientali che si sono sostituiti al reward! Sebbene non esista una spiegazione univoca del autoshaping, si ipotizza che il CS acquisisca una salienza o valore motivazionale spropositato tanto da innescare comportamenti consumatori compulsivi (come quelli presenti nella dipendenza). Questa interpretazione è coerente con la presenza dell’autoshaping anche nella procedura di omissione. Alla luce degli effetti osservati nei suoi esperimenti, Bolles (1972) propone che l’azione del reward non riguardi principalmente rinforzare la relazione tra S e R o tra S e S. Il reward porterebbe l’animale ad imparare che esiste uno stimolo (CS) che anticipa l’arrivo di un altro stimolo (il reward stesso) con proprietà edoniche e motivazionali.Rispetto a Pavlov enfatizza il fatto che il CS genera un’aspettativa di tipo edonica e motivazionale circa l’arrivo del reward. Lo stimolo stesso diviene un motivatore!! La teoria degli incentivi motivazionali viene ulteriormente sviluppata da Bindra (1978). Secondo Bindra l’apprendimento della relazione CS-Reward riguarda il fatto che CS acquisisce le stesse proprietà edoniche e motivazionali del reward. CS evoca nell’animale lo stesso stato motivazionale evocato dal reward. Questo spiega perché, nell’autoshaping, l’animale tenti di consumare CS, come farebbe con il reward. CS diventa un incentivo ad agire, così come lo è il reward (prima di esser consumato!). Dopo una disintossicazione, spesso capita una ricaduta, perché? La teoria degli incentivi motivazionali potrebbe spiegare questo fenomeno!! => “Once addicted always addicted” L'autoshaping è un tipo di apprendimento. Le sostanze stupefacenti stravolgono i circuiti neurali della motivazione! Teoria degli incentivi motivazionali Attraverso meccanismi di tipo Pavloviano le caratteristiche incentivanti del reward vengono acquisite dal CS. Il CS è percepito come se fosse un reward. • TOATES (1986) E LA TEORIA DEGLI INCENTIVI Toates sottolinea il fatto che i reward edonici sono l’oggetto della nostra motivazione. Il reward edonico è quindi uno stimolo incentivante che produce sensazioni piacevoli quando ottenuto. → Un buon cibo, una bibita rinfrescante, un partner sessuale attraente, etc Toates nota che il valore edonico degli incentivi non è assoluto, ma dipende dallo stato motivazionale. → Quanto ci può piacere un cibo dipende dal fatto che siamo affamati o meno, cioè dallo stato motivazionale. Se abbiamo fame un panino sembra buonissimo. Se abbiamo appena pranzato un panino può essere nauseante. => Cabanac (1979) infatti aveva dimostrato che i soggetti umani giudicano la stessa soluzione zuccherina più o meno buona a seconda del livello di fame. Toates aggiunge un aspetto importante alla teoria originariamente sviluppata da Bolles e Bindra. Se le pulsioni o motivazioni aumentano il potere incentivante del reward, allo stesso moto il reward può aumentare il livello di motivazione. → Ecco perché assaggiare una patatina può portare a mangiare tutto il pacchetto, anche se non avevamo fame. L’influenza tra stato motivazionale e reward è bidirezionale. => La motivazione può potenziare il valore edonico del reward (se ho fame le cose mi sembrano più buone), ma il reward, funzionando come incentivo, può potenziare il livello di motivazione (uno snack mi motiva a mangiarne altri). Abbiamo visto che i CS possono assumere le proprietà di un reward. Quindi, anche un CS può essere in grado di funzionare come incentivo che genera una motivazione. CS => MOTIVAZIONE → I simboli pubblicitari funzionano in questo modo: sono dei CS che innescano un desiderio per il reward. ESPERIMENTO DI WEINGARTEN (1983) => quando un CS innesca un desiderio e la motivazione Weingarten nota che normalmente si ritiene che un organismo cerchi il cibo quando ha fame, cioè è in uno stato di deficienza nutrizionale. → Simile alla teoria drive-reduction di Hull Alcune teorie (Toates, Bindra) suggeriscono però che non sia solo la fame a motivare l’animale a mangiare, ma anche alcuni stimoli esterni associati al cibo. Weingarten vuole quindi testare questa ipotesi, cioè che dei CS possano controllare quando e se l’animale cerca e consuma il cibo, a prescindere dallo stato di fame. – Prima fase (11 giorni) di condizionamento Pavloviano: CS+ (suono) precede rilascio del latte (US) in una ciotola – Seconda fase di test (21 giorni): il ratto ha pieno accesso al cibo tramite un dispenser durante tutto il giorno, ma una volta al giorno viene presentato anche il CS+ e rilasciato altro latte nella ciotola. I risultati mostrano che pur essendo sazio il ratto consuma il cibo rilasciato nella ciotola quando è preceduto dal CS+. Conduce poi un secondo esperimento simile al primo, ma nella fase di test ci sono giorni in cui il CS+ è presente e giorni in cui è assente. La quantità di latte assunto è simile nei due giorni, ma nei giorni in cui è presente il CS+ il 20% del latte viene assunto dalla ciotola dopo che è apparso il CS+. Il ratto quindi compensa la quantità di cibo ingerito in funzione di quella assunta tramite l’incentivo CS. → I ratti assumono la stessa quantità di cibo nei giorni con CS e senza. Il CS è responsabile dell’assunzione del 20% del cibo. I risultati del lavoro di Weingarten dimostrano in modo convincente che la motivazione ad assumere cibo non è determinata solo dalla fame, ma anche da stimoli ambientali (incentivi) che hanno acquisito un loro valore motivazionale attraverso un condizionamento Pavloviano. LA TEORIA DEGLI INCENTIVI - CONCLUSIONI • Il ruolo principale del reward non è quello di rinforzare una risposta ma di promuoverla. • Il reward è quindi un incentivo all’azione. • Il livello di motivazione modula il potere edonico del reward. • Il reward però può alterare il livello di motivazione. • Stimoli condizionati (CS) possono assumere le stesse proprietà del reward, innescando un desiderio (motivazione) per il reward. • Reward, Incentivi e Rinforzi: RIASSUNTO Il reward è un oggetto che ha un valore edonico positivo per un organismo. – Il reward può essere primario (cibo) o condizionato (soldi) attraverso meccanismi pavloviani. – Il reward può essere inteso sia come incentivo sia come rinforzo. L’incentivo è un oggetto che genera un desiderio o motivazione nell’animale. – L’incentivo può essere primario o condizionato. Il rinforzo è un oggetto che aumenta la probabilità che l’animale emetta una risposta. – Il rinforzo può essere primario o condizionato. • Incentivi, reward, pulsioni e motivazione Possiamo concludere che la motivazione può essere innescata da tre fattori: 1. Lo stato fisiologico quando non in equilibrio genera una pulsione (per esempio la fame o la sete). → Ho fame e cerco il cibo. 2. Gli incentivi e gli incentivi condizionati, che possono agire in modo indipendente dallo stato fisiologico. → La vista di un dolce scatena il desiderio di mangiarlo. → La vista dell’insegna PIZZA fa venire voglia di pizza. 3. Un reward che produce uno stato edonico. → Assaggiare un pezzo di pizza fa venir voglia di mangiarne di più. • I DUE MODELLI A CONFRONTO Un animale, quando era assetato, ha appreso due rotte diverse per raggiungere due diverse sorgenti di acqua, una con molto sale e una povera di sale. Se l’animale ora si trova senza sali minerali, è in grado di scegliere la rotta appropriata verso la pozza salata? => Se le sue azioni sono controllate da un meccanismo S-R la rotta presa sarà determinata solo dagli stimoli ambientali. => Se opera secondo il modello teleologico saprà invece quali sono le conseguenze delle sue azioni, e quindi saprà cosa aspettarsi da una rotta rispetto all’altra. L’animale ha appreso due diverse rotte per raggiungere la stessa pozza d’acqua. Successivamente arrivando alla pozza dalla rotta A scopre che l’acqua è ora inquinata. Il sistema teleologico consente quindi una grande flessibilità nel controllo del comportamento e nell’interazione con l’ambiente. Non è solo l’ambiente che controlla il comportamento (S-R), ma sono le motivazioni e le conoscenze circa le conseguenze delle proprie azioni a determinare come l’animale agisce nell’ambiente. Flessibilità del modello teleologico => quando lo stato motivazionale cambia Gli umani sono capaci di comportamenti teleologici. Per esempio possiamo decidere di non mangiare il nostro dolce preferito se scopriamo di avere la glicemia alta. Sapere se gli animali sono capaci di azioni e non di risposte è cruciale per due motivi: – per poter usare i modelli animali per lo studio della dipendenza anche nell’essere umano; – per capire il ruolo di motivazioni, azioni e abitudini nella dipendenza. Criteri per definire il condizionamento strumentale un’azione e non una risposta. L’animale deve possedere una rappresentazione della relazione causale tra la sua azione e la comparsa del reward. Deve “sapere” che agendo in quel modo otterrà il reward. L’animale deve possedere una rappresentazione del valore motivazionale del reward. Deve “desiderare” quel reward perché soddisfa un suo bisogno. Come possiamo capire se l’animale sa che agendo in un certo modo otterrà il reward? Il problema è che non possiamo interrogare verbalmente l’animale. La soluzione al problema è stata proposta da Adams & Dickinson (1981) attraverso il paradigma di svalutazione del rinforzo. • LAVORO DI ADAMS E DICKINSON: “Instrumental responding following reinforcer devaluation” Adams e Dickinson utilizzano il paradigma di svalutazione del rinforzo. La pressione della leva è un gesto automatico (risposta) alla presenza della leva (stimolo) che è stato rinforzato, oppure è un’azione dettata dalla conoscenza della relazione causale tra pressione leva e arrivo del reward? L’esperimento è diviso in 4 fasi e coinvolge 2 gruppi di ratti (Paired e Unpaired): La logica sottostante al paradigma di svalutazione del rinforzo: → se nel condizionamento strumentale esiste una rappresentazione della relazione A→O, allora non c’è ragione per emettere un’azione se porta ad ottenere un outcome spiacevole. → se invece si tratta di una mera relazione S→R, la risposta evocata dallo stimolo è indipendente dal fatto che il rinforzo sia stato svalutato dopo l’apprendimento. Nella fase 2 il cibo diventa un CS predittore di uno stato di malessere. Diventa quindi un CS avversivo e non desiderato. Risultati I ratti del gruppo P (reward svalutato) non sono interessati a premere la leva per ottenere un alimento che è diventato un CS avversivo. Questo è evidente sia in fase di estinzione sia in fase di riacquisizione del learning. Si noti che l’animale non ha mai avuto occasione di associare la pressione della leva con il malessere causato dalla iniziezione di LiCl. Conclusioni I risultati suggeriscono che i ratti sanno che premendo la leva arriverà un certo reward. Infatti, quando in un secondo momento questo reward viene reso indesiderabile, i ratti riducono molto la pressione della leva. Questo significa che posseggono una rappresentazione che associa tra loro stimolo (la leva) risposta (pressione della leva) e conseguenze dell’azione (arrivo di un certo outcome). => esiste una rappresentazione della contingenza tra azione e outcome!! • DALLE AZIONI ALLE ABITUDINI E IL RUOLO DELLA PRATICA Quindi anche un semplice ratto è in grado di mostrare un comportamento strumentale guidato in modo teleologico. Tuttavia nemmeno per gli esseri umani si può sostenere che tutti i comportamenti siano vere azioni. => Anche noi mostriamo comportamenti stereotipati del tipo S-R. In alcuni casi è addirittura necessario che ci siano tali gesti automatici, come quando impariamo a guidare l’auto in modo efficiente. Nella letteratura sull’essere umano si distingue tra processi controllati e automatici. E’ stato ipotizzato che nel condizionamento strumentale il passaggio da un comportamento controllato di tipo teleologico ad uno automatico regolato dalle abitudini avvenga attraverso una pratica estesa. La ripetizione di un’azione può trasformarla in una risposta. Scoprire se la pratica può trasformare un comportamento guidato da conoscenze e aspettative, in uno automatico o abitudinario che è indipendente dal valore del rinforzo, è potenzialmente importante per spiegare in parte la dipendenza. Quando un’azione diventa un’abitudine quest’ultima potrebbe essere meno sensibile al valore dell’obiettivo o rinforzo che la segue. L’abitudine rende quindi insensibili al reward? Un lavoro di Adams (1982) tenta di dare una risposta a questa domanda. • LAVORO DI ADAMS: “Variations in the sensitivity of instrumental responding to reinforcer devaluation” L’esperimento è diviso in 3 fasi e coinvolge 4 gruppi di ratti: – Un gruppo che esegue poco training (100 prove). Sottogruppo con svalutazione (Devalued) e sottogruppo senza svalutazione (NoDevalued) del reward. – Un gruppo che esegue molto training (500 prove). Sottogruppo con svalutazione (D) e sottogruppo senza svalutazione (N) del reward. – Prima fase di training (condiz strumentale), poi fase di condizionamento avversivo, e poi test in estinzione. Risultati Per il gruppo 500 che ha fatto molto training, cioè ha automatizzato la risposta, la svalutazione del reward non ha effetto. Questi ratti lavorano per il reward indipendentemente dal fatto che sia stato svalutato o meno. Per il gruppo 100 che ha fatto poco training, e per il quale l’azione è guidata dal valore del reward, la svalutazione del reward è cruciale. Questi ratti lavorano solo se il reward non è stato svalutato. Conclusioni I risultati supportano l’ipotesi che con la pratica un’azione che è guidata dagli obiettivi, e quindi sensibile al valore della ricompensa (un comportamento razionale), può trasformarsi in una semplice risposta elicitata dallo stimolo, che poi si trasforma in un’abitudine. I comportamenti abitudinari non sono più azioni razionali, perché vengono eseguiti anche quando portano a risultati non auspicati o desiderati. • L'APPRENDIMENTO AZIONE-OUTCOME Si parla di apprendimento Azione-Outcome quando l’azione è eseguita con l’intenzione di ottenere un certo risultato (outcome) L’azione è sensibile alla svalutazione dell’outcome: – l’animale che aveva appreso a premere la leva per il cibo smette di premerla se il cibo è accoppiato con una sensazione spiacevole (svalutazione del reward); – oppure se l’animale è sfamato (il cibo perde interesse). • L'APPRENDIMENTO STIMOLO-RISPOSTA (abitudine) Si parla di apprendimento Stimolo-Risposta, quando il comportamento dipende dall’esposizione ad un certo stimolo e viene rinforzato da un reward. L’animale non esegue il comportamento con l’intenzione di ottenere il reward, ma è quest’ultimo che ha rinforzato la nascita di una abitudine. La risposta è poco sensibile alla svalutazione dell’outcome. • AZIONI. ABITUDINI E DIPENDENZA Il comportamento degli animali, e dell’uomo, può essere classificato come azione o abitudine. Le azioni sono sensibile al valore del rinforzo che segue, le abitudini molto meno E’ stato proposto che l’uso compulsivo di droghe può in parte essere dovuto al fatto che questo comportamento diventa un’abitudine (Tiffany, 1990). Questa posizione è stata però anche soggetta a critiche. Una possibilità è che le droghe agiscano come rinforzi che favoriscono il passaggio da un’azione ad una abitudine, favorendo l’uso compulsivo delle stesse. Un punto chiave della teoria dei processi opponenti è che la DA è ritenuta essere il neurotrasmettitore del piacere (Wise, 1985). Si veda ultima lezione sulle basi neurali. → ciò non è corretto. Il sistema dopaminergico è “il sistema del volere”. La dis-regolazione del sistema del piacere porta ad assuefazione al piacere della dose e a sensibilizzazione nella risposta di compensazione inibitoria della DA con aumento del malessere. Sintomi dolorosi dell’astinenza. Dal punto di vista cognitivo la teoria chiama in causa meccanismi di condizionamento strumentale. L’assunzione della droga sarebbe regolata da: – meccanismo di rinforzo positivo = è predominante all’inizio dell’uso della droga, la quale agisce come rinforzo positivo producendo una sensazione piacevole dopo l’uso e quindi rinforzandolo; – meccanismo di rinforzo negativo = entra in gioco con l’uso prolungato, quando diventano dominanti i sintomi spiacevoli dell’astinenza. In questo caso la droga agisce come rinforzo negativo eliminando la condizione spiacevole. La spiegazione che invoca i due meccanismi di rinforzo, positivo e negativo, è intuitiva e coerente con il senso comune: ci si droga per piacere e poi si continua per evitare i sintomi spiacevoli dell’astinenza. Questa spiegazione presenta tuttavia alcuni problemi… • SPIEGAZIONE DEL RINFORZO NEGATIVO – EVIDENZE CRITICHE Gli psicostimolanti, come anfetamine o derivati, e gli allucinogeni (LSD), generano una forte dipendenza psicologica (desiderio della droga) a fronte di scarsi sintomi fisici da astinenza. Il forte desiderio di droga non dipende dal fatto che si stia particolarmente male senza. D'altra parte vi sono farmaci che possono produrre forti sintomi da astinenza, come gli antidepressivi, non generano dipendenza e uso compulsivo. Evidenza critica principale: Le ricadute sono frequenti anche dopo che i sintomi da astinenza sono terminati da molto tempo. Quindi il meccanismo di rinforzo negativo non pare in grado di spiegare il bisogno di drogarsi quando la condizione spiacevole causata dall’astinenza è finita. LAVORO DI STEWART E WISE (1992): “Reinstatement of heroin self-administration habits: morphine prompts and naltrexone discourages renewed responding after extinction” Stewart & Wise (1992) discutono la possibilità che nella dipendenza la droga sia assunta per eliminare i sintomi da astinenza. Secondo la teoria dell’omeostasi edonica il meccanismo del rinforzo negativo è molto potente perché agirebbe curando i sintomi. Stewart & Wise (1992) ipotesi: se è vero che la dipendenza è mantenuta attraverso un meccanismo di rinforzo negativo, allora sostanze che inducono sintomi di astinenza dovrebbero essere in grado di promuovere l’uso della droga. L’esperimento comprende 3 fasi: allenamento, estinzione, riacquisizione. Nell’allenamento (condizionamento strumentale) gli animali imparano a autosomministrarsi dell’eroina In estinzione viene tolta la droga. Prima della riacquisizione vengono iniettate 3 diverse sostanze: – soluzione salina – eroina (basso dosaggio) – naltrexone: antagonista dell’eroina che si lega fortemente ai recettori degli oppiacei producendo sintomi di astinenza Risultati La sostanza che più spinge il ratto a ricominciare a drogarsi è l’eroina non il Naltrexone. Conclusioni Contrariamente a quanto predetto dalla teoria degli processi opponenti non sembrano essere i sintomi di astinenza che motivano l’uso continuativo della droga. Questi risultati sono un grosso problema per la spiegazione basata sul meccanismo di rinforzo negativo. Eliminare i sintomi di astinenza non è la ragione principale nel mantenimento della dipendenza e nelle ricadute dopo fine astinenza. Un risultato importante è il fatto che l’iniezione priming era basata su una piccola dose di eroina, che però ha favorito la ripresa dell’uso di eroina. Questo indica che è illusorio e pericoloso, per un individuo disintossicato, pensare di poter controllare l’assunzione della droga con bassi dosaggi senza diventarne ancora dipendente. Dopo la disintossicazione anche una sola piccola dose di droga, o una sigaretta, o un bicchiere di alcol, può reinnescare la dipendenza. In realtà come vedremo basta molto meno… • SPIEGAZIONE DEL RINFORZO POSITIVO – EVIDENZE CRITICHE Quando si considera una possibile spiegazione del perché le droghe producono dipendenza bisogna evitare un argomento circolare del tipo: “Le persone assumo droga perché la droga è un rinforzo positivo”. L’argomento è chiaramente tautologico, perché equivale a dire: “Le persone assumo droga perché la droga promuove l’assunzione della droga”. Spiegare la dipendenza dicendo che la droga è un forte rinforzo è solo una ri-descrizione del risultato, non una spiegazione dello stesso. La spiegazione che deve esser data è “perché” la droga è un rinforzo positivo. Tipicamente la spiegazione che viene data è che la droga è un rinforzo positivo perché induce uno stato edonico (piacere/euforia). Quindi la persona per riprovare lo stato di piacere continua ad assumere la droga. Ci sono tuttavia una serie di problemi legati alla spiegazione dell’effetto edonico (euforia/piacere). 1. Se consideriamo la quantità di problemi che la dipendenza comporta, come distruzione relazioni affettive, perdita lavoro, disgregazione familiare, problemi economici e di salute, etc., è difficile credere che la dipendenza (ricerca compulsiva della droga) sia motivata dal raggiungimento di un breve stato di benessere. 2. Ci sono droghe, ad esempio la nicotina, la cui assunzione non produce un grande stato di piacere/euforia, ma che sono in grado di produrre notevole dipendenza. 3. Alcune ricerche dimostrano che c’è una scarsa correlazione tra lo stato soggettivo edonico e l’assunzione di droga. Lo stato edonico tipicamente diminuisce con l’uso prolungato, mentre il bisogno o desiderio di droga aumenta. Quindi il desiderio di droga dovrebbe esser maggiore all’inizio, quando il piacere è maggiore, e non dopo un uso prolungato quando il piacere diminuisce. 4. Lamb et al. (1991) hanno dimostrato che le persone sono disposte a lavorare per dosi di morfina così basse che non producono effetti piacevoli. LAVORO DI LAMB ET AL. (1991): “The reinforcing and subjective effects of morphine in post-addicts: a dose- response study” Nello studio sono stati coinvolti 5 tossicodipendenti da eroina. In ogni sessione i soggetti ricevano 6 iniezioni, 4 di morfina e 2 di placebo. I soggetti non sapevano quale iniezione veniva loro fatta. Una sessione ogni giorno per 5 giorni (Lun-Ven). Per ottenere l’iniezione doveva essere premuto per 1000 volte un pulsante, altrimenti l’iniezione veniva fatta comunque dopo 45 minuti. Alla fine della sessione, usando varie scale, i soggetti riportavano la loro esperienza dopo l’iniezione. Risultati La droga mantiene un elevato rate di risposta in ogni sessione giornaliera. Il placebo invece porta all’estinzione della risposta. La droga rinforza la risposta emessa per ottenerla, ma i soggetti non riportano alcun effetto piacevole dopo l’assunzione (esclusa la dose da 30mg). Conclusioni Alla luce dei loro risultati Lamb e collaboratori conclusero che: “These resuts indicate that there can be a significant dissociation of the reinforcing and the subjective effects of opioids, which has implications for theories of opiod abuse, particularly those assuming that the reinforcing effects are causally related to the euphoric effects of opioids” Come vedremo questa dissociazione è centrale nella teoria della Salienza Motivazionale.. Il lavoro di Lamb et al. (1991), così come quello di analogo di Fischman & Foltin (1992), è importante per stabilire che nella dipendenza il desiderio all’uso della droga (“wanting”) non è sempre attribuibile al piacere (“liking”) che ne deriva. Se normalmente pensiamo di desiderare quello che ci piace, nella dipendenza il piacere non è necessariamente la causa del desiderio di droga. • CONCLUSIONI Sebbene il piacere collegato all’uso della droga, così come i sintomi di astinenza che emergono alla sospensione della stessa, possono essere fattori implicati nell’uso e abuso della droga, molte evidenze critiche suggeriscono che potrebbero non avere un ruolo cruciale nello sviluppo e mantenimento della dipendenza. EVIDENZE CRITICHE DI UN RUOLO DELL'ABITUDINE Robinson e Berridge (2003) discutono varie ragioni per cui la dipendenza non si basa su un meccanismo SR: 1) Assumere che un’abitudine equivalga a un automatismo obbligatorio è sbagliato. Un’abitudine, per quanto forte, non implica una compulsione. Ci sono molti esempi di comportamenti automatici o abitudinari che mettiamo in atto quotidianamente ma che non sono compulsioni: guidare l’auto, lavarsi i denti, leggere, allacciare le scarpe… 2) Nessuno sacrificherebbe la sua vita, le sue relazioni affettive, i suoi guadagni, la sua salute per un’abitudine, mentre questo avviene nella dipendenza. 3) Il comportamento di un drogato quando deve cercare e procacciarsi la droga non è necessariamente così stereotipato come nel caso di una risposta automatica quale potrebbe diventare quella di un ratto che in laboratorio preme una leva per una iniezione di eroina. Spesso la ricerca della droga richiede di coordinare attività complesse, come rubare o elemosinare soldi, vendere dei beni, cercare uno spacciatore, etc. Queste attività richiedono una pianificazione e quindi un sistema flessibile. Non possono essere sostenute da una abitudine. APPRENDIMENTO ANOMALO IMPLICITO: S-S Un’altra possibilità è che la dipendenza si basi su di un meccanismo di condizionamento Pavloviano, per cui alcuni CS ambientali attivano la rappresentazione della droga (US) e delle relative sensazioni edoniche (CR). Una volta che il CS ha attivato le reazioni tipiche prodotte da US, nel soggetto nasce il desiderio di renderli reali. Mette quindi in atto dei comportamenti per riprovare (edonia) o evitare (sintomi da astinenza) quelle sensazioni. => Evidenze da studi sugli animali, il lavoro di Ciccocioppo et al. (2001). Obiettivo: verificare se uno stimolo condizionato può attivare il desiderio di droga anche dopo astinenza. LAVORO DI CICCOCIOPPO: “Cocaine-predictive stimulus induces drug-seeking behavior and neural activation in limbic brain regions after multiple months of abstinence: reversal by D1 antagonists” Allenano dei ratti a premere una leva per ottenere cocaina. → Se assieme alla leva è presente un CS rosso allora la pressione porta ad una iniezione di Cocaina. → Se è presente un CS verde la pressione porta ad una iniezione di soluzione salina (placebo). Dopo estinzione, quindi dopo disintossicazione, verificano la forza del CS nel promuovere il desiderio di cocaina. Viene valutato come disponibilità alla pressione della leva. Risultati Durante la fase di Self Administration (SA) il ratto preferisce rispondere premendo la leva quando questo porta alla droga rispetto che al placebo. Questa preferenza è successivamente innescata anche dalla presenza del CS+, anche se la droga non viene somministrata. Anche dopo 4 mesi la presenza del CS+ porta il ratto a lavorare per cercare l’iniezione della droga. Conclusioni Stimoli presenti durante la fase di somministrazione della droga funzionano come potenti promotori del comportamento di ricerca della droga quando vengono incontrati, anche dopo molti mesi di disintossicazione. Importanti implicazioni per la dipendenza: – è facile ricadere nell’uso di droga anche dopo disintossicazione se si è esposti a stimoli (frequentazione di luoghi/oggetti o persone) presenti quando ci si drogava. – questi stimoli funzionano come CS che attivano il desiderio della droga attraverso un meccanismo Pavloviano Attenzione: secondo questa teoria il desiderio nasce dall’attivazione del ricordo delle sensazioni piacevoli (spiacevoli). Quindi secondo questa prospettiva il CS attiva il desiderio della droga non direttamente ma tramite l'aspetto edonico. La teoria della salienza motivazionale invece esclude questo aspetto edonico come causa e si concentra solo sul desiderio. • APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO E DROGA: la modulazione della sensibilizzazione Alcuni studi hanno dimostrato un ruolo dei processi di apprendimento associativo nella sensibilizzazione agli psicostimolanti (p.e. cocaina, anfetamine) Abbiamo già visto che la droga può dar luogo ad un processo di adattamento neurale che è noto come tolleranza o assuefazione. In cosa consiste la sensibilizzazione? La sensibilizzazione si riferisce al processo opposto, e quindi al fatto che la ripetuta somministrazione di droga può portare all’aumento di alcuni effetti della droga Questo avviene perché alcuni neuroni cambiano le loro sinapsi a causa della somministrazione della droga, che quindi induce plasticità neurale nel sistema. STUDIO DI ANAGNOSTARAS E ROBINSON (1996): “Sensitization to the psychometric stimulant effects of amphetamine: modulation by associative learning” Gli autori voglio studiare se gli effetti di sensibilizzazione prodotti dalla cocaina dipendono dall’ambiente nel quale viene assunta la droga. In altre parole se gli effetti sensibilizzanti della droga sulla locomozione sono contesto dipendenti. Importante per capire quando gli stimoli ambientali possano modulare gli effetti della droga. Una prima fase di trattamento e una seconda di test: in entrambe le fasi i ratti vengono messi in un rotatore per misurare la loro attività motoria. Sono usati 3 gruppi di ratti: • ratti che dalla gabbia (H=home) vengono portati nel rotatore (R) e qui ricevono una iniezione salina (R-H-) • ratti che dalla gabbia vengono portati nel rotatore e qui ricevono una iniezione di cocaina (R+H-). • ratti che dalla gabbia vengono portati nel rotatore. Poi quando sono riportati in gabbia ricevono iniezione di cocaina (R-H+). Nella fase di test i ratti ricevono nel rotore una iniezione di cocaina prima di iniziare il test. Risultati 1) la somministrazione ripetuta (ogni giorno per 10 giorni) della cocaina provoca un effetto di sensibilizzazione: la stessa dose ogni volta che viene somministrata fa aumentare la risposta psicomotoria dell’animale. 2) l’effetto di sensibilizzazione si dimostra essere dipendente dal contesto. La sensibilizzazione si osserva solo quando l’animale assume la droga nello stesso contesto (ambiente) nel quale avevano avuto luogo le iniezioni precedenti. => Si noti che i gruppi R+H- e R-H+ hanno ricevuto entrambi le stesse iniziezioni di droga durante il training. Ma in fase test l’iniezione nel rotore ha un effetto stimolante più forte solo nei ratti (R+H-) che avevamo ricevuto le precedenti iniezioni nello stesso contesto, il rotore. Conclusioni Lo studio di Anagnostaras & Robinson (1996) dimostra anche che gli effetti della droga (nello specifico quelli di sensibilizzazione) sono soggetti ad apprendimenti di tipo associativo. Nello specifico un apprendimento come la sensibilizzazione, tipicamente considerato di tipo non associativo, è invece modulato dal contesto, con ovvie implicazioni per la dipendenza. Questo spiega perché le ricadute sono spesso favorite dalla presenza di certi stimoli ambientali o contesti. • APPRENDIMENTO ANOMALO: il desiderio indotto L’assunzione centrale della teoria dell’apprendimento anomalo è che attraverso meccanismi di apprendimento associativo come il condizionamento Pavloviano alcuni stimoli (CS) attivino il desiderio della droga (US) attivando il ricordo delle sensazioni edoniche (CS). Alcuni studi di neuroimmagine hanno quindi cercato di vedere se questi CS sono processati in maniera diversa dal cervello delle persone che si drogano. Molti di questi studi hanno in effetti scoperto che alla vista di stimoli che sono collegati alla droga, il cervello delle persone che si drogano risponde con una attivazione maggiore di aree collegate alle emozioni e al controllo cognitivo. → Nelle persone che fanno uso di cocaina la vista di immagini collegate alla droga attiva maggiormente alcune aree cerebrali (tra cui corteccia prefrontale e l’amigdala). • APPRENDIMENTO ANOMALO: CONCLUSIONI Attraverso un meccanismo di condizionamento Pavloviano, alcuni CS ambientali attivano in modo potente il desiderio della droga (US). Ricordiamoci inoltre che potrebbero portare all’uso della droga anche in base a meccanismi di autoshaping, evocando un comportamento di approccio e consumatorio. Alcune di queste sensazioni possono anche essere spiacevoli, sintomi da astinenza, a la persona assume la droga per far cessare queste sensazioni, oppure per provare piacere. Nel caso della spiegazione S-R, invece, S attiva una risposta automatica R, che quindi non è nemmeno mediata da un desiderio. In questo caso l’uso della droga sarebbe un’abitudine compulsiva. La teoria dell’apprendimento anomalo, sia nella versione S-R, sia nella versione S-S, sebbene offra una spiegazione intuitiva, è stata oggetto di osservazioni critiche, che possiamo riassumere come segue: • un’abitudine non significa compulsione (per quanto riguarda la spiegazione S-R). • le sensazioni prodotte da stimoli condizionati non sembrano essere così forti da determinare la compulsione all’uso della droga (per quanto riguarda la spiegazione S-S). Non si può tuttavia escludere che l’apprendimento anomalo possa avere un ruolo nella dipendenza. • SENSIBILIZZAZIONE E DESIDERIO Secondo la teoria l’uso ripetuto della droga provoca, in alcune persone, una sensibilizzazione dei circuiti neurali che mediano il desiderio, soprattutto quello viscerale. Da un punto di vista farmacologico la sensibilizzazione consiste in un aumento degli effetti di una sostanza dopo utilizzo ripetuto. É un processo opposto alla tolleranza e può essere presente in contemporanea, agendo su risposte diverse. • SENSIBILIZZAZIONE DA DROGHE = è prodotta da, anfetamine, cocaina, oppiacei (eroina, morfina), alcol, nicotina = è maggiore se la droga e assunta rapidamente, in modo intermittente, e in dosi progressive La sensibilizzazione è molto persistente!!! Può durare mesi o anche anni, e questo può spiegare perché le ricadute avvengono anche dopo molti mesi di disintossicazione. = è modulata da fattori genetici, ambientali, e da stress Le droghe che producono dipendenza sensibilizzano due principali effetti: – psicomotori – salienza motivazionale (wanting = desiderio viscerale) Le droghe possono anche produrre effetti di cross-sensibilizzazione. Per esempio, la cocaina può sensibilizzare all’alcol. La droga può rendere ipersensibili allo stress, ma anche viceversa. La sensibilizzazione da droghe a livello neurale si traduce in cambiamenti morfologici e funzionali nei circuiti del reward, che cambiano la connettività sinaptica: – una volta sensibilizzati questi circuiti rispondono alla droga liberando più dopamina nel Nacc. – i recettori DA dei neuroni del NAcc rispondo in modo più potente. – aumenta la lunghezza dei dendriti e il numero di sinapsi. L’espressione comportamentale della sensibilizzazione e tuttavia modulata da fattori contestuali. La sensibilizzazione è più evidente in contesti in cui la droga viene assunta (Anagnostaras & Robinson, 1996) SENSIBILIZZAZIONE PSICOMOTORIA Tra gli effetti psicomotori che possono essere sensibilizzati dalle droga troviamo: aumento dello stato di attivazione (arousal), attenzione, attività motoria (agitazione), locomozione e esplorazione, approccio e movimenti stereotipati. SENSIBILIZZAZIONE DEL WANTING Un punto cruciale della teoria della salienza motivazionale e che l’uso ripetuto della droga provoca una sensibilizzazione dei circuiti neurali che mediano il desiderio viscerale. Una serie di lavori hanno fornito evidenze coerenti con l’ipotesi della teoria, mostrando che la ricerca di droga aumenta con la sensibilizzazione. LAVORO DI PIERRE E VEZINA: “D1 dopamine receptor blockade prevents the facilitation of amphetamine self-administration induced by prior exposure to the drug” Obiettivi Dimostrare che: – la sensibilizzazione alla cocaina si traduce in una disponibilità a lavorare per dosi successive molto piccole. – che la sensibilizzazione e bloccata da un antagonista dei recettori della DA. – che gli effetti della sensibilizzazione sono evidenti negli individui predisposti agli effetti psicomotori prodotti da allerta e arousal. Paradigma Valutazione predisposizione effetti di sensibilizzazione (attività locomotoria indotta da stimoli nuovi) Somministrazione per 10gg di due iniezioni separate da 30 min: – Salina > Salina – Salina > Anfetamina (1.5 mg/kg) – Ant DA > Salina – Ant DA > Anfetamina (1.5 mg/kg) Test di auto infusione bassa dose anfetamina (10 μg/kg) tramite pressione leva (condizionamento strumentale) Risultati Durante la fase di somministrazione esposizione alla iniezione solo i ratti nella condizione salina+anfetamina mostrano una attività motoria aumentata. Effetto psicomotorio della anfetamina. • Durante la fase di auto-somministrazione solo i ratti che sono stati sensibilizzati dalla anfetamina sono disposti a lavorare per una dose infinitesimale di droga. • In realtà l’effetto emerge solo per i ratti (HR) che avevano una risposta psicomotoria elevata a stimoli nuovi (alto livello di arousal) mostrano segni di sensibilizzazione alla anfetamina. • L’antagonista SCH blocca l’effetto dell’anfetamina e quindi la sensibilizzazione. I ratti non premono la leva per la dose minima di droga, non sviluppano wanting viscerale. Conclusioni L’esposizione alla anfetamina produce una sensibilizzazione che si manifesta come disponibilità dei ratti a lavorare per la droga. La sensibilizzazione e evidente perché i ratti sono disposti a lavorare per una piccola dose per la quale i ratti non esposti alla anfetamina (i.e. non sensibilizzati) non lavorano (non premono la barra più della barra che non porta all’iniezione). La sensibilizzazione e più accentuata nei ratti che mostrano una predisposizione a effetti psicomotori. LAVORO DI SHIPPENBERG (1996): “Sensation to the conditioned rewarding effects of morphine pharmacology and temporal characteristics” Obiettivi - studiare gli effetti della sensibilizzazione indotta dalla morfina sul condizionamento - verificare dopo quanto tempo si manifestano gli effetti della sensibilizzazione - verificare se sono possibili effetti di cross-sensibilizzazione tra morfina e altre sostanze Paradigma • Prima fase di 5 giorni di esposizione a iniezione di salina o di morfina (5.0 mg/kg). Una iniezione al giorno. • Seconda fase di condizionamento per la preferenza di posizione: – 2 posizioni (diverse per colore) – 4 iniezioni: salina, morfina da 1.5, 3.0, oppure 5.0 mg/kg => conditioning place preference: il ratto riceve la morfina solo in una certa posizione • Test di condizionamento in estinzione => Quale posizione risulterà la preferita del ratto? Si osserva in quale posto il ratto preferisce andare. => Andrà dove ha ottenuto l'iniezione di droga oppure no? Risultati Il condizionamento funziona solo nei ratti pre-trattati con la morfina. La sensibilizzazione aumenta l’effetto della droga nel condizionamento. I ratti erano motivati ad andare dove ricevevano l'iniezione di droga, solo se erano stati precedentemente esposti alla droga stessa. Il condizionamento funziona solo nei ratti pre-trattati con la morfina, ma solo dopo che sono passati almeno 3 giorni dal trattamento. La sensibilizzazione richiede del tempo per manifestarsi. Se viene somministrato un antagonista della droga, gli effetti di quest'ultima non si manifestano. La nicotina agisce su recettori diversi da quelli su cui agiscono gli oppiacei. Conclusioni La somministrazione prolungata alla morfina crea sensibilizzazione alla droga. La sensibilizzazione richiede alcuni giorni prima di manifestarsi comportamentalmente. Evidenza di cross-sensibilizzazione: da nicotina a morfina. La cross-sensibilizzazione è coerente con altri studi e con le osservazioni cliniche che riportano il fatto che la dipendenza da droghe porta anche ad altre dipendenze: alcol, sesso, soldi, gioco d’azzardo. A questo punto ribadiamo l’idea principale della teoria della salienza motivazionale: • la droga sensibilizza in modo durevole i circuiti del reward, che attribuiscono valore motivazionale agli stimoli. Una volta che questi circuiti sono stati sensibilizzati rispondono in modo esagerato sia alla droga, sia, attraverso meccanismi di condizionamento S-S, agli stimoli che sono collegati alla droga. • da un punto di vista psicologico questi stimoli assumono un valore motivazionale enorme, creando desiderio viscerale per la droga e il suo uso compulsivo. Sensibilizzazione e condizionamento classico sono meccanismi che stanno alla base della teoria della salienza motivazionale. Le evidenze viste sinora supportano l’idea principale della teoria della salienza o sensibilizzazione motivazionale. Tuttavia, per esser sicuri che il desiderio viscerale per un reward (come per la droga) nasca dalla sensibilizzazione e dalla percezione di un cue del reward, devono essere escluse spiegazioni alternative. Bisogna escludere che la compulsione sia determinata dal fatto che: – il cue alteri aspetti edonici del reward – il cue crei aspettative cognitive del reward – il cue inneschi abitudini – il cue funzioni come un reward condizionato (cioè rinforzi il comportamento di ricerca della droga) Le condizioni sperimentali adeguate sono state proposte nel lavoro di Wyvell & Berridge (2000). Gli autori combinano l’iniezione di anfetamina nel NAcc per produrre un rilascio amplificato di DA, come avviene nella sensibilizzazione, con un paradigma del tipo PIT (Pavlovian Instrumental Transfer). Questo gli consente di valutare l’impatto di un cue (CS) nel generare desiderio viscerale per un reward (US) in una condizione analoga alla sensibilizzazione. LAVORO DI WYVELL E BERRIDGE (2000): “Intra-accumbens amphetamine increases the conditioned incentive salience of sucrose reward: enhancement of reward wanting without enhanced liking or response reinforcement” • Esperimento 1 Paradigma • Prima fase di condizionamento strumentale, con due leve: solo la pressione di una porta allo zucchero. • Seconda fase di condizionamento pavloviano per due gruppi di ratti: per un gruppo una luce (CS+) precede sistematicamente lo zucchero (ci aspettiamo che avvenga condizionamento), per l’altro gruppo la luce (CSR) viene data in modo random, e quindi non è predittiva dello zucchero (no condizionamento). • Terza fase test in estinzione con paradigma PIT, in cui ai ratti, i momenti diversi, viene iniettata l’anfetamina o una salina di controllo. BASI NEURALI DELLA DIPENDENZA Abbiamo visto alcuni dei possibili meccanismi psicologici alla base dello sviluppo della dipendenza. Vediamo ora quali sono i meccanismi neurali attraverso cui le droghe creano questa dipendenza. Tre domande sono cruciali: 1. quali neurotrasmettitori sono coinvolti? 2. quali circuiti neurali sono implicati? 3. a cosa servono normalmente questi circuiti neurali? 1. Quali sono i neurotrasmettitori coinvolti dall’uso della droga e nello sviluppo della dipendenza? Le differenti droghe agiscono su diversi neurotrasmettitori. Tutte le droghe agiscono però, più o meno direttamente, modulando la presenza della DA (Dopamina) nello spazio sinaptico. Alcune lo fanno in modo diretto: anfetamine, cocaina. Altre in modo indiretto: oppiacei (morfina e eroina), nicotina, alcol. LA DOPAMINA (DA) = è un neurotrasmettitore endogeno prodotto dal cervello. Un suo precursore è l’amminoacido L-Dopa, dal quale viene ottenuta per biosintesi. L-Dopa viene usata come farmaco per il Parkinson. La DA e invece un precursore di altri due neurotrasmettitori: l'adrenalina e noradrenalina. Una volta liberata nello spazio sinaptico agisce legandosi ai recettori nel neurone pre- e post-sinaptico. Sono conosciuti due principali tipi di recettori dopaminergici: • D1: solo post-sinaptici • D2: sia pre- che post-sinaptici I suoi agonisti ne aumentano la diffusione nello spazio sinaptico. La cocaina impedisce il riassorbimento dopo la liberazione nello spazio sinaptico, rendendola maggiormente disponibile ai recettori. I suoi antagonisti ne impediscono il legame con i recettori: pimozide e aloperiodolo. 2. Quali sono i circuiti neurali coinvolti dall’uso della droga? I circuiti neurali principali sono quelli legati al rilascio della dopamina, e si riconoscono due sistemi principali: il sistema meso-cortico-limbico e il sistema nigro-striatale. Il sistema nigro-striatale origina dalla substantia nigra, prietta allo striato, ed e principalmente coinvolto nel controllo motorio. • Il sistema mesolimbico e mesocorticale = sono le due vie principalmente coinvolte nell’analisi del reward → originano entrambi della VTA. Sistema mesolimbico → a partire dalla VTA proietta al NAcc, all'Amigdala e all'Ippocampo Sistema mesocorticale → a partire dalla VTA proietta alla Corceccia Frontale, a quella Prefrontale e a quella Cingolata. 3. Che funzione svolgono normalmente questi circuiti? Quale processo psicologico si basa sul rilascio di dopamina? Esistono diverse ipotesi… Prima di vedere le ipotesi e utile riassumere alcuni concetti fondamentali – reward = oggetto che ha proprietà edoniche, incentivanti o di rinforzo – incentivo = oggetto appetibile che ha proprietà motivazionali – rinforzo = oggetto che viene ottenuto dopo un’azione e ne consolida l’espressione in determinate circostanze – reward, incentivo o rinforzo condizionato = oggetto che ha acquisito le proprietà del reward, incentivo o rinforzo tramite processo di condizionamento Pavloviano (es: il denaro) – motivazione = stato psicologico che spinge all’azione Esistono varie ipotesi sul ruolo della DA nel mediare gli effetti del reward: – ipotesi edonica – ipotesi del rinforzo – ipotesi degli incentivi motivazionali – ipotesi della salienza motivazionale – ipotesi del reward prediction error L'IPOTESI EDONICA Una delle ipotesi piu famose circa il ruolo della DA nell’analisi del reward e stata quella proposta da Wise (1978, 1982), e nota come “anhedonia hypothesis”. Wise propose che la DA avesse un ruolo nel codificare la parte edonica o piacevole del reward, e che una riduzione della DA comportasse anedonia, una condizione di mancanza di piacere associata al ricevimento del reward. Secondo Wise l’ottenimento di un reward (cibo, acqua, sesso) porta con se una sensazione di piacere. Questo stato piacevole è ciò che motiva l’animale a ripetere l’azione, e che quindi funziona da ricompensa e da rinforzo. => Il piacere è la ricompensa, la ricompensa è il piacere! Secondo questa ipotesi la DA sarebbe il neurotrasmettitore del piacere. Il lavoro di Wise et al. (1978): vuole dimostrare che la DA e cruciale per mantenere un comportamento appreso tramite un reward piacevole. LAVORO DI WISE: “Neuroleptic-induced anhedonia in rats: pimozide blocks reward quality of food” Paradigma In una prima fase i ratti devono premere una leva per poter ricevere il reward (piacere). → training I ratti vengono divisi in tre gruppi: – un gruppo non riceve alcun trattamento – un gruppo di controllo riceve un placebo – un gruppo riceve un'iniezione di pimozide (0.5 o 1.0) Pimozide = farmaco antipsicotico. Blocca i recettori della dopamina a livello dl snc. In fine viene eseguita una fase test in estinzione. Risultati I gruppi trattati con il neurolettico smettono progressivamente di lavorare, con un pattern di comportamento simile al gruppo che non riceve più il reward. Secondo Wise è come se il reward avesse perso le sue proprietà edoniche. Conclusioni tratte dagli autori in merito al ruolo del sistema DA come mediatore del reward: il neuroleptioco, bloccando l'effetto della dopamina, avrebbe eliminato gli effetti di euforia, di piacere e di bontà di un reward. (= ipotesi sbagliata) Nonostante il lavoro di Wise ebbe una grande influenza, successivamente l’idea che la DA mediasse il piacere entro in crisi. Negli ultimi 10 anni molte evidenze hanno dimostrato che il ruolo principale della DA non e quello di mediare la sensazione di piacere. La DA non è il neurotrasmettitore del piacere!! Vediamo però quali EVIDENZE EMPIRICHE hanno fatto cadere e abbandonare l’ipotesi edonica: • Come già visto, la DA non e indispensabile per la risposta edonica se misurata attraverso i pattern di reattivita al gusto (Berridge & Robinson, 1998). • Pazienti con malattia di Parkinson, che hanno una estesa riduzione del livello di DA, danno normali giudizi di piacevolezza alle sostanze dolci. • Persone che sono in uno stato di blocco dei recettori DA, o di forte deplezione del livello della DA, forniscono giudizi normali di piacevolezza a seguito di iniezioni di cocaina. • Ratti che a seguito di una mutazione genetica non hanno il sistema dopaminergico mostrano di preferire reward dolci. • Iniezioni di anfetamina nel NAcc producono un forte elevazione del livello di DA. Tuttavia, ratti in questo stato non cambiano il loro pattern di reattività al gusto delle sostanze dolci. • La stessa condizione si osserva anche dopo stimolazione elettrica del sistema mesolimbico, che sappiamo essere fondamentale per la DA. • Esistono quindi molte evidenze che la DA non è cruciale per l’esperienza del piacere. • Visto che la DA non media il piacere, sono state proposte altre possibili spiegazioni su quale potrebbe essere il suo ruolo nella rappresentazione del reward. • Tra queste vediamo ora quelle del rinforzo, della motivazione e del prediction error. L'IPOTESI DEL RINFORZO Un rinforzo e un reward che, dato in risposta ad una azione, concorre a memorizzare la relazione tra un particolare stimolo e una certa risposta. A prescindere dagli aspetti edonici, il reward può agire favorendo la formazione della relazione S-R, e quindi l’apprendimento di nuove abitudini. La DA media il rinforzo, non necessariamente il piacere. LAVORO DI WISE E SCHWARTZ (1981): “Pimozide attenuates acquisition of lever-pressing for food in rats” Se la DA e implicata nel meccanismo di rinforzo prodotto da un reward, allora una riduzione del livello di DA dovrebbe interferire con l’apprendimento di un compito attraverso condizionamento strumentale. Paradigma – somministrazione di placebo oppure di 3 possibili dosi di Pimozide (0.25mg/kg; 0.5mg/kg; 1mg/kg) 4 ore prima del condizionamento operante; – sessioni di training durante le quali il ratto riceve del cibo se preme una leva. Risultati Il pimozide annulla l'effetto rinforzante del reward. Discussione I risultati dimostrano che all’aumentare della dose di antagonista della DA diminuisce la capacita dell’animale di apprendere in un compito di condizionamento operante. Questo risultato e compatibile con l’ipotesi di un ruolo della DA nel reward inteso come meccanismo di rinforzo della relazione S-R. Il ruolo della DA per il rinforzo emerge anche nel condizionamento Pavloviano, ed in particolare e stato osservato nel Conditioning Place Preference. Il CPP è una misura di condizionamento Pavloviano, e in particolare della risposta di approccio verso un luogo (CS) che e stato associato alla presentazione di un US. LAVORODI SPYRAKY (1982): “Attenuation by haloperidol of place preference conditioning using food reinforcement” Paradigma – fase di pre-trattamento, durante la quale viene valutata la preferenza spontanea dell’animale in merito ad uno di due locali (nero vs bianco); – fase di trattamento e condizionamento, durante la quale un gruppo riceve un placebo e altri due gruppi un’iniezione di aloperidolo (0.1 mg/kg, 0.2mg/kg), e poi vengono messi nel luogo meno preferito dove riceveranno il cibo (CPP); – fase test in estinzione, durante la quale si osserva la scelta spontanea dell’animale per il luogo. Aloperidolo = antagonista della dopamina Risultati Solo il gruppo trattato con placebo mostra evidenza di CPP. L’aloperidolo bloccando i recettori DA impedisce il condizionamento. Esistono quindi evidenze sperimentali che sono congruenti con l’ipotesi che la DA sia implicata nel processo di rafforzamento di una associazione. L’associazione può essere sia di tipo S-R, come nel caso del condizionamento strumentale, sia del tipo S-S come nel caso del condizionamento pavloviano. In entrambi i casi il reward svolge la funzione di rinforzo, e la DA media il processo di rafforzamento. Se ignoriamo alfa e beta, la formula del reward prediction error si può riassumere in λ-V ΔV=(λ-V) puo essere sostanzialmente tradotto in: ΔV = (reward ottenuto – reward atteso) Quando ΔV e pari a zero vuol dire che non c’è più errore nella predizione, cioè non c’è più spazio per altro apprendimento. Vuol dire che CS predice in modo certo US! LAVORO DI SCHULTZ et al. Sulla base di studi neurofisiologici sulle scimmie, hanno sostenuto che il rilascio di DA rappresenti un segnale di apprendimento in merito al reward, o a stimoli (CS) predittori del reward. Tale segnale seguirebbe la regola del reward prediction error: (Reward otteuto - Reward atteso) La DA segnala quindi un evento interessante ma solo infunzione di quanto è non predicibile o atteso. Paradigma → la scimmia riceve il reward (cibo), preceduto da un CS (suono) oppure senza CS. Misurano la risposta nei neuroni DA del NAcc nei due casi. Risultati Quando non c’è un CS che predice il reward, la risposta DA è attivata dal reward. Quando c’è un CS che predice il reward, la risposta DA è attivata dal CS, e il reward non provoca risposta. Questi due effetti risultano coerenti con il reward prediction error: • la risposta DA al reward si osserva solo se non e atteso; • la risposta DA si sposta sul CS, dato che e inatteso e predice il reward. In generale la risposta DA codifica la presenza di un evento appetitivo interessante e non atteso. In un altro lavoro usano un CS (suono) che ha diversi gradi di contingenza (0.02; 0.25; 0.50; 0.75; 1.00) con il reward. → manipolano il livello di predittività del CS (0.02; 0.25; 0.50; 0.75; 1.00). La risposta DA è sul reward coerente con il reward prediction error. CONCLUSIONI Esistono varie ipotesi che spiegano cosa rappresenti la risposta nel sistema dopaminergico. Tutte fanno riferimento comunque al fatto che tale risposta viene emessa per codificare qualche aspetto legato all’analisi del reward. Alcune enfatizzano l’aspetto motivazionale, altre quello legato all’apprendimento come predizione della relazione CS-reward. In fine, si noti che il concetto di droga, ed il suo utilizzo, e anche un fattore culturale. L’uso e stato considerato più o meno legale per molti anni, e come sappiamo ancora oggi ci sono movimenti che chiedono la liberalizzazione di alcune droghe… L'USO DELLA DROGA IN GUERRA Il Pervitin (una anfetamina) e stata ampiamente somministrata ai soldati tedeschi per aumentarne le prestazioni in battaglia. → sono state preparate 35 mln di dosi in 4 mesi. CONDANNA MORALE DELL'USO DELLA DROGA Se la condanna morale è inutile e senza senso, teniamo pero a mente due cose: – la droga agisce sulla plasticità del cervello e può alterarlo in modo patologico e permanente. – Once addicted, always addicted! IL SISTEMA VISIVO: la corteccia visiva V1 La corteccia visiva primaria o striata (V1) è la sede della prima analisi corticale dell’informazione visiva. → riceve afferenze principali dal NGL → rispetto al NGL conta circa 200 milioni di neuroni E' una struttura multistrato con uno spessore di circa 2 mm e presenta 6 strati distinti. Da un punto di vista della risposta fornita agli stimoli, i neuroni nella corteccia visiva striata possono essere distinti in almeno 3 tipi: • cellule granulari o del primo strato (4) • cellule semplici • cellule complesse Nella corteccia nessun tipo di cellule è attivato da una luce diffusa (mentre una risposta debole può essere osservata nel NGL). • I NEURONI del primo strato di elaborazione Gli assoni che arrivano dal NGL fanno sinapsi nello strato 4 (nello specifico nello strato 4c). Le cellule hanno un’organizzazione funzionale centro/ periferia simile a quelle osservate nella retina e nel NGL. → I campi recettivi circolari sono organizzati in centro ON oppure centro OFF. I neuroni sono strettamente monoculari, come quelli nel NGL. • I LAVORI DI HUBEL E WIESEL sulla corteccia visiva Negli anni 50-60 del secolo scorso Hubel e Wiesel compiono una serie di lavori fondamentali per capire l’organizzazione anatomica e funzionale della corteccia visiva primaria. Registrando la risposta dei neuroni in V1 agli stimoli visivi (in gatti e scimmie). Le loro scoperte hanno avuto un enorme valore teorico, ma anche applicativo. E’ grazie al loro lavoro che oggi, per esempio, sappiamo (in parte) trattare un grave difetto visivo come l’ambliopia, o si possono progettare e sperimentare protesi elettroniche in grado di simulare l’analisi della corteccia visiva per le persone non vedenti. AMBLIOPIA = deficit del sistema visivo → riduzione dell'acuità visiva, generalmente da un solo occhio. → i due occhi hanno assi troppo diversi e le immagini proiettate sulle retine sono troppo diverse fra loro => il cervello non riesce ad interpretare correttamente l'input visivo. → riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio. • LE CELLULE SEMPLICI E COMPLESSE In due lavori, del 1959 e del 1962, Hubel e Wiesel scoprono in V1 del gatto l'esistenza di due tipi di cellule: semplici e complesse. Le stesse cellule sono presenti anche nelle scimmie e nell'uomo. LE CELLULE SEMPLICI Come le cellule gangliari, quelle del NGL, e quelle granulari dello strato 4, le cellule semplici hanno campi recettivi in cui un punto luminoso produce una risposta eccitatoria oppure inibitoria. I campi recettivi delle cellule semplici (presenti negli strati supragranulari 2 e 3 e infragranulari 5 e 6) hanno una geometria diversa rispetto a quelle dei livelli precedenti (4 in V1, NGL, gangliari nella retina). Muovendo un punto luminoso H&W hanno mappato il campo recettivo delle cellule semplici. In funzione della risposta possono essere identificati 3 tipi di campi recettivi in cui la zona eccitatoria ed inibitoria sono sempre separate da una linea diritta. Il campo recettivo delle cellule semplici ha un organizzazione geometrica più complessa rispetto a quella circolare/concentrica del NGL. Cellula di tipo «centro OFF»: quando la luce è accesa al centro da una risposta inibitoria. Quando viene spenta diventa eccitatoria. La stessa risposta eccitatoria si osserva anche quando la luce viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Cellula di tipo «centro ON»: da una risposta eccitatoria (anche se debole in questo caso) quando la luce è accesa al centro del campo recettivo, mentre da una risposta inibitoria quando viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Effetti di sommazione spaziale nel campo recettivo = maggiore l’area stimolata maggiore la risposta neurale. Effetti antagonistici = stimolazioni contemporanee di aree eccitatorie ed inibitorie riducono la risposta cellulare. In realtà lo stimolo più efficace per attivare la risposta del neurone è una piccola barra di luce, a patto che sia posizionata e orientata correttamente. Esistono neuroni selettivi per tutti gli orientamenti dello stimolo. Piccolo scostamenti (entro i 20°) dall’orientamento preferenziale provocano un declino nella risposta neurale. Le dimensioni del campo recettivo variano ovviamente in funzione del fatto che la cellula mappi porzioni del campo visivo centrale oppure più periferico. Nella parte foveale o paravofeale le dimensioni più piccole individuate corrispondono a 0.25° x 0,25° di angolo visivo, con una parte centrale avente una ampiezza di pochi minuti di arco. A 57 cm di distanza dall’osservatore un centimetro corrisponde ad 1° di angolo visivo. Quindi a questa distanza la parte centrale del campo recettivo copre pochi millimetri. Le cellule semplici di V1 - riassunto delle caratteristiche: – Selettività spaziale = ogni neurone risponde per una zona molto piccola del campo visivo – Selettività per l’orientamento = ogni neurone risponde solo per un dato orientamento dello stimolo – Risposta ON oppure OFF – Campo recettivo diviso in zone eccitatorie ed inibitorie = le regioni eccitatorie ed inibitorie non sono concentriche e circolari ma sono ampie aree separate da bordi lineari – Risposta ottimale a barre di luce (chiare o scure). Risposta meno ottimale solo a punti di luce o buio – Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa – Non particolarmente sensibili al movimento – Campo recettivo monoculare o binoculare – Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 – Presenti negli strati 2-3 e 5-6 LE CELLULE COMPLESSE = sono cellule che si trovano inframezzate con quelle semplici nei vari strati della corteccia. Rispetto alle cellule semplici, da cui ricevono le afferenze, hanno alcune proprietà di risposta particolari. Rispondono, come le semplici, a barre luminose orientate in modo appropriato, non ha punti né a condizioni di illuminazione diffusa. Nel campo recettivo la distinzione tra zone ON e OFF (ed eccitatoria e inibitoria) non è così netta come nelle cellule semplici. In alcune cellule una barra di luce stazionaria con orientamento appropriato evoca una risposta molto debole.