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Plasticità e Apprendimento - Slides + Appunti, Appunti di Psicologia Generale

Plasticità e Apprendimento - Slides + Appunti

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 26/11/2018

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Plasticità e Apprendimento - Slides + Appunti e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! IL SISTEMA VISIVO: la corteccia visiva V1 La corteccia visiva primaria o striata (V1) è la sede della prima analisi corticale dell’informazione visiva. → riceve afferenze principali dal NGL → rispetto al NGL conta circa 200 milioni di neuroni E' una struttura multistrato con uno spessore di circa 2 mm e presenta 6 strati distinti. Da un punto di vista della risposta fornita agli stimoli, i neuroni nella corteccia visiva striata possono essere distinti in almeno 3 tipi: • cellule granulari o del primo strato (4) • cellule semplici • cellule complesse Nella corteccia nessun tipo di cellule è attivato da una luce diffusa (mentre una risposta debole può essere osservata nel NGL). • I NEURONI del primo strato di elaborazione Gli assoni che arrivano dal NGL fanno sinapsi nello strato 4 (nello specifico nello strato 4c). Le cellule hanno un’organizzazione funzionale centro/ periferia simile a quelle osservate nella retina e nel NGL. → I campi recettivi circolari sono organizzati in centro ON oppure centro OFF. I neuroni sono strettamente monoculari, come quelli nel NGL. • I LAVORI DI HUBEL E WIESEL sulla corteccia visiva Negli anni 50-60 del secolo scorso Hubel e Wiesel compiono una serie di lavori fondamentali per capire l’organizzazione anatomica e funzionale della corteccia visiva primaria. Registrando la risposta dei neuroni in V1 agli stimoli visivi (in gatti e scimmie). Le loro scoperte hanno avuto un enorme valore teorico, ma anche applicativo. E’ grazie al loro lavoro che oggi, per esempio, sappiamo (in parte) trattare un grave difetto visivo come l’ambliopia, o si possono progettare e sperimentare protesi elettroniche in grado di simulare l’analisi della corteccia visiva per le persone non vedenti. AMBLIOPIA = deficit del sistema visivo → riduzione dell'acuità visiva, generalmente da un solo occhio. → i due occhi hanno assi troppo diversi e le immagini proiettate sulle retine sono troppo diverse fra loro => il cervello non riesce ad interpretare correttamente l'input visivo. → riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio. • LE CELLULE SEMPLICI E COMPLESSE In due lavori, del 1959 e del 1962, Hubel e Wiesel scoprono in V1 del gatto l'esistenza di due tipi di cellule: semplici e complesse. Le stesse cellule sono presenti anche nelle scimmie e nell'uomo. LE CELLULE SEMPLICI Come le cellule gangliari, quelle del NGL, e quelle granulari dello strato 4, le cellule semplici hanno campi recettivi in cui un punto luminoso produce una risposta eccitatoria oppure inibitoria. I campi recettivi delle cellule semplici (presenti negli strati supragranulari 2 e 3 e infragranulari 5 e 6) hanno una geometria diversa rispetto a quelle dei livelli precedenti (4 in V1, NGL, gangliari nella retina). Muovendo un punto luminoso H&W hanno mappato il campo recettivo delle cellule semplici. In funzione della risposta possono essere identificati 3 tipi di campi recettivi in cui la zona eccitatoria ed inibitoria sono sempre separate da una linea diritta. Il campo recettivo delle cellule semplici ha un organizzazione geometrica più complessa rispetto a quella circolare/concentrica del NGL. Cellula di tipo «centro OFF»: quando la luce è accesa al centro da una risposta inibitoria. Quando viene spenta diventa eccitatoria. La stessa risposta eccitatoria si osserva anche quando la luce viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Cellula di tipo «centro ON»: da una risposta eccitatoria (anche se debole in questo caso) quando la luce è accesa al centro del campo recettivo, mentre da una risposta inibitoria quando viene accesa nella periferia, sia a destra sia a sinistra della zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Effetti di sommazione spaziale nel campo recettivo = maggiore l’area stimolata maggiore la risposta neurale. Effetti antagonistici = stimolazioni contemporanee di aree eccitatorie ed inibitorie riducono la risposta cellulare. In realtà lo stimolo più efficace per attivare la risposta del neurone è una piccola barra di luce, a patto che sia posizionata e orientata correttamente. Esistono neuroni selettivi per tutti gli orientamenti dello stimolo. Piccolo scostamenti (entro i 20°) dall’orientamento preferenziale provocano un declino nella risposta neurale. Le dimensioni del campo recettivo variano ovviamente in funzione del fatto che la cellula mappi porzioni del campo visivo centrale oppure più periferico. Nella parte foveale o paravofeale le dimensioni più piccole individuate corrispondono a 0.25° x 0,25° di angolo visivo, con una parte centrale avente una ampiezza di pochi minuti di arco. A 57 cm di distanza dall’osservatore un centimetro corrisponde ad 1° di angolo visivo. Quindi a questa distanza la parte centrale del campo recettivo copre pochi millimetri. Le cellule semplici di V1 - riassunto delle caratteristiche: – Selettività spaziale = ogni neurone risponde per una zona molto piccola del campo visivo – Selettività per l’orientamento = ogni neurone risponde solo per un dato orientamento dello stimolo – Risposta ON oppure OFF – Campo recettivo diviso in zone eccitatorie ed inibitorie = le regioni eccitatorie ed inibitorie non sono concentriche e circolari ma sono ampie aree separate da bordi lineari – Risposta ottimale a barre di luce (chiare o scure). Risposta meno ottimale solo a punti di luce o buio – Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa – Non particolarmente sensibili al movimento – Campo recettivo monoculare o binoculare – Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4 – Presenti negli strati 2-3 e 5-6 LE CELLULE COMPLESSE = sono cellule che si trovano inframezzate con quelle semplici nei vari strati della corteccia. Rispetto alle cellule semplici, da cui ricevono le afferenze, hanno alcune proprietà di risposta particolari. Rispondono, come le semplici, a barre luminose orientate in modo appropriato, non ha punti né a condizioni di illuminazione diffusa. Nel campo recettivo la distinzione tra zone ON e OFF (ed eccitatoria e inibitoria) non è così netta come nelle cellule semplici. In alcune cellule una barra di luce stazionaria con orientamento appropriato evoca una risposta molto debole. PLASTICITÀ: introduzione La parola plastico (o plastica) deriva del greco Plastikos, che significa malleabile, adatto ad essere plasmato => Per plasticità corticale si intende quindi la proprietà del cervello, per quanto riguarda la corteccia, di poter essere modificato La plasticità cerebrale prevede una serie di modifiche delle connessioni neurali e/o di modifiche delle proprietà di risposta dei neuroni. L'apprendimento consiste in tali cambiamenti. Quindi apprendere implica modificare il cervello. => L’acquisizione di una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica. Tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare => Per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Santiago Ramòn y Cajal sosteneva che: «per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e crescita di arborizzazioni dendritiche e terminali nervosi» Cajal introdusse nuove intuizioni circa la modifica delle connessioni sinaptiche. IL PERIODO CRITICO Un tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita. Tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta. • Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose. • Quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso. • Le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo. L’idea che il cervello fosse plastico solo durante l’infanzia ha importanti conseguenze anche circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali. => Se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. Gli approcci di studio per studiare la plasticità sono: l'iper-training e la perturbazione neurale. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambiamenti sostanziali del cervello, è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963-1965) sul «periodo critico». Anche i lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting suggerivano l’esistenza di tale periodo post-natale cruciale. Il periodo critico è diverso per le varie specie. Più complesso è il sistema neurale dell'organismo, più lungo sarà il suo periodo critico. Nel pulcino il periodo critico è più breve rispetto a quello nelle scimmie e nell'uomo. Durante il periodo critico vi è un elevato livello di plasticità cerebrale. Ma non è vero che ciò che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso, in quanto vi è un apprendimento continuo, sia acquisendo nuove informazioni sia dimenticando. L'oblio è funzionale alla memoria. LA PLASTICITÀ NELL'ETÀ ADULTA Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una notevole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia. Tuttavia, rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi. → per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini. (Ipertraining e predisposizione genetica) → apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa, e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli. La moderna visione della plasticità non considera questa caratteristica come un qualcosa legato ad un particolare periodo dello sviluppo, ma piuttosto come uno stato continuo del cervello. Il cervello è una strutta in continuo cambiamento, modificata in ogni istante dalle esperienze sensoriali, motorie, emotive e cognitive. LA PLASTICITÀ CORTICALE NEL SISTEMA MOTORIO Gli studi di Pascual-Leone e coll. (1995-1996) Ai soggetti era richiesto di eseguire ripetutamente una certa sequenza di movimenti con le dita sui tasti del pianoforte. → Due ore di allenamento ogni giorno per 5 giorni, per 5 settimane. → Ogni giorno, prima e dopo ogni sessione di allenamento, attraverso l’uso della TMS veniva mappata l’area motoria coinvolta nel movimento delle dita. => Si stimolano alcuni punti della corteccia e si vede quando si induce un movimento nelle dita. In questo modo si può ricostruire l’area corticale coinvolta nel controllo della mano. Risultati: Dopo ogni sessione l’accuratezza del movimento, migliorava (sia in termini di errori sia di tempo), a riprova dell’avvenuto apprendimento. La mappatura dell’area motoria coinvolta ha rivelato due tipi di cambiamenti: 1. una rapida espansione dell’area corticale coinvolta nel controllo motorio a seguito dell’allenamento settimanale. Ma questo cambiamento veniva in gran parte perso durante il fine settimana di riposo. 2. un cambiamento più lento attraverso cui l’area coinvolta nell’apprendimento aumenta settimana dopo settimana in modo stabile. => C'è un effetto temporaneo dal lunedì al venerdì che consiste in un forte incremento dell'area corticale coinvolta. Vi è anche un effetto permanente da lunedì a lunedì. Incremento forte → reclutamento di molti neuroni, viva via il numero di neuroni coinvolti si riduce. => A seguito della pratica e dell'allenamento vi è una modificazione delle connessioni neurali. Ciò avviene anche solo immaginando di fare qualcosa senza eseguirlo. Basta la programmazione per indurre modifiche a livello neurale. Un gruppo di soggetti fu invitato semplicemente ad immaginare di eseguire il compito. Secondo i risultati di questo studio anche il mero allenamento mentale può indurre una modifica cerebrale, comparabile a quella prodotta dal reale esercizio fisico. La visualizzazione e la programmazione aiutano l'apprendimento e le modifiche neurali. In uno studio i partecipanti dovevano stringere ritmicamente il pugno della mano destra ogni secondo. Il soggetto è all'interno dello scanner fMRI ed è sotto posto a due condizioni: in una condizione veniva usata la TMS, mentre nell'altra condizione no. Risultati: La stimolazione con TMS riduce l'eccitabilità della corteccia. → L'attività di M1 controlaterale diminuisce, mentre, come compensazione per mantenere efficiente il compito, appare un'attivazione di M1 ipsilaterale ed un aumento di attività in SMA. Nella seconda condizione sperimentale, invece, caratterizzata dall'assenza di stimolazione tramite TMS, l'attivazione di M1 controlaterale e della SMA rimane invariata. Questi studi TMS dimostrano che: • l’esecuzione ripetuta di un certo gesto motorio determina una modificazione dell’area corticale coinvolta nel controllo di tale gesto; • se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre per eseguire il movimento. La corteccia motoria presenta quindi elevata plasticità e capacità riorganizzative piuttosto rapide. LA PLASTICITÀ CORTICALE E LA CECITÀ L’essere umano è un organismo prettamente visivo. La perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di deficit sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Esistono ormai evidenze consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità. Questo potrebbe spiegare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo vedenti. Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno dimostrato un’attivazione di V1 in soggetti ciechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille. => L’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse passivamente su simboli Braille, una condizione in cui la «lettura» non era richiesta. L’attività nelle aree visive osservata durante la lettura Braille non è comunque prova di un ruolo causale di tale attivazione per la lettura. Potrebbe trattarsi di un’attivazione non necessaria. => Ma il caso di una paziente nata cieca ha fornito prova del ruolo causale dell’attivazione occipitale. = Vi è quindi un'attivazione delle aree visive durante l'esecuzione di un compito tattile. Dopo un ictus in zona occipitale la paziente, che prima era un’ottima lettrice Braille, perse la sua abilità di lettura. = Un danno all'area occipitale determina nella paziente la perdità delle capacità di svolgere il compito tattile. Questa è un'evidenza a favore del fatto che le aree “inutilizzate” ( per esempio le aree visive in pazienti non vedenti) vengono reclutate per altri compiti. → RIORGANIZZAZIONE CORTICALE Il danno non riguardò la corteccia somato-sensoriale che si rappresentava la mano. Le sue abilità tattili rimasero intatte. Il ruolo fondamentale dell’attività occipitale nella capacità discriminatoria tattile in persone nate cieche (affette da cecità congenita) è stato dimostrato anche attraverso l’uso della TMS. • Cohen e coll. (1997) hanno stimolato le aree occipitali in un gruppo di ciechi congeniti, i quali dopo tale stimolazione non riuscivano più a leggere i simboli Braille. → Veniva stimolata una mano con stimoli Breille e ad intervalli variabili dallo stimolo Breille veniva applicata la TMS o in area somatosensoriale oppure in area occipitale: - la TMS in occipitale. dopo circa 60ms dallo stimolo tattile, impedisce il riconoscimento dello stimolo Breille, ma non la sua detezione; - la TMS in area somatosensoriale impedisce sia la detezione sia l'identificazione. LA PLASTICITÀ CORTICALE INDOTTA NEI NORMO VEDENTI Gli esperimenti con persone cieche mostrano come le aree visive non rimangano inattive, ma vengano invece reclutate per processare informazioni in altre modalità. Possiamo chiederci se un simile fenomeno di plasticità sia riproducibile anche in soggetti normo vedenti: è possibile che le aree visive siano usate per compiti non visivi in persone sane? • Pascual-Leone & Hamilton (2001) bendano per 5 giorni delle persone normo vedenti. Per fare in modo che i soggetti non tolgano le bende durante i 5 giorni, gli sperimentatori adottano l'inserimento di pellicole fotografiche all'interno delle bende. Durante i 5 giorni viene registrata tramite fMRI l’attività corticale delle persone mentre eseguono compiti di discriminazione tattile di oggetti. Durante il compito tattile viene registrata l'attività di V1. Durante il primo giorno di bendaggio non vi è alcuna attività in V1. Il giorno 5 di bendaggio vi è un'evidente attività in V1. Tuttavia dopo alcune ore dopo la rimozione del bendaggio, si manifesta una forte riduzione dell'attività in V1. L’esperimento di Pascul-Leone & Hamilton (2001) dimostra l’elevata plasticità della corteccia, indicando inoltre che: – sono sufficienti 5 giorni di totale deprivazione per indurre la corteccia visiva ad iniziare a processare informazioni tattili; – bastano poche ore in cui la vista viene riattivata per riportare la corteccia visiva a rispondere solo alle informazioni visive. LA RISPOSTA PLASTICA DEL CERVELLO La rapidità dei cambiamenti funzionali rende improbabile che la deprivazione abbia creato nuove connessioni tra le aree somato-sensoriali e quelle visive. E’ più probabile che queste connessioni esistano normalmente, e che la deprivazione tramite bendaggio abbia creato le condizioni per metterle in luce. I veloci cambiamenti nella risposta delle aree occipitali durante il bendaggio mettono inoltre in luce la capacità del cervello di adattarsi velocemente ai cambiamenti ambientali (nell’esperimento la deafferentazione visiva). → Vi sono già connessioni fra la corteccia somatosensoriale e quella visiva, le quali sono silenti in condizioni normali (normo vedenti). La deprivazione sensoriale porta all'attivazione di tali connessioni. ranged from 150 to130 u, reflecting a marked reduction in the number of large cells.” • cambiamenti morfologici in altre strutture? => La deprivazione monoculare non sembra aver modificato la struttura e le cellule nella retina, nel nervo ottico e nel collicolo superiore. I cambiamenti morfologici sembrano quindi aver avuto luogo solo nel NGL. • La deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva è stata valuta in gattini deprivati a 2 mesi di età: uno deprivato per 4 mesi ed uno per 1 mese. L’atrofia era presente, anche se meno marcata di quella generata quando la deprivazione avveniva sin dalla nascita. • La deprivazione monoculare in animale adulto è stata valutata in un gatto adulto deprivato per 3 mesi. Non vi è nessuna differenza tra gli strati del NGL che ricevevano afferenze dall’occhio aperto e da quello chiuso. Lo spessore degli strati e la grandezza delle cellule in essi contenute si sono rivelati nella norma. Questo risultato suggerisce un ruolo importante dell’età nella quale avviene la deprivazione Conclusioni • La deprivazione monoculare dalla nascita induce marcata atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. • La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in qualche caso ridotta. • Se la deprivazione inizia dopo un breve periodo di esperienza visiva risulta meno marcata, o assente negli animali adulti. • La marcata atrofia del NGL dovuta a deprivazione non era stata osservata negli studi precedenti. • Un possibile motivo è il fatto che gli studi precedenti usavano una deprivazione binoculare, mentre qui si è usata quella monoculare. • La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il NGL. RECEPTIVE FIELDS OF CELLS IN STRIATE CORTEX OF VERY YOUNG, VISUALLY INEXPERIENCED KITTENS' In questo lavoro, che è il secondo della serie, gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto. Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva al fine di assicurare un normale sviluppo di V1. Metodo utilizzato: – 2 gattini, dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi vengono testati. La deprivazione avviene con delle lenti translucide che fanno passare poca luce diffusa. – 1 gattino ha una normale esperienza visiva e funziona da controllo. Risultati • Dopo 2 settimane, di cui la seconda di deprivazione, i neuroni hanno una forte tendenza ad andare incontro ad affaticamento. • I neuroni rispondo in modo meno vigoroso agli stimoli, e gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative. • Questi effetti di affaticamento sembrano essere ristretti alla corteccia. Non si verificano nel NGL. • A parte la lentezza e la fatica nella risposta le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto => selettività per orientamento, movimento, etc. Vi sono normali interazioni binoculari, con preferenza oculare differenziata da neurone a neurone. Conclusioni I risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività di risposta) della corteccia del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva. Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra retina, NGL e corteccia, non richiede esperienza visiva. → Questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia. SINGLE-CELL RESPONSES IN STRIATE CORTEX OF KITTENS DEPRIVED OF VISION IN ONE EYE Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del NGL. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, a seguito di deprivazione monoculare, allo stadio successivo di analisi visiva: V1. Nella corteccia striata, dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare. Le risposte qualitative dei neuroni binoculari ai due occhi sono simili, ma può essere diversa la forza di risposta all’uno o all’altro occhio. Metodo: – Soggetti: 7 gattini e 1 gatto adulto – Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi – Tipo deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio • I gattini vengono deprivati alla nascita o qualche mese dopo • Il gatto adulto ovviamente da adulto – Sito di registrazione: V1 sinistra • Da strati (2-3) con neuroni binoculari Effetti comportamentali delle deprivazione Prima di effettuare le registrazioni elettrofisiologiche viene aperto l’occhio deprivato e viene chiuso l’occhio che era rimasto aperto. L’animale si muove in modo incerto. Sbatte contro gli oggetti, anche contro i muri, che riesce a seguire con le vibrisse. Cade dal tavolo se posto a camminarci sopra. Non segue nessun oggetto in movimento nel campo visivo. Se si apre l’occhio non deprivato il comportamento ritorna normale. → Si conclude che la deprivazione monoculare induce uno stato di profonda e completa cecità per l’occhio corrispondente. Risultati • cambiamenti fisiologici → I neuroni non rispondevano in alcun modo all’occhio destro deprivato. → La figura mostra gli istogrammi di dominanza oculare in V1 sinistra di un gattino cui era stato deprivato l’occhio destro (dopo una settimana di vita e per 2,5 mesi) • Risposta dei neuroni solo all’occhio ipsilaterale (sinistro) • Nessuna risposta dall’occhio deprivato (destro) → Le cellule che rispondono mostrano campi recettivi sia di tipo semplice che complesso, e con normali risposte all’orientamento, in funzione della loro preferenza → Normale organizzazione secondo colonne di orientamento • Deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva Come per lo studio sul NGL una breve esperienza visiva precedente alla deprivazione sembra in qualche modo attenuarne gli effetti. => Vi è una risposta anche se molto ridotta all'occhio deprivato quando il gattino fa esperienza visiva nei primi mesi di vita. Il gattino in questione mostra già lo sviluppo di una struttura corticale stabile, quindi meno plastica rispetto quella dei gattini che subiscono deprivazione alla nascita. • Deprivazione monoculare in animale adulto Un gatto adulto deprivato monocularmente per 3 mesi non presenta nessun deficit nella risposta dei neuroni di V1. → il sistema del gatto adulto è già formato! • cambiamenti morfologici Sia negli animali deprivati dalla nascita sia negli animali adulti non è emersa nessuna evidenza di atrofia nei neuroni di V1 Conclusioni Alla luce dei risultati del primo lavoro, quelli del presente lavoro possono sembrare paradossali → La deprivazione dalla nascita aveva prodotto nel NGL una marcata atrofia ma un modesto deficit funzionale → Nella corteccia si è osservato un pattern opposto, con irrilevanti cambiamenti morfologici ma con eclatanti deficit funzionali La ragione sta nel fatto che nel NGL i neuroni sono selettivamente monoculari e separati in strati diversi. Nella corteccia la maggior parte dei neuroni ha afferenze binoculari. → Quindi l’input arriva comunque dall’occhio aperto, e in V1 è lecito non attendersi differenze morfologiche causate dalla deprivazione monoculare. Esiste una profonda differenze funzionale indotta dalla deprivazione: – i neuroni del NGL, continuano a rispondere anche all’occhio deprivato – i neuroni di V1 mostrano una drammatica assenza di risposta all’occhio deprivato Una maturazione corretta del sistema visivo è impedita da una stimolazione asimmetrica tra i due occhi, come nella deprivazione monoculare. Questo fa pensare a vie anatomiche prestabilite che devono ricevere una stimolazione bilanciata (presente o assente) per maturare correttamente. COMPARISON OF THE EFFECTS OF UNILATERAL AND BILATERAL EYE CLOSURE ON CORTICAL UNIT RESPONSES IN KITTENS Questo è il quarto lavoro della serie, nel quale si comparano gli effetti della deprivazione monoculare contro quella binoculare. Dai lavori precedenti è emerso che la deprivazione monoculare precoce causa notevoli cambiamenti nel sistema visivo, mentre una breve deprivazione binoculare non produce grossi danni. Nella deprivazione monoculare, quando l’attività del NGL e della corteccia è registrata 3 mesi dopo la chiusura delle palpebre, quello che si osserva è una marcata riduzione dei neuroni che in V1 rispondono all’occhio deprivato. Nel NGL le cellule rispondono perlopiù normalmente, sia all’occhio deprivato, sia a quello aperto, anche se è presente una marcata atrofia per quelle che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Da il lavoro precedente era emerso in modo chiaro che la deprivazione monoculare è senza dubbio la condizione che crea maggiori danni al sistema visivo, mentre quella binoculare non sembrava sortire particolari effetti. Ma è proprio vero che una deprivazione binoculare non porta a nessun danno per i neuroni di V1? Cosa accade se la deprivazione è binoculare è sostenuta? Metodo: – Soggetti: 7 gattini – Durata deprivazione: circa 4 mesi – Inizio deprivazione: una settimana circa dopo la nascita – Tipo deprivazione: monoculare in 2 animali, binoculare in 5 animali – Sito di registrazione: V1 Risultati della deprivazione monoculare In sostanza confermano quelli del lavoro precedente: in V1, dove la maggior parte dei neuroni risponde binocularmente, i neuroni rispondono solo all’occhio aperto. Sono quasi assenti neuroni che rispondono all’occhio deprivato. La morfologia dei neuroni è però normale. (Sappiamo perché!) Risultati della deprivazione binoculare Quasi la metà delle cellule studiate risponde in modo normale. Tuttavia, la corteccia non era normale, in quanto il rimanente 50% delle cellule rispondevano in modo anomalo, e presentavano campi recettivi mal definiti, senza specificità di risposta per l’orientamento. Una piccola percentuale non rispondeva affatto. Risultati istologici nel NGL A livello del NGL si conferma che gli strati con afferenze dall’occhio deprivato mostrano neuroni atrofici. Lo stesso grado di atrofia si manifesta anche nel caso di deprivazione binoculare, la quale produce quindi atrofia in tutti gli strati di entrambi i NGL. Effetti comportamentali nessun ulteriore effetto sulla dominanza oculare: la maggior parte delle cellule era ancora guidata esclusivamente dall'occhio sinistro. Gli animali sottoposti a sutura in età intermedia avevano neuroni corticali fortemente dominati da un occhio o dall'altro, ed erano organizzati in gruppi colonnari chiari secondo la dominanza oculare. Pertanto, tra 5 settimane e 4 mesi di età, vi è un periodo di decrescente sensibilità (=sensibilità in declino) sia per gli effetti di un periodo iniziale di deprivazione monoculare sia per l'inversione di tali effetti mediante sutura inversa. Grafico C → è sufficiente una settimana in più per notare cambiamenti Grafico F → nonostante la deprivazione, i neuroni non cambiano preferenza di risposta in quanto il sistema ha avuto tempo (14 settimane) per stabilizzarsi e divenire “meno plastico”. PERIODO CRITICO I risultati del lavoro di Blackemore e Van Sluyters confermano la presenza di un periodo critico durante il quale il sistema visivo mostra tutta la sua plasticità. La durata del periodo critico varia da specie a specie. Se nei gatti il periodo critico può avere una finestra massima che copre i primi 3 mesi di vita, nelle scimmie si estende sino a 5-6 mesi di vita. Il reversal index è un indice di plasticità . E’ dato dal numero di neuroni dominati dall’occhio che avuto la recente esperienza visiva, sul totale dei neuroni che rispondono allo stimolo. IL RUOLO DELL'AMBIENTE NELLA PLASTICITÀ Negli stessi anni in cui Hubel & Wiesel conducevano i loro lavori sulla corteccia del gatto, si stava sviluppando un’altra importante linea di ricerca sulla plasticità corticale. Rosenzweig è stato l’esponente di spicco di questa linea di ricerca che ha indagato l’effetto della complessità dell’ambiente nel quale viene cresciuto l’animale, sulla sua organizzazione corticale. Rosenzweig suddivise dei ratti appena nati in 3 gruppi, ognuno dei quali era sottoposto ad un tipo diverso di ambiente (gabbia) nel quale vivere: – ambiente impoverito = un animale da solo – ambiente standard = 3 ratti con cibo e acqua – ambiente arricchito = 10 ratti con cibo, acqua e oggetti nella gabbia → man mano aumento delle stimolazioni ambientali Gli esperimenti dimostrarono che lo sviluppo cerebrale dipende non solo dal corredo genetico, ma anche dall’interazione con l’ambiente. Lo sviluppo del ratto in un ambiente arricchito, in cui poteva avere molteplici interazioni (motorie, sociali e cognitive) con vari aspetti dell’ambiente, induceva attraverso una ramificazione una maggior crescita delle spine dendritiche dei neuroni. → maggiori interazioni ambientali e sociali si traducono in cambiamenti nella struttura neurale CERVELLO E AMBIENTE ARRICCHITO Studi più recenti hanno confermato i risultati degli esperimenti originali di Rosenzweig e collaboratori. E’ stato inoltre dimostrato che lo sviluppo in un ambiente arricchito induce anche un aumento del numero di neuroni nell’ippocampo. PLASTICITÀ: remapping corticale da deafferentazione Gli studi di Hubel & Wiesel (1963-1965) hanno dimostrato la presenza di un «periodo critico» post-natale durante il quale il sistema visivo mostra un elevato grado di plasticità a seguito di deprivazione sensoriale. Oltre tale periodo critico, i deficit prodotti dalla deprivazione non possono più essere recuperati, ma nemmeno indotti. => La plasticità della corteccia visiva pareva quindi ristretta nel periodo critico. Lo studio della plasticità corticale è stato successivamente rivolto anche agli effetti della riduzione o eliminazione dell’input sensoriale in aree corticale diverse da quella visiva. → studio della plasticità in altre modalità Una delle prime dimostrazioni della plasticità corticale nell’età adulta ha riguardato il sistema somatosensoriale dei primati (scimmie adulte). Pioniere dei questo tipo di studi sul sulla plasticità della corteccia somatosensoriale nei primati non umani è stato Michael Merzenich. Assieme ai suoi collaboratoti ha condotto una serie di studi nei quali ha testato la riorganizzazione delle aree corticali di rappresentazione della mano (aree di Brodmann 3b e 1), a seguito di deafferentazione dell’input cutaneo tramite taglio del nervo mediano. Lo studio è stato guidato da una serie di domande: – quali conseguenze si osservano nella corteccia somatosensoriale a seguito di un danno ai nervi periferici? – i settori corticali delle aree 3b e 1 che non ricevono più input sensoriale rimangono silenti o iniziano a rispondere ad input da altre regioni cutanee? => In altre parole: a seguito di denervazione periferica i settori corticali che si rappresentano la parte di cute denervata continuano a rappresentarsi tale distretto corporeo o sono riutilizzati da altri input sensoriali? LO STUDIO DI MERZENICH: “Topographic reorganization of somatosensory cortical areas 3B and 1 in adult monkeys following restricted deafferentation” Metodo: - Soggetti: scimmie adulte - Tecnica: registrazione, tramite microelettrodi, nelle aree 3B e 1 della corteccia somatosensoriale, della risposta corticale alla stimolazione cutanea di varie parti della mano. - Sezione del nervo mediano della mano Il nervo mediano nella scimmia innerva la parte palmare della mano che va dal pollice a metà del dito medio. Risultati • PRIMA della lesione sia in Area 1 sia 3b ci sono porzioni di tali aree che rispondono a stimolazione da cute innervata dal nervo Mediano. • DOPO la sezione, nessuna parte della corteccia risponde al nervo Mediale, ma solo a quello Ulnare e Radiale. → i neuroni che prima rispondevano a input raccolti dal nervo mediano, dopo la lesione i neuroni rispondono ad altre parti della mano. => RIORGANIZZAZZIONE CORTICALE → vi sono connessioni “silenti”. A seguito di una disconnessione fra i neuroni e le loro “parti” preferenziali, si verifica l'attivazione delle connessioni (prima silenti) fra questi neuroni e le altre parti non preferenziali. I risultati mostrano che l’area corticale che riceve afferenze dall’area della mano denervata non continua a rappresentarsi la stessa porzione di mano. L’area viene reclutata dall’input proveniente dalle zone della cute adiacenti rimaste innervate. Si osserva quindi un’espansione dell’area corticale che risponde sia al nervo Radiale sia a quello Ulnare, a scapito di quella che prima rispondeva al nervo Mediale. Dopo qualche mese dalla lesione l’occupazione è completa, e non rimangono aree corticali silenti che si rappresentano zone della mano denervate. I risultati dei lavori di Merzenich dimostrano che anche nei soggetti adulti le mappe corticali non sono statiche ma dinamiche. La rappresentazione corticale di una certa superficie corporea non è fissa, e le aree coinvolte possono essere dedicate ad altri segnali se queste smettono di essere stimolate dall’input sensoriale. Questo suggerisce che nella corteccia sensoriale normale sono in atto processi di competizione tra input sensoriali. => dinamicità delle mappe corticali Le varie rappresentazioni corticali dei distretti corporei creano una mappa che non è statica, ma che è mantenuta stabile da processi competitivi tra i vari input sensoriali. (occhio lesionato) e totale (occhio enucleato). La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni pre-esistenti, normalmente silenti a causa di meccanismi competitivi. I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale. I sistemi di riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio possono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio. Quando questa rimane normale. PLASTICITÀ: remapping corticale da stimolazione Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denervazione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale. → La parte della corteccia che si rappresentava l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati. Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino. Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: – le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si riorganizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale. – a seguito della riorganizzazione non rimangono parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico. – la parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti. Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, alcuni studi si sono interrogati circa la possibilità che si verifichi riorganizzazione corticale a seguito di iperstimolazione. Possono analoghe modifiche corticali essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o disconnessione? STUDIO DI JENKINS: “Functional reorganization of primary somatosensory cortex in adult owl monkeys after behaviorally controlled tactile stimulation” Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990) I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organizzazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale la corteccia si riorganizza. → è possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimolazione, possa produrre alterazioni corticali? Jenkins e coll. verificano quest’ipotesi testando gli effetti di un allenamento tattile sulla corteccia somatosensoriale (area 3b) della scimmia adulta. - I soggetti sperimentali sono 6 scimmie adulte. - La stimolazione è ristretta ad una porzione limitata delle dita della mano. - Viene esposta la corteccia 3b e vengono impiantati gli elettrodi per mappare la mano. - Utilizzano un apparato sperimentale durante il compito tattile. Il compito della scimmia era quello di toccare per circa 15 secondi un disco in rotazione senza bloccarlo. Se lo faceva la scimmia riceveva un reward che consisteva in cibo. Il disco, che ruotava ad una frequenza di 1Hz, aveva settori con due diverse superfici. L’animale eseguiva correttamente il compito ed in media otteneva circa 600 pellet in 24Hr. → 109 giorni di allenamento. => La scimmia doveva esercitare una pressione sul disco evitando che lo stesso di fermasse mentre un sensore rilevava la pressione esercitata. Risultati: • Allargamento della rappresentazione corticale dei settori delle dita stimolate. In particolare vi è un'espansione dell'area dei settori 2D e 3D. La falange 2D era sempre (100%) stimolata a contatto con il disco. La falange 3D solo il 50% delle volte. La falange 4D meno del 20%. => scoprono che l'allargamento dell'area dipendeva dalla quantità della stimolazione. => la corteccia si riorganizza in maniera direttamente proporzionale alla stimolazione applicata. • L'incremento dell'area dipende dall'uso ed è reversibile se l'uso viene sospeso. → la mancata stimolazione riduce l'area in corteccia => si manifesta una riduzione dei settori dopo 80 giorni di riposo Gli effetti del training non vengono mantenuti a lungo termine se lo stesso non viene più attuato. • Nell'esperimento di controllo in cui il disco rimane fermo non si verifica alcun cambiamento corticale di rilievo. → Non basta toccare il disco; infatti occorre che lo stesso giri per permettere la stimolazione attiva della mano. Se il disco rimane fermo, l'iperstimolazione non avviene. Il settore 3D stimolato per solo contatto con il disco non presenta aumenti sostanziali dopo 109 giorni di allenamento. • Calcolo del fattore di magnificazione corticale: area corticale di rappresentazione/superficie tattile stimolata • Effetti sulla dimensione dei campi recettivi dei neuroni corticali. => Normalmente esiste una relazione inversa tra ampiezza dell’area corticale e dimensione dei campi recettivi dei suoi neuroni. => Si poteva quindi ipotizzare che l’espansione delle aree corticali dei settori stimolati inducesse anche una riduzione dei campi recettivi dei neuroni corrispondenti. I risultati sono in linea con questa predizione. Quindi i neuroni aumentano di numero (espansione area corticale), ma diminuisce la grandezza dei loro campi recettivi. Conclusioni – I risultati dimostrano che i campi recettivi dei neuroni corticali possono essere alterati a seguito di un uso esteso del recettori periferici – Gli studi che abbiamo visto sinora hanno riguardato mammiferi o addirittura primati non umani. Questo può indurci a ipotizzare che meccanismi analoghi funzionino anche nel cervello dell’essere umano. → Ma come potrebbe essere testata questa ipotesi nell’essere umano? Elbert e collaboratori hanno testato l'effetto di una stimolazione intensiva delle dita della mano nell’essere umano Metodo: – soggetti: violisti, chitarristi e altri musicisti che usano estesamente le falangi di una mano (D2- D5) rispetto all’altra – non musicisti come controlli => sono stati applicati stimoli tattili alle dita mentre contemporaneamente veniva registrata la risposta corticale indotta da tali stimolazioni, e sulla base della quale è stata ricostruita la mappa corticale delle dita I risultati hanno messo in luce un ampliamento della dimensione dell’area corticale che si rappresenta le dita della mano che premono le corde dello strumento. – I risultati confermano che l’organizzazione corticale non è stabile ma dipende dall’input sensoriale, non solo per il suo sviluppo, ma anche durante tutta la vita. – I cambiamenti indotti dall’allenamento sono reversibili Problema: qual è il ruolo dell’attenzione nella modulazione dell’input sensoriale, e nella successiva riorganizzazione corticale? La stimolazione passiva è sufficiente o ci deve essere l'intervento dell'attenzione? Uno dei risultati emersi dallo studio di Jenkins et al. (1990) è che la riorganizzazione corticale era avvenuta solo nel caso in cui la scimmia toccava il disco rotante. Se il disco era fermo non si era osservato nessun cambiamento significativo nella rappresentazione corticale delle falangi. => Esiste però la possibilità che la differenza tra le due condizioni sia invece dovuta alla differenza di attenzione posta dall’animale al disco rotante piuttosto che stazionario. Quello rotante poteva essere più saliente. STUDIO DI RECANZONE: “Topographic reorganization of the hand representation in cortical area 3b of owl monkeys trained in a frequency-discrimination task” Recanzone e collaboratori hanno esplorato questa possibilità in uno studio del 1992. Metodo: - soggetti: 10 scimmie adulte (Owl Monkeys) - compito: l’animale deve riuscire a discriminare la presentazione di uno stimolo oddball su di una falange del dito medio - gli stimoli standard sono stimoli vibro-tattili con una frequenza di 20Hz - il target è uno stimolo con una frequenza superiore ai 20Hz - registrazione dall’area somatosensoriale 3b - 700 trial al giorno => due condizioni sperimentali: – tattile attiva: l'animale doveva prestare attenzione allo stimolo tattile => solo stimoli tattili e compito tattile – tattile passiva: l'animale doveva prestare attenzione allo stimolo uditivo PLASTICITÀ E CONDIZIONAMENTO Sinora abbiamo visto che la corteccia sensoriale è in grado di riorganizzarsi in seguito a deprivazioni oppure a iperstimolazioni sensoriali. A livello del singolo neurone la plasticità si traduce in cambiamenti dei collegamenti sinaptici attraverso. – l’attivazione di sinapsi latenti (inibite) – la nascita di nuovi collegamenti, e quindi la formazione di nuove vie nervose. Uno dei neurotrasmettitori che sembrano essere maggiormente coinvolti nella plasticità cerebrale è la Dopamina. La dopamina è principalmente prodotta nella VTA. La Ventral Tegmental Area (VTA) è uno dei nuclei più importanti del sistema dopaminergico. → proietta a varie parti dell’encefalo, compreso il Nucleo Accumbens, l’Amigdala, e la Corteccia Prefrontale. → proietta al sistema limbico (come l'amigdala) e a quello mesocorticale (nella corteccia prefrontale). L’attività modulatoria della dopamina rilasciata dalla VTA sembra in realtà avere come target anche molte altre parti della corteccia, comprese le corteccia sensoriali (aree visive ed uditive). Alcuni ricercatori si sono quindi chiesti se fosse possibile indurre plasticità e riorganizzazione corticale per uno stimolo (CS) che fosse associato (condizionamento classico) ad una scarica di dopamina (US) ottenuta tramite stimolazione elettrica della VTA. STUDIO DI BAO, CHAN e MERZENICH (2001): “Cortical remodelling introduced by activity of ventral tegmental dopamine neurons” Sono utilizzati 7 ratti a cui per 20 giorni due ore al giorno viene fatto sentire un suono di 9kHz (CS) accoppiato ad una stimolazione della VTA (US). Dopo i 20 giorni di accoppiamento è stata mappata la corteccia uditiva primaria per vedere in che modo rispondeva alle varie frequenze, inclusa quella che aveva funzionato da CS per la scarica della VTA. => si osserva una netta espansione della corteccia che si rappresenta il tono accoppiato alla scarica della VTA. => il rilascio di dopamina ha alterato la corteccia corticale uditiva primaria. => con un semplice paradigma di condizionamento, avviene una riorganizzazione corticale relativa alla porzione sottoposta allo stimolo. Per essere sicuri che la riorganizzazione corticale fosse stata effettivamente indotta dalla scarica dopaminergica, un gruppo di ratti è stato sottoposto allo stesso paradigma ma con una somministrazione, 30 minuti prima di ogni sessione sperimentale, di un antagonista dei recettori della dopamina. => Non è emersa nessuna differenza rispetto al gruppo di controllo che non riceveva stimolazione della VTA. Ulteriori due esperimenti di controllo hanno dimostrato che la sola presentazione del tono, oppure la sola stimolazione della VTA, non erano in grado di produrre nessuna alterazione della mappa tonotopica corticale. Quindi, solo lo specifico accoppiamento tra tono e rilascio di dopamina può indurre una alterazione della mappa corticale associata al tono. La dopamina è implicata nel rilascio di segnali di rinforzo nei meccanismi di apprendimento associativo Nel condizionamento classico l’apprendimento avviene solo per lo stimolo che predice lo stimolo incondizionato. => Quindi solo un tono che precede (CS), ma non che segue, la scarica della VTA (US) porterà ad una riorganizzazione corticale (??). Per testare questa ipotesi è stato usato un tono di 4kHz che precedeva la scarica di VTA ed uno di 9 kHz che la seguiva. Si osserva una forte espansione dell'area che risponde a 4kHz e riduzione di quella che risponde a 9kHz. => La riorganizzazione corticale indotta dall’attività della VTA ha riguardato solo lo stimolo saliente che precedeva la stimolazione elettrica. L’area dello stimolo irrilevante, quello che seguiva, è risultata addirittura ridotta. I risultati dello studio di Bao et al. dimostrano che l’attività dopaminergica indotta dalla VTA attiva la riorganizzazione corticale. La plasticità sembra quindi essere innescata da deprivazioni e da stimolazioni sensoriali massive. Lo studio di Recanzone aveva dimostrato che l’attenzione gioca un ruolo importante nel regolare la plasticità. Quello di Bao appena visto dimostra che i segnali di rinforzo (dopaminergici) sono un altro fattore in grado di promuovere la plasticità corticale per gli stimoli rilevanti (come un CS nel condizionamento). NB: Backward conditioning → us precede ns => difficile che avvenga condizionamento Le evidenze di plasticità corticale che abbiamo sinora visto riguardano insiemi o popolazioni di neuroni (parti della corteccia) che vengono dedicate all’analisi di altri input sensoriali nel caso di deprivazioni, o che vengono reclutate nell’analisi di input sensoriali particolarmente rilevanti a seguito di allenamento specifico. Tuttavia, anche nel caso in cui i neuroni spostano i loro campi recettivi a seguito di lesioni retiniche, come nel caso dei lavori di Kaas e Chino, le proprietà di risposta dei campi recettivi rimangono normali ed inalterate: stessa sensibilità all’orientamento, frequenze, contrasto, etc. E’ possibile però che la plasticità del sistema nervoso sia tale da consentire modifiche anche della proprietà di base dei campi recettivi dei neuroni? Queste sono caratteristiche definite geneticamente che vengono consolidate durante il normale sviluppo (deprivazione esclusa). Possono essere modificate? Definizione di campo recettivo: parametri dello stimolo sensoriale in grado di alterare l’attività fisiologica della cellula, tipicamente la sua probabilità di risposta. Parametri che definiscono il campo recettivo: posizione, colore, orientamento, direzione di movimento, contrasto, frequenza, etc. PLASTICITÀ ED APPRENDIMENTO Plasticità e apprendimento sono due concetti e fenomeni intimamente connessi. Da un lato possiamo vedere la plasticità, almeno in alcune sue forme, come un modo in cui il cervello apprende a rispondere a nuove condizioni di stimolazione. Dall’altro è evidente che l’apprendimento necessariamente richiede alcune modifiche del cervello, e quindi un certo grado di plasticità. In ultima analisi qualsiasi forma di apprendimento deve trovare una spiegazione a livello neurale. E’ quindi necessario ipotizzare un qualche meccanismo che consenta l’apprendimento, e la plasticità, a livello del comportamento dei singoli neuroni. → Una riposta a questo problema è stata data da Donald Hebb nel 1949 con la sua teoria sull’apprendimento. La TEORIA DI HEBB per l’apprendimento La teoria Hebbiana (1949) spiega come avverrebbe l’apprendimento (associativo) a livello neurale. Descrive i meccanismi della «plasticità sinaptica», che sta alla base dell’apprendimento. La plasticità sinaptica è un processo per mezzo del quale un incremento dell’efficacia sinaptica è prodotto dalla persistenze e ripetuta stimolazione del neurone postsinaptico da parte dei quello pre-sinaptico. → se due neuroni sono attivi contemporaneamente la connessione viene rafforzata → “ciò che scarica assieme sta assieme” Qualsiasi coppia di cellule o sistema di cellule che sono ripetutamente attive allo stesso momento tendono a diventare «associate», così che l’attività di una facilita l’attività dell’altra. Quando una cellula interviene ripetutamente nell’indurre la scarica in un’altra, l’assone della prima cellula sviluppa bottoni sinaptici (o ingrandisce quelli che ha già) in contatto con la seconda cellula. La regola di Hebb può essere quindi riassunta nel seguente enunciato: «Cellule che scaricano assieme tendono ad essere collegate assieme». PLASTICITÀ DEI CAMPI RECETTIVI STUDIO DI FRÈGNAC: “ A cellular analogue of visual cortical plasticity” Sulla base dei meccanismi di plasticità sinaptica teorizzati da Hebb, lo studio di Frègnac et al. (1988) indaga la plasticità dei campi recettivi dei neuroni. Metodo: - soggetti: gattini e gatti adulti - procedura di accoppiamento tra stimolo e risposta modulata da iontoforesi Intoforesi = tecnica attraverso la quale viene modulata la risposta fisiologica della cellula ad uno stimolo. La modulazione avviene attraverso la somministrazione al neurone di correnti positive o negative. Stimoli: vengono presentati uno stimolo S+ ed uno S- in grado di evocare risposte diverse nella cellula per quanto riguarda dominanza oculare e orientamento. NB: S+ = stimoli che evocano una risposta ottimale nel neurone Condizioni sperimentali: – controllo: presentazione di S+ e S- senza intoforesi – pseudo pairing: presentazione di S+ e S- senza relazione con intoforesi – pairing: presentazione sistematica di S+ seguito da corrente positiva e S- seguito da corrente negativa => 50 sequenze di S+ e S- per ogni condizione → uno stimolo evocava una risposta maggiore dall’occhio destro ed era verticale, mentre l’altro evocava una risposta maggiore dall’occhio sinistro ed era orizzontale Valutano due proprietà del campo recettivo: la dominanza oculare e la risposta preferenziale all'orientamento Risultati • Effetti della intoforesi sulla risposta di dominanza oculare di un neurone monoculare sinistro, con stimolo all'occhio destro: Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da prevalentemente monoculare sinistro diventa binoculare con leggera preferenza sinistra. • Effetti della intoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento: neurone “verticale” Alla comparsa dello stimolo orizzontale viene applicata una corrente positiva al neurone. Alla comparsa dello stimolo verticale viene applicata una corrente negativa al neurone. • Effetti della intoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento Dopo l’accoppiamento il neurone mostra una modifica delle proprietà del suo campo recettivo, che da passa da un selettività di risposta per lo stimolo verticale ad una selettività per quello orizzontale. PERCEPTUAL LEARNING: specificità dell'input sensoriale Si può allenare il cervello in determinate attività (per esempio attraverso dispositivi wii e nintendo, cruciverba, sudoku, etc), ma ciò porta a risultati trasversali ovvero ad un apprendimento aspecifico? Il Perceptual Learning (o apprendimento percettivo) consiste in un miglioramento delle capacità percettive del soggetto dovuto all’esperienza o allenamento, miglioramento che si mantiene nel tempo. Studiare il PL è interessante per vari aspetti, pratici ma anche teorici: – pratici: come allenare al meglio alcune abilità? – teorici: come apprende e si modifica il sistema sensoriale a livello corticale? => Il PL è una manifestazione di plasticità corticale. Un famoso detto recita: «La pratica rende perfetti». Forse la pratica non consentirà di raggiungere la perfezione ma di sicuro aiuta ad aumentare le capacità allenate. → A seguito di una quotidiana esposizione alle radiografie, i radiologi sviluppano un’abilità a vedere macchie di contrasto rilevanti in immagini che al profano non dicono nulla. → E’ sulla capacità degli operatori ai sistemi x-ray degli aeroporti a discriminare piccoli dettagli che contiamo per la nostra sicurezza in volo. Questa abilità si affina con l’allenamento. In merito agli aspetti teorici del PL possiamo porci alcune domante importanti: • L’apprendimento è un processo specifico o generale (=aspecifico)? – Una visione comune, anche in ambito educativo, è che allenare il cervello a fare qualcosa produca un effetto positivo generale. – L'apprendimento può essere specifico relativamente al contesto: per esempio nella dipendenza da eroina oppure un esempio è relativo all'esperimento in cui dei sommozzatori apprendevano materiale verbale in acqua o su terra ferma e dovevano rievocarlo in acqua o su terra ferma (prestazioni migliori se la rievocazione avveniva nel medesimo contesto della codifica). • Quali sono i meccanismi che consentono all’apprendimento di aver luogo? • Quali sono le basi neurali del PL? • Cosa ci dice il PL in merito alla plasticità corticale nell’adulto? Per tentare di dare delle risposte a queste e altre domande restringeremo il nostro interesse al Perceptual Learning nella modalità visiva. Per cominciare vediamo due studi importanti che negli anni 80 del secolo scorso hanno indagato alcuni aspetti del PL: Fiorentini & Berardi (1981); Ball & Sekuler (1987). Questi studi sono tra i primi che hanno dimostrato la specificità del PL in riferimento alle caratteristiche dello stimolo sul quale viene fatto un compito di discriminazione. → Tali studi sono stati condotti senza tecniche di neuro-immagine, ma solo sulla base delle conoscenze dell’organizzazione del sistema visivo, questi due studi cercano anche di dare una risposta sulle possibili basi neurali del PL studiato. LAVORO DI FIORENTINI E BERARDI (1981): “Learning in grating waveform discrimination: specificity for orientation and spatial frequency” Gli autori studiano il PL per stimoli che consistono in 2 grating semplici oppure di 4 grating complessi di varie forma d’onda. Nello specifico, lo scopo del lavoro è valutare gli effetti dell’allenamento sull’abilità di discriminare tra i vari stimoli, e vedere se l’abilità acquisita: • viene mantenuta nel tempo • si trasferisce tra stimoli diversi Stimoli – 4 differenti grating complessi di differente forma d’onda 2 grating sinusoidali semplici con differente frequenza spaziale (7% di differenza) – Gli stimoli sono visti binocularmente in tutti gli esperimenti, tranne che nell’esperimento sul trasferimento interoculare. NB: se i neuroni coinvolti sono binoculari ci sarà specificità nel trasferimento di apprendimento; se i neuroni implicati sono monoculari non vi sarà specificità nel trasferimento di apprendimento. Procedura La discriminazione dei vari grating, semplici o complessi, si basa su di un compito a scelta forzata a 2 intervalli (2AFI). Nel compito con i grating complessi c’è un grating di riferimento, a, che viene presentato con il rating b, c, oppure d. → Ogni grating viene presentato per 100ms. ISI = 500ms I due grating sono presentati in due intervalli separati, in ordine casuale. Il primo grating è presentato con un suono. Il soggetto riporta se il grating a era presente nel primo (con suono) o secondo intervallo. La stessa procedura è usata per studiare la discriminazione dei grating semplici con diverse frequenze spaziali. Il grating di riferimento aveva una frequenza spaziale pari a 10Hz. Il grating test pari al 7% in più. Nelle prime 3 sessioni sperimentali ogni soggetto è testato con gli stimoli complessi verticali, oppure con gli stimoli semplici con una certa frequenza spaziale di riferimento (10hz). → Questo per valutare gli effetti dell’apprendimento e del suo mantenimento nel tempo Nelle successive sessioni sperimentali i grating complessi vengono presentati ruotati di 90°, cioè orizzontali. Quelli semplici con una nuova frequenza di riferimento più alta. → Questo per valutare il grado di trasferimento del PL da un set di stimoli ad un altro con altri parametri (orientamento oppure frequenza). Numero di prove: da 100 a 500 per sessione. Soggetti: 10 soggetti → 5 soggetti esperti di esperimenti di psicofisica → 5 soggetti naive Risultati: • apprendimento del compito – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda I risultati mostrano un chiaro effetto dell’apprendimento. I soggetti diventano sempre più bravi nel discriminare gli stimoli, in tutti e 3 gli accoppiamenti. Si mostra quindi PL. – Compito con i grating semplici di diverse frequenze spaziali I risultati mostrano che in questo tipo di compito non c’è apprendimento. Quindi non si evidenzia PL. • mantenimento del compito – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si mantiene di sessione in sessione nei vari giorni. Ad ogni nuovo giorno il livello di AC parte da un valore sempre più elevato. Un soggetto è stato testato a 6 settimane di distanza e il PL era parzialmente conservato. • PL specifico per orientamento – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Quando dopo aver appreso la discriminazione di forma d’onda con gli stimoli verticali si passa a quelli orizzontali la prestazione riparte dal valore inziale. => Non c’è trasferimento del PL, che si dimostra specifico per la caratteristica dello stimolo. => specificità dell'apprendimento, quindi non avviene trasferimento di apprendimento. → Vi sono neuroni che codificano un orientamento specifico degli stimoli, per esempio un orientamento verticale e non un orientamento orizzontale. • grado di specificità per orientamento – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si dimostra specifico per l’orientamento dello stimolo anche quando la caratteristica appresa è la forma d’onda. Esiste trasferimento sino ad una rotazione di 30°. A 45° il PL non si trasferisce più. • specificità per frequenza spaziale – Compito con i grating complessi di differente forma d’onda Il PL si dimostra specifico anche per la frequenza spaziale dello stimolo. Se allenato con stimolo a 3c/d quando si passa a 6c/d il PL deve ricominciare. SPECIFICITÀ PER POSIZIONE SPAZIALE Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per posizione spaziale dello stimolo, o se si trasferisce nelle varie parti del campo visivo, alcuni soggetti sono stati allenati in due differenti parti del campo visivo. NB: specificità spaziale → neuroni con campi recettivi piccoli. Il PL si dimostra specifico per la posizione del campo visivo nella quale è avvenuta la stimolazione sensoriale. Cambiando la posizione dello stimolo il PL deve ricominciare. SPECIFICITÀ OCULARE Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per l’occhio allenato, prima hanno allenato i soggetti a fare il compito con visione monoculare sinistra. Poi hanno iniziato l’allenamento in visione monoculare destra. → I risultati hanno mostrato trasferimento completo dell’allenamento da un occhio all’altro. Questo indica che le basi neurali dell’apprendimento di questo tipo compito sono localizzabili ad uno stadio di convergenza delle informazioni tra i due occhi. Il primo stadio di convergenza sono i neuroni binoculari di V1 (p.es. lo strato sopragranulare). Conclusioni Il PL di stimoli come quelli usati nel presente studio risulta specifico per: posizione spaziale, orientamento (oltre i 30°) e frequenza spaziale. Il PL una volta ottenuto si mantiene nel tempo. Inoltra, mostra trasferimento inter-oculare, il che suggerisce una base neurale che deve essere in V1 o successiva. LAVORO DI BALL E SEKULER (1987): “Direction-specific improvement in motion discrimination” Il loro obiettivo è studiare la «plasticità» del meccanismo di apprendimento della percezione del movimento. In particolare sono interessati a studiare la specificità di tale apprendimento e la sua durata. Infine, cercano di capire quali possano essere la basi neurali di questo tipo di PL. • Esperimento 1 Metodo Presentano un insieme di punti in movimento lungo un certo asse in due distinti intervalli di tempo. Ogni insieme è composto da 400 punti e si muove per 500 ms (velocità di movimento, 10°/sec). I due intervalli sono separati da 200 ms. In metà delle prove i due insiemi si muovo lungo la stessa direzione, nell’altra metà hanno direzioni diverse (differenza di 3°). → Compito del soggetto è dire «uguali» vs. «diversi» Viene fornito un feedback ad ogni trial. La capacità discriminativa viene misurata lungo vari assi di movimento: 0°, 45°, 90°, 135°, 180°, 225°, 270° e 315°. 7 Sessioni sperimentali, divise in sessioni di test e di training: – nelle sessioni 1, 4 e 7 viene misurata la capacità discriminativa in ognuna delle 8 direzioni possibili – nelle sessioni 2, 3, 5 e 6 viene invece allenata una specifica direzione di movimento, assegnata a caso ad ogni soggetto (500 trial) – da 10 a 12 giorni di allenamento Risultati Per misurare la capacità discriminativa lungo i vari assi con il compito same/different viene utilizzato il d’. Un primo risultato dimostra che la capacità discriminativa è migliore lungo gli assi cardinali rispetto a quelli obliqui, sia prima che dopo il training: • prima: cardinali d’=1.55; obliqui d’=0.55 • dopo: cardinali d’=3.10; obliqui d’=1.60 Specificità: La capacità discriminativa migliora con le varie sessioni di allenamento. Il miglioramento è però specifico per la direzione allenata. Il PL in questo compito mostra un limitato effetto di trasferimento, che si osserva per le posizioni che distano al massimo 45° da quella allenata. Mantenimento: La capacità discriminativa dopo essere stata allenata viene mantenuta, senza ulteriore allenamento, per un certo tempo (3 settimane). Anche dopo un anno dopo l'ultimo allenamento, l'apprendimento viene mantenuto. • Esperimento 2, ruolo del feedback: Metodo Uguale all’Esperimento 1 solo che viene tolto il feedback ad ogni trial per valutare il suo effetto sul PL. In realtà alla fine di ogni sessione viene dato un feedback complessivo sulla prestazione nella sessione. Risultati Il feedback non è necessario per l’apprendimento lungo gli assi cardinali. Ha un ruolo modesto su quelli obliqui. → L’aiuto fornito dal feedback lungo gli assi obliqui probabilmente dipende dal fatto che il compito in queste condizioni è più difficile e quindi un aiuto dal parte del feedback in condizioni di maggior incertezza può migliorare il PL. Lo scopo dei prossimi esperimenti è quello di cercare di individuare, per quanto possibile, le basi neurali del PL associato alla discriminazione della direzione di movimento. Per capire lo stadio a cui avviene il PL viene Trasferimento inter-oculare: – Ultimo esperimento in cui gli autori valutano il grado di trasferimento dell’apprendimento tra i due occhi. – 3 partecipanti sottoposti allo stesso paradigma di training ma su un solo occhio, mentre l’altro veniva bendato per tutta la durata delle sessioni. => I risultati dimostrano una percentuale di trasferimento piuttosto bassa (18%), paragonabile a quella ottenuta spostando i target su una nuova posizione all’interno dello stesso quadrante. Conclusioni I risultati di questo studio indicano che l’efficienza con cui i partecipanti riescono ad estrarre informazioni rilevanti da una texture può essere migliorata attraverso la pratica, fino ad una drastica diminuzione del tempo necessario per una corretta elaborazione degli stimoli. Questo tipo di apprendimento risulta specifico per posizione ma non per orientamento dei target. Tuttavia l’apprendimento risulta specifico per l’orientamento delle linee sullo sfondo. → Gli autori non forniscono una spiegazione convincente per questo risultato! Il lavoro di Karni e Sagi ci da una prima idea di come Il PL sia un fenomeno complesso, strettamente legato al tipo di compito ed ai meccanismi visivi coinvolti. Ma cosa ci può dire la specificità retinica che è stata osservata nel loro studio in merito allo stadio di analisi in cui avviene il PL? LAVORO DI SCHOUPS, VOGEL E ORBAN (1995): “Human perceptual learning in identifying the oblique orientation: retinotopy, orientation specificity and monocularity” L’intento principale del loro studio è quello di investigare a fondo il trasferimento e la specificità del PL, tenendo in considerazione varie posizioni spaziali a distanza diversa da quella addestrata. Inoltre gli autori intendono studiare anche il trasferimento del PL a livello interoculare. Metodo – Partecipanti: 6 soggetti naïve – Stimoli: gratings definiti da strisce di rumore visivo, della grandezza di 2.5° Procedura Un solo grating veniva presentato ad ogni prova per 300 ms. I partecipanti dovevano rispondere se il grating era orientato in senso orario o antiorario rispetto ad un’inclinazione di riferimento (inclinazione a sinistra). Venivano effettuati 16 blocchi di 100 prove al giorno, fino al raggiungimento dell’asintoto di apprendimento. Ad ogni blocco veniva utilizzata una procedura staircase up-down che puntava all’84% di risposte giuste. Questa percentuale era chiamata JND (Just Noticeable Difference) e forniva una misura in gradi di angolo visivo (inclinazione dello stimolo dai 45°) della capacità discriminativa del soggetto. Risultati Tutti I soggetti migliorarono le prestazioni nel compito di discriminazione di orientamento. Il training è evidente come gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.). Specificità orientamento Se però viene ruotato lo stimolo di 90° il PL viene perso e deve ricominciare L’effetto è presente nel gruppo ma anche nel singolo soggetto (K. L.) Così come nei risultati di Karni e Sagi, l’apprendimento era rapido nella fase iniziale e rallentava dopo le prime 5-10 sessioni. Trasferimento retinotopico L’apprendimento osservato nel compito di discriminazione di orientamento è da considerarsi ristretto alla regione stimolata? Quanto è precisa la componente retinotopica dell’apprendimento, e quanto lontano devono essere uno stimolo addestrato ed uno nuovo per non osservare nessun grado di trasferimento? => Dopo aver testato lo stimolo su varie posizioni spaziali, gli autori osservarono una completa mancanza di trasferimento. Trasferimento inter-oculare – 4 soggetti vennero sottoposti a training monoculare nel compito di discriminazione di orientamento – Dopo il raggiungimento del grado massimo di apprendimento, vennero testati con gli stessi stimoli, ma sull’occhio non addestrato – 3 dei 4 soggetti mostrarono un trasferimento inter-oculare completo! Non vi è apprendimento all’interno della stessa sessione di allenamento!!! L’apprendimento pare aver luogo solo tra sessioni consecutive in diversi giorni. Gli autori ipotizzano che sia necessaria una fase di consolidamento dell’apprendimento che avviene durante il sonno notturno. Conclusioni L’apprendimento percettivo legato alla pratica porta ad un significativo aumento della capacità di discriminare orientamenti. Date le caratteristiche di questa forma di apprendimento, è possibile assumere che i suoi correlati neurali siano situati a livelli precoci delle aree visive. Uno dei risultati importanti è l’elevata specificità retinica del PL in questo tipo di compito. Il miglioramento non avviene nella sessione di training ma tra sessioni diverse in giorni diversi. • Necessità fase di consolidamento notturno • In realtà spesso si osserva miglioramento anche all’interno della stessa sessione → Forse dipende dal compito discriminativo usato PERCEPTUAL LEARNING: attenzione e apprendimento percettivo Abbiamo visto che l’apprendimento è specifico per le caratteristiche dello stimolo allenato (p.e. posizione retinica, orientamento). Queste specificità dell’apprendimento percettivo sono importanti perché suggeriscono che il meccanismo di apprendimento interessa stati precoci dell’elaborazione dell’input visivo in cui le informazioni (come orientamento o posizione retinica) sono segregate. A questo punto possiamo porci alcune domande importanti: • Come viene controllato il processo di apprendimento percettivo? • Apprendiamo tutto ciò a cui siamo esposti in modo indiscriminato? Si tratta di un processo completamente «bottom-up»? Senza controllo o supervisione? • Come facciamo a selezionare ciò che è importante? Quali sono i fattori che regolano la plasticità corticale indicando quali informazioni sono rilevanti e quali no? • L’apprendimento sembra avvenire ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. Quanto è forte l’impatto dell’attenzione a questo livello? SHIU E PASHLER:“Improvement in line orientation is retinally local but dependent on cognitive set” Se prestare attenzione ad uno stimolo nel suo complesso è sufficiente ad indurre apprendimento, allora la caratteristica specifica su cui ci si allena dovrebbe essere irrilevante. Ci potrebbe essere un miglioramento della prestazione nella posizione allenata indipendentemente dal compito fatto sullo stimolo. → l'attenzione deve essere allocata alla caratteristica dello stimolo. Prestare attenzione ad uno stimolo, significa apprendere tutte le caratteristiche dello stimolo? No, solo la caratteristica precisa a cui si sta prestando attenzione. Esperimenti 1 e 2: Specificità e ruolo del feedback I lavori precedenti avevano dimostrato che il PL era specifico per: - direzione di movimento (Ball & Sekuler, 1987) - frequenza spaziale (Fiorentini & Berardi, 1981) - orientamento della tessitura (Karni & Sagi, 1991) - posizione spaziale (Vogel & Orban, 1985) Gli autori vogliono quindi confermare che il PL è specifico per la posizione retinica, orientamento dello stimolo e verificare se è influenzato dal feedback. • Esperimento 1 Metodo Stimoli: - linee inclinate a 7° o 9.8° - linee presentate in due posizioni retiniche opposte Due tipi di compito: 1. Discriminazione («uguale» o «diverso»?) 2. Identificazione (7° o 9.8°?) Una sessione di training → 12 blocchi di allenamento: - training in una posizione per i primi 9 blocchi - test in un’altra posizione per gli ultimi 3 blocchi Manipolazione del feedback (tre gruppi di partecipanti) - un gruppo: feedback ad ogni prova - un gruppo: feedback solo a fine blocco (% risposte corrette) - un gruppo: mai nessun feedback Risultati Specificità per posizione spaziale → La prestazione peggiora in modo significativo quando le linee vengono presentate in una nuova posizione (emicampo opposto o diverso quadrante). Si dimostra quindi specificità per la posizione allenata. → condizioni trial e block: i feedback hanno risultati pressoché simili; nella condizione senza feedback invece, apparentemente non si riscontra apprendimento. L'apprendimento non è visibile in assenza di feedback. Tuttavia il learning sembra essere latente perché si osserva una caduta della prestazione nella posizione non allenata. Il miglioramento della performance è specifico per le caratteristiche fisiche dello stimolo. Questo suggerisce che l’apprendimento avviene ad un livello in cui i diversi attributi dello stimolo (come orientamento e dimensione), sono analizzati separatamente. La specificità dell’apprendimento è limitata alle caratteristiche che sono rilevanti per il compito utilizzato durante l’allenamento. Una domanda interessante è: cosa succede se, nella fase di test, lo stimolo rimane lo stesso usato durante l’allenamento, ma il compito è diverso? L’apprendimento è guidato solo dalle caratteristiche dello stimolo o c’è specificità dell’apprendimento anche per il contesto comportamentale in cui avviene l’apprendimento? Il Lavoro di Shiu & Pashler aveva suggerito un ruolo specifico dell’attenzione. Risultati: stessi stimoli ma compito diverso L’allenamento sul compito locale porta ad un miglioramento della performance sul compito allenato, ma non sul compito globale. Risultati simili si ottengono anche con l’allenamento sul compito globale, anche se si può notare una certa asimmetria (parziale trasferimento dell’apprendimento). => Alcune considerazioni - Asimmetria del trasferimento • Il compito di detezione viene appreso anche in assenza di attenzione selettiva, a differenza di quanto accade per il compito globale • E’ quindi possibile che la detezione avvenga in aree visive primarie che sono meno influenzabili da fattori attentivi Conclusioni I risultati mostrano che l’apprendimento dipende dalle caratteristiche fisiche dello stimolo che sono rilevanti per il compito su cui viene fatto il training. L’apprendimento è però controllato da un meccanismo attentivo, esso infatti è specifico per le caratteristiche su cui viene portata l’attenzione durante l’allenamento. L’apprendimento interessa quindi solo quei neuroni che sono attivati dalle caratteristiche dello stimolo (specificità), e che, allo stesso tempo, sono rilevanti per svolgere il compito. HUANG, LU, TJAN, ZHOU, LIU: “Motion perceptual learning: when only task-relevant information is learned” Lo scopo di questo esperimento è studiare se è possibile apprendere delle caratteristiche soprasoglia di uno stimolo quando queste non sono rilevanti durante la fase di allenamento. In questo studio, diversamente da quelli precedenti, il PL riguarda la percezione del movimento. Metodo Stimoli: Compito: Compito 1 - Detezione di movimento: scelta forzata a due intervalli (movimento nel primo o secondo intervallo?) Compito 2 - Discriminazione: movimento in direzione oraria o antioraria rispetto a direzione di riferimento Questo implica che la direzione di movimento era rilevante solo per i partecipanti a cui era stato assegnato il compito 2. Procedura: 1. Sessione di familiarizzazione • Orientamento di riferimento: 45° o 135° • Compito detezione: - direzione ± 8° dalla direzione di riferimento - % di coerenza fissa (50%) • Compito discriminazione: - direzione ± 40° dalla direzione di riferimento - % di coerenza fissa (50%) • Feedback ad ogni trial • Ripetuto fino al raggiungimento di accuratezza del 95% 2. Stima delle curve psicometriche per entrambi i compiti per ciascun partecipante • Orientamento di riferimento: 45° o 135° • Compito detezione: - % coerenza testate: 5%, 10%, 15%, 20%, 30%, 40% - direzione ± 8° dalla direzione di riferimento • Compito discriminazione: - % coerenza che garantisce 95% di accuratezza in detezione - direzioni testate: ±3°, ±5°, ±8°, ±11°, ±15°, ±30°. • No feedback • La stima delle curve psicometriche viene ripetuta dopo l’allenamento (step 5) 3. Training con compito di discriminazione oppure di detezione • Compito detezione: - 10 partecipanti - % coerenza iniziale: 40%, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette • Compito discriminazione: - 9 partecipanti - direzione iniziale: ±20° dalla direzione di riferimento, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette • Training per 8 o 15 giorni • Feedback ad ogni prova 4. Ripetuta stima delle curve psicometriche (step 2) Risultati soglia complessiva: tutti i partecipanti migliorano in seguito al training, sia nel compito di detezione che in quello di discriminazione. Risultati funzioni psicometriche: – l'allenamento su detezione migliora la detezione ma non la discriminazione – l'allenamento su discriminazione migliora la discriminazione ma anche la detezione Conclusioni L'apprendimento di discriminazione si trasferisce a detezione, ma non viceversa. La direzione del movimento, che non era rilevante per il compito, non fa parte delle informazioni che vengono apprese nel compito di detezione, e quindi non trasferisce al compito di discriminazione. Viceversa il compito di discriminazione richiede sempre anche di rilevare la presenza del movimento (detezione) e quindi l’allenamento trasferisce al compito di detezione. CONCLUSIONI GENERALI I risultati di questi studi suggeriscono che l’attenzione sia un meccanismo fondamentale per il controllo dell’apprendimento percettivo. Perché ci sia apprendimento non solo bisogna portare l’attenzione su uno stimolo, ma bisogna anche selezionare attivamente la caratteristica che si vuole apprendere. PERCEPTUAL LEARNING: specificità vs trasferimento Abbiamo visto che esiste un notevole livello di specificità nell’apprendimento di semplici stimoli visivi: – specificità per posizione – specificità per orientamento – specificità per frequenza spaziale – specificità per direzione di movimento – specificità per compito (globale vs. locale) L’elevato livello di specificità è in parte un problema per il PL, perché lo rende limitato alle caratteristiche dello stimolo/compito usato durante l’allenamento. Una questione interessante è se questa specificità sia inevitabile, o se possa essere in qualche modo superata/attenuata. → la specificità non è sempre un vantaggio! E’ quindi possibile indurre una generalizzazione o trasferimento del PL? LAVORO DI XIAO, ZWANG, WANG, KLEIN, LEVI E YU: “Complete transfer of perceptual learning across retinal locations enabled by double training” Fino ad ora abbiamo visto che: Come si può spiegare la specificità del PL? La spiegazione tradizionale è che l’allenamento cambi qualche proprietà di risposta dei neuroni delle aree visive primarie. L’allenamento provocherebbe una regolazione della proprietà di risposta (tuning) dei neuroni, in modo che diventino sempre più sensibili alla caratteristica allenata. PL come tuning in aree visive primarie → dopo il training aumenta la capacità discriminativa e la probabilità di commettere un errore si riduce HP: l'allenamento determina una modifica le proprietà di risposta dei neuroni coinvolti nel compito C'è però un' IPOTESI ALTERNATIVA!!! => Esiste una spiegazione, che presuppone che il PL non dipenda da cambiamenti nelle proprietà di risposta dei neuroni nelle aree visive primarie. => Il PL avviene perché cambiano le connessioni tra aree decisionali di alto livello e i neuroni sensoriali. LAVORO DI MASTROPASQUA et al.: “Location transfer of perceptual learning: passive stimulation and double training” Esperimento 1 L’obiettivo è replicare la specificità spaziale del PL in un compito di discriminazione di orientamento di un gabor. → 800 trial per sessione giornaliera Risultati: si conferma la specificità spaziale del PL per quanto riguarda la discriminazione di orientamento. Esperimento 2 => Il lavoro di Xiao et al. (2008) suggeriva che il trasferimento poteva avvenire perché il doppio compito portava l’attenzione nella seconda posizione, mettendola quindi in collegamento con l’unità decisionale. Nel lavoro di Xiao nella seconda posizione non c’era solo l’attenzione ma veniva svolto anche un compito. Si ottiene lo stesso tranfer senza compito ma solo se viene portata l’attenzione? Paradigma: in ogni prova il gabor nella posizione 1 era seguito da un onset nella posizione 2. → L’onset (= in questo caso un anello luminoso) serviva per portare l’attenzione in posizione 2. Risultati: solo l’attenzione nella posizione 2 non basta a favorire il trasferimento del PL dalla posizione 1 alla 2. Esperimento 3 L’obiettivo è verificare/confermare che con un compito nella posizione 2 è possibile indurre trasferimento del PL dalla posizione 1. Inoltre, diversamente da Xiao et al. (2008), in posizione 2 viene usato un compito (discriminazione X vs Y) con uno stimolo completamente diverso da quello usato per il PL in posizione 1. Paradigma • Posizione 1: orientamento gabor • Posizione 2: X oppure Y? Risultati: si osserva completo trasferimento del PL dalla posizione 1 a 2. C’è PL anche nella posizione 2 nel compito X/Y . Esperimento 4 Obiettivo: quanto è importante la quantità di allenamento nella posizione 2 affinchè trasferisca il PL dalla posizione 1? → Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) nella posizione 2 appare solo nel 20% delle prove => Nessun trasferimento! → l'allenamento deve essere di un certo tipo (ci deve essere una stimolazione sufficiente) per poter produrre trasferimento Esperimento 5 Obiettivo: è sufficiente la stimolazione passiva nella posizione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? • → Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) appare ma non è richiesto alcun compito. => Nessun trasferimento! → è necessario eseguire un compito per un certo numero di volte sufficiente a consentire il trasferimento CONCLUSIONI Gli esperimenti di Xiao et al. (2008) e di Mastropasqua et al. (2015) suggeriscono quanto segue: • il trasferimento del PL è possibile solo se nella seconda posizione si porta l’attenzione. • l’attenzione da sola non è sufficiente • sembra sia necessario un compito nella seconda posizione • il secondo compito può riguardare uno stimolo che non ha nulla in comune con quello allenato nella posizione 1, e per il quale si vuole indurre il trasferimento • la quantità di PL nella posizione 2 è critica per indurre il trasferimento del PL dalla posizione 1 Fare il compito alla seconda posizione consente l'attivazione di connessioni tra aree (aree decisionali → di ordine superiore) e quindi il trasferimento. Per ottenere trasferimento si deve eseguire un compito : non basta l'attenzione + il fatto che lo stimolo non debba essere lo stesso. LAVORO DI MASTROPASQUA e TURATTO.: “Perceptual grouping enhances visual plasticity” (2015) → un caso in cui il trasferimento può avvenire senza compito. → il ruolo del raggruppamento percettivo e dell’attenzione. Premesse Il raggruppamento percettivo influenza il modo in cui si distribuisce l’attenzione spaziale. L’attenzione spaziale modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposure-based’. Conclusione (ipotesi sperimentale) = Il raggruppamento percettivo modula l’apprendimento percettivo di tipo ‘exposurebased’. Esperimento 1 32 partecipanti (4 esclusi dalle analisi) La procedura è quella adottata da Gutnisky et al. (2009) con piccole modifiche – 5 sessioni sperimentali condotte in giorni consecutivi – Ogni sessione prevede una fase di training (esposizione) e poi una fase di test – Eye tracker per il controllo dei movimenti oculari Fase di training: – Perceptual grouping indotto attraverso il principio di similarità (Gestalt) – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi Fase di test: – 900 trial divisi in 3 blocchi consecutivi, ciascuno per ogni posizione – Task: discriminazione di orientazione (same vs. different) Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping. Critica = è stato davvero il perceptual grouping a favorire una prestazione più alta nella posizione grouping rispetto a quella no-grouping? Il miglioramento di prestazione potrebbe essere dovuto ad un trasferimento di learning dalla posizione attesa a quella grouping. → In entrambe le posizioni, il test di discriminazione avviene attorno allo stesso asse di orientazione (60°) → Invece, nella posizione no-grouping il test di discriminazione avviene attorno ad un asse ortogonale (150°) Esperimento 2 38 partecipanti (6 esclusi dalle analisi) Fase di training – Perceptual grouping indotto attraverso il principio della regione comune (Gestalt) – 1500 presentazioni divise in 5 blocchi consecutivi Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no-grouping. Conclusioni Il raggruppamento percettivo sembra essere un fattore importante nei meccanismi di apprendimento percettivo. Non è chiaro se il perceptual grouping agisca sul perceptual learning direttamente o attraverso l’attenzione. → I dati sembrano suggerire più un’azione diretta. → Sono necessari altri esperimenti per indagare meglio il ruolo del perceptual grouping nel perceptual learning. INTRODUZIONE ALLA DIPENDENZA: apprendimento e motivazione Perché studiare i meccanismi che portano alla dipendenza da droghe in un corso sulla plasticità e sull’apprendimento? Cosa c’entra la dipendenza con la plasticità e l’apprendimento? Lo sviluppo e il mantenimento della dipendenza si basano su processi di apprendimento che fanno riferimento ad apprendimenti associativi e non associativi (= abituazione e sensibilizzazione) Un ruolo cruciale è svolto dal condizionamento classico e operante, e da cambiamenti a lungo termine della risposta neurale di alcuni circuiti cerebrali (sensibilizzazione, processo non associativo). Stiamo quindi parlando a tutti gli effetti di meccanismi di apprendimento e quindi di plasticità. Si tratta di una plasticità maladattiva o disfunzionale, ma i meccanismi neurali sono gli stessi di quelli che regolano la plasticità quando si rivela adattiva e funzionale. È evidente che il condizionamento è un processo associativo, in quanto prevede un'associazione tra stimolo e risposta o tra stimolo risposta e outcome. Ma per quanto concerne l'abituazione e la sensibilizzazione? Sembrerebbero processi non associativi. In realtà, talvolta un'associazione c'è: ovvero tra stimolo incondizionato e contesto. Basta pensare alla dipendenza da eroina. Gli argomenti che affronteremo parlando di dipendenza sono: – meccanismi di apprendimento e motivazionali – dalle azioni alle abitudini → alcuni studiosi hanno supposto che lo sviluppo di una dipendenza sia dovuta dal processo che va “dall'azione all'abitudine”. – teorie della dipendenza • teoria edonica • teoria dell’apprendimento anomalo • teoria della sensibilizzazione o salienza motivazionale – basi neurali della dipendenza → circuiti neurali che mediano la risposta a stimoli appetitivi Prima di passare ad analizzare le principali teorie sullo sviluppo della dipendenza è necessario aver chiari i concetti di: apprendimento (classico e operante), motivazione (Teoria di Hull, 1943), teoria degli incentivi (Toates, 1986). Ci sono evidenze che la dipendenza si sviluppa attraverso un processo di apprendimento. => Dipendenza come processo di apprendimento!! In particolare per la dipendenza ha un ruolo importante il condizionamento: • meccanismi di condizionamento strumentale: – assunzione sostanza → rinforzo, e sviluppo di abitudini • meccanismi di condizionamento classico: – alcuni stimoli ambientali (CS) hanno un potente effetto sulla motivazione ad assumere la droga (US) Il condizionamento può essere ricondotto a due principali categorie: – condizionamento classico, anche detto Pavloviano o del I tipo – condizionamento strumentale, anche detto operante o del II tipo CONDIZIONAMENTO CLASSICO Un concetto cardine dell’apprendimento associativo è il fatto che il sistema nervoso si rappresenta la relazione associativa tra due o più eventi (stimoli e/o risposte) che hanno luogo in una finestra temporale relativamente breve. => un apprendimento di questo tipo è vantaggioso perché consente di anticipare determinati eventi => meccanismo che consente di anticipare una risposta Elementi del condizionamento classico – stimolo INCONDIZIONATO (Unconditioned Stimulus, US) = specifico stimolo che evoca automaticamente una certa risposta nell’organismo (il riflesso). Per esempio, il cibo produce la salivazione nel cane. Ogni specie animale può avere i propri US specifici. CONDIZIONAMENTO STRUMENTALE • THORNDIKE – l'apprendimento per prove ed errori I concetti base del condizionamento strumentale/operante furono introdotti grazie al lavoro di Edward Thorndike. Nei suoi esperimenti, per studiare l’apprendimento l’animale (tipicamente un gatto) veniva messo in una gabbia, dal quale era motivato ad uscire per raggiungere la ricompensa: per esempio del cibo. Thorndike misurava quanto tempo impiega il gatto a trovare la soluzione per aprire la gabbia: premere una leva al suo interno. Una volta uscito il gatto ottiene la ricompensa e viene rimesso nella gabbia per un’altra prova. Thorndike scopre che il tempo impiegato dall’animale diminuisce gradualmente con l’aumentare delle prove. Il gatto è motivato a cercare una soluzione per uscire perchè vede del cibo all’esterno e vuole raggiungerlo. Il comportamento è quindi emesso con un obiettivo. → Questo è un aspetto teorico importante che differenzia il lavoro di Thorndike da quello di Skinner. Le azioni sono inizialmente casuali ma guidate dalla motivazione. Alcuni comportamenti non portano a nessuna conseguenza piacevole e quindi non vengono rinforzati. La pressione della leva, all’inizio per puro caso, è invece seguita da un premio: questo aumenta la probabilità che sia ripetuta in seguito. Il meccanismo attraverso cui avviene l’apprendimento è di tipo associativo e riguarda tre termini: stimolo, risposta, conseguenza (Outcome, risultato). Nel caso specifico, dato uno stimolo (la leva), la conseguenza di una risposta (pressione della leva) è una ricompensa, che rinforza l’associazione tra lo stimolo e la risposta, associazione e che viene rinforzata ad ogni ripetizione. Quello che dimostrano gli esperimenti di Thorndike è che l’individuo apprende per mezzo delle conseguenze delle proprie azioni. Thorndike aveva di fatto scoperto il principio di base del condizionamento strumentale o operante studiato poi estesamente da sia da Konorski sia da Skinner. → L’apprendimento avviene in base a rinforzi e punizioni. Il fatto che l’animale impari dalle conseguenze delle proprie azioni non implica necessariamente che esso “creda” che ad una sua risposta segua una certa conseguenza o risultato (outcome). Semplicemente il premio (o la punizione) agiscono sull’associazione tra le due rappresentazioni attive, quella dello stimolo e quella della risposta, rinforzando il legame. • SKINNER – il comportamentismo radicale L’approccio di Skinner allo studio del comportamento, e all’apprendimento come modifica dello stesso, è chiamato COMPORTAMENTISMO RADICALE. → radicale perché non viene riconosciuto a processi mentali un ruolo causale nel comportamento L’assunto centrale di questa prospettiva è che il comportamento è determinato da vincoli genetici e biologici, ma soprattutto dall’interazione dell’organismo con l’ambiente. Skinner ritiene che le cause del comportamento non risiedano in pensieri, emozioni, stati di coscienza,.. => Non nega che esitano questi stati mentali, ma ritiene però che non siano le cause del comportamento Secondo Skinner per spiegare il comportamento si fa appello a queste cause “interne” semplicemente perché non si è in grado di scoprire le vere cause “esterne” del comportamento. => Accetta però il concetto di motivazione indotto dallo stato fisiologico come spinta iniziale ad agire, e come condizione per dare valore al rinforzo (p.e. il cibo). Infatti mantiene i suoi animali al 75% del proprio peso corporeo… Il comportamento è invece determinato dalla storia o schema di rinforzi/punizioni che l’organismo riceve dall’ambiente. Riprende quindi l’idea di Thorndike della legge dell’effetto. Skinner riteneva che qualsiasi comportamento potesse essere riconducibile a due classi: • comportamento rispondente, spiegato dai riflessi e dai principi del condizionamento classico (Pavlov). • comportamento operante, spiegato dalla risposta che l’organismo riceve dall’ambiente in conseguenza delle proprie azioni (Thorndike). Nel condizionamento classico US viene presentato a prescindere da quello che l’animale sta facendo. Nel condizionamento operante US o reward viene presentato solo se l’animale esegue une certa risposta. => La risposta è di solito emessa solo in presenza di uno stimolo (discriminativo). Concetti fondamentali del condizionamento operante: – operante= ogni risposta emessa dall’organismo che produce un effetto sull’ambiente circostante, cioè “opera” sull’ambiente. La pressione della leva (operante) porta alla comparsa del cibo (risposta ambientale). – rinforzo (reinforcer) = ogni evento ambientale che seguendo un certo comportamento alteri la probabilità che questo sia nuovamente prodotto. Esistono due principali classi di eventi ambientali che modificano il comportamento: i rinforzi e le punizioni. Sia i rinforzi sia le punizioni possono essere suddivisi in positivi e negativi: • rinforzo positivo: viene dato uno stimolo appetibile • rinforzo negativo: viene tolto uno stimolo avversivo • punizione positiva: viene dato uno stimolo avversivo • punizione negativa: viene tolto uno stimolo appetibile La distinzione fra rinforzo primario e secondario fa riferimento ai tipi di bisogni cui i rinforzi si riferiscono (fame, sete, piuttosto che denaro). Rinforzi di tipo primario: cibo, acqua, dolore etc. I rinforzi di tipo secondario, noti anche come rinforzi condizionati, vengono appresi con l’esperienza. => Non soddisfano direttamente bisogni primari, ma agiscono consentendo di ottenere i rinforzi primari (con il denaro compro il cibo), oppure soddisfano altre forme di gratificazione tipiche dell’essere umano, come ad esempio il bisogno di empatia e di attenzione. Si spiegano così gli effetti di lodi, sorrisi, incoraggiamenti e vari tipi di riconoscimenti sociali, tutti eventi che sono emessi al fine di controllare il comportamento di chi li riceve. Affinché un certo comportamento si modifichi, e quindi si abbia apprendimento, è importante definire quando premi e punizioni debbano essere somministrati, cioè degli SCHEMI DI RAFFORZAMENTO. Esistono tre schemi di rafforzamento:  schema di rafforzamento continuo = il rinforzo viene dato ogni qual volta l’animale emette la risposta che si vuole modificare.  schema di rafforzamento ad intervallo = il rinforzo viene dato dopo che un certo tempo è passato dall’ultimo rinforzo, a patto che l’animale emetta la risposta. L’intervallo può essere fisso (per esempio dopo 1 minuto dall’ultimo rinforzo), oppure variabile. - Nello schema ad intervallo fisso il rinforzo viene dato ad intervalli di tempo prefissati (per esempio ogni 30 secondi), indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi - Nello schema ad intervallo variabile il rinforzo viene dato ad intervalli di tempo variabili e non predicibili, indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi.  schema di rafforzamento a rapporto - fisso = il rinforzo viene dato dopo un numero prefissato di risposte, a prescindere da quanto tempo è passato dall’ultimo rinforzo. - variabile = il rinforzo viene dato dopo un numero di risposte variabile. PAVLOVIAN INSTRUMENTAL TRANSFER (PIT) Abbiamo trattato sinora il condizionamento Pavloviano e Strumentale come due procedure distinte. In realtà le due procedure possono anche essere combinate per produrre il PIT, un fenomeno interessante che può avere implicazioni importanti per lo studio e la comprensione delle dipendenze. Nel paradigma PIT classico sono previste 3 fasi sperimentali • FASE 1: un condizionamento pavloviano • FASE 2: un condizionamento strumentale • FASE 3: una fase di estinzione in cui i due paradigmi vengono combinati In alcune versioni la fase 1 e 2 possono essere invertite. L’animale è più propenso a lavorare per ottenere il reward (US) se è presente CS rispetto a quando CS è assente. Si noti però che CS non era stato mai presentato durante la fase di condizionamento strumentale (pressione leva). Quindi perché influenza il comportamento? Non esiste una spiegazione univoca del PIT! → Una possibilità è che il CS acquisisca un potere motivazionale (si veda dopo la teoria degli incentivi) che spinge l’animale a lavorare di più per il reward in sua presenza. → Altra possibilità è che il CS renda più saliente la rappresentazione del reward (US) nella mente dell’animale, e che questo aumenti la disponibilità a lavorare per ottenerlo. LA MOTIVAZIONE Partiamo con una semplice domanda: perché un animale si muove, o agisce? Per due ragioni principali: o si muovo per un riflesso, oppure per un scopo. I riflessi sono importanti, ma sono risposte stereotipate che non sono guidate da scopi e motivazioni. La motivazione è uno stato mentale che spinge l’animale ad agire per raggiungere uno scopo. Le motivazioni principali nascono da esigenze fisiologiche. Per esempio: la fame porta a desiderare il cibo e ad agire per ottenerlo; il desiderio sessuale porta a cercare un partner. Una persona che ha sviluppato una dipendenza mostra una grande motivazione all’uso di una certa sostanza. E’ quindi importante avere un’idea di cosa significhi il termine motivazione, e quali siano i possibili meccanismi che generano una motivazione. La teoria più influente sulla motivazione è stata proposta da Clark Hull (1943): drive-reduction theory. • DRIVE-REDUCTION THEORY – Clark Hull Lo scopo di una pulsione (drive) psicologica è quello di ripristinare una condizione di omeostasi nell’organismo. La pulsione psicologica ad agire nasce da un bisogno fisiologico che deve essere soddisfatto. Alcuni bisogni fisiologici innati: fame, sete, sesso, (riduzione del) dolore. Le pulsioni innescano un comportamento mirato al ripristino dell’omeostasi. Il ripristino dell'equilibrio fisiologico porta alla riduzione della pulsione. La riduzione della pulsione funziona come un rinforzo per l’azione che ha portato a tale riduzione. → Se dopo aver bevuto non ho più sete, lo stato di soddisfazione (essere dissetati) è un rinforzo per l’azione “bere”. Un concetto chiave della teoria di Hull è quello di omeostasi. L’omeostasi è la tendenza a mantenere una condizione di equilibrio in un sistema biologico. Esistono vari sistemi omeostatici nel corpo: regolazione del glucosio, del sale, della concentrazione di CO2, etc. Lo spostamento dall’omeostasi genera uno squilibrio fisiologico che si traduce in un bisogno, che genera a sua volta nell’organismo una pulsione (drive) a soddisfare tale bisogno. Nasce la motivazione. Se si riduce il livello di glucosio nel sangue si sente fame, e quindi si è motivati a muoversi per cercare il cibo. Squilibrio = Bisogno Pulsione = Motivazione Il cibo come rinforzo perché riduce la pulsione (riducendo lo stato di fame). L’azione (pressione della leva) rinforzata è quella che ha portato alla riduzione della pulsione. → la pulsione ad agire nasce da uno squilibrio fisiologico ed è volta a ripristinare l'equilibrio omeostatico! In una situazione più naturale l’azione rinforzata dal cibo è l’approccio e il consumo del cibo stess. Il ratto vede il cibo, e lo approccia mangiandolo. • TOATES (1986) E LA TEORIA DEGLI INCENTIVI Toates sottolinea il fatto che i reward edonici sono l’oggetto della nostra motivazione. Il reward edonico è quindi uno stimolo incentivante che produce sensazioni piacevoli quando ottenuto. → Un buon cibo, una bibita rinfrescante, un partner sessuale attraente, etc Toates nota che il valore edonico degli incentivi non è assoluto, ma dipende dallo stato motivazionale. → Quanto ci può piacere un cibo dipende dal fatto che siamo affamati o meno, cioè dallo stato motivazionale. Se abbiamo fame un panino sembra buonissimo. Se abbiamo appena pranzato un panino può essere nauseante. => Cabanac (1979) infatti aveva dimostrato che i soggetti umani giudicano la stessa soluzione zuccherina più o meno buona a seconda del livello di fame. Toates aggiunge un aspetto importante alla teoria originariamente sviluppata da Bolles e Bindra. Se le pulsioni o motivazioni aumentano il potere incentivante del reward, allo stesso moto il reward può aumentare il livello di motivazione. → Ecco perché assaggiare una patatina può portare a mangiare tutto il pacchetto, anche se non avevamo fame. L’influenza tra stato motivazionale e reward è bidirezionale. => La motivazione può potenziare il valore edonico del reward (se ho fame le cose mi sembrano più buone), ma il reward, funzionando come incentivo, può potenziare il livello di motivazione (uno snack mi motiva a mangiarne altri). Abbiamo visto che i CS possono assumere le proprietà di un reward. Quindi, anche un CS può essere in grado di funzionare come incentivo che genera una motivazione. CS => MOTIVAZIONE → I simboli pubblicitari funzionano in questo modo: sono dei CS che innescano un desiderio per il reward. ESPERIMENTO DI WEINGARTEN (1983) => quando un CS innesca un desiderio e la motivazione Weingarten nota che normalmente si ritiene che un organismo cerchi il cibo quando ha fame, cioè è in uno stato di deficienza nutrizionale. → Simile alla teoria drive-reduction di Hull Alcune teorie (Toates, Bindra) suggeriscono però che non sia solo la fame a motivare l’animale a mangiare, ma anche alcuni stimoli esterni associati al cibo. Weingarten vuole quindi testare questa ipotesi, cioè che dei CS possano controllare quando e se l’animale cerca e consuma il cibo, a prescindere dallo stato di fame. – Prima fase (11 giorni) di condizionamento Pavloviano: CS+ (suono) precede rilascio del latte (US) in una ciotola – Seconda fase di test (21 giorni): il ratto ha pieno accesso al cibo tramite un dispenser durante tutto il giorno, ma una volta al giorno viene presentato anche il CS+ e rilasciato altro latte nella ciotola. I risultati mostrano che pur essendo sazio il ratto consuma il cibo rilasciato nella ciotola quando è preceduto dal CS+. Conduce poi un secondo esperimento simile al primo, ma nella fase di test ci sono giorni in cui il CS+ è presente e giorni in cui è assente. La quantità di latte assunto è simile nei due giorni, ma nei giorni in cui è presente il CS+ il 20% del latte viene assunto dalla ciotola dopo che è apparso il CS+. Il ratto quindi compensa la quantità di cibo ingerito in funzione di quella assunta tramite l’incentivo CS. → I ratti assumono la stessa quantità di cibo nei giorni con CS e senza. Il CS è responsabile dell’assunzione del 20% del cibo. I risultati del lavoro di Weingarten dimostrano in modo convincente che la motivazione ad assumere cibo non è determinata solo dalla fame, ma anche da stimoli ambientali (incentivi) che hanno acquisito un loro valore motivazionale attraverso un condizionamento Pavloviano. LA TEORIA DEGLI INCENTIVI - CONCLUSIONI • Il ruolo principale del reward non è quello di rinforzare una risposta ma di promuoverla. • Il reward è quindi un incentivo all’azione. • Il livello di motivazione modula il potere edonico del reward. • Il reward però può alterare il livello di motivazione. • Stimoli condizionati (CS) possono assumere le stesse proprietà del reward, innescando un desiderio (motivazione) per il reward. • Reward, Incentivi e Rinforzi: RIASSUNTO Il reward è un oggetto che ha un valore edonico positivo per un organismo. – Il reward può essere primario (cibo) o condizionato (soldi) attraverso meccanismi pavloviani. – Il reward può essere inteso sia come incentivo sia come rinforzo. L’incentivo è un oggetto che genera un desiderio o motivazione nell’animale. – L’incentivo può essere primario o condizionato. Il rinforzo è un oggetto che aumenta la probabilità che l’animale emetta una risposta. – Il rinforzo può essere primario o condizionato. • Incentivi, reward, pulsioni e motivazione Possiamo concludere che la motivazione può essere innescata da tre fattori: 1. Lo stato fisiologico quando non in equilibrio genera una pulsione (per esempio la fame o la sete). → Ho fame e cerco il cibo. 2. Gli incentivi e gli incentivi condizionati, che possono agire in modo indipendente dallo stato fisiologico. → La vista di un dolce scatena il desiderio di mangiarlo. → La vista dell’insegna PIZZA fa venire voglia di pizza. 3. Un reward che produce uno stato edonico. → Assaggiare un pezzo di pizza fa venir voglia di mangiarne di più. DALLE AZIONI ALLE ABITUDINI • CIRCUITI NEURALI COINVOLTI NELLA DIPENDENZA Prima di iniziare a discutere i meccanismi cognitivi alla base della dipendenza, vediamo una breve e schematica descrizione delle possibili basi neurali sottostanti la dipendenza. Questa breve descrizione sarà utile quando affronteremo le varie teorie psicologiche sulla dipendenza. Molte evidenze indicano che i circuiti neurali coinvolti nella dipendenza sono gli stessi che mediano l’analisi delle ricompense (reward). I neuroni dopaminergici implicati nella risposta al reward originano primariamente dalla Ventral Tegmental Area (VTA). Da qui dipartono due proiezioni principali che danno origine al sistema mesolimbico e mesocorticale: – mesolimbico: verso Nucleo Accumbens (NAcc), Amigdala e Ippocampo; – mesocorticale: verso la Corteccia prefrontale mediale, e la Corteccia cingolata. Il circuito dopaminergico mesolimbico La dopamina (DA) sarebbe il principale neurotrasmettitore coinvolto nella dipendenza. La presentazione di reward naturali (cibo, acqua, sesso) provoca una forte rilascio di DA in questi circuiti neurali. Gli stessi circuiti risultano attivati, spesso in modo spropositato, dalle droghe, specialmente le anfetamine, la cocaina e gli oppiacei (eroina). Alcuni ricercatori hanno proposto che le dipendenze si sviluppino come conseguenza del fatto che l’azione “drogarsi” diventi, a seguito della ripetizione, una forma di abitudine o gesto automatico (Tiffany, 1990). => L’abitudine come meccanismo psicologico della dipendenza. Per capire meglio questa proposta, non condivisa da tutti, dobbiamo chiarire quale sia la differenza tra una “azione” e una “abitudine” (= una risposta diviene automatizzata). Domande cruciali: – Quando nel condizionamento strumentale il ratto preme una leva per ottenere una ricompensa stravolgendo un’azione volontaria o sta rispondendo in modo automatico? – In che modo si passa dall’azione all’abitudine? – Quali conseguenze ci sono quando l’azione diventa un’abitudine? Quando il ratto impara a premere una leva per ottenere il reward, cosa ha imparato rispetto alla relazione tra i due eventi? Non c’è dubbio che pressione della leva e comparsa del cibo siano due eventi fisici legati da un rapporto causa- effetto. Ma questi due eventi sono causalmente collegati anche nella mente del ratto? E’ necessario che il ratto abbia una rappresentazione del rapporto di causa effetto tra pressione della leva e comparsa del reward affinché ci sia condizionamento? In altre parole: il ratto “sa” che deve premere la leva per ottenere il cibo? Può sembrare ovvio che sia così, e forse lo è, ma in realtà non è necessario esista questa conoscenza. Il concetto di rinforzo è stato introdotto da Pavlov per spiegare come avviene l’apprendimento della relazione CS- US. → Se US arriva temporalmente vicino a CS allora funzionerà da rafforzatore della loro associazione, così che CS evocherà US e la risposta associata UR. La stessa logica venne applicata da Skinner per spiegare il condizionamento strumentale. Il reward consolida l’associazione S-R. Secondo Skinner (e Thorndike) il condizionamento operante non richiede che l’animale si “aspetti” che la risposta porti alla ricompensa. => Apprendere senza aspettative! Anche se Thorndike, rispetto a Skinner, credeva che il rinforzo portasse con sé una componente edonica. La ricompensa rafforzerebbe semplicemente la relazione tra stimolo (leva) e risposta (pressione della leva). La logica sottostante al paradigma di svalutazione del rinforzo: → se nel condizionamento strumentale esiste una rappresentazione della relazione A→O, allora non c’è ragione per emettere un’azione se porta ad ottenere un outcome spiacevole. → se invece si tratta di una mera relazione S→R, la risposta evocata dallo stimolo è indipendente dal fatto che il rinforzo sia stato svalutato dopo l’apprendimento. Nella fase 2 il cibo diventa un CS predittore di uno stato di malessere. Diventa quindi un CS avversivo e non desiderato. Risultati I ratti del gruppo P (reward svalutato) non sono interessati a premere la leva per ottenere un alimento che è diventato un CS avversivo. Questo è evidente sia in fase di estinzione sia in fase di riacquisizione del learning. Si noti che l’animale non ha mai avuto occasione di associare la pressione della leva con il malessere causato dalla iniziezione di LiCl. Conclusioni I risultati suggeriscono che i ratti sanno che premendo la leva arriverà un certo reward. Infatti, quando in un secondo momento questo reward viene reso indesiderabile, i ratti riducono molto la pressione della leva. Questo significa che posseggono una rappresentazione che associa tra loro stimolo (la leva) risposta (pressione della leva) e conseguenze dell’azione (arrivo di un certo outcome). => esiste una rappresentazione della contingenza tra azione e outcome!! • DALLE AZIONI ALLE ABITUDINI E IL RUOLO DELLA PRATICA Quindi anche un semplice ratto è in grado di mostrare un comportamento strumentale guidato in modo teleologico. Tuttavia nemmeno per gli esseri umani si può sostenere che tutti i comportamenti siano vere azioni. => Anche noi mostriamo comportamenti stereotipati del tipo S-R. In alcuni casi è addirittura necessario che ci siano tali gesti automatici, come quando impariamo a guidare l’auto in modo efficiente. Nella letteratura sull’essere umano si distingue tra processi controllati e automatici. E’ stato ipotizzato che nel condizionamento strumentale il passaggio da un comportamento controllato di tipo teleologico ad uno automatico regolato dalle abitudini avvenga attraverso una pratica estesa. La ripetizione di un’azione può trasformarla in una risposta. Scoprire se la pratica può trasformare un comportamento guidato da conoscenze e aspettative, in uno automatico o abitudinario che è indipendente dal valore del rinforzo, è potenzialmente importante per spiegare in parte la dipendenza. Quando un’azione diventa un’abitudine quest’ultima potrebbe essere meno sensibile al valore dell’obiettivo o rinforzo che la segue. L’abitudine rende quindi insensibili al reward? Un lavoro di Adams (1982) tenta di dare una risposta a questa domanda. • LAVORO DI ADAMS: “Variations in the sensitivity of instrumental responding to reinforcer devaluation” L’esperimento è diviso in 3 fasi e coinvolge 4 gruppi di ratti: – Un gruppo che esegue poco training (100 prove). Sottogruppo con svalutazione (Devalued) e sottogruppo senza svalutazione (NoDevalued) del reward. – Un gruppo che esegue molto training (500 prove). Sottogruppo con svalutazione (D) e sottogruppo senza svalutazione (N) del reward. – Prima fase di training (condiz strumentale), poi fase di condizionamento avversivo, e poi test in estinzione. Risultati Per il gruppo 500 che ha fatto molto training, cioè ha automatizzato la risposta, la svalutazione del reward non ha effetto. Questi ratti lavorano per il reward indipendentemente dal fatto che sia stato svalutato o meno. Per il gruppo 100 che ha fatto poco training, e per il quale l’azione è guidata dal valore del reward, la svalutazione del reward è cruciale. Questi ratti lavorano solo se il reward non è stato svalutato. Conclusioni I risultati supportano l’ipotesi che con la pratica un’azione che è guidata dagli obiettivi, e quindi sensibile al valore della ricompensa (un comportamento razionale), può trasformarsi in una semplice risposta elicitata dallo stimolo, che poi si trasforma in un’abitudine. I comportamenti abitudinari non sono più azioni razionali, perché vengono eseguiti anche quando portano a risultati non auspicati o desiderati. • L'APPRENDIMENTO AZIONE-OUTCOME Si parla di apprendimento Azione-Outcome quando l’azione è eseguita con l’intenzione di ottenere un certo risultato (outcome) L’azione è sensibile alla svalutazione dell’outcome: – l’animale che aveva appreso a premere la leva per il cibo smette di premerla se il cibo è accoppiato con una sensazione spiacevole (svalutazione del reward); – oppure se l’animale è sfamato (il cibo perde interesse). • L'APPRENDIMENTO STIMOLO-RISPOSTA (abitudine) Si parla di apprendimento Stimolo-Risposta, quando il comportamento dipende dall’esposizione ad un certo stimolo e viene rinforzato da un reward. L’animale non esegue il comportamento con l’intenzione di ottenere il reward, ma è quest’ultimo che ha rinforzato la nascita di una abitudine. La risposta è poco sensibile alla svalutazione dell’outcome. • AZIONI. ABITUDINI E DIPENDENZA Il comportamento degli animali, e dell’uomo, può essere classificato come azione o abitudine. Le azioni sono sensibile al valore del rinforzo che segue, le abitudini molto meno E’ stato proposto che l’uso compulsivo di droghe può in parte essere dovuto al fatto che questo comportamento diventa un’abitudine (Tiffany, 1990). Questa posizione è stata però anche soggetta a critiche. Una possibilità è che le droghe agiscano come rinforzi che favoriscono il passaggio da un’azione ad una abitudine, favorendo l’uso compulsivo delle stesse. TEORIA EDONICA DELLA DIPENDENZA La dipendenza è un comportamento di consumo compulsivo verso sostanze come droghe e alcol – ma può riguardare anche il cibo, il sesso o il gioco d’azzardo. La dipendenza si manifesta quindi come una fortissima motivazione alla ricerca e assunzione di queste sostanze. L’obiettivo è capire i meccanismi psicologici e neurali che determinano la dipendenza. Alcune domande cruciali: – perché si sviluppa una dipendenza? – quali sono i meccanismi psicologici implicati? – la dipendenza può essere controllata? – quali circuiti neurali sono coinvolti? – cosa cambia nel cervello?7 Chiedersi perché le persone iniziano a drogarsi è molto diverso dal chiedersi perché poi continuano a farlo in modo compulsivo. E’ precisamente la compulsività che caratterizza la dipendenza. Le persone possono iniziare a drogarsi per un motivo (per esempio per provare piacere o per noia), ma poi potrebbero continuare per altre ragioni. La dipendenza è inoltre caratterizzata dal rischio di ricaduta Una volta sviluppata una dipendenza la ricaduta è molto probabile anche dopo che si è smesso di assumere droga da molto tempo. L’uso ricreativo delle droghe invece non ha questo problema. Ci sono persone che possono drogarsi senza sviluppare dipendenza. Un dato interessante riguarda l’incidenza dello sviluppo di dipendenza nelle persone che assumono droghe. Circa il 60% della popolazione adulta americana ha fatto, almeno una volta nella vita, uso di droghe (il 90% se si considera anche l’alcol). Tuttavia, contrariamente a quanto si possa pensare solo circa il 20% di chi fa uso di droghe sviluppa dipendenza. La dipendenza non è quindi caratterizzata solo da un uso regolare di droghe, ma... – riguarda una ricerca ed un uso compulsivo a discapito di altre attività sociali (famiglia, lavoro, studio, etc.) – un uso sostenuto anche se la droga non produce più un gran piacere. – ricadute: si torna a drogarsi anche quando i sintomi di astinenza sono terminati. Lo studio della dipendenza si basa ampiamente sui modelli animali (ratti e scimmie): – permette studi anatomici e farmacologici – permette di partire da un organismo pulito e studiare sperimentalmente la transizione verso la dipendenza (questo non è possibile con i soggetti umani) Gli studi clinici su umani consento solo di studiare: – il mantenimento dello stato di astinenza – i cambiamenti neurali associati alla dipendenza Esistono diverse spiegazioni riguardo la dipendenza e i suoi meccanismi, ma la maggior parte può essere ricondotta a tre categorie principali: – teoria edonica – teoria dell’apprendimento anomalo – teoria della salienza motivazionale Tutte le spiegazioni fanno comunque riferimento ad alcune nozioni fondamentali: motivazione; apprendimento; plasticità neurale. Le tre principali teorie su come si sviluppi e si mantenga una dipendenza sono: – la teoria edonica a due stati – la teoria dell'apprendimento anomalo – la teoria della salienza motivazionale. Risultati La sostanza che più spinge il ratto a ricominciare a drogarsi è l’eroina non il Naltrexone. Conclusioni Contrariamente a quanto predetto dalla teoria degli processi opponenti non sembrano essere i sintomi di astinenza che motivano l’uso continuativo della droga. Questi risultati sono un grosso problema per la spiegazione basata sul meccanismo di rinforzo negativo. Eliminare i sintomi di astinenza non è la ragione principale nel mantenimento della dipendenza e nelle ricadute dopo fine astinenza. Un risultato importante è il fatto che l’iniezione priming era basata su una piccola dose di eroina, che però ha favorito la ripresa dell’uso di eroina. Questo indica che è illusorio e pericoloso, per un individuo disintossicato, pensare di poter controllare l’assunzione della droga con bassi dosaggi senza diventarne ancora dipendente. Dopo la disintossicazione anche una sola piccola dose di droga, o una sigaretta, o un bicchiere di alcol, può reinnescare la dipendenza. In realtà come vedremo basta molto meno… • SPIEGAZIONE DEL RINFORZO POSITIVO – EVIDENZE CRITICHE Quando si considera una possibile spiegazione del perché le droghe producono dipendenza bisogna evitare un argomento circolare del tipo: “Le persone assumo droga perché la droga è un rinforzo positivo”. L’argomento è chiaramente tautologico, perché equivale a dire: “Le persone assumo droga perché la droga promuove l’assunzione della droga”. Spiegare la dipendenza dicendo che la droga è un forte rinforzo è solo una ri-descrizione del risultato, non una spiegazione dello stesso. La spiegazione che deve esser data è “perché” la droga è un rinforzo positivo. Tipicamente la spiegazione che viene data è che la droga è un rinforzo positivo perché induce uno stato edonico (piacere/euforia). Quindi la persona per riprovare lo stato di piacere continua ad assumere la droga. Ci sono tuttavia una serie di problemi legati alla spiegazione dell’effetto edonico (euforia/piacere). 1. Se consideriamo la quantità di problemi che la dipendenza comporta, come distruzione relazioni affettive, perdita lavoro, disgregazione familiare, problemi economici e di salute, etc., è difficile credere che la dipendenza (ricerca compulsiva della droga) sia motivata dal raggiungimento di un breve stato di benessere. 2. Ci sono droghe, ad esempio la nicotina, la cui assunzione non produce un grande stato di piacere/euforia, ma che sono in grado di produrre notevole dipendenza. 3. Alcune ricerche dimostrano che c’è una scarsa correlazione tra lo stato soggettivo edonico e l’assunzione di droga. Lo stato edonico tipicamente diminuisce con l’uso prolungato, mentre il bisogno o desiderio di droga aumenta. Quindi il desiderio di droga dovrebbe esser maggiore all’inizio, quando il piacere è maggiore, e non dopo un uso prolungato quando il piacere diminuisce. 4. Lamb et al. (1991) hanno dimostrato che le persone sono disposte a lavorare per dosi di morfina così basse che non producono effetti piacevoli. LAVORO DI LAMB ET AL. (1991): “The reinforcing and subjective effects of morphine in post-addicts: a dose- response study” Nello studio sono stati coinvolti 5 tossicodipendenti da eroina. In ogni sessione i soggetti ricevano 6 iniezioni, 4 di morfina e 2 di placebo. I soggetti non sapevano quale iniezione veniva loro fatta. Una sessione ogni giorno per 5 giorni (Lun-Ven). Per ottenere l’iniezione doveva essere premuto per 1000 volte un pulsante, altrimenti l’iniezione veniva fatta comunque dopo 45 minuti. Alla fine della sessione, usando varie scale, i soggetti riportavano la loro esperienza dopo l’iniezione. Risultati La droga mantiene un elevato rate di risposta in ogni sessione giornaliera. Il placebo invece porta all’estinzione della risposta. La droga rinforza la risposta emessa per ottenerla, ma i soggetti non riportano alcun effetto piacevole dopo l’assunzione (esclusa la dose da 30mg). Conclusioni Alla luce dei loro risultati Lamb e collaboratori conclusero che: “These resuts indicate that there can be a significant dissociation of the reinforcing and the subjective effects of opioids, which has implications for theories of opiod abuse, particularly those assuming that the reinforcing effects are causally related to the euphoric effects of opioids” Come vedremo questa dissociazione è centrale nella teoria della Salienza Motivazionale.. Il lavoro di Lamb et al. (1991), così come quello di analogo di Fischman & Foltin (1992), è importante per stabilire che nella dipendenza il desiderio all’uso della droga (“wanting”) non è sempre attribuibile al piacere (“liking”) che ne deriva. Se normalmente pensiamo di desiderare quello che ci piace, nella dipendenza il piacere non è necessariamente la causa del desiderio di droga. • CONCLUSIONI Sebbene il piacere collegato all’uso della droga, così come i sintomi di astinenza che emergono alla sospensione della stessa, possono essere fattori implicati nell’uso e abuso della droga, molte evidenze critiche suggeriscono che potrebbero non avere un ruolo cruciale nello sviluppo e mantenimento della dipendenza. DIPENDENZA E APPRENDIMENTO ANOMALO TEORIA DELL'APPRENDIMENTO ANOMALO Secondo questa prospettiva teorica la dipendenza si sviluppa per un passaggio da un uso iniziale controllato, probabilmente motivato dal piacere, ad uno uso incontrollato imputabile alla creazione di associazioni molto forti tra stimoli ambientali e azioni, ricordi o sensazioni, associate alla droga. Queste associazioni o apprendimenti sarebbero particolarmente potenti (i.e. anomale o aberranti) perché la droga attiva in modo esagerato il sistema dopaminergico di rinforzo (normalmente implicato nei meccanismi di apprendimento), portando a comportamenti compulsivi in presenza di alcuni stimoli. Le associazioni che verrebbero potenziate dalla droga in modo anomalo possono essere di 3 tipi: – action-outcome (azione-risultato) – stimolo-risposta (formazione di abitudini) – stimolo-stimolo (condizionamento Pavloviano) Questi apprendimenti o associazioni possono essere sia espliciti o consapevoli, sia impliciti o inconsci. • APPRENDIMENTO ANOMALO COSCIENTE Quando le persone assumono la droga è probabile che apprendano in modo consapevole due tipi di relazione: • quella tra certi stimoli ambientali e la droga (S-S) → Associo lo spacciatore alla droga, o la bottiglia di vino all’alcol • quella tra l’azione di assumere la droga e gli effetti della droga stessa (A-O) → Associo l’azione di cercare e poi iniettarmi l’eroina con la sensazione piacevole che ne che segue L’associazione avviene quindi tra alcuni stimoli o azioni e il ricordo esageratamente ottimistico degli effetti della droga (simile alla teoria edonica). L’attivazione di questo ricordo fa nascere inevitabilmente il desiderio di riassumere la droga. Ma può una aspettativa o ricordo anche esageratamente ottimistico degli effetti della droga portare all’uso compulsivo della droga? Non sembra molto probabile, se consideriamo: – i resoconti che della loro vita fanno le persone dipendenti: spesso disastrosa e piena di sofferenza. – che le persone dipendenti spesso riportano che drogarsi non gli procura più molto piacere. → Nonostante questo “desiderano” e cercano la droga. • APPRENDIMENTO ANOMALO IMPLICITO Un’altra possibile spiegazione legata all’apprendimento anomalo fa riferimento ad un apprendimento di tipo implicito o non cosciente. Gli apprendimenti in questo caso sono del tipo: • S-R (condizionamento strumentale > abitudine): CS => R • S-S (condizionamento Pavloviano): CS => US Una visione tradizionale della dipendenza vuole che il passaggio dall’uso ricreativo a quello compulsivo avvenga perché la droga trasforma un’azione (A-O) in una ABITUDINE (S-R). Molti autori hanno proposto che la dipendenza si basi su un meccanismo S-R che, data la presenza di certi stimoli, porta all’assunzione della droga. (Tiffany, 1990; O’Brien & McLennan, 1996; Robbins & Everitt, 1999; Berke & Hyman 2000) L’abitudine farebbe perdere, in alcune persone, il controllo volontario sull’uso della droga. Particolari stimoli ambientali, associati con l’uso della droga, scatenano la risposta compulsiva di ricerca e assunzione della droga. Il soggetto mantiene R sotto controllo: può decidere di non mangiare perchè sa che quel cibo lo farà ingrassare! Il soggetto non ha nessun controllo: su R. La sua risposta è determinata dalla presenza e disponibilità della droga. • APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO E DROGA: la modulazione della sensibilizzazione Alcuni studi hanno dimostrato un ruolo dei processi di apprendimento associativo nella sensibilizzazione agli psicostimolanti (p.e. cocaina, anfetamine) Abbiamo già visto che la droga può dar luogo ad un processo di adattamento neurale che è noto come tolleranza o assuefazione. In cosa consiste la sensibilizzazione? La sensibilizzazione si riferisce al processo opposto, e quindi al fatto che la ripetuta somministrazione di droga può portare all’aumento di alcuni effetti della droga Questo avviene perché alcuni neuroni cambiano le loro sinapsi a causa della somministrazione della droga, che quindi induce plasticità neurale nel sistema. STUDIO DI ANAGNOSTARAS E ROBINSON (1996): “Sensitization to the psychometric stimulant effects of amphetamine: modulation by associative learning” Gli autori voglio studiare se gli effetti di sensibilizzazione prodotti dalla cocaina dipendono dall’ambiente nel quale viene assunta la droga. In altre parole se gli effetti sensibilizzanti della droga sulla locomozione sono contesto dipendenti. Importante per capire quando gli stimoli ambientali possano modulare gli effetti della droga. Una prima fase di trattamento e una seconda di test: in entrambe le fasi i ratti vengono messi in un rotatore per misurare la loro attività motoria. Sono usati 3 gruppi di ratti: • ratti che dalla gabbia (H=home) vengono portati nel rotatore (R) e qui ricevono una iniezione salina (R-H-) • ratti che dalla gabbia vengono portati nel rotatore e qui ricevono una iniezione di cocaina (R+H-). • ratti che dalla gabbia vengono portati nel rotatore. Poi quando sono riportati in gabbia ricevono iniezione di cocaina (R-H+). Nella fase di test i ratti ricevono nel rotore una iniezione di cocaina prima di iniziare il test. Risultati 1) la somministrazione ripetuta (ogni giorno per 10 giorni) della cocaina provoca un effetto di sensibilizzazione: la stessa dose ogni volta che viene somministrata fa aumentare la risposta psicomotoria dell’animale. 2) l’effetto di sensibilizzazione si dimostra essere dipendente dal contesto. La sensibilizzazione si osserva solo quando l’animale assume la droga nello stesso contesto (ambiente) nel quale avevano avuto luogo le iniezioni precedenti. => Si noti che i gruppi R+H- e R-H+ hanno ricevuto entrambi le stesse iniziezioni di droga durante il training. Ma in fase test l’iniezione nel rotore ha un effetto stimolante più forte solo nei ratti (R+H-) che avevamo ricevuto le precedenti iniezioni nello stesso contesto, il rotore. Conclusioni Lo studio di Anagnostaras & Robinson (1996) dimostra anche che gli effetti della droga (nello specifico quelli di sensibilizzazione) sono soggetti ad apprendimenti di tipo associativo. Nello specifico un apprendimento come la sensibilizzazione, tipicamente considerato di tipo non associativo, è invece modulato dal contesto, con ovvie implicazioni per la dipendenza. Questo spiega perché le ricadute sono spesso favorite dalla presenza di certi stimoli ambientali o contesti. • APPRENDIMENTO ANOMALO: il desiderio indotto L’assunzione centrale della teoria dell’apprendimento anomalo è che attraverso meccanismi di apprendimento associativo come il condizionamento Pavloviano alcuni stimoli (CS) attivino il desiderio della droga (US) attivando il ricordo delle sensazioni edoniche (CS). Alcuni studi di neuroimmagine hanno quindi cercato di vedere se questi CS sono processati in maniera diversa dal cervello delle persone che si drogano. Molti di questi studi hanno in effetti scoperto che alla vista di stimoli che sono collegati alla droga, il cervello delle persone che si drogano risponde con una attivazione maggiore di aree collegate alle emozioni e al controllo cognitivo. → Nelle persone che fanno uso di cocaina la vista di immagini collegate alla droga attiva maggiormente alcune aree cerebrali (tra cui corteccia prefrontale e l’amigdala). • APPRENDIMENTO ANOMALO: CONCLUSIONI Attraverso un meccanismo di condizionamento Pavloviano, alcuni CS ambientali attivano in modo potente il desiderio della droga (US). Ricordiamoci inoltre che potrebbero portare all’uso della droga anche in base a meccanismi di autoshaping, evocando un comportamento di approccio e consumatorio. Alcune di queste sensazioni possono anche essere spiacevoli, sintomi da astinenza, a la persona assume la droga per far cessare queste sensazioni, oppure per provare piacere. Nel caso della spiegazione S-R, invece, S attiva una risposta automatica R, che quindi non è nemmeno mediata da un desiderio. In questo caso l’uso della droga sarebbe un’abitudine compulsiva. La teoria dell’apprendimento anomalo, sia nella versione S-R, sia nella versione S-S, sebbene offra una spiegazione intuitiva, è stata oggetto di osservazioni critiche, che possiamo riassumere come segue: • un’abitudine non significa compulsione (per quanto riguarda la spiegazione S-R). • le sensazioni prodotte da stimoli condizionati non sembrano essere così forti da determinare la compulsione all’uso della droga (per quanto riguarda la spiegazione S-S). Non si può tuttavia escludere che l’apprendimento anomalo possa avere un ruolo nella dipendenza. TEORIA DELLA SALIENZA MOTIVAZIONALE La teoria della salienza o sensibilizzazione motivazionale è nota come “INCENTIVE SALIENCE” o “INCENTIVE SENSITIZATION” e stata proposta da Robinson & Berridge (1993, 2000, 2003; si veda anche Berridge & Robinson 1995, 1998), e offre una prospettiva differente per quanto riguarda lo sviluppo di dipendenza dalla droga. Gli autori notano che la teoria edonica (ricerca di piacere o evitamento del malessere), cosi come quella dell’apprendimento anomalo (abitudine o edonia condizionata), non sembrano in grado di spiegare in modo convincente la dipendenza. Si chiedono quindi quale sia la ragione che possa spiegare perché alcune persone ricercano in modo compulsivo la droga. Individuano due meccanismi che combinandosi assieme danno luogo alla dipendenza: • uno neurale, di sensibilizzazione, • uno psicologico, di condizionamento Pavloviano. • PUNTI PRINCIPALI – Le sostanze che creano dipendenza condividono la capacita di produrre adattamenti a lungo termine (plasticità) in alcuni sistemi neurali. In sostanza le droghe possono cambiare il cervello! – I sistemi cerebrali oggetto di cambiamento sono quelli normalmente coinvolti nei processi che controllano la salienza motivazione dei reward naturali. – Nella dipendenza questi sistemi vanno incontro ad adattamenti neurali critici che li rendono super sensibili alle droghe, e agli stimoli collegati alle droghe. – I sistemi sensibilizzati NON mediano l’aspetto edonico del reward, ma solo quello legato al desiderio, detto “wanting”. – Una volta che il sistema di salienza motivazionale (“wanting”) e ipersensibilizzato, alcuni stimoli ambientali possono dar luogo alla ricerca compulsiva di droga, e quindi alla dipendenza. L’idea centrale della teoria e che le droghe ipersensibilizzino il circuito neurale che regola le ricompense. Questo circuito ha come sede cruciale il Nucleo Accumbens (Nacc), oltre ad altre strutture ad esso collegate (VTA; Nucleo Caudato; Amigdala; Corteccia prefrontale). Poi, attraverso meccanismi di condizionamento S-S questi circuiti rispondono in modo esagerato agli stimoli collegati alle droghe (cioè sono da questi attivati in modo spropositato), generando il desiderio incontrollabile della droga. • IL DESIDERIO VISCERALE Un concetto fondamentale della teoria e quello di desiderio viscerale (inconsapevole) o “wanting”. → Desidero una cosa, ma posso anche non sapere perché! Posso anche desiderare una cosa che non mi piace!!! Secondo gli autori questo concetto va distinto dal desiderio consapevole che e determinato dalla dall’aspettativa che un certo reward ci piaccia! → Voglio il gelato perché so che mi piace. In generale, desidero una cosa perché mi piace. La teoria della SM assume che desiderio viscerale e piacere siano due processi distinti e indipendenti. Non e sperimentalmente facile separare desiderio e piacere, ma alcuni lavori hanno fornito evidenze a favore di questa potenziale separazione. Abbiamo già visto il lavoro di Lamb et al. (1991), in cui gli autori hanno dimostrato che le persone sono disposte a lavorare per dosi di morfina cosi basse da non produrre effetti piacevoli. Nel lavoro di Lamb et al. (1991), le persone mostrano il loro desiderio viscerale per la droga decidendo di lavorare (premere la leva) anche se affermano di non essere in grado di apprezzare gli effetti piacevoli della droga. Un ulteriore lavoro di Winkelman et al. (2005) condotto sugli essere umani dimostra che il desiderio di bere può essere manipolato senza che le persone ne siano consapevoli e senza che ci sia un cambiamento nel loro stato emotivo. Risultati Durante la fase di somministrazione esposizione alla iniezione solo i ratti nella condizione salina+anfetamina mostrano una attività motoria aumentata. Effetto psicomotorio della anfetamina. • Durante la fase di auto-somministrazione solo i ratti che sono stati sensibilizzati dalla anfetamina sono disposti a lavorare per una dose infinitesimale di droga. • In realtà l’effetto emerge solo per i ratti (HR) che avevano una risposta psicomotoria elevata a stimoli nuovi (alto livello di arousal) mostrano segni di sensibilizzazione alla anfetamina. • L’antagonista SCH blocca l’effetto dell’anfetamina e quindi la sensibilizzazione. I ratti non premono la leva per la dose minima di droga, non sviluppano wanting viscerale. Conclusioni L’esposizione alla anfetamina produce una sensibilizzazione che si manifesta come disponibilità dei ratti a lavorare per la droga. La sensibilizzazione e evidente perché i ratti sono disposti a lavorare per una piccola dose per la quale i ratti non esposti alla anfetamina (i.e. non sensibilizzati) non lavorano (non premono la barra più della barra che non porta all’iniezione). La sensibilizzazione e più accentuata nei ratti che mostrano una predisposizione a effetti psicomotori. LAVORO DI SHIPPENBERG (1996): “Sensation to the conditioned rewarding effects of morphine pharmacology and temporal characteristics” Obiettivi - studiare gli effetti della sensibilizzazione indotta dalla morfina sul condizionamento - verificare dopo quanto tempo si manifestano gli effetti della sensibilizzazione - verificare se sono possibili effetti di cross-sensibilizzazione tra morfina e altre sostanze Paradigma • Prima fase di 5 giorni di esposizione a iniezione di salina o di morfina (5.0 mg/kg). Una iniezione al giorno. • Seconda fase di condizionamento per la preferenza di posizione: – 2 posizioni (diverse per colore) – 4 iniezioni: salina, morfina da 1.5, 3.0, oppure 5.0 mg/kg => conditioning place preference: il ratto riceve la morfina solo in una certa posizione • Test di condizionamento in estinzione => Quale posizione risulterà la preferita del ratto? Si osserva in quale posto il ratto preferisce andare. => Andrà dove ha ottenuto l'iniezione di droga oppure no? Risultati Il condizionamento funziona solo nei ratti pre-trattati con la morfina. La sensibilizzazione aumenta l’effetto della droga nel condizionamento. I ratti erano motivati ad andare dove ricevevano l'iniezione di droga, solo se erano stati precedentemente esposti alla droga stessa. Il condizionamento funziona solo nei ratti pre-trattati con la morfina, ma solo dopo che sono passati almeno 3 giorni dal trattamento. La sensibilizzazione richiede del tempo per manifestarsi. Se viene somministrato un antagonista della droga, gli effetti di quest'ultima non si manifestano. La nicotina agisce su recettori diversi da quelli su cui agiscono gli oppiacei. Conclusioni La somministrazione prolungata alla morfina crea sensibilizzazione alla droga. La sensibilizzazione richiede alcuni giorni prima di manifestarsi comportamentalmente. Evidenza di cross-sensibilizzazione: da nicotina a morfina. La cross-sensibilizzazione è coerente con altri studi e con le osservazioni cliniche che riportano il fatto che la dipendenza da droghe porta anche ad altre dipendenze: alcol, sesso, soldi, gioco d’azzardo. A questo punto ribadiamo l’idea principale della teoria della salienza motivazionale: • la droga sensibilizza in modo durevole i circuiti del reward, che attribuiscono valore motivazionale agli stimoli. Una volta che questi circuiti sono stati sensibilizzati rispondono in modo esagerato sia alla droga, sia, attraverso meccanismi di condizionamento S-S, agli stimoli che sono collegati alla droga. • da un punto di vista psicologico questi stimoli assumono un valore motivazionale enorme, creando desiderio viscerale per la droga e il suo uso compulsivo. Sensibilizzazione e condizionamento classico sono meccanismi che stanno alla base della teoria della salienza motivazionale. Le evidenze viste sinora supportano l’idea principale della teoria della salienza o sensibilizzazione motivazionale. Tuttavia, per esser sicuri che il desiderio viscerale per un reward (come per la droga) nasca dalla sensibilizzazione e dalla percezione di un cue del reward, devono essere escluse spiegazioni alternative. Bisogna escludere che la compulsione sia determinata dal fatto che: – il cue alteri aspetti edonici del reward – il cue crei aspettative cognitive del reward – il cue inneschi abitudini – il cue funzioni come un reward condizionato (cioè rinforzi il comportamento di ricerca della droga) Le condizioni sperimentali adeguate sono state proposte nel lavoro di Wyvell & Berridge (2000). Gli autori combinano l’iniezione di anfetamina nel NAcc per produrre un rilascio amplificato di DA, come avviene nella sensibilizzazione, con un paradigma del tipo PIT (Pavlovian Instrumental Transfer). Questo gli consente di valutare l’impatto di un cue (CS) nel generare desiderio viscerale per un reward (US) in una condizione analoga alla sensibilizzazione. LAVORO DI WYVELL E BERRIDGE (2000): “Intra-accumbens amphetamine increases the conditioned incentive salience of sucrose reward: enhancement of reward wanting without enhanced liking or response reinforcement” • Esperimento 1 Paradigma • Prima fase di condizionamento strumentale, con due leve: solo la pressione di una porta allo zucchero. • Seconda fase di condizionamento pavloviano per due gruppi di ratti: per un gruppo una luce (CS+) precede sistematicamente lo zucchero (ci aspettiamo che avvenga condizionamento), per l’altro gruppo la luce (CSR) viene data in modo random, e quindi non è predittiva dello zucchero (no condizionamento). • Terza fase test in estinzione con paradigma PIT, in cui ai ratti, i momenti diversi, viene iniettata l’anfetamina o una salina di controllo. L'iniezione di anfetamina mima il processo di sensibilizzazione. Il circuito viene reso “iper-rispondente”. Risultati La presentazione del CS+ genera l’effetto PIT: la presenza di CS aumenta la motivazione del ratto a lavorare per il reward. L’effetto si osserva normalmente (iniezione di Salina). L’effetto PIT è clamorosamente amplificato (+400%) dall’iniezione di anfetamina. Iniezione di anfetamina => aumento di DA nel Nacc Quando aumenta la quantità di DA nel NAcc (come nella sensibilizzazione) il cue (CS+) genera un desiderio fortissimo del reward (lo zucchero). L’effetto di wanting è specifico per il gruppo CS+. Vale a dire solo il cue che era predittivo, e aveva quindi prodotto condizionamento classico, è in grado di generare il desiderio (qui rappresentato dalla pressione della leva) per il suo US (zucchero) associato. Non vi è alcun effetto (generico) dell’anfetamina visto che non viene modulata la pressione della leva di controllo. • Esperimento 2 I risultati dell'esperimento 1 possono essere spiegati dal fatto che la droga rendeva più piacevole lo zucchero? In un secondo esperimento gli autori hanno trovato che l’iniezione di anfetamina non aumentava la reazione edonica al reward zuccherato. Vi è dissociazione tra wanting e liking. Conclusioni La microiniezione di anfetamina nel NAcc aumenta la capacita di un cue Pavloviano di potenziare il lavoro che l’animale è disposto a fare per ottenere il reward. (questa è di fatto una compulsione) Questo effetto è specifico per il cue (CS+) che era predittivo del reward, ed è specifico per la leva associata al reward. Quindi, dopo l’aumento del livello di DA nel NAcc, simile a quello prodotto dalla sensibilizzazione, un cue del reward è in grado di innescare nel ratto un desiderio viscerale di ottenerlo, come evidenziato dalla pressione ossessiva della leva. I risultati non possono esser spiegati: – da alterazioni edoniche elicitate dal CS e prodotte dall’anfetamina (vedi Exp 2), visto che l’anfetamina non altera neppure la reazione al reward (lo zucchero); – dal fatto che l’anfetamina alteri le proprietà del reward, dato che il test è effettuato in estinzione; – da potenziamento di abitudini, visto che il CS+ diventa tale durante il condizionamento pavloviano; – dal fatto che il CS+ funzioni come un reward condizionato, dato che è presentato prima della risposta. – reward, incentivo o rinforzo condizionato = oggetto che ha acquisito le proprietà del reward, incentivo o rinforzo tramite processo di condizionamento Pavloviano (es: il denaro) – motivazione = stato psicologico che spinge all’azione Esistono varie ipotesi sul ruolo della DA nel mediare gli effetti del reward: – ipotesi edonica – ipotesi del rinforzo – ipotesi degli incentivi motivazionali – ipotesi della salienza motivazionale – ipotesi del reward prediction error L'IPOTESI EDONICA Una delle ipotesi piu famose circa il ruolo della DA nell’analisi del reward e stata quella proposta da Wise (1978, 1982), e nota come “anhedonia hypothesis”. Wise propose che la DA avesse un ruolo nel codificare la parte edonica o piacevole del reward, e che una riduzione della DA comportasse anedonia, una condizione di mancanza di piacere associata al ricevimento del reward. Secondo Wise l’ottenimento di un reward (cibo, acqua, sesso) porta con se una sensazione di piacere. Questo stato piacevole è ciò che motiva l’animale a ripetere l’azione, e che quindi funziona da ricompensa e da rinforzo. => Il piacere è la ricompensa, la ricompensa è il piacere! Secondo questa ipotesi la DA sarebbe il neurotrasmettitore del piacere. Il lavoro di Wise et al. (1978): vuole dimostrare che la DA e cruciale per mantenere un comportamento appreso tramite un reward piacevole. LAVORO DI WISE: “Neuroleptic-induced anhedonia in rats: pimozide blocks reward quality of food” Paradigma In una prima fase i ratti devono premere una leva per poter ricevere il reward (piacere). → training I ratti vengono divisi in tre gruppi: – un gruppo non riceve alcun trattamento – un gruppo di controllo riceve un placebo – un gruppo riceve un'iniezione di pimozide (0.5 o 1.0) Pimozide = farmaco antipsicotico. Blocca i recettori della dopamina a livello dl snc. In fine viene eseguita una fase test in estinzione. Risultati I gruppi trattati con il neurolettico smettono progressivamente di lavorare, con un pattern di comportamento simile al gruppo che non riceve più il reward. Secondo Wise è come se il reward avesse perso le sue proprietà edoniche. Conclusioni tratte dagli autori in merito al ruolo del sistema DA come mediatore del reward: il neuroleptioco, bloccando l'effetto della dopamina, avrebbe eliminato gli effetti di euforia, di piacere e di bontà di un reward. (= ipotesi sbagliata) Nonostante il lavoro di Wise ebbe una grande influenza, successivamente l’idea che la DA mediasse il piacere entro in crisi. Negli ultimi 10 anni molte evidenze hanno dimostrato che il ruolo principale della DA non e quello di mediare la sensazione di piacere. La DA non è il neurotrasmettitore del piacere!! Vediamo però quali EVIDENZE EMPIRICHE hanno fatto cadere e abbandonare l’ipotesi edonica: • Come già visto, la DA non e indispensabile per la risposta edonica se misurata attraverso i pattern di reattivita al gusto (Berridge & Robinson, 1998). • Pazienti con malattia di Parkinson, che hanno una estesa riduzione del livello di DA, danno normali giudizi di piacevolezza alle sostanze dolci. • Persone che sono in uno stato di blocco dei recettori DA, o di forte deplezione del livello della DA, forniscono giudizi normali di piacevolezza a seguito di iniezioni di cocaina. • Ratti che a seguito di una mutazione genetica non hanno il sistema dopaminergico mostrano di preferire reward dolci. • Iniezioni di anfetamina nel NAcc producono un forte elevazione del livello di DA. Tuttavia, ratti in questo stato non cambiano il loro pattern di reattività al gusto delle sostanze dolci. • La stessa condizione si osserva anche dopo stimolazione elettrica del sistema mesolimbico, che sappiamo essere fondamentale per la DA. • Esistono quindi molte evidenze che la DA non è cruciale per l’esperienza del piacere. • Visto che la DA non media il piacere, sono state proposte altre possibili spiegazioni su quale potrebbe essere il suo ruolo nella rappresentazione del reward. • Tra queste vediamo ora quelle del rinforzo, della motivazione e del prediction error. L'IPOTESI DEL RINFORZO Un rinforzo e un reward che, dato in risposta ad una azione, concorre a memorizzare la relazione tra un particolare stimolo e una certa risposta. A prescindere dagli aspetti edonici, il reward può agire favorendo la formazione della relazione S-R, e quindi l’apprendimento di nuove abitudini. La DA media il rinforzo, non necessariamente il piacere. LAVORO DI WISE E SCHWARTZ (1981): “Pimozide attenuates acquisition of lever-pressing for food in rats” Se la DA e implicata nel meccanismo di rinforzo prodotto da un reward, allora una riduzione del livello di DA dovrebbe interferire con l’apprendimento di un compito attraverso condizionamento strumentale. Paradigma – somministrazione di placebo oppure di 3 possibili dosi di Pimozide (0.25mg/kg; 0.5mg/kg; 1mg/kg) 4 ore prima del condizionamento operante; – sessioni di training durante le quali il ratto riceve del cibo se preme una leva. Risultati Il pimozide annulla l'effetto rinforzante del reward. Discussione I risultati dimostrano che all’aumentare della dose di antagonista della DA diminuisce la capacita dell’animale di apprendere in un compito di condizionamento operante. Questo risultato e compatibile con l’ipotesi di un ruolo della DA nel reward inteso come meccanismo di rinforzo della relazione S-R. Il ruolo della DA per il rinforzo emerge anche nel condizionamento Pavloviano, ed in particolare e stato osservato nel Conditioning Place Preference. Il CPP è una misura di condizionamento Pavloviano, e in particolare della risposta di approccio verso un luogo (CS) che e stato associato alla presentazione di un US. LAVORODI SPYRAKY (1982): “Attenuation by haloperidol of place preference conditioning using food reinforcement” Paradigma – fase di pre-trattamento, durante la quale viene valutata la preferenza spontanea dell’animale in merito ad uno di due locali (nero vs bianco); – fase di trattamento e condizionamento, durante la quale un gruppo riceve un placebo e altri due gruppi un’iniezione di aloperidolo (0.1 mg/kg, 0.2mg/kg), e poi vengono messi nel luogo meno preferito dove riceveranno il cibo (CPP); – fase test in estinzione, durante la quale si osserva la scelta spontanea dell’animale per il luogo. Aloperidolo = antagonista della dopamina Risultati Solo il gruppo trattato con placebo mostra evidenza di CPP. L’aloperidolo bloccando i recettori DA impedisce il condizionamento. Esistono quindi evidenze sperimentali che sono congruenti con l’ipotesi che la DA sia implicata nel processo di rafforzamento di una associazione. L’associazione può essere sia di tipo S-R, come nel caso del condizionamento strumentale, sia del tipo S-S come nel caso del condizionamento pavloviano. In entrambi i casi il reward svolge la funzione di rinforzo, e la DA media il processo di rafforzamento. L'IPOTESI DEGLI INCENTIVI MOTIVAZIONALI Sappiamo che il reward può agire come un rinforzo, ma può far riferimento anche al ruolo incentivante o motivazionale di uno stimolo. Quindi, il cibo, se dato dopo una risposta in presenza di un certo stimolo agirà come rinforzo dell’associazione S-R, ma se visto prima della risposta funziona da incentivo ad emettere la risposta. → Una situazione classica e il gatto di Thorndike dentro alla gabbia che vede il cibo all’esterno (incentivo) e poi lo consuma quando riesce ad uscire (rinforzo). Sappiamo che CS associati al reward possono acquisire le proprietà motivazionali del reward stesso (Bindra 1978; Toates, 1986). La DA medierebbe questo apprendimento. LAVORO DI SPYRAKY, FIBIGER E PHILLIPS (1983): “Attenuation of heroin reward in rats by disruption of => La DA nell'apprendimento degli incentivi the mesolimbic dopamine system” • Esperimento 1 L’idea e quella di usare il Conditioning Place Preference come indicazione del fatto che uno stimolo (luogo) ha acquisito una proprietà motivazionale. La motivazione e quella di andare in un luogo per ottenere il reward. → Si noti che lo stesso paradigma era stato usato per dimostrare, sempre dallo stesso autore (Spyraki et al. 1982), che la DA e implicata come rafforzatore nell’apprendimento S-S. Paradigma Nella prima fase si determina il luogo meno preferito. (valutazione preferenza spontanea del posto) Nella seconda fase si esegue il CCP con la droga come US. (iniezione di droga nel posto meno preferito) Nella terza fase si valuta la preferenza indotta dal luogo che era associato alla droga. Risultati La droga, che agisce sulla DA, fa aumentare la preferenza per il luogo dove viene somministrata. La vista del posto dove era stata somministrata la droga motiva l’animale a raggiungere e sostare in tale luogo. • Esperimento 2 Paradigma Fase 1: valutazione preferenza spontanea del posto Fase 2: due gruppi di ratti: – un gruppo subisce una lesione del NAcc e nello stesso viene fatta un'iniezione di 6-OHDA – un gruppo subisce una lesione di un altro nucleo (sham) Fase 3: iniezione di droga o placebo nel posto meno preferito Fase 4: scelta del posto in estinzione Risultati Rispetto ad una lesione irrilevante per la DA, la lesione del NAcc riduce la capacita motivazionale del CS (luogo dove e stato ottenuto il reward) di attrarre l’animale. Esistono quindi evidenze sperimentali che sono compatibili con l’ipotesi che la DA possa mediare l’acquisizione di proprietà incentivanti o motivazionali da parte di un CS. In realtà anche le caratteristiche fisiche che definiscono un reward, come per esempio il colore di un frutto o il suo odore, diventano CS che anticipano il vero reward, che probabilmente e la reazione edonica associata al consumo, o l’aumento del glucosio nel sangue. La DA sarebbe importante anche per conferire aspetti incentivanti a tali caratteristiche. Come l’ipotesi degli incentivi motivazionali assegna alla DA un ruolo nella motivazione. La differenza e che al posto di considerare la DA importante per il trasferimento della salienza dal reward al CS, l’ipotesi assume che la DA sia la causa del desiderio di “wanting” generato dalla visione del CS o del reward stesso. Un rilascio abnorme di DA dal NAcc nel sistema limbico in presenza di un CS, genera il desiderio incontrollabile per il reward. Questa ipotesi sul ruolo della DA e sostenuta principalmente dai lavori di Berridge & Robinson (1998). Ricordiamo brevemente quello di Wywell & Berridge (2000), in cui gli autori innescano una forte scarica DA nel NAcc attraverso la somministrazione di anfetamine.