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Poesie e parafrasi - testi del Canzoniere, Petrarca, Traduzioni di Letteratura Italiana

Fil PDF contenente tutte le poesie (sonetti, canzoni e madrigali) e le parafrasi da portare all'esame orale del Prof. Danzi - Modulo C - corso dell'anno 2019 (secondo semestre).

Tipologia: Traduzioni

2018/2019
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Caricato il 13/07/2019

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Scarica Poesie e parafrasi - testi del Canzoniere, Petrarca e più Traduzioni in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! SONETTO 1 Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, del vario stile in ch’io piango et ragiono fra le vane speranze e ’l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. SONETTO 2 Per fare una leggiadra sua vendetta et punire in un dí ben mille offese, celatamente Amor l’arco riprese, come huom ch’a nocer luogo et tempo aspetta. Era la mia virtute al cor ristretta per far ivi et ne gli occhi sue difese, quando ’l colpo mortal là giú discese ove solea spuntarsi ogni saetta. Però, turbata nel primiero assalto, non ebbe tanto né vigor né spazio che potesse al bisogno prender l’arme, overo al poggio faticoso et alto ritrarmi accortamente da lo strazio del quale oggi vorrebbe, et non pò, aitarme. PARAFRASI SONETTO 1 O voi che ascoltate in testi in volgare di diversa forma il suono di quei sospiri con i quali io nutrivo il cuore al tempo della mia prima giovanile colpa, quando ero in parte diverso dall’uomo che sono ora, spero di trovare comprensione e perdono dello stile mutevole con il quale io mi lamento e scrivo, tra inutili speranze e vano dolore, presso chi abbia esperienza diretta d’amore. Ma ormai ben so che sono stato per tutti  oggetto di derisione per lungo tempo, cosa per cui spesso io provo, tra me e me, vergogna di me stesso. E la vergogna è frutto della mia inutile vanità, e così il pentimento, e l’essere del tutto consapevole che quanto si desidera in questa vita terrena è cosa labile. PARAFRASI SONETTO 2 Come colui che aspetta il momento e l'occasione giusta per nuocere, amore di nascosto riprese in mano l'arco, per vendicarsi amabilmente e punire in un sol colpo le mille offese a lui fatte. Io ero concentrato con tutta la mia forza di volontà a proteggere [dal suo assalto] il cuore, e con esso gli occhi, quando il colpo mortale riuscì a cogliere il bersaglio, conficcandosi dove fin'ora ogni freccia aveva fallito. Perciò [la mia volontà], turbata al primo attacco, non ebbe la forza né il tempo necessario a prendere le armi per difendersi; oppure ritirarsi sulla rocca della saggezza, tanto alta quanto faticosa da raggiungere, ma protetta dallo strazio contro il quale oggi vorrei e non posso difendermi. SONETTO 3 Era il giorno ch’al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i’ fui preso, et non me ne guardai, ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d’Amor: però m’andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s’incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: però, al mio parer, non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l’arco. SONETTO 16 Movesi il vecchierel canuto et biancho del dolce loco ov’à sua età fornita et da la famigliuola sbigottita che vede il caro padre venir manco; indi trahendo poi l’antiquo fianco per l’extreme giornate di sua vita, quanto piú pò, col buon voler s’aita, rotto dagli anni, et dal camino stanco; et viene a Roma, seguendo ’l desio, per mirar la sembianza di colui ch’ancor lassú nel ciel vedere spera: cosí, lasso, talor vo cerchand’io, donna, quanto è possibile, in altrui la disïata vostra forma vera. PARAFRASI SONETTO 3 Era il venerdì santo quando fui conquistato dai vostri occhi e mi legai a te. Non mi pareva il momento di difendermi dai colpi dell'amore, e per questo me ne andavo sicuro. L'amore mi trovò disarmato e trovò aperta la via che, tramite gli occhi, va al cuore: questo fu l'inizio delle mie sofferenze, diventate la fonte delle mie lacrime. Però, secondo me, non gli fu onorevole colpire me con una freccia mentre ero disarmato, e a voi Laura che eravate "armata" non vi fu onorevole non mostrare l’arco. Era in quel giorno in cui il raggio del sole fu oscurato per pietà per il suo Creatore, che sono stato catturato e non mi sono difeso perché i tuoi begli occhi mi avevano legato, signora. Non mi sembrava un momento per proteggermi contro i colpi dell'Amore: così sono andato avanti fiducioso, ignaro; da quello, i miei problemi iniziato, tra i dispiaceri pubblici. L'amore mi ha scoperto senza armi, e ha aperto la via al cuore attraverso gli occhi, quali sono fatti i passaggi e le porte delle lacrime: tanto che a me sembra poco onore ferirmi con la sua freccia, in quello stato, non mostra affatto il suo arco a te che sei armato. PARAFRASI SONETTO 16 Si avvia il vecchio con i capelli bianchi e pallido dal luogo pieno di cari ricordi, dove aveva trascorso sino a quel punto la sua esistenza e si allontana dalla famiglia sorpresa, che vede il caro padre in procinto di partire; poi, trascinando le sue vecchie membra, durante le sue ultime giornate terrene si aiuta con tutta la sua tenacia e volontà, sebbene indebolito dagli anni; e giunge a Roma seguendo il comune desiderio di contemplare l'immagine di Cristo che spera di rivedere in cielo: ahime, talora anch'io cerco, oh donna, per quanto mi è possibile nel volto di altre donne almeno un'ombra della vostra vera sembianza. CANZONE 70 Lasso me, ch’i’ non so in qual parte pieghi la speme, ch’è tradita omai più volte: che se non è chi con pietà m’ascolte, perché sparger al ciel sí spessi preghi? Ma s’egli aven ch’anchor non mi si nieghi finir anzi ’l mio fine queste voci meschine, non gravi al mio signor perch’io il ripreghi di dir libero un dí tra l’erba e i fiori: Drez et rayson es qu’ieu ciant e ’m demori. Ragione è ben ch’alcuna volta io canti, però ch’ò sospirato sí gran tempo che mai non incomincio assai per tempo per adequar col riso i dolor’ tanti. Et s’io potesse far ch’agli occhi santi porgesse alcun dilecto qualche dolce mio detto, o me beato sopra gli altri amanti! Ma piú quand’io dirò senza mentire: Donna mi priegha, per ch’io voglio dire. Vaghi pensier’ che cosí passo passo scorto m’avete a ragionar tant’alto, vedete che madonna à ’l cor di smalto, sí forte ch’io per me dentro nol passo. Ella non degna di mirar sí basso che di nostre parole curi, ché ’l ciel non vòle, al qual pur contrastando i’ son già lasso: onde, come nel cor m’induro e n’aspro, così nel mio parlar voglio esser aspro. PARAFRASI CANZONE 70 Povero me, giacché non so dove indirizzare la speranza, tante volte si è rivelata illusoria! Giacché se non esiste persona che mi ascolti e mi compatisca, a che vale rivolgere al cielo così frequenti preghiere? Ma, se mi sarà consentito di portare a termine queste mie povere rime prima di morire, non spiaccia ad Amore, il mio signore, che io lo preghi affinché possa un giorno dire liberamente in un luogo lieto: "Ho argomento e ragioni di rallegrarmi". Sarebbe giusto che finalmente potessi sciogliere il mio gioioso canto poetico, essendomi già così a lungo lamentato, giacché ormai per quanto prima iniziassi a raccogliere le gioie d'amore non potrei mai pareggiare la gioia con i tanti dolori passati. E se fosse possibile che i miei versi piacessero alla mia donna: oh, mi riterrei felice più di tutti gli altri amanti! Ma ancor di più mi reputerei beato se potessi dire senza mentire: "La mia donna mi invita a poetare". Erranti pensieri che a poco a poco mi avete condotto a tale altezza di concetti, guardate che la mia donna ha il cuore duro come vetro, al punto che non posso, solo con le mie forze, trapassarlo. La mia donna non si degna di volgere lo sguardo così in basso che si accorga della nostra poesia, giacché è lo stesso mio destino ad impedirlo, destino contro il quale per il lungo combattere sono ormai stanco: "perciò, come si indurisce e inasprisce il mio cuore, così nella mia poesia voglio risultare aspro. Che parlo? o dove sono? e chi m’inganna, altri ch’io stesso e ’l desïar soverchio? Già s’i’trascorro il ciel di cerchio in cerchio, nessun pianeta a pianger mi condanna. Se mortal velo il mio veder appanna, che colpa è de le stelle, o de le cose belle? Meco si sta chi dí et notte m’affanna, poi che del suo piacer mi fe’ gir grave la dolce vista e ’l bel guardo soave. Tutte le cose, di che ’l mondo è adorno uscïr buone de man del mastro eterno; ma me, che cosí adentro non discerno, abbaglia il bel che mi si mostra intorno; et s’al vero splendor già mai ritorno, l’occhio non po’ star fermo, cosí l’à fatto infermo pur la sua propria colpa, et non quel giorno ch’i’ volsi inver’ l’angelica beltade nel dolce tempo de la prima etade. Che dico? dove sono? e chi è che mi illude ingannandomi se non io stesso e l'eccessivo desiderio? Giacché se io contemplo i cieli mi accorgo che nessuna stella mi ha imposto tale sofferenza. Se la mia capacità di vedere è offuscata dalla mia finitezza umana, dal mio corpo, infatti, che colpa ne hanno le stelle o Laura? Ciò che mi addolora giorno e notte, il pensiero di Laura, è dentro di me, dal giorno in cui mi appesantì il piacere suscitato "dalla sua dolce sembianza e dallo sguardo soave". Tutto ciò che è su questa terra fu creato buono dalle mani dell'eterno creatore; ma, giacché non comprendo tali ineffabili cose, io resto abbagliato e catturato dalla bellezza che mi circonda; e se torno alla vera bellezza da cui trae origine il tutto, cioè a Dio, la mia vista non può soffermarsi su tale splendore, tanto la mia propria colpa l'ha resa inferma, e non il giorno in cui mi volsi verso l'angelica bellezza "nella dolce età della giovinezza".
 SONETTO 84 Occhi piangete: accompagnate il core che di vostro fallir morte sostene. Cosí sempre facciamo; et ne convene lamentar piú l’altrui, che ’l nostro errore. Già prima ebbe per voi l’entrata Amore, là onde anchor come in suo albergo vène. Noi gli aprimmo la via per quella spene che mosse d ’entro da colui che more. Non son, come a voi par, le ragion’ pari: ché pur voi foste ne la prima vista del vostro et del suo mal cotanto avari. Or questo è quel che piú ch’altro n’atrista, che’ perfetti giudicii son sí rari, et d’altrui colpa altrui biasmo s’acquista. SONETTO 90   Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ’n mille dolci nodi gli avolgea, e ’l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; e ’l viso di pietosi color’ farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di sùbito arsi? Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; e le parole sonavan altro che, pur voce umana; uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale, piagha per allentar d’arco non sana. PARAFRASI SONETTO 84 Occhi piangere, accompagnate con il vostro pianto il cuore, che sconta per colpa vostra la morte. Questa è la nostra triste usanza (gli occhi accompagnano sempre con il pianto lo sfinimento del cuore); eppure siamo costretti a deplorare più la colpa di altri (del cuore stesso) che la nostra. Attraverso voi Amore ebbe il primo accesso al cuore dell’innamorato, sua sede naturale. Noi gli aprimmo la via a causa di quella speranza che mosse dall’interno, da parte di colui che ora sta soccombendo (il cuore). Le parti (le responsabilità degli occhi e del cuore) non sono uguali: siete stati voi in primis ad essere tanto avidi, bramosi del male del vostro cuore. Questo è ciò che ci addolora di più, che le sentenze equanimi sono assai rare e si finisce per essere condannati per colpa di altri. PARAFRASI SONETTO 90 Erano i suoi capelli biondi come l'oro erano sparsi al vento, che li avvolgeva in mille nodi dolci a vedersi; e la bella luce, ora che ne son tanto avari, risplendeva oltre misura in quegli occhi; e mi pareva che il viso di lei andasse assumendo colori di pietà, e non so se questo accadesse veramente, o per inganno dei miei occhi: perché meravigliarsi se io, che già ero disposto naturalmente all'amore, immediatamente me ne innamorai? Il suo portamento non era quello di una donna mortale, ma era quello di un angelo; e le sue parole risuonavano ben diversamente da come le avesse potuto pronunciare una voce umana. Quel che io vidi fu uno spirito celeste, un sole splendente; e anche se non fosse più tale, non per questo la sua immagine svanirebbe, perché una ferita non si rimargina, per il fatto che l'arco si è allentato dopo aver lanciato una freccia.
 CANZONE 126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir’ mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior’ che la gonna leggiadra ricoverse co l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: date udïenzia insieme a le dolenti mie parole extreme. S’egli è pur mio destino, e ’l cielo in ciò s’adopra, ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, e torni l’alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: ché lo spirito lasso non poria mai in più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l’ossa. PARAFRASI CANZONE 126 Limpide, fresche e dolci acque dove immerse le sue belle membra colei che unica per me merita il nome di donna; delicato ramo al quale le piacque di appoggiare il suo bel corpo (me ne ricordo sospirando); erba, fiori che ricoprirono il suo leggiadro vestito ed il suo corpo; aria limpida, resa sacra dalla sua presenza dove Amore, attraverso i suoi occhi belli, mi trafisse l'animo: ascoltate voi tutti insieme le mie tristi ultime parole. Se è mio destino dunque, ed in ciò si adopera il volere del cielo, che Amore mi porti ad offuscare la vista con le lacrime, qualche favore divino faccia sì che il mio corpo sia sepolto tra voi, e l'anima ritorni sciolta dal corpo al cielo. La morte sarà meno dolorosa se reco questa speranza in vista di quel pauroso momento: poiché l'anima stanca non potrebbe in più riposata quiete né in più tranquillo sepolcro abbandonare il corpo travagliato da mille angosce.
 Tempo verrà anchor forse ch’a l’usato soggiorno torni la fera bella et mansüeta, et là ’v’ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disïosa et lieta, cercandomi: et, o pieta!, già terra in fra le pietre vedendo, Amor l’inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercé m’impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da’ be’ rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta già de l’amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch’oro forbito et perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra, et qual su l’onde; qual con un vago errore girando parea dir: Qui regna Amore. Verrà forse un giorno in cui alla meta abituale ritornerà la donna bella e crudele, e a quel luogo, dove ella mi vide nel benedetto giorno dell'incontro, volga i suoi occhi pieni di desiderio e di letizia, cercando di me, e, divenuta pietosa, vedendomi polvere tra le pietre del sepolcro, venga ispirata da Amore, così da sospirare tanto dolcemente e ottenere la misericordia divina piegando la giustizia celeste, asciugandosi gli occhi con il suo bel velo. Dai rami scendeva (dolce nel ricordo) una pioggia di fiori sul suo grembo; ella sedeva umile in tanta festa della natura, coperta da quella pioggia di fiori, ispiratrice d'amore. Un fiore cadeva sull'orlo della veste, un altro sulle bionde trecce, che quel giorno a vederle parevano oro fino e perle. Un altro si posava in terra ed un altro ancora sull'acqua; infine un fiore volteggiando nell'aria pareva suggerire: "Qui regna Amore". 
 Quante volte diss’io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Così carco d’oblio il divin portamento e ’l volto e le parole e ’l dolce riso m’aveano, et sì diviso da l’imagine vera, ch’i’ dicea sospirando: Qui come venn’io, o quando?; credendo esser in ciel, non là dov’era. Da indi in qua mi piace questa herba sì, ch’altrove non ò pace. Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. Quante volte dissi, preso da grande stupore: costei certo è nata in Paradiso. Il suo modo di procedere quasi divino; il suo volto, la sua voce e il suo sorriso mi avevano fatto dimenticare a tal punto dove mi trovavo e fatto allontanare talmente dalla realtà, che mi chiedevo sospirando come fossi potuto pervenire in un luogo simile e quando vi ero giunto. Perché credevo di essere giunto in Paradiso non in Terra dove mi trovavo. Da quel momento in poi amo questo luogo così che non ho pace in nessun altro. Se tu, mia canzone, fossi bella e ornata, quanto desideri, potresti coraggiosamente uscire dal bosco e andare tra gli uomini. Né v’accorgete anchor per tante prove del bavarico inganno ch’alzando il dito colla morte scherza? Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno; ma ’l vostro sangue piove piú largamente, ch’altr’ira vi sferza. Da la matina a terza di voi pensate, et vederete come tien caro altrui che tien sé cosí vile. Latin sangue gentile, sgombra da te queste dannose some; non far idolo un nome vano senza soggetto: ché ’l furor de lassú, gente ritrosa, vincerne d’intellecto, peccato è nostro, et non natural cosa. Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? Non è questo il mio nido ove nudrito fui sí dolcemente? Non è questa la patria in ch’io mi fido, madre benigna et pia, che copre l’un et l’altro mio parente? Perdio, questo la mente talor vi mova, et con pietà guardate le lagrime del popol doloroso, che sol da voi riposo dopo Dio spera; et pur che voi mostriate segno alcun di pietate, vertú contra furore prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto: ché l’antiquo valore ne gli italici cor’ non è anchor morto. E non vi siete ancora accorti, dopo tante esperienze, dell'inganno di questi mercenari tedeschi, che scherzano con la morte alzando il dito in segno di resa? La beffa è peggio del danno, secondo me; ma il vostro sangue si sparge più abbondantemente perché siete stimolati da un odio ben diverso. Pensate per un breve tempo alla vostra condizione e capirete come può aver caro un altro chi stima se stesso così spregevole. Nobile stirpe latina, allontana da te il peso di queste milizie dannose: non sopravvalutare una fama vuota, senza sostanza: perché è colpa nostra, non un fatto naturale che la violenza cieca di questi popoli nordici, gente restia alla civiltà, ci vinca di intelligenza. Non è questo il terreno che ho toccato nascendo? Non è questo la culla nella quale fui allevato così affettuosamente? Non è questa la patria in cui mi fido, madre benevola e devota, nella quale sono sepolti i miei genitori? Perdio, questo solleciti talora il vostro animo, e guardate con pietà i patimenti del popolo sofferente che. dopo Dio, aspetta solo da voi la tranquillità; e solo che voi mostriate qualche segno di compassione, il valore prenderà l'armi contro la furia cieca e la lotta sarà breve: perché il valore antico non è ancora morto nei cuori italiani. Signor’, mirate come ’l tempo vola, et sí come la vita fugge, et la morte n’è sovra le spalle. Voi siete or qui; pensate a la partita: ché l’alma ignuda et sola conven ch’arrive a quel dubbioso calle. Al passar questa valle piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno, vènti contrari a la vita serena; et quel che ’n altrui pena tempo si spende, in qualche acto piú degno o di mano o d’ingegno, in qualche bella lode, in qualche honesto studio si converta: cosí qua giú si gode, et la strada del ciel si trova aperta. Canzone, io t’ammonisco che tua ragion cortesemente dica, perché fra gente altera ir ti convene, et le voglie son piene già de l’usanza pessima et antica, del ver sempre nemica. Proverai tua ventura fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace. Di’ lor: - Chi m’assicura? I’ vo gridando: Pace, pace, pace. - Signori, considerate come il tempo passa velocemente, e come la vita fugge, e la morte è già alle nostre spalle. Ora voi siete qui sulla terra; pensate a quando la lascerete; perché bisogna che l'anima spoglia (dei beni questa terra) e sola arrivi a quel passaggio pericoloso. Nel percorrere questa vita terrena vogliate metter da parte l'odio e l'inimicizia, passioni contrarie alla vita tranquilla; e quel tempo che si spende per far male a qualcuno si impieghi invece in qualche azione migliore, di opere o d'intelletto, in qualche impresa lodevole, in qualche attività onorevole: così si sta bene quaggiù sulla terra e si spalanca a noi la via del cielo. Canzone, io ti raccomando che tu esponga amabilmente il tuo argomento, dal momento che devi presentarti da gente orgogliosa; e gli animi sono pieni di un'abitudine pessima e antica, nemica sempre della verità, Tenterai la tua fortuna tra pochi dall'animo grande ai quali piace il bene. Di' loro: chi mi protegge? Io vado gridando: – Pace, pace, pace.
 SONETTO 134 Pace non trovo, et non ò da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio. Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra, né per suo mi riten né scioglie il laccio; et non m’ancide Amore, et non mi sferra, né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio. Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et ò in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. SONETTO 136 Fiamma dal ciel su le tue treccie piova, malvagia, che dal fiume et da le ghiande per l’altrui impoverir se’ ricca et grande, poi che di mal oprar tanto ti giova; nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva, di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l’ultima prova. Per le camere tue fanciulle et vecchi vanno trescando, et Belzebub in mezzo co’ mantici et col foco et co li specchi. Già non fostú nudrita in piume al rezzo, ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi: or vivi sí ch’a Dio ne venga il lezzo. PARAFRASI SONETTO 134 Non trovo pace, ma neppure ho i mezzi per combattere. Ho paura e speranza al tempo stesso. Ardo d’amore e mi sento gelare per il timore. Volo sopra il cielo per la felicità e poi sprofondo in terra per la disperazione. Nella mia immaginazione possiedo tutto il mondo, ma in realtà non ho nulla. Mi tiene prigioniero l’amore, che non mi libera ma neppure mi rinchiude del tutto, non mi trattiene ma neppure mi scioglie dalle catene. Non mi dà il colpo di grazia ma neppure mi estrae la freccia dalla ferita, non mi vuole vivo ma neppure mi libera dalla sofferenza uccidendomi una volta per tutte. Vedo ma sono accecato dall’amore. Sono incapace di parlare per il dolore, eppure grido. Desidero morire, eppure chiedo aiuto. Odio me stesso e amo un’altra persona. Mi nutro di dolore, sono contento di piangere. Mi sono insopportabili allo stesso modo sia la vita che la morte. Laura, sono in questo stato per causa tua. PARAFRASI SONETTO 136 Una fiamma dal cielo possa cadere sulle tue trecce, o malvagia donna [Avignone], che sei diventata ricca e potente dopo aver bevuto l'acqua del fiume e aver mangiato le ghiande in passato, grazie all'impoverimento degli altri, dato che trai vantaggio dalle tue diaboliche operazioni; tu sei un nido di tradimenti, in cui alligna tutto il male che oggi è sparso per il mondo, sei una serva del vino, dei letti e del cibo, in cui la lussuria tocca il fondo della corruzione. Nelle tue stanze compiono tresche fanciulle e vecchi, mentre Belzebù sta al centro con i mantici, il fuoco e gli specchi. Tu non fosti allevata tra le comodità e al fresco, ma nuda ed esposta alle intemperie [poveramente], e scalza tra gli sterpi: ora vivi in modo tale da far arrivare la tua puzza a Dio. SONETTO 267 Oime il bel viso, oime il soave sguardo, oime il leggiadro portamento altero; oime il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo! et oime il dolce riso, onde uscio 'l dardo di che morte, altro bene omai non spero: alma real, dignissima d'impero, se non fossi fra noi scesa si tardo! Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire, ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo, via men d'ogni sventura altra mi dole. Di speranza m'empieste et di desire, quand'io parti' dal sommo piacer vivo; ma 'l vento ne portava le parole. PARAFRASI SONETTO 267 Provo dolore a ripensare al viso bello, allo sguardo angelico, al suo bel portamento nobile! mi duole ripensare al suo modo di parlare in grado di rendere umile persino una mente superba e piena di rancore, e coraggioso un uomo vile! mi lacera il ricordo del suo dolce riso, da cui mi parve che fosse uscita la freccia amorosa che mi fece innamorare di lei, amore da cui l'unica cosa positiva che mi posso aspettare è che mi conduca alla morte [e porre fine alle mie pene]! Anima tanto nobile che meriterebbe di esser regina, se non fossi fra noi scesa così tardi! Non posso fare a meno di ardere per voi, di respirare in voi, perché io sono stato vostro; e la pena di stare senza di voi, rendere piccola qualsiasi altra sventura che mi possa capitare. Voi mi avete riempito di speranza e di desiderio quand'io mi allontanai da voi, voi che per me eravate il massimo del piacere che potessi provare; ma il vento s'è portato via le vostre parole [ovvero le promesse che mi avevano riempito di speranza ma che non sono state mantenute]. CANZONE 268 Che debb'io far? che mi consigli, Amore? Tempo e ben di morire, et o tardato piu ch'i' non vorrei. Madonna e morta, et a seco il mio core; et volendol seguire, interromper conven quest'anni rei, perche mai veder lei di qua non spero, et l'aspettar m'e noia. Poscia ch'ogni mia gioia per lo suo dipartire in pianto e volta, ogni dolcezza de mia vita e tolta. Amor, tu 'l senti, ond'io teco mi doglio, quant'e il damno aspro et grave; e so che del mio mal ti pesa et dole, anzi del nostro, perch'ad uno scoglio avem rotto la nave, et in un punto n'e scurato il sole. Qual ingegno a parole poria aguagliare il mio doglioso stato? Ahi orbo mondo, ingrato, gran cagion ai di dever pianger meco, che quel bel ch'era in te, perduto ai seco. Caduta e la tua gloria, et tu nol vedi, ne degno eri, mentr'ella visse qua giu, d'aver sua conoscenza, ne d'esser tocco da' suoi sancti piedi, perche cosa si bella devea 'l ciel adornar di sua presenza. Ma io, lasso, che senza lei ne vita mortal ne me stesso amo, piangendo la richiamo: PARAFRASI CANZONE 268 Cosa devo fare? Che cosa consigli, amore? Il tempo è davvero arrivato a morire, e mi sono soffermato più a lungo di quanto desiderassi. La mia signora è morta e il mio cuore con lei: e se desidero seguire, Devo interrompere questa vita crudele, dal momento che non ho più speranza di vederla qui, e in attesa mi dà fastidio. Ora tutta la mia gioia si è voltata a piangere mentre andava, tutta la dolcezza è stata tolta dalla mia vita. Amore, tu senti quanto profondo e amaro è questa perdita, dove mi addoloro con te: e conosci il peso e il dolore del mio malato, o meglio il nostro, perché una scogliera ha distrutto la nave, e in un attimo il nostro sole si oscura. Che ingegno con le parole potrebbe esprimere il mio stato doloroso? Ah, mondo cieco, ingrato, hai buone ragioni per piangere con me, poiché ciò che era bello in te è perso con lei. Fallen è la tua gloria, e tu non la vedi, né eri degno, mentre lei vissuto qui, per averla conosciuta, e nemmeno essere stato toccato dai suoi piedi sacri, perché una cosa così bella doveva adornare il paradiso con la sua presenza. Ma io, purtroppo, chi senza di lei non posso amare la vita mortale o me stesso, piangi crudelmente per lei: questo m'avanza di cotanta spene, et questo solo anchor qui mi mantene. Oime, terra e fatto il suo bel viso, che solea far del cielo et del ben di lassu fede fra noi; l'invisibil sua forma e in paradiso, disciolta di quel velo che qui fece ombra al fior degli anni suoi, per rivestirsen poi un'altra volta, et mai piu non spogliarsi, quando alma et bella farsi tanto piu la vedrem, quanto piu vale sempiterna bellezza che mortale. Piu che mai bella et piu leggiadra donna tornami inanzi, come la dove piu gradir sua vista sente. Questa e del viver mio l'una colomna, l'altra e 'l suo chiaro nome, che sona nel mio cor si dolcemente. Ma tornandomi a mente che pur morta e la mia speranza, viva allor ch'ella fioriva, sa ben Amor qual io divento, et (spero) vedel colei ch'e or si presso al vero. Donne, voi che miraste sua beltate et l'angelica vita con quel celeste portamento in terra, di me vi doglia, et vincavi pietate, non di lei ch'e salita a tanta pace, et m'a lassato in guerra: tal che s'altri mi serra lungo tempo il camin da seguitarla, quel ch'Amor meco parla, questo è tutto ciò che ho di tutte le mie speranze, e solo questo è ciò che mi tiene ancora qui. Ah, quella bella faccia è trasformata in polvere, quello era il pegno per noi, quaggiù, del paradiso e del suo bene: la sua forma, invisibile in paradiso, liberato da quel velo, che ombreggiava il fiore dei suoi anni, più tardi sarà indossato ancora una volta, e mai più abbandonato. quando la rivedremo caro e adorabile, di più, da tanto come la bellezza eterna supera il mortale. Lei ritorna, più bella e più aggraziata una signora, dentro di me, dove lei sente che la vista di se stessa è più esaltata. Questo è uno dei pilastri della mia vita, l'altro il suo nome brillante mi sembra così dolcemente nel mio cuore. Ma ricordando nella mia mente che la mia speranza è veramente morta, vivente mentre lei fioriva, L'amore sa cosa io divento, e lei (spero) può vederlo ora chi è così vicino alla verità. Signore, tu che hai visto la sua bellezza e la vita angelica quello celeste viveva sulla terra, mostrami il tuo dolore e sii sopraffatto per pietà, non per qui che ha saltato in tale pace, ma per me lasciato in questa guerra:
 SONETTO 273 Che fai? Che pensi? che pur dietro guardi nel tempo, che tornar non pote omai? Anima sconsolata, che pur vai giungnendo legne al foco ove tu ardi? Le soavi parole e i dolci sguardi ch'ad un ad un descritti et depinti ai, son levati de terra; et e, ben sai, qui ricercarli intempestivo et tardi. Deh non rinovellar quel che n'ancide non seguir piu penser vago, fallace, ma saldo et certo, ch'a buon fin ne guide. Cerchiamo 'l ciel, se qui nulla ne piace: che mal per noi quella belta si vide, se viva et morta ne devea tor pace. SONETTO 310 Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena, e i fiori et l'erbe, sua dolce famiglia, et garrir Progne et pianger Philomena, et primavera candida et vermiglia. Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena; Giove s'allegra di mirar sua figlia; l'aria et l'acqua et la terra e d'amor piena; ogni animal d'amar si riconsiglia. Ma per me, lasso, tornano i piu gravi sospiri, che del cor profondo tragge quella ch'al ciel se ne porto le chiavi; et cantar augelletti, et fiorir piagge, e 'n belle donne honeste atti soavi sono un deserto, et fere aspre et selvagge. PARAFRASI SONETTO 273 Spirito sconsolato che cosa puoi pensare o fare? Perché guardi indietro a quei tempi che non può venire di nuovo? Perché vai aggiungendo legna al fuoco dove si brucia? Le dolci parole e le dolci occhiate che hai descritto e dipinto uno per uno, sono andato via dalla terra: e tu sai è troppo tardi, inopportuno, per cercarli. Ah, non rinnovare ciò che uccide solo, non seguire pensieri bramosi in errore, ma quelli sicuri e quelli solidi che portano a una buona fine. Guarda al cielo, poiché nulla qui piace: quella bellezza che abbiamo visto è stata fatale per noi, se vivente o morto non ci ha portato pace. PARAFRASI SONETTO 310 Zefiro ritorna e riporta il bel tempo e i fiori e l'erba, suo dolce seguito, ed il garrire delle rondini [Progne] ed il canto dell'usignolo [Filomena] e la primavera limpida e dai colori vividi. La campagna sembra sorridere e il cielo si rasserena: Giove si rallegra di vedere la luce di Venere più luminosa; l'aria, l'acqua e la terra sono attraversate dall'amore; ogni essere vivente si dispone ad amare. Per me infelice ritornano i più dolorosi tormenti, che dal profondo del cuore muove colei che al cielo se ne portò le chiavi; il canto degli uccelli, il fiorire dei piani, i delicati gesti di belle e decorose donne sono [per me] un'arida realtà, come belve crudeli e selvagge.
 SONETTO 363 Morte a spento quel sol ch'abagliar suolmi, e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi; terra e quella ond'io ebbi et freddi et caldi; spenti son i miei lauri, or querce et olmi: di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi. Non e chi faccia et paventosi et baldi i miei penser', ne chi li agghiacci et scaldi, ne chi li empia di speme, et di duol colmi. Fuor di man di colui che punge et molce, che gia fece di me si lungo stratio, mi trovo in libertate, amara et dolce; et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio, che pur col ciglio il ciel governa et folce, torno stanco di viver, nonche satio. SONETTO 364  Tenemmi Amor anni ventuno ardendo, lieto nel foco, et nel duol pien di speme; poi che madonna e 'l mio cor seco inseme saliro al ciel, dieci altri anni piangendo. Omai son stanco, et mia vita reprendo di tanto error che di vertute il seme a quasi spento; et le mie parti extreme, alto Dio, a te devotamente rendo: pentito et tristo de' miei si spesi anni, che spender si deveano in miglior uso, in cercar pace et in fuggir affanni. Signor che 'n questo carcer m'ai rinchiuso, tramene, salvo da li eterni danni, ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso. PARAFRASI SONETTO 363 Padre del cielo, dopo i giorni persi, dopo le notti spese in pensieri vani, con quella implacabile passione che mi infiammò il cuore, contemplando quelle azioni così leggiadre per mia sventura, ti piaccia ormai che io con l’ausilio della tua grazia torni a un’altra vita e a opere più degne, cosicché, avendo teso invano le sue reti, il mio nemico Amore rimanga scornato. Ora gira, mio Signore, l’undicesimo anno da quando fui sottomesso allo spietato peso che è più feroce con coloro che più vi sono soggetti. Abbi pietà di questo mio indegno travaglio; riconduci i pensieri erranti a un luogo migliore; ricorda loro che in questo giorno sei stato crocifisso. PARAFRASI SONETTO 364 A venuto anni ho tenuto l’amore felice nell’ardore e nel peccato pien di speranza dopo che la mia signora e il mio cuore insieme salirono al cielo ho trascorso altri dieci anni piangendo. Ormai sono sfinito e rimprovero la mia vita per i tanti errori che hanno quasi spento il seme della virtù e rendo devotamente a te dio alto le mie ultime parti. Pentito e triste dei miei anni ormai spesi che di sicuro si dovevano trascorrere in qualche altro modo, invece nel cercare la pace e nell’evitare le difficoltà. Signore che mi hai rinchiuso in questa prigione, riservami le pene eterne perché io conosco i miei sbagli e non li scuso. 
 SONETTO 365 I' vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale, per dar forse di me non bassi exempi. Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l'alma disviata et frale, e 'l suo defecto di tua gratia adempi: si che, s'io vissi in guerra et in tempesta, mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m'avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che 'n altrui non o speranza. PARAFRASI SONETTO 365 Rimpiango ora il mio tempo passato, che ho sciupato amando una cosa mortale senza mai levarmi in volo, pur avendo le ali per innalzarmi a cose più degne e lasciare di me un esempio non vile. Tu che conosci i miei peccati vergognosi e odiosi, o Re del cielo invisibile e immortale, reca soccorso all’'anima debole e sviata; e supplisci alle sue mancanze con la tua grazia; sicché io, che sono vissuto in continua guerra e tra le tempeste, possa morire in pace e in un porto sicuro, e se la mia permanenza nel mondo fu vana, almeno la mia morte sia lodevole. Degnati di soccorrere con la tua mano quei pochi giorni che ancora mi restano da vivere: tu sai bene che in altri non vi è per me speranza alcuna.
 Vergine sola al mondo senza exempio, che 'l ciel di tue bellezze innamorasti, cui ne prima fu simil ne seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginita feconda. Per te po la mia vita esser ioconda, s'a' tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove 'l fallo abondo, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d'ogni fedel nocchier fidata guida, pon' mente in che terribile procella i' mi ritrovo sol, senza governo, et o gia da vicin l'ultime strida. Ma pur in te l'anima mia si fida, peccatrice, i' no 'l nego, Vergine; ma ti prego che 'l tuo nemico del mio mal non rida: ricorditi che fece il peccar nostro, prender Dio per scamparne, humana carne al tuo virginal chiostro. O Vergine unica e senza altro esempio al mondo, che hai fatto innamorare il cielo con la tua bellezza, rispetto alla quale nessun'altra donna simile fu superiore né prossima, i tuoi pensieri santi, i tuoi atti pietosi e casti fecero nella tua feconda verginità un sacro e vivo tempio al vero Dio. Grazie a te la mia vita può essere felice, se alle tue preghiere, o Maria, dolce e pia Vergine, la tua grazia è generosa dove il peccato è stato grande. Con le ginocchia della mente chinate, ti prego di farmi da scorta e di indirizzare a un buon fine la mia strada deviata. O Vergine luminosa e ferma in eterno, stella di questo mare in tempesta, guida fidata di ogni navigatore fedele, pensa in quale orribile tempesta mi trovo da solo, senza timoniere, e sono ormai vicino a emettere le ultime grida [alla dannazione]. Ma la mia anima (peccatrice, non lo nego) confida solo in te, Vergine; ma ti prego affinché il tuo nemico [il demonio] non rida della mia dannazione: ricordati che i nostri peccati indussero Dio ad assumere carne umana [a diventare uomo] nel tuo chiostro virginale [venendo concepito in te].
 Vergine, quante lagrime o gia sparte, quante lusinghe et quanti preghi indarno, pur per mia pena et per mio grave danno! Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno, cercando or questa et or quel'altra parte, non e stata mia vita altro ch'affanno. Mortal bellezza, atti et parole m'anno tutta ingombrata l'alma. Vergine sacra et alma, non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno. I di miei piu correnti che saetta fra miserie et peccati sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta. Vergine, tale e terra, et posto a in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne et de mille miei mali un non sapea: et per saperlo, pur quel che n'avenne fora avenuto, ch'ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea. Or tu donna del ciel, tu nostra dea (se dir lice, e convensi), Vergine d'alti sensi, tu vedi il tutto; e quel che non potea far altri, e nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore; ch'a te honore, et a me fia salute. O Vergine, quante lacrime, quante lusinghe e quante preghiere ho già sparso invano, solo per il mio dolore e con mio grave danno! Da quanto sono nato sulle rive dell'Arno [da padre fiorentino], viaggiando ora in questo ora in quel luogo, la mia vita non è stata altro che affanno. Una bellezza umana, gesti e parole [di Laura] mi hanno totalmente occupato l'anima. Vergine sacra e nobile, non tardare a venire, poiché sono forse giunto alla fine della mia vita. I miei giorni se ne sono andati più veloci di una freccia tra miserie e peccati, e solo la Morte mi aspetta. O Vergine, una donna [Laura] è diventata terra [è morta] e ha causato dolore al mio cuore, dopo che che da viva lo ha tenuto in pianto e non sapeva neppure uno dei miei molti mali: e se anche lo avesse saputo, sarebbe successo proprio quel che è avvenuto, poiché ogni altro suo desiderio sarebbe stato per me la morte dell'anima e per lei cattiva reputazione. Ora tu, signora del cielo, tu nostra dea (se si può ed è opportuno dirlo), Vergine di alti sentimenti, tu vedi ogni cosa; e ciò che altri non potevano fare è un nonnulla alla tua grande virtù, poni fine al mio dolore; ciò sarà un onore per te e per me la salvezza.
 Vergine, in cui o tutta mia speranza che possi et vogli al gran bisogno aitarme, non mi lasciare in su l'extremo passo. Non guardar me, ma Chi degno crearme; no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza, ch'e in me, ti mova a curar d'uom si basso. Medusa et l'error mio m'an fatto un sasso d'umor vano stillante: Vergine, tu di sante lagrime et pie adempi 'l meo cor lasso, ch'almen l'ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo, come fu 'l primo non d'insania voto. Vergine humana, et nemica d'orgoglio, del comune principio amor t'induca: miserere d'un cor contrito humile. Che se poca mortal terra caduca amar con si mirabil fede soglio, che devro far di te, cosa gentile? Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man' resurgo, Vergine, i' sacro et purgo al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile, la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. O Vergine, in cui ripongo tutta la mia speranza che tu possa e voglia aiutarmi nel momento del bisogno, non mi abbandonare in punto di morte. Non guardare me, ma Colui [Dio] che si degnò di crearmi; non guardare il mio valore, ma la Sua alta sembianza che è in me ti spinga a soccorrere un uomo tanto misero. Medusa [Laura] e il mio peccato mi hanno tramutato in un sasso da cui sgorga un inutile umore [le lacrime]: Vergine, tu riempi il mio cuore spossato di lacrime sante e pie, così che almeno l'ultimo pianto sia devoto, privo di fango terreno, come invece il primo fu pieno di follia [per l'amore di Laura]. O Vergine umana, nemica dell'orgoglio, l'amore della nostra comune origine ti spinga: abbi pietà di un cuore umile e pentito. Infatti, se continuo ad amare con fedeltà mirabile un pugno di terra mortale e destinata a perire [Laura], cosa dovrò fare verso di te, nobile creatura? Se io risorgo dal mio stato misero e vile grazie alle tue mani, o Vergine, in nome tuo io consacro e depuro il mio pensiero, il mio ingegno e la mia penna, la lingua, il cuore, le lacrime e i sospiri. Conducimi al guado più sicuro e accetta benevolmente i miei mutati desideri.