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Politica economica riassunto, Sintesi del corso di Politica Economica

Riassunto dei moduli del corso

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 28/05/2023

Gianluca_Avello
Gianluca_Avello 🇮🇹

4

(2)

3 documenti

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Scarica Politica economica riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Politica Economica solo su Docsity! MODULO 0 - DALLA «GRANDE RECESSIONE» ALLA PANDEMIA: LE GRANDI CRISI DEL XXI SECOLO Un percorso per definire le dinamiche entro cui noi ci stiamo muovendo nel nostro oggi, è utilizzare categorie di tipo storico: la storia più vicina a noi è il XXI secolo. Il XXI secolo ha visto il susseguirsi di due grandi crisi mondiali e ciò non ha precedenti confrontabili nella storia dell’economia moderna. Le due crisi hanno ragioni diverse e gradi di prevedibilità differenti: - La crisi finanziaria del 2008 divenuta recessione globale negli anni successivi e con durata diversa nei diversi Paesi: è la cosiddetta «Grande Recessione», prevedibile secondo alcuni. - La pandemia dei primi mesi del 2020 rappresenta un fenomeno sanitario imprevedibile che ha prodotto una crisi per le economie mondiali di cui non sono note o stimabili evoluzione e durata. Dal punto di vista dinamico è come se le due crisi si siano concatenate: nel 2020 paesi come gli USA che dal 2019 stavano iniziando a perdere gli effetti dinamici ottenuti dalla ripresa post crisi del 2008 mentre paesi come l’Italia si stavano ancora riprendendo dalla Grande Recessione. L’identificazione delle crisi fa da riferimento per interpretare le dinamiche di lungo periodo delle economie mondiali ed è utile per: - studiare la storia secolare dell’economia e le sue fasi di sviluppo : dal punto di vista statistico ciascuna crisi rappresenta un «break strutturale» (è una frattura, c’è un prima e un dopo con caratteristiche diverse e un cambio di regime). In seguito a un break strutturale non è possibile utilizzare lo stesso processo interpretativo che si usava precedentemente ad esso in quanto il cambiamento strutturale avvenuto nel sistema economico non lo permette. - imparare dagli errori passati per introdurre interventi opportuni di policy : conoscere la storia e individuare momenti tipici dentro lo sviluppo del sistema economico perché consente di avere dei modelli di previsione sempre più precisi. I modelli di previsione sono costruiti sulla base di processi di tipo statistico che proiettano nel futuro il passato; è quindi fondamentale conoscere i break strutturali per evitare di fare errori nelle scelte economiche future. I modelli di previsione hanno bisogno delle informazioni sulla storia delle crisi passate per simulare le dinamiche future e non possono stimare l’imprevedibile. Le due crisi hanno natura molto diverse. Ci sono esempi di crisi bancarie e finanziarie globali mentre non c’è un precedente storico analogo di pandemia mondiale. Concentriamoci sulla Grande Recessione. LA GRANDE RECESSIONE È il termine convenzionale con cui si identifica il periodo iniziato nel 2008 in cui l’economia internazionale ha vissuto un periodo di crisi finanziaria seguita da una lunga fase di recessione e di rallentamento dell’attività economica reale. Per convenzione inizia nell’autunno del 2008 e ciascun paese avrà poi la propria durata della recessione conseguente; in alcuni Paesi europei si è cominciato a vedere una ripresa stabile solo dal 2015-16. Il nome è stato coniato perché in qualche misura richiama l’effetto recessivo significativo che è stato usato per identificare quella crisi (tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30) che aveva fattori di analogia, chiamata Grande Depressione. Si parla di Grande Depressione come crisi bancaria-finanziaria alla fine del secondo decennio degli anni Novanta e si parla di Grande Recessione per la crisi che ha caratterizzato la fine del primo decennio degli anni duemila. Le due crisi vengono paragonate: - in entrambi i casi si ha un’origine di tipo bancario-finanziario a. Grande Depressione: - Origine: crisi bancaria del 29 ottobre 1929 - Conseguenza: crollo di Wall Street (locale) - Propagazione: recessione in Europa dal 1931 al 1933 Le banche di quel periodo sono di credito ordinario, banche commerciali che fanno prevalentemente attività di deposito e prestito. È una crisi bancaria pura, una corsa agli sportelli, le banche soprattutto quelle piccole non riescono a restituire ai risparmiatori le cifre versate tutte insieme quindi falliscono. Segue il crollo della borsa locale americana (non mondiale in quanto il mondo non aveva ancora gli strumenti per essere connessi istantaneamente); si propagheranno poi con un po’ di ritardo. b. Grande Recessione: - Origine: fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008 - Conseguenza: crollo delle Borse mondiali - Propagazione: recessione in Europa da inizio del 2009 Crisi legata alla bolla immobiliare già presente dagli ultimi mesi del 2007 quando alcune banche erano state salvate sull’orlo del crollo per l’incapacità di far fronte ai propri mutui. La crisi speculativa sui mutui immobiliari è la vera origine, il fallimento è preso come convenzione. In un sistema economico in cui i mercati finanziari sono integrati, si ha una perdita in borsa consistente con un conseguente panico tra gli operatori finanziari. Il crollo della Borsa è a livello mondiale: la crisi si propaga velocemente e gli effetti attaccano tutti i mercati. Di recessione, tecnicamente parlando, se ne può parlare dopo 6 mesi dall’inizio della crisi quindi si avrà recessione tecnica dagli inizi del 2009. Qualsiasi crisi finanziaria-bancaria porta con sé come conseguenza attraverso il meccanismo del credit crunch (restrizione del credito) una recessione nelle economie reali con un conseguente crollo del PIL, riduzione dell’occupazione e dei redditi (e quindi dei consumi delle famiglie). Se le imprese non hanno credito non possono fare investimenti e se non ci sono investimenti il sistema non cresce. Ovviamente il confronto è simbolico in quanto non è possibile confrontare a pieno due eventi avvenuti a decenni di distanza in contesti completamente differenti. Applichiamo le stesse ricette di politica economica? I titoli giornalistici nei giorni successivi al fallimento di Lehman Brothers riportavano “dobbiamo riprendere la politica keynesiana”, ma cosa significa? Significa innanzitutto che essa era stata dimenticata e che avevamo delle ricette economiche proposte da Keynes per intervenire immediatamente; questo perché le sue teorie nascono nel 1936, in risposta alla Grande Depressione. Avendo in questo caso un fenomeno analogo alla Grande Depressione, avremmo potuto sfruttare le sue ricette di politica economica per affrontare la Grande Recessione tempestivamente.  nel semestre precedente singole banche sono fallite ma sono state salvate ; si pensava quindi che il tesoro americano avrebbe salvato anche Lehman Brothers, non c’erano segnali del contrario  era un momento di estrema incertezza in quanto l’America era prossima alle elezioni.  è stata ritenuta uno shock temporaneo : la crisi del 2008 interessa mercati globali ma c’era già stata una bolla speculativa nel 2001 che erano però riusciti a domare senza produrre effetti distorsivi né internamente né esternamente (crisi sul mercato informatico). Si è di conseguenza pensato che il mercato finanziario avesse la forza di sterilizzare anche una crisi sul mercato bancario, come spesso accade per gli shock temporanei.  i mercati si auto-governano (… se c’è la fiducia). Quello che ha fatto la differenza è il panico sul mercato: gli operatori si muovono tutti insieme nella stessa direzione (nel 2008 i risparmiatori chiesero tutti contemporaneamente la restituzione delle loro liquidità). Quello che era una crisi che poteva essere sterilizzata e gestita poiché riguardava una singola azione, con il meccanismo del panico collettivo si ha un rischio sul titolo che diviene un rischio sistemico (il quale il mercato non sa gestire). Il mercato non sa gestire il panico collettivo che è il momento in cui si passa ad una crisi di fiducia e reputazione perché di fatto i mercati finanziari vendono il rischio finanziario (bene più difficilmente riconoscibile dall’individuo e che ha quindi bisogno di fiducia tra gli operatori e di reputazione presso il soggetto emittente). Se non c’è fiducia, le banche non si fidano l’un l’altra a mettere in atto lo scambio reciproco overnight in cui le banche si prestano cifre continuamente per recuperare liquidità. L’effetto scatenante è quindi la perdita di fiducia reciproca che impedisce ai mercati di autogovernarsi. Nella crisi sul mercato informatico non c’è stato panico poiché era una cosa ristretta.  falliti i meccanismi di rating del rischio finanziario . A questo processo di rischio individuale che diviene collettivo si aggiungono anche i soggetti che hanno il compito di dare segnali di rating. Sono soggetti che studiano i mercati finanziari come propria attività economica e assegnano, affinché diventi informazione comune, attribuzioni di livelli di rischio dei singoli titoli pubblici e privati. Vengono quindi emesse queste informazioni anche ogni qualvolta ci sono grandi cambiamenti sul mercato affinché ciascun individuo abbia chiaro il rischio di una particolare azione o obbligazione prima di inserirla nel suo patrimonio. In quel frangente, non avendo capito il rischio della situazione, Lehman Brothers aveva un livello di indicatori di titoli mediamente solvibili: la gente non aveva la consapevolezza di avere nel proprio portafoglio titoli altamente rischiosi. Le conseguenze di tutto questo è che sono stati fatti errori di previsione (ex-ante, di previsione, ed ex-post, di reazione alla crisi). Questo significa che se si fanno errori di previsione, seguiranno molto probabilmente interventi di politica economica non adeguati. La politica economica deve essere eseguita correttamente e nel momento opportuno (se ritardata potrebbe non funzionare) e deve avere una prospettiva di medio-lungo periodo (le dinamiche di medio-lungo periodo devono essere quindi considerate per la scelta della politica da attuare). Un altro errore è che venga sottovalutato l’effetto domino sull’economia: se si ha una crisi in un settore dell’economia non bisogna sottovalutare il fatto che possa espandersi non solo in altri settori, ma anche in altri paesi. Ma perché si aveva una struttura del sistema economico così esposto al rischio di mercato, in particolare a quello finanziario? L’andamento che si manifesta in un determinato settore è figlio di un contesto che è anche di tipo culturale e teorico. Se si va a vedere il contesto storico più o meno lungo si nota l’alternanza di periodi di liberismo, ovvero di attività di governo dell’economia lasciata al mercato, e quindi alla logica della domanda e dell’offerta, e all’efficienza economica in senso stretto. In altri termini il sistema economico funziona meglio e cresce più velocemente nella misura in cui noi limitiamo l’intervento dello stato. Dagli anni ‘90, la teoria economica prevalente di taglio liberista giustifica il governo del sistema economico lasciato al solo «Mercato» .  si era quindi scommesso che l’economia lasciata a sé stessa con il minimo intervento indispensabile sarebbe stata in grado di essere efficiente e di consentire prospettive di crescita in qualche modo regolari. Si sviluppa la teoria economica sui mercati finanziari efficienti e la teoria dell’incertezza. C’era un contesto di riferimento teorico portavoce di esigenze più ampie della società che chiedevano l’autogoverno del Mercato, inteso come istituzione di governo dell’economia, che garantisse una maggiore efficienza e una crescita maggiore futura. Si giustificano interventi normativi che si limitino a garantire il buon funzionamento del Mercato : poca regolamentazione da parte dello «Stato». Vengono eliminate le regole sulla gestione del rischio finanziario e sul sistema bancario (introdotte negli anni ‘30). Diversificando il più possibile il portafoglio si riduce la presenza del rischio, è la strategia delle compagnie di assicurazioni. Secondo questo punto di vista la diversificazione del rischio è un processo che rende i mercati di gestione del rischio, tra cui i mercati finanziari, più efficienti e dove il rischio collettivo è minimizzato. In questo sistema con regole molto libere molti intermediari finanziari hanno scommesso i capitali dei propri risparmiatori: questo è un ulteriore fattore che contribuisce al panico. MA IL SISTEMA ECONOMICO FUNZIONAVA PRIMA DELLA CRISI? o Per certi versi si: Fino ai primi anni 2000, abbiamo la fase detta di «Grande Moderazione» nelle economie avanzate: crescita economica bassa ma regolare con disoccupazione ciclica, bassa inflazione e tassi di interesse remunerativi a basso rischio. È un quadro di stabilità; la regolarità che caratterizza questo periodo permetteva di prendere decisioni più facilmente. Inoltre, questo processo di crescita sembrava diffondersi anche a livello internazionale tramite l’apertura dei mercati globali: crescita dei paesi di nuova industrializzazione, maggiore apertura internazionale con rimozione di dazi e tariffe doganali, creazione di catene globali del valore da parte delle imprese, nuove occasioni di diversificazione del rischio finanziario. Vediamo il tasso di crescita in un lungo periodo del PIL reale che caratterizza diversi sistemi economici. I segmenti rappresentano il periodo di crescita costante e regolare più lungo che ha caratterizzato ciascuno di questi paesi dal 1950 al 2015. In Italia si ferma nel 2009 quando si ha la recessione conseguente alla crisi. o Per altri versi no: Come spesso accade, al cambiamento non partecipano tutti gli operatori economici in egual misura. Si verifica una crescita delle disuguaglianze: - nazionali, tra soggetti ricchi e poveri (polarizzazione dei redditi) e «crisi» del ceto medio - internazionali, tra paesi ricchi o arricchiti e paesi rimasti poveri La gestione dei redditi non funziona perfettamente e le fasce più benestanti della popolazione beneficeranno maggiormente dalla crescita; il ceto medio si spaccherà in due gruppi, uno che si unirà alla classe povera e l’altro alla classe ricca. Crescita dell’incertezza collettiva che la teoria dei mercati efficienti non sa gestire nelle sue conseguenze: - propagazione degli shock sistemici - assicurabile solo il rischio prevedibile, ciò che non è prevedibile non può essere coperto L’EVOLVERSI DELLA GRANDE RECESSIONE Dalla sua origine, la Grande Recessione è stata caratterizzata da un susseguirsi di eventi che non rientravano fra quelli considerati ex-ante come «ammissibili» dai modelli (non prevedibili a priori): o Fallimento Lehman Brothers (15/9/2008) o Crisi del debito in Grecia (novembre 2009), c’erano degli errori nel bilancio pubblico o Crisi del debito-sovrano in Italia (2011-12) o Crisi del bilancio pubblico in USA (2013) o Austerità e Fiscal Compact (2014), crisi del debito sovrano post-recessione A cui possiamo aggiungere: o La Brexit (giugno 2016) o Coronavirus (gennaio 2020) e ripresa ancora dubbia L’elezione americana durante la crisi era prevedibile ma non era prevedibile che coincidesse con un periodo di crisi. Tutti questi eventi hanno sicuramente contribuito a modificare e rallentare la ripresa post Grande Recessione; gli effetti economici della pandemia sono andati a stratificarsi sulle code della ripresa dopo la Grande Recessione. La politica economica deve intervenire nonostante il mondo non stia mai fermo: deve valutare costi e benefici attentamente e rivalutarli ogni qual volta la struttura economica cambia. Gli interventi economici non sono quindi un gioco a somma zero; nessun intervento tende ad essere neutro poiché porta con sé effetti redistributivi che devono essere considerati. Uno dei problemi di politica economica sono i trade-off: complessivamente si possono avere i benefici superiori ai costi ma questi benefici vanno esclusivamente a favore di qualcuno facendone pagare il prezzo a qualcun altro. La Grande Recessione, come tutte le crisi, ha comportato gravi costi economici e sociali in termini soprattutto di produzione persa, di perdita di capitale umano e sociale e di disoccupazione. - Fondamentali , che rappresentano la struttura del sistema e sono solitamente dati dalla storia, regole formali, corrispondenti all’insieme legislativo e contrattuale del sistema economico, e risorse disponibili, ossia la dimensione dell’economia - Obiettivi che rappresentano i “valori” condivisi dalla collettività, riassumibili nel concetto di benessere sociale Una caratteristica comune di entrambi è quella di corrispondere a idee o scopi comuni e non di singoli individui economici, questo avviene nelle organizzazioni semplici in quanto i fondamentali sono caratterizzati da scelte sociali condivise per il raggiungimento degli obiettivi. La questione quindi si complica quando abbiamo strutture organizzative di tipo complesso ovvero quando le scelte sociali non vengono condivise direttamente per gli obiettivi comuni. Quindi in un sistema socio-economico complesso sono necessari due meccanismi di coordinamento o istituzioni che regolino il perseguimento degli obiettivi dettati da essi: - Sistema politico (Stato), meccanismo di coordinamento delle decisioni e scelte economiche di tipo collettivo - Le scelte economiche individuali, ossia quelle decentrate, vengono coordinate dall’insieme delle forze di mercato (Mercato) ovvero il meccanismo di coordinamento delle scelte economiche decentrate Rappresentiamo il sistema economico come organizzazione. Nel nostro sistema economico non andiamo ad analizzare scelte decentrate di singoli consumatori ma abbiamo famiglie e imprese che caratterizzano domanda e offerta del sistema. La cosa interessante della struttura è la direzione delle frecce e infatti abbiamo una prima freccia che va dal sistema politico ai fondamentali in quanto le regole del gioco sono affidate a scelte economiche collettive ossia allo Stato e pertanto i fondamentali del sistema non possono essere modificati dai singoli. Un’altra freccia va dai fondamentali alle forze di mercato in quanto le forze di mercato subiscono le regole, le leggi e la storia dati dai fondamentali. Inoltre, il sistema politico può agire direttamente sugli obiettivi in quanto fondamentali e obiettivi sono caratterizzati da scelte condivise; quindi, può intervenire sia andando a modificare le regole del gioco sia intervenendo direttamente sugli obiettivi. Le economie reali si caratterizzano per la presenza di entrambi i meccanismi di coordinamento che devono essere complementari. Quindi lo scopo del corso è costituito dalla ricerca del meccanismo di coordinamento fra forze di mercato e forze politiche per il perseguimento del benessere sociale. Analizziamo due casi estremi di organizzazione economica: - Un esempio di struttura decisionale collettiva storicamente sperimentata è dato dalle economie di pianificazione presente nell’economia ex-sovietica. L’economia di pianificazione ha una sua origine con la rivoluzione di ottobre e la nascita dei soviet e una fine con la caduta del muro di Berlino dove si registra il passaggio da un’economia di pianificazione ad una di transizione più simile a logiche di mercato. Pianificazione perché organizzata attraverso un decisore collettivo che è il pianificatore in cui la struttura decisionale individuale è solo una conseguenza, perciò opera esclusivamente il sistema politico - L’altro caso estremo corrisponde a un solo paradigma teorico ed è dato dal liberismo economico (liberismo ortodosso ne è il caso più estremo) caratterizzato dall’ipotesi che possa operare solo il sistema di mercato ECONOMIA DI PIANIFICAZIONE Abbiamo bisogno necessariamente di una struttura contrattuale opportuna quindi per costruire una economia di pianificazione abbiamo bisogno di una proprietà collettiva dei mezzi di produzione ossia dell’impresa collettiva. Perciò la produzione è in mano ai soviet che rappresentano lo stato/partito e quindi non esiste l’impresa vera e propria ma è presente un decentramento produttivo e c’è solo un gestore che gestisce la produttività comune. La logica presente è quella della pianificazione ossia vengono assegnate risorse alla proprietà collettiva; quindi, la tecnologia e gli input sono dati, però il gestore deve fare in modo di produrre una certa quantità di output secondo il piano economico deciso. Una struttura di questo tipo utilizza come sistema di coordinamento il meccanismo del comando e del controllo sull’attività di produzione e quindi viene definita economia di produzione o quantità e non sono presenti domanda e prezzi. L’obiettivo è l’idea di socialismo reale, ossia uguaglianza negli esiti, quindi un’idea di perfetta equità. Questa logica si ripercuote anche sugli individui in quanto essi ricevevano prodotti in misura equa e data, ma questo spesso sfociava nella cosiddetta economia grigia con uno scambio basato sul baratto perché non era presente la domanda del consumatore e perciò si andava a creare un mercato parallelo. Quindi i prezzi che si vanno a formare in questo modello sono i cosiddetti prezzi ombra, ossia dei prezzi impliciti all’attività di baratto e perciò sono in termini fisici e non monetari. LIBERISMO ECONOMICO Anche in questo caso per parlare di economia di mercato abbiamo bisogno di una struttura contrattuale opportuna, ossia per poter parlare di modello di economia di mercato o liberismo economico abbiamo bisogno della presenza della proprietà privata. Questo implica comunque la presenza dello Stato come istituzione con la funzione sia di legislatore in quanto deve definire la struttura del sistema economico, sia come arbitro e giudice nel momento in cui si crea un conflitto sulla proprietà privata. Quindi non è un soggetto che interviene direttamente sul sistema economico. In questo caso il contratto fondamentale è rappresentato dalla moneta, la quale può essere definita solo dal decisore collettivo e quindi abbiamo bisogno dello Stato come funzione di regolatore. L’obiettivo comune del liberismo economico è l’obiettivo di efficienza economica. Specifichiamo che bisogna supporre un mercato di concorrenza perfetta in modo tale che la struttura della domanda e dell’offerta che provengono dai singoli operatori si coordina attraverso i prezzi, ossia l’intersezione di domanda e offerta costituisce il prezzo di equilibrio. Difatti il modello di efficienza del liberismo economico è quello della mano invisibile di Smith, ossia che il perseguimento dell’interesse del singolo operatore economico nelle proprie strategie individuali produce un ottimo collettivo che è l’efficienza del sistema economico. Riportiamo ora schematicamente le caratteristiche generali dei due sistemi economici. Analizziamo ora i limiti dei due sistemi organizzativi che hanno portato poi alla presenza simultanea di Stato e Mercato, ossia alla loro complementarietà. Le caratteristiche tecniche o fondamentali sono le preferenze che sono date nell’ambito del consumo; nel breve periodo è data anche la tecnologia e quindi non c’è progresso tecnico, perciò possono cambiare il capitale e le risorse ma non la struttura degli impianti; nel breve periodo la dotazione iniziale è data, in quanto non varia nel tempo, ma per la nostra analisi è data anche la quantità di risorse che un soggetto ha a disposizione perché il soggetto deve avere risorse disponibili da scambiare all’interno del mercato (proprietà privata), possono essere anche risorse fisiche e non necessariamente moneta come per esempio le economie con prezzi ombra. Quindi dati questi fondamentali possiamo immaginare strategie individuali ottimali, e questo dati prezzi parametrici che vengono determinati dal processo di coordinamento che definiamo come mercato. Se i prezzi sono corretti, quindi se possiamo introdurre un’idea di equilibrio di mercato, possiamo definire il sistema come quello della mano invisibile. Quindi se un sistema grazie ai prezzi si coordina e realizza strategie ottimali, l’esito finale sono delle scelte coordinate che in modo automatico perseguono l’efficienza economica. L’unico problema, come abbiamo già detto, sono le strutture di fondo in quanto si basa su teoremi e sono solo rappresentazioni ipotetiche della realtà. Importante è il tema degli obiettivi. In questo caso la libertà economica fa da sfondo al sistema in quanto non viene considerata come un obiettivo vero e proprio, ma come un valore e perciò viene indicato come obiettivo sociale. In altre parole, possiamo dire che non è un obiettivo tecnico ma un insieme di principi valoriali. Importante è anche il tema dell’equità. Una economia per perdurare ha bisogno che i soggetti che la compongono possiedano almeno un minimo di risorse per vivere; da qui l’ipotesi di sopravvivenza da introdurre come vincolo. Collegato ad esso è importante specificare anche che le risorse non siano in mano o possedute da un solo soggetto, in quanto altrimenti non avremmo un mercato e se anche ci fosse non durerebbe. Il vincolo di sopravvivenza è un punto iniziale in cui il sistema inizia a funzionare e in cui garantiamo a tutti di avere una dotazione iniziale che non sia un sistema vuoto. Quindi questo deve essere introdotto come vincolo ed è la condizione necessaria e sufficiente perché un sistema economico possa sopravvivere nel tempo e l’economia di mercato possa funzionare. Il compito di tale vincolo è assegnato al decisore collettivo e non al mercato; perciò, perché sia presente il vincolo di sopravvivenza dobbiamo riconoscere la funzione di far funzionare il mercato e di policy maker dello Stato all’interno del sistema economico. Lo Stato, quindi, deve garantire che il mercato possa funzionare e per tale scopo tra i suoi compiti c’è quello di introdurre il vincolo di sopravvivenza in quanto è il decisore collettivo. Il punto fondamentale della regola di Tinbergen però è quella dell’approccio strumenti-obiettivi, ossia che se introduciamo un obiettivo nel sistema economico come quello dell’equità abbiamo bisogno di introdurre uno strumento indipendente da quello già presente; strumenti che noi abbiamo identificato come le istituzioni. Questo strumento l’abbiamo identificato nella figura dello Stato. Ricordiamo che l’altro obiettivo del sistema è quello dell’efficienza economica, la quale viene coordinata dallo strumento del mercato. Quindi in questi modelli di liberismo lo Stato non può limitarsi alla sola funzione di legislatore ma deve anche avere un ruolo di pianificatore finalizzato all’equità distributiva o in generale a una distribuzione equa delle risorse iniziali. Sarà poi il mercato ad occuparsi del raggiungimento dell’efficienza economica, come abbiamo già specificato. Riassumendo: 1. Le caratteristiche fondamentali sono i vincoli del modello ed essi sono dati dallo Stato 2. Gli obiettivi sociali sono dati, cioè definiti ex-ante 3. La scelta dello strumento di coordinamento “efficace” rappresenta l’incognita del problema; verrà approfondito in seguito 4. Sotto il profilo dell’organizzazione del sistema economico, Mercato e Stato sono Istituzioni che svolgono funzioni separate ma complementari. E se vogliamo, il mercato si occupa dell’efficienza economica mentre lo Stato dell’equità delle risorse. Possiamo aggiungere che lo Stato introduce il vincolo di sopravvivenza, dal punto di vista operativo, attraverso l’uso della tassazione. Questo avviene andando a tassare un soggetto che dispone di maggiori risorse, in modo tale da poterle ridistribuire equamente tra gli altri soggetti della popolazione. MODULO 2 – L’EFFICIENZA IN UNA ECONOMIA DI QUANTITA’ Analizzeremo il tema dell’efficienza in una economia di puro scambio in un modello di mercato semplificato, ossia in un mercato in cui la produzione è già avvenuta e sono presenti solo due consumatori. Inoltre, il nostro obiettivo sarà quello di andare a capire come si coordina il sistema economico più che capire come si risolvono modelli di natura analitica e gli strumenti analitici utilizzati all’interno del sistema saranno quelli microeconomici dei consumatori. Quindi non abbiamo bisogno di un sistema monetario in quanto l’efficienza viene utilizzata all’interno di un sistema con risorse scarse e perciò quando parliamo di economia di puro scambio stiamo parlando di un’economia basata sul baratto o meglio definita economia di quantità. Iniziamo con il dare la definizione di efficienza e per farlo ci rifaremo al criterio di Pareto. Innanzitutto, perché ci poniamo un obiettivo di efficienza economica come obiettivo sociale? La risposta è perché in un sistema economico di dimensioni date vi sono scarse risorse la cui allocazione è causa di conflitti nella società. Le risorse scarse sono individuate come gli input, ossia i fattori produttivi. Perciò ci affidiamo all’efficienza in modo tale da rendere minima la conflittualità e questo avviene attraverso il criterio di Pareto. Il criterio di Pareto ha due pregi: 1. È frutto di strategie volontarie degli operatori 2. Gli operatori economici sono incentivati a collaborare rispetto al perseguimento degli obiettivi, in quanto garantisce a tutti di non perdere e perciò di minimizzare i conflitti Riassumendo, occorre rendere minima la conflittualità attraverso un meccanismo di contrattazione volontaria in cui gli operatori economici siano incentivati a cooperare  criterio di Pareto CRITERIO DI PARETO Si definisce Pareto-efficiente una allocazione delle risorse tale per cui, dati i fattori produttivi disponibili, la tecnologia e le preferenze dei consumatori, non è possibile individuare una allocazione alternativa che consenta di migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro. Tale criterio si ferma quando non è più possibile migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro. Sostanzialmente esso non consente a tutti gli individui di guadagnare, però permette all’intero collettivo di non perdere ed è proprio per questo che viene perseguito attraverso una collaborazione e un coordinamento da parte di tutti gli individui. Il criterio di Pareto soddisfa i seguenti requisiti: 1. Condizione di non spreco: utilizza e assegna al meglio tutte le risorse disponibili, seppure abbiamo detto siano scarse. Bisogna specificare che non è un criterio di efficienza assoluta, ma relativa in quanto quando viene raggiunto un obiettivo di efficienza tale criterio si ferma perché quello è il massimo che si può ottenere attraverso uno scambio volontario da parte degli operatori. 2. Può essere volontario: questo perché misura l’efficienza del sistema in termini di benessere individuale 3. Può essere cooperativo: l’efficienza dell’economia è massima quando non è possibile aumentare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro 4. Minimizza i conflitti nell’uso delle risorse scarse: consente a tutti di non perdere Bisogna però tenere conto che il criterio di Pareto è un ordinamento dal punto di vista strategico dell’economia e perciò deve avere requisiti di razionalità e coerenza dei meccanismi di scelta individuale e collettiva. Analizziamo un esempio. Notiamo che la condizione di efficienza viene soddisfatta nell’allocazione x, in quanto gli individui 1 e 2 non peggiorano il loro benessere e allo stesso tempo lo migliorano. Sorge però un limite di tale criterio. Lo possiamo osservare nell’allocazione x’’’ in cui l’individuo 1 migliora notevolmente il suo benessere rispetto all’allocazione x però il benessere dell’individuo 2 è peggiorato. Perciò il criterio di Pareto tace quando abbiamo strutture del sistema economico che siano conflittuali, in quanto il compito di risolvere i conflitti è affidato allo Stato. Inoltre, è limitato anche perché non permette compensazioni volontarie da parte degli operatori economici e questo possiamo notarlo nell’allocazione x* in cui l’individuo 1 sarebbe disposto a cedere una parte delle sue risorse all’individuo 2. Quindi ora possiamo dire che la direzione dello scambio tra gli operatori avviene sì in base alle condizioni di utilità ma, come abbiamo visto, anche dal punto di partenza delle allocazioni delle risorse del sistema. Perciò l’esistenza di una transazione vantaggiosa in termini di benessere individuale rappresenta un incentivo perché per i due consumatori sia conveniente continuare a scambiare. Lo scambio continuerà ad essere vantaggioso fino a quando: Questo non è altro che il meccanismo della mano invisibile di cui abbiamo già parlato, in quanto si basa sul perseguimento di un ottimo individuale volontario strategico in un risultato collettivo utile che chiamiamo uso efficiente delle risorse. Perciò per spiegare il concetto di efficienza non abbiamo bisogno della presenza dei prezzi monetari perché al contrario è un concetto di uso di risorse. Possiamo usare anche un elemento grafico per rappresentare le problematiche di efficienza e questo avviene tramite la scatola di Edgeworth. Graficamente, l’insieme di tutte le possibili allocazioni Pareto-efficienti, date le risorse iniziali, x1 e x2, le preferenze dei consumatori e l’allocazione iniziale delle risorse, è rappresentato dalla curva dei contratti di scambio. All’interno di una scatola di Edgeworth, la curva dei contratti di scambio è l’insieme efficiente di tutti i punti di tangenza delle curve di indifferenza dei due consumatori, ognuna delle quali riassume la struttura delle scelte di ciascuno di loro sulla base delle rispettive preferenze. Essa è chiusa in quanto l’economia è vincolata, quindi i consumatori devono utilizzare le risorse prodotte allocandole tra di loro e perciò i beni x1 e x2 sono risorse economiche e non beni liberi perché non sono disponibili in quantità illimitata. I lati, perciò, rappresentano la dimensione dell’economia, quindi la base corrisponde alla dotazione di bene x1 che i due consumatori hanno a disposizione e l’altezza la quantità di bene x2 che i due consumatori hanno a disposizione e che devono usare in modo efficiente. Un solo punto al suo interno ci permette di sapere in quel particolare punto qual è la dotazione iniziale di bene x1 e x2 di ciascuno dei due consumatori e questo lo possiamo osservare nel punto C, in quanto le sue proiezioni sui lati della scatola ci danno la quantità dei vari beni in dotazione dei consumatori. Notiamo inoltre che le allocazioni sono complementari perché se definiamo le allocazioni di beni di A conosciamo anche quelle di B. Bisogna specificare però che non tutti i punti all’interno della scatola sono perseguibili. Infatti, sono perseguibili solo quei punti che rappresentano un miglioramento paretiano data un’allocazione iniziale delle risorse in quanto i punti Pareto-efficienti non possono essere determinati in modo assoluto, ma solo in modo relativo e perciò non ci permette di confrontare due allocazioni che sono entrambe efficienti ma solo ciò che è un miglioramento paretiano rispetto ad un’alternativa. Una caratteristica dal punto di vista geometrico è che i punti che appartengono alla curva dei contratti dello scambio hanno tutti la caratteristica di rappresentare punti di tangenza tra le curve di indifferenza dei due consumatori. Significa che se il SMS è l’inclinazione di una curva di indifferenza in un punto, avere i saggi marginali uguali significa avere curve di indifferenza tra loro tangenti e questo è quello che avviene nei punti Z e W. CONCLUSIONI Considerazioni tecniche e teoriche: 1. Il SMS tra due beni rappresenta in una economia di quantità il prezzo soggettivo di ciascun consumatore e misura per il consumatore la disponibilità (non monetaria) per un bene, espressa in termini di rinuncia al consumo di un altro bene. Questo concetto di prezzo viene definito anche prezzo-ombra. 2. La condizione di efficienza, ossia l’uguaglianza degli SMS dei due consumatori, ci dice che le opportunità di scambio nel sistema economico si esauriscono quando si forma un unico prezzo in cui la disponibilità a pagare per uno dei due beni nei termini dell’altro equivale per i due consumatori. Questo quindi possiamo definirlo come stato di equilibrio del sistema economico e l’obiettivo di efficienza economica rappresenta uno stato stazionario, ossia un equilibrio stabile, in presenza di un prezzo di equilibrio (prezzo unico) rappresentato da SMSA=SMSB. 3. Il fatto che i consumatori non abbiano incentivi a fare ulteriori contrattazioni significa che questo esito (ottimale a livello individuale) è stabile per il sistema. L’economia di baratto è un sistema economico che raggiunge un equilibrio stabile coordinandosi nelle strategie individuali e la condizione di efficienza paretiana rappresenta un meccanismo di coordinamento “appropriato” delle decisioni individuali rispetto all’obiettivo. Considerazioni metodologiche e normative: 1. Il perseguimento dell’efficienza non include valutazioni etiche (legate alla moralità). Infatti, per l’efficienza è richiesto solo che nell’economia avvengano scambi vantaggiosi e che nessuno perda senza richiedere che i vantaggi vengano ottenuti da tutti gli operatori. Al contrario, se la società desidera introdurre valutazioni di equità le deve inserire come vincolo e quindi tra i propri obiettivi sociali. 2. Qualsiasi meccanismo di contrattazione rappresenta la possibilità di esercizio di potere economico. Quindi è possibile che si avvantaggi nello scambio il soggetto economico che ha maggiore potere contrattuale, fatto salvo che gli altri operatori non perdano. È possibile che in un’economia efficiente le risorse siano tutte concentrate nelle mani di un unico individuo però sarebbe un sistema che non può durare nel tempo e quindi è necessario introdurre un vincolo di sussistenza tra gli obiettivi. MODULO 2 – L’EFFICIENZA IN UNA ECONOMIA DI PRODUZIONE (DI QUANTITA’) Dobbiamo chiederci come usare in modo efficiente due fattori di produzione in somma fissa, ossia dati, per produrre due beni. In una economia in cui si producono due beni, x1 e x2, con l’uso di due fattori, L e K, disponibili in somma fissa e con tecnologia data, si raggiunge l’efficienza produttiva nel momento in cui non è più possibile aumentare la quantità prodotta di uno dei due beni senza diminuire la quantità dell’altro e quindi un miglioramento paretiano. I fattori L e K sono rispettivamente lavoro e capitale ed essi identificano la dimensione del sistema economico e quindi il vincolo e questo perché sono gli input la vera risorsa scarsa in un sistema economico di breve periodo. È importante dire che siamo nel breve periodo in quanto la tecnologia è data e quindi non c’è progresso tecnologico ed economico. Quindi gli input e la tecnologia data rappresentano il vincolo del nostro sistema economico e questa, come già visto, è una caratteristica delle strutture di breve periodo. Essendo la tecnologia già data, in questo caso variano solo le tecniche produttive, ossia la diversa combinazione degli input per produrre lo stesso volume di beni (teoria neoclassica delle imprese). Il ragionamento è lo stesso di quello visto precedentemente, però dobbiamo introdurre il concetto di isoquanto di produzione per andare ad analizzare la domanda di input di un’impresa. L’isoquanto di produzione è uno strumento analitico che in piano cartesiano, in cui vengono definite combinazioni di input, garantisce di ottenere lo stesso livello di quantità finale prodotta per un determinato produttore. Il saggio marginale di sostituzione tecnica SMST, dal punto di vista geometrico, è l’inclinazione dell’isoquanto produttivo in un determinato punto. Si può definire nel discreto, ossia andando ad osservare come è possibile modificare le diverse tecniche produttive per realizzare quella particolare quantità di prodotto finale. La produttività marginale di ciascuno dei due input è decrescente; quindi, significa che se andiamo ad aumentare la quantità di un input la produttività marginale di quel particolare input si riduce perché la teoria neoclassica del produttore vede la produttività marginale decrescente per ciascun fattore. Quindi se noi andiamo a rappresentare in un piano cartesiano quantità di lavoro e quantità di capitale e identifichiamo un particolare isoquanto di produzione come punto di partenza possiamo definire il SMST come rapporto incrementale, ossia di aumentare la quantità dell’input L e di compensarlo con una riduzione di K per poter mantenere inalterato il livello produttivo del bene x1. Quindi deve essere un’identità il legame tra i cambiamenti delle tecniche, ossia nuova combinazione degli input, e il rapporto tra le rispettive produttività marginali degli input stessi. Questo significa che il produttore può mantenere inalterato il livello di produzione di quel particolare isoquanto andando a sostituire 1 unità in più di lavoro e sottraendo 2 unità di capitale e significa che il lavoro, in quel particolare punto, è doppiamente produttivo rispetto al capitale. La condizione di efficienza di produzione si ha quando i SMST, ossia il cambiamento dei mix tra capitale e lavoro, coincidono nei due processi produttivi. In altri termini significa che fino a quando essi sono diversi nei due sistemi produttivi c’è spazio per un miglioramento paretiano, ossia per una riallocazione dei fattori di produzione tra i due processi in modo da migliorare l’uso efficiente degli input a livello di sistema economico. Vediamo quindi ora un esempio su quanto detto finora. scrivere come rapporto incrementale tra la possibilità di produrre quantità aggiuntive di bene x1 rinunciando alla produzione di bene x2. Questo dipende, dal punto di vista della tecnologia, dalla produttività marginale e dalla scala produttiva che caratterizza il sistema economico, quindi fondamentalmente dall’ipotesi di produttività marginale decrescente degli input e di rendimenti di scala decrescenti dal punto di vista produttivo. NB. Il SMT misura l’inclinazione della curva di trasformazione e quindi riguarda l’assetto produttivo di beni finali per l’intera economia (caratteristica dell’intero sistema economico), mentre il SMST rappresenta l’inclinazione di un isoquanto; quindi, riguarda il singolo produttore e come esso può cambiare le tecniche mantenendo inalterata la quantità prodotta (caratteristica della singola impresa). COMPATIBILITA’ TRA PRODUZIONE E SCAMBIO Vogliamo verificare le condizioni che garantiscono simultaneamente l’efficienza nello scambio e nella produzione perché ci possa essere efficienza complessiva per l’intero sistema economico. Siamo sempre nell’ambito di un’economia di quantità e quindi non abbiamo prezzi. Per capire meglio tale compatibilità utilizziamo un sistema economico il più piccolo possibile, ossia quello in cui abbiamo un solo individuo che è contemporaneamente consumatore e produttore. Questo tipo di sistema economico viene chiamato economia a isola in cui vengono prodotti due beni x1 e x2 e come abbiamo già detto esiste un solo individuo che è, allo stesso tempo, produttore e consumatore. Ciò che l’individuo produce e vuole consumare rientra nella stessa strategia convogliata in questa particolare figura di individuo. Quindi qual è la combinazione dei due beni x1 e x2 che sarà prodotta e consumata? È necessario considerare congiuntamente la curva di trasformazione, che individua l’insieme delle possibilità di produzione efficiente, e le curve di indifferenza che rappresentano le preferenze del consumatore. Dato l’insieme delle possibilità di produzione efficiente, il consumatore sceglierà la combinazione dei due beni che gli garantisce la massima utilità. L’efficienza nello scambio e nella produzione si ha nel punto di tangenza tra la curva di trasformazione e la curva di indifferenza più elevata per il consumatore e questo lo vediamo nel punto E. Osserviamo che tutti i punti che appartengono a tale frontiera tecnologica (curva di trasformazione) sono realizzabili attraverso gli input che sono a disposizione dell’economia a isola; inoltre possiamo accertare che i punti D e F non rappresentano la migliore situazione; infatti, il passaggio da essi al punto E rappresenta un miglioramento per l’individuo. Questo perché nel punto D o F l’economia sarebbe efficiente dal punto di vista tecnologico ma sarebbe migliorabile dal punto di vista delle preferenze del consumatore e perciò sarebbe un sistema sotto-ottimale perché esiste un livello di efficienza di grado superiore in cui il consumatore può migliorare il proprio benessere individuale. Nel punto E il SMT, che misura l’inclinazione della curva di trasformazione, è tangente alla curva di indifferenza più alta possibile per il consumatore e quindi coincide con SMS  funzioni tangenti significa stessa inclinazione Ora possiamo anche capire meglio perché la curva di trasformazione rappresenta la frontiera tecnologica e il vincolo della nostra economia in quanto non è possibile per il consumatore raggiungere la curva di indifferenza più elevata possibile, ossia quella al di sopra della curva. Lui vorrebbe raggiungerla ma non possiede la tecnologia necessaria per farlo. Quindi la tecnologia è un grosso vincolo in quanto se noi avessimo uno sviluppo tecnologico, il consumatore sarebbe in grado di raggiungere la curva di indifferenza più elevata. Perciò un aumento della tecnologia non significa solo maggiore ricchezza per il produttore ma anche una maggiore disponibilità di beni per i consumatori per poter essere utilizzati e quindi nel miglioramento del benessere collettivo. Nel punto E la quantità di x2 a cui si deve rinunciare per ottenere la produzione di una unità aggiuntiva di x1 è esattamente uguale alla quantità cui il consumatore desidera rinunciare sulla base delle sue preferenze. Questa analisi può essere generalizzata al caso in cui nell’economia vi siano due consumatori (A e B). Per farlo utilizziamo una particolare curva di indifferenza collettiva che ha la caratteristica di presentare in ogni punto un SMSA=SMSB, ossia una stessa disponibilità a pagare e un solo prezzo ombra per i due beni finali. Quindi dal punto di vista grafico il problema è indistinguibile rispetto al precedente se non nel caso delle curve di indifferenza che non rappresentano quelle del singolo consumatore ma sono la curva di indifferenza collettiva. L’EFFICIENZA PARETIANA: CONCLUSIONI Un’economia di baratto realizza un obiettivo di efficienza se si verificano le seguenti condizioni:  Assenza di spreco nella misura in cui tutte le risorse sono totalmente allocate, ossia che tutti gli input disponibili vengono utilizzati dalle imprese e tutti i beni finali prodotti vengono consumati dai consumatori  SMSA=SMSB nel consumo  SMSTx1 = SMSTx2 nell’uso dei fattori di produzione  SMT = SMSA,B nell’economia Nel nostro sistema quindi abbiamo realizzato un equilibrio economico generale stabile in un’economia di quantità (cioè non monetaria). Questo esito ci dice da un alto che è un equilibrio stabile nelle strategie perché la caratteristica della stabilità riguarda le strategie degli operatori e perché per raggiungere l’efficienza significa per ogni individuo aumentare il proprio benessere o comunque avere la garanzia di non perdere e perciò è stabile in quanto nessun operatore economico ha intenzione di variare la sua strategia. Inoltre, è efficiente perché per i produttori quello è il meglio che la tecnologia, attraverso il cambiamento delle tecniche, consente loro di realizzare e questo è il meglio che possiamo fare per i consumatori in termine di benessere realizzato (efficienza per tutti gli operatori). CONSIDERAZIONE FINALE Abbiamo bisogno dell’economia monetaria non per dire qualcosa in più sull’efficienza ma per immaginare un sistema di coordinamento che possa tener conto del fatto che gli operatori possono essere in numero più elevato, non possiamo immaginare sempre un’economia che si basi sui prezzi ombra e quindi usando la struttura delle preferenze e usando le informazioni sulle tecniche produttive. Quindi una struttura monetaria ci servirà proprio per tale motivo. In maniera riassuntiva: 1) L’efficienza economica implica un conflitto allocativo tra usi alternativi di risorse fisiche scarse. 2) Il criterio paretiano minimizza la dimensione di questo conflitto tra gli operatori attraverso la cooperazione fra soggetti. 3) Il sistema economico raggiunge il suo «massimo» (dati i vincoli) nell’utilizzo di risorse scarse attraverso scambi volontari e vantaggiosi per almeno un operatore senza che altri perdano. 4) L’efficienza nell’economia richiede la compatibilità delle decisioni di produzione con quelle di consumo. 5) Occorre un processo di coordinamento tra quanto si vuole produrre e quanto si desidera consumare per ciascun soggetto e per l’economia (l’equilibrio stabile nelle quantità è la «mano invisibile»). 6) Il coordinamento è possibile anche in un’economia di baratto (cioè senza moneta), ma certamente all’aumentare del numero degli operatori coinvolti la creazione di un’economia monetaria facilita le contrattazioni e il coordinamento. MODULO 3 – POLITICA ECONOMICA ED EFFICIENZA: I BENI PUBBLICI E LE ESTERNALITA’ Il meccanismo di Mercato realizza un equilibrio efficiente se, per i beni privati puri, i mercati sono completi e concorrenziali e non vi sono asimmetrie informative. La nostra analisi precedente implicitamente tratta solo di beni privati puri; i mercati sono completi perché si forma la domanda e l’offerta di ogni bene scambiato; tutti i mercati sono di concorrenza perfetta perché per gli operatori il prezzo è dato dal banditore walrasiano (parametro) e non è una variabile strategica; abbiamo perfetta informazione perché tutti gli operatori conoscono i prezzi dichiarati dal banditore walrasiano. Vedremo due tipi di fallimento di mercato caratterizzati dalla presenza di beni pubblici puri o esternalità:  La presenza di beni pubblici puri porta alla mancata formazione dei prezzi a causa di mercati incompleti e asimmetrie informative  La presenza di esternalità porta alla formazione di prezzi distorti a causa di mercati incompleti e asimmetrie informative Quindi abbiamo fallimento di mercato quando la mancata oppure la non corretta formazione dei prezzi impedisce il coordinamento delle decisioni e, quindi, l’efficienza economica. implementate avevamo un monopolista pubblico, ossia un solo produttore che è un’impresa pubblica. Oggi quelle che in passato erano di proprietà pubblica ora sono state privatizzate o date in concessione ai privati. Esempi: servizi di utenza (luce, gas, telefono, ferrovie). I beni meritori possono essere trattati come beni privati perché si forma il prezzo e possono essere gestiti in una logica di mercato. In nome però di un interesse collettivo li si tratta come se fossero beni pubblici puri. Quindi il termine meritorio significa che in nome di un interesse collettivo meritano di essere trattati come beni pubblici puri e significa che non vengono forniti con logiche di mercato ma dallo Stato e perciò vengono finanziati attraverso la fiscalità generale (gettito della tassazione). Esempi: alcuni servizi sanitari e alcuni servizi legati all’istruzione. La situazione deve essere valutata caso per caso, prendiamo per esempio il caso dell’istruzione che potrebbe avere caratteristiche diverse in base al contesto. L’istruzione pubblica per noi significa fornita dallo stato e finanziata dallo stato, però ricordiamo che alcuni istituti possono essere privati e perciò lo stato finanzia le famiglie in modo tale che possano acquistare sul mercato servizi di istruzione. Quindi il bene meritorio può essere gestito in una logica di mercato, ma per ragioni di natura sociale potrebbe non essere opportuno. Se immaginiamo di mettere in uno schema il valore dell’esclusione e della rivalità che caratterizza ciascun bene, come possiamo notare, abbiamo un bene privato puro quando esse sono complete, un bene pubblico puro quando esse sono pari a 0 e le forme intermedie dei beni di rete in cui il problema è fondamentalmente di rivalità, e dei beni meritori in cui il problema può essere una non convenienza sociale più che economica alla fornitura da parte dello stato. NB. Si ricordi che il bene pubblico puro può essere prodotto solo dallo Stato e finanziato con la tassazione. Questo non accade necessariamente per i beni meritori. L’EQUILIBRIO DI LINDHAL E IL PROBLEMA DEL FREE-RIDER L’equilibrio efficiente di Lindhal, presi in considerazione beni privati e beni pubblici puri, fa riferimento ad un’economia walrasiana nella quale la quantità efficiente di beni pubblici puri è prodotta sulla base della disponibilità marginale a pagare degli individui. Il problema, in presenza di un bene pubblico puro, è quello di non poter determinare un prezzo monetario unitario poiché un bene pubblico puro ha la caratteristica di essere utilizzato in comune. Però sappiamo che dal punto di vista teorico esiste la possibilità di definire prezzi soggettivi o prezzi ombra non monetari, ossia quelle che in una economia di baratto abbiamo chiamato le disponibilità a pagare. Quindi questa loro utilizzazione permette di risolvere il problema della mancanza di un prezzo monetario in presenza di un bene pubblico puro. È diverso il meccanismo di coordinamento:  nell’equilibrio walrasiano , i soggetti scelgono la quantità di ciascun bene privato (da domandare o da offrire) in corrispondenza del prezzo di equilibrio dato dal banditore  nell’equilibrio di Lindhal , i soggetti esprimono prezzi diversi, che rappresentano le loro disponibilità marginali a pagare, in corrispondenza di una data quantità ottimale comune del bene pubblico puro determinata dal banditore Quindi il banditore walrasiano dichiara una quantità ipotetica di bene pubblico puro e gli operatori economici rispondono manifestando una disponibilità a pagare per il bene. Se la quantità dichiarata è coordinata rispetto alle esigenze di domanda che provengono dal sistema economico viene prodotta esattamente quella quantità di equilibrio di bene pubblico puro, invece nel caso in cui non ci fosse una coincidenza tra la struttura della domanda e dell’offerta di bene dichiarata dal banditore ci sarebbe un’ulteriore determinazione di una nuova quantità comune e quindi abbiamo i successivi round di contrattazione che però usano una logica diversa perché il banditore è come se usasse una logica di coordinamento del mercato in presenza del bene privato e una logica diversa di coordinamento delle decisioni di domanda e di offerta in presenza del bene pubblico puro. Risolve una problematica di equilibrio e consente anche di verificare il primo teorema di mercato e quindi permette di verificare che anche in presenza di un bene pubblico puro il mercato si coordina e realizza uno stato di equilibrio economico generale (in questo caso di Lindhal) che ha la caratteristica di essere efficiente. Perciò permetterebbe di risolvere il problema del fallimento di mercato. La condizione di produzione efficiente di equilibrio del bene pubblico puro corrispondente all’equilibrio di Lindhal è la seguente: In cui h è il singolo individuo e H sono tutti gli operatori; G è il bene pubblico il cui costo marginale di produzione è CMAG, mentre x è quello privato; il prezzo monetario del bene x =1. Per interpretarla meglio può essere riscritta come:  SMS corrisponde al prezzo ombra di questa economia in presenza di un bene pubblico puro, che ricordiamo essere diverso per ogni individuo, e inoltre la prima condizione implica graficamente una tangenza tra la curva di indifferenza collettiva, data dalla somma delle disponibilità a pagare della collettività e quindi dalla somma delle curve di indifferenza di ciascun individuo, e la curva di trasformazione nella produzione di bene G e di bene x usando gli input in modo efficiente. Perciò possiamo concludere che la somma delle disponibilità marginali a pagare degli “H” individui deve coincidere con il saggio marginale di trasformazione per garantire l’efficienza dell’economia.  La seconda condizione ci dice che la domanda di bene pubblico, data dalla somma delle disponibilità marginali a pagare, deve eguagliare l’offerta di bene, in quanto ricordiamo che il tratto crescente della curva del costo marginale di produzione rappresenta la curva di offerta. Perciò possiamo concludere che la somma delle disponibilità marginali a pagare degli “H” individui deve coincidere con il costo marginale di produzione del bene pubblico “G” (con un prezzo unitario per il bene privato x) per garantire l’equilibrio, ossia domanda aggregata=offerta aggregata. PROBLEMI DEL SISTEMA Sembrerebbe che attraverso l’equilibrio di Lindhal sia stato risolto il problema del fallimento del mercato però dobbiamo soffermarci sul fatto che sorgono dei problemi all’interno del sistema economico: 1. Il primo problema riguarda la stabilità dell’equilibrio. Infatti, notiamo che entrambe le condizioni citate sopra si basano sul SMS di ogni individuo e quindi sulla loro disponibilità a pagare. Ricordiamo però che per un bene pubblico puro non vale il principio dell’esclusione e quindi significa che nel momento in cui un bene pubblico puro viene prodotto, la disponibilità a pagare degli individui è pari a 0. Ciò significa che l’equilibrio di Lindhal è stabile solo in presenza di SMS tutti pari a 0. Inoltre, il policy maker, ossia lo Stato, non è in grado di osservare la reale disponibilità a pagare di ciascun consumatore e dunque la fornitura pubblica rende possibile la produzione del bene pubblico puro, ma non ne garantisce l’efficienza. Questo è dovuto al fatto che i consumatori non hanno incentivi a dichiarare la loro effettiva disponibilità a pagare per un bene che, una volta prodotto, è disponibile per tutti. Il problema vero però in presenza di un bene pubblico puro è quello del free-rider ovvero che il mercato fallisce quando le strategie degli operatori economici non sono decentrate e indipendenti tra di loro, come è invece richiesto dai modelli walrasiani, perché in realtà il problema, sotto il profilo strategico, è che ciascun operatore attribuisca un valore economico alla disponibilità del bene pubblico puro ma in qualche misura spera che esso venga prodotto e finanziato da qualcun altro. 2. Perciò il secondo problema riguarda l’incentivo a fare il free-rider e in questo caso abbiamo un problema di coordinamento di strategie di tipo non cooperativo per la copertura dei costi di produzione del bene pubblico puro in quanto nella strategia individuale di ciascuno vi è l’idea che è preferibile che esso venga fornito e finanziato da qualcun altro e di poterlo utilizzare come se fosse un bene gratuito perché come già detto non vale la proprietà di esclusione. Per comprendere meglio il problema del free-riding può essere utile considerare un caso di dilemma del prigioniero. Analizziamo perciò il modello del dilemma del prigioniero. Consideriamo due individui, A e B, ed entrambi attribuiscono un valore soggettivo al bene pubblico puro pari a 8, notiamo che questo valore corrisponde alla disponibilità a pagare rispetto a un ipotetico bene privato di ciascuno dei due consumatori. Inoltre, il costo di produzione del bene pubblico puro è pari a 10. Ciascun individuo dispone di due strategie: dichiarare la propria disponibilità a pagare e quindi essere disponibile a contribuire al pagamento del bene pubblico puro (C) e quella del free-rider avendo una disponibilità a pagare pari a 0 e quindi non contribuire (NC); abbiamo pertanto la seguente struttura dei pay-off:  se entrambi contribuiscono, si dividono a metà il costo di produzione del bene pubblico puro e quindi per ciascuno è pari a 5 (10/2) e l’utilità netta è pari a 3 (8 - 5);  se entrambi non contribuiscono, l’utilità è nulla e il bene non viene prodotto;  se solo uno contribuisce, allora l’utilità netta del soggetto che contribuisce è -2 (8 - 10) in quanto si accolla l’intero costo di produzione e l’utilità di chi non contribuisce è 8 in quanto ottiene l’intero valore soggettivo che lui attribuisce al fatto di avere a disposizione il bene pubblico puro. Immaginiamo quindi un’impresa siderurgica che, posta a monte di un fiume, inquina le acque danneggiando l’attività di un’impresa ittica posta a valle. Il problema in questione riguarda l’impresa siderurgica che massimizza la propria produzione senza tenere conto degli effetti negativi che influenzano l’attività di produzione dell’impresa ittica. Specifichiamo che il problema non è un giudizio morale ma l’inefficienza dell’economia. Quindi il produttore d’acciaio è solo un operatore razionale che persegue la propria strategia ottimale utilizzando una risorsa (le acque) che ritiene un bene libero in natura e ovviamente il suo scopo non è quello di danneggiare l’ambiente ma, al contrario, di massimizzare la sua produzione. L’impresa siderurgica, nella sua strategia ottimizzante, tiene conto solo dei suoi costi privati, ma non dei costi sociali della sua produzione che coincidono con i danni causati all’impresa ittica (che alleva trote). Quindi abbiamo una struttura di costi privati che è inferiore al costo sociale desiderabile perché l’impresa siderurgica sta utilizzando un bene che corrisponde a un bene economico per l’altro produttore, inteso come acqua del fiume pulita, in quanto per allevare le sue trote dovrà prima depurare l’acqua inquinata dall’attività dell’impresa siderurgica e che di fatto utilizza come se fosse un bene libero in quanto l’acqua del fiume dal suo punto di vista non corrisponde a una risorsa scarsa e quindi non sorge il problema dell’efficienza. Questo è l’esito di un processo di razionalità economica per un produttore (in questo caso di acciaio) che si trova nella disponibilità di una risorsa economica (in questo caso il fiume) che può utilizzare gratuitamente. Quali sono gli effetti per il sistema economico di questa mancata coincidenza tra dimensione individuale e collettiva?  Si produce troppo acciaio (e relative scorie) perché il prezzo è troppo basso in quanto se siamo in concorrenza perfetta significa che nel sistema economico si produce troppo acciaio rispetto alla quantità ottimale che si dovrebbe produrre  L’altro produttore avrà costi privati maggiori rispetto a quelli desiderabili in nome di un’attività economica che non ha scelto di esercitare e perciò si producono trote in quantità inferiore a quella «ottimale» a prezzi troppo elevati. Quindi una caratteristica delle esternalità sulla struttura di mercato è che le esternalità negative producono sempre una quantità eccessiva del bene che crea l’esternalità a prezzi troppo bassi e chi subisce l’esternalità negativa produce una quantità inferiore rispetto a quella ottimale in presenza di prezzi troppo alti. Notiamo che l’economia di mercato, in assenza di interventi correttivi:  produce una quantità superiore a quella ottimale di beni che causano esternalità negative perché i prezzi di mercato privati risultano essere troppo bassi;  produce una quantità inferiore a quella ottimale di beni che causano esternalità positive perché i prezzi di mercato privati risultano essere troppo alti. Esempio: impresa che svolgendo la sua attività apporta benefici ad altri soggetti. Perciò capiamo che per l’efficienza dell’economia è necessario correggere anche le esternalità positive. Una soluzione «tecnica» interna al mercato per il problema dell’esternalità di produzione è l’integrazione di impresa. Quindi l’impresa siderurgica e quella ittica si fondono dando vita ad una sola impresa permettendo nuovamente la coincidenza fra prezzi privati e prezzi sociali nell’uso delle risorse, nella struttura dei costi e nella determinazione dei prezzi perché se il soggetto decisore produce contemporaneamente acciaio e trote implicitamente internalizza l’effetto dell’esternalità quindi non può dimenticarsi nel momento in cui produce l’acciaio degli effetti negativi che questo produce sull’attività di allevamento delle trote. Perciò l’impresa, che nasce dalla fusione, massimizza il profitto internalizzando anche la dimensione sociale dell’esternalità. Bisogna aggiungere che la nuova impresa deve tener conto delle interdipendenze tra le due produzioni nel massimizzare la propria funzione obiettivo e quindi aumenteranno i costi nella produzione d’acciaio e si ridurranno nell’allevamento di trote. Inoltre, anche le scorie inquinanti originate dalla produzione d’acciaio entrano nella struttura strategica dei costi della nuova impresa. Non sempre esistono gli incentivi economici perché questo si realizzi concretamente: abbiamo un problema del «core business». Notiamo che molte produzioni congiunte che noi osserviamo nella realtà (chi produce frutta produce anche miele, ad esempio) sono l’esito di soluzioni di mercato «convenienti» in presenza di esternalità positive di produzione in cui non si pone un problema di core business per l’impresa. Quindi laddove è presente una convenienza economica il mercato ha già risolto il problema dell’esternalità attraverso l’integrazione di impresa. L’integrazione di imprese non costituisce una soluzione generale e automatica al problema delle esternalità di produzione, nemmeno di consumo in quanto risulta difficoltoso andare ad integrare le varie attività dei consumatori. Occorre quindi assegnare un prezzo all’esternalità (PE), che il mercato non è in grado di fare, in modo da correggere il fallimento di mercato. “LA TRAGEDIA” DEI BENI COMUNI Un caso particolare di esternalità che risulta utile per comprendere anche alcune problematiche di tutela ambientale riguarda le risorse comuni, che hanno la caratteristica di essere non rinnovabili parzialmente o completamente. Il problema di fondo delle risorse comuni è che hanno la caratteristica di essere un bene rivale ma non escludibile. Quindi quando un individuo consuma il bene, esso non è più disponibile per il consumo altrui ma nessuno può essere escluso dal suo utilizzo perché non esistono diritti di proprietà su di esso. Questo tipo di problema ha molti elementi di confine tra un caso di esternalità e un caso di bene pubblico. Si sottolinea la rilevanza del contratto di proprietà privata per il funzionamento dell’economia di mercato. «La tragedia dei beni comuni» studiata da Hardin (1968) descrive la possibilità che, qualora non esista l’escludibilità una risorsa naturale possa essere sovrautilizzata, cioè usata in modo inefficiente, e questo è ciò che accade esattamente con l’esternalità negativa che abbiamo osservato nel caso della siderurgia. Il problema si pone quando la risorsa non è più replicabile e quindi è necessario intervenire in modo preventivo quindi una risorsa comune diviene una risorsa che si esaurisce se la lasciamo alle strategie individuali e per l’ambiente molte risorse hanno questa caratteristica. Il tema dell’utilizzo in eccesso di risorse esauribili non riguarda solo la pesca e la caccia, ma anche il disboscamento forestale o l’uso dell’acqua in zone aride, ad esempio. Dal punto di vista economico abbiamo un caso di strategie degli operatori interdipendenti perché questa è l’origine del conflitto di interesse ma un’interdipendenza che potenzialmente è conflittuale. Questo problema lo possiamo analizzare con il caso del dilemma del prigioniero applicato però in un contesto differente. Consideriamo in questo caso due pescatori, A e B, che operano su un lago e devono utilizzare le acque come risorsa comune. Essi possono applicare due strategie: possono decidere di pescare intensamente durante tutto il corso della giornata (I) oppure possono decidere di pescare moderatamente durante il corso della giornata per poter garantire al pescato del lago di potersi replicare nel tempo (M). Abbiamo pertanto la seguente struttura dei pay-off:  se entrambi pescano moderatamente, l’utilità individuale è pari a 4;  se entrambi pescano intensamente l’acqua del lago si impoverisce e cessa pertanto la loro attività economica, quindi l’utilità è nulla;  se solo uno pesca moderatamente, allora l’utilità del soggetto che lo fa è -1 perché limita la propria attività durante il corso della giornata ma allo stesso tempo con il comportamento dell’altro produttore non si garantisce di poter continuare a produrre nel periodo successivo, mentre l’utilità di chi pesca intensamente è 6. Possiamo dire che qualunque sia la strategia dell’individuo A, l’individuo B sceglierà sempre la strategia I mentre qualunque sia la strategia dell’individuo B, l’individuo A sceglierà sempre la strategia I. Quindi vi è un’unica strategia dominante per entrambi i giocatori che costituisce l’equilibrio di Nash: (I,I) che è la soluzione non cooperativa e che ha come esito uno sfruttamento intensivo della risorsa comune. Notiamo che questo esito è ottimale a livello individuale nel breve periodo ma poco lungimirante in quanto in una prospettiva di lungo periodo la scelta ottimale sarebbe quella di pescare moderatamente durante il corso della giornata per garantirsi di pescare anche in futuro. Quindi l’equilibrio di Nash, in presenza di una risorsa comune, non è Pareto-efficiente in quanto esiste una situazione migliorabile corrispondente al fatto che entrambi gli individui starebbero meglio se pescassero moderatamente (il pay-off di ciascuno sarebbe 4>0). Però non solo non è Pareto-efficiente ma, nel caso in cui la strategia dei due operatori non sia lungimirante, l’effetto è che la risorsa naturale viene ad essere completamente utilizzata; quindi, abbiamo un sovra utilizzo della risorsa e potenzialmente un problema collettivo di danno ambientale perché molte risorse naturali non sono più replicabili. Quindi in presenza di risorse comuni esauribili interviene lo Stato e regolamenta le attività economiche. Lo Stato, nel nostro esempio, definisce delle quote di pescaggio, vieta la pesca in alcuni periodi dell’anno, consente di pescare solo pesci che superino un certo peso per consentire la riproduzione. In questo modo si regolamenta l’attività economica. LA POLITICA ECONOMICA DELLE ESTERNALITA’ Analizziamo ora i correttivi delle esternalità. Le soluzioni di politica economica correttive (teoricamente) delle esternalità sono di due tipi:  una soluzione contrattualistica (Coase);  una soluzione fiscale (Pigou).  Riunione 2012 in Qatar che ha introdotto un’unità di misura comune corrispondente alle “tonnellate co2 equivalenti” con cui si fanno i conti per definire le soglie ambientali  Riunione Parigi 2015 che allinea le politiche ambientali al tema della sostenibilità e viene definita l’agenda 2030 che allunga la prospettiva delle politiche ambientali fino a questo termine per le politiche di sostenibilità indicate dall’ONU L’Europa, in merito alla questione, ha sempre sottoscritto questo tipo di politica e al suo interno utilizza una logica alla Coase e quindi attraverso i permessi di inquinamento per gestire la co2 e quindi avendo sottoscritto l’unione europea ai trattati internazionali si impegna alla riduzione della co2 in linea con gli accordi internazionali sottoscritti. Questo avviene attraverso piattaforme garantite dagli organi comunitari in cui avvengono gli scambi dei permessi di inquinamento e questi in Europa riguardano le imprese e non i paesi; quindi, sono proprio le imprese dei diversi paesi che attraverso queste piattaforme comprano e vendono permessi ad inquinare e sono imprese di settori più inquinanti identificati dall’unione europea in termini di co2, ad esempio nell’ultimo periodo è stata inserita l’edilizia. L’APPROCCIO DI PIGOU Lo Stato interviene con il sistema fiscale sostituendo al prezzo dell’esternalità:  una tassa pigouviana (esternalità negativa)  un sussidio pigouviano (esternalità positiva) Presentano una modalità “corretta” dal punto di vista etico in quanto chi produce un danno paga alla collettività il costo sociale dell’esternalità negativa e chi produce un beneficio alla collettività viene sussidiato. Notiamo però che sono presenti diversi problemi applicativi: 1. La tassa non è distorsiva, cioè è solo correttiva dell’esternalità, se e solo se la soluzione coincide con quella che si otterrebbe dall’integrazione di impresa. Lo Stato dovrebbe disporre di informazioni sulla struttura produttiva delle imprese (che non sono disposte a fornirle perché non ne hanno alcuna convenienza) per poterle tassare in modo “corretto”. Perciò risulta difficile e costoso tassare o sussidiare in modo corretto se i danni o i benefici sono di scarsa entità e riguardano molti soggetti, in quanto lo stato per entrare in possesso di tali informazioni e per mettere in atto tali costi deve sostenere ingenti costi. 2. Il gettito dell’imposta dovrebbe essere restituito «precisamente» ai soggetti danneggiati in modo da garantire l’efficienza. Però solitamente lo stato non applica tasse o sussidi pigouviani in quanto sarebbe troppo costoso, ma al contrario se lo Stato disponesse di tutte le informazioni necessarie potrebbe regolamentare direttamente le quantità efficienti di esternalità. Infatti, molte esternalità vengono gestite dallo Stato attraverso la regolamentazione delle attività economiche perché questa procedura è meno costosa della tassazione e questo avviene attraverso la definizione di soglie per ogni tipologia merceologica e per ogni tipo di inquinante definite standard ambientali. Nel momento in cui il mercato non funziona si pone sempre un problema di asimmetria informativa e per cui lo stato si trova sempre in condizioni di soggetto meno informato rispetto alla collettività e che avrebbe bisogno di acquisire informazioni per attuare politiche economiche opportune. Perciò dobbiamo specificare che lo Stato non potrà applicare politiche fiscali «corrette» in quanto l’informazione privata è di difficile osservazione e gli operatori economici non hanno incentivi a dichiarare la verità. Inoltre, per chi crea esternalità negative è razionale minimizzare la consistenza del danno arrecato alla collettività invece per chi subisce il danno è razionale esagerarne la dimensione per poter essere maggiormente risarcito. Questo significa in altri termini che vi è sempre un problema di incentivare gli operatori economici a dichiarare la verità. Perciò, al contrario, il vantaggio di un’economia che si coordina e per cui valgono i teoremi di mercato, ossia un’economia basata sulla mano invisibile, è quella di essere «compatibile» con gli incentivi. In essa gli individui non devono essere incentivati a dichiarare le proprie preferenze o la verità dei propri comportamenti in quanto le dichiarazioni false sono irrilevanti perché il coordinamento avviene attraverso prezzi dati ed in presenza di strategie sempre ottime per ipotesi a livello individuale non sono neppure utili. CONCLUSIONI Perciò ricapitolando, in presenza di un fallimento di mercato si pone sempre un problema per la politica economica, ossia quello di introdurre incentivi efficaci che spingano gli operatori economici a perseguire oltre al proprio obiettivo individuale anche quello collettivo (efficienza economica). Infatti, nel caso dei beni pubblici, gli operatori devono essere incentivati a contribuire ai costi di produzione, mentre nel caso delle esternalità a fornire informazioni private sulla dimensione dei danni subiti e/o dei benefici ottenuti. Invece l’economia di mercato che funziona (mano invisibile) non ha bisogno di introdurre incentivi individuali perché si persegua l’efficienza in quanto i prezzi d’equilibrio garantiscono tale coincidenza. Inoltre, i meccanismi di incentivo non rappresentano mai una risposta ottimale e pertanto i tentativi di correggere i fallimenti di mercato introducono sempre distorsioni nell’economia e sarebbe necessaria una scelta sociale esplicita e condivisa, cioè un consenso della società, per la loro attuazione. MODULO 4 – EFFICIENZA E FALLIMENTO INFORMATIVO Concludiamo l’analisi sulle questioni di politica economica rispetto all’obiettivo di efficienza andando a studiare le caratteristiche del cosiddetto fallimento informativo. Dovremo comprendere meglio le ragioni dell’intervento pubblico in questa particolare evoluzione del fallimento del Mercato che è legata:  ai processi di diffusione dell’informazione  agli effetti dell’incertezza economica sull’economia CARATTERISTICA DI UNA ECONOMIA DI FIRST-BEST Abbiamo costruito un modello teorico di equilibrio stabile per cui valgono i due teoremi del mercato e se questo modello può essere risolto, l’economia realizza un assetto di first-best. Una economia di first-best è un sistema economico che realizza sia un obiettivo di efficienza sia di giustizia sociale minimale attraverso il solo coordinamento del meccanismo di Mercato. Quindi è un’economia liberista che si coordina per cui valgono i due teoremi del mercato, ossia la mano invisibile e il principio di separazione. Perciò dal punto di vista teorico potremmo definirla semplicemente come un sistema economico walrasiano e concorrenziale per cui valgono i due teoremi del mercato. Vediamo tre conseguenze normative sul ruolo della politica economica: 1. Se non vi sono impedimenti alla compatibilità tra efficiente uso delle risorse realizzata attraverso il Mercato e giustizia sociale minimale, lo Stato non deve intervenire. Quindi lo stato non deve intervenire se non vi è necessità di ridistribuire le risorse. 2. Se vi fosse la necessità di modificare una distribuzione iniziale delle risorse non desiderabile, lo Stato dovrebbe intervenire solo attraverso la tassazione lump-sum. Le tasse lump-sum sono un esempio di politica di first-best. Si chiamano «politiche di first-best» quelle che garantiscono il principio di separazione in cui lo Stato agisce ex-ante sui fondamentali ed il Mercato si occupa di coordinare le strategie ex-post. Se queste politiche non sono possibili, il sistema economico può realizzare solo un assetto di «second-best» attraverso l’intervento pubblico, quindi con potenziali nicchie di inefficienza. 3. Se il Mercato fallisce e risulta essere inefficiente, lo Stato può correggere l’eventuale inefficienza solo attraverso politiche di first-best. Normalmente l’economia di first-best non viene realizzata perché almeno lo stato produce il bene pubblico puro e quindi nel sistema economico in cui noi siamo inseriti siamo sempre in un assetto economico di second best. Notiamo che l’economia di first best si realizza solo se valgono le cosiddette “ipotesi teoriche standard”: - assenza di fallimenti di mercato - concorrenza perfetta - mercati completi - perfetta informazione INTERVENTO PUBBLICO E NATURA DEL FALLIMENTO INFORMATIVO Introduciamo il concetto di fallimento informativo, esso riconduce qualunque violazione delle 4 ipotesi standard alle sue componenti di natura informativa e quindi lo Stato interviene per correggere un fallimento informativo che si pone in ciascuno dei casi in cui venga violata un’ipotesi standard. NB. Il concetto di fallimento di mercato è più ampio rispetto al concetto di asimmetria informativa, anche se noi lo analizzeremo in quest’ottica. In presenza di un fallimento informativo possiamo ipotizzare e giustificare un intervento pubblico per ragioni di efficienza. Dobbiamo specificare però che il fallimento informativo è di difficile soluzione anche con l’intervento pubblico e il confine tra ruolo dello Stato e del Mercato meno definito anche teoricamente. Riprendiamo le caratteristiche tecniche di una economia di first-best che pongono una questione di fallimento informativo e studiamo caso per caso il ruolo dello Stato. IPOTESI 1 – L’ASSENZA DI FALLIMENTO DI MERCATO Il fallimento di mercato può assumere due forme:  presenza di beni pubblici puri  presenza di esternalità Come abbiamo visto, nel caso del bene pubblico puro i consumatori non sono incentivati a manifestare la propria disponibilità a pagare (problema del free-rider). Si tratta di un problema di informazione “privata” che non può essere acquisita dallo Stato per una fornitura efficiente. In questo consiste il fallimento informativo. Invece si ha una esternalità quando la funzione di utilità o di produzione di un soggetto economico è interrelata con quella di altri operatori che ne traggono costi o benefici, non osservabili e misurabili, senza che vi siano compensazioni di mercato. Sono possibili correttivi che non richiedono l’intervento pubblico diretto: il Mercato può internalizzare le esternalità oppure lo Quindi lo stato non può imporre una regola di mercati contendibili in quanto significherebbe da un lato far fallire le imprese e dall’altro non introdurre le nuove tecnologie che hanno bisogno di dimensione più elevate perché un produttore destinato a fallire non userà mai una tecnologia più efficiente ma che ha bisogno di questa particolare struttura produttiva. La soluzione a questo problema è la creazione di un monopolio pubblico e con la nazionalizzazione della produzione si creano i monopoli naturali. Perciò la barriera all’entrata viene mantenuta fino a quando l’impianto o la rete non raggiungono la dimensione ottimale, nel momento in cui la raggiungono viene meno il problema dei rendimenti di scala crescenti e perciò conviene introdurre delle politiche da mercati contendibili per rintrodurre la concorrenza perfetta in questi settori. Quindi fino a quando non è raggiunta la dimensione ottimale dell’impianto della rete ha senso avere strutture di natura monopolistica e nel caso della rete il monopolista è pubblico, perciò, si parla di monopoli naturali. NB. Si potrebbe pensare al fatto che i rendimenti di scala siano un fallimento di mercato in quanto tali dal punto di vista teorico, ma in realtà sono un problema di tipo tecnologico. SECONDA SITUAZIONE DI GIUSTIFICAZIONE DELLE BARRIRE ALL’ENTRATA Vediamo un secondo tipo di contesto in cui possiamo giustificare la presenza delle barriere all’entrata, ossia quello dell’innovazione tecnologica e della ricerca. Molte barriere all’entrata hanno ragioni di natura tecnologica legate anche all’innovazione di processo o di prodotto che rende possibile produrre con costi decrescenti. Per un sistema economico il poter garantire le attività di innovazione delle imprese è comunque implicitamente garantire la crescita del sistema economico perché se abbiamo risorse date come normalmente accade l’unico modo per poter produrre di più, data la tecnologia, è quella di fare innovazione prevalentemente di processo in quanto consente di superare il vincolo dimensionale del sistema economico che consente di produrre con la stessa quantità di input quantità di output maggiore. Quindi è un caso di rendimenti di scala crescenti che spinge alla creazione di un mercato di monopolio se l’impresa innovatrice fosse unica, come spesso accade. Ma sappiamo che se favoriamo in nome della crescita l’innovazione tecnologica si mette in conto il fatto che vengano violati i requisiti della concorrenza perché vorrebbe dire introdurre rendimenti di scala crescenti per quella impresa e se l’innovazione non è imitabile, come spesso accade, diventa monopolista perché ha una struttura dei costi decrescente quando tutti gli altri hanno dei costi crescenti. Nonostante tutto l’innovazione tecnologica è il fondamento della crescita economica e non dovrebbe essere disincentivata anche se portasse a una violazione della concorrenza. La conoscenza tecnologica legata all’attività di ricerca rappresenta una dimensione dell’informazione che ha caratteristiche sia di bene privato che di bene pubblico (non puro). Essa:  è costosa da acquisire e deve essere adeguatamente remunerata dal mercato  quando si è diffusa può essere utilizzata quasi gratuitamente da chiunque. Perciò per evitare processi di imitazione la legge introduce i brevetti. Difatti la tutela dei brevetti e dei marchi rappresenta una barriera all’entrata «di legge» che impedisce l’imitazione gratuita da parte dei concorrenti e rende quindi più costosa la produzione dei concorrenti stessi. Inoltre, serve per remunerare l’attività di ricerca preliminare dell’innovatore ed il potenziale rischio (anche finanziario) di insuccesso. Se non fosse tutelata per legge con i brevetti verrebbero meno gli incentivi ad innovare e ciò sarebbe un freno per la crescita e per le nuove “scoperte” dovute all’attività di ricerca. Notiamo che in qualche caso lo stato finanzia direttamente l’attività di innovazione, ossia quando la dimensione collettiva di un determinato prodotto è particolarmente significativa per la collettività, questo per esempio è quello che accade nel campo medico. L’ulteriore punto da sottolineare è quello della distinzione tra ricerca applicata e di base. I privati attraverso la tutela dei brevetti hanno incentivo a fare ricerca applicata perché si applica direttamente a un prodotto vendibile e quindi l’impresa svolta l’attività di ricerca può avere degli esiti subito commercializzabili nel mercato rispetto ai quali realizza in tempi relativamente rapidi la possibilità di avere dei profitti. Diverso è il discorso sulla ricerca di base perché richiede molto lavoro, tempo e spesso incontra grandi fallimenti nei risultati ottenuti quindi in qualche caso dove c’è un interesse collettivo lo stato interviene direttamente trattando alcuni comparti della ricerca e in particolare ricerca di base in ambito medico come se fossero un bene meritorio, ossia un bene che viene prodotto o finanziato direttamente dallo stato. In conclusione, quindi:  La ricerca di base in presenza di un interesse sociale assume la valenza di bene meritorio che giustifica la violazione delle condizioni di concorrenza e una potenziale inefficienza.  La presenza di un’impresa pubblica potrebbe favorire la diffusione delle reti e/o dell’innovazione e rendere conveniente, in una fase successiva, la produzione privata e il ritorno a condizioni di concorrenza.  La durata dei brevetti rappresenta la decisione “politica” che deve essere utilizzata, in tutti gli altri casi, per gestire il trade-off tra minore efficienza e maggiore crescita. Inoltre, possiamo aggiungere che alla scadenza del brevetto cade la barriera all’entrata «di legge» e l’innovazione può essere utilizzata quasi gratuitamente da altre imprese (un esempio sono i farmaci generici). CASO ROYALTY SUI VACCINI COVID-19 Un modo con cui la legge consente di utilizzare i brevetti in essere è quello di renderli commercializzabili e quindi significa che un’impresa concorrente può pagare all’impresa che fa l’innovazione coperta da brevetti il costo di noleggio della tecnologia o dell’innovazione e questo viene definito royalty. La royalty è il pagamento all’impresa che detiene il brevetto per poter utilizzare nella propria struttura produttiva gli esiti di quel tipo di ricerca e questo è quello che è avvenuto con i due produttori dei vaccini Pzifer e Moderna che hanno utilizzato la tecnologia RNA tutelata da brevetti risalenti agli anni ’60. Nel 2011 sono state introdotte le tecnologie immunogenetiche, ma anche in questo contesto la maggior parte dei brevetti sono di proprietà di Pzifer e Moderna. I proprietari dei brevetti non erano case farmaceutiche ma università o comunque ricercatori che brevettavano nell’ambito della ricerca svolta in università, enti pubblici e quindi servizi sanitari dei vari paesi e imprese private legate al settore della biomedica. IPOTESI 3 – L’IPOTESI DI MERCATI COMPLETI L’ipotesi di mercati completi richiede che vengano forniti tutti i beni per cui i consumatori sono in grado di pagare un prezzo che copra i costi di produzione. Ciò può non accadere:  in presenza di beni pubblici puri  nel caso di rischi non assicurabili  in assenza di mercati a termine Perciò l’intervento pubblico deve garantire che tutti i beni per cui esista la domanda possano essere prodotti. I mercati incompleti spesso sono una conseguenza della presenza di forme di asimmetria informativa e una caratteristica dei mercati incompleti è la presenza di razionamento dal lato della domanda che la flessibilità dei prezzi non è in grado di risolvere; quindi, vi è una domanda di beni ma non vi è la creazione di una corrispettiva offerta perché di fatto si pone un problema di asimmetria informativa che produce questa conseguenza e perciò sono potenzialmente mercati inefficienti. I mercati assicurativi, del credito, del lavoro, oltre ad alcuni mercati finanziari, sono quelli più direttamente interessati. IPOTESI 4 – L’IPOTESI DI PERFETTA INFORMAZIONE La violazione dell’ipotesi di perfetta informazione rappresenta un contesto in cui l’economia di mercato non è in grado di coordinare le decisioni e di realizzare in modo automatico l’efficienza economica. Si originano potenziali situazioni di asimmetria informativa se le informazioni divengono troppo complesse. Quindi le informazioni sono disponibili ma data la loro complessità molti consumatori non sono in grado di declinare la natura delle informazioni che sono in grado di osservare e in questo caso si parla di fallimento informativo da complessità dell’informazione. Perciò sarà necessario ipotizzare che tali informazioni vengano gestite da “agenti informati” per conto di altri operatori (le strategie sono interdipendenti). Nell’ambito dei «modelli di agenzia» che studiano il coordinamento strategico in presenza di un soggetto più informato sono rilevanti, per molte problematiche di politica economica, i modelli noti come «teoria del principale-agente» in cui l’agente informato opera per conto del principale meno informato. Un rapporto con queste caratteristiche è quella del medico che è agente del paziente nella scelta della prestazione sanitaria ottimale che deve essere fornita dal servizio sanitario pubblico. Il problema che sorge è quello che riguarda la complessità come forma del fallimento informativo. Difatti ipotizzare che gli operatori siano sempre perfettamente informati implica che conoscano perfettamente le caratteristiche delle risorse, la loro esatta natura ed il loro valore nel tempo. Però accade che i principali non abbiano informazioni perfette sulla qualità dei beni scambiati oppure sul loro prezzo. La relazione tra qualità e valore di un bene è molto importante per il funzionamento dell’economia di mercato. Il consumatore deve poter osservare se il prezzo più elevato di un determinato bene è legato al fatto che è qualitativamente migliore di quello di un altro bene che risponde allo stesso tipo di bisogno. Inoltre, in molti contesti decisionali la carenza informativa riguarda l’incertezza e gli effetti nel tempo di una particolare strategia attuata oggi dagli operatori. Ecco perché sono necessari i contratti di agenzia. Bisogna sottolineare però che anche i contratti di agenzia sono minati da asimmetria informativa in quanto il soggetto meno informato normalmente non è in grado di osservare esattamente l’informazione che gli viene fornita perché se conoscesse esattamente le caratteristiche dell’informazione che gli viene fornita dal suo agente implicitamente non avrebbe un problema di mancata informazione. Quindi non sono contratti perfetti perché rimane questa asimmetria informativa tra il principale e l’agente. È possibile risolvere il fallimento informativo fornendo all’operatore le informazioni di cui è carente attraverso:  attività di mercato, ossia i servizi di «esperti»  la regolamentazione diretta dello stato (ad esempio listini dei prezzi o contenuto degli alimenti) Però ci sono dei contesti in cui non è sufficiente fornire informazioni, ossia quando: oggettive di verificarsi di ogni stato del mondo sono informazioni comuni a tutti gli individui e quindi hanno le stesse informazioni sulla struttura delle probabilità.  Pur compiendo le medesime azioni, i diversi agenti economici normalmente associano livelli di utilità differenti alle conseguenze e le funzioni di utilità attesa sono individuali. Le funzioni di utilità attesa consentono di distinguere tre tipi di posizione nel prendere decisioni in condizioni di incertezza: o gli individui neutrali rispetto al rischio, soggetto che affronta la rischiosità di un evento incerto, valuta il rischio dal punto di vista probabilistico e si costruisce una struttura decisionale tenuto conto di questo livello oggettivo di rischio. Nei modelli teorici sono le compagnie di assicurazione. o gli individui propensi al rischio, coloro che amano l’incertezza in quanto tale. o gli individui avversi al rischio, coloro che traggono disutilità dall’incertezza in quanto tale e sarebbero disponibili a pagare qualcun altro perché si assuma l’incertezza al posto loro, nei modelli teorici sono potenzialmente i clienti ovvero coloro che domandano assicurazione. In altri termini è colui che minimizza la possibilità di perdere e rifiuta il fatto di affrontare un evento incerto in quanto tale perché gli crea disutilità. LA NEUTRALITA’ AL RISCHIO Supponiamo che il reddito di un individuo nella situazione negativa sia Y1 ed in quella positiva sia Y2; nelle due diverse circostanze egli ottiene un benessere (utilità) pari, rispettivamente, a U(Y1) e U(Y2) e i due eventi hanno, rispettivamente, le probabilità note p1 e p2 di verificarsi. Definiamo il reddito medio atteso come: e l’utilità media attesa come: Notiamo che i valori attesi vengono identificati nei modelli teorici con l’espressione E(x), cioè valore atteso di x e corrispondono a una media ponderata degli esiti possibili in cui i pesi sono rappresentati dalla probabilità di verificarsi di ciascuno di essi. Ciò che ci porta a dire che un particolare individuo che stiamo osservando è un individuo neutrale rispetto al rischio è quello di andare a calcolare la funzione di utilità attesa di tale individuo. Andiamo a rappresentare una situazione negativa, quindi un livello di reddito Y1 più basso se si verifica un esito negativo e un livello di reddito Y2 più alto se si verificasse una situazione favorevole. Se immaginiamo che p1=p2=0.5, il reddito atteso YM sarebbe a metà tra Y1 e Y2 e l’utilità attesa a metà tra U(Y1) e U(Y2). Se manteniamo questa ipotesi possiamo andare a calcolare l’utilità associata a Y1 e l’utilità associata a Y2 e andando a calcolare l’utilità media per tale individuo che se è pari a 0,5 sarà esattamente a metà tra questa distanza e quindi l’utilità attesa come valore medio è pari a UM. Inoltre, possiamo osservare che se andiamo a congiungere tali punti notiamo che la funzione di utilità attesa di un individuo neutrale rispetto al rischio è lineare, ossia crescente al crescere del reddito sempre con la stessa inclinazione, e quindi qualunque sia la loro struttura dell’utilità avrà la caratteristica che UM si colloca esattamente a metà tra i livelli di utilità di ogni individuo. Un altro concetto da introdurre è quello dell’equivalente certo. L’equivalente certo, indicato con il termine asterisco e nella nostra rappresentazione corrisponde a Y*, rappresenta l’equivalente certo di una scommessa ossia equivale a identificare quel particolare valore che rende indifferente quel particolare individuo nella decisione tra l’accettare la scommessa o accettare un valore certo ad esso equivalente e quindi significa che un individuo neutrale rispetto al rischio sulla base della propria struttura della funzione dell’utilità avrà un equivalente certo Y* che è esattamente uguale alla speranza matematica della scommessa YM. Specifichiamo che Y* coinciderà con YM solo per gli individui neutrali rispetto al rischio in quanto caratterizzati dall’indifferenza nell’effettuare la scommessa. Ricapitolando, l’individuo accetterebbe un contratto che gli offrirebbe un reddito certo Y*= YM invece di affrontare l’incertezza dove l’individuo neutrale al rischio trae la stessa utilità dall’equivalente certo Y* e dal reddito atteso YM ed è quindi indifferente rispetto ad un «contratto equo» che gli offra l’equivalente certo (Y*= YM). AVVERSIONE AL RISCHIO E DOMANDA DI ASSICURAZIONE L’obiettivo è quello di andare a costruire un mercato per le assicurazioni perché di fatto il modello di von Neumann-Morgenstern è finalizzato al fatto di gestire l’incertezza ma di costruire un mercato per le assicurazioni nell’ambito di un modello di equilibrio economico generale e quindi sarà necessario andare a definire la struttura della domanda e dell’offerta. L’assicurazione è un “meccanismo attuariale (basato sul calcolo delle probabilità) che offre protezione contro il rischio individuale di verificarsi di un evento incerto di cui è nota la distribuzione di probabilità”. Nell’ambito assicurativo è necessario affrontare due questioni: 1. perché gli individui si assicurano volontariamente e domandano protezione contro il rischio? 2. a quali condizioni tecniche, i mercati offrono assicurazione? Un bene viene domandato se esiste una disponibilità a pagare e questo significa che perché noi possiamo avere soggetti che razionalmente sono disponibili a pagare per avere protezione contro il rischio dobbiamo immaginare soggetti che siano avversi al rischio, ossia che siano disponibili a cedere a una controparte a pagamento l’assunzione del rischio o dell’incertezza al posto loro in quanto trae disutilità dal fatto di dover affrontare una situazione incerta. Un individuo avverso al rischio ha una struttura delle preferenze tale per cui la sua funzione di utilità rispetto al reddito è concava, ossia che la sua utilità marginale è decrescente rispetto al reddito. Andiamo quindi a rappresentare la funzione di utilità attesa di un soggetto avverso al rischio e notiamo che la struttura degli stati del mondo e delle probabilità è esattamente identica alla precedente. Quindi avremo sempre il valore Y1 che rappresenta la situazione negativa, il valore Y2 che rappresenta la situazione favorevole e se la probabilità è uguale a 0,5 avremo di nuovo YM e quindi il valore atteso o la speranza matematica che è esattamente a metà e rappresentata dal punto YM. Inoltre, l’individuo avrà un livello di utilità associato a y1 e y2 e un’utilità attesa UM che se la probabilità e 0,5 anch’essa si colloca a metà di essi. È possibile identificare una ipotetica curva di neutralità rispetto al rischio e quindi significa che se il soggetto fosse neutrale rispetto al rischio la sua funzione di utilità attesa sarebbe quella lineare identica a quella precedente. Il grado di avversione al rischio di un individuo dipende dalla concavità della funzione di utilità: più la funzione è concava, maggiore è la sua avversione al rischio. Quindi, in presenza della stessa lotteria, YM sarebbe uguale per tutti gli individui mentre i livelli di utilità sarebbero diversi e legati alle preferenze individuali nel livello di avversione al rischio. Di conseguenza, anche l’equivalente certo Y* sarà un valore soggettivo in quanto è quello che rende indifferente l’individuo, cioè in cui l’utilità UM è la stessa di quella realizzabile con una lotteria con valore atteso YM. Quindi l’individuo si accontenta di un valore certo Y* più basso di YM pur di non affrontare la situazione incerta e che sarebbe disponibile a pagare quella distanza tra Y* e YM perché qualcun altro si assuma l’incertezza al suo posto e perciò domanda assicurazione perché disponibile a pagare qualcun altro che si assuma il rischio al suo posto. Perciò un individuo avverso al rischio potrà ottenere l’utilità attesa UM con un equivalente certo Y*, che è inferiore al reddito medio atteso YM, se gli verrà offerto con certezza e di conseguenza egli è disposto a rinunciare ad un valore pari a: Dove V è il prezzo soggettivo del rischio, cioè la sua disponibilità a pagare in cambio della certezza. Notiamo che YM è da contratto e quindi è semplicemente l’esito del calcolo della speranza matematica, mentre Y* dipende dalla curvatura della funzione dell’utilità attesa e quindi misura il grado individuale di avversione al rischio e maggiore è il grado individuale di avversione al rischio maggiore sarà questa distanza e tanto più esso sarà spostato a sinistra di YM. L’individuo sarà disposto a cedere il rischio pagando un prezzo massimo Φ uguale o inferiore al valore soggettivo V, dove Φ è il prezzo equo (cioè oggettivo) del rischio di un contratto equo, ossia se misura il rischio sulla base della struttura probabilistica dell’evento incerto e quindi è un contratto che non specula sul rischio. In altri termini significa che fa pagare all’individuo il rischio associato a una particolare situazione incerta per quanto è la misura oggettiva del rischio, dove oggettivo significa calcolato sulla base di una probabilità oggettiva di verificarsi degli eventi (no giochi speculativi).  Deve essere possibile per l’impresa diversificare il rischio tra individui con differenti caratteristiche e dunque può essere assicurato solo il rischio individuale e non quello collettivo (sistemico); quindi le distribuzioni di probabilità individuali devono essere indipendenti tra loro.  La probabilità individuale non deve essere troppo alta e vicina all’unità perché, dato il caricamento, il premio supererebbe, in questo caso, il valore del rischio oggettivo; inoltre, l’impresa avrebbe problemi di diversificazione del rischio. Infatti, le compagnie non offrono, ad esempio, polizze sanitarie individuali agli anziani oppure ai malati cronici in quanto la probabilità individuale sarebbe troppo alta.  Occorre che la probabilità dell’evento e la dimensione della perdita siano esogene e non possano essere modificate dal soggetto assicurato. L’assenza di questa condizione sta alla base di alcuni problemi di asimmetria informativa, dato che la compagnia non è in grado di osservare caratteristiche e comportamenti individuali del potenziale cliente. Quindi è necessario perché si possano creare contratti assicurativi efficienti che non esistano forme di asimmetria informativa. IL MERCATO ASSICURATIVO Vediamo le condizioni tali per cui abbiamo l’esistenza di un mercato assicurativo: 1. La domanda deve essere positiva; è pertanto richiesto che vi siano individui avversi al rischio per cui valga la relazione: 2. Deve essere tecnicamente possibile fornire assicurazioni dal punto di vista attuariale: perciò le probabilità individuali devono essere tra loro indipendenti, ciascuna probabilità individuale deve essere inferiore a 1, le probabilità devono essere note o calcolabili. 3. Deve essere possibile offrire contratti ad un prezzo che il consumatore è disponibile a pagare e questo si realizza quando il valore soggettivo V eguaglia il prezzo equo del rischio Φ. Dove Φ è dato dalla differenza tra premio attuariale π e perdita attesa pL. 4. Dato che l’impresa calcola il premio attuariale applicando un tasso di caricamento (infatti Π=(1+α) pL) a ciascun contratto, la precedente condizione diviene: Ne consegue che il mercato assicurativo esiste solo se: cioè se la disponibilità a pagare del cliente uguaglia (o supera) il caricamento applicato dall’impresa sulla perdita attesa. Notiamo che V rappresenta il valore soggettivo espresso dai potenziali clienti, p e L sono variabili oggettive per la compagnia di assicurazione ma anche per il potenziale cliente in quanto sono dati contrattuali, mentre il parametro α è un mark-up sul costo del contratto assicurativo (cioè la perdita attesa del contratto stesso) e serve alla compagnia di assicurazione per imputare su ogni contratto i costi fissi legati al mantenimento e alla gestione dell'azienda (locali, strumentazione, personale) che altrimenti non potrebbe sostenere. Dal punto di vista del sistema economico α dovrebbe essere il più basso possibile perché questo sarebbe segnale di efficienza delle imprese nella propria gestione dei costi e di assenza di extra-profitti da parte della compagnia di assicurazione. Quindi α misura il grado di concorrenza del settore perché se abbiamo un mercato concorrenziale nel valore di α ci possono stare solo i costi fissi e non di extra profitto. Perciò quanto più un mercato assicurativo è concorrenziale tanto più il valore di α tende a 0 perché remunera semplicemente i costi fissi, al contrario se esso è alto significa che non abbiamo un mercato concorrenziale in quanto l’impresa di assicurazione può avere extra profitti. Quindi il margine di caricamento, se il mercato assicurativo fosse concorrenziale, dovrebbe consentire all’impresa di coprire i costi fissi unitari imputabili ad ogni contratto e la remunerazione dell’imprenditore ma non dovrebbe garantire extra-profitti (intesi come esercizio di potere di mercato). Difatti se fosse troppo alto potrebbe essere letto come segnale di assenza di concorrenza perfetta nel mercato. I PROBLEMI APERTI Il fatto che il mercato assicurativo esista non indica necessariamente che abbia anche le caratteristiche di perfetta informazione che sono indispensabili per il perseguimento dell’efficienza. La presenza di fallimento informativo potrebbe rendere imperfetta anche la struttura concorrenziale dei mercati e creare mercati incompleti e dunque potrebbe causare inefficienza. Perciò dobbiamo prendere in considerazione le asimmetrie informative. LE ASIMMETRIE INFORMATIVE La presenza di asimmetrie informative crea problemi per la stipulazione di contratti assicurativi in quanto l’impresa ed il consumatore hanno informazioni di diversa qualità e ciò modifica la natura dello scambio. Tali asimmetrie possono assumere due forme:  la selezione avversa (adverse selection) che riguarda casi di informazione non osservabile ex-ante da parte della compagnia di assicurazione  il rischio morale (moral hazard) che interessa invece situazioni di azioni non osservabili ex- post da parte della compagnia di assicurazione Bisogna specificare che nella nostra analisi esistono solo soggetti economici razionali nelle proprie strategie e corretti dal punto di vista etico; quindi, non sono contemplati comportamenti dolosi o colposi che, del resto, sarebbero punibili penalmente. Perciò la ragione per cui si formano le asimmetrie informative nei mercati delle assicurazioni è legata alla struttura informativa e non ai comportamenti non etici dei potenziali clienti o compagnie di assicurazione. La selezione avversa si manifesta per il fatto che l’acquirente del contratto ha maggiori informazioni circa la propria rischiosità. Perciò potrebbe richiedere polizze che l’assicuratore non sarebbe disposto a concedere se avesse le medesime informazioni. Quindi il problema è che esistono caratteristiche dei soggetti che chiedono copertura assicurativa che la compagnia di assicurazione non è in grado di osservare direttamente e dall’altro lato la compagnia di assicurazione non può neppure richiedere tali informazioni perché vietato per legge in quanto riguardano dati sensibili, ossia riguardano le caratteristiche sanitarie di un individuo. Il contesto che andiamo ad analizzare è un contesto sanitario ma in un contesto decisionale particolare in quanto riguarda la malattia durante l’attività lavorativa. È un problema che viene risolto attraverso l’intervento pubblico che si sostituisce al datore di lavoro nel momento in cui un particolare lavoratore incorresse in uno stato di malattia durante il contratto di lavoro. Il problema del nostro esempio di fatto ha già trovato una risposta nella realtà e perciò il nostro compito non sarà quello di risolvere il problema ma capire perché sia necessario l’intervento pubblico. L’esempio che prenderemo in considerazione, quindi, è la stipula di un contratto che assicuri contro la perdita di reddito da lavoro in seguito a malattia. Il problema in tale caso è che un individuo avverso al rischio vorrebbe ottenere lo stesso reddito quando lavora normalmente e qualora non sia in grado di lavorare nei giorni di malattia. Poniamo due ipotesi.  Ipotesi di certezza Ipotizziamo che le probabilità di malattia di ogni individuo siano certe, ossia osservabili, per l’impresa assicuratrice e che sia possibile distinguere i soggetti a basso rischio con probabilità pL da quelli ad alto rischio che hanno una probabilità pH. Fatta questa ipotesi la compagnia assicuratrice tratterà i due gruppi di individui come se appartenessero a due popolazioni separabili e a ciascuno di loro proporrà contratti diversi. Perciò a ciascuno dei due gruppi verrà proposta una diversa polizza il cui premio è: Rispettivamente, per gli individui con bassa e con alta probabilità certa di malattia. Quindi per i soggetti a basso rischio, il contratto assicurativo sarà più vantaggioso e consentirà loro di massimizzare la propria utilità garantendosi un reddito più elevato anche in caso di malattia, mentre i soggetti ad alto rischio avranno un contratto assicurativo meno vantaggioso e potranno massimizzare la propria utilità garantendosi un reddito netto più basso, rispetto al gruppo meno rischioso, in caso di malattia.  Ipotesi di incertezza In questo caso per la compagnia assicuratrice non è possibile identificare con certezza a quale dei due gruppi un determinato individuo appartenga. Perciò stipula polizze assicurative in cui viene applicato un premio basato sul rischio medio di malattia della popolazione. Avremo quindi: Le probabilità non osservabili pL e pH sono quelle dei soggetti, rispettivamente, poco e molto rischiosi per la compagnia. Invece, γ e (1- γ) rappresentano le quote di individui, rispettivamente, ad alto e basso rischio che, potenzialmente, potrebbero chiedere la polizza. avrebbe nessun tipo di vincolo rispetto alla compagnia di assicurazione pubblica e quindi qualunque richiesta di sostenimento dei costi da parte del medico verrebbero completamente esauriti da parte delle compagnie di assicurazione. Quindi il medico farebbe la prescrizione, il soggetto farebbe il controllo medico e chiederebbe all’ente pubblico di coprire la spesa sanitaria. Un tempo il sistema sanitario italiano era basato su questo modello di sanità pubblica in una logica di tipo assicurativo, oggi un esempio che adotta tale modello è quello della Germania. Dato che per l’impresa assicuratrice (pubblica o privata) sarebbe impossibile avere perfette informazioni sui comportamenti individuali, si avrebbe un sovra-utilizzo del servizio sanitario e livelli di premi più elevati di quelli ottimali. Perciò il sovra-consumo rispetto alla quantità efficiente manifesta, in molti contesti reali, la presenza di moral hazard. Di conseguenza si creerebbe una divergenza tra costi privati individuali della sanità (di fatto nulli) e costi sociali (che sono invece positivi). Quindi tanto maggiore è la copertura assicurativa tanto minori sono i costi individuali nel non tenere un comportamento “prudente” e inoltre se sono minori le conseguenze personali dell’incertezza vengono meno gli incentivi a minimizzare le perdite. Nei sistemi sanitari di tipo assicurativo privato, come nel caso del sistema sanitario americano, tale problema si tiene sotto controllo andando a incentivare i medici a farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte in quanto partecipano (in varie forme) al risultato economico del fornitore del servizio. Quindi le polizze assicurative private devono incentivare il medico a tenere comportamenti prudenziali e normalmente le assicurazioni private americane sono strettamente legate a uno studio medico, un ospedale, una clinica che in genere sono presenti sul territorio dei diversi stati. Di fatto il medico lavora esclusivamente nella clinica, nell’ambulatorio o nell’ospedale supportato dalla propria compagnia di assicurazione e il medico normalmente è socio del soggetto che gestisce il servizio sanitario e quindi partecipa agli utili dell’attività sanitaria. Perciò significa che un medico che fa prestazioni nell’ambito di una struttura sanitaria con un meccanismo di tipo assicurativo in cui lo stesso soggetto di cui è socio ed è contemporaneamente assicuratore e prestatore di servizio sanitario ha incentivi a comportarsi in modo corretto in quanto altrimenti ridurrebbe gli utili e quindi il suo risultato economico individuale. Tale meccanismo viene definito “compartecipazione del rischio”. Si immagina sempre comportamenti etici da parte del medico e quindi che non fanno attività di tipo speculativo. Quindi le soluzioni generali per correggere parzialmente il fallimento informativo creato dal moral hazard nei mercati assicurativi sono:  La regolamentazione pubblica può produrre effetti diretti, ad esempio, impone la prevenzione, oppure indiretti in quanto consente alle compagnie di pagare solo i danni che superano i controlli previsti dal contratto.  I meccanismi di incentivo si basano su schemi di ripartizione del rischio tra impresa e assicurato che prevedono l’introduzione di franchigie, di forme di co-assicurazione e di premi differenziati (bonus-malus o classi di merito). Dobbiamo specificare che il sovra-consumo per la presenza di moral hazard non si risolve automaticamente attraverso i servizi sanitari pubblici ma al contrario devono essere introdotti meccanismi di incentivo sia per i medici che per i pazienti:  I medici devono rispettare protocolli terapeutici per prescrivere prestazioni in base alla diagnosi e alla tipologia di paziente.  I pazienti incontrano forme di razionamento delle quantità che si basano sul meccanismo delle liste d’attesa o sulla partecipazione ai costi delle prestazioni in base alla necessità e all’urgenza. NB. Non è la fornitura pubblica che risolve il fallimento informativo ma gestisce in modo alternativo rispetto alla logica di mercato le conseguenze del fallimento informativo in quanto lo Stato non è in grado di avere più informazioni rispetto a quelle che potrebbe avere una compagnia di assicurazione. Per sua natura il fallimento informativo non si risolve con l’intervento pubblico, ciò che è informazione privata resta informazione privata. MODULO 5 - SCELTE COLLETTIVE E MECCANISMI DI VOTO: UNA INTERPRETAZIONE ECONOMICA In questo modulo, concentreremo l’attenzione sulle problematiche redistributive. L’economia di first-best rende già possibile introdurre ex-ante un minimo di equità realizzabile attraverso tasse lump-sum. Iniziamo con l’analizzare perché abbiamo bisogno di una teoria delle scelte collettive. Il coordinamento di mercato lascia alcune questioni “aperte” che devono trovare una risposta attraverso il coordinamento di decisioni collettive. Notiamo che nelle società democratiche lo Stato, cioè il decisore collettivo, interviene nel sistema economico attraverso un processo di delega «politica» che idealmente dovrebbe rispettare le esigenze di tutta la società, cioè le decisioni collettive. La creazione di un consenso sugli indirizzi di politica economica avviene attraverso il meccanismo elettorale che dovrebbe definire i valori e le priorità che la collettività desidera realizzare. Tre questioni aperte:  Come e quanta re-distribuzione delle risorse realizzare  Come e quanto regolamentare le attività economiche  Quali sono le priorità tra gli obiettivi di politica economica Abbiamo bisogno di:  una teoria delle scelte collettive che ci consenta di identificare il benessere sociale  delle regole per poter comparare situazioni alternative dal punto di vista del benessere degli individui Specifichiamo che i meccanismi di voto rappresentano lo strumento democratico attraverso cui una società decide come rendere operativi i principi di giustizia sociale che intende realizzare. Partiamo con l’analizzare le teorie della giustizia sociale. In una società democratica è opportuno che ciascun individuo possa manifestare le sue preferenze circa l’assetto sociale desiderabile. Il punto di partenza sarà sempre la struttura delle preferenze individuali perché questo significa rispettare la libertà di scelta nell’ambito di un assetto democratico del sistema economico; quindi, il bene comune sarà sempre una qualche aggregazione che nasce dalle preferenze dei valori espressi dal singolo individuo sulla base delle proprie preferenze nell’ambito della società. Perciò la teoria delle scelte collettive consente, sulla base di definiti principi di giustizia sociale, di identificare il benessere sociale attraverso opportune funzioni che la collettività decide di massimizzare. L’utilità collettiva è rappresentabile attraverso delle funzioni del benessere sociale che sono l’aggregazione di funzioni di utilità individuali; perciò, la scelta di una determinata funzione del benessere sociale produce effetti diversi a livello individuale. Vedremo due teorie della giustizia sociale che si ispirano a differenti principi: 1. il contrattualismo, basato sul pensiero di Rawls 2. l’utilitarismo moderno, versione di Vickrey e Harsanyi Bisogna specificare che questi due modelli hanno una caratteristica in comune, ossia di rappresentare strutture decisionali in condizioni di incertezza. IL CONTRATTUALISMO La teoria della giustizia sociale del filosofo Rawls propone l’idea di un contratto sociale vincolante in cui la collettività si impegna al perseguimento della giustizia sociale intesa come tutela del gruppo sociale più svantaggiato. Il punto fondamentale è l’idea di un contratto sociale vincolante che i cittadini di un determinato contesto sottoscrivono e si impegnano a rispettare e la priorità di esso è quello di costruire un assetto di società e in particolare un assetto di giustizia sociale in cui la società si impegni a tutelare il gruppo sociale più svantaggiato. Lo svantaggio non è in termini economici ma assomiglia più a un’idea di pari opportunità e quindi di partecipazione alla società in senso di possibilità di accedere all’istruzione o alla sanità per esempio (punto di vista valoriale e non economico). Il contrattualismo di Rawls si ispira alla filosofia di Rousseau e Kant la cui idea centrale è quella di un consenso volontario degli individui a un contratto sociale vincolante. Ne vediamo una rilettura in termini di razionalità economica. Il punto centrale della teoria di Rawls è quello di immaginare che ciascun individuo opera dietro «un velo di ignoranza» nel senso che non conosce la propria posizione relativa nella distribuzione delle risorse, pur conoscendo gli stati del mondo possibili e la loro probabilità di verificarsi. Quindi ciascun individuo accetta questo contratto vincolante perché non è in grado di sapere qual è la sua posizione relativa dentro il processo distributivo. Questo significa che se immaginiamo una società fatta di tre gruppi sociali, ossia composta dai ricchi, dal ceto medio e dai poveri, ciascun individuo non è in grado di sapere la sua posizione relativa e quindi al termine del processo di distribuzione delle risorse gli capiterà di essere il ricco, il ceto medio o il povero. Notiamo perciò che gli stati del mondo e le probabilità di verificarsi sono a conoscenza dell’individuo, ma non gli esiti della distribuzione delle risorse. Ciò implica che un individuo avverso al rischio sceglierà una regola di scelta collettiva che tuteli i più poveri, temendo di trovarsi in quella situazione. Notiamo che se il rischio di perdere implica una perdita consistente la posizione di avversione al rischio è quella più razionale, ossia di volere una società che mi tutela se mi capita di essere quello più sfortunato. Perciò una posizione di avversione al rischio consente di rendere razionale questo tipo di scelta; quindi, una società che si impegna non nel massimizzare qualcosa ma nel tutelare coloro a cui la sorte assegna la posizione peggiore. Il criterio di scelta razionale per un individuo avverso al rischio è il criterio del maximin, ossia il benessere sociale è massimo se è massimo il benessere del soggetto più svantaggiato. Perciò l’obiettivo per la società è: in cui W è la Funzione del Benessere Sociale della collettività e Ui è la funzione di benessere individuale al suo livello minimo.  le risorse devono essere assegnate ai soggetti che ne traggono maggiore utilità in quanto la società massimizza l’utilità totale e non tiene conto di quella interpersonale.  la funzione è compatibile con la massima iniquità con tutte le risorse assegnate al soggetto «più produttivo» nel trarne utilità. Perciò occorre inserire un vincolo di sopravvivenza se vogliamo costruire una società democratica. Dal punto di vista matematico significa introdurre altre forme di aggregazione delle funzioni di utilità individuali in quanto difficilmente troveremo funzioni utilitariste di tipo additivo, ma normalmente troviamo due tipi di formulazione diverse come funzioni del benessere sociale moltiplicative che introducono il vincolo di sopravvivenza in modo tale che il valore W se avesse al suo interno un valore individuale pari a 0 si annullerebbe e perciò si esclude l’ipotesi di assegnare le risorse ad un unico individuo, e funzioni di tipo esponenziale che può essere utilizzata per assegnare maggior peso ai livelli più bassi di benessere. Perciò la scelta di una opportuna forma funzionale per la funzione del benessere sociale da massimizzare consente alla società di definire la configurazione di giustizia sociale che desidera realizzare. Difatti possono essere usate forme di tipo moltiplicativo quando si vuole evitare di assegnare 0 risorse a qualche partecipante alla società, mentre se la società è interessata a redistribuire attraverso la tassazione, attuata sui più ricchi, maggiori risorse ai più poveri dovrebbero scegliere funzioni di tipo esponenziale, attribuendo quindi esponenti differenziati sulla base del grado di povertà che intendono ridurre. CRITERI DI SCELTA COLLETTIVA E MECCANISMI DI VOTO Come la collettività sceglie tra funzioni del benessere sociale alternative? Occorre una regola razionale di scelta collettiva che rappresenti le preferenze individuali sul piano delle preferenze sociali e lo strumento operativo è rappresentato dai meccanismi di votazione. Due criteri di voto come regola generale di votazione:  votazione all’unanimità  criterio di maggioranza L’UNANIMITA’ L’unanimità implica che una decisione viene adottata solo se tutti sono a favore. Bisogna specificare che l’unanimità sembrerebbe il criterio di aggregazione del consenso più democratica in quanto si prende una decisione solo se tutti i partecipanti alla società fossero d’accordo, ma bisogna tenere presente che se abbiamo realtà economiche complesse darsi come unico criterio di voto un criterio all’unanimità in molti casi significa non scegliere e causa la paralisi del sistema economico. Questo in quanto può essere utilizzato un criterio all’unanimità quando i principi di fondo su cui si basa una società siano omogenei, ma se il problema è quello di riconciliare posizioni diverse normalmente tende a non essere opportuno perché in molti casi non consente effettivamente di aggregare un consenso e di prendere una decisione. Quindi una votazione all’unanimità può essere utilizzata in ambiti in cui è già presente una qualche condivisione di fondo di principi o obiettivi comuni. Il criterio dell’unanimità:  Spesso viene definito come regola di Pareto in quanto garantendo a tutti di non perdere potrebbe essere una regola di aggregazione delle preferenze individuali votabile all’unanimità. Bisogna tenere presente che questa è la ragione per cui normalmente si dice un obiettivo condiviso del sistema economico è l’efficienza perché di fatto rispetto all’efficienza paretiana è possibile un’aggregazione di consenso da parte della società.  Significa possibilità di esercizio strumentale del diritto di veto. Quindi se voglio bloccare una decisione in un contesto in cui la regola del gioco sia il voto all’unanimità di fatto voto contro e le ragioni per cui un soggetto possa votare contro sono sul contesto in cui la decisione avviene o su un giudizio rispetto alle strategie altrui. Può essere identificato come dittatura della minoranza in quanto in un contesto in cui possa essere esercitato il diritto di veto il soggetto che esercita il diritto di veto impone alla collettività la propria scelta e impedisce agli altri di poter scegliere. Il diritto di veto da un lato rappresenta una garanzia reciproca perché tutela le vere minoranze e questa è la ragione per cui spesso gli organismi internazionali sulle decisioni molto significative consentono l’esercizio del diritto di veto come in sede ONU o in alcune materie che regolamentano il diritto dell’Unione Europea.  È utilizzabile in ambiti in cui vi è predisposizione alla collaborazione in nome di un interesse comune “forte”. Troviamo la presenza di alcuni esempi di voto unanime negli statuti delle cooperative che hanno livelli di capitale sociale molto basso e forte spinte ideali dal punto di vista dei soggetti fondatori delle società cooperative che spesso portano avanti il principio “una testa, un voto”, ossia vengono prese le decisioni solo se vengono votate da tutti i soci. LA MAGGIORANZA SEMPLICE La maggioranza semplice prevede che una decisione venga adottata solo se votata dalla metà più uno dei votanti. Tale criterio decisionale pone problemi di:  razionalità delle scelte  democrazia nei processi decisionali Questo è il motivo per cui si utilizza un criterio di maggioranza qualificata per le decisioni rilevanti. Tali problemi sono evidenziati dal cosiddetto paradosso di Condorcet o ciclicità del voto. In particolare, viene sottolineato la possibilità di verificarsi tutte le volte in cui abbiamo strutture dei voti definite cicliche, ossia cicli di numeri ricorrenti. Analizziamo un esempio. Consideriamo l’applicazione del criterio della maggioranza semplice ad una decisione di politica ambientale da parte di un comune e in particolare il problema è quello dello smaltimento dei rifiuti. Vi sono tre partiti A, B e C che devono scegliere fra tre politiche ambientali alternative avendo la possibilità di esprimere un solo voto:  discarica  inceneritore  riciclaggio Ciascuno indica con 1 la prima scelta, con 2 la seconda e con 3 la terza. Vediamone la struttura delle preferenze. Notiamo che le strutture delle preferenze individuali dei tre partiti sono differenti tra loro in quanto le varie scelte vengono assegnate con priorità differente alle diverse politiche ambientali. Inoltre, tale struttura rappresenta una struttura, dal punto di vista del calcolo combinatorio, di numeri ricorrenti e quindi è un esempio di voto ciclico. La caratteristica di questo tipo di struttura è quella di avere una struttura delle preferenze definita “struttura a picchi” in quanto ciascun partito ha un picco come priorità rispetto ad una alternativa diversa dagli altri soggetti e quindi se noi mettessimo ai voti una struttura di preferenze con queste caratteristiche in realtà il comune non potrebbe scegliere usando un principio di maggioranza semplice perché il partito A sceglierebbe la discarica, il partito B sceglierebbe l’inceneritore e il partito C sceglierebbe il riciclaggio. Per risolvere il problema si propone di votare a maggioranza per coppie di alternative. Difatti se votiamo a coppie: Notiamo che se volessimo un meccanismo di scelta razionale, per coerenza, se la discarica è preferita all’inceneritore e che se l’inceneritore è preferito al riciclaggio deve essere vero anche che la discarica è preferita al riciclaggio. Invece con una votazione diretta, le preferenze risultano essere nuovamente cicliche e non ordinabili. Perciò diviene rilevante la modalità con cui avviene la votazione a coppie in quanto chi ha il potere di stabilire l’ordine di votazione può anche influenzare il risultato finale. Infatti, nell’esempio vince sempre l’alternativa che si vota per prima. Ricordiamo che questo problema si pone solo se abbiamo strutture delle preferenze di tipo ciclico; quindi, se avessimo strutture delle preferenze differenti in realtà un criterio di maggioranza semplice potrebbe funzionare. Pertanto, si pone anche un problema di “democrazia” nel processo decisionale e quindi occorre evitare che la scelta di un particolare meccanismo di voto possa essere utilizzata per finalità individuali o di gruppo. Questa è anche la ragione per cui in pratica utilizziamo meccanismi di voto più sofisticati, infatti:  La maggioranza semplice si utilizza nella scelta fra due sole alternative rilevanti, eliminando il problema della ciclicità del voto.  Si definiscono a priori con un contratto (legge o statuto) le modalità di voto a garanzia della democrazia delle scelte.  La maggioranza qualificata viene prevista dalle leggi o dagli statuti nel caso di decisioni collettive di particolare rilevanza. Si dimostra che con una maggioranza qualificata di almeno il 64% dei votanti è possibile «normalmente» fare scelte razionali e democratiche. Quindi anche in strutture che sono cicliche se la maggioranza è di almeno il 64% dei votanti la scelta non è più manipolabile. MODULO 5 - I CIRCUITI DELLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO Analizziamo ora l’analisi della formazione e distribuzione del reddito in un’economia reale in cui operano sia le forze di mercato che il sistema politico. Notiamo che questa è l’identità che noi usiamo nei modelli macroeconomici di un’economia chiusa: Y = C (privati) + I (privati) + G (spesa pubblica per consumi collettivi e investimenti pubblici) + (saldo con l’estero = 0). Quindi possiamo descrivere il circuito redistributivo perché dal punto di vista logico per poter passare da un valore prodotto e misurato come somma di monte salari, monte profitti e imprese indirette e renderlo reddito spendibile dai soggetti istituzionali quindi come consumo del settore privato dell’economia, consumo del settore pubblico (consumo collettivo), investimento collettivo (investimenti del settore pubblico) e investimenti del settore privato. Per poter logicamente immaginare come si passa da un valore prodotto a un valore spendibile dentro il sistema economico bisogna immaginare soggetti che intervengano in questo tipo di processo redistributivo perché nel momento in cui viene remunerato il fattore lavoro esistono dei soggetti identificati come i lavoratori che percepiscono quel valore economico creato e sono le famiglie che spendono all’interno del sistema economico. Esso non modella direttamente la struttura strategica degli operatori economici ma si limita ad osservare il momento in cui i grandi aggregati istituzionali spendono sotto forma di consumo e di investimento e questo significa immaginare all’interno del circuito redistributivo uno spazio assegnato alla funzione economica delle famiglie, delle imprese e dell’amministrazione pubblica. Quindi il monte salari e monte profitti circolano attraverso gli operatori settoriali e non istituzionali, per cui è attraverso il settore delle famiglie che percepiscono reddito da lavoro e da capitale che possiamo avere un sistema economico che genera consumo privato ed è attraverso un valore economico che confluisce al settore delle imprese che possiamo avere imprese che investono. Inoltre, bisogna specificare che:  Il monte salari e il monte profitti sono definiti lordi in quanto comprendono gli oneri sociali che dovranno essere pagati allo Stato da lavoratori e imprese e quindi non potranno essere spesi completamente  I consumi collettivi rappresentano quella parte della spesa pubblica destinata all’acquisto di beni e servizi che vengono registrati separatamente dalla spesa per gli investimenti collettivi da parte dello Stato (si distinguono le funzioni economiche della spesa pubblica). Anche le famiglie possono dover contribuire a pagare per beni e servizi pubblici (cioè spendono per consumi collettivi). Bisogna notare che questo tipo di circuito redistributivo non tiene conto di tutte le relazioni economiche che legano tra di loro il settore delle famiglie, le amministrazioni pubbliche e il settore delle imprese perché dal punto di vista macroeconomico manca la voce risparmio in quanto non è detto che le famiglie consumino sempre tutto il reddito che hanno a disposizione. Il risparmio delle famiglie viene letto indirettamente come possibilità di investimento delle imprese perché il circuito redistributivo è la famiglia che non consuma tutto il reddito a disposizione in quanto viene in parte risparmiato, il risparmio delle famiglie viene investito e attraverso il settore di intermediazione bancaria finanzia gli investimenti delle imprese. Questo è quello che in macroeconomia era stato visto come investimento uguale a risparmio, in quanto il risparmio delle famiglie finanzia gli investimenti delle imprese. L’altra relazione che non si è in grado di osservare è la relazione tra settore privato e settore pubblico e in particolare ciò che non si può osservare sono i contributi sociali che i lavoratori e imprese pagano allo Stato per la fornitura delle assicurazioni sociali. Quindi quello che diviene reddito spendibile sono sempre i salari lordi e la remunerazione lorda perché una parte di essa non entra nel circuito redistributivo ma viene direttamente erogato all’amministrazione pubblica sotto forma di contributi. Allo stesso modo non si possono nemmeno osservare i trasferimenti che le amministrazioni pubbliche erogano soprattutto alle famiglie e le imposte dirette sul reddito. Perciò, ricapitolando, questo circuito funzionale non consente di osservare direttamente le relazioni tra soggetti e tra settori economici. Quindi, non si evidenziano:  La dimensione del risparmio con cui le famiglie finanziano le imprese e i loro investimenti  Le relazioni tra settore privato e settore pubblico che configurano il bilancio delle amministrazioni pubbliche: - Le imposte dirette sul reddito e gli oneri sociali che imprese e famiglie pagano al settore pubblico (sul fronte delle entrate) - i trasferimenti che le amministrazioni pubbliche erogano soprattutto alle famiglie (sul fronte delle uscite). Quindi per poter implementare tali mancanze abbiamo bisogno di affiancare a tale circuito il circuito della distribuzione personale del reddito. LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO Il circuito della distribuzione personale (o secondaria) del reddito studia il reddito disponibile netto sulla base dei flussi di reddito che confluiscono alle famiglie che dipende anche da stock patrimoniali accumulati nei periodi precedenti attraverso il risparmio accantonato. Ci consente di analizzare il processo di formazione del reddito netto disponibile ad una certa data e la sua distribuzione tra famiglie con differenti caratteristiche. L’analisi sulla distribuzione personale del reddito si completa con lo studio della distribuzione della ricchezza che dipende anche dal risparmio accantonato nel tempo. L’analisi della distribuzione della ricchezza familiare ci fornisce informazioni sull’esito del processo di accumulazione degli stock patrimoniali, anche se non ci consente di studiare le dinamiche sottostanti. I dati statistici campionari necessari per l’analisi hanno come unità di rilevazione le famiglie e le informazioni più complete venivano rilevate fino alla pandemia, ogni biennio, dalla Banca d’Italia. Bisogna specificare che i due circuiti non sono mai perfettamente sovrapponibili in quanto il circuito funzionale studia il reddito disponibile lordo mentre il circuito personale quello netto. Quindi non è possibile andare a comporre un circuito completo sovrapponendoli. È importante richiamare quelli che sono gli aspetti più significativi del circuito della distribuzione personale del reddito. Sullo sfondo vi è un valore economico prodotto e quindi le famiglie hanno a disposizione un valore economico spendibile in quanto esiste a monte un’attività produttiva che genera valore e si raccorda anche alla struttura del consumo e del risparmio che rappresentano l’esito spendibile a livello aggregato di ciò che è stato creato. In particolare, tale circuito si concentra sui flussi di valore che intercorrono tra gli altri settori presenti nel sistema economico che è rappresentato dall’insieme delle amministrazioni pubbliche e delle imprese, perciò studia i flussi di valore che vanno dalle amministrazioni pubbliche alle famiglie e dalle imprese alle famiglie. Tali flussi di valore sono identificati come redditi di trasferimento che vanno dalle pubbliche amministrazioni alle famiglie, di cui la voce più consistente sono redditi da pensione, e reddito spendibile che va dal settore delle imprese alle famiglie attraverso reddito da lavoro erogato dalle imprese e reddito da capitale attraverso le imprese di intermediazione finanziaria in quanto il risparmio investito dalle famiglie in attività finanziaria nel momento in cui genera reddito da capitale viene rilevato come trasferimento di reddito che va dalle imprese alle famiglie. Yd rappresenta il reddito disponibile medio (reddito familiare complessivo diviso per il numero delle famiglie) di una famiglia italiana, il quale è dato da reddito da lavoro (dipendente o autonomo), redditi da capitale corrispondente all’investimento del risparmio delle famiglie e redditi da trasferimenti che sono prevalentemente redditi di natura pensionistica. È possibile confrontare tale dato con il dato precedente che equivale al 2014 in quanto le rilevazioni sono biennali e notiamo che esso è aumentato dello 0.6% e questo ci permette di osservare che il tenore di vita delle famiglie italiane è in aumento anche se di poco. Questo dato è significativo in quanto bisogna specificare che le famiglie italiane non hanno ancora oggi recuperato il livello di reddito che avevano nel 2008. Mettendo insieme l’informazione sul reddito, sul consumo e sul risparmio riusciamo a capire qual è il modo con cui le famiglie affrontano le crisi finanziarie e soprattutto le recessioni prolungate che caratterizzano il sistema economico. Abbiamo due fasi: una prima fase è quella immediatamente dopo la crisi finanziaria in cui le famiglie italiane tendono a mantenere inalterata la struttura del consumo e a ridurre la dimensione del risparmio e questo è quello che possiamo osservare in Italia dal 2008 al 2012; una seconda fase che si presenta quando la crisi è prolungata e in cui le famiglie non si possono più permettere solo di ridurre il risparmio ma sono costrette a ridurre anche i consumi e questo è quello che accade dal 2012 in poi. Notiamo che una riduzione del consumo delle famiglie significa anche una riduzione della domanda interna di un paese. Perciò le famiglie escono dalla crisi nel momento in cui riprende il consumo e quindi tra il 2014 e il 2016 a fronte di questo incremento del reddito del 0.6% notiamo un aumento del consumo delle famiglie del 3.8%. bisogna tenere presente che all’interno del consumo sono presenti sia i beni durevoli sia i beni strettamente necessari e perciò quello che fanno le famiglie è che hanno rimandato in momento di crisi l’acquisto di beni non necessari come possono essere alcuni beni durevoli e nel momento in cui vedono prospettive positive sull’economia e quindi aumenta il grado di fiducia delle famiglie esse ricominciamo a spendere soprattutto rispetto a quel consumo contenuto sui beni durevoli. L’altro dato importante da osservare è quello del risparmio S inteso come risparmio medio delle famiglie con risparmio positivo e quindi non in generale di tutte le famiglie italiane in quanto non tutte hanno un risparmio positivo. Infatti, una famiglia può avere risparmio pari a 0 se spende ciò che ricava o addirittura risparmio negativo se ricorre a un finanziamento o se utilizza il risparmio accumulato nei periodi precedenti. In questo caso il risparmio ha un calo del -3.4% rispetto al 2014 in quanto le famiglie italiane nella seconda fase di una crisi hanno un crollo del risparmio e perciò il risparmio che viene accumulato nei primi anni della crisi viene utilizzato per mantenere un tenore di vita adeguato. In realtà tale dato non è però così negativo come sembrerebbe in quanto esprime il fatto che famiglie che negli anni precedenti non erano state in grado di risparmiare, in questo periodo (tra il 2014 e il 2016) cominciano a risparmiare per piccoli ammontari e quindi è aumentato il numero di famiglie che risparmiano ma contemporaneamente è aumentato il numero di famiglie che hanno risparmi modesti rispetto a coloro che già risparmiavano durante la crisi. Perciò si assiste a un aumento delle famiglie che risparmiano ma allo stesso tempo a una caduta del risparmio medio delle famiglie italiane. Un altro dato significativo è quello della Wmd che corrisponde alla ricchezza mediana. Il valore mediano è quello che divide esattamente a metà la distribuzione statistica di W, cioè metà delle famiglie italiane hanno una ricchezza inferiore a Wmd e metà superiore a Wmd. Perciò in questo caso nel 2016 il 50% delle famiglie italiane avevano una ricchezza inferiore a 126038 euro, mentre l’altro 50% una ricchezza superiore. Viene proposto tale dato in alternativa alla ricchezza media in quanto la variabile ricchezza ha una particolare configurazione: ha una concentrazione nei valori bassi e una concentrazione dei valori nei valori più elevati; quindi, mancano i valori centrali nella distribuzione dei patrimoni delle famiglie italiane. Quindi in una configurazione come questa non sarebbe opportuno utilizzare dei valori medi perché la media appiattisce le distanze e si andrebbero a schiacciare i valori estremi. È comunque possibile calcolare il valore mediano anche del reddito ed è stato utilizzato per poter calcolare in modo coerente il rapporto Wmd/Ymd. Questo ci indica quanto pesano i patrimoni delle famiglie italiane rispetto al loro reddito e quindi qual è la solvibilità finanziaria delle famiglie. Perciò in questo caso nel 2016 le famiglie hanno una dotazione di patrimonio che può essere smobilizzato pari a 5.5 volte il loro reddito e quindi fornisce ulteriori informazioni circa la solidità finanziaria in seguito a una crisi. Altro dato significativo è quello della propensione al consumo ottenuta dal rapporto tra la struttura del consumo e del reddito disponibile delle famiglie italiane C/Yd. Esso è pari a 0.761 e significa che dato un reddito disponibile pari a 100 le famiglie ne spendevano il 76.1%. Questo è un dato pressoché strutturale che tende a variare non di molto nel tempo però se osserviamo la propensione al consumo nel 2012 notiamo che essa è diminuita e questo ci fa capire come le famiglie per mantenere un certo livello di consumo hanno rinunciato a risparmiare. Come abbiamo detto esso però tende a non variare e difatti generalmente è intorno al 75% il che indica come le famiglie rispetto al passato stanno consumando più di quanto normalmente fanno e perciò risparmiando di meno rispetto a quanto tradizionalmente facevano prima della crisi finanziaria. Le altre variabili che sono importanti da osservare dal punto di vista metodologico invece sono particolarmente utili soprattutto se volessimo fare dei confronti internazionali in quanto fare dei confronti internazionali rispetto a variabili di tipo famigliare dal punto di vista statistico presenta sempre problemi di omogeneità del dato perché la struttura delle famiglie ha una dimensione che dipende non solo da problematiche di tipo economico ma anche da problematiche socioculturali. Quindi questi valori fanno riferimento ad una dimensione familiare, ma le famiglie hanno diversa composizione e caratteristiche che variano nel tempo e nel territorio. Perciò si tiene conto non solo di redditi famigliari ma anche di redditi individuali, ossia si passa da una configurazione di reddito disponibile medio famigliare a una configurazione di reddito disponibile pro-capite. Quindi si va a sommare tutti i redditi di tutte le famiglie e le si divide per il numero complessivo di componenti che caratterizzano ciascuna delle famiglie e in questo modo si tiene conto delle diverse dimensioni famigliari. Un modo analogo è quello di considerare il reddito disponibile equivalente. Tale meccanismo con il quale si passa da valori famigliari a valori resi equivalenti sono particolarmente importanti per le politiche sociali e quindi anche l’ISEE che rappresenta un indicatore sulla situazione economica delle diverse famiglie normalmente ricostruisce attraverso l’utilizzo di questo tipo di strumento statistico le diverse composizioni famigliari. Lo strumento statistico utilizzato è la scala di equivalenza ossia un sistema di pesi con cui si vanno a tener conto i diversi soggetti presenti all’interno del nucleo famigliare. La Banca d’Italia adotta la scala di equivalenza dell' OCSE modificata , che attribuisce un coefficiente pari a 1 al capofamiglia, 0.5 ai componenti con almeno 14 anni e 0.3 a quelli con meno di 14 anni. Merita qualche cenno la situazione economica più recente delle famiglie italiane e, in particolare, la crescita del risparmio durante la pandemia ed è evidente la differenza rispetto a quanto è accaduto nel 2012 dopo la Grande Recessione. Infatti, dal 2020 le famiglie italiane hanno ripreso a risparmiare e il loro risparmio è circa due volte e mezzo quello del 2012. Questo è dovuto al fatto che si è verificato un evento di risparmio forzoso soprattutto sulle famiglie con tenori di vita più elevati in quanto la situazione pandemica, limitando notevolmente la vita sociale, ha permesso loro di diminuire i consumi. Però ciò che ha preoccupato le banche centrali è che si è trattato di risparmio tenuto sotto forma di liquidità sui conti correnti e non di investimenti effettuati e questo dovuto soprattutto alla grande incertezza sul futuro causata dalla pandemia. Inoltre, in questi anni l’inflazione non è mai stata una variabile rilevante in quanto negli anni più pesanti della crisi i prezzi sono scesi e negli altri anni l’inflazione era comunque modesta. Quindi non si ha avuto neanche grande trasformazione sui livelli di spesa delle famiglie perché di fatto la struttura dei prezzi è rimasta costante e in alcuni casi si è addirittura ridotta. L’INDEBITAMENTO DELLE FAMIGLIE E LA TEORIA DEL CICLO VITALE L’analisi del grado di indebitamento delle famiglie è di particolare rilevanza per capire anche l’origine della crisi finanziaria americana del 2008 che ha prodotto poi la Grande Recessione anche in Europa. Non sono molti i contributi teorici in grado di interpretare le relazioni tra reddito, ricchezza e indebitamento; la teoria del ciclo vitale rappresenta una delle più note, anche se risulta poco utile per capire pienamente la realtà europea. Iniziamo con l’analizzare l’indebitamento delle famiglie. Le dinamiche di reddito, ricchezza e indebitamento dipendono dall’età, dalla condizione professionale, dall’istruzione del capofamiglia, oltre che dal numero di componenti e di percettori nel nucleo familiare e dal territorio in cui si vive. Bisogna specificare che il fatto di avere delle passività non rappresenta un evento negativo per il tenore di vita familiare. Al contrario ciò che rende la famiglia vulnerabile è il fatto di essere fortemente indebitata rispetto al proprio reddito o al proprio patrimonio. Facciamo ora qualche osservazione sul grado di indebitamento delle famiglie italiane nel 2016 in un confronto internazionale. Le famiglie indebitate sono quelle che hanno una passività finanziaria legata al mercato del credito e che quindi vengono classificate sotto la voce immobili e perciò sono quelle famiglie che hanno una passività finanziaria perché hanno acquisito una proprietà immobiliare; passività finanziaria legata al mercato del consumo che normalmente le famiglie richiedono per l’acquisto di beni durevoli; un canale di indebitamento in cui le famiglie si indebitano con altre famiglie e in questo caso si tratta di prestiti personali con trattativa privata in cui una famiglia ottiene un prestito da un’altra ma si impegna a restituirlo. Questa tabella ci mostra per ogni fascia di età quante famiglie rispetto al totale delle famiglie appartenenti a quella fascia di età abbiano una passività finanziaria. Il dato più rilevante è dato dall’ultima colonna in quanto determina la quota sul reddito mediano delle famiglie e possiamo osservare che ad esempio per le famiglie più giovani l’indebitamento istituzioni creditizie in quanto nella legislazione americana e anglosassone è possibile il fallimento personale tutelato dal diritto non solo civile ma anche penale e quindi comportamenti finanziari non corretti sono colpiti in maniera particolarmente pesante e ciò tende ad aumentare il grado di fiducia sulla solvibilità delle potenziali famiglie che chiedono erogazione di prestiti. Nel caso della Spagna invece le modalità di indebitamento sono più di tipo macroeconomico che di comportamento delle famiglie. Difatti negli anni tra il 2002 e il 2006 la Spagna è stato uno dei paesi che è cresciuto di più con traiettorie di crescita particolarmente significative e con forte recupero rispetto ai paesi che tradizionalmente crescevano di più all’interno dell’unione europea. Tale sviluppo però è stato caratterizzato prevalentemente da investimenti pubblici e privati nel campo dell’edilizia e quindi non sono stati investimenti produttivi ma di tipo immobiliare. Perciò tali valori immobiliari fino a un certo punto si sono gonfiati e nel momento in cui si è realizzato un eccesso di offerta e una domanda che non era più in grado di riassorbire questa offerta immobiliare via via più crescente è scoppiata la bolla immobiliare. Tale fenomeno ha fatto sì che un numero sempre maggiore di famiglie spagnole anche meno solvibili rispetto alla media di altri paesi hanno avuto accesso a prestiti di tipo immobiliare. Interessanti sono anche le informazioni relative anche alla tabella basata su dati recenti. Essa ci fornisce delle misure che le banche centrali si sono costruite per monitorare quel fenomeno che viene identificato come famiglie sovra-indebitate, ossia tutte quelle famiglie che hanno passività finanziarie non sostenibili rispetto al proprio tenore di vita. In particolare, possiamo osservare due indicatori. Il primo indicatore è quello che possiamo osservare nelle prime colonne, ossia un rapporto tra il debito D e il reddito disponibile delle famiglie Yd. Vengono considerate sovra-indebitate le famiglie che hanno un livello di passività finanziarie in essere rispetto al proprio reddito disponibile maggiore di 3 e quindi il valore del debito è di tre volte l’ammontare del reddito disponibile delle famiglie. Il secondo indicatore invece è osservabile nell’ultima colonna ed è costruito rispetto ai patrimoni delle famiglie e quindi viene considerata sovra-indebitata dalle banche centrali una famiglia che abbia un debito che sia almeno il 75% del proprio patrimonio. Possiamo aggiungere che in tutti i paesi almeno nel 2018 il livello delle famiglie di indebitamento è sempre meno preoccupante rispetto a quelli che abbiamo commentato nelle tabelle precedenti e ancora una volta possiamo sottolineare i livelli più bassi della media che caratterizzano il nostro paese. Inoltre, notiamo che sono stati inseriti anche la Danimarca e i Paesi Bassi in quanto vengono monitorati attentamente rispetto agli indicatori di sovra-indebitamento. Questo perché in generale i paesi scandinavi si sono trovati come conseguenza della crisi finanziaria ad avere una quota molto significativa di famiglie potenzialmente con una situazione finanziaria corrente o patrimoniale non in grado di sostenere questo livello di debito. LA TEORIA DEL CICLO VITALE La teoria del ciclo vitale interpreta la relazione esistente tra il consumo (C), il reddito da lavoro (YL), il risparmio (S) e la ricchezza (W), nell’arco della vita adulta di un individuo. Secondo tale teoria, l’individuo tende a:  avere un consumo costante nell’arco della propria vita  indebitarsi da giovane, risparmiare nella vita attiva e utilizzare il risparmio da anziano. Di conseguenza:  il consumo viene mantenuto costante e quindi l’individuo è disposto ad indebitarsi nelle fasi della sua vita in cui non guadagna a sufficienza per garantirsi quel determinato tenore di vita, cioè da giovane e da anziano;  il reddito da lavoro cresce nel tempo, raggiunge un massimo e poi decresce; si annulla con l’uscita dal mercato del lavoro;  la ricchezza, inizialmente negativa, cresce nella vita attiva (attraverso il risparmio) e poi decresce nell’età della pensione. Bisogna specificare che in questo modello il risparmio è sempre risparmio investito e quindi l’unica dimensione di reddito che andremo ad osservare non è il reddito disponibile ma il reddito da lavoro. Perciò l’individuo non ha reddito da capitale e questo significa che tutto il risparmio viene investito e accumulato e quindi è come se il soggetto, ad esempio, su un’attività finanziaria gli interessi guadagnati venissero sempre reinvestiti e non vengono incassati sotto forma di reddito da capitale percepito. Di seguito osserviamo la rappresentazione grafica. Il momento iniziale t coincide con l’ingresso nel mercato del lavoro ed il reddito da lavoro cessa al momento del pensionamento. I giovani si indebitano non solo per finanziare il proprio consumo o per l’acquisto della casa ma soprattutto per restituire i debiti contratti per finanziare la propria istruzione (ad esempio, la frequenza all’università). Bisogna specificare inoltre che non ci sono pensioni pubbliche e per il mantenimento del tenore di vita viene utilizzato dall’anziano il risparmio accantonato (anche sotto forma di piano pensionistico privato). Assume particolare importanza la questione dei debiti d’onore relativi alle tasse universitarie. Infatti, questi rappresentano una distinzione significativa dei paesi americani rispetto ai paesi europei in quanto soprattutto in Europa per le tasse universitarie esiste la possibilità di ricevere contributi da parte dello Stato per le famiglie meno abbienti. Questo è uno dei principali motivi per il quale tale modello descrive meglio le dinamiche dell’economia statunitense rispetto a quelle europee. Osserviamo ora alcuni indicatori di disuguaglianza economica. In una economia, in cui il policy-maker intende conseguire l’obiettivo dell’equità, diviene fondamentale poter misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. È utile avere indicatori che siano ordinabili in modo da poter confrontare il grado di disuguaglianza sia nelle dinamiche temporali che rispetto ad altri Paesi. L’analisi della funzione di distribuzione statistica ci permette di osservare approssimativamente la presenza di disuguaglianze nella distribuzione del reddito attraverso il confronto tra alcuni valori, chiamati indicatori di frequenza, che la caratterizzano:  la moda che individua il valore con la massima frequenza  la mediana che costituisce il valore che divide a metà la distribuzione  la media che individua il valore che attribuisce lo stesso livello ponderato a tutti i punti della distribuzione Una distribuzione equa è simmetrica o «normale» (ha la tradizionale forma a “campana” o gaussiana) se è caratterizzata da: Bisogna però tener conto che in quasi tutti i paesi avanzati la distribuzione del reddito è caratterizzata da disuguaglianza e, in particolare, la distribuzione statistica è caratterizzata dalla presenza di un’asimmetria detta positiva. Cioè: Infatti, se consideriamo la distribuzione del reddito disponibile netto in Italia nel 2016 (in migliaia di euro) risulta che:  il valore di 17,1 mila euro è quello con la massima frequenza (moda)  metà delle famiglie italiane guadagna più di 24,9 mila euro e metà delle famiglie guadagna meno; è quindi la mediana  in media le famiglie italiane guadagnano 30,7 mila euro, ma più della metà delle famiglie italiane guadagna meno della media Bisogna specificare che questi indicatori ci danno informazioni qualitative ma non consentono di fare confronti nel tempo o con altri paesi in quanto questo tipo di interpretazione dipende dalle proporzioni dei valori osservati nella distribuzione. Quindi abbiamo bisogno di introdurre la curva di Lorenz. La curva di Lorenz permette di utilizzare una rappresentazione geometrica come misura di concentrazione del reddito (o della ricchezza). Nel grafico sottostante possiamo osservare che l’area di concentrazione A è stata ottenuta andando a misurare tutte le distanze relative tra la curva di Lorenz del reddito e la retta di perfetta equità, mentre l’area B è rappresentata da tutta l’area presente a destra della curva di Lorenz del reddito. Perciò possiamo affermare che A+B rappresenta l’area di tutto il triangolo che divide esattamente a metà il quadrato che sta a destra a destra rispetto alla retta di perfetta equità OC. Normalmente è preferibile per fare dei confronti quando vogliamo costruire dei valori numerici costruire dei valori cosiddetti normalizzati, ossia valori che hanno la caratteristica di essere resi proporzionali e quindi compresi tra 0 e 1. Perciò il coefficiente di Gini normalizzato è tale che: Da ciò ricaviamo che se l’area totale del quadrato è pari ad 1, allora: Detto ciò, possiamo dire che:  Se l’indice di Gini è pari a zero (A=0), abbiamo una situazione di perfetta equità e la curva di Lorenz coincide con la retta di perfetta uguaglianza OC.  Se l’indice di Gini è pari ad uno (B=0), abbiamo una situazione di massima disuguaglianza e la curva di Lorenz coincide con i lati del quadrato: l’ultima famiglia possiede tutto il reddito (punto C).  Più l’indice di Gini si avvicina a zero e più elevata è l’uguaglianza della distribuzione. Vediamo ora alcuni dati sulla realtà italiana.  L’indice di Gini per l’Italia nel 2016 è di: 0,357 (0,353 nel 2014) per il reddito; 0,332 (0,330 nel 2014) per il reddito equivalente; 0,619 (0,613 nel 2014) per la ricchezza.  L’equità distributiva è maggiore al Nord ed al Centro rispetto al Sud, dove sia il reddito che la ricchezza sono anche mediamente più bassi.  La disuguaglianza del reddito in Italia è superiore alla media europea (simile a UK e USA).  Dagli anni 2000 la disuguaglianza tende ad aumentare in tutta Europa, ma soprattutto dopo il 2010 in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, cioè i Paesi maggiormente interessati dalla crisi dei «debiti sovrani» e dalle politiche di austerità. Bisogna specificare che lo Stato può intervenire per modificare le diseguaglianze strutturali attraverso la spesa pubblica con finalità sociali (i cosiddetti trasferimenti alle famiglie) e con la tassazione e il grado di efficacia redistributiva dello Stato può essere diverso. La tabella successiva ci fornisce delle informazioni (fonte OECD) sull’indice di Gini calcolato sul reddito di mercato, sul reddito dopo i trasferimenti alle famiglie e su quello dopo la tassazione (cioè l’indice di Gini sul reddito disponibile). Importante è specificare che le politiche redistributive italiane sono meno incisive di quelle che caratterizzano altri paesi europei che hanno livelli di Gini di mercato simili (es. Francia). Particolarmente interessanti sono le ultime tre colonne. Di particolare importanza è soprattutto l’indice di Gini di mercato in quanto rappresenta un indice lordo che non solo non include la tassazione (ultima colonna) ma neppure i trasferimenti sociali e quindi comprende come reddito da trasferimento i redditi da pensione ma non comprende i trasferimenti pubblici con finalità sociali, ossia quelli che chiameremmo sussidi (terza colonna). Quindi se osserviamo ad esempio i dati relativi all’Italia notiamo che con l’inserimento dei trasferimenti (sussidi a favore delle famiglie meno abbienti) abbiamo un abbattimento dell’indice di Gini e perciò le politiche di sussidio e di trasferimenti pubblici sociali funzionano, inoltre possiamo notare che funziona anche il meccanismo della tassazione. Questo accade in tutti i paesi e in particolare in Francia dove le riduzioni dell’indice di Gini sono particolarmente significative. Inoltre, notiamo che la distribuzione della ricchezza in tutti i Paesi è più diseguale di quella del reddito e nella distribuzione della ricchezza familiare si cumulano nel tempo diversi fattori di disuguaglianza del reddito familiare. In particolare:  opportunità di accesso  livelli di education  trasferimenti tra generazioni  supporto delle reti di relazione  trattamento fiscale (la tassazione sul patrimonio è meno progressiva di quella sul reddito). In più l’indice di Gini è più alto nei Paesi in cui la mobilità sociale tende ad essere bassa e questo è certamente vero per Italia e Regno Unito, oltre che per gli Stati Uniti. Se il padre è benestante lo è anche il figlio e questo giustifica come le disuguaglianze di reddito possano cumularsi nel tempo e quindi accrescere anche il grado di disuguaglianza dei patrimoni familiari, cioè della ricchezza. Infatti, le politiche redistributive basate sulla tassazione progressiva dei redditi sono efficaci se affiancate da interventi correttivi sulle concentrazioni patrimoniali e sulle pari opportunità, in particolare di education. MODULO 6 - LO STATO SOCIALE (WELFARE STATE) Prima di tutto dobbiamo definire il concetto di stato sociale moderno. Per Welfare State moderno si intende la forma particolare di complementarietà istituzionale tra Stato e Mercato che l’Europa si è data dopo la II guerra mondiale. È un fondamentale di tipo istituzionale che ha subito dei mutamenti nel corso del tempo a seguito:  dell’evoluzione del tenore di vita  del quadro macroeconomico di riferimento  delle priorità che i governi nazionali si sono date In particolare, possiamo dare due definizioni di stato sociale. 1. Una definizione per obiettivi è utile per capirne le funzioni. Si basa sulle ragioni teoriche che giustificano l’intervento pubblico in nome di un interesse collettivo. 2. Una definizione per strumenti è utile per misurarne l’impatto sull’economia (quota di PIL) e per effettuare i confronti internazionali. Tiene conto anche di metodologie di natura statistica necessarie per poter effettuare confronti internazionali omogenei. DEFINIZIONE DI WELFARE STATE PER OBIETTIVI (Briggs, 1961) “Uno stato del benessere (o Welfare State) è uno Stato in cui il potere dell’autorità di politica economica è deliberatamente usato attraverso il sistema politico ed amministrativo per modificare l’azione delle forze di mercato allo scopo di:  garantire a tutti i cittadini una gamma, socialmente concordata, di beni e servizi socialmente meritori…  restringere l’impatto dell’incertezza che impedisce, agli individui e alle famiglie, di fronteggiare alcune contingenze sociali...  garantire agli individui e alle famiglie, almeno, un reddito minimo indipendente dal valore di mercato della loro proprietà…”. Bisogna specificare che vale il principio di sussidiarietà in quanto lo Stato interviene direttamente per modificare l’azione delle forze di mercato ma non si sostituisce ad esse. Assume particolare importanza l’avverbio socialmente in quanto definisce che gli obiettivi dello Stato sociale sono il risultato di scelte condivise dalla collettività e sono frutto di un consenso. efficace perché i trasferimenti sociali francesi sono in grado di ridurre l’indice di Gini in una proporzione maggiore rispetto ad esempio all’Italia. Ancora più interessante è considerare la suddivisione della spesa sociale per funzione in relazione ai dati del 2019. La tabella 2 evidenzia come l’Italia rispetto agli altri grandi paesi europei si collochi al di sotto della media, tranne che per la spesa pensionistica. Quindi abbiamo uno stato sociale che spende in modo adeguato rispetto agli altri paesi ma abbiamo un bilancio sociale molto squilibrato e indirizzato prevalentemente alla popolazione anziana in quanto abbiamo il 58.5% delle spese di welfare che servono per il pagamento di pensioni. Inoltre, se andiamo ad aggiungere a tale dato il 28.4% di welfare destinato alla sanità possiamo osservare che i destinatari per ragioni ovvie sono sostanzialmente le persone anziane. Perciò possiamo affermare che abbiamo un bilancio sociale estremamente squilibrato a favore delle generazioni più anziane. Questi dati devono tenere conto del fatto che la popolazione italiana al di sopra dei 60 anni nel 2019 è del 27,5% rispetto ad una media europea del 23,4%. Importante è anche il discorso relativo ai sussidi di disoccupazione. I sussidi di disoccupazione riguardano esclusivamente soggetti lavoratori che perdono il posto di lavoro e perciò in tale fattispecie non è presente la cassa integrazione. La cassa integrazione è uno strumento tipico del nostro sistema di riferimento e non è uno strumento diffuso in ambito internazionale. La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) tecnicamente è un sussidio alle imprese per il mantenimento dell’occupazione durante le ristrutturazioni aziendali e quindi non viene classificata tra le spese sociali. Nei primi anni della crisi in Italia essa è stata usata come politica sociale in modo improprio e quindi non come cassa integrazione ordinaria ma come cassa integrazione in deroga. Perciò è stato trasformato un accordo tra parti ben definite in un provvedimento di politica di sostegno al reddito nelle fasi di recessione. Inoltre, si può notare l’assenza delle spese destinate all’istruzione. Eurostat non le rileva tra le spese sociali in quanto in molti Paesi lo Stato usa il credito d’imposta per finanziare le spese di istruzione sostenute dalle famiglie. Quindi non compaiono tra le spese sociali per poter fare confronti omogenei. SPESA SOCIALE E POVERTA’ L’Eurostat è andata a valutare quali siano i sistemi di welfare più capaci di ridurre il grado di povertà attraverso il meccanismo dei sussidi sociali. Gli esiti di tale valutazione sono rappresentati nel grafico sottostante. Specifichiamo che l’altezza totale degli istogrammi rappresenta la povertà naturale, ossia la povertà in assenza di un intervento da parte dello stato sociale. Possiamo dire che in generale tale livello è compreso tra il 25% e il 30% e perciò se non ci fosse lo stato sociale che interviene attraverso i trasferimenti pubblici con finalità sociale avremmo tali percentuali di popolazione caratterizzata da uno stato di bisogno economico. Si può notare inoltre come tale dato tende ad essere più basso, ad esempio, nei paesi dell’Europa meridionale come Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Francia. Questo viene sottolineato attribuendo un ruolo importante alla famiglia che accompagna gli individui e quindi tende a mantenere un ruolo più basso di povertà naturale. Importante è anche notare la parte azzurra degli istogrammi. Essa indica l’incidenza della povertà dopo l’intervento pubblico e quindi dopo il trasferimento di servizi erogati dallo stato sociale a favore dei soggetti più bisognosi. In questo caso notiamo che il dato relativo all’Italia tende ad essere particolarmente significativo rispetto agli altri paesi e bisogna analizzare perciò anche la correlazione con la parte verde degli istogrammi in quanto misura la capacità dello stato sociale di ridurre l’incidenza della povertà tra la popolazione. Tale grafico è stato costruito e pensato proprio sulla base di questa incidenza e difatti sulla sinistra sono presenti i paesi più capaci di ridurre attraverso lo stato sociale l’incidenza della povertà mentre quelli che compaiono più a destra sono i paesi meno capaci. Perciò possiamo dire che sembrerebbe più capace la famiglia di sostenere i bisogni del singolo individuo e meno capace lo stato di sostenere il grado di povertà all’interno della collettività. Risulta importante specificare che gli ultimi paesi sulla destra non rispettano le caratteristiche dette fino ad ora in quanto non sono appartenenti all’unione europea. Rientrano però in tale tabella perché hanno sottoscritto dei patti con l’unione europea e perciò di fatto essa fornisce loro su alcune tematiche dati statistici. Possiamo analizzare dati più recenti sul tasso di incidenza della povertà relativa italiana, pur non essendo direttamente confrontabili con quelli europei che abbiamo commentato. Esso misura chi sono i poveri relativamente al tenore di vita del resto della popolazione e vengono utilizzate due differenti variabili per misurare il tenore di vita di una popolazione: una variabile di reddito e una variabile di spesa. Infatti:  Secondo le rilevazioni dell’Eurostat, è povero l’individuo che appartiene ad una famiglia il cui reddito familiare disponibile è inferiore al 50% del valore mediano annuo.  I dati italiani per il 2020 sono stati determinati a partire da una linea di povertà ufficiale che l’ISTAT calcola per legge sulla base di rilevazioni di spesa equivalente delle famiglie italiane. Per i confronti internazionali, è preferibile basare la povertà su valutazioni di reddito e non di spesa in quanto il consumo risente maggiormente di componenti culturali, di usi e costumi tradizionali che sono tipiche di ciascuna nazione. Comunque entrambe le misurazioni ci danno informazioni sulla povertà cosiddetta relativa, cioè valutata rispetto al tenore di vita della popolazione di riferimento. L’ISTAT per calcolare la linea di povertà ufficiale usa delle scale di equivalenza e ricostruisce tutte le famiglie italiane dal punto di vista della spesa come se fossero composte tutte da due soggetti adulti. Perciò si considera come povera la famiglia di due componenti che non sia in grado di spendere in media come un unico cittadino italiano e quindi mensilmente 1101,86 euro (cioè il valore del consumo medio pro-capite). Si noti che la linea della povertà è leggermente aumentata rispetto al 2019 (era 1094,95 euro). Secondo le stime ufficiali sono povere il 10,1% delle famiglie ed il 12,5% delle persone; mediamente una famiglia povera spende circa 79% di quanto spenda la famiglia italiana media. Vi sono però forti differenze territoriali: al Nord il 6.3% delle famiglie è povero; al Centro il 6.4% ed al Sud circa il 18,3%. Quindi circa il 60% delle famiglie povere è meridionale. Possiamo notare che sicuramente sono famiglie con meno rischio di povertà le famiglie piccole e quindi le famiglie unipersonali composte da single, le famiglie unipersonali composte da un soggetto anziano con più di 65 anni, aumenta invece al nord e al sud se invece prendiamo come riferimento una coppia di anziani in cui entrambi hanno più di 65 anni ed essa è sicuramento più La popolazione residente al termine del periodo (Pt1) è data dallo stock iniziale (Pt0) e dalla variazione intervenuta nel periodo stesso (dPt0). Bisogna tenere presente che il tasso di variazione d può avere segno positivo o segno negativo e quindi varia in relazione all’aumentare o al diminuire della popolazione in un determinato periodo. Specifichiamo che: in cui:  il saldo naturale = Nati – Morti  ed il saldo migratorio = Immigrati – Emigrati Il saldo naturale rappresenta una dinamica di lungo periodo influenzato da:  decisioni individuali non prevalentemente economiche, legate soprattutto al tasso di fertilità  l’impatto anche di politiche sociali attuali e passate, in relazione soprattutto al tasso di mortalità. Possiamo aggiungere che il tasso di natalità risente anche delle caratteristiche più o meno buone del sistema sanitario e questo soprattutto in relazione al primo anno di vita. Da questo punto di vista il sistema sanitario italiano tutela in particolar modo i bambini nel primo anno di vita rispetto a quanto fanno altri paesi e difatti l’Italia è uno dei paesi a livello mondiale con il tasso di mortalità infantile più basso. Inoltre, è importante aggiungere come tali dinamiche siano di lungo periodo anche se gli effetti delle politiche sociali in qualche misura potrebbero essere rilevanti anche nel breve periodo. Questo può essere analizzato soprattutto in relazione alla crisi pandemica in quanto ha ridotto di un anno la speranza di vita. In più, da qualche decennio in Italia e in diversi Paesi europei il saldo naturale tende ad essere negativo e quindi significa che abbiamo una caduta delle nascite più evidente rispetto al tasso di mortalità. Il saldo migratorio è soggetto a dinamiche di medio-lungo periodo che dipendono anche dai modelli di sviluppo in una prospettiva di economia globale, oltre che da decisioni di politica nazionale e comunitaria. Molti paesi europei occidentali sono caratterizzati, ormai da qualche decennio, da un saldo migratorio che tende ad essere positivo, grazie ai tradizionali flussi di immigrati extra comunitari a cui si sono aggiunti, più di recente, quelli provenienti dai paesi dell’Europa orientale. Possiamo aggiungere che nell’ultimo decennio sono anche aumentati i flussi di giovani italiani che emigrano all’estero, soprattutto verso altri Paesi europei. Specifichiamo che sono esclusi dalle statistiche i flussi di immigrati irregolari che sono aumentati nell’ultimo decennio in molti paesi europei. La caratteristica del saldo migratorio, soprattutto in questi ultimi anni, è quella che esso è andato a compensare la riduzione della popolazione legata ad una riduzione del saldo naturale e difatti abbiamo un saldo naturale tendenzialmente negativo mentre un saldo migratorio tendenzialmente positivo. Notiamo che tali anni sono stati scelti in quanto in seguito alle Seconda guerra mondiale ogni primo anno di ogni decennio viene effettuata un’analisi di censimento generale sia della popolazione che dell’abitazione. Si può notare che non è presente il 2021 a causa della pandemia e che è al contrario presente il 2006 in quanto è stato chiesto a tutti gli istituti statistici di rendere noti dei dati aggiornati costruiti con la struttura prevista dal regolamento comunitario. La previsione del 2041 invece fa una previsione, comunque, sulla base dei dati relativi al 2019 in quanto gli anni 2020 e 2021 sono stati anni atipici a causa della pandemia dal punto di vista dell’evoluzione della popolazione. Prendendo in considerazione il dato relativo al 2011 sul totale della popolazione di 60051 e confrontandolo con le previsioni effettuate dall’ISTAT possiamo affermare che la popolazione è destinata a ridursi nel corso dei prossimi vent’anni. Inoltre, osservando i dati per fasce d’età notiamo che i soggetti delle fasce oltre i 65 anni secondo le previsioni dell’ISTAT sono in aumento al contrario invece di quelle dei soggetti che sono ancora in età lavorativa e che, come abbiamo detto precedentemente, sono destinate a diminuire. Ovviamente questa osservazione si ricollega alla questione trattata in precedenza sul fatto che il nostro paese è colpito da un forte squilibrio relativo alla maggior presenza di anziani all’interno della popolazione e perciò capiamo come sia di vitale importanza tale analisi sul rischio demografico, soprattutto se analizzato dal punto di vista delle pensioni rispetto a coloro che invece producono reddito da lavoro. Specifichiamo che se la popolazione varia, tende a modificarsi anche la sua struttura per età e un indicatore importante per i confronti internazionali è l’indice demografico di dipendenza. In cui:  La popolazione in età lavorativa (PL) è quella tra 15 e 64 anni  La popolazione non attiva è costituita dai giovani fino a 15 anni e dagli anziani con più di 64 anni. In Italia, l’indice demografico di dipendenza ID è particolarmente elevato soprattutto con riferimento alla popolazione anziana e questo è sostanzialmente ciò che abbiamo analizzato in precedenza. Gli economisti preferiscono però utilizzare come indicatore di dipendenza un indice di non partecipazione (inattività) al mercato del lavoro. Al contrario sono non forze lavoro NFL i giovani fino a 15 anni e tutti coloro che non siano occupati o disoccupati, anche se in età lavorativa. Specifichiamo che l’indice di non partecipazione al mercato del lavoro ID1 in Italia è relativamente elevato in quanto è ridotto soprattutto il numero degli occupati. In relazione al mercato del lavoro, la popolazione può essere quindi distinta tra forze di lavoro (FL) e non forze di lavoro (NFL). Inoltre, i principali indicatori del mercato del lavoro sono: Specifichiamo che il tasso di disoccupazione viene calcolato su tutte le persone che sono alla ricerca di un posto di lavoro (indicato con Dis) e non solo sui «disoccupati in senso stretto» che ne sono una componente. NB. Chiariremo meglio che cosa significhi essere occupati o disoccupati nella seconda parte della lezione. DEFINIZIONE STATISTICA DI OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE L’ISTAT pubblica (dal 1959) ogni trimestre l’Indagine sulle forze di lavoro in cui viene rilevata la struttura dell’occupazione, della disoccupazione e dell’inattività della popolazione italiana nel trimestre precedente. Specifichiamo però che i dati mensili (anche se poi pubblicati con scansione trimestrale) rilevati dall’ISTAT su PIL, Forze di lavoro e Prezzi rappresentano l’insieme delle statistiche cosiddette «di congiuntura», cioè gli indicatori che servono per capire le dinamiche macroeconomiche di breve periodo che caratterizzano il sistema economico nazionale. Per le politiche sociali è rilevante la dimensione della disoccupazione la cui misura dipende dalle modalità con cui avviene la rilevazione statistica. L’ISTAT dal 2005 ha introdotto nuove modalità di rilevazione delle forze di lavoro in attuazione ai Regolamenti comunitari ed è stata introdotta la rilevazione «continua» delle forze di lavoro su tutte le settimane dell’anno, pur mantenendo la scansione mensile e trimestrale dei dati. Si identificano le caratteristiche della popolazione rispetto al mercato del lavoro attraverso un’indagine a campione fatta con un questionario (intervista) detto «a cascata». Infatti, prima si identificano gli occupati e poi, in successione, coloro che sono alla ricerca di un’occupazione e, come residuale, la condizione di inattività.