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Prefazione traduzione Pro Balbo di Cicerone, Versioni di Storia Romana

Traduzione in italiano dell'orazione Pro Balbo di Cicerone edita dalle ed. Belles lettres

Tipologia: Versioni

2014/2015

Caricato il 25/06/2015

MBFlute91
MBFlute91 🇮🇹

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(5)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Prefazione traduzione Pro Balbo di Cicerone e più Versioni in PDF di Storia Romana solo su Docsity! PREFAZIONE Oggetto del processo Il processo intentato a L.Cornelio Balbo si riferisce alla concessione del diritto citato da parte di Pompeo a questo personaggio, originario di Cadice: l’accusatore, uno sconosciuto a cui Cicerone non risparmia sarcasmi, riconosce che Balbo non ha usurpato fraudolentemente la qualità di cittadino romano, che non ha mascherato le sue origini provinciali, che non ha mentito a proposito del suo stato civico, che non ha infilato il suo nome nella lista dei censori, ma sostiene che Pompeo non aveva il diritto di conferirgli la “cittadinanza” , che ha commesso d’altronde questa irregolarità senza rendersi conto della natura illegale del suo atto e che Balbo debba essere radiato dal numero dei cittadini romani. Si ha avuto la pretesa che il seguito fosse dettato da motivi politici. L’intimità di Balbo con Pompeo, il ruolo importante che ha avuto presso Cesare, la parte che ha avuto nelle trattative politiche del triunvirato l’avevano messo in evidenza e gli avversari pensavano che forse attaccando Balbo avrebbero raggiunto Pompeo e Cesare: l’ipotesi è verosimile. Ma bisogna dire anche che in caso di successo, l’accusatore avrebbe trovato il suo tornaconto: aveva in effetti perso i suoi diritti civili e il successo in una causa di questo genere poteva riabilitarlo: che abbia pensato a Balbo, suo compatriota, che abbia creduto che l’allontanamento da Cdice potesse facilitare la sua argomentazione e permettergli di complicare la questione invocando le leggi gaditiane poco note ai romani, dei trattati antichi, delle testimonianze difficilmente controllabili , in questo non c’è niente di impossibile. Balbo fu difeso, come si sa, da Pompeo, Crasso e Cicerone. Quest’ ultimo, dopo un elogio di Pompeo, di cui vanta il senso giuridico e la scienza dei trattati per ridurre a nulla l’accusa d’ignoranza che il suo avversario aveva rivolto al triumviro, pone il problema sotto una forma molto netta: a) Pompeo poteva conferire la cittadinanza a Balbo in modo valido? b) Balbo poteva validamente riceverla? La risposta doveva essere facile: l’arringa di Cicerone presenta tuttavia dei lati oscuri è utile cercare di chiarire la sua posizione. A) – Pompeo poteva conferire la cittadinanza a Balbo in modo valido? Cicerone argomenta basandosi su due tipi di prove: i precedenti e la cosa. Se lasciamo per il momento da parte la concessione della cittadinanza a delle collettività, è generalmente ammesso che questa concessione a degli individui fosse una ricompensa speciale accordata per dei servizi eccezionali. Il più antico esempio di questa naturalizzazione di un individuo attraverso un atto speciale è quello di L. Mamilus, dittatore di Tusculum, nel 460; si cita allo stesso modo il caso del medico del Peloponneso Archagathus nel 219, di cavalieri Campani nel 215, del siracusano Sosis e dello spagnolo Moericus nel 211, del Cartaginese Muttines nel 210, della liberata Facennie Hispala nel 186. Cicerone ricorda la liberazione di una sacerdotessa di Cere, originaria di Vélia e Valerio Massimo quella di un’altra sacerdotessa originaria di Napoli. È probabile che questi esempi non siano isolati (Mario aveva ricevuto questi poteri dalla legge agraria di Saturnino) e che ben altri atti dello stesso genere fossero compiuti, la cui memoria non ci è stata affatto trasmessa. In ogni caso il diritto alla cittadinanza, in tutti gli esempi che abbiamo appena menzionato è stato fatto direttamente in seguito a una rogatio: i comizi dovevano prendere posizione; era in effetti di loro competenza, a tale data storica, di concedere il diritto di cittadinanza, ammettere nuove comunità di cittadini, decidere la fondazione di colonie. Ma mano a mano che l’impero di Roma si estese, il diritto alla cittadinanza poté essere fatto sottoforma indiretta, benché in verità di una rogatio. Si sa che si doveva promulgare una legge speciale, la lex colonica, per la detrazione di una colonia; oppure, accadeva spesso che si autorizzassero con un articolo di questa legge i romani incaricati di questa istituzione a dare la cittadinanza ad un certo numero di individui del territorio colonizzato. È in queste condizioni che Ennius divenne cittadino, nel 184, in occasione della fondazione delle colonie di Potentia e Pisaurum; ugualmente Marius ricevette attraverso la Lex Apuleia il diritto di dare la cittadinanza a tre individui per colonia. In tal modo il magistrato divenne delegatario del potere dei comizi. L’epoca di Marius vede sorgere una terza forma di diritto alla cittadinanza a degli individui: la cittadinanza è accordata dal generale per atti di estremo rilievo o servizi eminenti in campagna. Il primo esempio conosciuto è quello della cittadinanza accordata a titolo personale a dei soldati dei contingenti alleati in occasione della guerra dei Cimbri. Nella pratica il generale sembrava aver avuto questo potere a sua discrezione ; ma il potere emanava dal popolo, poiché una legge speciale regolarizzava il suo atto a cose fatte o lo garantiva in precedenza. È così che senza dubbio bisogna interpretare la Lex Calpurnia, di cui parla Sisenna, la Lex Iulia del 90, che permise a Cn Pompée di conferire la cittadinanza a degli equites Hispani “uirtutis caussa” a Ascoli, la Lex Gellia Cornelia del 72 infine, che è alla base del processo di Balbo …..(parte in latino pag 216). Del resto Marius fu attaccato per la sua libertarietà: rispose con una certa audacia a proposito del caso di T. Matrinius di Spoleto, cui il fragore delle armi aveva impedito di sentire la voce della legge. E si sa che liberò nello stesso modo un abitante di Iguvium. M. Annius Appius, così come dei Getuli in Africa. Ciò che conta è che in questo modo creò una sorta di giurisprudenza. Sulla non poté mancare di approfittare di questo esempio. Concesse la cittadinanza a degli spagnoli e a dei galli, a un Massaliote, Ariston, e a degli schiavi gaditiani, a Q. lutatius Diodorus di Lylibée e a Cornelius Alexander Polyhistor di Milet, e ad altri ancora, senza contare l’infornata dei 10.000 di schiavi di proscritti che egli distribuì tra le tribù, né Cornelius Epicadus, né il famoso L.Cornelius Chrisogonus. Altri comandanti hanno conferito la cittadinanza in condizioni identiche: Cn. Pompeus Strabon a 30 cavalieri spagnoli che si erano distinti durante l’assedio di Ascoli nel 89 e a P. Caesius, originario della città confederata di Ravenna, P. Licinius Crassus a Alexax d’Héraclée, Q. Caecilius Metellus Pius a Q. Fabius di Sagonte e a molti altri, C. Velerius Flaccus a C. Valerius Caburus, M. Crassus, il triumviro, a un uomo di Avenio. Cicerone cita infine altri casi in sostegno della sua tesi nella Pro Balbo. Quando Pompeo da il diritto di cittadinanza a Balbo, non fa quindi niente di nuovo, e Cicerone può invocare l’autorità del precedente. È un primo elemento d’accusa che crolla. affermativa dei plenipotenziari: “vi consegnate, voi e il popolo Collatino – dedetisne uos populumque Collatinum – città, terre, acqua, confini, templi mobili, oggetti sacri e profani in totalità, in mio potere e in quello del popolo romano? Da questo sembra che il popolo sia messo sullo stesso piano degli altri elementi del patrimonio nazionale collatino: diventa dunque una parte della proprietà Romana, un bene sottomesso al suo vincitore, una res che rivela di lui, un’estensione del fundus romano. Qui interviene una distinzione utile: bisogna stabilire in effetti delle categorie differenti, se il popolo è messo nello stato di schiavitù o di semi-libertà, se le sue gentes sono incorporate tra le gentes romane oppure sono riunite in uno stato autonomo legato a Roma da un trattato. Scartiamo immediatamente il caso di popolo ridotto in schiavitù: avrebbe perso ogni libertà di conseguenza non si potrebbe porre la questione del suo consenso a tale o tal altra disposizione legale: non è in sua potestate. Nello stato di semi libertà, ogni cittadino residente all’estero ma protetto dalla diplomazia non ha che la qualità di cittadino sine suffragio. Se le gentes sono incorporate tra le gentes romane, si tratta di una semplice traslazione, in cui i diritti dei plebei e quelli dei patrizi sono conservati. Se infine si tratta di uno stato autonomo – è la situazione di Cadice – la questione è più complessa. Cadice aveva concluso con Roma un trattato nel 206, ma questo trattato che Cicerone e Tito Livio chiamano foedus, come ogni altro trattato nella fattispecie, non sembra essere stato concluso secondo le regole, né essere stato fissato da un publicum uniculum religionis. Oppure secondo le parole di Cicerone, sarebbe stato rinnovato nel 78 sotto il consolato di M. Lepidus e di Q. Lutatius Catulus Capitolinus, ma non avrebbe ricevuto altre sanzioni ufficiali e non sarebbe stato sottomesso al popolo romano e neppure rinforzato da una formula di esecrazione. La pace conclusa è pia et aeterna, il che stabilisce tra le due parti contraenti una situazione pacifica. Noi non conosciamo le sue clausole, eccetto quella riportata da Cicerone: maiestatem populi Romani comiter conseruanto. Questa formula, che non è iscritta in tutti i trattati, è un’ingiunzione, non una preghiera e – nota importante – consacra la superiorità del popolo romano. Si tratta dunque qui di un’autonomia non integrale e sottomessa a una certa dipendenza, alla quale Proculus confronta, non senza ragione, la posizione della clientela riguardo al padrone: i Gaditani sono liberi di vivere secondo le loro proprie leggi, sono liberi di accettare o di rifiutare tal o tal legge romana. Il giorno in cui accettassero tutte le leggi romane, non cesserebbero tuttavia d’essere liberi. Al contrario se accettano una legge romana determinata, diventano fundii in rapporto a questa legge; ne subiscono la servitù e l’applicazione, sono nella posizione di un fondo servente in rapporto a un fondo dominante. È questo che Aulo Gellio esprime nella frase citata comunemente: municipes sont ciue Romani ex municipiis…nulla populi R. lehe adstricti, ni in quam populus eorum fundus factus est, cioè “ i municipi sono dei cittadini romani dei municipi, che non sono costretti da nessuna legge, al di fuori di quella a cui i loro concittadini hanno dato il proprio consenso”. È questa libertà d’accettare o di rifiutare di diventare fundus che Cicerone esprime chiaramente, quando dice: vedi pag. 224 in alto asserzione che rivela in modo indiscutibile che i popoli latini avevano il diritto d’adottare le leggi romane sui testamenti, sulle successioni o su altre parti del diritto civile che gli piaceva, senza per questo perdere la loro potestas né i loro diritti propri in ciò che riguarda il resto. Un po’ più in là precisa la sua interpretazione in un altro modo che non lascia nessuno spazio a equivoci: Quando il popolo romano ha sanzionato una legge, se questa legge è di natura tale da permettere a dei popoli determinati, confederati o liberi, di decidere personalmente quale sistema legale ( cioè l’antico o il nuovo iscritto in questo testo) vogliono avere per i loro affari, non per i nostri, sembra allora che ci sia luogo d’esaminare (intendiamoci: quando un punto di diritto deve ricevere un’applicazione), se questi popoli l’hanno sottoscritto o no; ma quando si tratta della nostra repubblica, del nostro impero, delle nostre guerre, delle nostre vittorie, della nostra salvaguardia, non si è mai voluto che questi popoli venissero consultati . Cicerone utilizza qui l’espressione fundus fieri nei due sensi che abbiamo indicato sopra: il primo indica bene la situazione inferiore nella quale si trova il popolo federato in rapporto al popolo romano: ha dei diritti propri, ma se il popolo romano prende delle disposizioni che si possono applicare a lui, c’è da considerare se vi è o no assoggettato e se nel suo statuto di confederato ci sono clausole che impegnano, limitano o riconoscono su questo punto la sua libertà. Il secondo senso presenta la situazione nell’ordine inverso: Roma non consente mai di essere di fronte ad una città straniera nella posizione di un fondo servente; non vuole che a proposito delle questioni vitali si faccia ricorso a decisioni o a pareri di questa città: in breve considererebbe come contrario alla sua maestà di vedere che questa città gioca il ruolo di fondo dominante, perché per lei sarebbe una deminuitio. Ora i Gaditani, secondo l’accusa, non potrebbero diventare cittadini romani poiché la loro città – città confederata – non è fundus. Errore che rileva rudemente Cicerone. Affinché l’accusa avesse ragione, bisognerebbe ammettere che una delle clausole che legano Cadice a Roma vieta ai romani di dare questo diritto di cittadinanza e ai gaditani di riceverlo. Ma così non è. Tali clausole esistono in alcuni trattati di cui Cicerone fa i nomi; incastrando l’avversario in un dilemma, stabilisce che l’assenza della clausola comporti l’assenza del divieto: ergo ubi non sit exceptum, ibi necesse est licere. L’accusa aveva sostenuto ugualmente che il trattato di Roma con i Gaditani era sacrosantum: altro errore poiché il popolo romano non era stato consultato sul trattato, e un trattato non può essere sacrosantum a meno che abbia ricevuto la sanzione del popolo; per di più, non conteneva nessuna allusione a un capitis consecratio o a una obstestatio legis. Infine Cicerone sostiene che anche se il divieto ne quem ciuem recipiatis vi fosse inserito, bisognerebbe attenersi a ciò che il popolo romano avrebbe ordinato successivamente, provocando una novazione, senza aver riguardo per nessuna clausola anteriore, anche se si trattasse di qualcosa di sacrosantum: affermazione della più alta importanza riguardo al diritto pubblico internazionale, che attesta la posizione dei romani in materia, il valore di un issus populi Romani, la sua estensione e la sua forza. È dunque inutile sostenere, come hanno fatto alcuni commentatori moderni, che l’accusa e Cicerone non intendono la parola fundus con lo stesso senso e dire che l’accusa interpreta fundus fieri populum, cum auctor esset eius rei…(pag. 226 primo paragrafo). Noi crediamo di aver sufficientemente dimostrato che l’espressione non ha che un senso e che essa designa la base su cui si fonda un diritto e, di seguito, il consenso dato alla conclusione del contratto che “forma” questo diritto, di conseguenza, l’assoggettamento a una disposizione legale o a un impegno. Ne segue quindi 1° che l’azione di Pompeo è garantita dai precedenti ;2° che è in accordo con le decisioni di Roma; 3° che non è contraria la Foedus Gaditanum; 4° che Pompeo poteva di conseguenza validamente conferire la cittadinanza a Balbo. B) Balbo poteva validamente riceverla? Ciò che abbiamo appena detto orienta verso una risposta positiva. Ma qui ancora forse gli storici moderni hanno complicato il problema. Mommesen, ponendo in principio l’uguaglianza primitiva dei cittadini sovrani, ne ha dedotto l’idea di incompatibilità dei diritti della cittadinanza. È così portato, come ha osservato giustamente F. de Visscher, “ a considerare questa incompatibilità come assoluta o reciproca, essendo vincolante tanto per lo straniero che acquisisce la cittadinanza romana, quanto al romano che acquisisce quella straniera. La teoria di Mommesen, che si fonda sulla logica, non si accorda con i fatti: “Cicerone insegna che questa incompatibilità è rigorosamente unilaterale: non è mai altra questione che l’impossibilità secondo il diritto civile per un cittadino romano di combinare il suo status civico con quello di un altra città. Da nessuna parte Cicerone esprime la regola seguendo la quale uno straniero perdeva il suo status d’origine diventando cittadino romano – cosa che è logica – poiché la questione di sapere se l’acquisizione della cittadinanza romana facesse o meno perdere a uno straniero la sua cittadinanza d’origine non poteva in principio dipendere che dal diritto di questa detta città. Sembra infatti che la regola dell’incompatibilità sia stata praticata dalle antiche città latine. Quanto alle altre città italiche, qualunque fosse la loro posizione originaria a questo riguardo, lo sviluppo del sistema municipale romano le condusse necessariamente a conciliare il mantenimento del loro diritto di cittadinanza con l’acquisizione della cittadinanza romana. Se Mommesen ha creduto di poter conciliare l’esistenza di questo regime con la portata assoluta che attribuiva alla regola dell’incompatibilità, è perché alla base di ogni organizzazione municipale supponeva una soppressione legale della sovranità della cittadinanza. Ma il fondamento storico di questa spiegazione sembra oggi definitivamente compromesso. I lavori di Beloche di Kornemann hanno mostrato che un buon numero di municipi e precisamente i più antichi erano stati stabiliti sulla base di un foedus o un trattato. Il loro diritto di cittadinanza non può dunque essere concepito che come una sopravvivenza diretta del loro statuto politico ordinario”. Così, come nota giustamente F. de Visscher, “accanto ai due stati che vedeva Mommesen, uguaglianza nella sovranità o subordinazione totale con abrogazione delle sovranità e del diritto di cittadinanza originario, ci sarebbe stata una situazione mista”. Balbo, nella tesi di Cicerone, può dunque ricevere la cittadinanza romana senza perdere i suoi legami con la sua origo; per di più, noi l’abbiamo visto, Cicerone afferma che non esiste nessuna clausola nel trattato di Cadice che vieti ai romani di concedere la cittadinanza romana a un gaditano e che, anche se una tale clausola esistesse, sarebbe senza effetto, dal momento che il popolo romano non ha ratificato il trattato, che un trattato non è valido a meno che non abbia ricevuto tale ratifica, e infine dato che l’autorità suprema in materia appartiene al popolo , anche se una clausola messi di Cadice fino a Roma, è al mese di Marzo o Aprile che bisogna ricondurre l’inizio del processo. Da questo processo, provocato dall’estrema destra del partito conservatore, in cui Balbo era meno in vista dei suoi amici politici, il nostro uomo uscì vincitore. In seguito Balbo restò legato a Cicerone: fece il possibile per avvicinarlo di più alla causa di Cesare e i viaggi di Balbo al seguito di questo ultimo erano l’occasione di uno scambio di lettere amichevoli: è probabilmente in quest’epoca – nel 54 – che Cesare prestò dei soldi a Cicerone per intercessione di Balbo, che perseguì il suo progetto di avvicinare l’oratore alla causa del triumviro. Nella guerra politica che i suoi avversari cominciarono contro Cesare, Balbo è costantemente in scena, nel 51 e nel 50, in opposizione a Metellus Scipion, che voleva far richiamare Cesare dalla Gallia, spingendo i nobili a votare delle suppliche in onore di Cesare, facendo intrighi con Curion, che fece il doppio gioco. Quando scoppiò la guerra abbandonò il campo di Cesare e restò a Roma, o per sorvegliare il campo nemico o per non combattere contro Pompeo e L Corneluis Lentulus Crus, che erano pure suoi amici; scrisse parecchie lettere a Cicerone dove lo pregava di intervenire e far riconciliare Pompeo e Cesare, probabilmente con l’intenzione nascosta di impedire al grande oratore di schierarsi nel partito di Pompeo. Cicerone non si prestò alla manovra, si chiese se il Gaditiano lo stesse raggirando e finì con l’accorgersi, troppo tardi, che le manovre del gaditiano l’avevano ingannato. Quando i Pompeiani ebbero lasciato l’Italia a Cesare, Balbo divenne uno dei personaggi più influenti della politica romana. Con il suo amico Oppius, anch’egli agente di Cesare, fu uno dei consiglieri del “dittatore” ed è probabile che riuscì persino ad entrare in senato – il che ebbe l’effetto di scandalizzare Cicerone, già ferito dal lusso di questo parvenu, ma anche capace di ricorrere a lui per pregarlo di intercedere presso Cesare e ottenere il ritorno di quattro pompeiani: P. Nigidius Figulus, T. Ampius Balbus, Qu. Ligarius e A. Caecina, che erano suoi amici. L’autoritarismo di Cesare, l’obbedienza di Balbo, che gli era devoto in tutto, non smettevano di scioccare Cicerone. Non dovette forse lui sottomettersi al “visto preliminare” prima di pubblicare la sua supplica per Ligarius, di cui Balbo aveva inviato il testo a Cesare in Spagna? Non dovette piegarsi allo stesso modo, quando Balbo gli fece sapere che uno strillone pubblico non più in carica poteva diventare decurione, mentre lui aveva un’altra opinione e la legge sulla riorganizzazione delle città italiane non era ancora stata presentata? Ma Cicerone era capace di molta flessibilità. Quale fu l’atteggiamento di Balbo durante gli eventi che precipitarono la caduta di Cesare? È difficile a dirsi. Alcuni pensano che abbia spinto il dittatore a prendere il potere e Svetonio stesso afferma che è su istigazione di Balbo che Cesare non si alzò dalla seduta del senato dell’aprile del 45, quando il senato venne a portargli davanti al tempio di Venux Genetreix i decreti che gli conferivano i più grandi onori. Dopo l’assassinio, avrebbe, secondo altri, proposto di votare delle misure punitive contro gli assassini. Ciò che è certo è che lasciò Roma, andò in Campania dove incontrò Cicerone e vide Ottaviano, che gli amici salutavano già con il nome di Cesare. Sembra addirittura che sia stato uno dei sostenitori del nuovo capo agli inizi della sua carriera. In ogni caso, Balbo divenne pretore nel 43 o nel 43, console nel 40 e nel 32 è al capezzale di Atticus morente. Quando lui stesso morì – in una data che ci sfugge – lasciò 25 denarii ad ogni cittadino di Roma. Sarà stato uno di coloro che, già all’epoca della Repubblica, presagì il ruolo importante degli spagnoli nella vita dell’impero. Mappa del Discorso Exordium, 1-4 Cicerone cerca di conciliarsi la benevolenza dell’auditorio insistendo sulla superiorità oratoria di coloro che hanno parlato prima di lui nell’affare di Balbo: Crasso e soprattutto Pompeo Narratio, 5-19 Porre la questione: Balbo non è accusato né d’aver rubato il titolo di cittadino, né d’aver mascherato la sua origine, né d’aver nascosto il suo stato, né d’aver fatto scivolare il suo nome nel registro dei censori: ha fatto a Roma dei favori eminenti ed ha ricevuto il titolo di cittadino Romano dalle mani di Pompeo (5-6) Divisione: ciò che è portato davanti alla corte sono: 1° la situazione giuridica di Balbo, 2° l’azione di Pompeo (6) Confutatio: -l’azione di Pompeo? Cicerone ricorda brevemente e in modo lusinghiero la carriera del personaggio e mostra che per la sua conoscenza del diritto e dei trattati, Pompeo è al riparo da simili imputazioni di illegalità (7-14)o d’ignoranza (14-16): la vera ragione dell’accusa portata contro Balbo è la gelosia che ha suscitato contro di lui la sua posizione politica e sociale (18-19); -la situazione politica di Balbo? Studio sulle leggi sul diritto alla cittadinanza (19) e sulla condizione dei popoli confederati (19) con l’esame degli exempla e della definizione e di populus fundi: condanna delle restrizioni presentate dall’accusa alla libertà d’esercizio del diritto di attribuzione della cittadinanza (22-26): spiegazione della politica di Roma in tale materia e affermazione solenne dei diritti dei Romani (27-31); condanna di un altro argomento dell’accusa, che sostiene che alcuni trattati comportano una clausola restrittiva che vieta a Roma di accogliere come cittadini degli allogeni non autorizzati dalla loro origo, clausola che sarebbe contenuta nel trattato tra Roma e Cadice: Cicerone mostra che il trattato non considera la questione , Roma è libera (32-37) e ne approfitta per studiare i termini del trattato e correggere un errore d’interpretazione dell’accusa; condanna della posizione stessa dell’accusa, condanna tratta dalla presenza al processo di una delegazione di Gaditiani (38-44), dall’insegnamento dei precedenti (48-51), dall’irreversibilità e dal carattere definitivo dei diritti di franchigia (52.55). Ritorno all’argomento morale dell’inizio (cf. 18-19<9: la vera ragione di questa causa, è la gelosia suscitata da Balbo; è Anche il desiderio di raggiungere attraverso lui i suoi amici (56-58). Debiti di Cicerone verso Balbo (59)- Peroratio: appello alla conciliazione in merito all’affare in corso; elogio di Cesare e di Pompeo, che sono i due potenti amici di Balbo; enumeratio dei servizi resi, amplificatio, indignatio, conquestio (59,60,64) con evocazione dei morti, delle leggi, del Senato e, ancora una volta, di Cesare e Pompeo, attorno cui Cicerone ha fatto ruotare tutto il processo.