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Previdenza sociale - Appunti - Diritto della previdenza sociale , Appunti di Diritto della Previdenza Sociale

diritto della previdenza sociale

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 25/04/2013

principessa23
principessa23 🇮🇹

4.5

(28)

7 documenti

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Scarica Previdenza sociale - Appunti - Diritto della previdenza sociale e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE 16-03-2011 1a LEZIONE La previdenza sociale, sebbene abbia una sua autonomia didattica, non ha una sua compiuta autonomia scientifica perché gli snodi fondamentali diciamo, le categorie fondamentali, adempimenti, inadempimenti, costituzione, (?), li prende a prestito da altri dati dell’ordinamento e poi è una disciplina sulla quale convergono una serie di discipline che sono proprie di altri rami dell’ordinamento, per esempio il diritto privato, parte della procedura civile, molto del diritto costituzionale, in parte anche il diritto penale. Allora, iniziamo a toccare con mano questa caratteristica della previdenza sociale, cioè di essere una materia che ha una serie di interferenze con altri rami dell’ordinamento, elencando i Principi Costituzionali in materia di previdenza sociale, perché la cultura del nostro sistema previdenziale è posta nella Costituzione: una serie di norme e di disposizioni di carattere fondamentalissimo. ARTICOLO 1 Inizierei dalla prima e più importante di tutte che con la previdenza sociale ha a che fare in modo indiretto ma ugualmente palese, diciamo, che è l’articolo 1 : “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Lavoro e previdenza sono due aspetti strettamente legati, non a caso diritto della previdenza è un esame complementare anche di diritto del lavoro. ARTICOLO 2 Il principio di solidarietà come fenomeno istituzionalizzato. La disposizione in assoluto più importante però è quella dell’articolo 2 della Costituzione, la quale recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. La Repubblica richiede a tutti i cittadini l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Cosa c’entra questo con la previdenza come principio fondamentale contenuto nella nostra Costituzione? C’entra moltissimo perché l’articolo 2 dice ai cittadini Italiani, cioè a coloro i quali stanno sotto il tetto della Repubblica Italiana, che sono loro obbligati a essere solidali fra loro. Essere solidali, sapete cosa significa? Le persone che sono fra loro solidali sono le persone che si aiutano reciprocamente. La Costituzione Italiana dice ai cittadini Italiani in una delle sue disposizioni fondamentali, che devono aiutarsi gli uni con gli altri, questo dice fondamentalmente. Ora cerchiamo di capire che cos’è quest’aiuto che va sotto il nome di solidarietà che la Costituzione dice. È un aiuto correlato a che cosa? Quando è che si ha bisogno di aiuto? I cittadini Italiani debbono aiutare i cittadini Italiani quando si verificano situazioni di bisogno. Attenzione, quest’aiuto che la Repubblica comanda a tutti i cittadini di dare agli altri, è qualcosa di molto diverso dalla carità che è un fatto individuale, se io stessi passeggiando per via Roma, vedessi un barbone o uno zingaro o una zingara con un bambino, insomma qualcuno che ispira in me sentimenti di pietà, e mettessi la mano in tasca e depositassi nel bicchiere che lui ha esposto ai suoi piedi tutte le monete che ho in tasca o anche delle banconote, starei facendo sicuramente della carità, ma questo sarebbe qualcosa di diverso dalla solidarietà cui fa riferimento l’articolo 2 della Costituzione, un po’ perché questa carità è per me un fatto facoltativo, se io passassi o tirassi dritto davanti al bambino o barbone, e non dessi neanche un centesimo, si forse avrei colpa o qualche forma di riprovazione morale per chi mi vedesse o io stesso potrei anche pentirmene più avanti se non lo facessi e tuttavia comunque non contravverrei a nessun obbligo. È un fatto questa carità qui, individuale e facoltativo. L’articolo 2 della Costituzione invece stabilisce anzitutto un dovere, dovere giuridico, il che quanto meno ci fa dire che non è completamente libero l’adempimento, nella Costituzione l’essere solidali è qualcosa di doveroso non di facoltativo come lo è invece la carità. In secondo luogo, attenzione, l’articolo 2 fa riferimento ai cittadini, cioè non si riferisce ai singoli, non è una disposizione che è riferita ai singoli il “fate opera di solidarietà”, no! si riferisce a fenomeni istituzionalizzati. Guardate, questo sembra pochissimo, perché io capisco già le obiezioni, come a diritto al lavoro, si sei disoccupato, poi però chi è che ti dà lo stipendio? Sembra un discorso molto teorico però qui c’è veramente la radice del sistema previdenziale perché da questa radice che è nient’altro se non questo dell’articolo 2 che impone a tutti di essere solidali, deriva una catena, una serie di conseguenze che via via arrivano fino all’ultima propaggine che è il provvedimento col quale l’ente di previdenza ti comanda di pagare i contributi se non li devi pagare oppure ti eroga la prestazione se ne hai diritto, che questo tipo di solidarietà poi la rendono effettivamente attiva. Perché vi dico che è una radice dalla quale nascono una cascata, un’ampolla, una serie di rami che rendono poi praticamente anche comprensivi dell’esistenza di questi diritti previdenziali, di questi diritti di solidarietà. Lo capiamo facendo riferimento al carattere fondamentale di molte disposizioni della Costituzione, perché voi lo sapete che la Costituzione è la Carta Fondamentale, è un documento che contiene prevalentemente principi e non regole, cioè contiene, dice tecnicamente, delle direttive di ottimizzazione rivolte ai poteri pubblici e al Parlamento, cioè non contiene delle disposizioni che sono rivolte ai cittadini per intenderci. Sono rivolte prevalentemente al Parlamento perché legiferi in un certo modo e ai poteri pubblici perché si comportino in un certo modo, tanto è vero che la Costituzione normalmente li chiama anche in causa quale parametro di controllo non tanto delle condotte dei cittadini, quanto delle condotte dei Parlamenti, tanto è vero che a essere giudicati sulla base della Costituzione sono fondamentalmente ,..che cos’è che si dichiara incostituzionale? Le Leggi e le leggi non le fanno i cittadini, le fa il Parlamento. È difficile che in un processo nel quale è coinvolto un cittadino davanti a un giudice, il cittadino possa fare valere il diritto direttamente sulla base di una 5 ripercussione fiscale, lo sapete è una ripercussione coattiva, se non si paga le tasse e si viene scoperti si è costretti a farlo. Questi soldi qua non è che lo Stato se li tiene in cassaforte, ma che cosa ne fa? Li deve spendere, anzi vi devo dire che ne spende di più, tanto è vero che l’Italia è un Paese che ha un deficit, un debito pubblico notevolissimo. Ma dove li spende questi 600miliardi di euro che incassa? Li spende grossomodo in queste 3 imposte che sono Servizio Sanitario Nazionale, cioè la sanità, il Pubblico Impiego e il Sistema previdenziale, poi ci sono altre voci di spesa ma rispetto a queste tre componenti sono voci di spesa minore: le auto blu, i costi della politica, per rendervi conto delle grandezze, quando si faceva tanta polemica sulla riduzione dei movimenti dell’amministratore comunale, mi pare che se in Sardegna se si fosse ipotizzato di dimezzare le indennità a tutti gli amministratori degli Enti Locali, il risparmio non avrebbe superato forse i 10milioni di euro. Qui invece parliamo di centinaia di miliardi di euro, per cui, (l’ipotesi dello stretto di Messina), tutte queste sono ipotesi che se prese per se stesse hanno sì un grande rilievo economico, che però rispetto a queste grandezze che vanno fuori per queste tre imposte sono esigue, tanto è vero che ogni volta che si tratta di mettere mano al bilancio dello Stato, per cercare di far fronte a situazioni di crisi di qualche tipo, fateci caso quello che si tocca sono pubblici dipendenti, Servizio Sanitario Nazionale e previdenza sociale. La previdenza sociale la si tocca sempre di meno per questioni legate come dire ai pensionati che in Italia sono 16-17milioni circa, e questi 17milioni circa di persone in pensione sono persone che votano perché con un’età superiore ai 18 anni normalmente, quindi le pensioni le toccano con molta difficoltà, però le altre imposte del Servizio Sanitario Nazionale e del Pubblico Impiego, è sempre lì che si va a toccare quando c’è bisogno di pescare risorse significative, tanto è vero che di volta in volta ci sono blocchi delle assunzioni del Servizio del Pubblico Impiego, blocchi degli stipendi e blocchi di turn-over che già noi vediamo e sappiamo. Vedete qual è vista in contro luce la struttura del sistema: ci sono i cittadini che producono, una parte cospicua di quello che loro producono gli viene sottratta coattivamente, forzosamente, e di questa parte che sono questi 600miliardi, una parte, che è circa un terzo quello destinato alla previdenza, viene dirottato verso quell’altra parte dei cittadini Italiani che si trovano in una situazione di bisogno. Ora, il meccanismo è, badate bene, complessissimo, perché voi capite bene che prelevare quantità di risorse dalle tasche di chi produce e non ha bisogno verso coloro i quali hanno bisogno, richiede di mettere in piedi un apparato complessissimo, bisogna mettere in piedi gli Enti di previdenza, l’INPS ha più di 30000 di dipendenti e ciò significa una città medio-grande della Sardegna con tutti i dipendenti INPS di tutta Italia, ed è uno degli Enti di previdenza, poi c’è l’Inail, c’è l’INPDAP. Significa mettere in campo tutto questo sistema che prende i soldi, ammette benefici, eroga le pensioni, controlla e verifica fra i rami medici: una cosa enorme, un meccanismo di sistema enorme, di enorme complessità. Ed è quello che vedremo durante il corso di lezioni, vedremo come fa quella massa enorme di denaro che viene prelevata dalle tasche di alcuni cittadini e finisce nelle tasche di altri, creando un meccanismo chiarissimo di redistribuzione della ricchezza, perché è evidente che chi produce e ha ricchezza, una parte cospicua se la vede sottratta, e se la vede sottratta in misura più che proporzionale perché sapete che l’imposizione fiscale è proporzionalmente maggiore quanto più alto è il reddito, cioè i redditi bassi pagano proporzionalmente meno imposte. Se io ho un reddito di 10000euro io pago di imposte sostanzialmente niente, ne pago una percentuale bassa, se invece io ho un reddito di 60000euro, nei 10000euro che stanno tra i 50000 e i 60000 io pago più del 30per cento di imposta, per cui chi ha molta ricchezza se la vede sottratta e questa ricchezza finisce verso chi ne ha di meno perché la situazione di bisogno è presupposto per poter godere delle prestazioni previdenziali, quindi come vedete quello che si crea è una forma di redistribuzione della ricchezza fra chi ne ha molta ed è in condizioni di non di bisogno sociale, verso chi di ricchezza ne ha di meno, il che determina una forma di perequazione della ricchezza che evita le disparità di trattamento in nome di un altro principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale che è il principio di uguaglianza, contenuto nell’articolo 3 della Costituzione, soprattutto al secondo comma. ARTICOLO 3, 2°comma Il principio di uguaglianza “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” È compito della Repubblica: vedete è il legislatore Costituente che si sta riferendo agli organi dello Stato, o meglio agli organi della Repubblica e quindi prima di tutto al Parlamento, che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Quindi va de sé che chi si trova in condizioni di bisogno, fosse anche perché non ha risorse economiche sufficienti, si trova in una condizione di impedimento di fatto a partecipare a pieno titolo nell’organizzazione politica, sociale ed economica del Paese perché se non si hanno risorse economiche sufficienti cioè se si è in una situazione di bisogno uno non può mandare i suoi figli a scuola e i suoi figli a scuola non possono quindi partecipare a pieno titolo nello sviluppo sociale ed economico del Paese e allora lo Stato deve intervenire creando di volta in volta l’ERSU che è l’Ente Regionale per il Diritto agli Studi o creando di volta in volta borse di studio o scuole pubbliche e 5 gratuite. Ora, detto questo, dei grandi principi che la Costituzione porta, la nostra Costituzione si spinge un po’ più avanti nel delineare il sistema perché si incarica anche di indicarci quali sono le situazioni di bisogno, in presenza delle quali questa solidarietà dei cittadini deve scattare. Attenzione, io ritorno su questo punto fondamentale, la solidarietà di cui parla l’articolo 2 è una solidarietà istituzionalizzata, cioè quando dico che la Costituzione dice quali sono le situazioni di bisogno in presenza delle quali la solidarietà deve scattare, sto dicendo che la Costituzione dice al legislatore come fare a spendere quei soldi, non si sta riferendo ai cittadini, non sta dicendo al cittadino che se tu vedi una persona che non può mandare i figli a scuola ti devi togliere una parte dei tuoi soldi per consentirgli di andare, no! Si sta riferendo allo Stato, sta dicendo allo Stato, una parte delle risorse che tu sottrai ai cittadini con le tasse le devi impiegare anche per far fronte anche a queste situazioni di bisogno. E cerchiamo di vedere quali sono queste situazioni di bisogno: prendiamo la disposizione in assoluto più importante per quanto riguarda l’indicazione delle condizioni di bisogno più importanti dal punto di vista della previdenza sociale, che è l’articolo 38 della Costituzione. ARTICOLO 38 L’articolo 38 leggiamolo in quest’ottica, ci sta dicendo quando è che è obbligatoria la solidarietà fra i cittadini, quando è obbligatorio che lo Stato destini una parte delle risorse che preleva coattivamente ai cittadini per far fronte a situazioni di bisogno, quali sono le situazioni di bisogno in presenza delle quali è legittimo che ci vengano tolti dei soldi. È questo il punto, è legittimo e giustificato per Costituzione che ci vengano tolti dei soldi, che vengano tolti dei soldi al nostro consumo corrente, che ci facciano lavorare per lo Stato fino al 24 di giugno. 1° comma: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” Ora, ogni cittadino che è inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi per far fronte alle sue esigenze di vita, avrebbe un diritto a che gli altri siano solidali con lui. Vi ripeto, a costo di essere stucchevole, che questo diritto non è un diritto che lui può azionare nei confronti degli altri: nessuno che sia inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi di vita può venire da noi e pretendere che ci togliamo dei soldi di tasca perché lui possa non essere in quella condizione. Il quadro è sempre quello di norme di carattere programmatico, rivolte al legislatore. Però queste norme ci dicono che in presenza di certe condizioni di bisogno, che son date congiuntamente dall’essere inabili al lavoro e sprovvisto dei mezzi per far fronte alle proprie esigenze di vita, in presenza di questi due requisiti congiunti che delineano la situazione di bisogno, inabili al lavoro e senza mezzi per vivere, se si è in questa condizione, dice l’articolo 38 della Costituzione, ogni cittadino ha diritto, e questa formula “ogni Uscendo dal quiz, vi devo dire che nel linguaggio legislativo, le due formule mantenimento e assistenza sociale e mezzi adeguati per esigenze di vita, danno luogo a due tipi di prestazioni molto diversi: minori il mantenimento e assistenza sociale, maggiori i mezzi adeguati a esigenze di vita, tanto è vero che i due commi formano normalmente la distinzione un po’ opaca tra assistenza sociale e previdenza sociale. La prima riferita a tutti i cittadini non particolarmente meritevoli perché devono essere solo in condizioni di bisogno e non abili al lavoro; la seconda, la previdenza, rivolta a cittadini che sono più meritevoli perché sono lavoratori, sono coloro i quali, essendo, ricordate l’articolo 1, la Repubblica fondata sul lavoro, e quindi essendo il lavoro un valore fondamentale della nostra società, la Costituzione ritiene di dover premiare, ritieni maggiormente meritevoli di premio, i cittadini che in qualche modo sono attivi nel lavoro. Se adesso vi faccio qualche esempio di prestazioni assistenziale voi lo capite immediatamente: l’assegno sociale cosiddetto, ex pensione sociale, quella che viene data a tutti i cittadini ultra sessantacinquenni che sono in disagiate condizioni economiche, è una prestazione di 400-500euro, a 516euro è stata portata per chi aveva più di 70 anni, ma la pensione sociale che viene data a tutti i cittadini che hanno più di 65 anni e che sono economicamente in condizioni disagiate, è una prestazione di qualche centinaia di euro, non si fa niente sostanzialmente, chiaramente ci si mantiene nel senso che si suppliscono i bisogni fondamentalissimi del mangiare, a male pena abitare nel senso che se si deve pagare un affitto o fai l’uno o fai l’altro, tanto è vero che normalmente stanno in case popolari se non sono proprietari di casa loro. Qui le condizioni di bisogno sono date dall’essere ultra sessantacinquenni con una valutazione sociale tipica perché si ritiene che quando uno raggiunga una certa età non sia più abile al lavoro, anche se poi uno a 65 anni magari può lavorare però la Legge fa una valutazione, come dire, “bann”, e poi se sei in condizioni disagiate ti do la pensione sociale. Se voi prendete invece le prestazioni sociali che competono a chi ha lavorato per 40 anni, la prestazione previdenziale, che normalmente è rapportata alla quota dello stipendio, è una prestazione che garantisce ben di più, deve garantire mezzi adeguati per esigenze di vita, e quali sono le esigenze di vita rispetto alle quali i mezzi devono essere adeguati? Anche qui le esigenze ordinarie e quindi soddisfare il bisogno abitativo, etc. Se prendiamo le prestazioni previdenziali, adesso, quella pensionistica che viene data per la vecchiaia, devono avere un ammontare tale che ti consentano o che ti paghi l’affitto o di avere accesso a delle case, di mangiare, e non solo tu ma anche la tua famiglia, poter soddisfare dei bisogni di mobilità, quindi avere un mezzo tuo di trasporto, che sia la macchina o la motocicletta, oppure poter usare i mezzi pubblici, quindi avere un numero di risorse che ti consente di spostarti, avere accesso tu avere accesso al livello dell’istruzione, poterti vestire 5 decentemente, insomma soddisfare quel certo paniere di bisogni che in un certo momento storico, in una certa società sembrano le esigenze di vita standard o medie dei cittadini. Questo nel nostro contesto Italiano, per cui se noi ci volessimo riferire all’Italia del primo Novecento, pensare di abitare in case riscaldate sembrava un lusso, non sarebbe stata un’esigenza normale quella di vivere in ambienti riscaldati, forse nemmeno con l’acqua corrente in casa, poi invece un’esigenza di vita normale è di abitare in case che abbaino un minimo di confort, che non siano delle grotte, per cui le prestazioni devono essere rapportate all’adeguatezza di un certo consumo elettrico, energetico, a un certo tipo di approvvigionamento idrico e quant’altro. Poi vedremo che tipo di problemi pone la concretizzazione di questo parametro, perché sapete, i soldi per pagare le prestazioni previdenziali non è che ce li possiamo far prestare dalla Germania se non ce li abbiamo, o meglio, ce li facciamo prestare dalla Germania quando non ce li abbiamo, ma in realtà non è un prestito perché ci compra i nostri titoli di stato, la Germania, la Cina e degli altri, però come dire non ce li possono dare gli altri, a un certo punto se le risorse di bilancio non bastano più in qualche modo bisognerà cercare di fare e qui si apre un problema enorme che cercheremmo di razionalizzare nel corso delle nostre lezioni. Vi do qualche altro numero. L’età media oggi di una donna, come speranza di vita alla nascita, uno che nasce oggi, che nasce in questo istante, ha un’aspettativa di vita di quasi 85 anni se è donna. Se è uomo poco meno di 80 anni, 79 anni e qualche mese. Ma attenzione se la speranza di vita oggi a 60 anni è di almeno 26 anni per una donna a 60 anni, chi arriva cioè a 60 anni, se è arrivata fin lì poi facilmente arriva. Se sei donna e arrivi a 60 anni hai ragionevolmente speranze di arrivare a 86 cioè altri 26 anni di vita. E se sei uomo, se non ricordo male 21 anni e 7 mesi, quindi i sessantenni campano ancora fino a 81 anni e mezzo e oltre. Ora, a inizio del Novecento i valori erano poco più della metà. Il sistema pensionistico paga tutti gli anni 235 miliardi di euro di pensioni. Voi capite che quindi più si allunga la vita media, più questo sistema costa evidentemente, perché non è che a un certo punto io ti dico ti do la pensione fino a 85 anni, e se campi fino a 90 cosa faccio?! Fino a quando campi te la devo dare, la pensione è vitalizia, è perpetua, talvolta spetta anche dopo la morte agli eredi col sistema della reversibilità. Ora se l’andamento è questo, le risorse sono sempre quelle evidentemente, anzi in periodi di crisi come questo vanno riducendosi perché il PIL Italiano cala, a un certo punto bisogna scegliere, o si aumentano i contributi e quindi significa aumentare la ripercussione e quindi far lavorare i cittadini Italiani per più tempo per pagare le imposte, e già non si può più perché abbiamo la pressione fiscale più alta del mondo, oppure si diminuiscono le prestazioni, non c’è niente da fare, e quindi i redditi non saranno più adeguate a un certo punto alle esigenze di vita, il che pone il problema di una situazione di un inadempimento Costituzionale, perché la Costituzione dice che comunque sia bisogna garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita, è un problema enorme e vedremo in che modo anche ingegnoso si sta cercando di risolvere in tutte le società e in tutti gli Stati avanzati, e l’Italia è per fortuna da questo punto di vista abbastanza avanti, riprendiamo il discorso la settimana prossima in cui magari se ci saranno anche i vostri colleghi che mi auguro abbiano voluto fare ponte. ARTICOLO 38 COSTITUZIONE 1°co: ASSISTENZA SOCIALE -RIFERITO AI CITTADINI -2 REQUISITI: - INABILE AL LAVORO - SPROVVISTO DEI MEZZI PER ESIGENZE DI VITA -PRESTAZIONE: - DIRITTO AL MANTENIMENTO E ALL’ASSISTENZA SOCIALE 2°co: PREVIDENZA SOCIALE -RIFERITO AI LAVORATORI -REQUISTI: -CASI TIPIZZATI: 1. INFORTUNIO 2. MALATTIA comune o professionale 3. VECCHIAIA 4. INVALIDITA’ 5. DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA -PRESTAZIONE: MEZZI ADEGUATI ALLE LORO ESIGENZE DI VITA PREVIDENZA 21/3/2001 La settimana scorsa, riprendiamolo, per tenere connessi gli spezzoni del corso, a beneficio di coloro i quali non fossero venuti, abbiamo iniziato a parlare del fondamento costituzionale della previdenza sociale e ne parlavamo, non solo perché,normalmente, parlando di diritto, avviene che si 5 soddisfazione di tutti allo sviluppo economico e sociale del Paese e che impediscono l’uguaglianza di tutti. (il fatto che chi ha ricchezze di suo potrebbe, potenzialmente, far fronte meglio di chi questa ricchezza non ce l’ha, crea una situazione di disparità di fatto nella società, rispetto alla quale lo stato italiano, ha deciso, nella sua carta fondamentale, di non rimanere indifferente, questo è uno degli elementi che ci avvicina ai Paesi più sviluppati e ci allontana da quelli meno sviluppati, su questo argomento torneremo più avanti). La costituzione , che pur è un’elemento che contiene norme di larghissima importanza, una volta che noi avremo finito di esaminare le disposizioni riguardo la previdenza sociale, tutte queste disposizioni che leggeremo, non sarebbero sufficienti, a far funzionare nessun tipo di previdenza sociale, c’è bisogno di un’intervento cospicuo del legislatore ordinario, poi vedremo come e perché. Vi dicevo la costituzione contiene norme di largo principio, non si limita semplicemente a stabilire, come indicazione al legislatore ordinario, dei meccanismi che consentano la solidarietà di(?) la nostra costituzione si preoccupa anche di stabilire e di tipizzare, le situazioni di bisogno nelle quali è lecito che la solidarietà scatti, perché il meccanismo è enorme, difficilissimo da far funzionare, capite che ha senso crearlo solo se si tratta di rispondere a bisogni o situazioni di bisogno effettive, reali, cioè non situazioni di bisogno futili, non avrebbe senso che tutti i cittadini italiani venissero chiamati per sopperire alle situazioni di bisogno se queste situazioni non fossero delle vere situazioni di bisogno, pensate se il nostro sistema di previdenza sociale, fosse tale per cui erogasse benefici verso colui che volesse andare in vacanza, uno dirà il desiderio di vacanza è un bisogno, il punto è: è un bisogno socialmente rilevante? Cioè giustifica il sacrificio di qualcuno a beneficio di altri? NO esempio che serve per dirvi come non è per nulla secondario l’ individuazione delle situazioni di bisogno che fanno scattare la solidarietà, quasi quasi un tutt’uno, prevede l’obbligo di essere solidali, bisogna sapere solidali quando, ok bisogno, ma bisogno quando?bisogna che si dica, abbiamo iniziato a fare questo piccolo passo, vedendo una norma fondamentale, del sistema sociale, la norma più fondamentale di tutte, dal punto di vista operativo, è la norma 38 della costituzione, l’art 38, abbiamo iniziato ad esaminarne i primi 2 commi, compie questa operazione: individua situazioni di bisogno, socialmente rilevanti e meritevoli di tutela e in conseguenza delle quali la solidarietà, di tutti, si manifesta e si concretizza nei confronti di colore i quali ne hanno bisogno e bisogna sapere anche qual è il tipo di aiuto che bisogna dare ai cittadini italiani che sono in quelle condizioni di bisogno, abbiamo letto il primo comma dell’ art 38 che fotografa situazioni estreme, l’art 38 si riferisci a coloro i quali fossero sprovvisti dei mezzi per vivere e inabili al lavoro, questa è la situazione di bisogno riferita a qualsiasi cittadino italiano, in presenza dei quali scatta la solidarietà nella forma di riconoscimento, a questi soggetti, riferito ai soggetti che sono sprovvisti dei mezzi per vivere e inabili al lavoro, scatta che cosa? Il mantenimento e l’ assistenza sociale, questi soggetti, in Italia, hanno diritti ad avere il mantenimento e l’assistenza sociale, vi ho già detto che l’espressione hanno diritto ad avere è un’espressione un po’ (?) non s’ ignifica il fatto che questi soggetti possono avere una pretesa nei confronti degli altri cittadini per avere il mantenimento e l’assistenza sociale, hanno diritto ad avere, s’ignifica che questi cittadini hanno diritto a pretendere che lo stato crei dei meccanismi e cioè che lo stato crei gli istituti di previdenza sociale che consentano il refluire delle risorse necessarie, che per loro assumono le forme di mantenimento e dell’assistenza sociale, tendenzialmente si tratta di risorse economiche ma non necessariamente si tratta di risorse economiche, possono essere anche prestazioni in natura, ad esempio l’assegnazione delle, cosi dette, case popolari, per intenderci, sono nient’altro se non l’assegnazione di un bene, per far fronte a un bisogno previdenziale, il bene casa, diciamo nel nostro ordinamento, per far fronte alle difficoltà delle famiglie. Il 2 comma dell’art 38, invece, non si riferisce a tutti i cittadini o meglio non fotografa situazioni di bisogno di tutti i cittadini italiani, bensi solo di quella porzione di cittadini italiani, e sono oltre 25 milioni, che lavorano, perché mentre il primo comma si riferisci a tutti i cittadini italiani, sprovvisti di mezzi per vivere, il 2 comma invece fotografa una porzione della cittadinanza, cioè i lavoratori, coloro i quali lavorano, stabilisce che i lavoratori abbiano diritto, avere diritto vuol dire verso lo stato, hanno diritto a che siano approntati dei mezzi,quindi i lavoratori hanno diritto a che vengano loro assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, in presenza delle seguenti situazioni di bisogno che sono: malattie, comprendendosi per malattia la malattia generica, cioè quella che tu ti sei preso per i fatti tuoi e anche la malattia professionale, cioè quella che ti sei preso a causa di lavoro, infortunio, cioè riduzione delle capacità psicofisiche, quindi delle capacità di lavoro a causa di lavoro, ancora la vecchiaia, l’invalidità e la disoccupazione involontaria, queste sono le situazioni di bisogno tipizzate dal legislatore del ’48, perché ritenute, allora corrispondenti ai bisogni socialmente tipici comuni, cioè si è detto:è possibile che in Italia, chi ha una certa età, tale da poter essere considerato vecchio, possa stare senza mezzi adeguati per vivere?si è detto se è lavoratore no, i nostri padri costituenti hanno detto no, nessun cittadino italiano, che sia stato lavoratore, che possa considerarsi vecchio, non può stare senza senzza mezzi adeguati per le sue esigenze di vita, idem per chi è disoccupato involontariamente idem per chi è invalido, idem per chi è infortunato e idem per chi è malato, è la scelta fondamentale che si fa ed è la scelta alla quale non si può recedere, se non modificando la costituzione, è una scelta alla quale il legislatore ordinario non può recedere, non si può dire domani in Italia, perché viene fuori una maggioranza di un certo tipo, eliminiamo la disoccupazione o eliminiamo la malattia o eliminiamo la tutela contro gli infortuni, non si può dire togliamo la tutela per la pensione della vecchiaia, non si può dire questa cosa qua, finchè rimane questa costituzione. 5 Qual è la differenza tra il 1 e il 2 comma? Ce lo siamo già detti, ma ripetiamo brevemente, il 1 e il 2 comma si riferiscono a 2 gruppi di soggetti che hanno un diverso merito sociale, i lavoratori, quelli del 2 comma, hanno, agli occhi del legislatore ordinario, un merito maggiore perché lavoratori, noi troviamo nella nostra costituzione, un’indicazione, come dire molto puntuale nel titolo di preferenza dell’essere lavoratori e lo troviamo nell’art 1 della costituzione, l’art 1 fonda la nostra repubblica sul lavoro, il lavoro è ,nel nostro ordinamento, un tipo di merito speciale, che giustifica questa differenza di trattamento, i lavoratori hanno diritto a più prestazioni rispetto coloro i quali, lavoratori non sono, chi non è lavoratore, allo stesso modo, se bene in forma attenuata, ha diritto alla solidarietà di tutti e questa forma attenuata si concretizza nel diritto a prestazioni minori, perché abbiamo detto l’assistenza sociale e il mantenimento sono qualcosa di meno dei mezzi adeguati per vivere che spettano invece ai lavoratori e anche le situazioni di bisogno che fanno scattare, la cosi detta assistenza sociale, sono più estreme, perché nel primo comma, ciò che giustifica la prestazione previdenziale è cumulativamente l’essere inabile al lavoro e essere sprovvisto dei mezzi per vivere, se manca una delle due condizioni, prestazioni non ce n’è, perché io potrei essere sprovvisto di mezzi adeguati per vivere ma essere perfettamente abile al lavoro, essere semplicemente uno che non ha voglia di impiegarsi, qui io non ho il diritto di avere niente, non mi spetta ne il mantenimento ne l’assistenza sociale, viene lasciato alla solidarietà o carità individuale, per cui se voglio qualcosa vado al semaforo, allo stesso modo se io sono sono ricco di mio e non lavoro lo stato non mi mette a disposizione ne mantenimento ne assistenza sociale, quindi ci vogliono entrambe le cose, invece se si è lavoratore, poco importa se si è ricco o si è povero, il lavoratore se si ammala. Può essere ricchissimo ma ha diritto alle prestazioni, il più ricco della terra se ha lavorato un numero di anni sufficienti ha diritto alla pensione, in quanto lavoratore, in quanto in qualche modo ha meritato. Facciamo un piccolo passo in avanti, perché dobbiamo prendere in considerazione un altro concetto molto importante, che è quello della, come dire, della determinazione dell’ammontare delle prestazioni, dato che fino ad adesso abbiamo fatto dei discorsi abbastanza astratti, ci siamo detti: c’è la solidarietà, c’è in presenza, di certe situazioni di bisogno, questa solidarietà, che si concretizza tramite forme di aiuto, che sono di aiuto monetario, cioè soldi, oggi tutto si svolge con l’intermediazione del denaro, mettiamola cosi, per cui si produce ricchezza, si produce reddito cioè risorse monetarie, ci vengono prelevate risorse monetarie dal fisco, noi non paghiamo fagioli, paghiamo soldi, evidentemente, questi soldi vengono restituiti a chi ha bisogno, sotto forma di prestazioni previdenziali, fossero pensioni, fossero indennità di malattia o indennità di maternità o fossero prestazioni di altro tipo, normalmente si tratta di risorse economiche, monetarie, dobbiamo cercare di capire queste risorse monetarie a che cosa sono commisurate, la nostra costituzione non ci dice che la pensione deve essere di 1000 euro al mese, o che l’indennità di disoccupazione deve dei cittadini, se si modifica la composizione della forza lavoro, ci sono meno persone che producono reddito e più persone che sono a carico della collettività, ora questo pone dei problemi di equilibrio dei sistemi di previdenza sociale, rispetto ai quali, per cercare di preservare questo equilibrio, si deve continuamente, cercare di intervenire per correggere e tamponare, ora siccome si tratta di fare i conti della serva, le risorse che produciamo sono queste: la % che possiamo sottrarre al consumo corrente e al risparmio individuale per destinarlo a copertura previdenziale, è questa: abbiamo una grande torta da distribuirci se questa torta dobbiamo distribuirla tra molte persone chiaramente ogni porzione risulta ridotta, se questa torta dobbiamo farcela bastare per un numero di anni molto grande, questa porzione, se noi la dividiamo per ogni giorno che ci rimane da mangiarne diventa sempre più piccola, voi avrete sentito di innalzamento dell’età pensionabili, insomma avrete anche sentito parlare di riduzione dell’ammontare delle pensioni, basta leggere i giornale, i tassi di sostituzione, cioè l’ammontare delle pensioni che sostituiscono l’ultima retribuzione, sono stati abbastanza alti in passato, potevano raggiungere anche l’80%dell’ultima retribuzione e poi con le compensazioni fiscali finiva che la pensione era quasi l’ultimo stipendio, adesso i tassi di tassi sostituzione, vanno drasticamente riducendosi, si dice che non raggiungeranno il 50% dell’ultimo stipendio, con tutta evidenza, questo abbassamento viene assecondato dalla legge, è la legge che dice qual’ è l’ammontare delle pensioni, se in futuro avremmo pensioni che coprono il 50% dello stipendio, vorrà dire che ci sono state delle leggi le quali hanno detto che dall’80 si passa al 50% della copertura, la domanda che possiamo farci è: in un certo momento storico i mezzi adeguati per chi era vecchio erano l’80 % dello stipendio, in futuro sarà meno del 50. Bè allora o l’80 era qualcosa di più delle esigenze di vita oppure il 50 non è adeguato per le esigenze di vita non c’è molta scelta, però noi dobbiamo cercare di capire, di spiegarci, in che modo questo 50 % rispetti o no il parametro dell’art 38 della costituzione perché altrimenti la conclusione che dobbiamo trarre è che quelle leggi sono anticostituzionali e che l’Italia si trova in una situazione di permanente inadempimento costituzionale perché c’è una disposizione che nel ‘48 ha accomandato a legislatore ordinario, di garantire i mezzi adeguati all’esigenze di vita, poi abbiamo invece delle leggi ordinarie che questi mezzi adeguati all’esigenze di vita che non li garantisce, vogliamo fare un altro esempio : le indennità di disoccupazione che in Italia si dice, siano da sempre molto magre, la tutela contra la disoccupazione in Italia è sempre stata molto bassa, oggi le indennità di disoccupazione coprono, per chi ha più di 50 anni, un periodo che non supera l’anno è ha un ammontare che varia tra 40 e il 60 % dell’ultimo stipendio, può essere anche il 40 % ora il 40 % dell’ultima retribuzione come facciamo a dire che è un mezzo adeguato all’esigenze di vita? Se abbiamo visto che chi va in pensione e non lavora deve avere l’80% ? e poi come facciamo a dire che per 1 anno sia una copertura previdenziale sufficiente, perché non 2 anni? Perché non come in Germania? O come in Danimarca? Dove le coperture sono molto più generose rispetto a quelle che 5 danno in Italia. Capite l’entità dei problemi? Questi sono problemi che noi saremo tentati di rispondere nel modo in cui si risponde alle domande giuridiche, c’è una certa situazione di fatto, c’è una norma confrontiamola se corrisponde alla norma vuol dire che si può ma se la situazione di fatto è diversa da quello che dice la norma significa che c’è violazione di legge. Per il sistema previdenziale, questo giochetto non si può fare, perché per il sistema previdenziale, decisivo è il problema delle risorse cioè noi non possiamo dire il 50 % dell’ultimo stipendio è un mezzo non adeguato, perché automaticamente dovremo farci carico di dire, sul piano politico, ma benissimo se il 50 % non è adeguato ed è adeguato, supponiamo, il 60 i soldi, le risorse per pagare questo 60 dove li prendiamo? La torta è sempre quella, se vogliamo avere più risorse, noi siamo obbligati ad aumentare la tassazione, non c’è altro da fare. Mi direte abbiamo la tassazione tra le più alte del mondo però mi potreste anche dire, ci sono i Paesi Scandinavi che hanno una tradizione sociale molto alta, in cui il prelievo, dal punto d vista contributivo è più alto migliori sono le garanzie, il giochino sembra facile perché il circolo è chiuso, i soldi non li possiamo prendere ai tedeschi, dobbiamo prelevarli a noi stessi, per avere più soldi per le pensioni dobbiamo aumentare la pressione fiscale che sono i contributi, se noi aumentiamo la pressione contributiva, stiamo togliendo i soldi a coloro i quali i soldi li hanno. Questi soldi che noi togliamo, coattivamente, a coloro i quali i soldi li hanno, non è che se li mettono sotto il mattone li usano in questi 2 modi : o consumano e comprano beni di consumo o risparmiano, cioè sostanzialmente investono. In genere chi ha soldi non li tiene sul conto corrente perché non fruttano niente, li investe in titoli di stato e azioni, sia il consumo che l’investimento sono 2 componenti che contribuiscono a far incrementare l’economia e quindi la quantità di risorse che si producono. Se aumento il reddito e l’economia, si aumenta il prodotto interno lordo e aumenta anche il prelievo e gettito fiscale, se noi togliamo risorse a chi consuma e chi investe, finiamo, se lo facciamo troppo, per deprimere l’economia, deprimendo l’economia riduciamo il reddito disponibile, riducendo il reddito disponibile, riduciamo il gettito fiscal, riducendo il gettito fiscale, riduciamo quella torta che dobbiamo spartirci per i bisogni previdenziali, alla fine si innesca un meccanismo perverso per il quale, comunque sia, non si riescono a garantire i mezzi adeguati per l’esigenze di vita. Questo è il grandissimo problema che noi abbiamo, è un problema politico, finanziario e finisce per essere un problema giuridico perché la ricaduta è che noi dovremo, presto o tardi, ammettere che siamo in condizione di inadempimento costituzionale e una delle direzioni della previdenza sociale, che oggi ha, è questa: come riuscire ad essere adempiente sul piano costituzionale, cioè dal punto di vista pratico, come riuscire a dare a tutti i cittadini i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, con le risorse che si hanno a disposizione? Tutti gli interventi di previdenza sociale, ai quali noi abbiamo assistito dagli anni ’90 ad oggi, tutti interventi di razionalizzazione, non abbiamo avuto novità, il nostro sistema di previdenza sociale, in quanto tipo di prestazioni, era già strutturato in epoca fascista, pensioni, indennità di malattia, indennità di maternità, erano già strutturati all’epoca e si sono poi andati compiendo nel primo ventennio, trentennio costituzionale, ma quello che succede dagli anni ’90 ad oggi sono tutti provvedimenti, grandi o piccoli, di razionalizzazione. Quando voi, sul giornale, sentite parlare degli abusi che si fanno delle prestazioni d’invalidità in certe regioni del centro-sud, dove ci sono più invalidi che disoccupati, ci si sta riferendo solo a questo, all’esigenze di razionalizzazione del sistema, di prendere le risorse e di allocarle correttamente dove ce n’è bisogno. Quando voi sentite di riforma del sistema pensionistico o innalzamento dell’età pensionabile, con riduzione dei tassi si sostituzione delle pensioni con, parificazione tra uomo e donna con aumento degli anni di contribuzione minima, state sentendo provvedimenti di razionalizzazione. Quando voi sentite parlare di esubero previdenziale degli annoi ’90 di previdenza complementare, cioè qualcosa che aiuta la previdenza altro non state sentendo che non questo: qualcosa che aiuta, finanziariamente, una situazione nella quale le risorse sono scarse. Tutta la nostra previdenza sociale, oggi, si muove lungo questa grande direttrice. Torniamo all’art 38 che ci dice anche qualcos’altro, il terzo comma si riferisce a prestazioni prettamente di tipo assistenziale perché dice :gli inabili e i minorati, cioè coloro i quali non sono capaci di lavorare o hanno menomazioni fisiche, in linguaggio moderno i portatori di handicap, hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale, altra espressione della solidarietà. Chi è inabile o minorato non deve essere lasciato in carico alle famiglie, deve essere educato in istituti appositi con sostegni appositi pagati dallo stato, anche quelle è previdenza, anche l’insegnante di sostegno che va in molte classi con portatori di handicap o minorati psichici o fisici è previdenza, perché è pagato con i soldi di tutti. E hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale cioè si ci si deve riuscire a recuperarli al lavoro, per cui quando voi andate in un ente pubblico e ci trovate un centralista cieco, quel centralinista non vedente, è uno si che lavora, quindi non è uno che ha in quel momento diritto ad un’assistenza previdenziale, perché ha il suo stipendio, perché ha il suo lavoro, ma è arrivato lì per il tramite di una prestazione previdenziale, perché sicuramente avrà frequentato per centralinista cieco, che qualcuno avrà pagato, quel qualcuno siamo stati tutti noi, ecco l’espressione della solidarietà nei confronti di chi ha bisogno. Quarto comma ci dice che ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo stato, questa è un’altra disposizione molto importante, dal nostro punto di vista, ci dice che in l’Italia, la previdenza deve essere essenzialmente,sebbene non esclusivamente, pubblica, si può fare previdenza senza che ci sia l’intervento diretto dello stato, se ad esempio lo stato stabilisce che tutti i lavoratori devono versare obbligatoriamente una parte del loro reddito in contributi, ma questi contributi devono andare ad assicurazioni completamente 5 l’altra prestazione previdenziale è quella di aiutare coloro i quali hanno questa situazione, gli assegni familiari appunto. Ve ne dico un’altra, l’art 24 della costituzione : tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti legittimi, la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato è grado di procedimento e poi aggiunge l’ultima norma, sono assicurati ai non abbienti,con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, la situazione davanti alla quale si può essere costretti a difendersi in giudizio, se si è non abbienti, è una situazione di bisogno, rispetto al quale, lo stato, cioè noi tutti, riteniamo di non poter rimanere indifferenti, la legge dice che bisogna che lo stato appronti i mezzi per consentire questo. I mezzi possono essere 2, siccome ci si difende in giudizio, tramite gli avvocati o lo stato ti da un avvocato, appronta un’avvocatura dello stato per i non abbienti, oppure i mezzi per pagarti l’avvocato, nel nostro ordinamento la scelta cade sulla seconda opzione perché c’è un’istituzione che si chiama gratuito patrocinio a carico dello stato e possono accedere coloro i quali, dovendo far causa o essendo stati convenuti in giudizio, se non hanno risorse, possono avanzando domanda, possono tenere che i loro avvocati privati, che si scelgono loro sia pagato a carico dello stato con l’istituto del patrocinio gratuito. Lezione 22 marzo 2011 Ve lo dicevo ieri a fine lezione, il sistema di previdenza sociale è un meccanismo di redistribuzione delle risorse, che significa che le risorse devono essere prodotte da qualche parte, finire da qualche altra parte, e poi riuscire sotto forma di prestazioni previdenziali. Affinché il meccanismo funzioni giuridicamente si ha bisogno di che cosa? Questa è la domanda a cui cerchiamo di rispondere. Sappiamo che il sistema si articola in tre ... 01.30 -qualcuno che produce le risorse e che le versa -qualcuno che le incassa, cioè gli enti di previdenza, i grossisti di previdenza -qualcuno che le risorse poi le riceve sotto forma di prestazioni previdenziali, i soggetti che versando in situazioni di bisogno ricevono quello che gli altri hanno versato a titolo di contributi previdenziali. Adesso dobbiamo cercare di capire come questo schema può funzionare. Iniziamo ad isolare le relazioni che fanno capo ai soggetti di questo sistema, perché se deve funzionare giuridicamente questi tre soggetti, cioè gli enti di previdenza, chi paga i contributi e chi riceve le prestazioni, devono entrare in qualche modo in contatto, devono essere in qualche modo in relazione. Io inizierei dalla relazione che si instaura tra coloro i quali producono ricchezza e non versando in condizioni di bisogni, o anche versando in condizioni di bisogno, sono obbligati a pagare i contributi agli enti di previdenza. Questa è la prima relazione che si instaura. Chi sono questi due soggetti? Iniziamo dall’ente di previdenza. La costituzione ci dice che gli enti di previdenza devono essere degli enti pubblici perché l’articolo 38 ci dice “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”, la funzione previdenziale non può che essere svolta da soggetti pubblici. Voi direte perché questa insistenza sul fatto che un soggetto debba essere pubblico? Perché la tutela previdenziale è così importante ed essenziale nell’architettura istituzionale del nostro stato e poi non si vuole che essa sia rimessa a soggetti che operano nel libero mercato che ad esempio sarebbero soggetti a fallire. Ve l’ho detto non sarebbe pensabile che un lavoratore o un cittadino ammalato o vecchio che abbia bisogno della pensione, si trovi di fronte opporre da un soggetto “io non ho soldi per pagartela”, se fosse un soggetto privato questa sarebbe un’eventualità da prendere in considerazione. Ad esempio chi potrebbe essere un soggetto privato che svolge funzioni previdenziali? Una collega : un’assicurazione Prof: se fosse una compagnia di assicurazione, se è un soggetto privato che opera sul mercato e quindi sottoposto a logiche di bilancio, quindi di entrate ed uscite, se in un certo momento in cui questa compagnia di assicurazione, perché gestita male, perché sbaglia i calcoli, perché il sistema economico è tale che non concede una gestione diciamo di equilibrio, avesse più uscite che entrate, questo sarebbe un soggetto che inevitabilmente andrebbe in fallimento, che uscirebbe dal mercato. E voi sapete qual è la sorte dei creditori di un soggetto fallito, di chi avanza pretese nei confronti di un soggetto fallito, si prende quello che c’è, quello che rimane. Ora di fronte ad una funzione per sopperire ai cittadini una situazione di bisogno, lo stato non può inserirsi in questa condizione, tant’è vero che nessuno di voi ha mai sentito rifiutare una prestazione previdenziale perché in certo momento non ci sono soldi, perché nel momento di prelievo non ha risorse. Tant’è vero che gli enti di previdenza sono realizzati col cosiddetto erario di tesoreria , per cui quando non hanno risorse proprie, per cui i contributi non bastano più a pagare le prestazioni, attingono alla tesoreria dello stato, che è un … 06.11 dove sempre ci sono risorse. Quindi il primo caso da prendere in considerazione è che il soggetto che sta in mezzo, cioè il soggetto con il quale chi deve pagare i contributi si rapporta, si relaziona, deve essere un soggetto pubblico. In Italia questo soggetto pubblico non è direttamente lo stato, sono delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici, cosiddetti strumentali allo stato. Sono gli enti di previdenza, sono tecnicamente degli enti pubblici non economici, che non svolgono attività economica sul mercato. Qual è l’essenza dell’essere pubblico dell’ente? Gli enti pubblici ricorderete sono istituiti con legge, quindi la volontà che sta alla base della loro nascita e istituzione sta in una legge. Se voi andate a vedere i grandi enti di previdenza italiani, vi ho detto INPDAP, INPS, INAIL, questi sono tutti enti che non sono stati fondati per volontà di qualcuno, come sarebbero state le società private (ad esempio nelle grandi compagnie di assicurazioni voi trovate che l’atto di nascita è un atto di volontà, un contratto di società), ma nascono per volontà dello stato 5 con legge. Sono costituiti con legge, questa è la prima caratteristica fondamentale, e poi soprattutto sono anche dotati di potestà di imperio, … 8.10 che spettano ai privati cittadini, non su un piede di parità come sono i soggetti privati, ma l’ente di previdenza in quanto pubblica amministrazione si rapporta con i privati cittadini su un piede di superiorità, che è proprio degli enti di diritto amministrativo, cioè quello di poter adottare i provvedimenti in via unilaterale che incidono sulla sfera giuridica dei cittadini. Questo significa anche che l’attività di questi enti è governata prevalentemente dal diritto amministrativo, così succede per gli atti posti in essere dal comune, o dalla provincia, dalla regione, dal ministero, sono atti di diritto amministrativo. E questo è un capo del rapporto, della relazione. Dall’altra parte chi ci sta? Abbiamo detto che i soggetti produttori di reddito sono obbligati con legge a destinare una quota più o meno grande agli enti di previdenza, chi c’è dall’altra parte? Chi sono i soggetti tenuti a pagare i contributi? Sono un universo abbastanza frastagliato ma i principali sono i datori di lavoro, cioè coloro i quali assumono i lavoratori alle loro dipendenze, sono la prima categoria di soggetti tenuti a pagare i contributi. In quota annuale, poi vedremo nel dettaglio, sono tenuti a pagare i contributi anche i lavoratori. Sono inoltre tenuti a pagare i contributi i lavoratori autonomi, un artigiano, un commerciante, io, che sono anche un avvocato, devo destinare obbligatoriamente annualmente una quota del mio reddito, che attualmente è del 13% in misura fissa sul fatturato annuo, più un’aliquota aggiuntiva del 4% che non pago io direttamente ma i miei clienti, perché una volta che io fatturo una certa prestazione nella fattura ci sarà una quota dedicata alla prestazione (ad esempio un parere legale di 10mila euro) a cui si aggiunge un’aliquota del 4% destinata all’ente di previdenza, che io incasso e che in aggiunta al quel 13% che pago io e che va a finire nella mia cassa… 12.00 Collega : quindi un commerciante che ha un dipendente paga due volte? Prof: si paga per se ovviamente e poi paga per il … 12.12 Vediamo un pochino come sono articolate… 12.20 vediamo la fetta assolutamente maggiore, che è quella dei lavoratori dipendenti. Per farvi capire l’incidenza della …12.30 previdenziale supponiamo che un lavoratore dipendente abbia una retribuzione lorda di duemila euro mensili, che cosa significa retribuzione lorda? Lorda di che cosa? Lorda della quota di imposte che sono versate all’erario, di questi duemila euro che paga il datore di lavoro, che è obbligato a pagare, quanto viene in tasca al lavoratore? Prima di tutto dobbiamo sottrarre quella parte che è destinata al fisco, all’erario, sono i soldi che servono per pagare ad esempio le strade, gli insegnanti.. Come sapete gli importi sono fissati in misura proporzionale al reddito, più è alto il reddito più è alta l’imposizione fiscale, infatti duemila euro al mese, che significa 26 mila euro all’anno (dobbiamo moltiplicare per 13 mensilità) e su un reddito di 26 mila euro annui diciamo che l’aliquota che va destinata al fisco può essere intorno al 35%. Semplifichiamo un C’è una serie di contatti… non si capisce bene 30.00, la relazione significa essere in contatto, ora il rapporto che si instaura tra i soggetti tenuti a pagare i contributi e gli enti di previdenza consiste in una serie di contatti e la qualificazione di questo rapporto, cioè di questi contatti, è una qualificazione giuridica, è un rapporto giuridico, questi contatti, sono contatti obbligatori, per essere governati dal diritto non sono rimessi alla volontà delle parti. Cioè in Italia non si sceglie, quando si produce reddito, di destinarne una parte agli enti di previdenza, ma è si è obbligati a farlo. E’ un rapporto giuridico, e l’essere giuridico deriva dal fatto che è regolato dalla legge ed è quindi un rapporto obbligatorio. Se noi consideriamo questa relazione dal punto di vista del suo carattere giuridico, noi vediamo due cose fondamentalmente : 1. questo rapporto giuridico, questa relazione giuridica, come tutte le relazioni del mondo, anche non giuridiche, hanno un oggetto, c’è qualcosa che passa, che si scambia, così come nelle relazioni sentimentali dove si scambia qualcosa di immateriale (i sentimenti), anche nelle relazioni giuridiche si scambia qualcosa. La differenza è che nelle relazioni giuridiche si scambiano beni. Cosa corre, cosa passa, dietro un rapporto giuridico obbligatorio, questa relazione è funzionale a far transitare che cosa? Dei soldi, il bene che passa sono soldi, nella forma di una qualificazione giuridica particolare, che è quella dei contributi. L’oggetto di questa relazione sono i contributi, questa relazione si instaura per consentire il passaggio dei contributi, magari vi sembra una cosa astratta e banale ma non lo è per niente. I contributi che hanno una parte di quella ricchezza che ciascuno produce e che deve essere ridistribuita, che deve andare agli enti di previdenza, questa forma di ricchezza non riuscirebbe a passare se non in questa forma. La relazione giuridica, il rapporto giuridico, è l’unico modo mediante il quale questi contributi possono passare, è il modo migliore, ovvero che l’obbligo di pagarli sia all’interno di una relazione giuridica. Se ne potrebbero ipotizzare altri, ad esempio che l’ente di previdenza abbia degli esattori che prelevino con forza come succedeva in passato, ma il modo più efficiente per far si che questi soldi passino rimane il rapporto obbligatorio. Cosa significa? Che chi è tenuto a pagare è obbligato a farlo, quindi qualcuno può pretendere che lo faccia e poi che se per caso chi deve farlo non lo fa spontaneamente, l’essenza del rapporto giuridico è che esistono strumenti e mezzi per consentire che lo faccia coattivamente. L’essenza della giuridicità è questa, cioè che il fare una certa cosa, il prestare una certa cosa, non è rimessa alla libertà dei rapporti di forza, per cui basta la telefonata arrabbiata del capo dell’INPS che dice “paga i contributi!”, no, tutti sono soggetti.. non si capisce 35.40 Diciamo che in generale il mancato pagamento dei contributi autorizza il creditore, cioè l’ente di previdenza, a rivolgersi ad un giudice per consentire la condanna del debitore e a cascata una serie di strumenti che consentono materialmente di realizzare il credito, per cui 5 se il debitore non avesse soldi contanti sarebbe possibile l’espropriazione forzata, e poi nel caso di ... 36.30 ci sono procedimenti di esecuzione molto accelerati (ad es. bloccano la macchina). L’obbligatorietà comporta che il mancato spontaneo adeguamento all’impegno assunto nella relazione comporta l’intervento di un soggetto terzo, lo stato, e io sfido chiunque a trovare un modo più efficiente di raggiungere questo risultato. Quindi il primo punto è che dentro questa relazione ci sta un oggetto, si scambia qualcosa, nella forma dei contributi, poi ritorneremo su questo aspetto. 2. Questo rapporto giuridico è pur sempre un fatto umano perché riguarda.. 37.50 Come tutti i fatti umani anche il rapporto giuridico è assoggettato alle regole fondamentali della vita, ha un suo inizio, un suo svolgimento e una sua fine. Questa relazione, questo rapporto giuridico, al cui interno ha dei soldi, i contributi, si presta ad essere spiegato come un momento iniziale, un momento di svolgimento e un momento finale. Veniamo al primo punto. Quando inizia il rapporto giuridico? Rispondiamo molto facilmente, in linea di massima inizia quando un soggetto inizia a produrre reddito. Consideriamo l’ipotesi dei lavoratori dipendenti, che sono quelli maggiori. Quando il datore di lavoro e il soggetto obbligato a pagare i contributi in relazione ai redditi che producono i loro dipendenti, perché poi guardate il datore di lavoro paga ovviamente anche per se, abbiamo detto un commerciante, un artigiano dovrà pagare a sua volta anche i contributi che riguardano la sua personale posizione. Ma qui noi lo stiamo considerando come lavoratore autonomo. Se noi consideriamo l’universo del lavoro dipendente, in assoluto maggiore, allora noi dobbiamo dire che il datore di lavoro paga, è il soggetto obbligato a pagare in contributi per il reddito prodotto dal suo lavoratore. Il percettore di reddito in relazione al quale si pagano i contributi è il lavoratore, il soggetto obbligato è il datore di lavoro col meccanismo del sostituto d’imposta e poi per la quota che invece è in capo a se stesso. Quand’è che sorge l’obbligo del datore di lavoro di versare i contributi in relazione al reddito che è prodotto e percepito dal suo lavoratore dipendente? Anche qui è molto semplice, è il momento in cui il rapporto nasce, il momento in cui tra i datori di lavoro e l’ente di previdenza non c’è più indifferenza, c’è un momento in cui scatta la scintilla, ed è un momento nel quale improvvisamente delle persone non possono più considerarsi indifferenti. Nel caso del datore di lavoro quand’è che scatta questa scintilla che rende non più indifferente il datore di lavoro all’ente di previdenza e che impedisce al datore di lavoro.. 42.30.. qual è? Quando inizia il rapporto di lavoro, voi pensate di essere appena laureati e di decidere di iniziare un’attività commerciale, un bel giorno iniziate a fare tutte le pratiche, tenete conto di non essere in grado di lavorare da soli, di avere bisogno di collaboratori, e fate un contratto con questi collaboratori. In quel preciso istante smettete di essere dei soggetti completamente liberi e dal quel momento voi siete entrati obbligatoriamente in un rapporto con gli enti di previdenza, perché da quel momento siete obbligati anche nei confronti dell’ente di previdenza a pagare i contributi previdenziali. Il momento in cui inizia il rapporto segna la nascita del momento contributivo. Da quel momento in poi voi sapete di avere almeno due certezze: il 20 del mese successivo a quello in cui pagate lo stipendio, dovete versare, non siete liberi ma dovete, una certa quota agli enti di previdenza. Guardate che quest’obbligo nasce per il solo fatto di aver assunto un lavoratore dipendente, nasce anche se un lavoratore dipendente lo assumete in nero, anche se pensate di tenerlo nascosto, di dargli soldi in contanti, l’obbligo c’è già. E normalmente il primo momento in cui ci si accorge di averlo, anche se si pensava di non averlo, è quello in cui.. (non conclude la frase). Io assumo un lavoratore dipendente, lo faccio lavorare per 3-4 anni, dal punto di vista materiale sono libero di assumere, libero di non assumere, quand’è che mi posso accorgere di questo rapporto che c’era e non è stato rimosso, quand’è questo momento? Quale potrebbe essere? Una visita dell’ispettorato del lavoro e il lavoratore che risponde alla domanda “da quanto tempo lavori, quanti soldi guadagni ecc.. ” Cosa succede a quel datore di lavoro? Deve pagare gli arretrati da quando è stato assunto il dipendente, quindi sarà calcolato l’ammontare dei contributi che avrebbe dovuto versare a determinate scadenze negli anni passati, con la ..non si capisce 47.15 ovviamente delle sanzioni, e questo cosa significa? Significa che quel rapporto, quella relazione, c’era, e quando è nata questa relazione? E’ nata al momento in cui il soggetto ha cominciato a percepire il reddito, a prescindere dal fatto che quel lavoratore non fosse noto agli enti di previdenza,fosse un perfetto sconosciuto agli enti di previdenza. Normalmente una volta che si assume un lavoratore il datore lavoro comunica all’ente di previdenza di avere assunto un certo lavoratore, di pagare una certa retribuzione e che il lavoratore fa un certo orario ecc.. Cioè insieme all’assunzione e insieme all’obbligo di pagare i contributi la legge prevede una serie di obblighi che definiremo accessori e che sono obblighi di comunicazione, e che sono strumentali per consentire all’ente di previdenza di sapere che c’è un percettore di reddito che dovrà essere assoggettato alle imposte e quindi di predisporsi a ritirare ad esempio gli 5 disciplinano questo contatto (quando, come, in che modo entrano in contatto, che cosa succede se il contatto non si attiva). La disciplina di questa relazione e di quest’insieme dei contatti qualificati dal diritto sono dati dalle legge, il che rende questo rapporto (insieme di contatti) un rapporto giuridico. L’oggetto di questo rapporto giuridico è un bene specifico, cioè delle somme di denaro che hanno la qualificazione giuridica di contributi previdenziali o premi assicurativi se sono dovuti all’INAIL. Questi contributi previdenziali altro non sono che delle prestazioni imposte per legge a coloro i quali percepiscono reddito quando questa relazione sorge. E questa relazione sorge nel momento in cui il soggetto inizia a essere un percettore di reddito, il che significa che per la parte quantitativamente più rilevante, che è quella riconducibile al lavoro dipendente, il momento in cui sorge la relazione obbligatoria tra il soggetto tenuto a pagare i contributi e l’ente di previdenza è quello in cui il soggetto inizia a lavorare, cioè si instaura il rapporto, sia che si tratti di rapporto regolare, sia che sia tratti di lavoro in nero. Infatti ci siamo detti che nel momento in cui venisse scoperta quella situazione di lavoro che si svolge in nero, sostanzialmente all’oscuro di tutto, ecco che i diritti e gli obblighi che mettono capo a quella relazione nei confronti dell’ente di previdenza vengono in evidenza. Questo perché il datore di lavoro o meglio il soggetto tenuto a pagare i contributi no l’ha fatto è costretto a farlo dal momento in cui si riesce a dimostrare che quel rapporto di lavoro è sorto. Questa è la nascita del rapporto di lavoro che abbiamo definito contributivo. I contributi sono dedotti all’interno di un rapporto giuridico obbligatorio, il che significa che formano un obbligo per il soggetto tenuto. Nell’ipotesi quantitativamente più rilevante che abbiamo detto essere quella riconducibile al lavoro dipendente sappiamo che il soggetto tenuto a pagare i contributi è sempre uno, il datore di lavoro, il quale per una parte che è quella più cospicua (in quanto ammonta a oltre il 30%) paga contributi all’ente di previdenza estinguendo un debito proprio, nel senso che queste sono somme che egli aggiunge allo stipendio del lavoratore. Per un’altra parte minore che equivale circa all’8%, il datore di lavoro paga invece un debito che non è suo, ma è del suo dipendente perché i soldi che sono destinati a coprire questa quota dell’8% il datore di lavoro glieli sottrae materialmente dallo stipendio e li versa con il meccanismo che ha un nome molto evocativo e si chiama meccanismo del sostituto d’imposta. Si tratta di un meccanismo molto comune, infatti chiunque di voi abbia percepito una retribuzione si sarà visto il pagamento decurtato di una percentuale fissa di circa il 20% che è la ritenuta d’acconto (chiamata così a fini IRPEF). Infatti chi paga qualsiasi reddito trattiene alla persona che riceve la somma questa ritenuta d’acconto per versarla all’erario (a Tremonti per intenderci). Per cui il datore di lavoro paga con questo meccanismo che è il meccanismo del sostituto d’imposta. Vi vorrei far notare per il momento che c’è una profonda differenza tra le due somme che il datore di lavoro paga: infatti una è una somma propria e l’altra è quella del dipendente. Noteremo questa differenza quando esamineremo l’ipotesi in cui il datore di lavoro non paga i contributi perché altro è non pagare la quota di contributi che è a carico del datore di lavoro, cioè quel 32% che egli deve aggiungere alla retribuzione lorda del lavoratore. Altro è invece la percentuale più piccola dell’8% che il datore di lavoro trattiene al lavoratore, perché nel momento in cui il datore di lavoro sta trattenendo delle somme al lavoratore significa che si sta appropriando di somme che non sono sue, essendo del lavoratore. E siccome lui se ne appropria con lo scopo di versarle all’ente di previdenza se se ne appropria, cioè fa la trattenuta sulla retribuzione ma poi non versa quella quota all’ente di previdenza, allora in questo caso capite bene che il datore di lavoro sta trattenendo per se delle somme di danaro che non sono sue. Appropriarsi di cose non proprie se se ne ha già la disponibilità risponde a una figura di reato che è l’appropriazione indebita e nel caso della previdenza sociale ciò viene punito, ma quest’aspetto lo vedremo in seguito. Se lo schema utilizzato, come avete visto, è quello del rapporto giuridico all’interno del quale corre l’obbligo di pagare i contributi, allora questo rapporto è una relazione umana e come tale ha un inizio, una fase nella quale si svolge e un momento nel quale questo rapporto finisce. Per cui noi avremo delle problematiche giuridiche legate alla nascita: infatti nasce il rapporto tra due soggetti e in quel momento un soggetto che prima non era obbligato diviene obbligato a pagare i contributi. Il diritto regola molti fatti della vita quotidiana. Quando due volontà si incontrano danno vita a un contratto e se l’ordinamento lo riconosce esso è un contratto tipico a cui saranno poi collegati degli effetti giuridici. Questa vicenda segue poi un suo svolgimento: il lavoratore continua a lavorare per un paio d’anni, il datore di lavoro versa i contributi e per la sua parte e per quella del lavoratore, questo rapporto potrebbe avere delle vicende modificative perché il rapporto si estingue, perché la persona viene promossa e quindi gli viene aumentata la retribuzione oppure perché il rapporto viene sospeso per qualche ragione o anche in via consensuale (le parti si mettono d’accordo per cui per un certo periodo di tempo quel lavoratore non lavora e non riceva la retribuzione). Tenete sempre conto di questo, al di fuori delle ipotesi in cui il rapporto è legalmente sospeso, se il datore di lavoro non ha i soldi per pagare le retribuzioni e non paga lo stipendio, la contribuzione agli enti di previdenza è sempre dovuta. Torniamo al nostro rapporto giuridico, nel quale allo svolgimento segue poi la sua fine: infatti può accadere che o si estingue tutto il rapporto perché il lavoratore non è più un lavoratore dipendente dell’azienda, o muore, oppure può accadere che ferma restando la relazione ancora in vita si estingue semplicemente l’obbligazione contributiva. Quest’estinzione risponde alla regola generale dell’adempimento delle obbligazioni. La causa principale di estinzione dell’obbligazione contributiva è l’adempimento: ogni mese che io pago di contributi estinguo l’obbligazione relativa a quel mese. Gli altri modi di estinzione sono: 15.20 la compensazione (il datore di lavoro che è debitore verso l’ente di previdenza è contemporaneamente creditore dell’ente di previdenza). Questa è una cosa che capita di frequente, infatti in alcune ipotesi di lavoro non è dovuta la retribuzione ma è dovuta un’indennità a carico dell’ente di previdenza. 5 Prendiamo quella più comune, che è il caso della maternità: la donna assente dal lavoro per il periodo di astensione obbligatoria che va dai due mesi prima del parto ai quattro mesi dopo il parto, o da un mese prima a quattro mesi dopo, si parla comunque di cinque mesi di astensione obbligatoria, la legge dice che ha diritto all’80% della retribuzione. Questa percentuale non è messa a carico del datore di lavoro, che non è un ente di previdenza, ma è messo a carico dell’INPS. Normalmente però è il datore di lavoro che anticipa delle somme, cioè un debito che è dell’INPS. A quel punto il datore di lavoro avendo pagato alla lavoratrice che non lavora delle somme che sono dovute all’INPS, diventa creditore dell’ente di previdenza, perché in qualche modo le dovrà restituire visto che le ha pagate. Questa è l’ipotesi nella quale si fanno normalmente quelle operazioni dette di conguaglio fra contributi che si devono e somme che si sono anticipate e questo è un modo di estinguere le obbligazioni essendo tecnicamente una forma di compensazione. Infatti quando si crea quella situazione per la quale un soggetto è creditore e debitore contemporaneamente il debito si estingue in ragione degli importi di credito e di debito corrispondenti. Un altro modo di estinzione dell’obbligazione contributiva è la prescrizione, cioè il mancato pagamento del debito per un certo periodo di tempo e l’assenza di richiesta del pagamento stesso. Vedremo che questo è uno dei punti salienti della previdenza sociale, ma il discorso che mi preme affrontare ora è un altro: la determinazione dell’ammontare dell’obbligazione contributiva. Noi sappiamo che l’obbligazione contributiva si determina in ragione di una percentuale della retribuzione nel caso di lavoro dipendente (o del reddito nel caso in cui si tratti di lavoro autonomo). La misura percentuale è stabilita dalla legge e non potrebbe essere altrimenti perché per Costituzione come abbiamo letto ieri nell’art. 23 nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Ho anche detto che la riserva di legge contenuta nell’art. 23 della Costituzione è una riserva relativa (?) della quale è sufficiente che la legge determini i criteri di massima sulla base dei quali determinare le percentuali della retribuzione e poi si può provvedere con provvedimento amministrativo o con atto regolamentare. Ma se i contributi si determinano in funzione di un percentuale, il loro ammontare monetario sarà maggiore o minore in relazione al variare della percentuale: più è alta la percentuale più i contributi che si devono pagare hanno un ammontare monetario più elevato. Inoltre più è ampio il concetto di retribuzione preso in considerazione e più i contributi sono ampi. L’art. 12 della legge 153 del 1969 utilizza il criterio della onnicomprensività, in base al quale tutto Quello che il lavoratore percepisce dal datore di lavoro in relazione al rapporto di lavoro è assoggettato a contribuzione previdenziale (cioè fa parte della base imponibile), con esclusione di alcune voci elencate tassativamente dalla legge, come ad esempio i rimborsi spese che il lavoratore percepisce dal datore di lavoro che non sono un reddito (sono somme date al lavoratore per E’ oggi possibile in particolari casi in cui c’è in gioco un credito retributivo (cioè il datore di lavoro deve una certa somma al lavoratore) se il datore di lavoro e il lavoratore decidono di conciliarsi (mettersi d’accordo), per cui questa somma che il datore di lavoro deve al lavoratore viene pagata in tutto o in parte e a quest’accordo partecipa anche l’ispettore del lavoro in rappresentanza degli enti di previdenza, allora noi abbiamo una conciliazione che non è più un accordo che vale anche per i terzi, ma è un accordo al quale partecipa anche il terzo. In questo caso la legge stabilisce che se l’accordo è preso da tutti e tre, solo allora quella transazione vale, è opponibile anche nei confronti dell’ante di previdenza. Ecco vedete un ponte fra i due rapporti. C’è ancora un aspetto che mi preme rimarcare di questo rapporto contributivo. Noi abbiamo due rapporti: il rapporto di tipo subordinato che si instaura fra il datore di lavoro e il lavoratore e il rapporto contributivo che gli corre parallelo. L’unico punto d’incontro è la conciliazione monocratica abbiamo detto, altrimenti corrono paralleli, uno indifferente all’altro. Sono si collegati perché l’ammontare della contribuzione dipende dalla retribuzione, è chiaro, il rapporto contributivo sorge se c’è un rapporto di lavoro subordinato, però si tratta di due rapporti autonomi. La fonte del rapporto di lavoro è il contratto, mentre il rapporto contributivo sorge ex legem (il rapporto con l’ente di previdenza non sorge perché si fa un contratto con l’ente di previdenza, ma sorge per il solo fatto che è nato un rapporto di lavoro subordinato) . Sappiamo che il datore di lavoro è titolare di un obbligo nei confronti dell’ente di previdenza (perché abbiamo detto che il loro è un rapporto obbligatorio) che è quello di pagare i contributi. La domanda che adesso dobbiamo porci è questa: quell’obbligo che il datore di lavoro ha nei confronti dell’ente di previdenza ha una sua corrispondenza all’interno del rapporto di lavoro? Cioè quando il datore di lavoro assume il dipendente si obbliga sicuramente a pagargli la retribuzione; la domanda è: si sta obbligando nei confronti del lavoratore anche a pagare i contributi all’ente di previdenza? Ci accorgiamo del significato della domanda in quest’ipotesi: se il datore di lavoro non paga i contributi, il lavoratore subisce o meno un danno? Siccome i contributi realizzano la provvista per il pagamento delle prestazioni, il lavoratore che non si sarà visto pagare i contributi per un certo periodo di tempo o anche per tutto l’arco della vita lavorativa, a un certo punto quando si verificherà la situazione di bisogno che legittima la prestazione, quella prestazione non la riceve. In genere quando non si pagano i contributi o non si ha diritto alla prestazione o si ha diritto a una prestazione minore. Ma chi risponde di questo danno? Il lavoratore chiede al datore di lavoro un risarcimento del danno e si rivolge a lui per inadempimento, facendo valere una responsabilità contrattuale. Ma se fa valere una responsabilità contrattuale, allora significa che a monte c’era un’obbligazione preesistente tra il datore di lavoro e il lavoratore che aveva ad oggetto esattamente il pagamento dei contributi, sebbene il lavoratore non sia destinatario dei contributi stessi. E’ un’obbligazione che il datore di lavoro assume nei confronti del lavoratore che ha come oggetto un terzo, cioè l’ente di previdenza. Vedete che si 5 creano una serie di relazioni contrattuali per cui noi abbiamo il rapporto contrattale fra il datore di lavoro e il lavoratore, il rapporto obbligatorio di fonte legale fra il datore di lavoro e l’ente di previdenza e su questo rapporto si innesta un’obbligazione che il datore di lavoro ha assunto nel momento in cui ha contrattualizzato il lavoratore che comprendeva anche l’obbligo di pagargli i contributi previdenziali, tanto è vero che se il lavoratore durante la vita lavorativa scopre che il datore di lavoro non gli ha pagato un certo contributo, il lavoratore non può far causa al datore di lavoro perché paghi quei contributi, ma deve fare la denuncia all’ente di previdenza, affinché esso che è il vero creditore si attivi. L’unica possibilità che il lavoratore ha di far causa al datore di lavoro ce l’ha quando alla fine della vita lavorativa, verificatasi la situazione di bisogno, egli scopra che effettivamente ha ricevuto un danno in quanto il datore di lavoro è stato inadempiente. Prima di allora, durante la vita lavorativa, se anche il lavoratore sa che non gli vengono pagati i contributi, non può chiamare in causa il datore di lavoro per farseli pagare, perché il lavoratore non è il creditore dei contributi e il datore di lavoro non è debitore nei confronti del lavoratore dei contributi, lo è nei confronti dell’ente di previdenza. Ma è un debito assunto con l’ente di previdenza nell’interesse del lavoratore. Ecco perché quando i nodi vengono al pettine, se c’è un momento nel quale il lavoratore percepisce una prestazione previdenziale minore in ragione dell’inadempimento che il datore di lavoro ha perpetrato nel corso del rapporto di lavoro, allora lì il lavoratore può agire per risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro facendo valere la violazione di un’obbligazione che il datore di lavoro ha assunto anche nei suoi confronti sebbene la prestazione fosse diretta verso l’ente di previdenza, verso un terzo. Se uno è erede di un piccolo artigiano e dopo la sua morte eredita tutto, sia i crediti che i debiti, se in futuro un lavoratore che è stato dipendente di quel soggetto matura i requisiti per la pensione e si rende conto che o non gliela danno, o è meno rispetto a quanto avrebbe dovuto avere, quello si rivale sul patrimonio del datore di lavoro, quindi sugli eredi per il risarcimento del danno. Mentre per legge l’obbligazione contributiva e le sanzioni soprattutto non sono trasmissibili agli eredi lì obbligazione risarcitoria grava sugli eredi. 28.03.2011 Impegneremo le lezioni di questa settimana a parlare della prescrizione dell’ obbligazione contributiva e poi, se riusciamo, iniziamo ad introdurre l’aspetto della responsabilità per omissione contributiva. Stiamo affrontando un segmento del sistema della previdenza sociale che ruota attorno ad una seria di contatti qualificati. I contatti qualificati sono chiamati dal diritto rapporti giuridici. Il …(?) dei rapporti giuridici è che si scambiano dei beni e questo scambio dei beni è garantito dalle forme dell’ obbligazione per cui chi non adempie può essere costretto a farlo tramite l’intervento del giudice. Le parti di questa particolare relazione -che è appunto il rapporto contributivo- sono: i soggetti tenuti a pagare i contributi (-ancorché non sono quelli che producono reddito. Adesso non sto a dirvi che nel rapporto subordinato è il datore di lavoro che paga i contributi anche per il lavoratore perché ve l’ho già detto-) e l’ ente di previdenza. Ci siamo detti che questo rapporto, come tutte le vicende umane, si presta ad essere studiato dal punto di vista della sua evoluzione: nascita, svolgimento, fine. La volta scorsa abbiamo iniziato a dire che l’ obbligazione che è dedotta all’ interno di questo rapporto si estingue secondo le regole proprie dell’ estinzione dell’ obbligazione, e qui una caratteristica del diritto della previdenza sociale è quella di essere un diritto che fa ricorso ad altri rami dell’ ordinamento. Le regole dell’ estinzione dell’ obbligazione contributiva sono infatti pari pari a quelle dell’ estinzione degli obblighi. Per cui l’ obbligo si estingue se c’è adempimento oppure -abbiamo visto- se c’è compensazione. Cosa abbastanza comune è che il datore di lavoro sia al contempo debitore dei contributi nei confronti dell’ ente di previdenza e creditore a sua volta nei confronti dell’ ente di previdenza. I casi più tipici sono quelli in cui il datore di lavoro anticipa delle somme per conto dell’ ente di previdenza. E’ quanto succede nei casi di maternità o di malattia. In questi casi è l’ ente che deve pagare il lavoratore ma è il datore che anticipa; cioè continua a pagare questo stipendio e poi, questo continuo pagare al lavoratore una somma che è dovuta dall’ ente genera in capo al datore di lavoro un credito nei confronti dell’ ente che si estingue per compensazione. Tanto ti devo io per contributi tanto mi devi tu per compensazione e quel rapporto si estingue. Quindi una compensazione esattamente come quella che trovate nel codice civile a proposito dell’ estinzione dell’ obbligazione. Abbiamo poi detto che altro modo tipico di estinzione dell’ obbligazione è la prescrizione. La prescrizione è istituto generale di diritto civile delle obbligazioni, e altro non è se non: “la prescrizione è l’ adeguamento della situazione di diritto ad una perdurante situazione di fatto.” Se c’è un fatto che perdura nel tempo ad un certo punto l’ ordinamento si adegua. Qual’ è il fatto che perdura nel tempo e che costituisce la base della prescrizione? L’ inerzia del titolare. Il diritto che non viene fatto valere per un certo periodo di tempo da parte del suo titolare (in assenza ovviamente di una causa di giustificazione) determina la perdita del diritto medesimo. Ordinariamente il tempo di inerzia del titolare del diritto che determina la perdita del diritto è di 10 anni. La prescrizione breve più famosa è quella dell’ obbligazione che ha ad oggetto il risarcimento del danno nella responsabilità acquiliana, cioè nella responsabilità extracontrattuale in cui il termine di prescrizione 5 momento in cui il diritto può essere fatto valere. Se la prescrizione si basa sull’ inerzia evidentemente questa inerzia dev’ essere (in qualche modo) un fatto imputabile a chi rimane inerte; se il diritto non lo potevo far valere, pensate ad un diritto sottoposto a termine o a condizione e per il quale il termine non è ancora spirato. Secondo: l’ interruzione della prescrizione. Ora, se la prescrizione si basa sull’ inerzia del diritto, l’interruzione della prescrizione sarà l’ esercizio del diritto. L’ atto di esercizio del diritto va ad interrompere la prescrizione. E per interruzione della prescrizione intendiamo che decorre un nuovo termine di prescrizione identico a quello che decorreva inizialmente. Per cui io al nono anno, undicesimo mese e ventinovesimo giorno potrei esercitare il diritto che non ho esercitato per tanto tempo e da quel momento inizia a decorrere un periodo che è di altri 10 anni. Se lo faccio dopo 5 anni, dopo 5 anni inizierà a decorrere un periodo che sarà di 10 anni. Altro istituto -ma questo ci interessa un po’ meno dal punto di vista dell’ obbligazione contributiva- è quello della sospensione della prescrizione. La sospensione della prescrizione, a differenza della interruzione (che fa decorrete un nuovo termine), lascia intatto il periodo incorso e tuttavia determina -come dire- una fase di quiescenza, si crea cioè una finestra nella quale la prescrizione non decorre ma riprende a decorrere immutata quando cessa la causa di sospensione. Ipotesi di scuola. Se il creditore non ha esercitato il diritto per 4 anni e poi risulta disperso in guerra è ovvio che, anche se lo volesse, non ha la possibilità materiale di far valere il diritto. Finché la persona rimane dispersa , questo apre una finestra nella prescrizione. Oppure ci sono dei particolari rapporti tra le parti ( di parentela o commerciali di un certo tipo) che determinano una situazione nella quale non è giustificato chiedere l’ attività del creditore. Torniamo alla nostra disciplina. Il punto è che, in materia previdenziale la prescrizione, pur conservando questa impostazione di base, l’essenza dell’ istituto, ha delle connotazioni particolari. Cerchiamo innanzitutto di individuare la relazione: chi è il creditore, chi il debitore e qual’ è l’ oggetto destinato ad estinguersi. Debitore e creditore del rapporto giuridico contributivo sono il datore di lavoro (che deve anche versare per il lavoratore. Operando il meccanismo del sostituto d’ imposta sebbene debitore sostanziale per una parte a meno di contributi sia il lavoratore, il debitore formale, quello rispetto al quale valgono i termini di prescrizione, è sempre il datore di lavoro che paga sia per se che per il lavoratore) e l’ ente di previdenza. Il bene oggetto del diritto rispetto al quale valutare se è prescritto o meno è il ‘contributo’. Quindi questi contributi avranno un termine di pagamento. La prescrizione inizia a decorrere dal momento il cui il termine spira. Noi sappiamo che i contributi si pagano a cadenza mensile il 20 del mese successivo a quello di maturazione; quindi l’ obbligo di pagare i contributi non matura alla fine del mese, ma matura 20 giorni dopo. Da quel momento in poi inizia a decorrere il termine. Qual’ è il termine di prescrizione dei contributi previdenziali? Il termine di prescrizione dei contributi previdenziali non è più quello ordinario di 10 anni. Dal primo gennaio 1996 il termine di prescrizione dei contributi previdenziali è di 5 anni. Abbiamo quindi un termine di prescrizione breve. Torneremo su questa problematica. Altra caratteristica peculiare della prescrizione, che la differenzia dalla prescrizione nel regime ordinario delle obbligazioni, è: la prescrizione previdenziale non da luogo al fenomeno della soluti retentio, in materia previdenziale i contributi prescritti (espressione impropria) non possono essere pagati. Abbiamo invece detto che nel regime generale della prescrizione il debitore di un creditore il cui credito è prescritto può sempre pagare e questo pagamento è ben fatto, nel senso che il creditore può trattenere. Nel caso della prescrizione previdenziale l’ ente di previdenza non può ricevere il contributo una volta che il debito sia prescritto . (Ovviamente non si allude a una difficoltà materiale, nel senso che se uno va e paga quello i soldi se li prende). Giuridicamente il pagamento di un contributo prescritto è un pagamento indebito; il che significa che il datore di lavoro che ha pagato i contributi prescritti li può pretendere indietro dall’ ente di previdenza. Il debitore previdenziale ha quindi una facoltà che nessun altro debitore ha. Questo sembra un vantaggio per il debitore perché l’ ente di previdenza non può trattenere quanto è stato pagato oltre il termine di prescrizione, ma è un vantaggio solo apparente e lo capiremo solo quando parleremo delle forme di responsabilità del datore di lavoro per omissione contributiva. Ma nell’ immediato, se io fossi un datore di lavoro che è rimasto moroso, nel senso che non ha pagato contributi in tutto o in parte ( ad esempio non ha pagato contributi sul lavoro straordinario per più di 10 anni), l’ ente di previdenza che intervenisse oggi a chiedermi conto di questa mia omissione contributiva non potrebbe chiedermi i contributi più o risalenti a più di cinque anni addietro. E se lui me li chiedesse e io glieli dessi e lui li prendesse io avrei titolo per riprendermeli indietro. E se lui me li chiedesse io avrei titolo per rispondere che “non te li do” essendo il debito prescritto. Adesso lo vediamo sulla norma perché questa questione del termine di prescrizione da luogo ad una serie di notevoli difficoltà. La norma di riferimento è l’ articolo 3 commi 9 e 10 della legge 8 Agosto 1995 n° 335 8cd riforma Dini delle pensioni). Questa norma è intervenuta in un momento in cui il termine di prescrizione dei contributi aveva una durata di 10 anni. Questa norma ha ridotta questa durata passando da 10 a 5 anni. Da quando si sono ridotti? La legge dice <<si sono ridotti dal 1° gennaio 1996>>. Riflettiamo: che cosa significa che dal 1° gennaio 1996 il termine di prescrizione si è ridotto da 10 a 5 anni? Quante situazioni si possono immaginare? Leggiamo la norma. Comma 9. <<Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate (-quel ‘e non possono essere versate’ è l’elemento che differenzia la 5 prescrizione in materia previdenziale dalla prescrizione del diritto civile dell’ obbligazione ove la formula sarebbe “il credito si prescrive in 10 anni ma può essere versato”: può essere, se uno vuole paga e se paga non può pretendere. La diversa formula utilizzata da questa norma “e non possono essere versate” ci dice che se sono pagate si ha diritto a riprenderle, cioè non si ha luogo alla soluti retentio-) con il decorso dei termini di seguito indicati: a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie (…).(-Cioè stiamo parlando dei contributi pensionistici in generale-) A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine (-cioè il termine che era di 10 anni-) è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria. (- tendenzialmente sono i premi inail-)>> Ritorniamo alla questione dalla quale siamo partiti. Avevamo un termine che era di 10 anni in relazione al quale la legge ci dice: dal 1° gennaio 1996 questo termine si riduce a 5 anni. Quante/ Quali situazioni si possono immaginare? Una prima situazione nella quale il lavoratore viene assunto dopo il 1° gennaio 1996. Qui la prima scadenza contributiva sarà nel 2001, nessun problema. Il problema, caso mai, si pone per quelle obbligazioni contributive il cui termine di pagamento, siccome la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il credito può essere fatto valere, è scaduto prima: comunque per i periodi precedenti. Per i periodi precedenti ci dobbiamo chiedere che cosa significa che il termine si è ridotto. Anzitutto si è ridotto o non si è ridotto? Una risposta possibile sarebbe: allora la legge dice che dal 1° gennaio 1996 il termine che era di 10 anni diventa 5. Benissimo per i crediti maturati dopo il 1° gennaio 1996. Ma per quelli precedenti continua il regime di prescrizione decennale. Questa è una soluzione. L’articolo 3 è piuttosto lacunoso. Ex articolo 3 per i premi inail il termine è di 5 anni, per gli altri contributi il termine che era di 10 anni dal 1°gennaio 1996 diventa di 5 anni salvi i casi della denuncia del lavoratore e dei suoi superstiti. Se il contributo fosse scaduto a dicembre del ’92 questo significa che al 1° gennaio 1996 l’ ente di previdenza, che pensava di avere di fronte altri 6 anni perché il termine prescrivesse in realtà si troverebbe con la riduzione a 5 anni. Quanto tempo ancora? Se il contributo scadeva nel ’92? Risposta dei colleghi: <<un anno>>. Su questo bisognerebbe un po’ rifletterci. Se torno ancora indietro a un contributo del ’91 l’ ente di previdenza al 1° gennaio 1996 non ha più nulla da fare. E se il contributo è del 90 questo significa che la legge automaticamente avrebbe troncato per l’ ente di previdenza la possibilità di esigere tutti quei contributi. se applica il nuovo termine finisce prima, è più breve perché si va al 2011 l’ ente di previdenza sappia che ha un termine che non superi i 5 anni davanti a sé, che è un termine più breve rispetto a quello che pensava di avere nella stessa data. Perché nella stessa data l’ ente di previdenza pensava di avere davanti a sè altri 8 anni, cioè di arrivare al 2004. Invece no; sappia che si ferma al 2001. E questo, come vedete, contempera un po’ le esigenze del debitore che si vede trattato allo stesso modo di coloro i quali hanno iniziato a essere debitori dopo il ’96, e dell’ ente creditore che non si trova improvvisamente sbarrato perché, comunque sia, l’ente di previdenza sa che davanti a se ha almeno tutto il periodo di prescrizione breve introdotto dalla legge. Altro esempio. Credito maturato nel 1987. Qua la prescrizione è 1997 secondo il suo regime. L’8 Agosto entra in vigore una legge che riduce il termine di prescrizione e lo fa diventare di 5 anni. Ti dice che questo termine si applica a partire dal primo gennaio 1996. Se l’ ente di previdenza al 1° gennaio 1996, che gli manca un anno a prescrivere, pretendesse di applicare il nuovo termine di 5 anni questo sarebbe abbastanza iniquo per il debitore che direbbe:<< Ma come, eravamo quasi arrivati alla fine!!! Adesso mi fai iniziare altri 5 anni!!!>>. Quindi si continua a conservare il vecchio termine perché, nel momento in cui è entrata in vigore la nuova disciplina il vecchio termine è più favorevole, rimane un periodo inferiore. Facciamo l’ esempio col contributo scaduto nel ’92. Al 1° gennaio 1996 l’ ente di previdenza ha ancora 6 anni, residuano ancora 6 anni secondo la vecchia disciplina. La nuova disciplina invece, applicata a partire dal 1° gennaio 1996, in relazione a quei contributi lascerebbe ancora 5 anni all’ ente prima che il credito prescriva. Qual’ è il termine più breve’? E’ più breve il nuovo, quindi si applica la nuova disciplina. Quindi, il criterio che dovete applicare è: si deve applicare la vecchia o la nuova disciplina a seconda che, nel momento in cui la nuova disciplina deve entrare in vigore, ci sia un termine più breve. Si applica sempre il termine più breve. Il momento a partire dal quale valutare qual’ è il termine più breve è quello in cui entra in vigore la nuova disciplina. La legge aggiunge che << questo effetto di riduzione del termine da 10 a 5 anni non si produce se vi è denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti>>. La denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti è una sorta di segnalazione, di lamentazione che il lavoratore fa all’ ente di previdenza, dicendogli << guarda che il datore di lavoro non ha pagato i contributi da questa data>>. Questa denuncia non è una richiesta di pagamento da parte del lavoratore, e non lo può essere per una ragione molto semplice: il lavoratore non è creditore dei contributi. Il rapporto corre fra l’ente di previdenza e il datore di lavoro. Il lavoratore ha un interesse a che i contributi siano versati, perché se si versano i contributi lui percepisce le prestazioni previdenziali (-non sempre ma su questo punto torneremo-), si finanziano le prestazioni previdenziali. Tuttavia il lavoratore non è 5 creditore dei contributi e questa denuncia lui la rivolge non al datore di lavoro ma all’ ente di previdenza, il quale ente di previdenza a sua volta non è debitore dei contributi, perché il debitore è il datore di lavoro. Allora, la prima domanda che ci dobbiamo porre è se questa disposizione, la quale fa salve le ipotesi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti … se quest’ atto sia tecnicamente un atto di interruzione della prescrizione. Ricorderete che, in generale, l’ interruzione della prescrizione altro non è che una forma di esercizio del diritto da parte del titolare verso il debitore. Quindi, per aversi un atto interruttivo della prescrizione, che fa decorrere un nuovo periodo di prescrizione. ci dev’ essere il creditore della somma che fa valere il diritto, cioè pretende il pagamento rivolto al debitore della somma. Noi qui abbiamo invece una situazione nella quale chi fa la denuncia non è creditore (perché i lavoratori e i loro superstiti non sono i creditori dei contributi). I lavoratori e i loro superstiti non sono creditori dei contributi e rivolgono questa denuncia a un soggetto che non è debitore dei contributi. La prima cosa che noi dovremo tendenzialmente escludere è che questo determini un’ interruzione con decorrenza di un nuovo termine. Perché questo è il punto. Mettiamo per un attimo da parte questa situazione dei lavoratori e degli eredi e che la norma ce la mette qua, ma non è tecnicamente un atto di interruzione. Perché la stessa disposizione prevede degli atti interruttivi e vediamo in che forma li prevede. Il comma 10 (comma successivo a quello che riduce i termini) stabilisce: << I termini di prescrizione di cui al comma 9 (cioè quei termini ridotti a 5 anni) si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti…>> e questo lo avevamo già appurato sulla base dell’ articolo 252 delle disposizioni preliminari di attuazione del codice civile, e continua << la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione (il che vuol dire non si applicano i nuovi termini e che si applica il vecchio termine) per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente (…)>>. Quindi, se ci sono atti interruttivi della prescrizione che l’ ente di previdenza ha fatto prima dell’ entrata in vigore della legge, questo fatto vale sempre a conservare il vecchio termine. Facciamo degli esempi. Contributo che scade nel 1994. Qual’ è il termine di prescrizione? Il nuovo; perché con la vecchia disciplina saremo andati al 2004, con la nuova disciplina al 2001. Se nel 1994 l’ ente di previdenza avesse interrotto la prescrizione, cioè se avesse esercitato il diritto, allora questo fatto valeva ad escludere la prescrizione dei termini più brevi, cioè si ritornava o rimaneva una prescrizione di 10 anni. Facciamo un esempio con un contributo che matura nel 1990. Scadenza 2000. Il 1 gennaio 1996 si applica la vecchia perché più breve. Tuttavia l’ ente di previdenza ha interrotto la prescrizione – supponiamo- nel 1993. Si applica la vecchia; perché la vecchia continua ad applicarsi se l’ ente di previdenza comunque ha interrotto la prescrizione sotto il vecchio regime. Quindi l’ atto interruttivo fatto col vecchio regime si porta appresso il vecchio regime anche sotto il vigore del nuovo. Vi dico di più, l’ente di previdenza potrebbe ogni 10 anni interrompere la prescrizione, ed è sempre 10 la prescrizione, anche se l’atto successivo lo facesse nel:2000, 2010,2020. Domanda di una collega :<< Se applico l’ interruzione prima del ’96, si porta sempre dietro la vecchia disciplina … >>. Risposta del professore <<se lei fa l’ interruzione della prescrizione dopo il 1° gennaio 1996 quello le fa decorrere un nuovo termine di 5 anni, non se li porta appresso quelli di 10, non ha nessun senso>>. vi rileggo la legge “I termini di prescrizione brevi si applicano alle contribuzioni relative a periodi precedenti l’ entrata in vigore della legge, fatta eccezione di atti interruttivi già compiuti>>. Quindi già compiuti prima dell’ entrata in vigore. Se voi fatte l’ atto di interruzione della prescrizione dopo il 1° gennaio 1996, lì è pacifico che è sempre 5 anni anche se io interrompo un atto di prescrizione vecchio. Se io ho contributi maturati nel ’89 vanno a prescrizione nel 99; al 1° gennaio 1996 si applica la prescrizione vecchia, quindi io ho ancora 3 anni. Supponiamo che nel ’98,quindi un anno prima che maturi la prescrizione l’ ente di previdenza interrompe, fa valere il diritto. Qual’ è il termine? Io sono nel ’98. Dal momento in cui ho fatto l’ atto interruttivo ho un nuovo periodo di 5 anni non più di 10. Perché? Perché il vecchio termine di 10 la legge mi dice che lo conservo se l’ atto interruttivo l’ ho compiuto prima dell’ entrata in vigore della legge. Adesso dobbiamo capire che cos’è questa denuncia del lavoratore e dei superstiti e che effetto produce. A questo quesito rispondiamo domani. Previdenza 29.03.2011 Stavamo parlando ieri della prescrizione dei contributi. Diciamo che i contributi che abbiamo iniziato a dirci(?)(non completa la frase)..Leggiamoci la disposizione rilevante che è l'art 3 della legge 335 del 95. Il comma 9 di questa legge stabilisce che le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: 10 anni per le contribuzioni di pertinenza del fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, quindi stiamo parlando di contributi dovuti per le pensioni. A decorrere dal primo gennaio 1996, tale termine di dieci anni è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore e dei suoi superstiti. Il COMMA 10 dell articolo continua dicendo che i termini di prescrizione di cui al comma nove,cioè dieci che diventano cinque anni a partire dal 1/01/1996, si applicano anche alle contribuzioni relative ai periodi precedenti la data di entrata in vigore della corrente legge,quindi è pacifico che questa riduzione di termini da 10 a 5 anni si applica anche ai contributi che siano maturati,o meglio il cui termine di pagamento è 5 più breve rispetto a quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente o alle prescrizioni e alle usucapioni in corso, purchè a norma della legge precedente non rimanga a decorrere un termine minore”..Quindi la nuova legge che abbrevia il termine entra in vigore a partire dal 1 gennaio del 96 ..per sapere quale dei due termini di prescrizione applicare, quello breve nuovo di 5 anni o quello vecchio di 10 anni, noi ci dobbiamo mettere al primo gennaio del 96, applicare il nuovo termine, che ci porta automaticamente 5 anni avanti,sostanzialmente al 1.01.01, poi dobbiamo confrontare questa situazione con quella che risulterebbe dall applicazione del termine lungo...se il termine vecchio di 10 anni è più lungo..cioè se si và a prescrizione oltre il 1.01.01 allora bisogna preferire l'applicazione del termine nuovo. Viceversa se il termine vecchio ci porta a periodi più recenti rispetto al termine nuovo, allora si applica il termine di 10 anni..ora facciamo degli esempi così ci capiamo...e finiamo.... Supponiamo che i contributi siano maturati nel 1990, il termine lungo di prescrizione ci avrebbe portato all estinzione del debito contributivo alla data del 2000. La prescrizione era in corso al 1.01.96 e sappiamo che da quella data il termine diventa di 5 anni...dove arriviamo?al 2001, perciò si applichera il vecchio termine essendo la data più breve ...altro esempio..se noi ci portiamo ad una data di prescrizione di un credito del 1994, abbiamo una situazione inversa...i contributi si porterebbero appresso il regime decennale fino al 2004, ma se noi ci mettessimo con il nuovo regime alla data in cui entra in vigore , finiremmo nel 2001. in tal caso si applica il nuovo termine di 5 anni... Ieri ci siamo lasciati invece parlando del regime degli atti interruttivi della prescrizione. Noi sappiamo che gli atti interruttivi della prescrizione in generale determinano l'interruzione del periodo e l'inizio di un nuovo termine di prescrizione. Anche qui abbiamo due situazioni,due ipotesi: La prima è quella che i contributi siano venuti a scadenza dopo la data del 1.01.1996..per questi contributi il termine di prescrizione è pacificamente di 5 anni. Fino al 2001 l'ente di previdenza ha tempo o per riscuoterli o per compiere degli atti interruttivi. Se compie degli atti interruttivi quello che succede è che inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione di 5 anni.. supponiamo che l'ente di previdenza per i contributi maturati nel 96 interrompa la prescrizione nel 99..il nuovo termine di prescrizione sarà nel 2004..e così via. La seconda ipotesi che noi dobbiamo prendere in considerazione è invece l'interruzione della prescrizione fatta dall ente prima della riduzione dei termini dai 10 anni ai 5 anni, cioè i contributi che sono venuti a maturare in data anteriore al 1.01.96. Per questi contributi noi sappiamo che l'atto interruttivo produce due effetti , il primo è che inizia a decorrere un nuovo termine , il secondo è che il nuovo termine è il termine di dieci anni perchè l'atto interruttivo oltre a far iniziare un nuovo termine impedisce l'abbreviazione conservando il vecchio regime. Se l'ente di previdenza ha interrotto la prescrizione ad esempio nel 1994 ,il nuovo termine di prescrizione sarà di 10 anni, sarà quindi nel 2004..e se prima del 2004 l'ente di previdenza interrompe di nuovo la prescrizione inizierà un nuovo termine ancora di 10 anni..per tutta la vita si porta appresso il vecchio regime...Facciamo un altro esempio... contributi maturati nel 1987, l'ente di previdenza fa il primo atto interruttivo nel 1988..quindi il termine nuovo di prescrizione scade nel 1998 e , se nel 98 l'ente fa un altra interruzione , altri 10 anni La caratteristica, la disciplina, la fattispecie della interruzione della prescrizione, ha come suoi elementi costitutivi l'esercizio del diritto compiuto da chi del diritto è titolare , e rivolto verso il debitore. L'atto interruttivo tipico della prescrizione è la richiesta di pagamento da parte dell'ente di previdenza nei confronti del datore di lavoro...o anche il riconoscimento del debito nei confronti dell'ente di previdenza da parte del datore di lavoro...Ora noi abbiamo in questa disciplina non solo la previsione di atti interruttivi, abbiamo anche un altra previsione , cioè questa denuncia del lavoratore o dei superstiti. Essa produce questo effetto : conserva il termine di prescrizione decennale..è importante focalizzare questo aspetto , che sono due cose diverse, una cosa l'atto interruttivo che produce l'effetto di conservare il vecchio regime di prescrizione e di farne decorrere uno nuovo..La denuncia del lavoratore e dei superstiti non è un atto interruttivo, proviene da un soggetto che non è il creditore dei contributi(che è l'ente di previdenza e non il lavoratore che non ha azione nei confronti del datore per il pagamento dei contributi)...la denuncia del lavoratore e superstiti è rivolta all'ente di previdenza e non quindi al debitore dei contributi..per produrre l'effetto interruttivo non solo deve provenire la denuncia dal soggetto creditore ma deve anche rivolgersi al soggetto debitore, per cui il lavoratore non solo non dovrebbe essere lui a fare denuncia ma dovrebbe rivolgersi al datore di lavoro. Quindi questa denuncia non è un atto interruttivo della prescrizione, che effetto gli dà la legge? La legge dice questo : “il termine diventa da dieci a cinque salvo denuncia del lavoratore e suoi superstiti”...Se l'interruzione produce due effetti , cioè conserva il vecchio regime e interrompe la prescrizione, la denuncia produce gli stessi due effetti?No, non essendo un atto interruttivo non interrompe la prescrizione. Però la legge gli dà qualche effetto e, sicuramente un effetto è quello di allungare il termine..Adesso vediamo le differenze e dobbiamo ipotizzare..Prendiamoci la situazione più semplice: i contributi sono maturati dopo il 1.01.1996.quà il termine di prescrizione è di 5 anni, che effetto produce la denuncia del lavoratore e dei suoi superstiti?(lascia senza risposta)... supponiamo che i contributi maturino nel 96 e che il lavoratore o i suoi superstiti facciano una denuncia nel 2000, che cosa succede? Quando scadono quei contributi adesso?...nel 2000 mancherebbe solo un anno alla prescrizione quinquiennale ma , la legge dice che non si riduce il termine dei contributi , in questo caso 5 essendovi denuncia si conserva il vecchio termine decennale e il contributo scadrà quindi nel 2006...Facciamo un altro esempio: Contributi che maturano nel 96..prescrizione? 5 anni giusto?...il lavoratore nel 98 denuncia l'omissione contributiva, dice all ente di previdenza :“guarda che non risultano pagati i contributi del 1996” Per effetto di questa denuncia , la prescrizione dei contributi del 1996 che sarebbe maturata in base al nuovo termine nel 2001 , quando prescrivono questi contributi per effetto di questa denuncia?nel 2006 perchè essendovi denuncia si applica il termine di 10 anni.. Se la denuncia del lavoratore fosse stato anche un atto interruttivo della prescrizione, posto che è stata fatta nel 98, la prescrizione vi sarebbe stata nel 2008...adesso introduciamo un altro elemento di complicazione: i contributi sono maturati nel 1996, il lavoratore fa la sua denuncia nel 2002..cosa succede? Il lavoratore stà facendo la sua denuncia dopo che i contributi sono già prescritti..Questo è un problema..La denunica del lavoratore per produrre l'allungamento del termine da 5 a 10 anni, deve comunque intervenire prima che siano maturati i 5 anni, perchè vedete, se interviene dopo,quello che può succedere è la seguente situazione:I contributi sono maturati nel 96, si arriva al 2002. L'ente di previdenza agisce nei confronti del datore di lavoro per chiedere il pagamento dei contributi scaduti nel 96.Chi vince la causa quà? il datore di lavoro giusto?perchè essendo i contributi scaduti, ottiene una sentenza favorevole.Supponiamo che questa sentenza sia notificata entro il termine breve di 30 gg e l'INPS non faccia appello,la sentenza passa in giudicato e diviene definitiva.Noi abbiamo al 2001 una sentenza definitiva la quale stabilisce che i contributi maturati nel 96 ,non sono più dovuti nè possono essere pagati. Se a questo punto fosse consentito al lavoratore di svegliarsi,decorsi i 5 anni ma non ancora maturati i 10 per lui,quello che otterremmo è che i contributi già prescritti con il suggello di una sentenza passata in giudicato,dovrebbero ritornare all'INMPS perchè, se fosse ammesso che il lavoratore, facendo la denuncia nel 2002,portasse il termine di prescrizione dal 2001 al al 2006(essendo i contributi del 96 ed essendovi denuncia che allunga il termine da 5 a 10 anni)..questo rimetterebbe in gioco l'INMPS che, dopo aver perso la prima causa, ne potrebbe riaprire un altra e a quel punto dovrebbe essere dichiarato vittorioso e pretendere i contributi dovuti. Quindi attenzione che la regola, è che comunque la denuncia del lavoratore deve intervenire prima che sia maturato il termine di prescrizione in corso in quel momento. Ora facciamo l'ultimo caso che ci rimane..Facilissimo.. Se noi ipotizziamo dei contributi che sono venuti a maturazione nel 1994.Il termine di prescrizione è nel 2004 giusto?Però se al 1.01. 96 questi soldi non sono stati recuperati e nessuno ha fatto atti interruttivi, il termine di prescrizione di quei contributi diventa di 5 anni e quindi nel 2001..Supponiamo che il lavoratore abbia fatto la denuncia nel 94..quando scade quel contributo? nel 2004,perchè come sappiamo la denuncia impedisce la riduzione,la regola della riduzione viene paralizzata..la denuncia fatta prima del 96 non produce un nuovo termine di sostanzialmente un rapporto autonomo rispetto al rapporto di lavoro sottostante.Mentre il rapporto di lavoro corre tra il datore di lavoro e il lavoratore, il rapporto contributivo corre frà il datore di lavoro e l'ente di previdenza.Questi due rapporti si muovono su due piani che non sono comunicanti. Ci siamo anche detti però, attenzione, che il datore di lavoro, quando assume il lavoratore,non solo diventa parte del rapporto contributivo con l'ente di previdenza,contemporaneamente , la stessa obbligazione contributiva diventa oggetto di un rapporto nei confronti del lavoratore. Ma non un rapporto di Debito-credito con ad oggetto i contributi nei confronti del lavoratore, no. Il datore di lavoro quando assume il lavoratore si impegna a pagargli la retribuzione e si impegna verso di lui a pagare ad un terzo(?52.10)che è l'ente di previdenza,i contributi.Per cui il lavoratore diventa destinatario della promessa non solo di essere retribuito, ma anche che sarà assicurato e che gli saranno pagati i contributi. Il fatto che esista questa relazione obbligatoria fra il lavoratore e il datore di lavoro che ha ad oggetto il pagamento dei contributi a favore di un terzo , che è l'ente di previdenza,ci deve far porre questa domanda: Ma nel caso in cui i contributi non siano pagati,la responsabilità del datore di lavoro è solo verso l'ente di previdenza, oppure ci può essere una responsabilità anche nei confronti del lavoratore?La risposta a questa domanda dovrebbe essere immediatamente si. Se il rapporto che si instaura fra il datore di lavoro e il lavoratore è un rapporto giuridico e, l'essenza del rapporto giuridico è che se non si adempie cè una responsabilità,e quindi che il datore di lavoro possa essere chiamato a rispondere anche nei confronti del lavoratore. Ma di cosa risponde il datore di lavoro nei confronti del lavoratore?...il lavoratore , se non vengono pagati i contributi che danno ha? questa è la domanda che dobbiamo porci. Quindi noi abbiamo una rete, un fascio di responsabilità che si diparte dallo stesso comportamento riprovevole,ovvero il mancato pagamento dei contributi . Abbiamo il comportamento nudo e crudo di una persona che non paga i contributi rispetto alla quale dobbiamo capire l'ordinamento che tipo di conseguenze gli ricollega. In passato glie ne collegavano una quantità enorme: sanzioni Penali,amministrative e civili.attualmente nella disciplina di oggi non ci sono sanzioni amministrative, ci sono pochissime sanzioni penali,ci sono delle sanzioni civili di responsabilità risarcitoria nei confronti dell'ente creditore. A questo noi dobbiamo aggiungere anche una responsabilità nei confronti del lavoratore che nasce dal fatto che il datore di lavoro, quando l'ha assunto,ha assunto nei suoi confronti anche l'obbligo di pagargli regolarmente i contributi.Qui dovremo cercare di capire che tipo di danno si produce a carico del lavoratore e vedremo che si creano una serie di intrecci particolarmente interessanti. Domani inizieremo a dipanare questa matassa della responsabilità risarcitoria. Previdenza sociale 30 marzo 2011 5 Il rapporto giuridico contributivo non ha solo una disciplina della nascita, dello svolgimento, dell'estinzione del rapporto, dell'estinzione dell'obbligazione, ma ha anche un disciplina sanzionatoria, cioè ha lo scopo di garantire l'esecuzione, l'adempimento, la soddisfazione dell'interesse diretto dal rapporto, ossia l'interesse dell'ente di previdenza di incassare i contributi, questo è l'interesse fondamentale. Che tipo di sanzioni adotta l'ordinamento per spingere il soggetto debitore ad adempiere? A tutt'oggi sono essenzialmente sanzioni civili, cioè una forma di risarcimento del danno, il quale è tuttavia commisurato a criteri fissi stabili dalla legge, che sono contenuti nell'art.116 della L. 23 dicembre 2000 n.388 i cui commi 8 e seguenti introducono un'articolata disciplina sanzionatoria. In teoria generale del diritto, le regole sanzionatorie hanno una funzione di controllo sociale, servono a controllare i comportamenti dei consociati, indirizzarli in direzione conforme a ciò che vuole l'ordinamento. Per ottenere questo risultato, la legge descrive un fatto contrario al contenuto di un precetto e collega la conseguenza sfavorevole, per cui molte norme sanzionatorie le abbiamo descritte in questo modo (la descrizione del fatto, degno di riprovazione da parte dell'ordinamento, e la sanzione vera e propria). Sul fatto materiale del mancato pagamento dei contributi alle scadenze dovute da parte dell'obbligato (fase patologica, inattuazione del rapporto contributivo) convergono due qualificazione giuridiche: 1) omissione contributiva, che consiste in quella condotta del datore di lavoro, il quale, pur avendo effettuato le denuce obbligatorie, ossia pur avendo reso noto all'ente di previdenza che egli ha assunto uno o più lavoratori, e quindi avendolo messo in condizione di determinare l'ammontare dei contributi e di controllare se sono stati pagati, tuttavia alle scadenze non versi in tutto o in parte i contributi. La legge lo qualifica in questo modo, dopo aver regolarmente registrata la presenza del lavoratore. 2) evasione, forma più grave, che consiste in quella condotta del datore di lavoro, il quale, non solo non paga i contributi, ma altresì occulta l'esistenza del rapporto di lavoro, ma non può eliminarlo perché nasce in forza del fatto (una volta instaurato il rapporto di lavoro, si instaura il rapporto contributivo). Se dopo molti anni che un lavoratore è stato assunto in nero, il rapporto di lavoro viene scoperto, il rapporto ritorna perfettamente attivo, e il datore di lavoro è obbligato a pagare i contributi dalle singole scadenze, SALVA LA PRESCRIZIONE. Il comportamento del datore di lavoro che non paga i contributi è conosciuto da tutti i rami dell'ordinamento, sia civile, che penale, che amministrativo, con gradazione diverse, che sono state diverse nella storia, infatti nel passato il peso delle sanzioni penali e amministrative era maggiore, ora siamo in una fase di reflusso cioè di ritirata dell'ordinamento penale e dell'ordinamento amministrativo (depenalizzazione: tendenza evolutiva dell'ordinamento). La norma penale risponde alle logiche di frammentarietà, cioè si colpiscono solo condotte che sono in grado di generare forte allarme sociale, e si deve lasciare alle sanzioni civili e penali le altre, che non siano tali da legittimare tale allarme sociale. Si deve lasciare la sanzione minima indispensabile a consentire il controllo sociale, secondo il criterio della sussidiarietà. Il nostro codice penale è di epoca fascista, e riflette il nostro stato che è stato a lungo uno stato di polizia, in cui la repressione penale entrava in molti aspetti della vita penale, anche dove non era necessario, con il risultato che c'è un carico eccessivo della giustizia penale, perché abbiamo troppe previsioni penali. Più fattispecie penali ci sono, più la litigiosità dei cittadini viene incrementata. Dal punto di vista sanzionatorio, a partire dalla legge 388 abbiamo una preponderanza delle sanzioni di tipo civile, e i comportamenti riprovati dal punto di vista civile sono omissione e evasione. Si capisce bene a diversità gravità del comportamento, a diverso disvalore collegato al comportamento deve corrispondere una diversa risposta sanzionatoria. Quindi possiamo immaginare che le sanzioni siano diverse, vediamo cosa ci dice la legge: - art.116 c.8 "i soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, ovvero provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti, nel caso di mancato o ritardato pagamento dei contributi o premi, il cui ammontare è rivelabile dalle denunce di registrazione obbligatorie (=omissione, non ha assunto in nero il lavoratore), (sono tenuti) al pagamento di una sanzione civile (=risarcimento del danno) in ragione di anno pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato del 5,5%. La sanzione civile non può essere superiore al 40% dell'importo dei contributi o premi non corrisposto entro la scadenza di legge". La sanzione è costruita così: i contributi non vengono pagati entro la scadenza del termine, tu sei obbligato a pagare, oltre i contributi che non hai pagato, una sanzione aggiuntiva, che si misura in percentuale dell'ammontare dei contributi che non hai pagato. Questa percentuale è costruita così: 5,5% fisso più il tasso di riferimento. Il tasso ufficiale di riferimento è un tasso che viene determinato dalla banca centrale europea, e varia, quello medio è del 3%. L'ammontare di sanzione in ragione anno è pari al 8,5% circa. Per cui se devo all'ente di previdenza 1000 euro, ma non li pago pur avendo registrato il lavoratore, il ritardo di questo pagamento mi determina in ragione d'anno 1000+ 85 euro. Se il ritardo si protrae per più anni, la sanzione si ripete negli anni successivi, anche se la legge dice che la sanzione non può superare il 40%. Su 1000 euro, non si può applicare più di 400 euro, e da questo momento si applica solamente il saldo legale di interesse (fissato annualmente dalla banca d'Italia, che negli ultimi anni è di meno dell'1%). Come si passa dal 3% al 8,5% (chiede una compagna)? In caso di 5 omissione-evasione non rileva. L'ordinamento conosce questa fattispecie che noi rapportiamo all'evasione. I reati nel diritto penale si distinguono in delitti e contravvenzioni, sulla base della pena ad essi collegata: se al reato è collegato la reclusione, la multa, l'ergastolo questo è un delitto, se il diritto penale ricollega l'ammenda e l'arresto, questa è una contravvenzione. Questa fattispecie di cui all'art. 37 è una figura di delitto, è un delitto doloso, perché c'è un dolo specifico, c'è l'intenzione (non è solo un datore di lavoro distratto, cioè se è in colpa, non si applicano le sanzione penali, e si applicano solo le sanzioni civili). C'è la condizione: è punito solo se dal fatto (cioè dal'evasione) deve derivare l’omesso versamento di contributi e premi per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra euro 2.582,28 mensili e il 50% dei contributi complessivamente dovuti. Cioè comunque sia, le somme che tu evadi, devono essere non inferiori al maggiore dei due importi: a 5 milioni delle vecchie lire mensili e il 50% dei contributi dovuti. Il datore di lavoro es. deve pagare 500 euro di contributi, che è meno di 2.582,28 euro mensili ma è il 100% dei contributi dovuti. Ma ci devono essere entrambi i requisiti. Quindi dobbiamo ipotizzare un pagamento dei contributi che come minimo superi i 2.582,28 euro mensili (il che significa che su base annua l'omissione deve essere molto grave, ossia di 30 euro annui circa) ma non basta perché deve essere comunque superiore al 50% dei contributi complessivamente dovuti. Esempio: il datore ha omesso di pagare i contributi per 20000 euro ma il totale dei contributi che deve pagare è 100000 euro (ne ha pagati 80000 euro), quindi seppure i contributi dovuti sono superiori a 2500 euro mensili circa, il 50% sarebbero circa 50000 euro, quindi non sussiste la fattispecie del reato. La stessa norma stabilisce che la regolarizzazione dell’inadempienza accertata (cioè quando ti scoprono e tu non hai pagato i contributi non per questo sei punibile), anche attraverso dilazione, estingue il reato. Il reato non c'è più se il datore di lavoro scoperto estingue il reato stesso. L'altra fattispecie è all'art. 2 della L. 638/1983 stabilisce che "le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (stiamo parlando dell'8%, di quella parte dei contributi in cui il datore di lavoro opera come sostituto d'imposta), é punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Il datore di lavoro non é punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione. Noi abbiamo un'altra figura di reato, in cui il lavoratore può essere assunto regolarmente, tuttavia il datore di lavoro non paga, trattiene la percentuale di contributi a suo carico e non li versa all'ente di previdenza. In questo caso, visto che si tratta di una ritenuta, evidentemente il datore di lavoro si starebbe appropriando di somme che non sono sue, pari all'8". Questa è una fattispecie di appropriazione indebita, è un reato speciale rispetto a quella prevista nel codice penale, perché riguarda solo il datore di lavoro, ha un particolare disvalore sociale. Il datore di lavoro si sta appropriando di una parte della retribuzione del lavoratore, che non essa dovrebbe soddisfare i propri bisogni e quelli della sua famiglia, quindi specialmente grave. Anche quì se il datore provvede entro 3 mesi, non è più punibile. L'una fattispecie penale e l'altra danno ragione a questo fatto: quando l'impresa è in difficoltà con il pagamento dei contributi, normalmente smette di pagare ma non tutti, ma smette di pagare la quota a suo carico mentre continua a pagare la quota di contributi che è a carico del lavoratore. Quindi le aziende in crisi, non pagano solo la quota a loro carico. Tenete anche conto del fatto che se il datore di lavoro non versa tempestivamente la quota a carico del lavoratore, ma la versa in ritardo, è tenuto non solo a pagare la somma all'ente di previdenza, ma è tenuto a pagare anche la stessa somma al lavoratore ossia paga in totale il 16 %. Il lavoratore ha diritto a avere quella quota dell'8% come se non gli fosse mai stata trattenuta. Tanto è vero che nelle controversie tra lavoratore e il datore di lavoro, in cui quest'ultimo non ha pagato la retribuzione al lavoratore, ed è condannato a pagare in ritardo, quando il termine per pagare i contributi è scaduto, il giudice condanna il datore a pagare non la stessa somma che gli avrebbe pagato, ma la condanna a pagare la retribuzione senza la trattenuta dell'8% più l'8% all'ente di previdenza. Per chi voglia, VI ALLEGO L. 23 dicembre 2000 n.388 art. 116 a partire dal comma 8: INTERVENTI IN MATERIA DI LAVORO Art. 116. 5 (Misure per favorire l'emersione del lavoro irregolare) 8. I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti: a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare e' rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non puo' essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge; b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioe' nel caso in cui il datore di lavoro, con l'intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non puo' essere superiore al 60 per cento dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreche' il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non puo' essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi o premi, non corrisposti entro la scadenza di legge. 9. Dopo il raggiungimento del tetto massimo delle sanzioni civili nelle misure previste alle lettere a) e b) del comma 8 senza che si sia provveduto all'integrale pagamento del dovuto, sul debito contributivo maturano interessi nella misura degli interessi di mora di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito all'articolo 14 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46. 10. Nei casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giudiziale o amministrativa, sempreche' il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti nell'arco di un anno, tenendo conto delle scadenze temporali previste per il pagamento dei contributi e premi assicurativi correnti, secondo modalita' operative fissate da ciascun ente previdenziale. 19. L'articolo 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e' sostituito dal seguente: "Art. 37 - (Omissione o falsita' di registrazione o denuncia obbligatoria) - 1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o piu' registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o piu' denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non conformi al vero, e' punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti. 2. Fermo restando l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, qualora l'evasione accertata formi oggetto di ricorso amministrativo o giudiziario il procedimento penale e' sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale, fino al momento della decisione dell'organo amministrativo o giudiziario di primo grado. 3. La regolarizzazione dell'inadempienza accertata, anche attraverso dilazione, estingue il reato. 4. Entro novanta giorni l'ente impositore e' tenuto a dare comunicazione all'autorita' giudiziaria dell'avvenuta regolarizzazione o dell'esito del ricorso amministrativo o giudiziario". 20. Il pagamento della contribuzione previdenziale, effettuato in buona fede ad un ente previdenziale pubblico diverso dal titolare, ha effetto liberatorio nei confronti del contribuente. Conseguentemente, l'ente che ha ricevuto il pagamento dovra' provvedere al trasferimento delle somme incassate, senza aggravio di interessi, all'ente titolare della contribuzione. Diritto della previdenza sociale 8 MAGGIO 2012 L’ultima modifica al sistema previdenziale si è avuta con la RIFORMA FORNERO; in realtà la parola ‘riforma’ è una parola un po’ grossa perché altro non fa se non inasprire i requisiti della legge che già dettava la struttura del nostro sistema previdenziale. 5 ↓ LEGGE 335/1995 17 agosto RIFORMA DINI: SISTEMA CONTRIBUTIVO, (già incontrata in tema di prescrizione), che pose un vero e proprio spartiacque tra la disciplina precedente e quella successiva. Il termine spartiacque venne fissato convenzionalmente nel 1° gennaio 1996; il nostro sistema di previdenza pensionistica segue e struttura i criteri che sono diversi per coloro i quali hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 e coloro i quali hanno iniziato a lavorare prima del 1° gennaio 1996. Per coloro i quali hanno iniziato al lavorare dopo il 1° gennaio 1996 i passaggi fondamentali sono stati i seguenti: ♦ Il metodo di calcolo della pensione da retributivo diventa CONTRIBUTIVO. Nei sistemi di tipo contributivo la pensione è una proiezione del montante dei contributi che il soggetto ha accreditato o si è visto accreditare durante tutta la sua vita lavorativa,per cui la pensione si calcola in questo modo: • si sommano tutti i contributi che il lavoratore ha versato durante la sua vita lavorativa; • questi contributi sono annualmente rivalutati : non sulla base degli incrementi dei prezzi al consumo,non sulla base della rivalutazione della moneta,ma sono incrementati sulla base delle variazioni del prodotto interno lordo,cioè si considerano le variazioni medie del prodotto interno lordo a 5 anni prima,cioè che cosa è successo nei 5 anni precedenti all’anno cui si riferisce la valutazione dei contributi, e il tasso che risulta → ‘il tasso medio di variazione del prodotto interno lordo’ viene applicato ai contributi che in questo modo si rivalutano. Questo modo perché la sostenibilità dei sistemi previdenziali..l’unico modo serio per misurarla era portandola alla ricchezza complessiva del Paese; se la ricchezza complessiva del Paese aumenta,la misura delle pensioni può aumentare,per cui abbiamo un forte interesse che il sistema economico avanzi anziché stagnare o addirittura arretrare come sta succedendo in questi anni! • La somma di tutti i contributi fino al momento in cui il soggetto può lasciare il lavoro e accedere alla pensione da il cosiddetto ‘montante contributivo’. • La trasformazione del montante contributivo,che è una somma in linea capitale, in rendita,cioè in una somma che deve bastare per tutta la vita del lavoratore avviene moltiplicando un coefficiente di trasformazione al montante contributivo: rendita,pensione (trasformazione del montante contributivo) ↓ coefficiente di trasformazione * montante contributivo Questi coefficienti di trasformazione furono determinati nella Legge del 1995 non in misura fissa,ma in misura VARIABILE,in una misura che variava da: - 4,760 che era il coefficiente di trasformazione minimo per l’età più bassa di accesso alla pensione che era fissata a 57 anni, -fino a 6,30 che era il coefficiente per coloro i quali andavano in pensione con l’età massima prevista in origine di 65 anni. PRECISAZIONE: Il montante contributivo,poiché il nostro sistema rimane un sistema finanziato con il metodo della RIPARTIZIONE,in cui cioè,coloro i quali sono in questo momento a lavoro pagano le pensioni a coloro i quali sono in questo momento in pensione,il montante contributivo non poteva che essere una finzione contabile perché quei soldi materialmente non ci sono essendo già stati spesi. I soldi che ciascun lavoratore si è visto sottrarre e versare agli enti di previdenza non esistono più materialmente,non esiste un conto individuale sul quale sono stati accantonati quei soldi,(come avviene invece con la previdenza complementare),perché quelle somme sono già state impiegate,sono già state utilizzate,ed è un bene che siano state utilizzate queste somme. La somma è dunque una finzione contabile,e siccome una finzione è una finzione,hanno fatto una finzione completa: anziché considerare per finta l’effettivo ammontare dei contributi che ciascuno versa in tutta la vita lavorativa,che è circa il 40% della retribuzione,se n’è considerata una parte minore che è pari al 33% per i lavoratori dipendenti,in origine era il 20% per i lavoratori autonomi. Quindi,il montante contributivo si calcola in questo modo: • si prendono le retribuzioni di ogni anno; • gli si applica l’aliquota del 33%, sebbene la contribuzione in realtà sia stata del 40%,e si trova una certa somma; 5 L 247/2007 RIFORMA DAMIANI: Allora con la L 247/2007 il sistema fu modificato in tal modo: -si eliminò questo scalone,questo scatto improvviso fino ai 60 anni; -si introdusse un sistema detto di QUOTE: cioè si stabilì che si poteva andare in pensione se si raggiungeva una certa quota,e questa quota era data dalla: ETà ANAGRAFICA + CONTRIBUTI Perciò si eliminò il sistema della riforma Maroni,che venne corretto con il sistema delle quote,che a partire dal 1° luglio 2009 stabilì che si potesse andare in pensione, se sommando gli anni dei contributi,che nel minimo dovevano essere sempre 35 anni,e l’età anagrafica si raggiungevano delle quote progressivamente crescenti. Queste erano quote destinate a crescere sino al 2013 per poi assestarsi sui livelli raggiunti. L 214/2011 RIFORMA FORNERO. La riforma Fornero ha eliminato il sistema delle quote; ha stabilito,infatti,che oggi l’età minima di accesso alla pensione oggi è di 66 anni,le pensioni liquidate a partire dal 1° gennaio 2012 sono di 66 anni,i quali sono destinati ad arrivare a 67 anni di età minima dal 2021, e da qui al 2021 l’età Dal 1° gennaio 2009 sino (in teoria) al 2013: • 35 anni di contributi + età anagrafica con raggiungimento di quote crescenti. non rimane ferma,ma l’età è destinata ad aumentare sulla base di un meccanismo di adeguamento permanente che considera l’incremento delle aspettative di vita: se da qui al 2021 le aspettative di vita aumenteranno secondo le rilevazioni che farà l’INSTAT l’accesso alla pensione aumenterà di 3 mesi per volta,e se nel 2021 questo meccanismo di 3 mesi in 3 mesi non avrà portato già al raggiungimento dei 67 anni,cioè se da qua al 2021 non ci saranno almeno 4 incrementi di 3 mesi,4 incrementi di 3 mesi fa 1 anno,se non ci saranno questi 4 incrementi di 3 mesi perché da qui al 2021 l’aspettativa di vita potrebbe non aumentare,il che è ben possibile che succeda,automaticamente dal 2021 si andrà in pensione a 67 anni. La proiezione è di portarci ai 70,e questo è rilevabile dal fatto che con la riforma Fornero i coefficienti di trasformazione sono rimasti (nonostante l’età d’accesso minimo alla pensione sia di 66 anni) perché è data la possibilità a coloro i quali vogliono rimanere in servizio oltre i 66 anni di poter contribuire fino ai 70; per cui i coefficienti di trasformazione che partivano dai 57 anni non hanno più alcun senso perché nessuno potrà andare più in pensione a 57 anni,ma rimangono coefficienti di trasformazione che considerano la possibilità di rimanere in servizio sino a 70 anni per chi vorrà farlo. Oggi c’è già una fascia di lavoratori che lavora fino ai 70 anni,ad esempio i lavoratori privilegiati come i medici,i professori universitari che possono stare sino a 72 anni,gli alti dirigenti dello Stato.. ATTENZIONE! La pensione di vecchiaia anticipata,cioè quella che si costruiva con 40 anni di contributi è rimasta,ma il requisito contributivo è stato inasprito non di poco: mentre prima si poteva andare in pensione a qualsiasi età con 40 di contributi,adesso si può andare a qualsiasi età ma con 42 anni di contributi e 1 mese se uomini e 41 anni di contributi se donne. Ora questo consentirebbe a qualcuno di andare in pensione già a 59 anni,perché se uno ha iniziato a lavorare a 18 anni,con 41 anni di contributi potrebbe andare in pensione a 59 anni,e sarebbe rispetto all’età minima richiesta per l’accesso alla pensione in anticipo di 7 anni. Per scoraggiare dunque, chi avendo tutti questi contributi volesse andare in pensione prima del raggiungimento dei 62 anni d’età,la legge ha stabilito per questo soggetto una penalizzazione: gli verrà tolta una percentuale del montante contributivo → dell’ 1% all’anno fino a 61 anni, del 2% all’anno fino ai 59 anni. Quindi rimane la possibilità di andare in pensione anticipata,ma si inasprisce il requisito contributivo e soprattutto si penalizza chi dovesse decidere d’andare in pensione prima,perciò tutto il sistema evolve nello spingere il lavoratore ad andare in pensione il più tardi possibile. La riforma Fornero ha eliminato anche una trovata risalente al periodo precedente: dopo il 1995,con la riforma Dini,provvedimento importante con cui,cambiando il sistema da retributivo a contributivo,si prevedeva la riduzione dei tassi di sostituzione della pensione rispetto al reddito; se pensiamo alla riforma Dini con i criteri di oggi vedremmo un sistema a maglie molto lasche..si poteva andare in pensione ancora a 35 anni di contributi e 57 anni d’età…ma già con essa 5 comunque,i tassi di sostituzione garantiti dal sistema erano ben più bassi rispetto a quelli previsti dal precedente sistema con cui invece con 35 anni di contributi si prendeva il 70% della retribuzione,contrariamente con la riforma Dini,con 35 anni di contributi si aspettava di prendere poco più del 50%,quindi i tassi di sostituzione erano notevolmente più bassi,ciò nonostante il problema che si pose allora fu quello di rendere il sistema ancora più sostenibile,cioè di stringere le maglie della riforma e il modo con cui lo si fece fu con un espediente tutto italiano: si introdussero le cosìdette FINESTRE → ritardo della fruizione della pensione mascherato: cioè si diceva che al compimento dei 57 anni d’età e 35 di contributi si poteva andare in pensione ma in realtà non si andava il giorno dopo aver compiuto i 57 anni ,la pensione non veniva percepita dal giorno dopo il compleanno,ma si prendeva all’apertura della prima finestra,cioè in occasione della prima possibilità che l’ente dava; le finestre durante l’anno erano state fissate prima in 4 e poi in 2,una a metà estate e l’altra a fine anno. Se tu ad esempio avevi la sfortuna di nascere il 10 gennaio in pensione ci andavi sei mesi dopo cioè a luglio,perché la tua finestra si apriva sei mesi dopo,il che significa ritardare quindi di sei mesi l’età d’accesso alla pensione,e l’età minima per andare in pensione non è 57 anni ma 57 anni e mezzo! Questo sistema è stato ancora inasprito con l’introduzione di un’unica FINESTRA MOBILE: tu accedi per i requisiti della pensione oggi,a qualsiasi età ci andavi ma prendevi la pensione dopo 1 anno che significava sostanzialmente che l’età d’accesso alla pensione era 1 anno, per questo nella famosa conferenza di fine anno,quella delle lacrime della Fornero giustamente disse che non hanno alzato l’età pensionabile di un anno,ma era già così sostanzialmente,hanno quindi, solo adeguato la realtà numerica alla realtà di fatto. I numeri dati dalla riforma Fornero → 66 anni, oppure 41/42 anni di contributi a qualsiasi età sono SENZA FINESTRE,cioè dal giorno dopo si va in pensione,il che sostanzialmente quello che hanno tolto da una parte l’hanno ridato dall’altra. Quindi: -sparisce la finestra mobile, -aumenta l’età d’accesso alla pensione, -si stabiliscono dei requisiti contributivi più aspri e poi sono stati modificati i coefficienti di trasformazione,il coefficiente di trasformazione dei 70 anni non c’era prima,e gli altri sono stati però abbassati per le età inferiori e quindi il tasso di sostituzione per la pensione diventerà ancora più basso. Per coloro i quali erano già a lavoro alla data del 1° gennaio 1996 la riforma Dini previse due soluzioni: ♦ Per chi era già a lavoro alla data del 1° gennaio 1996 ed aveva iniziato a contribuire prima del 1978 (aveva, dunque più di 18 anni di contributi) veniva applicato il vecchio sistema di Ci siamo lasciati la settimana scorsa parlando della previdenza complementare. Adesso riprendiamo il discorso in maniera più analitica riprendendoci le disposizioni costituzionali rilevanti. Ricorderete quando abbiamo parlato dei principi costituzionali in materia di previdenza, che nell’articolo 38 della Costituzione si configurava un sistema fondato su due pilastri. Un primo pilastro era la cosiddetta previdenza definita di base o pubblica obbligatoria ed era quella indicata dall’art 38 al penultimo comma. L’art 38 al penultimo comma stabiliva” ai costi previsti da questo articolo (cioè ai costi di stanziamento di previdenza e assistenza) provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. Cioè i compiti di previdenza dell’art 38 come base dovevano essere dei compiti assolti o dallo Stato o comunque da organi da enti strumentali allo Stato. La scelta sapete è stata questa, quella di costituire dei grandi Enti strumentali, INAIL E INPDAP,(?) ragioni che svolgono le funzioni di previdenza. Le funzioni di previdenza sono nient’altro che un meccanismo mediante il quale si prelevano risorse da parte di chi le produce,si destinano agli enti di previdenza e poi da questi enti di previdenza riescono sotto forma di prestazioni previdenziali. Questo meccanismo esposto nei termini essenziali al limite del rozzo però per farvi capire come funziona il sistema di previdenza questo è indicativo. Ci sono persone che producono reddito, una parte di questo reddito viene destinato a dei soggetti che sono gli enti di previdenza, gli enti di previdenza ripartiscono questo reddito ai soggetti che hanno bisogno. Ora il meccanismo di base dell’art 38 della costituzione è un meccanismo pubblico (perché la costituzione dice che sono o lo Stato o organi statali) e soprattutto obbligatorio cioè destinare il proprio reddito in funzione previdenziale non è una facoltà dei cittadini ma sono obbligati a farlo. Pagare i contributi non è una scelta libera , o pagarne pochi pagarne molti, non è una scelta libera ma è una scelta imposta dalla legge.; ogni cittadino lavoratore non può scegliere di pagare più contributi o meno contributi secondo le sue personali inclinazioni ma deve versare quello che la legge gli comanda alle scadenze stabilite sotto pena di sanzione. Chi applicò questo sistema che è il sistema di base che vi ho detto nel corso del programma quale apportare di risorse crea cioè quale apportare di risorse preleva dalle tasche dei lavoratori?; sappiamo che nel lavoro dipendente la quota do contributi è del 40 % della retribuzione quindi una quota estremamente significativa di risorse. Accanto a questo sistema, l’art 38 della costituzione all’ultimo comma ne prefigurava un altro che è condensato nell’espressione dell’ultimo comma secondo cui l’assistenza privata è libera.” Che cosa vuol dire nell’ottica dell’art 38 che l’assistenza privata è libera? Nient’altro che questo: voleva dire che al di fuori del sistema obbligatorio pubblico se il cittadino lavoratore e anche uno non lavoratore avesse voluto destinare parte delle sue risorse ,parte del suo reddito a previdenza, cioè sostanzialmente al suo avvenire,alle necessità che si potrebbero presentare in presenza di condizioni di bisogno, era libero di farlo. Che cosa significa che questa libertà sia garantita nell’art 38 della costituzione? Perché siete in condizione di pensare”grazie tante,tutto quello che il cittadino non destina alla previdenza obbligatoria 5 è libero di farne quel che vuole.. può spendere per mangiare, può spendere per divertirsi, li può mettere sotto la mattonella se vuole può mettere nel fuoco(??),insomma può fare quello che gli pare delle sue risorse. Non c’era che lo dicesse la Costituzione che la previdenza,l’assistenza privata è libera. E invece fate attenzione che un certo significato ce l’ha questa indicazione. Perché la Costituzione ricordatevelo è rivolta non tanto e non solo ai singoli cittadini, è rivolta prima di tutto ai poteri dello Stato e quindi essenzialmente al potere legislativo quindi al Parlamento e al Governo e l’indicazione contenuta nella Costituzione secondo cui l’assistenza privata è libera è un divieto per il Governo e per il Parlamento di legiferare in modo che questa libertà sia in qualche modo conculcata o limitata. Quindi nella Costituzione noi abbiamo un sistema incentrato sulla previdenza pubblica affianco al quale poteva esserci anche un sistema di previdenza privata. Che cos’è il sistema di previdenza privata? Essenzialmente è una forma di risparmio finalizzato. La ricchezza che i cittadini producono o è consumata o è risparmiata. Non se ne possono fare molte altre cose, o se la consumano nel senso che se la mangiano,non necessariamente nella cosa di cibi, se la consumano,se la mangiano cioè si comprano la macchina,nelle vacanze, vanno al ristorante,ci si veste, va a scuola,si manda a scuola i figli; insomma può essere consumata oppure quella parte non consumata,la risorsa è risparmiata. Questo risparmio può avere diverse situazioni, c’è chi se lo tiene a disposizione, chi lo mette in un conto corrente bancario oppure il risparmio di chi lo vuole investire e lo vincola per un certo numero di anni comprando azioni o titoli di stato. Oppure questo risparmio, cioè questo mancato consumo delle risorse, questa conservazione delle risorse per il futuro, può essere finalizzata per determinati scopi e uno di questi è lo scopo previdenziale. Il singolo lavoratore può dire “non mi interessa che avrò o se avrò la pensione pubblica, io voglio avere anche qualcosa di più per cui ogni mese metto da parte, una parte del mio reddito e quando sarò vecchio avrò un tesoretto che potrò spendere. Questa diciamo che è una forma molto elementare di previdenza; è una previdenza privata perché ciascuno se la fa per conto suo ed è soprattutto una previdenza libera perché si è liberi innanzitutto di decidere di destinare una parte del proprio reddito al risparmio previdenziale ma soprattutto si è liberi di decidere quale parte del proprio reddito destinare al risparmio previdenziale,questo è il meno. Quindi nella Costituzione c’erano queste due grandi indicazioni, previdenza pubblica poi ciascuno era libero di farsi individualmente o comunque privatamente la previdenza aggiuntiva che voleva. Ad un certo punto cosa è successo? che questo ultimo comma dell’art 38, questa formula “l’assistenza privata è libera” ha cominciato a diventare da praticamente di nessuna importanza a un po’ più importante o meglio sempre più importante!quand’è che questa importanza raggiunge il culmine? Quando, come vi ho cercato di spiegare nel corso di mercoledì scorso, il sistema di previdenza pubblica di base, quello cioè obbligatorio e statale, ha iniziato ad entrare in crisi e comunque per rispettare le necessità di fronte alla crisi del sistema finanziario, ha erogato prestazioni sempre minori. Per cui in questo contesto in cui a causa della carenza di risorse le prestazioni assistenziale e previdenziali del sistema pubblico andavano diminuendo, acquisisce maggiore importanza la previdenza privata perché evidentemente con le minori prestazioni della previdenza pubblica c’era un interesse sempre maggiore che queste prestazioni fossero in qualche modo integrate da delle prestazioni volontariamente costruite, volontariamente finanziate. Questo è stato il punto ,per cosi dire con una espressione generica ma alquanto significativa, il motivo politico, di politica previdenziale. Ad un certo punto si è detto “ se il sistema pubblico non riesce a garantire prestazioni adeguate alle esigenze di vita facciamo almeno in modo che dalla somma dei due pilastri, quello della previdenza di base e quello della previdenza privata, ne vengano fuori delle prestazioni che siano minimamente adeguate”. Tenete conto che il legislatore aveva questo vincolo fortissimo, la previdenza privata doveva essere libera e non c’era un margine di intervento per in qualche modo costringere i cittadini a farla questa previdenza aggiuntiva perché se ci fosse stata una legge che costringeva il cittadino a farlo,questa legge sarebbe stata incostituzionale perché allora la previdenza non sarebbe stata più una previdenza libera ma sarebbe stata una previdenza obbligata dalla legge. Questo era il grande vincolo che il legislatore ha avuto. E allora cosa ha fatto la legge? La legge si è industriata per promuovere, agevolare,facilitare, invogliare i cittadini lavoratori a far convergere una parte della loro ricchezza, di quella che loro avevano a disposizione dopo aver pagato i contributi obbligatori, nella previdenza così detta privata o libera, nella previdenza complementare. Non poteva la legge obbligare, la legge poteva invogliare. Che cosa ha fatto la legge per invogliare a fare la previdenza complementare? Innanzitutto ha costruito dei meccanismi, dei sistemi mediante i quali questa previdenza complementare pur rimanendo privata doveva essere incanalata perchè intendiamoci bene, nell’esempio molto noto che io vi ho fatto fa previdenza anche il cittadino lavoratore o non lavoratore che anziché consumare tutti i redditi mano a mano che li percepisce, ne mette da parte, li conserva per far fronte ai bisogni futuri. Questa è una forma molto rozza,diciamo, di previdenza individuale,si capisce. Tenete conto che è una forma molto poco efficiente perché non sfrutta nessuna economia di scala, tolti io individualmente ciò che riesco a mettere da parte, metto sotto la mattonella,quei soldi metto da parte quei soldi mi ritrovo. Ad esempio se i soldi non sono capace di investirli per farli fruttare mi danno sempre gli stessi, non si rivalutano mai. Ad esempio se succede che io metto da parte, cioè privandomi durante la mia (?) di una parte di ricchezza quindi di una parte di beni, perché questo è, se non spendo tutto il reddito vuol dire che faccio una vita di maggiori ristrettezze. Poi se il mio reddito è molto altro potrò soddisfare tutti i bisogni ma normalmente se uno non consuma tutto vuol dire che rinuncia a qualcosa( non vado al ristornate tutti i giorni ma ci andrò tre volte alla settimana o una volta alla settima o una volta al mese però se ci vado tre volte alla settimana significa che sto rinunciando ad andare 5 giorni alla settimana). Quindi ci si priva di qualcosa! Capita che qualcuno si priva di qualcosa in vita poi non arriva magari al momento della vecchiaia perché può succedere che si muore prima o quindi quella situazione di bisogno non si verifica mai. La formula individuale ha questo difetto! A questo difetto allora che cosa supplisce? Supplisce invece la forma 5 sistema di previdenza complementare, verso il fondo devono confluire i contributi cioè all’associazione, a questa associazione costituita dai lavoratori e dai datori di lavoro dovrebbero affluire i contribuiti e poi questi contributi essere restituiti dall’associazione mano a mano che maturano i requisiti alle prestazioni. Adesso lasciamoci così perché il meccanismo che vi ho descritto è veramente iper-rozzo, nessuno avrebbe garanzie di nulla in questo sistema. Chi ci garantisce che ad esempio questo fondo che noi abbiamo creato, questa associazione che è creata dai rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti dei datori di lavoro è un soggetto affidabile, capace di gestire questi soldi, ha una struttura organizzativa capace poi di erogare le prestazioni? Nessuno ce lo garantisce. E allora per capire cosa ha fatto la legge dobbiamo leggerci un’altra importante disposizione della Costituzione. Innanzitutto fissiamo il concetto: i soldi che il cittadino destina alla previdenza complementare sono soldi che non vengono consumati quindi sono risparmi, tecnicamente questo è risparmio. L’art 47 della costituzione al primo comma dice : “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”. Quindi da dei soggetti che raccolgono il risparmio, per indicazione della Costituzione, è un’attività iper controllata, qui nessuno qua si potrebbe sognare di aprire una banca perché per aprire una banca bisogna avere requisiti di professionalità di un certo tipo, sottoporsi a controlli di un certo tipo, meriti patrimoniali di un certo tipo, capacità organizzative di un certo tipo, essere assoggettati ad un controllo di organismi di un certo tipo ( essenzialmente la Banca d’Italia, per quanto riguarda il sistema italiano). Per cui a nessuno di voi qua è consentito di andare in giro a chiedere soldi agli altri, promettendogli che glieli restituirete, per poterli gestire. Chi volesse fare questa attività dovrebbe sottoporsi ad una serie di controlli perché la raccolta di risparmio e la gestione del risparmio è un’attività molto molto delicata, molto molto pericolosa. Allora, come le risorse che il lavoratore, che sono milioni, potenzialmente potrebbe destinare a previdenza complementare, cioè a questi fondi, a queste associazioni che si creano per far la previdenza complementare (sono delle risorse ingenti!), il problema che la legge ha avuto è di stabilire delle adeguate garanzie. Allora cosa si è stabilito?si è stabilito questo: il fondo di previdenza complementare non può ricevere e conservare lui direttamente i contributi previdenziali, i contributi cioè pagati dai lavoratori ma deve per necessità tenerli depositati in una banca che si chiama Banca Depositaria e deve, se li vuole utilizzare cioè investire per farli fruttare, avvalersi necessariamente della collaborazione di operatori specializzati. Chi sono gli operatori specializzati per la gestione del risparmio? Sono le società di gestione del risparmio SGR oppure le società intermediazione mobiliare SIM oppure anche le compagnie di assicurazione che fanno professionalmente questa attività. Vedete l’art dice “ la previdenza è libera” intanto però se volete fare previdenza complementare dovete costituirvi come soggetti di diritto, non possono essere persone fisiche, dopo di che quei soggetti di diritto che voi costituite con la finalità di fare previdenza complementare questi soldi non possono raccoglierli direttamente loro ma li devono destinare presso soggetti che conservano il risparmio (le banche), dopo di che se questi soldi li volete destinare sul mercato per farli fruttare bisogna che vi affidiate a soggetti che sanno fare questa attività appunto le società di gestione del risparmio, le società di intermediazione mobiliare e le compagnie assicuratrici. Quindi vedete, con la previdenza complementare cominciano ad affacciarsi nel sistema che il legislatore predispone più soggetti. Chi sono? I risparmiatori cioè i lavoratori poi il fondo di previdenza complementare che è l’elemento di base formato dai lavoratori stessi e dai datori di lavoro che sono coloro i quali contribuiscono poi il fondo fa la previdenza complementare ma non lo fa direttamente, si deve servire di altri, banche, enti, soggetti che sono esperti nella gestione del risparmio. Vedete come il sistema inizia a complicarsi,tutto rimane facoltativo, tutto rimane libero però perché si possano fare bisogna che ci siano incanalati determinati schemi. Ma se fare previdenza complementare significa poterla fare solo a determinate condizioni cioè solo con questi condizionamenti allora vuol dire che veramente libera non è? In fondo cosa ci stiamo dicendo, che se si vuole fare previdenza complementare la si può fare solo in un certo modo, poi le risorse che si gestiscono devono essere impiegate in un certo modo non sono completamente libere e allora questa libertà è una libertà limitata? Ma attenzione! E’ vero che l’art 38 dice che la previdenza complementare è libera ed essere liberi significa non avere condizionamenti, non avere indicazioni cogenti di come fare ad organizzarsi la previdenza complementare però attenzione, le libertà imposte dalla nostra Costituzione non sono delle libertà illimitate ma queste libertà si devono in qualche modo contemperare con gli altri diritti riconosciuti dalla costituzione, con altri interessi che sono meritevoli di tutela della Costituzione. Fra questi abbiamo detto c’è anche l’interesse fondamentale a che il risparmio sia tutelato per cui questa libertà di fare previdenza complementare come si crede e come si vuole è destinata a scontrarsi o contemperarsi con l’interesse opposto, che il risparmio sia in qualche modo tutelato per cui la previdenza complementare si può fare solo con determinate garanzie. Allora vedete, non si può interpretare come una limitazione di libertà il fatto che i lavoratori non possano destinare i loro risparmi previdenziali come vogliono, darli a chi vogliono per farci quello che vogliono o piantarli nel fondo ma sono soldi miei e ci faccio quello che voglio. No, i soldi tuoi non è mai (?) perché se tu i tuoi soldi li devi destinare non al consumo ma al risparmio questi devono essere gestiti con determinate caratteristiche, te lo impone la legge e te lo impone per te stesso! Supponiamo che fosse tutto completamente libero, lo sapete quanti signori Madoff dei Parioli, richiamando una vicenda molto recente di cui forse avete sentito parlare di questo intermediatore mobiliare che prendeva soldi da parte di vip con la promessa che li avrebbe investiti sul mercato promettendo interessi altissimi e poi non gli ha restituito niente. La legge può ammettere che i lavoratori cioè fette importanti della popolazione italiana destinatari di un impegno esplicito di tutela mettano nella mani di chiunque soggetto non affidabile parte dei loro risparmi che sottraggono al consumo con il rischio di vedersi poi con un pugno di mosca nel momento in cui si verifica la situazione di bisogno?Evidentemente no e questo giustifica l’introduzione dei limiti che stiamo 5 cercando di esaminare; perché la storia della previdenza complementare nella legislazione della previdenza complementare è questo: una organizzazione, un sistema che comporta dei commissariamenti a questa libertà fondamentale riconosciuta nella Costituzione con lo scopo di tutelare il risparmio e l’esigenza di tutelare il risparmio comporta, impone dei fini. SE uno è tutelato vuol dire che non può fare quello che vuole, è tutelato prima di tutto contro se stesso, dai pericoli che potrebbero derivare dalle sue stesse scelte e allora le scelte sono in qualche modo incanalate. Questo incanalare non è contrario ai principi di libertà dell’art 38 della Costituzione ma è un modo di garantire quella libertà contenuta nell’art 38 perché non si può dire che si sia liberi se alla fine non si ottiene il risultato per il quale quella libertà è stata riconosciuta cioè quello di avere delle risorse nel momento in cui si verifica la situazione di bisogno. Ora c’è da fare un altro piccolo accenno. Ricapitoliamo un po’. La previdenza complementare è libera, la legge predispone delle forme mediante le quali la previdenza complementare si può organizzare in maniera più efficiente possibile perché più è efficiente la previdenza complementare più questa è efficace, più le prestazioni sono elevate. Qual è il modo per organizzarla in modo efficace? Consentire che i fondi di previdenza complementare raccolgano la quantità più elevata possibile di contributi perché più sono i contributi , più si ripartisce il rischio tra le persone e più è ingente la massa di risorse che si forma e più è possibile farli rendere, incrementarli, impiegarli sul mercato. Per rimanere libera la previdenza complementare ci deve essere la facoltà dei soggetti di scegliere di costituire i fondi di previdenza complementare e non costituirne uno ma quanti se ne vuole. Quindi mentre la previdenza pubblica di base era un soggetto tipicamente unitario cioè c’è un unico soggetto destinatario dei contributi e tutti i lavoratori devono contribuire, non sono liberi di contribuire( lavoratori che dipendono da piccoli imprenditori, lavoratori che dipendono da grandi imprenditori, lavoratori della FIAT come quelli della SARAS, quelli della SARAS come quelli del piccolo meccanico o del piccolo negoziante,tutti vanno li); Nel caso della previdenza complementare invece no, questo non è un meccanismo adatto perché ci possono essere tanti fondi di previdenza complementare cioè tanti centri di imputazione dei contributi quanti sono i lavoratori che insieme decidono di crearli. Quindi se i lavoratori dipendenti della SARAS o i lavoratori dipendenti di un certo settore economico come i metalmeccanici o dei chimici decidono di fare ciascuno un fondo di previdenza complementare per fatti suoi cioè diverso dagli altri lo possono fare anche da (?) e il fondo di previdenza complementare unisce tutti i lavoratori appartenenti a quella categoria. Quindi la previdenza complementare è una previdenza tendenzialmente plurale cioè ci sono una molteplicità di enti che fanno previdenza complementare, una molteplicità di sedi, che fanno previdenza complementare. [ DOMANDA COLEGA MA CHE NON SI SENTE] Lei fa un’obbiezione giusta, se la premessa è che più si è meglio , tanto vale alla fine avere un unico fondo di previdenza complementare al quale contribuiscono o possono contribuire, perché attenzione, la previdenza complementare deve essere libera quindi non si può essere obbligati a contribuire; il lavoratore dice no, liquidazione. Coloro i quali iniziavano a contribuire dopo il 1993 erano liberi di aderire o meno alla previdenza complementare ma se facevano la scelta di aderire dovevano destinare alla previdenza complementare l’intero trattamento di fine rapporto. Domani ci diremo che cosa è l’intero trattamento di fine rapporto, capiremo che apportare della retribuzione annua è, così vedremo perché si è fatto così attenzione a questo stato nel finanziamento della previdenza complementare. APPUNTI DEL 18 MAGGIO 2011 ATTENZIONE, QUESTA NON è UNA SBOBINATURA!! HO MESSO INSIEME I MIEI APPUNTI DEL GIORNO VISTO CHE LA REGISTRAZIONE NON è STATA REPERITA. I tassi di sostituzione della previdenza complementare sono di gran lunga inferiori a quelli della previdenza obbligatoria; riproduce in piccolo il sistema della previdenza di base. Il dlgs 252/05 contiene la struttura del funzionamento della previdenza complementare nel rispetto dei limiti costituzionali ( art 38 e 47). Come può essere libera la previdenza complementare? Nel se, nel come e nella modalità di fruizione delle prestazioni; la legge di queste libertà ne lascia in piedi solo una ossia il SE aderire a un fondo di previdenza. L’altro limite è dato dall’art 47 che tutela il risparmio quindi i soldi devono essere messi al sicuro con il deposito in una banca e l’impiego delle risorse deve avvenire a opera di operatori specializzati. Riscossione dei contributi: il fondo stipula convenzioni con i soggetti specializzati che si occupano della riscossione. È un sistema che funziona a capitalizzazione. Il cittadino poco fiducioso nei fondi di previdenza complementare potrebbe decidere di aderire a un PIP (= piano individuale di previdenza) che funziona tramite contratti di assicurazione totalmente privati. Affrontiamo ora due aspetti: a. FINANZIAMENTO (ENTRATE) Devono affluire somme significative al fondo senza deprimere lo stipendio già basso dei lavoratori italiani; infatti all’inizio le percentuali che il cittadino destinava alla previdenza compl. erano molto basse di circa il 2-3 % . Il lavoratore percepisce due tipi di retribuzione:corrente e differita ossia pagata alla fine del rapporto detta TFR (= trattamento di fine rapporto). Il TFR si calcola così: si sommano tutte le retribuzioni percepite ogni anno, si dividono per un divisore fisso di 13,5 e si ottiene più o meno una mensilità di stipendio. Questa somma alla fine di ogni anno viene maggiorata applicando un tasso di interesse in misura fissa del 1,5 % e a questo si somma i ¾ dell’inflazione di quell’anno. 5 Per poter aderire alla prev. Compl. Si deve destinare almeno tutto il TFR che viene versato al fondo dal datore anno per anno. Le anticipazioni delle prestazioni del fondo sono possibili solo in presenza di alcune causali ( es. far fronte a spese mediche urgenti) e cmq le anticipazioni non possono superare il 75% del montante contributivo destinato a prev. Compl. Il lavoratore entro 6 mesi da quando è stato assunto è chiamato a pronunciarsi sul SE aderire alla previdenza compl.; se non si pronuncia scatta il meccanismo del silenzio assenso quindi il suo TFR va a finire nel fondo. Se ci sono più fondi per la stessa categoria il lavoratore che non sceglie vedrà il suo TFR destinato al fondo che a livello nazionale conta il maggior numero di aderenze. Se per quel lavoro non vi è un fondo il TFR va al FONDOINPS (non è pubblico, è sempre un fondo privato semplicemente gestito dall’INPS). Vi riporto l’art 2120 cc sul TFR: • garanzia del TFR: «In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni»; • rivalutazione del TFR (4° e 5° comma): «è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 ( ¾) per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente»; b. PRESTAZIONI (USCITE) Il tesoretto di ciascun aderente al fondo viene trasformato in una rendita (sempre con i calcoli di matematica attuariale). Attenzione, la legge dice che il fondo non è libero di determinare un’età di accesso alla pensione diversa da quella della previdenza di base e inoltre per aver diritto alle prestazioni è necessario avere alle spalle almeno 5 anni di contributi complementari. 23-05-2011 previdenza sociale Il tema, per finirlo perché poi dobbiamo iniziare la parte sulla disoccupazione, è ancora una volta quello della previdenza complementare, che abbiamo visto nei suoi lineamenti essenziali spiegati ex catedra e adesso io speravo di riuscire a farvi vedere delle copie degli statuti dell’ente (solo che in facoltà non funziona mai niente e anche qua non riusciamo a… farlo). Ho preso lo statuto di previdenza complementare del settore terziario che si chiama Fon. Te., cioè fondo complementare terziario, e poi avevo preso della documentazione relativa al fondo per i chimici che si chiama Fon. Chimici. Sono due categorie, avrei potuto prenderne altre i metalmeccanici si chiamano Fon. Metal e così per diversi altri settori per i quali si sono fatti dei fondi di previdenza complementare. Questo dato avrebbe dovuto dirci, farci vedere, insomma farci capire qual è la realtà dei fondi di previdenza complementare. E soprattutto questa: la pluralità. Pluralità che è una conseguenza della libertà riconosciuta alla previdenza complementare. Per cui i lavoratori, o meglio, coloro i quali siano interessati ad avere un’integrazione della loro tutela previdenziale possono, perché la legge gli dà questo strumento, se ritengono, istituire queste forme aggiuntive di previdenza complementare. Se decidono di farlo, attenzione, hanno bisogno di strumenti, perché non è facile creare un sistema di previdenza complementare (questo mi auguro che l’abbiate inteso per quanto complicato) perché ci vogliono delle competenze, ci vogliono degli strumenti tecnici che consentono di raccogliere le risorse, di investire sul mercato, di tradurle in prestazioni, perché sapete è facile sbagliare i conti ma se si sbagliano i conti evidentemente tutto va a carte 48 e non può andare tutto a carte 48 perché la previdenza complementare è un’istituzione che opera all’interno di una cornice di vincoli che sono molto rigidi soprattutto per quel che riguarda l’aspetto relativo alla gestione del risparmio. Perché come vi dicevo il fondo di previdenza complementare è uno strumento che consente di gestire del risparmio per i cittadini lavoratori, un risparmio devoluto alle entità previdenziali quindi dedicato, specificamente orientato. E tuttavia è pur sempre un risparmio perché i lavoratori, come vi dicevo, si sottraggono risorse di parte corrente per destinarle appunto a bisogni futuri, il che significa sottrarle al consumo e risparmiarle per un preciso scopo. Allora tutti questi strumenti perché possano consentire al privato di orientarsi in questa direzione sono messi a disposizione dallo Stato. E noi abbiamo cercato di vedere le architetture teoriche di questi strumenti. Adesso sarebbe stato bello e giusto vederli in pratica, adesso dovrete ascoltare nuovamente le mie parole, cercherò un po’ di trasmettervi il senso della cosa. Prendiamoci il testo legislativo di riferimento. Il testo legislativo di riferimento è il d.lgs. 252/2005, come vi ho detto, la cd “riforma Maroni”. La quale, così facciamo un po’ di ricapitolazione che non fa mai male, non è un provvedimento completamente innovativo, cioè non è il primo provvedimento in materia di previdenza complementare in Italia perché come vi ho detto, ricorderete, il primo provvedimento organico che 5 Se ad un certo momento certi lavoratori, gruppi consistenti di lavoratori, ritengono di non essere più abbastanza tutelati all’interno di quella realtà perché quella realtà fa delle scelte che loro non condividono, seppure sono messi in condizione di parteciparvi, possono decidere tranquillamente, proprio perché la previdenza è libera, siamo in un sistema libero, abbiamo lo Stato che mette a disposizione uno strumento ma lo possono usare tutti, tutti quelli che vogliono e che hanno la forza per farlo naturalmente. Perché l’iniziativa di fare previdenza complementare, vi ripeto, non è una cosa che ci si può improvvisare. La facciamo adesso una previdenza complementare? No. Richiede una serie di competenze, un background solido, un numero di lavoratori potenziali aderenti che consentano all’iniziativa di non andare in fallimento, no? Una serie di procedure amministrative molto complicate,…, rapporti plurimi con istituti di credito… insomma è una cosa di responsabilità. Perché poi tu c’hai migliaia di lavoratori gli affidano i loro risparmi e devi gestirli quindi non è una bella cosa se questo risparmio non va bene. Però semmai qualcuno avesse questa iniziativa potrebbe ben succedere che ci si stacchi dalla casa madre e si crei un’altra realtà di fondo di previdenza complementare oppure che ci siano dei settori che fino ad adesso non avevano alcuna previdenza complementare che se la fanno, che iniziano a crearsi. (collega fa una domanda che non si sente e prof risponde:) No allora, innanzitutto i lavoratori che sono iscritti a quel fondo continuano a rimanere iscritti a quel fondo, nel frattempo si crea, se ne costituisce un altro cioè per iniziativa degli altri sindacati si crea un altro fondo…. a quel punto la legge assicura la cd “portabilità della posizione assicurativa”(?) perché il lavoratore ha la libertà in ogni momento di staccarsi dal fondo. Talvolta è anche obbligato a farlo perché, ad esempio, se viene licenziato da un’impresa che fa capo ad un certo settore che quindi comporta la confluenza dei contributi di un determinato fondo poi viene assunto da un’altra impresa che fa parte diciamo, mette capo ad un’altra realtà, quel lavoratore si porta appresso la sua posizione contributiva e a quel punto tra un fondo e l’altro si creano delle partite per cui i fondi accantonati vengono trasferiti.. .La legge, proprio per incentivare al più la previdenza complementare assicura la massima portabilità della posizione contributiva. Uno può scegliere di andare da un fondo di previdenza complementare ad un altro fondo di previdenza complementare e anche se vuole di andare da un fondo di previdenza complementare, farsi anche una pensione di tipo individuale presso una compagnia di assicurazione se ritiene che quello gli garantisca delle commissioni migliori perché la compagnia x gli consente dei trattamenti più favorevoli. Tra parentesi, questo della apertura della possibilità di accedere al finanziamento del TFR anche a compagnie di assicurazioni con i cd “piani individuali di previdenza” perché, la previdenza complementare di cui stiamo parlando come modello archetipo è una previdenza di tipo collettivo, di tipo collettivo perché? Perché al fondo affluiscono tutti i contributi dei lavoratori di quel settore i cui i contributi vengono gestiti in forma accorpata da un unico fondo. Invece la previdenza che si fa con le compagnie di assicurazione, cioè con certi piani individuali propedeutici, sono delle cose prettamente individuali perché quella compagnia ti investe quei soldi così come ti investirebbe quei soldi se tu non fossi stato un lavoratore. E così fa per tutti gli altri. Però niente vieta che ci siano delle compagnie di assicurazione che fanno delle offerte particolarmente attraenti per il lavoratore per questo in genere al lavoratore conviene aderire al fondo di previdenza complementare della sua categoria perché quella è una gestione specializzata solo nella previdenza complementare e le risorse sono delle risorse che vi devo dire sono molto maggiori da un punto di visto dell’impatto accorpato di risorse perché in un anno questi raccolgono oltre quasi mezzo miliardo di contributi, mezzo miliardo di contributi bisogna saperlo mettere a fruttare sul mercato. Qua fra l’altro ci dà anche le linee di investimento…bilancio non più recentissimo, del 2010. I lavoratori aderenti per intenderci sono 175000 chimici, 175000 lavoratori sono ripartiti per aree. Allora, ci sono quattro comparti cioè questi soldi vengono investiti in quattro linee di investimento che sono: un comparto garantito, che in genere compra titoli di stato, va bene? La percentuale sono fissi e…il rendimento è basso però le somme sono..(non termina la frase), poi c’è il comparto cd “bilanciato”, cioè si comprano i titoli del mercato mobiliare, cioè azioni e obbligazioni, in modo diciamo equilibrato. Poi c’è un comparto “crescita” che è la cifra più cospicua, l’investimento è un pochino più rischioso, è appunto fatto in funzione dell’aumento, incremento del capitale…E poi un comparto che viene chiamato “dinamico”, ma che sta a dire che il rischio è un po’ maggiore dell’investimento per cui c’è il pericolo anche che un certo esercizio perda il fondo di previdenza complementare. Vi dicevo, com’è che di fatto materialmente avviene la creazione di un fondo di previdenza complementare? Come vi dicevo il primo atto LEZIONE DEL 24-05-11 FON.TE. Allora, questo è lo statuto di un fondo pensione. L’art. 1 ci fa vedere quello che ci siamo detti sino a oggi. (Inizia l’analisi degli articoli) N.B. ho messo in corsivo gli articoli e con il carattere standard le spiegazioni del prof! ARTICOLO 1 Denominazione, fonte istitutiva, durata, sede 1. È costituito il “Fon.Te. – Fondo Pensione Complementare per i dipendenti da aziende del terziario (commercio, turismo e servizi), denominato in forma abbreviata “Fondo Pensione Fon.Te.”, di seguito denominato Fon.Te.), in attuazione dell’Accordo Collettivo Nazionale del 29 novembre 1996 sottoscritto tra CONFCOMMERCIO e FILCAMS – CGIL, FISASCAT – CISL, UILTuCS - UIL e successive modificazioni e integrazioni. Inoltre, con l’Accordo Collettivo Nazionale del 22 gennaio 1999 sottoscritto tra FEDERALBERGHI, FIPE, FAITA, FIAVET e FILCAMS – CGIL, FISASCAT – CISL, UILTuCS – UIL e successive modificazioni ed 5 integrazioni è stata formalizzata l’adesione a Fon.Te. anche del settore turismo. Ai predetti Accordi di seguito si farà riferimento con il termine di “fonte istitutiva”. La CONFCOMMERCIO è un associazione rappresentativa degli interessi dei datori di lavoro; FILCAMS è il sindacato della categoria del commercio della CGIL; FISASCAT sindacato categoria commercio CISL e UILTuCS sindacato categoria del commercio della UIL; FEDERALBERGHI, FIPE, FAITA, FIAVET sono organizzazioni che rappresentano la categoria degli albergatori. Quindi noi abbiamo un fondo pensione costituito all’inizio dall’associazione del commercio alla quale poi hanno aderito altre associazioni del settore del turismo alberghiero, che non sono a stretto rigore settore del commercio, sono turismo e servizi. Quindi come vedete c’è una volontà di parte sindacale di costituire il fondo che è quello che crea l’associazione e poi appunto uno statuto che gli da la forma giuridica. 2. FON.TE. ha durata illimitata (cioè è a tempo indeterminato), fatte salve le ipotesi di scioglimento di cui all’art. 37. 3. FON.TE. ha sede in Roma. Quindi come vedete ci sono i requisiti minimi che consentono di individuarla: il nome, dove ha sede, quanto dura questo fondo. ARTICOLO 2 Forma giuridica 1. Fon.Te. ha la forma giuridica di associazione riconosciuta ed è iscritto all’Albo tenuto dalla COVIP, con il numero 123. E questo ce lo siamo detti; che veste deve avere il fondo pensione per poter essere un soggetto titolare di diritti e di obblighi e quali diritti e obblighi di cui è titolare? È titolare di diritti nei confronti degli iscritti e questi diritti hanno ad oggetto il pagamento dei contributi e poi di obblighi nei confronti sempre di coloro i quali essendo stati una volta iscritti hanno maturato i requisiti per avere diritto alle prestazioni previdenziali, esattamente come succede per un ente di previdenza ma in piccolo, perché anziché essere un ente pubblico questo è una struttura privata, l’INPS è un ente pubblico, FONTE è uno dei tanti soggetti di diritto privato che fanno attività di previdenza. ARTICOLO 3 Scopo 1. Fon.Te. ha lo scopo di consentire agli aderenti di disporre, all’atto del pensionamento, di prestazioni pensionistiche complementari del sistema obbligatorio. A tale fine esso provvede alla raccolta dei contributi, alla gestione delle risorse nell’esclusivo interesse degli aderenti, e all’erogazione delle prestazioni secondo quanto disposto dalla normativa in materia di previdenza complementare. Fon.Te. non ha scopo di lucro.