Scarica Primo libro dell'Eneide e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! ENEIDE LIBRO 1 DI VIRGILIO PROTASIS (1.1-7) Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit litora, multum ille et terris iactatus et alto vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, multa quoque et bello passus, dum conderet urbem 5 inferretque deos Latio; genus unde Latinum Albanique patres atque altae moenia Romae. INVOCATIO (1.8-11) Musa, mihi causas memora, quo numine laeso quidve dolens regina deum tot volvere casus insignem pietate virum, tot adire labores 10 impulerit. tantaene animis caelestibus irae? DE IUNONIS IRA (1.12-79) Urbs antiqua fuit Tyrii tenuere coloni I,12 Karthago, Italiam contra Tiberinaque longe ostia, dives opum studiisque asperrima belli, quam Iuno fertur terris magis omnibus unam 15 posthabita coluisse Samo. hic illius arma, hic currus fuit; hoc regnum dea gentibus esse, si qua fata sinant, iam tum tenditque fovetque. progeniem sed enim Troiano a sanguine duci audierat Tyrias olim quae verteret arces; 20 hinc populum late regem belloque superbum venturum excidio Libyae; sic volvere Parcas. PROTASI ED INVOCAZIONE (1-11) Canto le armi e l'eroe, che per primo dalle coste di Troia profugo per fato toccò l'Italia e le spiagge lavinie, lui molto sbattuto e per terre e per mare dalla forza degli dei, per l'ira memore di Giunone crudele, e tribolato molto anche da guerra, finchè fondasse la città 5 e portasse gli dei per il Lazio; donde (venne) la razza latina i padri albani e le mura dell'alta Roma. Musa ricordami le cause, per quale divinità lesa o che lamentando, la regina degli dei abbia spinto l'eroe famoso per pietà a dipanare tanti eventi, ad affrontar 10 tanti dolori. Forse così grandi ( sono) le ire per i cuori celesti? GIUNONE ADIRATA (12-80) Vi fu un'antica città, Cartagine, la occuparono coloni Tirii, lontano contro l'Italia e le bocche Tiberine, ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra, che Giunone, si dice, abbia amato più ditutte le terre, 15 posposta (anche ) Samo. Qui le sue armi, qui il cocchio ci fu; la dea già allora, lo aspira e lo cura, sia questo regno per (tali) popoli, se mai i fati permettano. Ma aveva sentito che una stipe di sangue troiano si formava, che un tempo muterebbe le fortezze tirie; 20 di qui sarebbe giunto un popolo ampiamente capo e superbo in guerra per la rovina di Libia; così filavan le Parche. Temendo ciò e memore della antica guerra la Saturnia, perchè per prima l'aveva mossa a Troia per la cara Argo - nè ancora eran cadute dal cuore le cause dell'ira id metuens veterisque memor Saturnia belli, prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis - necdum etiam causae irarum saevique dolores exciderant animo; manet alta mente repostum iudicium Paridis spretaeque iniuria formae et genus invisum et rapti Ganymedis honores: his accensa super iactatos aequore toto Troas, reliquias Danaum atque immitis Achilli, arcebat longe Latio, multosque per annos errabant acti fatis maria omnia circum. tantae molis erat Romanam condere gentem. Vix e conspectu Siculae telluris in altum I,34 vela dabant laeti et spumas salis aere ruebant, cum Iuno aeternum servans sub pectore vulnus haec secum: 'mene incepto desistere victam nec posse Italia Teucrorum avertere regem. quippe vetor fatis. Pallasne exurere classem Argivum atque ipsos potuit summergere ponto unius ob noxam et furias Aiacis Oilei? ipsa Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem disiecitque rates evertitque aequora ventis, illum exspirantem transfixo pectore flammas turbine corripuit scopuloque infixit acuto; ast ego, quae divum incedo regina Iovisque et soror et coniunx, una cum gente tot annos bella gero. et quisquam numen Iunonis adorat e gli acuti dolori: resta nascosto nell'alta mente il giudizio di Paride e l'oltraggio della bellezza sprezzata e la stirpe odiata e i favori di Ganimede rapito: bruciata per questo, scagliati per tutto il mare, spingeva lontano dal Lazio i Troiani, avanzi dei Danai e del crudele Achille, e per molti anni pressati dai fati erravano per tutti i mari. Così tanto costava fondare la gente romana. Appena alla vista della terra sicula in alto mare lieti alzavan le vele e ne rompevan le spume col bronzo, che Giunone serbando nel petto l'eterna ferita questo tra sè: "Io desistere forse dall'iniziativa, vinta, nè poter deviar dall'Italia il re dei Teucri. Son proprio bloccata dai fati. Ma Pallade potè bruciare la flotta degli Argivi e sommergerli nel mare per la colpa e le furie del solo Aiace Oileo? Lei scagliato dalle bubi il rapido fuoco frantumò e le barche e sconvolse le acque coi venti, con la bufera lo agguantò, trapassato il petto, esalante fiamme e lo inchiodò sullo scoglio aguzzo; ma io, che procedo regina degli dei e di Giove sia sorella che sposa, con una sola razza tanti anni faccio guerre. Ma nessuno adora la maestà di Giunone mai più o supplice porrà offerte su altari?" La dea cose meditando tali cose tra sè con animo acceso giunse in Eolia, patria di tempeste, luoghi pieni di Austri furenti. Qui Eolo in vasta caverna blocca i venti violenti e le roboanti tempeste con autorità e li frena con catene e prigione. Essi riluttanti con grande brontolio del monte fermono attorno le sbarre; Eolo siede sull'alta fortezza tenendo gli scettri e placa i cuori e controlla le ire. Se non lo facesse, davvero rapidi prenderebbero mari e terre ed il cielo profondo e con sè spazzerebbero per l'aria; ma il padre onnopotente li nascose in nere caverne temendo ciò, e sovrappose una mole ed alti monti saevus ubi Aeacidae telo iacet Hector, ubi ingens Sarpedon, ubi tot Simois correpta sub undis scuta virum galeasque et fortia corpora volvit.' Talia iactanti stridens Aquilone procella I,102 velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit. franguntur remi, tum prora avertit et undis dat latus, insequitur cumulo praeruptus aquae mons. hi summo in fluctu pendent; his unda dehiscens terram inter fluctus aperit, furit aestus harenis. tris Notus abreptas in saxa latentia torquet saxa vocant Itali mediis quae in fluctibus Aras, dorsum immane mari summo, tris Eurus ab alto in brevia et Syrtis urget, miserabile visu, inliditque vadis atque aggere cingit harenae. unam, quae Lycios fidumque vehebat Oronten, ipsius ante oculos ingens a vertice pontus in puppim ferit: excutitur pronusque magister volvitur in caput, ast illam ter fluctus ibidem torquet agens circum et rapidus vorat aequore vertex. apparent rari nantes in gurgite vasto, arma virum tabulaeque et Troia gaza per undas. iam validam Ilionei navem, iam fortis Achatae, et qua vectus Abas, et qua grandaevus Aletes, vicit hiems; laxis laterum compagibus omnes accipiunt inimicum imbrem rimisque fatiscunt. un'onda aprendosi scopre tra i flutti la terra, il risucchio infuria sulle sabbie. Noto tormenta tre navi strappate nelle rocce latenti rocce che gli Itali chiamano Are in mezzo ai flutti, enorme dorsale in cima al mare, tre le spinge Euro dall'alto anche negli stretti di Sirte, miserevole (spettacolo) a vedersi, e le sbatte nelle secche e le cinge d'un muro di sabbia. Una, che portava i Lici ed il fidato Oronte, sotto i suoi occhi l'enorme marea la ferisce dall'alto sulla poppa: il pilota bocconi è sbalzato e rotolato a capofitto, ma tre volte il flutto la tortura lì ancora roteandola e un rapido vortice con l'acqua la divora. Pochi appaiono nuotando nel vortice vasto, armi d'eroi e tavole e tesori troiani tra le onde. Ormai la robusta nave d'Ilioneo, ormai (quella) del forte Acate, e (quella) da cui (é) portato Abante, e (quella) da cui il vecchio Alete, le ha vinte la bufera; tutte con l'insieme dei fianchi sfasciato accettano la pioggia nemica e per le falle si aprono. DE NEPTUNI INTERVENTU (1.124- 156) Interea magno misceri murmure pontum I,124 emissamque hiemem sensit Neptunus et imis stagna refusa vadis, graviter commotus, et alto prospiciens summa placidum caput extulit unda. disiectam Aeneae toto videt aequore classem, fluctibus oppressos Troas caelique ruina; nec latuere doli fratrem Iunonis et irae. Eurum ad se Zephyrumque vocat, dehinc talia fatur: 'Tantane vos generis tenuit fiducia estri? I,132 iam caelum terramque meo sine numine, venti, miscere et tantas audetis tollere moles? quos ego -bsed motos praestat componere fluctus. post mihi non simili poena commissa luetis. maturate fugam regique haec dicite vestro: non illi imperium pelagi saevumque tridentem, sed mihi sorte datum. tenet ille immania saxa, vestras, Eure, domos; illa se iactet in aula Aeolus et clauso ventorum carcere regnet.' Sic ait, et dicto citius tumida aequora placat I,142 collectasque fugat nubes solemque reducit. Cymothoe simul et Triton adnixus acuto detrudunt nauis scopulo; levat ipse tridenti et vastas aperit Syrtis et temperat aequor atque rotis summas levibus perlabitur undas. ac veluti magno in populo cum saepe coorta est NETTUNO, DIO DEL MARE, INTERVIENE (1.124- 156) Intanto Nettuno s'accorse che il mare era sconvolto da grande rumore e che la bufera era scatenata e dai profondi abissi le acque eran agitate, seriamente sdegnato, e affacciandosi dall'alto alzò il capo maestoso sulla cima dell'onda. Vede la flotta d'Enea dispersa per tutto il mare, i Troiani sommersi dai flutti e dal disastro del cielo; nè sfuggirono al fratello gli inganni e le ire di Giunone. Chiama a sè Euro e Zefiro, poi parla così: "Forse così tanta sicurezza della vostra razza vi sostenne? ormai senza il mio volere osate sconvolgere cielo e terra, venti, e alzare così grandi masse? Perchè io vi...ma è meglio calmare i flutti sconvolti. Poi mi pagherete i misfatti con pena non omparabile. Affrettate la fuga e così dite al vostro re: non a lui fu dato il potere del mare ed il severo tridente, ma a me per fato. Lui possiede le enormi rocce, le vostre case, Euro; si sbatta in quella sede Eolo e regni sul chiuso carcere dei venti". Così parla, e con l'ordine ben presto placa il gonfio mare spazza via le nubi raccolte e riporta il sole. Cimotoe insieme e Tritone sforzandosi disincaglian le navi dallo scoglio aguzzo; lui le alza col tridente apre le vaste Sirti e placa il mare e colle ruote leggere percorre le cime delle onde. E come in una grande folla quando spesso è nata una sommossa ed il volgo plebeo infuria con violenze ed ormai volano incendi e sassi, la rabbia procura armi; allora, se per caso han visto un uomo serio per virtù e meriti, tacciono e stanno con orecchie attente; egli guida i cuori con le parole e addolcisce gli spiriti: così tutto il frastuono del mare cessò, dopo che il padre seditio saevitque animis ignobile vulgus iamque faces et saxa volant, furor arma ministrat; tum, pietate gravem ac meritis si forte virum quem conspexere, silent arrectisque auribus astant; ille regit dictis animos et pectora mulcet: sic cunctus pelagi cecidit fragor, aequora postquam prospiciens genitor caeloque invectus aperto flectit equos curruque volans dat lora secundo. DE LYBIAE LITORIBUS (1.157-222) Defessi Aeneadae quae proxima litora cursu I,157 contendunt petere, et Libyae vertuntur ad oras. Est in secessu longo locus: insula portum efficit obiectu laterum, quibus omnis ab alto frangitur inque sinus scindit sese unda reductos. hinc atque hinc vastae rupes geminique minantur in caelum scopuli, quorum sub vertice late aequora tuta silent; tum silvis scaena coruscis desuper, horrentique atrum nemus imminet umbra. fronte sub adversa scopulis pendentibus antrum; intus aquae dulces vivoque sedilia saxo, Nympharum domus. hic fessas non vincula navis ulla tenent, unco non alligat ancora morsu. huc septem Aeneas collectis navibus omni ex numero subit, ac magno telluris amore I,171 egressi optata potiuntur Troes harena et sale tabentis artus in litore ponunt. affacciandosi sull'acque e portato nel cielo aperto 135 piega i cavalli e volando col cocchio veloce dà le briglie. GLI ENEADI SULLE COSTE DELLA LIBIA (1.157- 222) Stanchi gli Eneadi cercan di raggiungere a gara i lidi vicini e si volgono alle spiage di Libia. C'è un luogo in profonda insenatura: l'isola crea un porto con la barriera dei fianchi, su cui ogni onda dall'alto si grange e si scinde in seni appartati. Di qua e di là vaste rupi e scogli gemelli minacciano al cielo, e sotto la loro cima attorno le acque taccion tranquile; poi sopra una scena di selve brillanti, ed un nero bosco sovrasta con ombra terrificante. su fronte opposto una grotta con scogli incombenti; dentro acque dolci e sedili di vivo sasso, una casa di Ninfe. Qui nessun cordame trattiene le stanche navi, non le lega un'ancora con l'attacco adunco. Qui entra Enea raccolte stte navi da tutto il numero, ed usciti col grande amore di terra i Troiani s'impossessano della sabbia bramata e adagiano sul lido le membra grondanti di sale. Ma dapprima Acate cavò la scintilla dalla selce suscitò il fuoco con foglie e diede attorno secchi alimenti e dallo stimolo ghermì la fiamma. Poi preparano Cerere (grano) rovinato dalle onde e le armi di Cerere stanchi dei mali, si accingono ad asciugare col fuoco i frutti raccolti e macinarli col sasso. 179 Enea intanto ascende lo scoglio, e scruta tutta la vista attorno nel mare, se mai vedesse qualcuno, litoraque et latos populos, sic vertice caeli constitit et Libyae defixit lumina regnis. atque illum talis iactantem pectore curas tristior et lacrimis oculos suffusa nitentis adloquitur Venus:'o qui res hominumque deumque aeternis regis imperiis et fulmine terres, quid meus Aeneas in te committere tantum, quid Troes potuere, quibus tot funera passis cunctus ob Italiam terrarum clauditur orbis? certe hinc Romanos olim volventibus annis, hinc fore ductores, revocato a sanguine Teucri, qui mare, qui terras omnis dicione tenerent, pollicitus - quae te, genitor, sententia vertit? hoc equidem occasum Troiae tristisque ruinas solabar fatis contraria fata rependens; nunc eadem fortuna viros tot casibus actos insequitur. quem das finem, rex magne, laborum? Antenor potuit mediis elapsus Achiuis Illyricos penetrare sinus atque intima tutus regna Liburnorum et fontem superare Timavi, unde per ora novem vasto cum murmure montis it mare proruptum et pelago premit arva sonanti. hic tamen ille urbem Patavi sedesque locavit Teucrorum et genti nomen dedit armaque fixit Troia, nunc placida compostus pace quiescit: nos, tua progenies, caeli quibus adnuis arcem, Ma parlò a lui che meditava in cuore tali pensieri Venere piuttosto triste e sparsa gli occhi splendenti di lacrime: "O tu che reggi le sorti di uomini e dei con poteri eterni ed atterrisci col fulmine, che poteron commetter di sì grave contro di te il mio Enea, che cosa i Troiani, cui dopo aver patito tante stragi si chiude tutto il mondo a causa dell'Italia? Veramente che di qui un giorno i Romani, passando gli anni, di qui sarebbero i capi, dal sangue rinnovato di Teucro, che possedessero il mare, e tutte le terre con autorità, avendolo tu promesso - quale decisione , o padre, ti cambia? con questo davvero consolavo il tramonto di Troia e le tristi rovine ripagando i fati contrari con fati (nuovi); Ora la stessa dorte perseguita eroi spinti da tante disgrazie. Che termine dai delle fatiche, o gran re? Antenore sfuggito di mezzo agli Achivi potè penetrare i golfi illirici e superare sicuro gli interni regni dei Liburni e la fonte del Timavo, da cui per nove bocche con vasto frastuono del monte giunge il mare scosceso e rompe campi con massa ruggente. Qui almeno egli stabilì la città di Padova e le dimore dei Teucri e diede un nome al popolo fissò le armi troiane, ora assicurato da placida pace riposa: noi, tua progenie, cui prometti la fortezza del cielo, perdute (cosa indicibile) le navi, per l'ira di una sola siamo traditi e siamo separati lontano dalle itale spiagge. Questo il premio della virtù? così ci rimetti ai comandi?" A lei sorridendo il creatore di uomini e dei col volto, con cui rasserena cielo e tempeste, sfiorò le labbra della figlia, quindi parla così: " Risparmia la paura, Citerea, ti rimangono intatti i fati dei tuoi; vedrai la città e le promesse mura di Lavinio, e sublime porterai alle stelle del cielo navibus ( infandum) amissis unius ob iram prodimur atque Italis longe disiungimur oris. hic pietatis honos? sic nos in sceptra reponis?' Olli subridens hominum sator atque deorum I,254 vultu, quo caelum tempestatesque serenat, oscula libavit natae, dehinc talia fatur: 'parce metu, Cytherea, manent immota tuorum fata tibi; cernes urbem et promissa Lavini moenia, sublimemque feres ad sidera caeli magnanimum Aenean; neque me sententia vertit. hic tibi fabor enim, quando haec te cura remordet, longius et volvens fatorum arcana movebo bellum ingens geret Italia populosque ferocis contundet moresque viris et moenia ponet, tertia dum Latio regnantem viderit aestas ternaque transierint Rutulis hiberna subactis. at puer Ascanius, cui nunc cognomen Iulo additur Ilus erat, dum res stetit Ilia regno, triginta magnos volvendis mensibus orbis imperio explebit, regnumque ab sede Lavini transferet, et Longam multa vi muniet Albam. hic iam ter centum totos regnabitur annos gente sub Hectorea, donec regina sacerdos Marte gravis geminam partu dabit Ilia prolem. inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus excipiet gentem et Mavortia condet il magnanimo Enea, e la decisione non mi cambia. Orbene qui ti parlerò, poichè questo affanno ti tormenta, e più lontano meditando i misteri dei fati (li) manifesterò: farà una grande guerra in Italia e distruggerà popoli fieri stabilirà leggi e mura per gli eroi, finchè la terza estate lo vedrà regnante sul Lazio e passeranno tre inverni, sconfitti i Rutuli. Ma il fanciullo Ascanio, cui è aggiunto il nome Iulo (era Ilo, fin che la realtà ilia restò al potere) compirà trenta grandi giri (del sole, anni) di potere, passando i mesi, e trasferirà il regno dalla sede di Lavinio, e munirà Alba Longa di grande potenza. Qui ormai si regnerà per trecento anni sotto il popolo ettoreo, finchè una regina sacerdotessa, ilia, gravida di Marte darà con parto prole gemellare. Quindi lieto per la fulva protezione della lupa nutrice Romolo raccoglierà un popolo e fonderà le mura mavorzie e dal suo nome esprimerà i Romani. Per questi non pongo nè limiti d'azione ne tempi: ho concesso un potere senza fine. Anzi la dura Giunone, che adesso sconquassa con paura e terre e cielo, riporterà in meglio le decisioni, con me favorirà i Romani, signori delle situazioni e popolo togato. Così si decise. Verrà un'epoca, passando gli anni, che la casa di Assaraco soggiogherà Ftia e la famosa Micene e dominerà sulla vinta Argo. Nascerà trtoiano da bella stirpe Cesare, che delimiterà l'impero con l'Oceano, ela fama con gli astri, Giulio, nome derivato dal grande Iulo. Costui tu l'accoglierai sicura in cielo carico delle spoglie d'Oriente; costui pure sarà invocato con voti. Allora finite le guerre i secoli crudeli si mitigheranno: la bianca Fede e Vesta, Quirini col fratello Remo faranno le leggi; si chiuderanno col ferro e stretti strumenti moenia Romanosque suo de nomine dicet. his ego nec metas rerum nec tempora pono: imperium sine fine dedi. quin aspera Iuno, quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, consilia in melius referet, mecumque fovebit Romanos, rerum dominos gentemque togatam. sic placitum. veniet lustris labentibus aetas cum domus Assaraci Pthiam clarasque Mycenas servitio premet ac victis dominabitur Argis. nascetur pulchra Troianus origine Caesar, imperium Oceano, famam qui terminet astris, Iulius, a magno demissum nomen Iulo. hunc tu olim caelo spoliis Orientis onustum accipies secura; vocabitur hic quoque votis. aspera tum positis mitescent saecula bellis: cana Fides et Vesta, Remo cum fratre Quirinus iura dabunt; dirae ferro et compagibus artis claudentur Belli portae; Furor impius intus saeva sedens super arma et centum vinctus aenis post tergum nodis fremet horridus ore cruento.' Haec ait et Maia genitum demittit ab alto, I,297 ut terrae utque novae pateant Karthaginis arces hospitio Teucris, ne fati nescia Dido finibus arceret. volat ille per aera magnum remigio alarum ac Libyae citus astitit oris. et iam iussa facit, ponuntque ferocia Poeni le porte di Guerra; l'empio Furore dentro sedendo sulle crudeli armi e imprigionato da cento nodi bronzei dietro la schiena fremerà con la bocca insanguinata." Così dice e manda dall'alto il figlio di Maia, perchè le terre e le nuove fortezze di Cartagine si aprano per l'ospitalità ai Teucri, che Didone ignara del fato non (li) cacciasse dai territori. Egli vola per l'ampia aria col remeggio delle ali e pronto si fermò sulle spiagge di Libia. Ed ormai esegue gli ordini, ed i Puni lasciano gli animi fieri, volendolo il dio; anzitutto la regina ha un animo calmo ed un proposito benevolo verso i Teucri. multa malus simulans vana spe lusit amantem. ipsa sed in somnis inhumati venit imago coniugis ora modis attollens pallida miris; crudelis aras traiectaque pectora ferro nudavit, caecumque domus scelus omne retexit. tum celerare fugam patriaque excedere suadet auxiliumque viae ueteres tellure recludit thesauros, ignotum argenti pondus et auri. his commota fugam Dido sociosque parabat. conveniunt quibus aut odium crudele tyranni aut metus acer erat; navis, quae forte paratae, corripiunt onerantque auro. portantur avari Pygmalionis opes pelago; dux femina facti. devenere locos ubi nunc ingentia cernes moenia surgentemque novae Karthaginis arcem, mercatique solum, facti de nomine Byrsam, taurino quantum possent circumdare tergo. sed vos qui tandem? quibus aut venistis ab oris? quove tenetis iter?' quaerenti talibus ille suspirans imoque trahens a pectore vocem: 'O dea, si prima repetens ab origine pergam I,372 et vacet annalis nostrorum audire laborum, ante diem clauso componet Vesper Olympo. nos Troia antiqua, si vestras forte per auris Troiae nomen iit, diversa per aequora vectos forte sua Libycis tempestas appulit oris. Allora raccomanda di affrettare la fuga e andarsene dalla patria e come aiuto per la via rivelò vecchi tesori sotto terra, una ignota quantità di oro e argento. Così sconcertata Didone preparava fuga e compagni. Si radunano quelli che avevano o crudele odio o paura del tiranno; le navi, che per caso eran pronte, le prendono e le carican d'oro. I beni dell'avaro Pigmalione son portati per mare; capo dell'impresa una donna Raggiunsero i luoghi, dove ora vedraii le enormi mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine, e comprati il suolo, Birsa dal nome del fatto, quanto potessero circondare con una pelle di toro. Ma voi chi mai (siete)? o da quali spiagge veniste? Dove mai volgete il cammino?"Alla richiedente egli così sospirando e traendo dal profondo (del) petto la voce: "O dea, m'avviassi rifacendomi dal primo inizio e ci fosse tempo di sentire le storie delle nostre pene Vespero, chiuso l'Olimpo, concluderebbe prima il giorno. Noi ci spinse dall'antica Troia, se per caso giunse alle vostre orecchie il nome di Troia, portati per diversi mari una tempesta, per suo disegno, alle spiagge libiche. Sono il pio Enea, che reco con me con la flotta i Penati strappati al nemico, per fama noto oltre il cielo; cerco la patria Italia e la mia stirpe dal sommo Giove. Con venti navi affrontai il mare frigio, mostrandomi la via la madre dea seguendo i fati assegnati; appena sette strappate alle onde e ad Euro restano. Io ignoto, bisognoso, percorro i deserti di Libia, cacciato da Europa ed Asia". Ma non sopportando più il dolente Venere così in mezzo al dolore interruppe: "Chiunque sia, lo credo, non odioso ai celesti respiri le arie vitali, tu che raggiungesti la città tiria; affrettati dunque e di qui recati alle porte della sum pius Aeneas, raptos qui ex hoste penatis classe veho mecum, fama super aethera notus; Italiam quaero patriam, et genus ab Iove summo. bis denis Phrygium conscendi navibus aequor, matre dea monstrante viam data fata secutus; vix septem convulsae undis Euroque supersunt. ipse ignotus, egens, Libyae deserta peragro, Europa atque Asia pulsus.' nec plura querentem passa Venus medio sic interfata dolore est: 'Quisquis es, haud, credo, invisus caelestibus auras vitalis carpis, Tyriam qui adveneris urbem; perge modo atque hinc te reginae ad limina perfer. namque tibi reduces socios classemque relatam nuntio et in tutum versis Aquilonibus actam, ni frustra augurium vani docuere parentes. aspice bis senos laetantis agmine cycnos, aetheria quos lapsa plaga Iovis ales aperto turbabat caelo; nunc terras ordine longo aut capere aut captas iam despectare videntur: ut reduces illi ludunt stridentibus alis I, 397 et coetu cinxere polum cantusque dedere, haud aliter puppesque tuae pubesque tuorum aut portum tenet aut pleno subit ostia velo. perge modo et, qua te ducit via, derige gressum.' Dixit et avertens rosea cervice refulsit, I,402 ambrosiaeque comae divinum vertice odorem regina. Infatti t'annuncio i compagni reduci e la flotta restituita e condotta al sicuro, cambiati gli Aquiloni, se i genitori falsi non rivelarono invano la profezia del falso. Osserva dodici cigni in fila festanti, che dalla regione celeste l'uccello di Giove turbava nel cielo aperto; ora sembrano in lunga schiera o prendere terra o già presa dominarla. Come essi reduci giocano con l'ali sibilanti ed hanno accerchiato il cielo in gruppo e levato i canti, non altrimentile tue poppe ed i giovani dei tuoi o tiene il porto o affronta le entate a gonfia vela. Affrettati dunque e, dove la via ti guida, dirigi il passo". Disse e girandosi splendette col roseo collo, le chiome spirarono dal capo profumo divino d'ambrosia; la veste defluì alla punta dei piedi, e dal potamento si rivelò vera dea. Quando egli riconobbe la madre inseguì (lei) fuggente con la frase: "Perchè tante volte, crudele anche tu, inganni il figlio con false visioni? Perchè non si concede striger la destra alla destra ed ascoltare e rispondere vere parole?" Così la riprende e volge il passo alle mura. 410 Ma Venere chiuse i partenti di aria oscura, e la dea (li) circonfuse di spesso manto di nebbia, nessuno potesse vederli e nessuno toccarli o macchinare un intoppo o chiedere i motivi del giungere. Ella se ne andò in alto a Pafo e rivisita lieta le sue dimore, dove per lei c'è un tempio, e cento altari son ardenti d'incenso sabeo e profumano di fresche ghirlande. spiravere; pedes vestis defluxit ad imos, et vera incessu patuit dea. ille ubi matrem agnovit tali fugientem est voce secutus: 'quid natum totiens, crudelis tu quoque, falsis ludis imaginibus? cur dextrae iungere dextram non datur ac veras audire et reddere voces?' talibus incusat gressumque ad moenia tendit. at Venus obscuro gradientis aere saepsit, et multo nebulae circum dea fudit amictu, cernere ne quis eos neu quis contingere posset molirive moram aut veniendi poscere causas. ipsa Paphum sublimis abit sedesque revisit laeta suas, ubi templum illi, centumque Sabaeo ture calent arae sertisque recentibus halant. DE KARTHAGINIS AEDIFICATIONE (1.418-440) Corripuere viam interea, qua semita monstrat, I,419 iamque ascendebant collem, qui plurimus urbi imminet adversasque aspectat desuper arces. miratur molem Aeneas, magalia quondam, miratur portas strepitumque et strata viarum. instant ardentes Tyrii: pars ducere muros molirique arcem et manibus subvolvere saxa, pars optare locum tecto et concludere sulco; iura magistratusque legunt sanctumque senatum. hic portus alii effodiunt; hic alta theatris fundamenta locant alii, immanisque columnas LA COSTRUZIONE DI CARTAGINE (1.418-440) Intanto percorsero la via, dove mostra il sentiero, e già salivano il colle, che altissimo sta sopra alla città e dall'alto prospetta le fortezze dirimpetto. Ammira la mole Enea, un tempo baracche, ammira le porte e lo strepito e le pavimentazioni delle vie. Si impegnano ardenti i Tirii: parte ad alzare le mura, e costruire la rocca e rotolare con le mani le pietre, parte a scegliersi il posto per la casa e circondarlo con solco; scelgono leggi e magistrati ed il sacro senato. Qui altri scavano il porto, qui altri mettono le fondamenta profonde ai teatri, scolpiscono dalle rupi enormi colonne, adeguati ornamenti alle scene future: quali le api nella nuova estate per i campi fioriti la fatica (le) stimola sotto il sole, quando fan uscire i figli cresciuti, o quando stipano i limpidi mieli interea ad templum non aequae Palladis ibant crinibus Iliades passis peplumque ferebant suppliciter, tristes et tunsae pectora palmis; diua solo fixos oculos aversa tenebat. ter circum Iliacos raptaverat Hectora muros exanimumque auro corpus vendebat Achilles. tum vero ingentem gemitum dat pectore ab imo, ut spolia, ut currus, utque ipsum corpus amici tendentemque manus Priamum conspexit inermis. se quoque principibus permixtum agnovit Achivis, Eoasque acies et nigri Memnonis arma. ducit Amazonidum lunatis agmina peltis Penthesilea furens mediisque in milibus ardet, aurea subnectens exsertae cingula mammae bellatrix, audetque viris concurrere virgo. alitt DE DIDONIS ADVENTU (1.494- 519) Haec dum Dardanio Aeneae miranda videntur, I,494 dum stupet obtutuque haeret defixus in uno, regina ad templum, forma pulcherrima Dido, incessit magna iuvenum stipante caterva. qualis in Eurotae ripis aut per iuga Cynthi exercet Diana choros, quam mille secutae hinc atque hinc glomerantur Oreades; illa pharetram fert umero gradiensque deas supereminet omnis Latonae tacitum pertemptant gaudia pectus: talis erat Dido, talem se laeta ferebat corpo dell'amico e Priamo tendente le mani inermi. Pure riconobbe se stesso mischiato coi capi achivi, le schiere orientali e le armi del nero Memnone. Pentesilea furente guida le file delle Amazzonidi dagli scudi lunati ed in mezzo a mille freme, guerriera, legando cinture auree alla mammella mozzata, e osa, ragazza gareggiare con uomini. L'ARRIVO DELLA REGINA DIDONE ( 1.494- 519) Mentre queste cose sembrano ammirevoli al dardanio Enea, mentre stupisce e resta fisso nello spettacolo unico, la regina, Didone bellissima d'aspetto, si diressee al tempio con una grande squadra avvolgente di giovani. Quale Diana guida le danze sulle rive d'Eurota o lungo i gioghi di Cinto, che le mille Oreadi stringono seguendola di qua e di là; ella porta alla spalla e procedendo sovrasta tutte le dee, le soddisfazioni invadono il tacito cuore di Latona: tale era Didone, tale si portava lieta in mezzo vigilando sul lavoro e sui regni futuri. Poi sulle porte della dea, in mezzo alla volta del tempio, scortata da armi appoggiandosial trono in alto sedette. Dava sentenze e leggi agli uomini, adeguava la fatica dei lavori in parti giuste o tirava a sorte: per medios instans operi regnisque futuris. tum foribus divae, media testudine templi, saepta armis solioque alte subnixa resedit. iura dabat legesque viris, operumque laborem partibus aequabat iustis aut sorte trahebat: cum subito Aeneas concursu accedere magno Anthea Sergestumque videt fortemque Cloanthum I,510 Teucrorumque alios, ater quos aequore turbo dispulerat penitusque alias avexerat oras. obstipuit simul ipse, simul percussus Achates laetitiaque metuque; avidi coniungere dextras ardebant, sed res animos incognita turbat. dissimulant et nube cava speculantur amicti quae fortuna viris, classem quo litore linquant, quid veniant; cunctis nam lecti navibus ibant orantes veniam et templum clamore petebant. DE ILIONEI ORATIONE AD DIDONEM (1.520- 560) Postquam introgressi et coram data copia fandi, maximus Ilioneus placido sic pectore coepit: 'o regina, novam cui condere Iuppiter urbem iustitiaque dedit gentis frenare superbas, Troes te miseri, ventis maria omnia uecti, oramus: prohibe infandos a navibus ignis, parce pio generi et propius res aspice nostras. non nos aut ferro Libycos populare penatis quando improvvisamente vede avanzare con gran folla Anteo e Sergesto ed il forte Cloanto ed altri dei Teucri, che il nero turbine del mare aveva disperso e portato addirittura ad altre spiagge. Egli tanto stupì, quanto Acate colpito da gioia e paura; ardevan desiderosi di stringer le destre, ma il fatto insolito turba i cuori. Dissimulan e coperti da cava nube spiano quale sorte per gli uomini, in quale lido lascino la flotta, perchè giungano; infatti scelti da tutte le navi andavan pregando pietà ed al tempio con grido si avviavano. IL DISCORSO DI ILIONEO ( 1.520 - 560) Dopo che furon entrati e data la facoltà di parlare apertamente, il più vecchio Ilioneo così cominciò con animo calmo: "O regina, cui Giove concesse fondare una nuova città e moderar con giustizia popoli fieri, (noi) miseri Troriani, portati in tutti i mari adi venti, ti preghiamo: allontana dalle navi gli orribili fuochi, risparmia un popolo pio e più da vicino guarda i nostri casi. Noi non siamo venuti o a saccheggiare con l'arma i penati libici, o portare sui lidi le prede rubate; il cuore non (ha) quella forza nè i vinti così tanta superbia. C'è un luogo, i Grai lo chiaman col nome d'Esperia, venimus, aut raptas ad litora vertere praedas; non ea uis animo nec tanta superbia victis. est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt, I,530v. terra antiqua, potens armis atque ubere glaebae; III,161. Oenotri coluere viri; nunc fama minores Italiam dixisse ducis de nomine gentem. hic cursus fuit, cum subito adsurgens fluctu nimbosus Orion in vada caeca tulit penitusque procacibus Austris perque undas superante salo perque invia saxa dispulit; huc pauci vestris adnavimus oris. quod genus hoc hominum? quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. si genus humanum et mortalia temnitis arma, I,542 at sperate deos memores fandi atque nefandi. rex erat Aeneas nobis, quo iustior alter nec pietate fuit, nec bello maior et armis. quem si fata virum servant, si vescitur aura aetheria neque adhuc crudelibus occubat umbris, non metus, officio nec te certasse priorem paeniteat. sunt et Siculis regionibus urbes armaque Troianoque a sanguine clarus Acestes. quassatam ventis liceat subducere classem terra antica, potente per armi e per riccheza di terra; (la) curarono uomini enotri; ora è fama che i più giovani l'han chiamata Italia il popolo dal nome del capo. questa fu la rotta, quando Orione burrascoso sorgendo da flutto improvviso (ci) portò in secche cieche e completamente ci disperse coi violenti Austri e tra l'onde e tra rocce inaccessibili col mare vincente; qui pochi nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini questa? o quale patria così barbarapermette simile usanza? siamo respinti dall'ospitalità della sabbia; dichiaran guerre e vietano di fermarsi sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, sperate almeno gli dei memori del bene e del male. Ci era re Enea, di cui non ci fu altro più giusto per virtù, nè superiore in guerra ed in armi. Ma se i fati conservan quell'eroe, se si nutre di aria celeste nè ancora giace nell'ombre crudeli, non (c'è) paura, nè ti dispiaccia di aver gareggiato per prima in un favore. Anche le regioni sicule hanno città ed armi ed il famoso Aceste da sangue troiano. Sia permesso attraccare la flotta sconvolta dai venti e coi boschi preparare travi e tagliare remi, se è dato tendere all'Italia coi compagni, ripreso il re, per dirigerci lieti in Italia e nel Lazio; se la salvezza è troncata, ed il mare di Libia tiene te, ottimo padre dei Teucri nè resta la speranza di Iulo, ma almeno cerchiamo gli stretti e le sedi pronte di Sicilia donde qui sbalzati, ed il re Aceste." Così Ilioneo; tutti insieme i Dardanidi fremevano in volto. gentis Dardaniae, magnum quae sparsa per orbem. di tibi, si qua pios respectant numina, si quid usquam iustitiae est et mens sibi conscia recti, praemia digna ferant. quae te tam laeta tulerunt saecula? qui tanti talem genuere parentes? in freta dum fluvii current, dum montibus umbrae lustrabunt convexa, polus dum sidera pascet, semper honos nomenque tuum laudesque manebunt quae me cumque vocant terrae.'sic fatus amicum Ilionea petit dextra laevaque Serestum, post alios, fortemque Gyan fortemque Cloanthum DE DIDONIS LIBERALI HOSPITIO (1.612-656) Obstipuit primo aspectu Sidonia Dido, I,613 casu deinde viri tanto, et sic ore locuta est: 'quis te, nate dea, per tanta pericula casus insequitur? quae vis immanibus applicat oris? tune ille Aeneas quem Dardanio Anchisae alma Venus Phrygii genuit Simoentis ad undam? atque equidem Teucrum memini Sidona venire finibus expulsum patriis, nova regna petentem auxilio Beli; genitor tum Belus opimam vastabat Cyprum et victor dicione tenebat. tempore iam ex illo casus mihi cognitus urbis Troianae nomenque tuum regesque Pelasgi. ipse hostis Teucros insigni laude ferebat seque ortum antiqua Teucrorum a stirpe volebat. rischiareranno le cavità per i monti, fin che il cielo nutra le stelle, sempre resteranno l'onore e il tuo nome e le lodi, qualunque terra mi chiami". Detto così, cerca l'amico Ilioneo con la destra e con la sinistra Seresto, poi gli altri, il forte Gia ed il forte Cloanto. ACCOGLIENZA OSPITALE DI DIDONE ( 1.612-636) Didone sidonia prima si stupì per l'aspetto, poi per la sorte tanto grande dell'eroe, e così parlò: "Quale sorte, figlio di dea, ti perseguita attraverso sì grandi pericoli? che forza ti approda a spiagge feroci? Non sei tu quell'Enea che la madre Venere generò al dardanio Anchise presso l'onda del frigio Simoenta? E davvero ricordo che Teucro venne a Sidone cacciato dalle patrie terre, cercando nuovi regni coll'aiuto di Belo; allora il padre Belo occupava la ricca Cipro e vincitore la teneva in potere. Già da quel tempo mi era nota la sorte della città troiana ed il tuo nome ed i re pelasgi. Lo stesso nemico innalzava i Teucri con grande lode e si voleva nato dall'antica stirpe dei Teucri. Perciò suvvia, o giovani, entrate nelle nostre case. Una situazione simile volleche io pure sbattuta tra tanti affanni mi fermarsi infine in questa terra; non ignara del male imparo a soccorrere i miseri". Così ricorda; insieme guida Enea nelle regali case, insieme indice lodi nei templi deli dei. Intanto invia non di meno venti tori ai compagni quare agite, o tectis, iuvenes, succedite nostris. me quoque per multos similis fortuna labores iactatam hac demum volvit consistere terra; non ignara mali miseris succurrere disco.' sic memorat; simul Aenean in regia ducit tecta, simul divum templis indicit honorem. nec minus interea sociis ad litora mittit viginti tauros, magnorum horrentia centum terga suum, pinguis centum cum matribus agnos, munera laetitiamque dii. at domus interior regali splendida luxu I,635 instruitur, mediisque parant convivia tectis: arte laboratae vestes ostroque superbo, ingens argentum mensis, caelataque in auro fortia facta patrum, series longissima rerum per tot ducta viros antiqua ab origine gentis. Aeneas neque enim patrius consistere mentem passus amor rapidum ad navis praemittit Achaten, I,644 Ascanio ferat haec ipsumque ad moenia ducat; omnis in Ascanio cari stat cura parentis. munera praeterea Iliacis erepta ruinis ferre iubet, pallam signis auroque rigentem et circumtextum croceo velamen acantho, ornatus Argivae Helenae, quos illa Mycenis, I,650 Pergama cum peteret inconcessosque hymenaeos, sui lidi, cento irsute schiene di porci, cento grassi agnelli con le madri, regali e gioia del giorno. Ma il palazzo interno splendido è parato di lusso regale, preparano banchetti in mezzo alle case: Vesti ricamate con arte e splendida porpora, ingente argento su mense, e le forti imprese dei padri cesellate su oro, lunghissima serie di azioni fatta da tanti eroi dall'antico inizio della stirpe.Enea, nè infatti l'amore paterno permise che la mente riposasse, manda alle navi il veloce Acate, riferisca queste cose ad Ascanio e lo guidi alle mura; ogni cura del caro padre sta in Ascanio. Ordina inoltre di portare doni strappati alle rovine iliache, un manto rigido per oro e ricami ed un velo intessuto di croceo acanto, ornamenti dell'argiva Elena, che ella aveva portato da Micene dirigendosi a Pergamo ed alle nozze proibite, dono mirabile della madre Leda; inoltre uno scettro, che Ilione la maggiore delle figlie di Priamo, aveva portato un tempo, ed un monile per collo gemmato, ed una doppia corona di gemme ed oro. Così affrettando il cammino, Acate andava alle navi. extulerat, matris Ledae mirabile donum; praeterea sceptrum, Ilione quod gesserat olim, maxima natarum Priami, colloque monile bacatum, et duplicem gemmis auroque coronam. haec celerans iter ad navis tendebat Achates. DE VENERIS DOLIS (1.657-694) At Cytherea novas artis, nova pectore versat I,657 poipt consilia, ut faciem mutatus et ora Cupido pro dulci Ascanio veniat, donisque furentem incendat reginam atque ossibus implicet ignem. quippe domum timet ambiguam Tyriosque bilinguis; urit atrox Iuno et sub noctem cura recursat. ergo his aligerum dictis adfatur Amorem: Nate, meae vires, mea magna potentia solus, nate, patris summi qui tela typhoea temnis, ad te confugio et supplex tua numina posco. frater ut Aeneas pelago tuus omnia circum litora iactetur odiis Iunonis acerbae, nota tibi, et nostro doluisti saepe dolore. nunc Phoenissa tenet Dido blandisque moratur vocibus, et vereor quo se Iunonia vertant hospitia: haud tanto cessabit cardine rerum. quocirca capere ante dolis et cingere flamma reginam meditor, ne quo se numine mutet, sed magno Aeneae mecum teneatur amore. VENERE PREPARA INGANNI ( 1.657- 696) Ma Citerea medita in cuore nuovi artifici, nuovi piani, perchè Cupido cambiato l'aspetto ed il volto venga al posto del dolce Ascanio, e con doni accenda la furente regina ed avvolga il fuoco alle ossa. Certamente teme la casa ambigua ed i Tirii falsi; brucia la crudele Giunone e la pena ritorna di notte. Perciò con queste parole parla ad Amore alato: "Figlio, mie forze, unico, mia grande potenza, figlio, che sprezzi le armi tifee del sommo padre, mi rifugio in te e supplice chiedo le tue volontà. Come tuo fratello Enea sia sbattuto in mare per tutti i lidi per gli odi della feroce Giunone, ti sono cose note, e spesso ti dolesti del nostro dolore. Ora la fenicia Didone lo tiene e lo ferma con blande paroce e temo dove si volgano le ospitalità giononie: non cesserà in un momento così importante. Perciò penso di prendere prima con inganni e legare con fiamma la regina, che non si cambi per qualche divinità, ma sia bloccata con me dal grande amore d'Enea. Come tu possa far ciò senti ora il nostro piano: il regale fanciullo, mio grandissimo amore, si prepara ad andare su chiamatadel caro genitore nella città sidonia portando doni restanti dal mare e dalle fiamme di Troia; io lo nasconderò assopito sugli alta Citera o su Idalio in luogo condacrato, che nessuno possa sapere gli inganni o accorrere in mezzo. Tu inganna il suo aspetto, per non più d'una notte con un raggiro e da ragazzo vesti le note fattezza del ragazzo, perchè, quando la felicissima fit strepitus tectis vocemque per ampla volutant atria; dependent lychni laquearibus aureis incensi et noctem flammis funalia vincunt. hic regina gravem gemmis auroque poposcit implevitque mero pateram, quam Belus et omnes a Belo soliti; tum facta silentia tectis: 'Iuppiter, hospitibus nam te dare iura loquuntur, hunc laetum Tyriisque diem Troiaque profectis esse velis, nostrosque huius meminisse minores. adsit laetitiae Bacchus dator et bona Iuno; et vos o coetum, Tyrii, celebrate faventes.' dixit et in mensam laticum libavit honorem primaque, libato, summo tenus attigit ore; tum Bitiae dedit increpitans; ille impiger hausit spumantem pateram et pleno se proluit auro; post alii proceres. cithara crinitus Iopas personat aurata, docuit quem maximus Atlas. hic canit errantem lunam solisque labores, unde hominum genus et pecudes, unde imber et ignes, Arcturum pluviasque Hyadas geminosque Triones, quid tantum Oceano properent se tingere soles hiberni, uel quae tardis mora noctibus obstet; ingeminant plausu Tyrii, Troesque sequuntur. nec non et vario noctem sermone trahebat infelix Dido longumque bibebat amorem, I,749 multa super Priamo rogitans, super Hectore multa; dorati e le torce vincon la notte. Qui la regina chiese un vaso pesante d'oro e di gemme e lo riempì di vino puro, Belo e tutti (quelli) da Belo eran soliti riempirla; allora si fece silenzio in casa: " Giove, dicono che tu dai i diritti agli ospiti, fa' essere questo un giorno lieto per i Tirii e per i giunti da Troia, e ricordarne i nostri nipoti. Assista Bacco datore di gioia e la buona Giunone; e voi, Tirii, celebrate l'incontro festanti". Disse e libò sulla mensa la gloria dei liquidi e per prima, libato, toccò a fior di labbra; poi diede a Bizia incitandolo; egli sollecito bevve la coppa spumante e tracannò col boccale aureo pieno; poi gli altri nobili. Il chiomato Iopa con la cetra dorata suona, e lo istruì il sommo Atlante. Costui canta la luna errante e le fatiche del sole, donde la specie degli uomini e le bestie, donde pioggia e fulmini, Arturo e le Iadi piovose ed i gemelli Trioni, perchè i soli invernali tanto s'affrettino a bagnarsi d'Oceano, o quale ritardo s0opponga alle lente notti; i Tirii raddoppiano con l'applauso, li seguono i Troiani. ed ancora l'infelice Didone protraeva la notte con vario parlare e beveva il lungo amore, molto chiedendo su Priamo, su Ettore molto; ora con che armi fosse giunto il figlio d'Aurora, ora quali i cavalli di Diomede, or quanto grande Achille. "Anzi orsù, ospite, e dicci dal primo inizio le insidie" disse" dei Danai e le sorti dei tuoi ed il tuo errare; infatti ormai la settima estate ti porta errante per tutte le terre ed i flutti". nunc quibus Aurorae venisset filius armis, nunc quales Diomedis equi, nunc quantus Achilles. 'immo age et a prima dic, hospes, origine nobis insidias' inquit 'Danaum casusque tuorum erroresque tuos; nam te iam septima portat omnibus errantem terris et fluctibus aestas.' I,756