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Principio di sussidiarietà, Dispense di Diritto Amministrativo

Dispensa relativa all'evoluzione normativa del principio di sussidiarietà orizzontale

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 07/08/2016

emielicious
emielicious 🇮🇹

4.5

(69)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Principio di sussidiarietà e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE NELL’EVOLUZIONE NORMATIVA DELLO STATO E DELLE REGIONI di DANIELE DONATI 1. Premessa - Nelle pagine che seguono si proporrà un quadro della produzione normativa statale e regionale che, direttamente o indirettamente, ha dato corpo e attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale nell’ordinamento italiano. Con questa ricostruzione, basata sulla costante ricerca che in questi anni si è svolta per la sezione “Norme” di LabSus, si intende intanto fare il punto sulla consistenza del fenomeno, e sull’effettivo interesse che il principio ha sollevato nei legislatori. Quindi, sotto il profilo del metodo, inizieremo prendendo in considerazione da una parte le diverse formulazioni del principio scandite nelle leggi dello Stato e nella Costituzione e, dall’altra, la corrispondente normazione regionale, seguendo sostanzialmente un criterio cronologico e di volta in volta tentando di isolare i profili maggiormente rilevanti. La rassegna si articolerà, dunque, essenzialmente in due fasi: a) la prima (1997–2000) prenderà in considerazione le norme approvate a partire dal processo di “decentramento amministrativo” seguito all’approvazione della legge 59 del 1997; b) la seconda (2001–2010) muoverà a partire dal nuovo testo della Parte II, Titolo V della Costituzione e quindi dalla norma di cui all’art. 118, 4° comma, per poi prestare attenzione alla successiva produzione normativa che include: - gli statuti regionali approvati in seguito alla riforme costituzionali del 1999 e del 2001, - le leggi regionali che più evidentemente, nell’esplicazione delle loro rinnovate competenze, hanno tentato di dar seguito alla costituzionalizzazione del principio; - i (pochissimi e recentissimi) interventi successivi del legislatore statale. Attraverso la lettura di queste fonti si tenterà poi di analizzare il principio di sussidiarietà come fonte e come metodo di regolazione e di amministrazione, e quindi di cogliere le ampie prospettive e le molteplici potenzialità che il principio sollecita. Senza anticipare i risultati di una rassegna come questa, si può infatti affermare, anzi constatare il fatto che le stesse norme hanno portato, in momenti e luoghi diversi, a soluzioni e risposte tra loro del tutto distinte- Ora, e se pur si ritiene in qualche modo fisiologico che un principio costituzionale conosca una alea di interpretazione e quindi diverse possibili interpretazioni1 da parte della politica e varie applicazioni da parte della amministrazione pubblica, non può non rilevarsi come nel caso della sussidiarietà l’ampiezza delle letture che essa sollecita e delle forme in cui la stessa è coniugata è tale da far quasi dimenticare il dato testuale delle diverse norme in cui la stessa trova enunciazione, e a far ritenere che essa, nonostante l’intenso lavoro della dottrina, sia e resti un «principio ambiguo, con almeno trenta diversi significati, programma, formula magica, alibi, mito, epitome della confusione, foglia di fico»2. 2. L’introduzione del principio di sussidiarietà nell’ordinamento italiano – È utile (oltre che coerente con l’impostazione che ci siamo dati) iniziare dunque la nostra rassegna 1 Si veda in questo senso G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1998, pag. 208 e seg. 2 Così S. Cassese, L’Aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in F.A. Roversi Monaco (a cura di), Sussidiarietà e Pubbliche Amministrazioni, Atti del Convegno per il 40° della Scuola di Specializzazione in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione (Bologna, 1995), Maggioli, Rimini, 1997, pag. 73 e segg., e in Foro it., V, 1995, pag. 373 e segg. innanzitutto presentando e riflettendo proprio su quelle che sono le formulazioni con le quali il principio ha fatto la propria comparsa nell’ordinamento italiano. La prima è quella di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa» che all’art. 4 delinea le modalità secondo le quali si dovrà realizzare l’ampio processo, messo in atto dal ministro Bassanini, di decentramento amministrativo di funzioni e compiti dello Stato alle regioni e agli enti locali. I «principi fondamentali» che sono posti a governo di questo processo sono elencati al comma 3 della disposizione, e il primo tra questi (di cui alla lett. a) consiste nella attribuzione «della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime» e ciò «anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati». Questa formulazione sollecita immediatamente alcune considerazioni: - la sussidiarietà (che qui non viene aggettivata, o distinta secondo direttive verticali e orizzontali) è innanzitutto, secondo la disposizione in esame, il principio in base al quale si realizza una correlazione tra l’attribuzione di competenza amministrativa e la dimensione territoriale ottimale in cui il relativo interesse pubblico trova soddisfazione. Il legislatore quindi prescrive che la competenza per determinate funzioni e determinati compiti vada conferita al livello istituzionale che, in ragione delle caratteristiche del relativo contesto sociale, economico e territoriale3, sia maggiormente idoneo a dare soddisfazione ai relativi bisogni. È quindi dalla rilevazione dei bisogni, e dalla analisi della dimensione ottimale per la loro soddisfazione che si deve partire nel determinare la competenza amministrativa. In altre parole, qui «la sussidiarietà è idoneità e responsabilità»4; - la norma introduce però, a seguire, un criterio preferenziale, la vera e propria vorrangentscheidung della disposizione, allorquando si afferma che, di regola, si deve preferire l’ente più vicino ai cittadini destinatari delle determinazioni amministrative o dei servizi. Ciò può tradursi nella asserzione, aprioristica e del tutto astratta, della preferenza per il livello comunale, e quindi nella presunzione della sua appropriatezza, che regge però se e fino a quando non si dimostri che nel caso specifico, in ragione della dimensione dell’interesse coinvolto o in base ad altre condizioni di contesto, sia l’ente di livello territoriale superiore a dover assolvere uno specifico compito o funzione. In questo modo il principio di sussidiarietà mette in luce un’altra delle ipotesi che accompagnano l’intera stagione delle riforme del sistema amministrativo italiano degli anni ’905, e cioè non solo che l’attività amministrativa per la soddisfazione dei bisogni generali vada attribuita ad un livello territoriale idoneo al compito, ma anche che se essa viene svolta in prossimità dei cittadini suoi destinatari, ne discendono una serie di vantaggi indiretti (la più stretta osservazione, e quindi il 3 Il riconoscimento della difformità del tessuto locale, ovverosia la fine della presunzione di omogeneità dello stesso, e la conseguente differenziazione nel regime delle competenze era stato in realtà introdotto dall’art. 3 della l.142/90. Si veda, in questo senso, come il primissimo commento alle disposizioni citate già recepisse la rilevanza del cambiamento in L. Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali, commento alla Legge 8 giugno1990, n. 142, Maggioli, Rimini, 1991. 4 Si veda al riguardo L. Melica, voce Sussidiarietà, in S. Cassese, (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, VI, Giuffrè, Milano, 2006, ppag. 5836 e segg. 5 Le tappe fondamentali di questa profonda trasformazione della pubblica amministrazione italiana sono segnate dalla legge 241 del 1990, dalla legge 142 del 1990 e dalla legge 59 del 1997, cui si fa riferimento nel testo. prospettiva che sollecita l’attenzione e le critiche di alcuni studiosi, preoccupati di un nuovo “dirigismo sociale ed economico”14, ma che comunque conoscerà una certa fortuna in parte della legislazione regionale15. La (pur sempre) autonoma iniziativa privata sembra infatti descritta come una delle voci in attivo del bilancio locale, da “contabilizzare” tra le potenziali entrate dell’ente. Se questa è la lettura della disposizione, lo schema ideale è allora del tutto analogo a quello che, dopo la riforma dell’art. 118, 4° comma, sarà ritenuto incostituzionale da parte della Corte costituzionale italiana in due lunghe sentenze relative alle fondazioni di origine bancaria (nn. 300 e 301 del 2003) in cui si affermerà come, proprio in forza di quel principio, nella dinamica sussidiaria i soggetti privati debbano esclusi sottratti ad ogni forma di indirizzo e controllo da parte delle autonomie territoriali, e che quindi le loro risorse libere non possano essere convogliate ed utilizzate verso finalità determinate, anche solo in parte, dai poteri pubblici. *** La terza e ultima formulazione precedente alla costituzionalizzazione del principio è quella di cui all’art. 5 della L. 8 novembre 2000, n. 32816, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali». È bene innanzitutto (seppur brevemente) ricordare il destino di questa legge che, dopo decenni di attesa, arriva a disciplinare in modo organico e compiuto il sistema dei servizi alla persona (diversi dalla sanità), e non solo dà finalmente vita ad un articolato sistema di interventi e tutele a carattere universale, ma per la prima volta riconosce le prestazioni assistenziali come un vero e proprio diritto (art. 2). Di fatto però, a pochi mesi dalla sua approvazione, essa viene superata in gran parte dalla riforma costituzionale17 che, in questa materia, assegna alle regioni la piena competenza legislativa e ai comuni quella amministrativa. La legge comunque, per le finalità che qui interessano, propone all’art. 5, dedicato al «Ruolo del terzo settore», una complessa serie di disposizioni (tutt’ora vigenti nel nostro ordinamento) che si aprono (comma 1) con la affermazione secondo la quale «per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai fondi dell'Unione europea». In questa norma, che pure si riferisce specificamente all’ambito dei s ervizi sociali18 troviamo alcune affermazioni di un certo rilievo, e alcune innovazioni. Se da una parte infatti si riafferma il ruolo attivo degli enti territoriali e la necessità di 14 Così A. Quadrio Curzio, Sussidiarietà e sviluppo – Paradigmi per l’Europa e per l’Italia, Vita e Pensiero, Milano, 2002, pag. 42 e segg. 15 Vedi infra paragrafo successivo. 16 Si vedano in proposito G. Franchi Scarselli, Una lettura critica della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, in San. Pubbl., 2000, p. 1405 e segg.; R.Finocchi, L’istituzione del sistema integrato dei servizi sociali, in Giorn. dir. amm., 2001, p. 113 e segg.; F.C. Rampulla e L.P. Tronconi, I servizi sociali dalla parcellizzazione ad un sistema integrato nella legge quadro, in Not. giur. reg., 2001, pag. 1 e segg. 17 Si vedano in proposito E. Ferrari, Lo Stato sussidiario: il caso dei servizi sociali, in Dir. pubbl., 2002, pag. 99 e segg., e i saggi raccolti in Sanità e assistenza dopo la riforma del Titolo V, a cura di R. Balduzzi e G. Di Gaspare, Giuffrè, Milano, 2002. 18 L’art. 1 comma 2 della legge in esame rimanda per la definizione di cui all’art.128 del d.lgs 112/1998, che identifica i servizi sociale in «tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia». un loro intervento mirato a “favorire” la attuazione del modello sussidiario, dall’altra appare invece inedito il fatto che (coerentemente con il coinvolgimento corale di tutti i livelli di governo nella realizzazione del sistema di sicurezza sociale e in parallelo a ciò che avviene nel Servizio sanitario nazionale) l’apertura verso la sussidiarietà non sia considerata caratteristica esclusiva del livello locale, ma venga invece prospettata anche a carico delle regioni e dello Stato. Anzi, sempre secondo la norma in esame, il principio consiste proprio nella predisposizione di azioni positive a favore dei privati, delle quali qui, per la prima volta, si offre una specificazione. Esse possono essere infatti articolate in: a) azioni per il sostegno dei soggetti operanti nel terzo settore; b) azioni per la qualificazione dei medesimi soggetti; c) politiche formative; d) interventi per l'accesso agevolato al credito; e) interventi per l’accesso agevolato ai fondi dell'Unione europea; Si tratta a ben vedere di una serie di misure dirette (sub a, b, c) e indirette (sub d ed e), tese a dare riconoscimento e professionalizzazione all’apporto delle formazioni sociali che si attivino in senso sussidiario. Nella stessa norma, infine, si imputano i costi di questi interventi alle risorse che da una parte il Piano nazionale e i piani regionali degli interventi e dei servizi social (art. 18) e dall’altra i Piani di zona comunali (art. 19) mettono a disposizione. Al di là di questa puntuale regolazione, vi sono però anche altre disposizioni nella stessa legge, che meritano attenzione. Al comma 2 del medesimo articolo 5, infatti, si prevede che «ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla presente legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 1119,, promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale». Ora l’impressione è che in questa seconda disposizione si introduca una ipotesi ulteriore rispetto a quella del comma precedente. Infatti, mentre il primo comma viene dedicato a delineare il modello della sussidiarietà fino a qui descritto, nel secondo si mette a punto un sistema di affidamento a terzi dei servizi sociali che risponde a logiche del tutto distinte e quindi a regole diverse, e tipiche di ogni processo di esternalizzazione. Questa tesi trova ulteriori conferme negli ultimi due commi dell’art. 5 che sono dedicati a definire il ruolo delle regioni le quali - da una parte, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, adottano, con le modalità previste dall'articolo 8, comma 220, specifici indirizzi per 19 …che mette a punto un sistema di «Autorizzazione e accreditamento» assegnando le relative funzioni, per i servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica, ai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale. Tali requisiti minimi nazionali trovano immediata applicazione per servizi e strutture di nuova istituzione; per i servizi e le strutture operanti alla data di entrata in vigore della legge. Ancora competenza dei comuni è provvedere all'accreditamento corrispondendo, ai soggetti accreditati, tariffe per le prestazioni erogate nell'ambito della programmazione regionale e locale. Da parte loro le regioni, nell'ambito degli indirizzi definiti dal Piano nazionale disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi, per un periodo massimo di tre anni; e nel medesimo provvedimento, definiscono gli strumenti per la verifica dei risultati. 20 ….il quale prevede che «allo scopo di garantire il costante adeguamento alle esigenze delle comunità locali, le regioni programmano gli interventi sociali secondo le indicazioni di cui all'articolo 3, commi 2 e 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, promuovendo, nell'ambito delle rispettive competenze, modalità di collaborazione e azioni regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona; - dall’altra, e diversamente, disciplinano le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi, sulla base dei principi della stessa l.328/2000 e degli indirizzi assunti con le modalità appena ricordate. Si ponga attenzione a come gli indirizzi regionali debbano riguardare il complesso dei rapporti tra comune, provincia e i soggetti del non profit, e “in particolare” (ma non solo!) le dinamiche per l’affidamento dei servizi sociali. A ben vedere è proprio in questo senso che pare muoversi l’intero impianto della l. 328/2000. Rileggiamo infatti (e ricostruiamo) i suoi «Princìpi generali e finalità», come enunciati all’art.1. In esso (comma 1) si afferma che, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione21, spetta alla Repubblica assicurare alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali tesi a garantire «la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza», nonché per prevenire, eliminare o ridurre «le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia». Per perseguire queste finalità, (art. 1, comma 4), ogni livello di governo, nell'ambito delle rispettive competenze, deve riconoscere e agevolare il ruolo dei soggetti del terzo settore22 nell’organizzazione, nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. In particolare poi (art. 1, comma 5), proprio per quanto riguarda la gestione e l’offerta delle prestazioni, si afferma la competenza dei soggetti pubblici, riservando ai privati, in qualità di soggetti attivi, un ruolo nella progettazione e nella realizzazione concertata di tutte queste azioni. Fino a qui la disciplina dell’intervento coordinato nell’ambito di quelli che sono i veri e propri servizi pubblici alla persona. Ma è solo a seguire che la norma si occupa del modello sussidiario, ponendo in essere la diversa soluzione della “integrazione” tra i due sistemi. Si prevede infatti, al termine dello stesso art.5 (e quasi a marcare la differenza tra le due soluzioni) che «il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto- aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata», che sono dunque obbiettivi diversi e ulteriori rispetto a quelli enunciati poc’anzi. E coerentemente, a seguire nella declinazione (discendente per intensità) delle possibili forme di interazione tra i soggetti pubblici e quelli privati, il comma 6 richiama anche la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento delle coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione. Le regioni provvedono altresì alla consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, (elencati alla nota 21) e 10 (cioè le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) della presente legge ». 21 Art. 2, Cost: ‹‹La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali (…)››; art. 3, Cost: ‹‹Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge (…). E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…)”; art. 38, Cost.: ‹‹Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.(…)››. 22 Specificati al comma 4 in una lunga e dettagliata elencazione che comprende gli organismi non lucrativi di utilità sociale, gli organismi della cooperazione, le associazioni e degli enti di promozione sociale, le fondazioni e degli enti di patronato, le organizzazioni di volontariato, gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, a cui il comma 5 aggiunge le organizzazioni di volontariato e «altri soggetti privati». diversi soggetti secondo una chiara graduazione e quindi - riconoscendo e promuovendo il ruolo dell’associazionismo in generale, nella pluralità delle sue forme verso cui destina interventi e “incentivi di carattere economico-finanziario” (art. 28); - attribuendo alle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266 (quali “libera espressione di partecipazione, di solidarietà e di pluralismo”) la capacità di offrire un “apporto complementare, e non sostitutivo, nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi” (art.27); - affermando infine che, in base ad apposite convenzioni, alle autonomie funzionali può essere demandato l’esercizio di funzioni e compiti amministrativi “in base a criteri di economicità ed efficacia della gestione” (art. 25). In queste leggi riemerge con forza anche il tema della “adeguatezza” del potenziale apporto dei privati, che già avevamo rilevato nella lettura dell’art. 3, 4° comma del D.Lgs. 267/2000, Testo unico dell’ordinamento degli enti locali (T.U.E.L)23. Anzi: a differenza di quanto previsto nel T.U.E.L. qui si delinea l’esigenza non tanto e non solo di un giudizio sulla capacità dei privati “in sé”, quanto quella di procedere ad una vera e propria comparazione prognostica sui risultati cui si giungerebbe adottando il modello sussidiario oppure mantenendo le attività in capo all’amministrazione. Si passa cioè da un giudizio sulla “adeguatezza” ad una valutazione di “maggiore adeguatezza, che dunque non assume come criteri di apprezzamento requisiti statici predeterminati, standard fissati a priori, ma che diversamente accosta e raffronta gli elementi che caratterizzano le due opzioni alla luce delle finalità che si intendono perseguire. Ora è interessante notare come queste finalità siano inevitabilmente lasciate vaghe dai legislatori, che in questo modo non scelgono davvero, ma rimandano a sedi ulteriori (e alle diverse convenienze del caso) una determinazione puntuale degli obbiettivi che si perseguono. Si veda in questo senso la Lr Emilia Romagna 3/1999, che all’art. 1, co. 1, prevede che di affidare a soggetti esterni all’amministrazione le attività che “possono più utilmente essere svolte in tale forma sulla base di una valutazione obiettiva dei criteri di efficacia, efficienza e qualità”. O la L.r Lombardia 1/2000, che invece all’art. 1 comma 11 prescrive alla Regione, agli enti locali e alle autonomie funzionali di scegliere i privati a cui affidare la gestione delle funzioni e dei compiti a seguito di “valutazioni che ne rilevino l’opportunità in termini economici e tecnici, e previa individuazione dei livelli minimi di qualità”. O ancora, infine, L.r. Basilicata 7/1999, che all’art.7 afferma di voler procedere, in ottemperanza ai principi di efficacia ed efficienza (e sentita la Conferenza Permanente delle Autonomie24) al conferimento mediante convenzioni a “soggetti esterni al sistema delle autonomi” di funzioni ed attività che possano “più utilmente essere svolte da soggetti privati o del privato sociale, assicurando il rispetto dei principi di concorrenzialità, trasparenza ed imparzialità”. Altri aspetti, di rilievo forse secondario, meritano inoltre, nella nostra prospettiva, una pur sintetica segnalazione. Sono infatti da ricordare: a) le esclusioni: si veda in questo senso, per tutti, la Legge r. Marche 10/1999, art. 9 23 Art.3, co.4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267: ‹‹I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica››. 24 Organismo rappresentativo del sistema regionale delle autonomie locali, istituito dall’art.2, L.r. Basilicata 28 marzo 1996, n.17. che impedisce di affidare ai privati lo svolgimento di fasi procedimentali, che comportino l'esercizio di poteri discrezionali; b) la eliminazione di vincoli procedimentali come attività tesa a favorire l’esercizio delle attività private sussidiarie (in questo senso si veda la L.r. Emilia Romagna 3/1999. art. 2 co 4 lett. b); c) il conferimento ai privati non di servizi ma di fasi procedimentali o funzioni amministrative: in questo senso si vedano Lr Lombardia 1/2000 che all’art.2, co.79 che prevede la possibilità di affidare ai privati l'attività istruttoria connessa agli interventi interventi regionali di sostegno alle imprese, nonché la valutazione degli aspetti specifici, dei risultati attesi e dell’efficacia degli interventi stessi; o ancora la L.r. Emilia Romagna 3/1999 che, secondo l’art. 4, per motivate ragioni di economicità, efficacia ed efficienza, ipotizza di lasciare a soggetti esterni alle amministrazioni lo svolgimento di “attività propedeutiche all’adozione di provvedimenti finali, ovvero lo svolgimento di attività materiali di supporto all’esercizio delle loro funzioni”; o ancora la Legge r. Marche 10/1999, che all’art. 9, comma 2 prevede di affidare a “soggetti terzi” l'assegnazione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari, previa determinazione da parte dell'ente pubblico competente dei criteri e delle modalità cui i soggetti stessi devono attenersi; d) il coinvolgimento dei privati in diverse tipologie di attività dell’amministrazione: così mentre la L.r. Lombardia 1/2000 all’art.4, co 11 immagina che i privati siano presenti sia in fase di progettazione, che di realizzazione e di offerta dei servizi, la L.r. Emilia Romagna 3/1999, all’ art. 159 ipotizza che il monitoraggio sull’andamento delle opere pubbliche possa esser svolta anche attraverso l’affidamento a soggetti pubblici e privati, mediante la stipula di apposite convenzioni. Ne risulta un quadro ampio, articolato in cui, a fronte della indifferenza di numerosi legislatori, quei pochi che prestano attenzione all’ipotesi sussidiaria si dimostrano comunque capaci di “svolgere” il principio nelle sue diverse coniugazioni e applicazioni; intenzionati a valorizzarne le potenzialità anche se con soluzioni che non sempre si possono ritenere rigorose. Coerentemente, sotto il profilo “soggettivo”, i legislatori regionali (con rarissime eccezioni) superano la stretta attenzione alla dimensione locale delle norme statali e sembrano considerare le dinamiche genericamente “sussidiarie” idonee ad una applicazione su tutti i diversi livelli di governo, regionale e sub regionale; e sull’opposto versante dei soggetti non istituzionali (a parte la ricordata eccezione della L. Friuli Venezia Giulia n. 15/2001 che include le imprese) mentre sono le forme del settore non profit ad essere identificate quali beneficiarie privilegiate del fenomeno sussidiario, fanno la loro apparizione anche le cosiddette autonomie funzionali, introdotte nel processo di decentramento dalla l. 59/97 e che rappresentano una ipotesi del tutto particolare del fenomeno sussidiario25. Sopra ogni altro considerazione colpisce comunque il fatto della ampiezza di strumenti, soluzioni, dimensioni in cui il principio si coniuga; ma anche la indecisione rispetto alle finalità, all’obbiettivo ultimo, al valore da assegnare alla scelta sussidiaria che resta così aperta a supportare logiche e dinamiche a volte anche del tutto deviate rispetto a quelle che vi avevano dato origine. 25 In materia la dottrina ha svolto elaborazioni di notevole interesse. Si vedano a proposito A. D’Atena, Sussidiarietà e autonomie funzionali, in L’Italia verso il “federalismo”, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 457 e ss.; A. Poggi, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Giuffrè, Milano, 2001. Per gli ulteriori sviluppi relativi alle autonomie funzionali si veda il paragrafo seguente. 4. La costituzionalizzazione del principio e la legislazione statale successiva– Il lavoro di interpretazione attorno al principio di sussidiarietà, in questi stessi anni, non si svolge però soltanto in sede di legislazione regionale. Esso infatti si pone al centro anche del dibattito relativo al testo di riforma costituzionale che si va elaborando in seno alla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (la cosiddetta "Bicamerale D’Alema") istituita con la legge costituzionale n.1 del 24 gennaio 1997. All’art. 5626 di quel testo infatti si prevede (giugno 1997) che: «Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni, Province, Regioni e Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli interessi dei cittadini, secondo il criterio di omogeneità e di adeguatezza delle strutture organizzative rispetto alle funzioni medesime. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato, secondo i principi di omogeneità e adeguatezza». A questa formula, che si basa decisamente sul metodo della valutazione comparativa e il criterio di “maggiore adeguatezza” si sostituisce pochi mesi dopo (novembre 1997) una redazione diversa che recita: «Nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall'autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, Province, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà e differenziazione. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato, secondo i criteri di omogeneità e adeguatezza. La legge garantisce le autonomie funzionali. È attribuita ai Comuni la generalità delle funzioni regolamentari ed amministrative anche nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle Regioni, ad eccezione delle funzioni espressamente attribuite dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali o dalla legge alle Province, alle Regioni o allo Stato, senza duplicazione di funzioni e con l'individuazione delle rispettive responsabilità (…)». Qui permane il favor per una sussidiarietà come criterio di prossimità/gravità che porta i comuni ad essere i destinatari naturali della funzione amministrativa, ma per le attività che possono adeguatamente svolgere i «cittadini, anche attraverso le formazioni sociali» si prescrive, da parte delle istituzioni pubbliche, un semplice “rispetto”, una necessaria osservanza, un fattore che richiede necessaria considerazione nel progettare e implementare le diverse scelte di governo. Come è noto, la Commissione Bicamerale non riuscì a portare a termine il proprio mandato. La formulazione che viene costituzionalizzata al termine della legislatura, nel 2001, in seguito alla approvazione sostanzialmente unilaterale del testo da parte della sola maggioranza di centro sinistra, non solo è profondamente diversa da quelle elaborate nel 1997, viene a collocarsi significativamente in coda all’art. 118 Cost., dedicato a deliberare i criteri per il riparto della potestà amministrativa. La noma prevede che: «1. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. 2. I Comuni, le Province e le Città Metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. 3. La legge statale disciplina le forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art.117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. 26 Il testo elaborato dalla Commissione si concentra sulla Parte Seconda della Costituzione, dedicata all’“Ordinamento Federale della Repubblica”. L’art. 56 è dunque il secondo toccato dalla proposta di riforma, ed è collocato al Titolo I “Comune, Provincia, Regione, Stato” dopo l’art. 55, in cui sostanzialmente si propone il testo oggi recepito nell’art.114 Cost. sviluppi in questo senso. Infatti il legislatore ha di recente previsto una interessante fattispecie di semplificazione dei controlli, invocando espressamente, a suo sostegno, il principio alla nostra attenzione. L’art. 30 della l. 6 agosto 2008, n.13336, prevede infatti che i controlli amministrativi periodici ed ogni altra attività di verifica svolta da un’istituzione pubblica (anche per il rinnovo o l’aggiornamento delle autorizzazioni necessarie all’inizio delle attività) sia sostituita dalla certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità di norme comunitarie o internazionali, riservando al soggetto pubblico una sorta di meta- controllo, mirato però esclusivamente alla verifica dell’attualità e della completezza della certificazione rilasciata dai privati. Non solo: ai sensi del comma 2, la fattispecie in esame attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione37, rispetto ai quali le regioni e gli enti locali, in ragione delle rispettive potestà, possono garantire livelli ulteriori di tutela. Non sfuggano le implicazioni di questa soluzione. La sussidiarietà, richiamata dal legislatore, si manifesta qui nell’avvicendamento di certificatori privati a discapito di quelli pubblici, e quindi il favor, su cui in queste pagine si riflette, consiste, in buona sostanza, in una privatizzazione sostanziale della attività di verifica. Il caso è per molti versi paradigmatico della contraddittorietà dell’idea, già ritenuta inammissibile al punto precedente, secondo la quale la sussidiarietà è immediata sostituzione dell’intervento pubblico a vantaggio dell’azione dei privati38. Consideriamone infatti gli esiti: - sotto il profilo della connessione, pur condivisibile, tra semplificazione amministrativa e sussidiarietà, gli effetti sono persino aberranti, avendosi nei fatti, un raddoppio dei livelli di controllo. La attività produttiva, o di servizio, che necessita di attestazione di qualità o di compatibilità ambientale, è controllata da certificatori privati, i quali devono, a loro volta, sottoporsi al controllo dell’amministrazione pubblica; - i certificatori privati non si attivano certo per loro «autonoma iniziativa», bensì, come è giusto che sia dal loro punto di vista, svolgendo imprenditorialmente questa attività, sono mossi dalla prospettiva del guadagno, dal fine di lucro; e questo, come vedremo meglio nelle pagine che seguono, è estraneo al modello sussidiario costituzionalizzato; - resta quindi del tutto da dimostrare, anzi sembra affatto impossibile che vi sia un abbassamento dei costi d’impresa, se ai costi relativi alla azione amministrativa (cui si continuerà a provvedere attraverso la contribuzione fiscale) si dovrà assommare la retribuzione dei certificatori privati; - infine, a fronte di una non diminuzione dei costi complessivi per l’esercizio di questo controllo (tra l’altro ineliminabile nei casi di cui si occupa la disposizione, i quali attengono la tutela dell’ambiente o la qualità della produzione o dei prodotti), non si ha nemmeno un innalzamento del livello di garanzia. Anzi, sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli (2) imposti dalla normativa comunitaria (…)››. 36…la quale, si veda infra in questo contributo, contiene i primi due richiami al principio rinvenibili nella nostra legislazione statale dopo la sua costituzionalizzazione, a sette anni di distanza. 37 L’art.117, comma 2, Cost., elenca le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, tra cui alla lettera m): ‹‹determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale››. 38 Per una critica ampia di ipotesi come queste si veda, per tutti, A. Albanese, Diritto all’assistenza e servizi sociali, Giuffrè, Milano, 2007, pag 119. l’idea di una relazione diretta tra soggetti privati attorno a profili così sensibili, il cui rispetto è essenziale per il prosieguo della attività d’impresa, fa temere fenomeni corruttivi, o quantomeno un abbassamento della soglia di attenzione. Resta a conti fatti di un certo interesse soltanto l’idea che il rispetto dei canoni imposti dal principio di sussidiarietà, pur in una ipotesi che si ritiene ad esso del tutto estranea, venga tutelato come livello essenziale delle prestazioni. Il che non ha solamente un valore di garanzia rispetto alla successiva legislazione regionale, ma anche in termini assoluti, rappresentando l’assunzione della sussidiarietà e delle sue implicazioni in seno al novero dei diritti civili e sociali. Un’altra manifestazione del “favorire” in forma omissiva, del non fare, viene espressa nella formula, tutta dottrinale, del cosiddetto “divieto di entificazione”39, presente in alcune delle leggi regionali che esamineremo a seguire. *** Rispetto alla espressione “cittadini, singoli e associati”, oltre a rinviare alla amplissima dottrina che in questi anni si sta concentrando ad indagare la dimensione attiva della cittadinanza40, possiamo appena dar conto dell’ampio dibattito sviluppatosi intorno alla possibile inclusione in questo novero di realtà appartenenti all’ambito economico-imprenditoriale. Il dibattito si è di recente concentrato sulla natura lucrativa delle attività, nella considerazione che il nostro legislatore ha nel tempo previsto distinte fattispecie di società in cui, originariamente e specificamente, lo scopo di lucro, almeno soggettivo, era del tutto assente41. Non è quindi superfluo ricordare in proposito la disciplina generale che si è voluta dare alla fattispecie (e in modo apparentemente risolutivo) con il d.lgs 24 marzo 2006, n. 155 Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 11842 . Il decreto sembra infatti muoversi proprio lungo la linea qui ipotizzata, consentendo di acquisire la qualifica di impresa sociale «a tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale»43. Dette organizzazioni, per accedere a tale qualificazione devono rispondere a due requisiti, e precisamente: a) utilità sociale (art.2), ovvero - avere come attività prevalente la produzione o lo scambio di “beni e servizi di utilità sociale”, in settori determinati44, laddove per “prevalente” si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell'organizzazione che esercita l'impresa sociale; o, in alternativa 39 Questa idea non è affatto nuova: fin dal 1968 J. Isnesee sosteneva l’idea che non si potessero istituire soggetti pubblici laddove si verificasse l’esistenza di privati che possono assicurare il risultato atteso a costi più contenuti o in modo complessivamente più efficiente. 40 Per tutti si veda G. Arena, Cittadini attivi, Laterza, Roma-Bari, 2006. 41 A titolo di esempio si ricordi la fattispecie di cui all’art. 90, L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per l'attività sportiva dilettantistica che, al comma 1, estende le disposizioni della l. 16 dicembre 1991, n. 398, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche, anche «le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro». 42 Si veda a riguardo F. Gagliarducci e A. Iurleo Impresa sociale, in C. Cittadino (a cura di), Dove lo Stato non arriva Pubblica amministrazione e Terzo settore, Passigli Editori, Firenze 2008, pag 125 e segg. 43 Art. 1, comma 1, d.lgs 155/2006 44 I settori sono l’assistenza sociale; l’assistenza sanitaria; l’assistenza socio-sanitaria, l’educazione, l’istruzione e la formazione; la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; la valorizzazione del patrimonio culturale; il turismo sociale; la formazione universitaria e post-universitaria; la ricerca ed l’erogazione di servizi culturali; la formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; i servizi strumentali alle imprese sociali). - esercitare attività di impresa, al fine dell'inserimento lavorativo di soggetti che siano i) lavoratori svantaggiati45 o ii) lavoratori disabili46, in misura non inferiore al trenta per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell'impresa. b) assenza dello scopo di lucro, ovvero destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio, essendo altresì vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Si noti ancora, e concludendo, come in questo stesso senso sembrino aprirsi ulteriori prospettive di un certo interesse che muovono verso la affermazione di una “responsabilità sociale d’impresa” quale “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”47. *** Per quanto riguarda la “autonoma iniziativa” si può rilevare come il senso paia essere quello di una attivazione spontanea, nello spirito della solidarietà sociale, e quindi, almeno secondo alcuni, lontana da qualsiasi forma di “retribuzione”48 diretta e piena. Sembrano in questo senso doversi quindi escludere dal novero della sussidiarietà anche tutti i casi di esternalizzazione dei servizi pubblici, su cui invece come vedremo la legislazione regionale ha fortemente insistito. È a questo proposito da ricordare come invece la prima menzione esplicita del principio in esame, a sette anni dalla sua costituzionalizzazione, sia proprio quella di cui alla legge n. 133 del 6 agosto 2008 (di conversione del d. l. del 25 giugno n. 112), che all’art. 23-bis mette a punto un nuovo modello di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. In essa si afferma (comma 1) che «l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” debba avvenire “assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione”, valori garantiti attraverso il più ampio possibile livello di concorrenza tra i soggetti erogatori. In questo senso (comma 10, lett.g) si dovranno “limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale» L’idea di sussidiarietà che qui si esprime è, in ragione di quanto abbiamo detto, ben distante da quella che sembra essere la lettera della Costituzione, la quale viene qui ad 45 … ai sensi dell'articolo 2, primo paragrafo 1, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione. 46 …ai sensi dell'articolo 2, primo paragrafo 1, lettera g), del citato regolamento (CE) n. 2204/2002. 47 Così l’art. 2, comma 1, lett. ff) del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. 48L’uso del termine è, in queste righe, volutamente non tecnico. Si è infatti ben consci del fatto dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogati sui principi di cui all’art. 36, comma 1, Cost. (secondo il quale «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa») e sulla formulazione dell’art. 2121 c.c. (che la definisce - ai soli fini del calcolo dell'indennità di mancato preavviso - come «le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con l'esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese», fino a che la Corte di Cassazione, sent. Sez. Unite 1/04/93 n.388 non ha affermato che non esiste nessun concetto legale unitario di retribuzione, e la sua individuazione discende dall’approccio interpretativo alle formule utilizzate. associazioni di volontariato e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e garantendo la qualità delle prestazioni. - Nello Statuto della regione Marche, invece, all’articolo 2 si afferma che la Regione (comma 5) garantisce la più ampia partecipazione delle forze sociali all'esercizio dell'attività legislativa e amministrativa; (comma 6) valorizza le autonomie funzionali e ne favorisce la partecipazione alla propria attività; (comma 7). favorisce, sulla base del principio di sussidiarietà, l'iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento delle attività di interesse generale. Di un certo interesse sono invece le soluzioni almeno parzialmente innovative proposte da Basilicata, Liguria, Piemonte e Puglia53, ove il modello sussidiario delineato dal testo costituzionale conosce un grado di approfondimento tale da offrire alla disposizione di cui all’art.118, 4° comma sviluppo e consistenza ulteriori. Così, nello Statuto della Basilicata si precisa che la sussidiarietà orizzontale verrà perseguita attraverso - la promozione e la salvaguardia, anche con strumenti di tipo fiscale ed economico, delle libertà di scelta dei cittadini tra servizi pubblici erogati da enti pubblici e da enti privati; - la promozione, con idonee azioni, dell’organizzazione dei servizi di interesse collettivo, con particolare attenzione alla popolazione non abbiente; Da parte sua la regione Puglia nel proprio Statuto afferma di esercitare la propria funzione di governo attuando il principio di sussidiarietà (articolo 1, comma 4): - come “responsabilità primaria delle istituzioni più vicine ai bisogni”; - come “integrazione costante con le iniziative delle formazioni sociali e del volontariato dirette all’interesse generale e alla tutela pubblica dei diritti universali”. Inoltre, (articolo 8, comma 2), la Regione si impegna a favorire la partecipazione delle autonomie locali e funzionali e delle formazioni sociali all’esercizio dell’attività legislativa. Lo Statuto della Liguria ipotizza (articolo 2, comma 2, lettera c) l’applicabilità della “sussidiarietà come metodo istituzionale di azione legislativa” e non solo amministrativa, nonché come principio fondante del rapporto fra istituzioni, autonomie funzionali e comunità, mentre in quello piemontese ci si impegna a valorizzare “il costituirsi di ogni associazione che intenda concorrere con metodo democratico alla vita della Regione e in particolare sostiene le iniziative per la realizzazione dei diritti e favorisce le forme di solidarietà sociale, l'associazionismo e il volontariato, assicurandone la partecipazione e la consultazione nello svolgimento delle funzioni regionali”(articolo 2, comma 3). Sono però gli Statuti di Calabria, Emilia Romagna, Toscana e Lombardia54 ad offrire gli spunti più significativi, ovvero a tentare una seria e profonda opera di 53…rispettivamente nei testi: Statuto della regione Basilicata, Proposta di legge statutaria, approvata il 22 dicembre 2003; Legge statutaria regione Basilicata, 3 maggio 2005 n. 1; Statuto della regione Puglia, Testo approvato dal Consiglio regionale, in prima lettura, ai sensi dell’articolo 123 della Costituzione della Repubblica italiana, con deliberazione n. 155 del 21.10.2003 e confermato, in seconda lettura, con deliberazione n. 165 del 3, 4 e 5 febbraio 2004; Statuto della Regione Piemonte, approvato dal Consiglio regionale con prima deliberazione in data 6 agosto 2004 e con seconda deliberazione in data 19 novembre 2004. 54 Rispettivamente nei testi: Legge statutaria regione Calabria, 19 Ottobre 2004, n.25; Legge statutaria regione Emilia Romagna, 31 marzo 2005, n. 13; Legge statutaria regione Lombardia, 30 agosto 2008, n. 1; Statuto regione Toscana, - approvato dal Consiglio regionale con prima deliberazione in data 6 maggio 2004 e con seconda deliberazione in data 19 luglio 2004, pubblicato sul BURT n. 12 dell’11 febbraio 2005, parte prima coniugazione del principio in seno al sistema politico-amministrativo. Si pensi ad esempio al caso dello Statuto della regione Calabria il quale si apre con la generica affermazione di voler ispirare la propria azione all’attuazione del principio di sussidiarietà “promuovendo e valorizzando l’autonoma iniziativa delle formazioni sociali, delle autonomie funzionali e dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, di soddisfacimento dei diritti e di realizzazione della solidarietà sociale” (articolo 2, comma 2, lettera e), ed esplicitando tra gli obbiettivi della propria azione - alla lettera l) la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi, anche favorendo l'associazionismo e le attività di volontariato, volto a garantire i diritti alla sicurezza sociale, allo studio, alla salute dei cittadini, […] operando per assicurare in ogni comunità del territorio regionale livelli essenziali di servizi; - alla lettera m) la partecipazione popolare e delle autonomie locali alle funzioni legislativa ed amministrativa, nonché al controllo dell'azione dei poteri pubblici. Di seguito però, a differenza di quanto avviene negli Statuti fin qui esaminati, qui alle enunciazioni si dà seguito e concretizzazione. Infatti, all’articolo 54, si legge che la Regione, al fine di riconoscere e favorire l’intervento delle autonomie locali, sociali e dei soggetti privati nella promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale “orienta i suoi interventi alle sole funzioni di indirizzo generale, alla determinazione degli standard e alla garanzia del corretto funzionamento dei servizi”, assumendo una scelta assolutamente inedita e molto decisa nel senso di una finalizzazione della sussidiarietà all’alleggerimento del carico di attività in mano pubblica e al ripensamento complessivo dei rispettivi ruoli di istituzioni e cittadini. Lo Statuto dell’Emilia-Romagna mette a punto il modello sussidiario concentrando innanzitutto la propria attenzione su una serie di disposizioni puntuali relative all’associazionismo e alle formazioni sociali. Così all’articolo 7 (Promozione dell'associazionismo) si afferma che “la Regione valorizza le forme di associazione e di autotutela dei cittadini e, a tal fine, opera per: a) favorire forme di democrazia partecipata alle scelte delle istituzioni regionali e locali, garantendo adeguate modalità di informazione e di consultazione; b) garantire alle associazioni ed organizzazioni della Regione pari opportunità nel rappresentare i vari interessi durante il procedimento normativo; c) tutelare i consumatori nell’esercizio dei loro diritti di associazione, informazione, trasparenza e controllo sui singoli servizi e prodotti”. All’articolo 9 (Le formazioni sociali) si prevede inoltre che, nell’ambito delle funzioni legislativa, d’indirizzo, programmazione e controllo, “la Regione riconosce e valorizza: a) l’autonoma iniziativa delle persone, singole o associate, per lo svolgimento di attività di interesse generale e di rilevanza sociale […] assicurando il carattere universalistico del sistema di garanzie sociali; b) la funzione delle formazioni sociali attraverso le quali si esprime e si sviluppa la dignità della persona e, in questo quadro, lo specifico ruolo sociale proprio della famiglia”. A seguire, l’articolo 64 (Enti, aziende, società e associazioni) prevede che la regione possa, con legge, “promuovere e istituire enti o aziende dotati di autonomia funzionale ed amministrativa o partecipare a società, associazioni o fondazioni”. Ciò avviene “nel rispetto dei principi di proporzionalità” e deve essere finalizzato “allo svolgimento di attività di interesse generale dei cittadini, singoli o associati”. La legge istitutiva degli enti e delle aziende regionali, oltre a determinare i principi generali della loro autonomia, attività e organizzazione, determina anche le modalità atte ad assicurare la partecipazione e il controllo degli utenti e dei soggetti direttamente interessati all'attività svolta dagli enti e dalle società (comma 2). Viceversa, nel caso in cui la Regione si avvalga di realtà autonomamente promosse da cittadini singoli o associati, per le finalità di cui sopra, la legge determina anche le modalità di controllo e verifica a cui le stesse sono assoggettate (comma 3). Lo Statuto della regione Toscana, dopo aver affermato all’articolo 3 (Principi generali): “i principi di sussidiarietà sociale e istituzionale” e di voler riconoscere e favorire “le formazioni sociali e il loro libero sviluppo”, all’articolo 58 (Principio di sussidiarietà) sostiene di voler conformare la propria attività al principio di sussidiarietà e di operare, a tal fine, per avvicinare nella più ampia misura ai cittadini l’organizzazione della vita sociale e l’esercizio delle funzioni pubbliche”. In questo senso, il successivo articolo 59 (Sussidiarietà sociale) impegna la Regione a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro aggregazioni per il diretto svolgimento di attività di riconosciuto interesse generale” (comma 1), indirizzando (comma 2) l’attuazione del principio di sussidiarietà sociale prioritariamente: al miglioramento del livello dei servizi; al superamento delle disuguaglianze economiche e sociali; a favorire la collaborazione dei cittadini e delle formazioni sociali, secondo le loro specificità, ai fini della valorizzazione della persona e dello sviluppo solidale delle comunità. Infine all’articolo 72 si precisa che le leggi regionali promuovono, secondo i principi di cui all'articolo 3, la partecipazione dei cittadini, dei residenti e dei soggetti sociali organizzati, nelle diverse forme: - come iniziativa autonoma verso l'amministrazione, - come libero apporto propositivo alle iniziative regionali, - come intervento nelle fasi formali di consultazione, - come contributo alla verifica degli effetti delle politiche regionali. Lo statuto della Lombardia, legge statutaria 30 agosto 2008, n. 1, compie invece una scelta diversa affermando, all’art.3 (“Sussidiarietà”), di voler garantire l’apporto dei privati (individuati non solo nei cittadini, singoli e associati, ma anche nelle famiglie, nelle formazioni e nelle istituzioni sociali, nelle associazioni e negli enti civili e religiosi) “nella programmazione e nella realizzazione dei diversi interventi e servizi pubblici, secondo modalità stabilite dalla legge regionale”. Inoltre, all’art. 5 comma 1) la regione dichiara il proprio impegno a riconoscere e promuovere il ruolo delle autonomie funzionali quali “soggetti esponenziali di comunità aggregate intorno a interessi pubblici di rilevanza regionale” e a coordinare la propria azione legislativa e amministrativa con le attività da queste svolte sul territorio. Una impostazione del tutto diversa dalle precedenti, dunque, mirata alla inclusione del fenomeno sussidiario, pur nella sua autonomia, in seno alla attività pubblico interesse e quindi, in sostanza, alla sua istituzionalizzazione. Al di là della impostazione generale fino a qui descritta, ci sembra opportuno segnalare anche alcuni “temi trasversali” che coinvolgono la produzione statutaria, soffermandoci sui profili relativi a le autonomie funzionali, i processi partecipativi e l’inclusione dei privati in seno ad organi dell’amministrazione. Gli enti espressione di autonomia funzionale hanno conosciuto una speciale attenzione fin da quando la sussidiarietà ha fatto la propria comparsa nell’ordinamento italiano55. Infatti la l. 59/97, nella messa a punto della ampia delega per il decentramento amministrativo, prevedeva, all’art. 3 comma 1 lett. b), nei decreti delegati ad essa conseguenti fossero “indicati, nell'ambito di ciascuna materia, le funzioni e i compiti da conferire alle regioni anche ai fini di cui all'articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e osservando il principio di sussidiarietà di cui all'articolo 4, comma 3, lettera a), della presente legge, o da conferire agli enti locali territoriali o funzionali”. In tal modo le autonomie 55 Per tutti si veda A. Poggi, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Giuffrè, Milano, 2001. dei lavoratori e degli imprenditori (comma 1) nonché delle autonomie funzionali e professionali, delle forze sociali e dell'associazionismo (comma 2) si “assicura” la loro “partecipazione e la consultazione nello svolgimento delle funzioni regionali mediante fasi formali di concertazione e di confronto”. L’ultimo dei temi trasversali che ci sembra opportuno segnalare può essere ravvisato nella diffusione del metodo della decisione concertata, e nella proliferazione di organi collegiali. In Toscana è prevista (art. 61 st. reg.) la istituzione, come struttura autonoma presso il consiglio regionale, della Conferenza permanente delle autonomie sociali. Lo statuto regionale si limita appena a prevedere che detta Conferenza debba riunirsi in almeno tre sessioni annuali, e che il suo principale compito sia esprimere proposte e pareri al consiglio ai fini della formazione degli atti della programmazione economica, sociale e territoriale, nonché (comma 2) per verificare gli esiti delle politiche regionali. Ogni altro dettaglio viene rinviato alla legge. È così solamente nel 2007, con la l.r. n.20, che questo organismo “espressivo della sussidiarietà sociale nella Regione” (art.1) ha preso corpo. Essa può formulare proposte sulla formazione degli atti di programmazione nelle materie di sua competenza, e svolge funzioni consultive, tramite - parere obbligatorio su alcuni tra i più rilevanti atti di programmazione economica, sociale e territoriale, generale e settoriale di competenza del Consiglio regionale; e parere - parere facoltativo sugli altri atti di programmazione economica, sociale e territoriale, generale e settoriale sottoposti all'esame del Consiglio regionale, laddove ne facciano richiesta una commissione consiliare permanente o un quinto dei consiglieri o i presidenti di almeno tre gruppi consiliari cui aderiscano, nel complesso, non meno di un quinto dei consiglieri La regione Puglia, all’art. 46 del proprio statuto istituisce, presso il consiglio regionale, una Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale. “Organo consultivo” della regione, vi prendono parte i delegati delle autonomie funzionali, delle formazioni sociali e del terzo settore, secondo “criteri di effettiva rappresentatività” (comma 3). Si riunisce in almeno due sessioni annuali e, analogamente alla conferenza istituita in Toscana, formula proposte e indirizzi, esprime pareri sui documenti generali di programmazione della regione, sulla legge finanziaria e redige il documento di valutazione dell’efficacia, efficienza ed economicità delle azioni programmate, anche attraverso il puntuale monitoraggio dei bilanci consuntivi della regione e degli enti, aziende e agenzie ad essa collegati. Diversamente la Lombardia (st. reg., art. 54) realizza un “Consiglio delle autonomie locali” che conta fino a quarantacinque componenti, in rappresentanza degli enti locali e delle loro organizzazioni maggiormente rappresentative che però si riunisce in composizione integrata da un massimo di quindici rappresentanti delle autonomie funzionali e sociali, per esprimere parere sullo Statuto, sul programma regionale di sviluppo e i suoi aggiornamenti, sui piani e programmi relativi all'innovazione economica e tecnologica, all'internazionalizzazione e alla competitività. Rispetto al parere espresso dal consiglio delle autonomie locali su questi atti, il Consiglio regionale e la Giunta possono discostarsi dal parere con motivazione espressa in relazione ai singoli rilievi formulati. 5.2 La normazione regionale successiva alla riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione. Le leggi regionali - Il nostro esame, da ultimo, deve prendere in considerazione le leggi regionali approvate dopo la riforma costituzionale. Pur nella situazione complessiva che abbiamo illustrato in apertura del paragrafo precedente, infatti, numerose sono le norme che direttamente o indirettamente, in modo esplicito o implicito, prendono ispirazione dal principio di sussidiarietà orizzontale. Si noti innanzitutto che non esistono norme “organiche” in materia, che diano del principio un’interpretazione e quindi un’applicazione trasversale ed ampia. L’unica eccezione è costituita dalla L.r. Umbria n.16 del 2006 “ Disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione di Comuni, Province, Regione, altri Enti Locali e Autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione”, la quale, in assoluta coerenza con l’impostazione costituzionale precedentemente descritta, apre la strada a prospettive e a soluzioni nuove, funzionali, efficaci. Ponendosi come finalità (articolo 1, comma 3) la promozione della cittadinanza sociale, la partecipazione, la responsabilità sociale e la compartecipazione, in questa legge si afferma di voler indirizzare il principio di sussidiarietà e semplificazione prioritariamente a: - il miglioramento del livello dei servizi - il superamento delle disuguaglianze economiche e sociali, - favorire la collaborazione dei cittadini e delle formazioni sociali, secondo la loro specificità, ai fini della valorizzazione della persona e dello sviluppo solidale della comunità (articolo 1, comma 1) In altri termini, lontani da logiche di mera privatizzazione o di esternalizzazione, qui si tenta la messa in atto di un sistema non più antagonista tra il sistema pubblico e i privati, che vengono sollecitati ad attivarsi sia nelle forme della partecipazione che in quelle più concrete della sussidiarietà alla cura delle attività di interesse generale. Anche a questo proposito la norma in esame si rivela del tutto unica per precisione e apertura. Essa infatti non lascia indeterminato il novero di tali attività, ma ne offre una lista puntuale consistente ne: - i servizi pubblici sociali, - i servizi culturali, - i servizi volti alla valorizzazione del lavoro e dell’impresa e al rafforzamento dei sistemi produttivi locali, - i servizi alla persona e comunque tutte le prestazioni utili alla generalità dei cittadini e alle categorie svantaggiate, con particolare riferimento a forme di erogazione e svolgimento dei servizi che privilegiano la libera scelta e l’autosostentamento in una logica di collaborazione e di co-progettazione territoriale. Restano diversamente, e coerentemente, escluse, sia le attività inerenti al servizio sanitario nazionale (le quali infatti, fin dalla L.833/7859 sono assunte saldamente in mano pubblica), e quelle a carattere strettamente economico-imprenditoriale, in sé del tutto estranee al modello sussidiario. Alla luce di questo assetto l’art.4 della L.r. Umbria 16/2006 delinea un vero e proprio procedimento ad iniziativa dei soggetti che intendano promuovere iniziative per lo svolgimento di attività di interesse generale, i quali devono predisporre “progetti specifici in coerenza con gli obiettivi della programmazione regionale generale e di settore”, i quali saranno valutati dalla giunta regionale e, allorquando ritenuti idonei, daranno titolo ad ottenere sia misure a carattere economico-finanziario, anche concernenti la riduzione ed esenzioni da tariffe e canoni (ma anche benefici e agevolazioni di carattere fiscale); sia la esenzione da forme di pagamento per qualsiasi documento prodotto o comunque trattato dai soggetti della sussidiarietà orizzontale. 59 Legge 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale. Al di là di questa fortunata eccezione, volendo dare ordine al complesso delle leggi regionali che si sono approvate in questa fase, esse possono essere classificate, in ragione dell’oggetto a cui si riferiscono, in quattro distinti ambiti: - leggi sul sistema integrato di servizi sociali e di attuazione della legge 328 del 2000; - leggi sulla promozione e la valorizzazione della cittadinanza attiva, dell’associazionismo, del terzo settore; - leggi di promozione della famiglia, della maternità, dell’infanzia e della gioventù; - leggi che si dedicano a specifiche tematiche e ambiti particolari (soprattutto quelli della assistenza alle vittime della violenza domestica, e della cultura e della formazione. La sicura competenza legislativa regionale nella materia dei servizi socio-assistenziali, sanitari e alla persona, e la forte impostazione già impressa al sistema dalla legge 328 del 2000, fanno sì che, come è evidente dallo schema proposto, di fatto proprio in questo ambito, in questi settori, si sia trovato l’ambito preferenziale in cui dare applicazione al principio di sussidiarietà orizzontale. Da un punto di vista generale possiamo innanzitutto affermare che, nelle legislazione regionale la distinzione tra le forme di gestione dei servizi pubblici e il modello sussidiario che qui abbiamo proposto non è affatto avvertita: in tutte queste disposizioni sono infatti diverse forme di affidamento a terzi delle prestazioni sociali ad essere etichettate come “sussidiarietà”, o ancora la affermazione del”diritto di scelta” degli utenti in una pluralità di offerta pubblica e privata. La lettura di queste disposizioni (al pari di quelle statali sui servizi pubblici locali già ricordate) rivela una visione parziale, in gran parte deviante rispetto alla disposizione costituzionale, che sembra rafforzare e rinnovare una visione “neoliberista” del tutto estranea non solo alla ratio dell’art.118, ultimo comma, Cost., ma anche alle origini dell’idea stessa in seno al pensiero politico liberale e cattolico. L’aspetto forse maggiormente inquietante è quello di una “funzionalizzazione” dell’autonomia individuale e delle forme associative. La attività e le risorse di questi, infatti, vengono intese come facoltativamente attivabili e alternativamente esperibili rispetto a scelte di gestione in mano pubblica, e quindi si ritengono, naturalmente disposte ad essere eterodirette e disciplinate. Da ricondursi nel solco della programmazione pubblica. Questo utilizzo della sussidiarietà,o meglio la sua mancata utilizzazione, il suo fraintendimento, la sua riduzione a generico richiamo per ogni iniziativa che coinvolga (anche opportunamente) i soggetti del Terzo Settore, si traduce nelle varie disposizioni regionali o in scelte mancate, rinvii, mere enunciazioni, oppure dà corpo a soluzioni più o meno confuse che riverberano su tutti gli aspetti caratterizzanti il principio. Così, mentre si dice poco o nulla sul ruolo e sulla capacità propulsiva dei soggetti pubblici, l’elenco dei soggetti privati è amplissimo e va, a seconda dei casi, dal richiamo ai singoli, alle famiglie o alle associazioni familiari, fino alle organizzazioni di volontariato; alle cooperative sociali e agli organismi della cooperazione, alle società di mutuo soccorso, alle fondazioni, agli enti di patronato. Più rari invece sono i richiami agli oratori (L.r. Lombardia 22/2001)o alle imprese (L.r. Umbria 16/2001). A volte, specie nelle leggi relative alla promozione del terzo settore (L.r. Emilia Romagna, e L.r. Marche) si inseriscono norme definitorie relative alle procedure e ai requisiti per la costituzione dei soggetti del privato sociale che vanno a modificare(agli effetti della legge regionale ) quelle offerte dalla legislazione statale. E ciò, in ragione di quanto abbiamo detto al paragrafo precedente, lascia lo spazio per qualche dubbio di legittimità costituzionale vista la riserva di legge statale Il riferimento per il paragrafo 5.2. è alle seguenti leggi BASILICATA: 1. legge 14 del 9 agosto 2007 - Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 14 febbraio 2007, n.4 (Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale) CALABRIA: 1. legge 1 del 2 Febbraio 2004 - Politiche regionali per la famiglia 2. legge 19 del 21 Agosto 2007 - Servizi di vigilanza ecologica – Guardie ecologiche volontarie 3. legge 20 del 21 Agosto 2007 - Promozione e sostegno di centri antiviolenza e case d'accoglienza EMILIA-ROMAGNA: 1. legge 2 del 12 Marzo 2003 - Norme per la promozione della cittadinanza sociale 2. legge 12 del 30 Giugno 2003 - Norme per l'uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere 3. legge 12 del 6 Luglio 2007 - Recupero e promozione di prodotti alimentari a fini sociali 4. legge 34 del 9 Dicembre 2002 - Norme per la valorizzazione delle associazioni di promozione sociale FRIULI VENEZIA GIULIA: 1. legge 20 del 18 Agosto 2005 - Sistema educativo integrato dei servizi per la prima infanzia 2. legge 11 del 23 Maggio 2007 - Promozione e sviluppo del servizio civile nel territorio regionale 3. legge 12 del 23 Maggio 2007 - Promozione della rappresentanza giovanile, coordinamento e sostegno delle iniziative a favore dei giovani 4. legge 20 del 26 Ottobre 2006 - Norme in materia di cooperazione sociale 5. legge 6 del 31 Marzo 2006 - Sistema integrato d'interventi e servizi per la promozione e la tutela LIGURIA: 1. legge 12 del 24 Maggio 2006 - Promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosanitari 2. legge 32 del 13 Agosto 2007 - Disciplina e interventi per lo sviluppo del commercio equo e solidale 3. legge 7 del 20 Febbraio 2007 - Norme per l'accoglienza e l'integrazione sociale degli immigrati 4. legge 12 del 21 Marzo 2007 - Interventi di prevenzione della violenza e a sostegno delle vittime LOMBARDIA: 1. legge 6 del 3 Giugno 2003 - Norme per la tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti 2. legge 34 del 14 Dicembre 2004 - Politiche regionali per i minori 3. legge 13 del 12 Luglio 2007 - Riconoscimento degli ecomusei per la valorizzazione della cultura 4. legge 25 del 11 Dicembre 2006 - Politiche regionali di intervento contro la povertà attraverso la promozione dell´attività di recupero e distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale MARCHE 1. legge 9 del 28 Aprile 2004 - Norme per la promozione, il riconoscimento e lo sviluppo delle associazioni PIEMONTE: 1. legge 1 del 8 Gennaio 2004 - Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di intervento 2. legge 7 del 7 Febbraio 2006 - Disciplina delle associazioni di promozione sociale PUGLIA: 1. legge 5 del 2 Aprile 2004 - Disciplina delle associazioni di promozione sociale 2. legge 19 del 10 Luglio 2006 - Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali SARDEGNA: 1. legge 23 del 23 Dicembre 2005 - Sistema integrato dei servizi alla persona. 2. legge 8 del 7 Agosto 2007 - Norme per l'istituzione di centri antiviolenza e case di accoglienza 3. legge 6 del 7 Agosto 2007 - Modifica ed integrazioni alla Legge 27 del 15 Ottobre 1997 (Riconoscimento del ruolo sociale delle società di mutuo soccorso ed interventi a tutela del loro patrimonio storico e culturale) SICILIA 1. legge 10 del 31 Luglio 2003 - Norme per la tutela e la valorizzazione della famiglia TOSCANA: 1. legge 41 del 24 Febbraio 2005 - Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti 2. legge 20 del 4 Aprile 2007 - Disciplina della Conferenza permanente delle autonomie sociali 3. legge del 19 Dicembre 2007 - Norme sulla promozione della partecipazione 4. legge 17 del 08 Maggio 2006 - Disposizioni in materia di responsabilità sociale delle imprese TRENTINO ALTO ADIGE 1. legge provinciale 17 del 19 Ottobre 2007 - Modificazioni della legge provinciale 12 marzo 2002, n. 4 (Nuovo ordinamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia) UMBRIA: 1. legge 30 del 22 Dicembre 2005 - Sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia 2. legge 28 del 3 Ottobre 2007 - Interventi per il sostegno e la qualificazione dell’attività di assistenza familiare domiciliare 3. legge 23 del 9 Luglio 2007 - Riforma del sistema amministrativo regionale e locale 4. legge 16 del 4 Dicembre 2006 - Disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione di Comuni, Province, Regione, altri Enti Locali e Autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione VALLE D'AOSTA 1. legge 6 del 17 Aprile 2007 - Nuove disposizioni in materia di interventi regionali di cooperazione VENETO 1. legge 23 del 03 Novembre 2006 - Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale