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PROEMIO HISTORIAE TACITO, Appunti di Latino

Proemio Historiae Tacito I,1-4: testo, traduzione, commento, analisi e figure retoriche

Tipologia: Appunti

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Caricato il 07/01/2020

carolina.grossetti
carolina.grossetti 🇮🇹

4.6

(161)

67 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica PROEMIO HISTORIAE TACITO e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! Commento proemio ​Historiae All’interno del testo si colgono echi significativi a: ● Proemio delle Historiae di Livio ● Proemio degli Annales ● Proemio delle Historiae di Sallustio → Come il predecessore Tacito esordisce con un’indicazione precisa del punto di partenza della sua narrazione, il 69 d.C. In seguito dà una valutazione della tradizione storiografica precedente, ma mentre Sallustio aveva espresso un giudizio positivo su alcuni autori, come Catone, qui Tacito condanna tutta la produzione storiografica successiva all’instaurazione del principato, affermando che non solo vennero meno le qualità artistiche, ma soprattutto la verità. Alla fine viene proposta la tradizionale promessa di imparzialità sia nei confronti dei tre principi Galba, Otone e Vitellio, da cui l’autore non ha ricevuto né favori né offese, sia nei confronti dei tre flavi, ai quali, invece, riconosce di essere debitore. In questa sezione, in particolare, sembra echeggiare un analogo passo Tucidideo delle Historiae 22, 1-4. Paragrafo 1-2 : Tacito afferma che la sua opera storica avrà inizio dal 69 d.C., anno di avvio del consolato di Galba, che riveste la sua carica per la seconda volta consecutiva, insieme a Vinio. Egli, dunque, motiva la sua scelta affermando che numerosi storici si sono già occupati degli 820 anni che vanno dalla fondazione di Roma al 69 d.C., anni durante i quali l’eloquenza era pari alla libertà di parola. Con l'instaurarsi dell’impero, però, la verità è stata violata per vari motivi, elencati da Tacito mediante la correlazione degli avverbi mox, primum e rersus: ● per l’inesperienza della vita politica, vissuta dagli storici come una “realtà estranea” ● per il desiderio smodato di adulazione ● per l’odio verso i padroni Proprio per questi motivi, dunque, si perse ogni forma di preoccupazione nei confronti dei posteri: gli storici erano troppo impegnati a essere avversari politici dei dominantes, o loro servi. Paragrafo 3-4: Tacito dichiara orgogliosamente di non aver conosciuto i tre imperatori né per benefici nè per ingiurie e dunque di non appartenere nè alla schiera dei servi nè alla schiera degli avversari politici. Afferma, poi, che la sua carriera politica è innegabilmente iniziata con Vespasiano e poi proseguita con Tito e Domiziano. Tuttavia, egli dice di essersi mantenuto imparziale e di non aver rinunciato alla verità per adulare questi tre uomini. Infine dice di aver destinato alla vecchiaia la trattazione sul principato di Nerva e l’impero di Traiano, che offrono una materia più ricca e più sicura. Tacito sembra quindi affermare che sotto traiano si sia in parte recuperata una certa libertà, anche di parola, ma poi, di fatto, non dice nulla di significativo su quel periodo, come se in ogni caso fosse meglio non esporsi troppo. Fin dal proemio emerge un modo di esprimersi oscuro e stringato, tipico dello scrivere Tacitiano Analisi dei termini ● rettulerunt: indica la narrazione storica. A partire da questo termine l’autore inserisce la contrapposizione tra gli storici di età anteriore e posteriore alla Battaglia di Azio (31 a.C.) ● pari eloquentia ac libertate: gli storici di età precedente alla battaglia di Azio, infatti, hanno potuto esprimersi con bello stile e libertà di parola, ma dopo la battaglia e l’instaurarsi del principato si è prodotta l’insanabile dicotomia tra res e verba, quindi alla ricerca dell’eleganza di espressione ora non corrisponde più la serietà del contenuto ● postquam bellatum: da questa espressione capiamo che Tacito, in realtà, distingue in tre periodi: 1. il periodo repubblicano 2. il periodo del principato fino a tutta l’età Flavia 3. il periodo presente, sotto Traiano ● pacis: rappresenta la fine delle guerre civili, caratterizzata dalla licentia, ossia l’esasperazione e la conseguente negazione della libertà stessa. L’instaurazione di un regime politico, quindi, viene considerata come un rimedio apportatore di un ordine interno che nel periodo delle guerre civili era venuto a mancare. ● libidine adsentandi: si tratta di uno dei peggiori vizi di età imperiale ● odio adversus dominantes: Tacito dice l’odio nuoce alla verità tanto quando il desiderio di adulazione. Il risentimento nei confronti di chi è al potere, infatti, impedisce al cittadino di dare il suo contributo allo stato, pur entro i limiti del principato. L’autore, poi, ribadisce che la storiografia è al servizio della posterità, o che almeno dovrebbe esserlo, secondo il concetto etico-politico tradizionale a roma per cui la storia è maestra di vita. ● inter...obnoxios:l’espressione serve a chiarire il neutris e indica le due classi di storici: 1. quelli mossi da odio nei confronti del princeps 2. quelli desiderosi di adulare il princeps Obnoxios indica chi è legato a qualcun altro o a qualcosa, come la superstizione, da vincoli di servitù o dal desiderio di adulazione. L’aggettivo compare insistentemente anche negli Annales, 13 volte, a riprova del pessimismo tacitiano ● ambitionem: Tacito sottolinea che in età repubblicana ci si ricavava il favore degli elettori, mentre ora si ricerca il favore dell’unus ● amore...odio: sembra riecheggiare il passo degli annales “sine ira et studio”=senza animosità e simpatia, con cui ribadisce la sua imparzialità. ● livor: serve a indicare l’atmosfera di uno stato soggetto al volere del princeps Si osservi come fin dal proemio delle Historiae Tacito si ponga seriamente e sinceramente il problema della libertà. La libertas di cui egli parla diventa la capacità di accettare lo stato di fatto, sapendo cogliere quanto di buono è rimasto nel tempo presente. Essa è, quindi, l’accettazione di un auctoritas di cui non si può fare a meno. Anche in questa condizione, tuttavia, non bisogna mai abbassarsi alla servitù, ma cercare di collaborare, fin dove è possibile, per il bene dello stato. Tacito, quindi, esalta l’uomo politico che lavora a favore dello stato e non celebra le ambiziose morti di personaggi come Seneca, sebbene ne parli in quanto eventi spettacolari e teatralizzati. Tacito, infatti, sa che manca la libertà, ma sa anche che è stato necessario barattarla in cambio della pace. Per ottenere la tranquillità e la fine delle guerre civili, infatti, si era reso necessario affidare il potere nelle mani dell’unus. Ora, quindi, l’unus può fare ciò che vuole e quindi può anche rifiutare l’appoggio e l’aiuto del senato, ma bisogna continuare a cercare di fare il bene della patria, senza suicidarsi. Ricordiamo, infine, che Tacito era fortemente sostenitore del senato: data la sua consapevolezza politica, quindi, non mirava al recupero della libertà repubblicana, ma quanto meno al recupero da parte del senato di esporre le proprie idee e farla valere davanti all’unus. [la gens giulio-claudia nelle sue opere viene descritta in maniera molto negativa proprio perché non accettò mai la collaborazione del Senato]. Il rapporto tra eloquenza e libertà era già stato trattato da Tacito attraverso il personaggio di Curiazio Materno, nel ​Dialogus de oratoribus, 37, 3-6: Non so se vi siano venuti tra le mani quei vecchi documenti che si trovano ancora nelle biblioteche dei collezionisti di antichità e che proprio adesso vengono raccolti da Muciano, che li ha ordinati ed editi, mi sembra, in undici libri di Atti e in tre di Lettere. Da essi si può comprendere come Gneo Pompeo e Marco Crasso, si siano affermati non solo grazie alla forza delle armi, ma anche per il loro talento oratorio; come i Lentuli, i Metelli, i Luculli e i Curioni e tutta l'altra numerosa schiera di personalità abbiano dedicato a questi studi lavoro e passione; e come nessuno in quei tempi sia giunto ad avere una grande potenza senza un qualche dono dell'eloquenza. A ciò si aggiungeva la posizione prestigiosa degli accusati e l'importanza delle cause, fattori che costituivano un grande stimolo per l'eloquenza. ​Perché c'è una grande differenza tra il dover parlare di un furto o di una formula o di una ordinanza straordinaria di un pretore, oppure invece di broglio elettorale nei comizi, di saccheggio subìto dagli alleati o di un massacro di cittadini. È certo meglio che questi mali non si verifichino e la miglior condizione politica non può non essere quella in cui non dobbiamo soffrire niente di simile; però, quando tali fatti capitavano, fornivano copioso materiale all'eloquenza. Con l'importanza del tema cresce infatti la forza del talento e nessuno può produrre un discorso smagliante e famoso, se non trova una causa adeguata​. Non sono, penso, a dar lustro a Demostene i discorsi composti contro i suoi tutori, e non è la difesa di Publio Quinzio e quella di Licinio Archia a fare di Cicerone un grande oratore: no, ​sono Catilina e Milone e Verre e Antonio ad avergli creato l'aura di questa fama​. Non dico che fosse un bene per lo stato dover subire cittadini malvagi, perché così gli oratori avevano materia a dovizia per i loro discorsi, ma, come insisto a rammentare, ricordiamoci qual è il punto e rendiamoci conto che il discorso riguarda un'attività che si afferma più facilmente in tempi torbidi e di turbamento politico.
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