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PSICOLOGIA GENERALE SM, Dispense di Psicologia Generale

Programma completo psicologia generale

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 13/06/2022

Skert
Skert 🇮🇹

4

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13 documenti

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Scarica PSICOLOGIA GENERALE SM e più Dispense in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE Alcuni psicologi lavorano a contatto con atleti o squadre di alto livello, dando loro la possibilità di massimizzare le probabilità dell’atleta o della squadra di raggiungere il loro obiettivo agonistico. Le relazioni tra sport e psicologia sono tantissime poiché le connessioni mente-corpo sono di vitale importanza durante le attività fisiche, così come la concentrazione, il controllo emotivo- motivazionale, la coordinazione, dinamiche apprenditive ecc… La psicologia è lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali degli individui. Già da questa definizione distinguiamo i termini:  “Comportamento”, ovvero il mettere in atto determinate azioni in risposta a specifici stimoli. La psicologia studia il comportamento osservabile (sorridere, correre ecc…) sia degli umani che degli animali all’interno di uno specifico contesto.  “Processi mentali”, ovvero i meccanismi di funzionamento della mente (pensare, ragionare, decidere ecc…) messi in relazione sia all’aspetto biologico che all’aspetto sociale e culturale. La nascita della psicologia sperimentale si colloca nel 1879 grazie a Wilhelm Wundt, il quale aprì il primo laboratorio di psicologia a Lipsia con approccio scientifico. Secondo Wundt l’oggetto di studio doveva essere l’esperienza umana immediata. Il metodo scientifico utilizzato quindi parte dall’identificazione, del controllo e della qualificazione delle variabili psichiche. Da Wundt partono numerosi studiosi, tra cui Titchener, fondatore della corrente dello Strutturalismo. Anche lui sostiene come oggetto di studio l’esperienza, ma a differenza delle altre scienze come, ad esempio, la fisica essa dipende dal soggetto esperiente. Per Titchener dobbiamo studiare l’esperienza immediata studiando:  Mente, ovvero la somma di tutti i processi mentali che hanno luogo nella vita di una persona.  Coscienza, ovvero la somma di tutti i processi mentali che hanno luogo in un determinato momento della vita di una persona. Lo scopo era quello di ridurre i processi consci alle loro componenti più semplici e fondamentali e determinare il modo in cui questi elementi sono fra loro combinati con le relative leggi combinatorie. Per gli strutturalisti la coscienza è divisa in tre stati:  Sensazioni, elementi fondamentali della percezione e ricorrono nei suoni, nelle immagini visive, negli odori e nelle esperienze provocate da oggetti fisici presenti nell’ambiente dell’osservatore.  Immagini, elementi che formano le idee e compaiono nel processo che raffigura l’esperienza non simultanee.  Stati affettivi, componenti elementari delle emozioni come amore, odio ecc… Questi stati elementari potevano essere descritti tramite degli attribuiti, come ad esempio la qualità (freddo, rosso), intensità (forte, debole), durata (1 min.) o chiarezza (ruolo dell’attenzione: diverso da altri stimoli). I processi sensoriali come la vista, il tatto ecc… hanno anche l’attributo dell’estensione, in quanto si esplicano nello spazio. Gli strutturalisti utilizzano come metodo di indagine l’introspezione che consiste nell’osservazione di sé stessi, raccontando ciò che sensorialmente sentivano, depurandolo dall’aspetto emotivo. Anni dopo James fonda un’altra corrente, il Funzionalismo, che si contrappone allo strutturalismo. Prendendo spunto da Darwin, i funzionalisti affermano che i processi mentali sono anch’essi il risultato di un processo evolutivo di adattamento; non ha senso quindi scomporre negli elementi fondamentali, ma i processi devono essere studiati della loro integrità, studiando non tanto il contenuto del pensiero, ma la funzione. La psicologia è la scienza che studia la funzione e le cause dei comportamenti e dei processi mentali, in particolare studia l’apprendimento, ovvero in che modo gli esseri si modificano come risposta all’ambiente. La vita psichica è unitaria, un processo globale. Tra le funzioni mentali legate all’evoluzione, o adattive, troviamo ad esempio le abilità spaziali, le emozioni, la motivazione o l’apprendimento. La coscienza per i funzionalisti viene vista come un flusso dinamico, continua e costante. La Gestalt, o psicologia della forma, è un movimento che sorge in Germania all’inizio del “900 e si contrappone allo strutturalismo e al funzionalismo. Il centro d’indagine della Gestalt è il fenomeno, il quale, affermano, non si può spiegare scomponendolo in una “somma” di elementi (come lo strutturalismo), poiché il tutto sarà sempre più della somma delle singole parti; ciò che si considera in un fenomeno è la totalità di esso, intesa come organizzazione e struttura degli elementi che lo determinano. Il fenomeno è spiegato dal concetto di melodia: qualunque melodia ha caratteristiche diverse da quelle delle note che la compongono, nonostante esse siano sempre quelle singole; essa, infatti, dipende dalle relazioni tra gli elementi che la compongono. Il fondatore della Gestalt fu Wertheimer, il quale scoprì il “movimento apparente o stroboscopio” è un fenomeno (“fenomeno fi”) che non può essere dato dalla somma di stimoli statici, per cui è frutto di una riorganizzazione percettiva. Se su uno schermo nero si proiettano due stimoli da sinistra a destra con un intervallo di tempo dall’altro tra 50-100ms l’osservatore percepirà un unico stimolo luminoso da sinistra e destra. Grazie a questa scoperta nasce il cinema, in cui i fotogrammi sono fissi, ma è l’osservatore che li organizza percettivamente unificandoli per cui vede un insieme in movimento. La Gestalt assume quello che possiamo chiamare “Atteggiamento fenomenologico”: occorre privilegiare i fatti come li percepiamo. I modelli psicologici hanno valenza se riescono a spiegare fatti derivanti dall’esperienza e non se vanno alla ricerca di sensazioni elementari che rischiano di snaturare l’oggetto come realtà organizzata. Freud fu il padre della “Psicanalisi”, termine che compare nel 1896; esso è un metodo di indagine dei fenomeni psichici, basato sull’idea che la vita psichica è caratterizzata da processi inconsci. Freud era un medico che si appassionò allo studio del disagio psichico, in particolare dell’isteria, ovvero quell’insieme di disturbi organici presenti nonostante un’assenza di alterazioni corporee; Freud scopre allora che le alterazioni funzionali avevano in realtà un’origine psichica e non somatica (Il caso di Anna O). Freud inizia a frequentare altri medici che cercavano una cura all’isteria. La soluzione si trovò adottando il metodo dell’ipnosi, che permetteva di fare scomparire o apparire i sintomi; tuttavia, una volta finito l’effetto dell’ipnosi i sintomi ricomparivano. Freud capì allora che bisognava trovare altri metodi, in particolare la soluzione ricadde sul cosiddetto metodo “catartico”. Nella catarsi il paziente ipnotizzato veniva invitato a ricordare (ricordo cosciente), infatti i sintomi isterici venivano considerati dei processi psichici normali e dal ricordo del motivo che li ha originati. Il sintomo si verifica quando di fronte a un trauma non si verifica una reazione emotivo-effettiva adeguata e ciò causa quello che è il sintomo. Grazie a questi studi, Freud capisce che la coscienza fosse solamente una piccola parte di noi che emerge e che appare, mentre esiste un’altra parte di noi più nascosta che Freud chiama “Inconscio”. La prima fase del metodo scientifico consiste nell’effettuare delle osservazioni, dalle quali definire un problema. Dopo questa fase si propone un’ipotesi, la quale non è semplicemente una domanda, ma già un’affermazione o una spiegazione provvisoria di un evento, verificabile e osservabile. Dopo tutto ciò bisogna raccogliere le prove e verificare l’ipotesi stessa. Infine, bisogna costruire una teoria che riassume le osservazioni, le spiega e guida verso ricerche ulteriori; i risultati vengono poi pubblicati in articoli scientifici per condividere la conoscenza e permettere agli altri studiosi di replicare quello studio. La scienza progredisce “falsificando”, ovvero mettendo alla prova una buona teoria e vedendo se essa è verificabile o falsificabile; quando la teoria resiste ai tentativi di falsificazione, essa è temporaneamente accettata. La scienza non procede in linea retta, ma ci sono delle rivoluzioni; in psicologia succede la stessa cosa: partiamo da un paradigma A (es. comportamentismo), esso entra poi in crisi e tramite degli esperimenti viene falsificato, portando alla formulazione di un paradigma B (es. cognitivismo) che poi potrà essere falsificato. Una distinzione che possiamo fare è tra:  Ricerca Sperimentale, ovvero quegli studi in cui si modifica una condizione che si ritiene influenzi un comportamento. Si creano due o più gruppi e si verifica se la modificazione della condizione ha qualche effetto sul comportamento. Gli esperimenti sono prove formali che lo studioso fa per confermare o negare l’ipotesi di partenza, permettendoci di mettere a fuoco le relazioni causa-effetto. I gruppi sono appunto due: un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo, che ci permette di fare un confronto e la relazione causa-effetto. La condizione sperimentale ci permette quindi di verificare la cosiddetta “variabile dipendente”; la variabile è una condizione o un fenomeno che può cambiare valore e che può essere modificata durante un esperimento. Le variabili su cui si concentra lo sperimentatore sono la “variabile indipendente”, intesa più come causa, e la “variabile dipendente”, intesa più come effetto. Tuttavia, ci sono altre variabili in un esperimento, come la “variabili estranee”, che sono quei fattori che possono agire o influire sulla variabile dipendente; per controllare queste variabili posso ad esempio assegnare casualmente i soggetti nei gruppi. La valutazione statistica dei risultati nella ricerca sperimentale ci porta a capire se la mia ipotesi è verificata o meno; nella valutazione dei dati si commette un errore: se l’ipotesi è vera ci sarà una piccola percentuale di errore (5%); se è falsa possono rifiutarla. Grazie alla Meta-analisi, diversi studi sulle stesse osservazioni vengono riuniti definendo dove magari è stato verificato e dove non è stato replicabile. Nei partecipanti si può avere un cambiamento, dettato semplicemente dalle loro aspettative nel confronto di un eventuale miglioramento. Inoltre, può avvenire il cosiddetto “effetto placebo”, ovvero un meccanismo psicologico di natura psicosomatica che consiste nell’assunzione di un finto farmaco grazie a cui il partecipante sarà convinto di poter avere un vero e proprio miglioramento; all’opposto troviamo il “effetto nocebo”, ovvero mi aspetto delle conseguenze negative e queste mi vengono veramente. Per evitare questi effetti si adotta l’esperimento con il “singolo cieco,” ovvero ai partecipanti non viene detto in quale gruppo partecipano. Anche le aspettative dello sperimentatore possono influenzare il comportamento dei partecipanti allo studio (“effetto Rosenthal”); in questo caso si utilizza l’esperimento con il “doppio cieco”, in cui nemmeno lo sperimentatore è consapevole della natura dei due gruppi.  Ricerca Non Sperimentale, nelle quali non si manipolano variabili indipendente. Tra i metodi non sperimentali troviamo: - L’osservazione naturalistica consiste nell’osservazione dei soggetti nel loro habitat naturale, o comunque in situazioni in cui il loro comportamento può essere osservato senza l’intrusione dell’osservatore per non condizionarlo. Grazie a questa osservazione possiamo andare a cogliere dei comportamenti spontanei o eventi non previsti. Tuttavia, gli svantaggi sono molti: tempi lunghi, bisogna ridurre la complessità del fenomeno, aspettative dello sperimentatore che possono influenzare la registrazione dei dati, senza poter adottare il doppio cieco, ma adottando dei precisi protocolli di osservazione. L’osservazione può anche essere partecipante, ovvero in cui l’osservatore vive, rimane a lungo all’interno delle attività dei soggetti, utilizzato per esempio per studiare le dinamiche di gruppo. - Gli studi correlazionali sono quegli studi in cui gli psicologi sono interessati alla relazione esistente tra variabili sulle quali non possono esercitare alcun controllo. In questi casi non è possibile effettuare alcun esperimento e si ricorre ad uno studio correlazione, il quale consiste in un’associazione, non nel definire una relazione causa-effetto. Questi metodi vengono utilizzati: quando non è possibile usare metodi sperimentali, quando non si ha una sufficiente conoscenza a priori del fenomeno tale da permettere di formulare una ipotesi di casualità; quando la ricerca è ad uno stadio primordiale, cioè non è possibile stabilire con precisione gli obiettivi, o non sono ancora sconosciuti gli elementi sui quali focalizzare l’attenzione; quando il fenomeno è troppo complesso per poter essere riprodotto in laboratorio, o comunque le variabili da controllare sono troppe. Molte volte gli studi correlazionali associano però dei fenomeni che tra di loro non hanno nessun nesso; in questo caso parliamo di “correlazione spuria”. - L’analisi di un caso singolo, o metodo clinico, può essere utilizzato quando il metodo sperimentale non può essere utilizzato, come ad esempio i disturbi mentali o i bambini geniali. In questi casi lo studio di un caso singolo può essere la migliore soluzione e viene utilizzata in molte aree di ricerca come la psichiatria, la psicologia clinica o la riabilitazione. - Il metodo dell’inchiesta consiste in questionari e interviste per raccogliere dei dati. Questo metodo può essere utile in previsioni ad esempio di voti elettorali, ma spesso i risultati sono erronei. Il lavoro di preparazione per un’intervista o per la preparazione dei questionari è molto oneroso in termini di tempo. Tale metodo viene utilizzato molto in psicologia sociale, poiché permette di rilevare dati su opinioni, atteggiamenti o valori. Nel metodo dell’inchiesta si utilizzano campioni di riferimento rappresentativi di soggetti in merito a specifici argomenti. L’inchiesta permette di rilevare dati circa opinioni, valori o atteggiamenti che possono essere anche poco desiderabili socialmente. Quotidianamente siamo circondati da molteplici stimoli (visivi, acustici, olfattivi ecc…) che riusciamo a cogliere grazie ai nostri organi sensoriali. Il corpo e la mente attribuiscono un significato a questi stimoli grazie alla sensazione e alla percezione. Definiamo la “Sensazione” come l’effetto immediato ed elementare del contatto dei recettori sensoriali con uno stimolo fisico o chimico proveniente dal mondo esterno (o interno) e dotato di intensità sufficiente a suscitare una risposta più o meno complessa. La realtà esterna non può essere tuttavia colta nella sua totalità (es. raggi UV) e allo stesso tempo abbiamo una variabilità tra le specie (es. colori per uomo o per animali). Definiamo lo “stimolo” come una sorgente di energia che provoca una risposta a livello degli organi di senso. Distinguiamo:  Stimolo distale, energia di stimolazione proveniente dall’esterno che arriva al recettore sensoriale.  Stimolo prossimale, parte di tale energia che viene raccolta dal recettore sensoriale viene tradotta in attività bio-elettrica e avvertita come stimolo dal soggetto. L’intensità degli stimoli viene studiata dalla Psicofisica, che studia appunto la relazione esistente tra le caratteristiche degli stimoli fisici e l’esperienza soggettiva di questi stimoli sul piano psicologico. Mette quindi insieme lo stimolo fisico e l’intensità dell’esperienza sensoriale. Definiamo la “soglia assoluta” come la quantità minima di energia che uno stimolo deve avere affinché esso possa essere rilevato; essa può essere “iniziale”, indicando i limiti inferiori, e “terminale”, oltre il quale non rileviamo più nulla o avvertiamo dolore. Tuttavia, dato che è un qualcosa di soggettivo, questa soglia può essere variabile. L’articolazione figura-sfondo è possibile grazi ad alcuni fattori:  Inclusione, a parità di altre condizioni, diventa figura la regione inclusa.  Convessità a parità di altre condizioni, diventa figura la regione convessa rispetto a quella concava.  Area relativa, a parità di altre condizioni, diventa figura la regione di area minore.  Orientamento, a parità di altre condizioni, diventa figura la regione i cui assi sono orientati secondo le direzioni principali dello spazio percettivo.  Vicinanza, a parità di condizioni, si unificano elementi prossimi. Quando tali fattori non riescono ad intervenire si creano le condizioni per le figure reversibili, dove emerge alternativamente la figura e lo sfondo: e per le figure ambigue, dove si registra un’alternanza periodica tra figura e sfondo: Come altri fattori troviamo:  Somiglianza, gli elementi simili tengono ad essere raggruppati insieme; essa può riguarda la forma, il colore, la grandezza, il movimento.  Buona continuazione, elementi che formano linee o curve continue sono raggruppati insieme.  Chiusura, elementi che formano unità chiuse tendono ad essere raggruppati insieme.  Contiguità o “destino comune”, elementi vicini e contigui nello spazio e nel tempo sono percepiti come causa gli uni degli altri, ovvero che si muovono o che si modificano insieme sono percepite come figura.  Regione comune o contrasto cromatico, elementi presenti all’0iintenro di un’area comune sono percepiti come gruppo.  Esperienza passata, in cui prevale appunto un’esperienza passata sulla base di cui riconosciamo la figura. Esistono due modalità di elaborazione delle informazioni:  Elaborazione bottom-up, che parte dal basso, ovvero dai processi sensoriali, e procede verso l’alto verso ad una percezione globale. La gestalt viene collocata in questo tipo di elaborazione.  Elaborazione top-down, conoscenza pregressa viene utilizzata per organizzare rapidamente gli elementi in un insieme dotato di significato; processo attivo e costruttivo influenzato da emozioni, motivazioni e aspettative del soggetto. La corrispondenza tra mondo reale e mondo fenomenico è frutto di processi di elaborazione e organizzazione di informazioni (ipotesi percettiva) che può andare incontro ad alcuni errori. Nella relazione tra oggetti e mondo esterno si verifica il fenomeno della “costanza percettiva”: oggetti fisici sono percepiti come invariabili e dotati di sensibilità nonostante lo stimolo prossimale cambi continuamente in funzione dei cambiamenti dell’ambiente fisico. La relazione tra stimolo distale e percetto rimane invariata al variare dello stimolo prossimale. Guardando l’uomo che si allontana, la sua immagine retinica diventa più piccola, ma non percepiamo una sua variazione di dimensione, ovvero che rimpicciolisce. Questo esempio fa riferimento alla “costanza di grandezza”: la grandezza percepita di un oggetto rimane la stessa anche se cambiano le dimensioni della sua immagine retinica. Questo fenomeno è determinato da un’elaborazione top-down. La Teoria di Gibson spiega la percezione come un processo diretto, strettamente connesso all’azione, per cui l’informazione visiva è captata e non elaborata dall’individuo. L’ambiente fornisce informazioni utili ad orientare la nostra percezione. Tutti gli esseri viventi utilizzano tali informazioni, di tipo bottom-up, per percepire e orientarsi nello spazio. Gibson conduce i suoi studi per conto dell’aviazione americana sulle configurazioni di flusso ottico. Fa riferimento a tutti quegli elementi che i piloti hanno a disposizione in fase di atterraggio: quando atterra verso la pista, il pilota vede il punto di atterraggio come un punto fisso, mentre tutti gli altri elementi si muovono in direzione opposta a quella dell’aereo; quando l’areo cambia direzione cambia il flusso ottico, l’orientamento ecc… Analizzando questo fenomeno, Gibson elabora la sua “teoria ecologica”, secondo cui noi quando interagiamo nel mondo attorno a noi abbiamo sempre la visione di oggetti in movimento perché possiamo vedere l’ambiente da vari poli che si vanno modificando. Secondo Gibson, la percezione è la capacità di cogliere informazioni già contenute nello stimolo stesso; il soggetto coglie le caratteristiche di risonanza e di disponibilità degli stimoli. L’ATTENZIONE In un mondo rumoroso e frenetico, siamo in grado di scegliere cosa ascoltare e a cosa dare significato. Quali sono i meccanismi che mi permettono questo? Non esiste una vera e propria definizione unitaria di “attenzione”; non è un concetto unitario, ma un insieme di fenomeni psicologici molto diversi, un gruppo di processi che interagiscono tra loro e con altri processi; essa è influenzata anche da aspettative, obiettivi, motivazioni e modula tutti i processi cognitivi, mnestici, percettivi, decisionali. L’attenzione sopprime gli stimoli irrilevanti determinando cosa sarà elaborato, verso cosa sono orientati pensieri, parole, credenze e azioni; infatti, le risorse cognitive che abbiamo a disposizione non sono illimitate. L’attenzione nella sua complessità porta ad elaborare differenti compiti e paradigmi per studiarla nei particolari tipi in cui si presenta. Nella ricerca moderna sull’attenzione abbiamo principalmente tre fasi:  Anni ‘50 e ‘60, in cui abbiamo uno studio delle abilità cognitive umane considerando l’uomo come “processore” con una capacità limitata.  Anni ‘70 e primi anni ’80, in cui abbiamo uno studio dei processi automatici e volontari e delle strategie per focalizzare e dividere l’attenzione.  Dalla metà degli anni ’80, in cui abbiamo un’indagine delle basi neurali dei processi cognitivi ed attentivi. L’attenzione viene studiata tramite dei paradigmi sperimentali, ovvero dei modi sperimentali di condurre degli esperimenti. I principali paradigmi utilizzati sono:  Paradigma di filtraggio, che si basano sulla presentazione rapida di stimoli rilevanti per un compito, frammisti a stimoli non rilevanti (es. ascolto dicotico)  Paradigma di selezione, in cui le persone devono individuare, all’interno di un display, uno stimolo rilevante frammisto a tanti distrattori.  Paradigma di priming, che studiano l’effetto di uno stimolo pre-attivante (o “prime”) sull’elaborazione di un successivo stimolo target. L’attenzione selettiva è quella che ci permette di selezionare ed elaborare alcuni stimoli per gli obiettivi dell’individuo. La cornice di riferimento teorica è quella cognitivista e l’ottica di riferimento è il modello dello “Human Information Processing”, secondo cui la mente dell’uomo è vista come un sistema di elaborazione dell’informazione a capacità limitata, che riceve le informazioni, le seleziona e le elabora; il processamento che esso fa è di tipo seriale, perciò, nonostante sia molto veloce, richiede comunque un determinato tempo. Una volta elaborata l’informazione, ci sono dei sistemi superiori di elaborazione che selezionano ed elaborano una risposta. Il canale delle informazioni viene quindi ridotto per selezionare ciò che è di nostro interesse. Il primo a parlare di una sorta di “filtro” è Broadbent, uno psicologo ex ingegnere aeronautico. Riprende l’effetto del “cocktail party”, ovvero siamo ad una festa con musica alta, persone che cantano e gridano, ma riusciamo a parlare e a comprende la persona che ho davanti; egli afferma che possiamo pensare di avere a disposizione un filtro che lasci passare solo le informazioni rilevanti e lasci fuori quello che non ci interessa. Siamo quindi ad un cocktail party, abbiamo l’amico che ci parla, c’è la musica e sulla base delle caratteristiche fisiche dello stimolo di tipo uditivo, il filtro chiude, la musica non passa oltre il registro sensoriale mentre la voce dell’amico arri va al sistema percettivo. Il filtro è precoce ed opera ancor prima che noi riusciamo a dare significato agli stimoli. Il paradigma utilizzato è quello dicotico, in cui si chiede che il soggetto presti attenzione solo ai messaggi che vengono trasmessi ad un orecchio, in questo caso una serie di sei numeri da ripetere nel suo ordine preferito, ignorando le informazioni trasmesse all’altro orecchio; se questi numeri però dovessero essere ripetuti nell’ordine corretto, il soggetto sarebbe in difficoltà. Queste evidenze portano quindi Broadbent ad affermare che questo filtro è precoce e che opera sulla base delle caratteristiche fisiche dello stimolo e l’attenzione selettiva è un fenomeno tutto o nulla, ovvero gli stimoli rilevanti per noi passano il filtro, mentre ciò che è irrilevante no. Cosa succede se ad un cocktail party sentite chiamare il vostro nome? Sicuramente sposterò la mia attenzione, ma ciò mette in crisi la teoria del filtro precoce, poiché se esso fosse come tale, non sentirei il mio nome. Il modello che si mette in contrapposizione è quello di Treisman: essa utilizza delle frasi al posto dei numeri, ma la frase che inizia nell’orecchio sinistro si conclude nell’orecchio destro. Le persone riportano il messaggio integrale, non riportano il messaggio ignorato, ma tuttavia riescono a riportare qualche caratteristica di esso; a volte non erano nemmeno consapevoli dello switch. Il modello teorizzato viene definito del “filtro attenuato”: il filtro non è più tutto o nulla, ma va ad attenuare lo stimolo non rilevante, che ha comunque una minima possibilità di passare ed entrare nel nostro sistema percettivo e nella memoria a breve termine; inoltre, tanto più lo stimolo ha una forte connotazione affettiva, tanto più questo messaggio può passare. Alcuni affermarono che la selezione avviene a livello centrale, quindi il filtro è di tipo tardivo. Gli stimoli vengono riconosciuti e poi selezionati sulla base del loro valore per le motivazioni e le intenzioni dei soggetti. Le persone riconoscono anche il materiale inviato all’orecchio bloccato, ma l’informazione viene dimenticata immediatamente anche il materiale inviato all’orecchio bloccato, ma l’informazione potenzialmente disponibile viene dimenticata immediatamente dopo. Ci sono dei modelli, come ad esempio il modello delle capacità di Kahneman, che al posto di sottolineare la limitazione a livello delle strutture, sottolinea la limitazione a livello delle risorse cognitive: abbiamo un budget limitato e dobbiamo decidere come distribuirlo; l’attenzione è quindi limitata, nonostante questo limite è variabile (sono stanco, sono attivo) e la quantità di sforzo dipende dalle richieste del compito (tanto più uno schema è stato appreso, tanto più è automatico e quindi meno sforzo devo compiere). L’attenzione è quindi selettiva, ma controllabile; secondo lui, infatti, esiste un elaboratore centrale che coordina e distribuisce le nostre risorse attentive in modo flessibile, anche se devo svolgere più compiti in contemporanea. Sulla base dell’importanza e sulla base della complessità questo elaboratore darà più o meno risorse. Altro modello è quello di Johnston e Heinz, misto o multimediale, poiché va a riprendere le diverse teorie del filtro, integrandole all’interno di una sola teoria. Secondo questo modello, il soggetto stabilisce dove collocare il filtro per accesso delle informazioni, se in posizione più precoce o più tardiva; più è centrale, più sono necessarie risorse cognitive. Nel 1988 gli studiosi Norman e Shallice introducono il Sistema Attentivo Supervisore. Questo sistema va a selezionare lo schema da mettere in atto e inibire altri schemi, poiché a volte abbiamo degli errori di azione (es. percorro la strada per la scuola, nonostante io stia andando in un altro posto); questo succede soprattutto quando l’esecuzione non è automatica. Un tennista, ad esempio, durante una partita va a mettere in atto schemi motori, i quali possono essere definiti durante l’allenamento per poi metterli in atto automaticamente; a volte il sistema attentivo supervisore subisce l’influenza negativa delle nostre emozioni (es. calcio di rigore). Gli eventi mentali si svolgono a diversi livelli di consapevolezza; distinguiamo:  Processi automatici, che avvengono al di fuori della consapevolezza, non richiedono l’impiego di risorse attentive e si svolgono attraverso elaborazioni in parallelo.  Processi controllati, che richiedono impegno di molte risorse attentive e che avvengono tramite elaborazioni seriali. I processi automatici possono essere elaborati grazie all’elaborazione preattentiva, che è un processamento rapido dell’informazione, non viene influenzata dall’eventuale presenza di distrattori e grazie ad essa riusciamo a rilevare le caratteristiche fondamentali di uno stimolo (es. colore, forma) senza l’intervento dell’attenzione selettiva. Il movimento delle persone è sempre organizzato in riferimento alla posizione dei suoi arti rispetto al corpo o della posizione del corpo rispetto allo spazio che lo circonda, ossia in un sistema di coordinate spaziali grazie a cui possiamo rappresentare lo spazio; questi sistemi di coordinate spaziali sono riferimenti grazie ai quali possiamo costruire delle mappe coerenti dello spazio e rendono possibili i nostri movimenti e l’interazione con gli oggetti e le persone. Questi sistemi di riferimenti sono innati o vengono costruiti grazie all’esperienza? Le concezioni più moderne propongono la seconda opzione, infatti grazie all’apprendimento e all’esperienza riesco a crearmi delle mappe cognitive; tuttavia, esiste un meccanismo centrale in grado di integrare e organizzare l’esperienza sensoriale in un sistema di coordinate spaziali communi a tutti gli individui. La “sindrome di negligenza spaziale unilaterale” è una sindrome che causa impossibilità a prestare attenzione a intere aree spaziali, causata da lesioni cerebrali controlaterali. Un altro tipo di attenzione è l’attenzione divisa, con il quale si fa riferimento a quelle situazioni nelle quali le persone compiono (o si sforzano di compiere) due o più compiti contemporaneamente. Lo sforzo richiesto all’individuo per distribuire le risorse attentive dipende dalla complessità del compito, il livello di competenza che l’individuo possiede nei diversi compiti e la similarità posseduta dai compiti da eseguire (es. camminare o guidare ed utilizzare il telefono, parlare con il vivavoce o sentire della musica). Il paradigma utilizzato è quello del doppio compito: si chiede ai soggetti di svolgere un compito primario mentre contemporaneamente svolgono un compito secondario. Altro paradigma è il Trail Making Test, che consiste nell’unire con un tratto continuo della penna dei cerchietti contenenti dei numeri rispettandone l’ordine crescente; nella seconda opzione ci sono sia numeri che lettere, si devono unire con un tratto continuo alternando prima un numero e poi una lettera rispettandone l’ordine progressivo. Altro tipo di attenzione è l’attenzione sostenuta, la quale è a funzione del tempo: mantenere l’attenzione su un compito per un tempo prolungato (es. restare attenti in classe). Uno dei primi studiosi ad approcciarsi a questo argomento fu Norman Mackworth, il quale studia l’efficienza degli operatori radar di sorveglianza aerea durante la seconda guerra mondiale: dopo un po' di tempo l’operatore diventa meno efficiente, infatti le segnalazioni più mancate erano appunto alla fine del turno. Facendo questo test, Mackworth nota che dopo 30 minuti vi è un decremento della vigilanza e più tempo passa, maggiore è questo decremento. L’attenzione sostenuta può essere influenzata ad esempio dalla caratteristica fisica del compito, compiti noiosi e ripetitivi. Legato all’attenzione sostenuta è l’automatizzazione, processo per mezzo del quale una procedura da altamente controllata diventa relativamente automatica; alcuni processi, come ad esempio il respirare, sono già automatici e non possono essere portati a consapevolezza. L’automatizzazione può avvenire con molta pratica dividendo magari il compito in diverse fasi; inoltre può avvenire accumulando gradualmente diverse conoscenze relative a specifiche risposte a determinati stimoli (più è intenso, più attenzione richiede). Unita alla cecità da disattenzione di Simon (esperimento del gorilla) troviamo la cecità da cambiamento. Connesso con l’attenzione, soprattutto l’attenzione sostenuta, troviamo il fenomeno dell’abituazione: stimoli prevedibili e immutabili generano una diminuzione delle risposte a essi; un cambiamento anche piccolo in uno stimolo familiare determina il fatto che esso venga percepito di nuovo (es. rubinetto che gocciola diversamente). STATI DI COSCIENZA Non esiste una definizione univoca di “coscienza” così come non esiste una teoria esplicativa condivisa. Il problema della definizione di coscienza è stato affrontato fin dagli esordi dalla psicologia come disciplina:  Gli strutturalisti parlavano di consapevolezza cosciente dell’insieme di processi operanti su sensazioni, immagini mentali e stati affettivi tramite l’introspezione.  I funzionalisti vanno a definire la coscienza mettendo in evidenza il carattere intenzionale di essa, il selezionare quindi il comportamento.  I comportamentisti pongono l’attenzione sul comportamento osservabile, non studiavano cosa vi fosse tra stimolo e risposta e la coscienza è esclusa dall’indagine psicologica.  I cognitivisti pongono l’attenzione sui processi interni e la coscienza torna ad essere un elemento di indagine. Le funzioni della coscienza sono due:  Monitoraggio, grazie a cui elaboriamo delle informazioni affinché percetti, ricordi e pensieri giungano alla consapevolezza; la coscienza ha quindi la funzione di guidare la selezione di stimoli sia interni che esterni.  Controllo, azione necessaria perché si inizi e porti a termine una data attività ^^^ “Essere coscienti” significa essere consapevoli, consiste nell’insieme delle sensazioni, percezioni, memorie ed emozioni di cui si è consapevoli in un dato istante. Gran parte della nostra vita trascorre in uno stato di coscienza vigile: stato di lucidità e chiarezza in cui percepiamo tempi, luoghi ed eventi come reali, significativi e familiari. Altri stati di coscienza sono ad esempio il sonno, il sogno, alcuni stati di coscienza causati da affaticamento, deliri, allucinazioni o per effetto di sostanze, ma anche ascolto di musica, corsa su lunghe distanze ecc… Stati modificati di coscienza possono essere causati da sovraccarico sensoriale, stimolazione monotona, condizioni fisiche alterate o riduzione di input sensoriali. Il sonno è lo stato di coscienza che più viviamo, infatti passiamo circa 25 anni della nostra vita dormendo. Durante il sonno siamo capaci di reagire a stimoli, di compiere specifiche azioni o apprendere meglio ciò che abbiamo studiato il giorno prima. Il sonno è un bisogno fisiologico innato, infatti possiamo non dormire per un limitato periodo di tempo; la deprivazione del sonno infatti è rischiosa per la salute fisica, causando: ipersonnia, microsonni, effetti sull’umore e salute corporea (termoregolazione), psicosi ecc… Il sonno è un ritmo biologico innato: i ritmi perdurano per molti giorni anche in assenza di orologi o cicli luce-buio (es. dormire in una grotta), ma in loro assenza adotteremmo un ciclo di sonno personale che supera le 24 ore. Ci sono persone che possono dormire una o due ore, chi dormire cinque o meno, detti “brevi dormitori”, altri necessitano nove o più ore, detti “lunghi dormitori”. Inoltre, distinguiamo le persone denominate “gufi”, che tendono a dormire molto tardi e a prolungare il sonno fino a tardi il mattino seguente, e le persone denominate “allodole”, che tendono ad alzarsi presto al mattino e dormire presto alla sera. Il tempo totale che noi possiamo passare a dormire diminuisce con il passare degli anni: i neonati possono dormire fino a 20 ore al giorno, mentre dopo i 50 anni la media è di 6 ore al giorno. La sonnolenza di metà pomeriggio fa parte del ciclo naturale del sonno e aiuta ad essere vigili. Il sonno viene causato da un ormone che si accumula nel cervello. Essere svegli o dormire dipende dall’equilibrio tra il sistema di veglia e il sistema di sonno. Grazi agli studi con gli elettrodi si è visto come l’addormentarsi comprende 4 diverse fasi  Nella prima fase abbiamo onde brevi e irregolari, dette onde beta; il cuore rallenta, la respirazione diventa più irregolare, la muscolatura si rilassa innescando delle contrazioni involontarie. Se un individuo viene risvegliato, non sempre sa se stesse dormendo o no.  Nella seconda fase abbiamo i cosiddetti fusi del sonno; il sonno è più profondo, la temperatura corporea scende. Dopo 4 minuti, se una persona viene risvegliata è consapevole di star dormendo.  Nella fase tre abbiamo la comparsa di onde delta, più ampie e lente. Questa fase è l’inizio del vero e proprio sonno più profondo e di un’ulteriore perdita di coscienza.  Nella fase quattro abbiamo prevalenza di onde delta, il sonno è profondo e si raggiunge all’incirca dopo un’ora. La persona che dorme si trova di uno stato totale di oblio; inoltre, se si riproduce un rumore forte, la persona si sveglia in uno stato di totale confusione. Durante la notte vi sono cicli di sonno profondo e leggero provocati da fluttuazioni degli ormoni del sonno. Durante il sonno leggero abbiamo la cosiddetta fase REM, in cui gli occhi si muovono velocemente sotto le palpebre; tuttavia, la maggior parte del tempo che passiamo dormendo lo facciamo nella fase non-REM. Il sonno non-REM non è caratterizzato da sogni nel 90% dei casi, è più profondo all’inizio della notte e aumenta dopo l’esercizio fisico e può aiutarci a riprenderci da una fatica, così come a ridurre il livello di attività cerebrale. Durante questa fase vengono immagazzinati i ricordi legate all’esperienze più significative, infatti, le tensioni quotidiane ampliano il tempo del sonno REM; inoltre, ci aiuta a classificare e conservare i ricordi legati alla risoluzione di problemi, infatti è importante un buon sonno dopo una lunga giornata di studio. Nell’85% dei casi, persone svegliate durante questa fase raccontano i sogni appena fatti in modo dettagliato e le aree cerebrali associate alle immagini e alle emozioni diventano più attive. In questa fase, a livello fisiologico abbiamo un battito cardiaco irregolare, così come pressione sanguigna e respiro, si può avere eccitazione sessuale e il corpo si immobilizza come se fossimo paralizzato in modo da impedire movimenti notturni pericolosi; alcune persone non hanno questa paralisi e possono cadere dal letto o ad esempio colpire chi si ha accanto. Il disturbo del sonno più frequente è l’insonnia, la quale può manifestarsi in diversi modi: difficoltà di prendere sonno, risvegli frequenti accompagnati da incubi, risvegli precoci o una combinazione di tutti questi fenomeni. L’insonnia impatta negativamente la nostra vita quotidiana, in quanto la mancanza di sonno è legata a tantissime cose. Le cause sono diverse: preoccupazione, stress, eccitazione, eccessiva attività mentale; inoltre, l’incapacità di addormentarsi causa frustrazione e rabbia che provocano eccitazione e preoccupazioni e instaurando così un circolo vizioso. In caso di insonnia è consigliabile alzarsi, fare qualcosa di utile o piacevole e tornare a letto solo quando si sente che si fa fatica a restare svegli. Se i problemi di sonno perdurano per più di tre settimane, allora si può diagnosticare un’insonnia cronica. Un fenomeno legato al sonno è l’ipnosi. L’interesse nasce con gli studi del medico Mesmer, il quale riteneva di poter curare le malattie con i magneti; in realtà, i suoi trattamenti curativi erano legati all’ipnosi e si basavano sul potere di suggestione. L’ipnosi è uno stato di coscienza modificato caratterizzato da un’attenzione più ristretta e da una maggiore disponibilità alla suggestione. Secondo altri studiosi, l’ipnosi non è uno stato distinto di coscienza, ma solo un insieme di elementi come docilità, rilassamento, immaginazione, ritenendo l’ipnosi in realtà come un’autoipnosi, ovvero la persona che suggestiona il proprio corpo da sola. quel comportamento. I nostri comportamenti sono quindi operanti, o strumentali: qualunque tipo di comportamento messo in atto dall’organismo in grado di produrre effetti osservabili nell’ambiente (es. pianto per attirare l’attenzione della madre). Il condizionamento operante si fonda quindi sulle informazioni ambientali e sulle aspettative che una certa risposta avrà un dato effetto. Si avrà un apprendimento migliore se il rinforzo è contingente, ovvero immediato alla risposta. La tecnica del modellamento o “shaping” consente di apprendere comportamenti complessi attraverso il rinforzo di comportamenti che progressivamente si approssimano sempre più al comportamento desiderato. La fase di estinzione nel caso del condizionamento operante è un processo molto lento e per far sì che si promuova una vera e propria estinzione bisogna associare ad essa un nuovo rinforzo. Al termine “rinforzo”, ovvero quell’evento che segue una risposta e accresce la possibilità che esso si verifichi, dobbiamo accostare il termine “rinforzatore”, ovvero qualunque stimolo che aumenta la probabilità che un certo comportamento venga eseguito. Affinché funzioni, il rinforzatore deve essere associato solo ed esclusivamente alla risposta richiesta; su individui diversi agiscono rinforzatori diversi. Il rinforzo può essere sia positivo, che si verifica quando un comportamento è seguito da un evento gradevole, che negativo, che si verifica quando un comportamento ha come conseguenza la diminuzione o l’eliminazione di una conseguenza spiacevole. Inoltre, il rinforzo negativo deve essere distinto dalla punizione, la quale si riferisce a un evento che fa seguito ad una risposta con una conseguenza dolorosa e spiacevole; la punizione fa diminuire la probabilità che la risposta si verifichi di nuovo. Quello più efficace è il rinforzo. Nella tipologia di rinforzi possiamo avere: rinforzi primari, che soddisfano bisogni biologici; rinforzi secondari, associati a rinforzi primari, come ad esempio rinforzi sociali (es. denaro) o rinforzi simbolici. Infine, distinguiamo: rinforzi continui, che segue ogni risposta corretta, molto utile all’inizio dell’apprendimento; rinforzo parziale, che non segue tutte le risposte e produce un apprendimento più lento, ma persistente. Gli schemi di rinforzo li distinguiamo in:  A rapporto fisso, il soggetto ottiene il rinforzo dopo che ha ottenuto un numero fisso di risposte (es. call center).  A rapporto variabile, il soggetto ottiene il rinforzo dopo che ha prodotto un numero medio di risposte (es. gioco d’azzardo, non sai quando verrai rinforzato).  A intervallo fisso, legato al tempo e appunto il soggetto ottiene il rinforzo dopo un intervallo costante.  A intervallo variabile, in cui l’intervallo non è più costante. La generalizzazione dello stimolo operante è quella tendenza a rispondere a stimoli simili a quelli che hanno preceduto il rinforzo. La discriminazione dello stimolo è la capacità di differenziare tra stimoli che segnano la ricompensa e stimoli che non la seguono. Con controllo dello stimolo intendiamo gli stimoli che anticipano una risposta con una ricompensa che tendono a influenzare quando e dove la risposta si verifichi. Un altro tipo di apprendimento è l’apprendimento cognitivo, il quale oltrepassa i limiti del condizionamento e include componenti relative a: memoria, pensiero, problem-solving e linguaggio. Il comportamentismo, infatti, collocava tra stimolo e risposta la cosiddetta black box, mentre successivamente all’interno di essa venne collocata la mente. L’apprendimento diventa un processo attraverso cui acquisiamo nuovi comportamenti e le collega ad informazioni pre-esistenti, determinando cambiamenti a livello concettuale o cognitivo. Il primo studioso ad occuparsi di apprendimento cognitivo fu Tolman, un comportamentista che mette in dubbio il principio secondo cui l’apprendimento non richiede nessun pensiero o cognizione (black box). Tolman esegue diversi esperimenti, tra cui l’esperimento del labirinto; esso colloca all’interno di un labirinto tre gruppi di ratti: i primi ricevevano sempre il rinforzo (cibo), i secondi non ricevevano nessun rinforzo, i terzi lo ricevevano dopo 10 giorni. Man mano che passavano i giorni i ratti diminuivano il numero di errori: G2 compieva più errori di G1, mentre G3 i primi 10 giorni era al passo con gli altri, dopo il rinforzo diminuisce rapidamente il numero di errori commessi. Il risultato ci dice che i ratti del gruppo G3 avevano sviluppato il cosiddetto “apprendimento latente”: i ratti avevano creato una sorta di mappa cognitiva del labirinto e l’apprendimento si manifesta grazie al rinforzo. Con un altro esperimento, Tolman crea tre percorsi alternativi all’interno del labirinto: i ratti vagano all’interno senza ottenere nessun rinforzo e di volta in volta veniva ostruito un percorso; dopo l’introduzione del cibo, i ratti prendevano il percorso più breve quando uno dei tre era ostacolato e questo spiega ancora una volta la rappresentazione cognitiva che i ratti si erano creati. Altri studiosi studiarono l’apprendimento cognitivo, tra cui Harlow, il quale afferma che, nella nostra vita quotidiana, esso avviene per effetto della curiosità che ci spinge ad esplorare l’ambiente circostante. Un’altra componente che guida l’apprendimento cognitivo è il feedback che riceviamo dall’ambiente che non è un rinforzo primario di tipo fisiologico. Infine, anche la possibilità di avere la conoscenza dei risultati ci permette di apprendere meglio. Altro autore fondamentale nello studio dell’apprendimento è Kohler, il quale si inserisce all’interno della prospettiva della Gestalt. Esso scopre un altro processo che guida l’apprendimento che è l’insight o “intuizione”. Esso scopre l’intuizione grazie ad esperimenti su alcuni scimpanzé, i quali dovevano raggiungere una banana appesa al tetto fornendo loro delle scatole. L’insight non è l’analisi e la scomposizione progressiva del problema per arrivare alla soluzione, ma un’intuizione improvvisa che porta loro a collegare i vari elementi che prima sembravano slegati (gestaltista). Dunker scopre il processo chiamato “fissità funzionale”: esso fornisce ai soggetti una candela ^^^ Non tutti i soggetti riescono a trovare una soluzione e, secondo Dunker, questo è causato poiché essi attribuiscono una funzione agli oggetti e non riescono a scindere dalla loro esperienza passata che li limita. Questo tipo di apprendimento viene definito “per scoperta” ^^^ Altro tipo di apprendimento è l’apprendimento per osservazione o “modeling”: apprendiamo tramite l’osservazione di un modello, senza eseguire quello specifico comportamento o senza ricevere un rinforzo (Bandura’s Bobo doll experiment). LA MEMORIA La memoria ci permette di avere una coerenza, un’integrità della nostra persona, ci permette di tenere traccia dell’esperienze della nostra vita e di chi siamo. La memoria è un processo, un sistema mentale che ci permette di ricevere informazioni, di codificarle, organizzarle e recuperarle al momento opportuno. La memoria non è unitaria, ma esistono diverse memorie, ha legami molto stretti con l’attenzione e con l’apprendimento. Tra i primi a parlare di memoria troviamo Platone, il quale definisce la memoria come la capacità che ha l’anima di andare a richiamare quelle sensazioni che il corpo ha già provato. Il processo della memoria veniva definito così come un processo unitario; stessa cosa afferma alla fine dell’800 lo psicologo Hermann Ebbinghaus, il quale continua gli studi sulla memoria tramite il metodo del caso singolo, ovvero sperimentando su sé stesso. Esso cerca di imparare una lista di parole senza senso, trovando una corrispondenza tra quantità di cose da ricordare e tempo da impiegare; inoltre, si rende conto come a distanza di ore e giorni tendesse a dimenticare sempre più ciò che aveva imparato e rappresenta questa associazione tramite la cosiddetta “curva dell’oblio”: La memoria, tuttavia, verrà considerata successivamente come un processo composto da più sistemi, ciascuno dei quali avrà funzioni e proprietà differenti. Ci sono quindi vari processi implicati nella memoria: prima di tutto c’è la codifica tramite cui elaboro le informazioni per rappresentare mentalmente; inoltre, tanto più elaboro le informazioni, tanto più la memoria a lungo termine è favorita. Il secondo processo è l’immagazzinamento: le informazioni elaborate devono essere immagazzinate per poi essere riutilizzate al momento opportuno. Tra codifica e immagazzinamento troviamo il consolidamento: prima di immagazzinarla, l’informazione deve essere consolidata. Mentre appunto Platone ed Ebbinghaus parlavano di processo unitario, James inizia afferma l’esistenza di più sistemi con funzioni esistenti; esso distingue memoria primaria, molto simile al concetto di memoria a breve termine, e memoria secondaria, che si avvicina al concetto di memoria a lungo termine. Circa 80 anni dopo Atkinsons e Shiffrin propongono quello che attualmente è il modello più noto sulla memoria; essi distinguono la memoria in tre sistemi sequenziali, perciò questo modello è già considerato superato: le informazioni devono essere registrate dalla memoria sensoriale per passare alla memoria a breve termine e poi tramite vari processi (es. ripetizione) passare alla memoria a lungo termine. ricordi sulla base della logica, del ragionamento o dell’aggiunta di nuove informazioni. Se le emozioni vissute durante quell’evento sono state molto forti, i falsi ricordi sono minori. IL PENSIERO Il pensiero è il processo automatico di rappresentazione mentale (interna e soggettiva) di un problema o una situazione. Mentre il processo di elaborazione di immagini è un processo automatico, il processo di calcolare è un processo controllato, nonostante anche in questo caso si innescano degli automatismi. Per poter effettuare delle rappresentazioni mentali il pensiero utilizza:  Immagini mentali, ovvero rappresentazioni attraverso una specifica modalità sensoriale di oggetti. Alcuni individui sono capaci di evocare da una singola stimolazione sensoriale, due o più stimolazioni sensoriali distinte (es. vedo frutta e sento il sapore); questo fenomeno prende il nome di sinestesia. Immagini mentali intervengono anche nella soluzione dei problemi quando di rappresentiamo gli elementi necessari a risolvere il problema. Usiamo le immagini mentali in diverse circostanze: scegliere i vestiti da indossare, migliorare le nostre abilità rappresentandoci nel gioco da fare, cambiare l’umore immaginando scene piacevoli. Esistono anche le immagini cinestetiche, ovvero quelle che ci aiutano a visualizzare movimenti e azioni, utili nella musica, nelle arti e negli sport. Le immagini mentali hanno una doppia rappresentazione: superficiale, a livello della mbt come rappresentazioni pittoriche proiettate su una sorta di schermo mentale; profonda, a livello della mlt come forme base degli oggetti; spesso le immagini mentali sono inoltre colorate, tridimensionali e in grado di muoversi.  Concetti, idee che rappresentano categorie di oggetti o eventi. Il concetto serve a riconoscere un oggetto come appartenente ad una categoria, attribuendogli le proprietà tipiche di quelle categorie. I concetti si formano per “categorizzazione”, ovvero un processo di classificazione delle informazioni in categorie dotate di significato. Un primo modo di spiegare la formazione dei concetti è quello di trovare esempi positivi e negativi in relazione all’appartenenza/non appartenenza dell’elemento alla categoria. Il concetto è l’insieme di tratti definitori, ovvero caratteristiche necessarie e sufficienti (da questo “Teoria CNS”) per essere membro della categoria corrispondente al concetto; questi tratti definitori vengono poi combinate mediante operazioni di congiunzione (AND), di disgiunzione (OR) e di negazione (NON) dando luogo a concetti differenti. Se il concetto è interamente scomponibile in una serie di CNS allora nessun tratto può essere cancellato o aggiunto. I concetti si acquisiscono imparando o creando delle regole, ovvero utilizzando interferenze di tipo deduttivo (dal generale al particolare) o di tipo induttivo (dal particolare al generale). La teoria CNS è stata criticata; ci possono essere degli elementi che appartengono alla stessa categoria pur non avendo tutte le caratteristiche necessarie e sufficienti. La teoria dei prototipi si basa invece su un modello ideale tramite cui riusciamo ad identificare un concetto. Nella via quotidiana i processi di pensiero si manifestano secondo il cosiddetto ciclo inferenziale, per cui in modo ricorsivo e ciclico si intrecciano tra loro: categorizzazione, induzione, deduzione e funzione di controllo.  Ragionamento, capacità di effettuare operazioni mentali astratte. Il ragionamento lo distinguiamo in: - Ragionamento deduttivo, quando si traggono conclusioni specifiche a partire da premesse generali, basandosi sull’applicazione delle regole logiche; un esempio è il sillogismo aristotelico, composto da due premesse, che esprimono l’appartenenza dei termini a specifiche categorie, e una conclusione, che esplicita la relazione tra essi. Quando utilizziamo il ragionamento deduttivo la nostra mente elaborato dei modelli mentali (Johnson-Laird): li elaboriamo per la premessa maggiore, per la premesse minore li uniamo per trarre le conclusioni. - Ragionamento induttivo, quando inferiamo una conclusione a partire da indizi probabilistici. In questo caso utilizziamo soluzioni già applicate in passato se il problema ha caratteristiche simili a quello che abbiamo già risolto con quella soluzione; tuttavia, in questi casi possiamo cadere in conclusioni errate o fallacie. Gli psicologi Kahneman e Tversky hanno dimostrato che nel ragionamento induttivo noi utilizziamo le “euristiche”, ovvero appunto considerare più probabile un evento senza considerare le probabilità dell’evento. Tra le euristiche distinguiamo: l’euristica della rappresentatività, diamo peso all’ipotesi più rappresentativa di quella categoria e ciò ci porta a stereotipare le categorie (es. ragazzo povero colpevole di un furto); l’euristica della disponibilità, si prevede la probabilità si un evento sulla base della facilità con cui l’evento riesce ad essere ricordato; l’euristica dell’ancoraggio, tendenza ad utilizzare un punto di riferimento o “ancora” per fornire giudizi probabilistici (prima impressione); euristica dell’accomodamento, analisi e integrazione di tutte le informazioni disponibili. Prese di decisione, o “Decision-making”, ovvero quel processo di presa di decisione che coinvolge memoria, pensiero e ragionamento, attenzione, in cui il soggetto interpreta gli eventi per scegliere tra una o più opzioni disponibili. “Decidere” significa compiere delle inferenze; utilizzare il problem-solving e il ragionamento deduttivo/induttivo per pervenire ad un giudizio definitivo, dopo aver ponderato le possibili opzioni e alternative. Sono stati prodotti dei modelli esplicativi di questa forma di pensiero differenti: alcuni vengono chiamati normativi, che fanno riferimento all’applicazione della logica; altri vengono chiamati descrittivi, secondo cui l’uomo effettua scelte soddisfacenti e non ottimali. In questo ambito viene elaborata la teoria del prospetto: gli individui valutano le prospettive e le opzioni proposte sulla base dello scarto da un certo punto di riferimento; in un contesto di perdita il decisore sarà propenso al rischio, mentre in un contesto di guadagno il decisore sarà avverso al rischio per evitare le perdite (Effetto Framing). Gli attuali modelli naturalistici affermano che la presa di decisione dipende dalle diverse circostanze senza ricorrere a teoria normativa o descrittiva. All’interno del processo decisionale prendono un peso importante l’umore e le emozioni: eliminiamo opzioni per paura, ansia e accettiamo altre per simpatia. Umore ed emozioni hanno influenza nel giudizio morale, ovvero la valutazione delle azioni e dei comportamenti, degli altri o nostri, in riferimento alle norme e ai valori che si vengono a stabilire in una società; secondo gli studi, è stato evidenziato come la decisione morale è esito dei processi di ragionamento cognitivi e razionali. Prinz afferma che un giudizio morale ha una componente emozionale molto forte, in quanto le emozioni sono sia una conseguenza del giudizio morale, sia causarlo. I processi del pensiero li utilizziamo anche durante il Problem-solving: fa riferimento a situazioni in cui il soggetto deve analizzare i dati di cui dispone per poi prendere una decisione. La risoluzione del problema può essere ottenuta per prova ed errori, ovvero eseguendo vari tentativi per arrivare alla soluzione, o per algoritmi, procedendo sequenzialmente in cui vengono provate tutte le soluzioni possibili e che forniscono sempre la risposta corretta al problema. Uno dei modelli utilizzati per studiare il Problem-solving è il General Problem Solver, secondo cui passiamo da uno stato iniziale ad uno stato finale, attraversando uno spazio ideale chiamato “spazio del problema” applicando degli “operatori”, ovvero delle procedure. Anche in questo caso applichiamo le euristiche; inoltre, l’esperienza migliora la prestazione. Se da una parte abbiamo le procedure algoritmiche, dall’altro lato troviamo la risoluzione di un problema esito di un pensiero intuitivo, basato quindi sull’Insight; in questo caso la risoluzione è la soluzione creativa basata sulla ristrutturazione degli elementi che definiscono il problema, che va compreso a non spiegato. L’Insight implica tre distinte capacità: codifica selettiva, ovvero di selezione delle informazioni rilevanti; combinazione selettiva, combinazione delle informazioni; confronto selettivo, confrontare tra problemi nuovi con informazioni preesistenti. Gli ostacoli all’Insight sono: fattori funzionali, percettivi, ostacoli emotivi e culturali. Il pensiero creativo è una forma di pensiero divergente che mostra flessibilità (numero di usi possibili), originalità (idee nuove) e fluidità (numero totale di ipotesi). Il pensiero creativo possiamo distinguerlo in: divergente, ovvero quest’ultimo; convergente, legato più all’ambito aritmetico prendendo regole per trovare soluzione. Creatività e intelligenza, tuttavia, sono due fattori scollegati tra loro, infatti non vi è una correlazione tra test della creatività e test del q.i. Per misurare la creatività non servono solo i test, ma anche i prodotti tangibili del pensiero creativo. Le fasi del pensiero creativo sono: orientamento, preparazione, incubazione, insight e verifica. Il pensiero creativo è influenzato dal bagaglio di conoscenze e interessi dell’individuo e dai cosiddetti fattori di personalità: apertura mentale, immaginazione, stati di coscienza. LE EMOZIONI Le funzioni delle emozioni sono: ci segnalano che un episodio è accaduto; comunicano rapidamente agli altri sistemi che qualcosa di importante è accaduto, integrando le risposte; forniscono una guida per la riorganizzazione delle priorità degli obiettivi individuali; assegnano all’evento una valenza vantaggiosa o svantaggiosa per la persona; attivano o inibiscono il comportamento di risposta; motivano pattern caratteristici di funzionamento finalizzati a risolvere situazioni problematiche. Le emozioni sono configurazioni di risposta complesse e organizzate, selezionate nel corso dell’evoluzioni per favorire l’adattamento dell’organismo all’ambiente. La risposta emozionale è un processo dinamico e multicomponenziale che svolge un’importante funzione di mediazione fra l’individuo e l’ambiente. Le componenti della risposta emozionale sono le seguenti: fisiologica, motivazionale o della tendenza dell’azione, espressivo-comportamentale, cognitiva e, infine, soggettiva o del vissuto. Le emozioni sono: risposte ad eventi rilevanti; hanno diverse funzioni, tra cui prepararci all’azione; hanno componenti soggettive e biologiche; sono intense e di breve durata; sono un processo, fatto di eventi interni ed esterni, con una specifica tempistica e in variati sistemi; sono distinte da stati d’animo, umore, sentimenti e affetti. Durante un’emozione si attivano diverse componenti: abbiamo un’attivazione corporea, come ad esempio palmi sudati, batticuore o segnali di paura ecc… che ci permettono di etichettare un’emozioni; abbiamo cambiamenti fisiologici tipici, come alterazioni del battito cardiaco, della pressione arteriosa ecc… causati dall’attivazione del sistema nervoso autonomo e dell’ormone adrenalina; conseguenza motivazionali; funzione adattiva, legata a comportamenti adattivi fondamentali, ma se non controllate possono avere effetti negativi; cambiamento nelle espressioni emotive, che esteriorizzano quello che una persona prova.