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Psicologia generale (Anolli e Legrenzi) - riassunto capitolo 4, Sintesi del corso di Psicologia Generale

Riassunto approfondito del capitolo 4.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 11/01/2024

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Scarica Psicologia generale (Anolli e Legrenzi) - riassunto capitolo 4 e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 1 ‼ Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione Grazie all’attenzione siamo in grado di discriminare in modo selettivo le informazioni dell’ambiente, attribuendo maggior peso a quelle per noi rilevanti e tralasciandone altre. In cosa consiste? Quali funzioni svolge? In che modo procede? L’attenzione è associata alla coscienza, fondamento della nostra identità soggettiva. Qual è la natura della coscienza? Quali sono le sue principali caratteristiche? La coscienza ci permette di raggiungere i nostri scopi e di intervenire nella situazione contingente. Non ci limitiamo a osservare la realtà, ma “facciamo accadere delle cose”. In quanto umani, siamo agenti e protagonisti. 1. ATTENZIONE L’attenzione è l’insieme dei dispositivi che consentono di a) orientare le risorse mentali disponibili verso gli oggetti e gli eventi, b) ricercare e individuare in modo selettivo le informazioni per focalizzare e dirigere la nostra condotta, c) mantenere in modo vigile una condizione di controllo su ciò che stiamo facendo. L’attenzione è quindi un processo grazie al quale, in un determinato momento, attribuiamo rilievo a una data informazione mentre ne inibiamo un’altra, selezionando di volta in volta ciò che per noi è saliente e trascurando ciò che per noi è indifferente. Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 2 1.1. Rilevazione degli stimoli Attenzione endogena e attenzione esogena L’attenzione si frastaglia in una gamma estesa e variabile di processi che accompagnano continuamente l’esperienza nell’interazione con l’ambiente. Spesso, infatti, siamo guidati dai nostri interessi, bisogni, scopi ecc. nel prestare attenzione a ciò che ci succede attorno. Si tratta dell’attenzione endogena cioè avviata dalle nostre esigenze personali e governata da processi mentali dall’alto verso il basso. Quest’ultima implica un orientamento volontario verso uno specifico oggetto o evento dell’ambiente. In numerose altre occasioni, invece, un evento inaspettato e saliente proveniente dall’ambiente cattura la nostra attenzione e la dirige subito verso di sé. Si tratta dell’attenzione esogena che viene attivata da uno stimolo esterno e regolata da processi mentali dal basso verso l’alto (vedi effetto cocktail party a pagina 92). L’attenzione esogena comporta un orientamento automatico dell’attenzione, caratterizzato dal fatto che: a) non può essere interrotto; b) distrae l’attenzione dal compito in corso; c) non è soggetto a interferenza da parte di un compito accessorio. Attenzione spaziale e attenzione basata sugli oggetti Attenzione endogena e attenzione esogena, come abbiamo detto, si occupano dell’esplorazione dell’ambiente con l’obiettivo di acquisire informazioni utili a governare al meglio la situazione contingente. Tuttavia, dobbiamo specificare che indaghiamo l’ambiente selezionandone una porzione verso cui dirigiamo l’attenzione. Nell’attenzione spaziale, infatti, vi è coincidenza fra la direzione dello sguardo e quella dell’attenzione. Nonostante ciò, possiamo separare questi due processi: possiamo dirigere lo sguardo verso un oggetto nello spazio e, allo stesso tempo, orientare l’attenzione verso qualche altra parte. Quando prestiamo attenzione ad un oggetto, le sue varie parti sono selezionate nello stesso tempo per dare luogo alla sua percezione nella sua interezza. Vi è un’immediata integrazione delle sue caratteristiche secondo le leggi della percezione. L’attenzione basata sugli oggetti trova anche un fondamento a livello cerebrale: a ogni condizione, infatti, corrisponde l’attivazione di una differente area cerebrale. Ciò che è certo è che siamo in grado di rilevare ciò che è rilevante per noi. Questo è il bersaglio dell’attenzione, ciò che mettiamo a fuoco in una data circostanza. Il fuoco dell’attenzione consente di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo ambientale; ha dimensioni variabili; presenta una relazione inversa con Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 5 Donald Broadbent, nel 1958, ha proposto la concezione secondo cui l’attenzione è un filtro che agisce per selezionare le informazioni rilevanti per l’organismo e, allo stesso tempo, eliminare quelle superflue. Subito dopo il registro sensoriale, infatti, vi sarebbe un collo di bottiglia (bottleneck) che lascia passare solo gli stimoli pertinenti in una data situazione. Gli stimoli ambientali giungerebbero in un magazzino sensoriale di durata molto breve, in cui sono analizzate le loro caratteristiche. Il collo di bottiglia dell’attenzione si trova subito dopo il registro sensoriale e solo una parte limitata delle informazioni, selezionate in base alle caratteristiche fisiche, va avanti per la successiva elaborazione semantica. Questa è l’ipotesi della selezione precoce secondo cui gli stimoli irrilevanti sono filtrati e scartati, mentre solo i segnali pertinenti sono ammessi all’elaborazione successiva sulla base delle loro caratteristiche fisiche. Tuttavia, questa ipotesi, non è in grado di spiegare l’intero processo di selezione degli stimoli. Prima del collo di bottiglia, infatti, tutte le informazioni sensoriali devono essere elaborate a livello percettivo per determinare le loro caratteristiche fisiche e semantiche. Quindi, il fatto che qualche informazione irrilevante e inattesa potrebbe essere individuata implica l’analisi completa degli stimoli, un fenomeno frequente specialmente se l’informazione inaspettata è saliente (vedi l’effetto cockatail party a pagina 96). Alla luce di ciò, occorre modificare l’ipotesi e parlare, invece, di selezione tardiva secondo cui nella nostra enciclopedia delle conoscenze alcuni elementi hanno una soglia di attivazione più bassa degli altri, sono più facilmente e rapidamente rilevati e richiedono meno analisi e, quindi, più agevolmente passano attraverso il filtro attentivo per giungere alla coscienza. Rimane l’ipotesi del filtro selettivo, ma è intesa in modo più articolato e dinamico. Selezione come fascio di luce Spesso si è fatto ricorso alla metafora del fascio di luce per illustrare l’attività di selezione svolta dall’attenzione nei riguardi dell’ambiente. L’attenzione, quindi, si comporterebbe come un fascio luminoso che, di volta in volta, illumina specifici aspetti della scena. Tuttavia, questa ipotesi non è stata verificata sul piano sperimentale e, allo stesso tempo, risulta poco attendibile sul piano teorico perché presuppone che l’attenzione sia un processo on-off in cui le informazioni fuori dal campo selezionato verrebbero semplicemente ignorate. Alla luce di ciò, quindi, l’attenzione va intesa come un processo modulato, variabile momento per momento, in grado di elaborare gli stimoli selezionati in modo dinamico con incrementi o decrementi progressivi in funzione sia delle esigenze degli individui sia delle condizioni dell’ambiente. Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 6 Selezione come ricerca degli stimoli Se intendiamo la selezione come ricerca degli stimoli ci troviamo di fronte a due tipi di ricerca: la ricerca disgiuntiva, nella quale il bersaglio differisce dagli altri stimoli per una sola caratteristica, e la ricerca congiuntiva, nella quale il bersaglio è definito dalla congiunzione di più caratteristiche. La ricerca disgiuntiva è molto più facile, poiché il bersaglio “salta fuori” (pop out) in modo immediato e dipende dal numero degli stimoli grazie ad un’elaborazione in parallelo. Tale operazione dipende dagli interessi e dagli scopi degli individui, dai compiti assegnati, dalla rilevanza dello stimolo (vedi l’esempio a pagina 97). Per contro, nella ricerca congiuntiva ogni elemento viene valutato singolarmente perché bisogna accertare se rappresenta o meno il bersaglio. Tuttavia, la ricerca di un bersaglio è associata anche alla presenza o assenza di una certa caratteristica. Se si parla di presenza allora è molto più facile e immediata, mentre se si parla di assenza molto più difficile e lenta. La differenza fra la ricerca disgiuntiva e la ricerca congiuntiva viene spiegata grazie alla teoria dell’integrazione delle caratteristiche. Se ricerchiamo un bersaglio in base a una sola caratteristica, infatti, basta fare riferimento solo a essa e la rilevazione procede in modo spedito, indipendentemente dal numero dei distrattori. Se, invece, ricerchiamo un bersaglio in relazione a due caratteristiche, occorre confrontarle in modo sistematico e incrociarle fra loro. Tale operazione richiede un dispendio elevato di risorse attentive rispetto all’individuazione di un bersaglio semplice. 1.3. Competizione fra stimoli Nella vita quotidiana, spesso ci troviamo nella situazione di dover far fronte a due o più compiti nello stesso tempo e a prestare attenzione a diversi stimoli, anche in competizione fra loro. Oggi questa condizione è aumentata in modo esponenziale nella nostra società. I dispositivi digitali, infatti, molto spesso ci pongono nella condizione di svolgere più attività nello stesso tempo (multitasking). Abbiamo, quindi, un frazionamento dell’attenzione, che deve governare un ventaglio di bersagli. Attenzione focalizzata e attenzione divisa La capacità di prestare attenzione a due fonti di informazione è assai inferiore a quella di elaborare le informazioni di un’unica fonte. Quando dobbiamo fare attenzione a due Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 7 compiti nello stesso tempo, abbiamo due alternative: o seguiamo uno dei due compiti (e viceversa) o perdiamo parte delle informazioni da entrambe le fonti. Se seguiamo uno dei due compiti (o viceversa) parliamo di attenzione focalizzata ovvero quando la concentrazione su una fonte informativa conduce all’esclusione di ogni altra. Se, invece, seguiamo entrambi i compiti parliamo di attenzione divisa ovvero quando prestiamo attenzione a entrambi gli stimoli, ma la loro elaborazione è parziale e mediocre a causa della quantità limitata delle risorse attentive e vi è un costo supplementare per assicurare accuratezza o efficienza nei tempi di reazione delle risposte. Abbiamo, infatti, bisogno di un “impegno mentale” maggiore ma, nonostante ciò, le nostre prestazioni sono insoddisfacenti. Non riusciamo a fare bene entrambi i compiti nello stesso tempo. Interferenze da doppio compito Tale condizione di deterioramento delle prestazioni è da attribuire a un’interferenza da doppio compito. Abbiamo due fonti di stimolazione di tipo diverso, in competizione fra loro. Dobbiamo procedere a selezionare in qualche modo il loro accesso alla nostra mente. Incapaci di gestire una quantità eccessiva di informazioni, ci troviamo in questa situazione quando i due compiti da eseguire nello stesso tempo condividono il medesimo canale di elaborazione (interferenza strutturale). Ci troviamo nella stessa situazione anche quando le attività mentali da svolgere sono impegnative e assorbono una quota elevata di risorse attentive disponibili per svolgere un compito principale, lasciando una quantità limitata di risorse per l’esecuzione del compito accessorio. In questa interferenza da risorse la ripartizione dell’attenzione fra i compiti è inversa. Inoltre, abbiamo anche condizioni dovute all’incoerenza fra gli stimoli. Pensiamo all’effetto Stroop dove abbiamo tempi di reazione assai più brevi per gli stimoli congruenti rispetto a quelli incongruenti (interferenza da incongruenza, vedi anche effetto Navon a pagina 99). Tuttavia, non sempre il doppio compito è impossibile: pensiamo a due attività che non condividono lo stesso canale di elaborazione delle informazioni (come guidare la macchina mentre ascoltiamo la radio). Competizione semplice e competizione polarizzata Attenzione divisa e interferenze da doppio compito implicano che l’attenzione costituisca una forma di selezione fra stimoli in competizione fra loro. Nella competizione semplice lo stimolo che riceve la maggiore quantità di risorse per la sua salienza è analizzato in modo più dettagliato, ha la priorità e conduce all’attenzione Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 10 può essere vigile, ma non è in grado di fornire una risposta consapevole agli stimoli (stato di incoscienza). Per contro, quando dormiamo abbiamo un certo grado di risposta, soprattutto in seguito a stimoli forti o particolari. La coscienza di uno stimolo sensoriale, inoltre, emerge dopo circa mezzo secondo dalla sua comparsa: un intervallo di tempo sufficiente per confrontare ciò che succede nell’ambiente con quanto abbiamo previsto in base alle nostre conoscenze. La coscienza, quindi, ha una funzione di comparatore perché ci consente di confrontare, istante per istante, lo stato attuale del mondo con quello previsto in base alla propria esperienza e alle proprie conoscenze e aspettative (consapevolezza cognitiva). Controllo La coscienza, inoltre, esercita un controllo sui processi cognitivi. Infatti, esegue un monitoraggio costante, che consente di organizzare e pianificare le nostre attività mentali, dare loro inizio, interromperle o modificarle in funzione della continua variazione delle condizioni soggettive e ambientali, guidarle fino alla loro realizzazione in base ai propri scopi. In quanto tale, svolge la funzione di sistema rilevatore degli errori: se qualcosa non va bene nell’esecuzione di un’operazione, la coscienza è in grado di scoprire l’errore e, se necessario, di interrompere la sua esecuzione o modificarla profondamente in base alle nuove condizioni. Infine, per quanto riguarda le azioni future, siamo capaci di prefigurare in modo consapevole eventi probabili, prevedendo soluzioni alternative e pianificando le scelte più opportune (pensiero prefattuale). Autoriflessione A differenza di altre dimensioni psichiche, la coscienza può essere consapevole di se stessa, in un processo teoricamente senza fine (consapevolezza metacognitiva). Non solo conosciamo un certo numero di cose in base all’esperienza, ma sappiamo anche di sapere. In più, sappiamo di sapere di sapere in un processo praticamente infinito. Questa autoriflessione è il principio che sta alla base sia dell’evoluzione della specie sia dello sviluppo psicologico di ogni individuo. 2.2. Livelli di coscienza La coscienza oscilla nella sua intensità in modo incessante. Infatti, va da un minimo ad un massimo. Nonostante sia un processo costante dobbiamo distinguere diversi livelli qualitativi al suo interno. Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 11 Sé originario Innanzitutto, abbiamo i processi che riguardano l’organismo e che forniscono una descrizione dei suoi aspetti relativamente stabili. Sono i segnali interocettivi (suscitati dai visceri) e i segnali propriocettivi (suscitati dalle condizioni fisiologiche del corpo). L’insieme di questi segnali somatoviscerali viene chiamato cenestesi ed indica il grado di funzionamento in atto dell’organismo momento per momento e può variare da uno stato ottimale a uno più o meno gravemente alterato. Nel caso in cui i segnali somatoviscerali presentino scostamenti significativi dai valori standard, abbiamo l’esigenza di adottare le opportune correzioni per passare dalla condizione momentanea di bisogno a una più desiderabile. Questa operazione è necessaria per l’omeostasi e per promuovere una soddisfacente regolazione della vita. Tale condizione è assicurata da una gamma estesa e robusta di meccanismi automatici di autocorrezione presenti in ogni forma vivente. Questa operazione, però, è potenziata anche e soprattutto da processi consci, al fine di conseguire in modo più efficace i valori biologici ottimali per la vita, soprattutto a fronte di ambienti a elevata complessità, con la presenza di rischi spesso nascosti. La coscienza, in questo contesto, è un’alleata fondamentale della regolazione automatica dell’organismo, in grado di aumentare in modo esponenziale forme di adattamento attivo all’ambiente esterno e interno. I segnali somatoviscerali, che vengono elaborati da specifiche aree del cervello quali i nuclei del tronco superiore dell’encefalo, l’insula e i portali sensoriali follicolari e corticali, danno origine ai sentimenti primordiali associati alla sensazione di benessere o di pena, al piacere di funzionare o alla sofferenza del disturbo, a un senso di forza o di debolezza. In quanto tali, sono qualificati da una valenza edonica positiva o negativa. Infine, i sentimenti primordiali confluiscono poi nelle emozioni. In sintesi, quindi, gli stimolo somatoviscerali e i sentimenti primordiali contribuiscono a dare forma ad una coscienza iniziale e basilare concernente il funzionamento del proprio organismo. Inoltre, forniscono un’esperienza diretta e immediata dell’esistenza del proprio corpo. Parliamo di una coscienza radicata nel corpo (embodied) e, in quanto tale, costituisce il sé-come-oggetto inteso come la collezione dinamica dei processi nervosi riguardanti la rappresentazione del proprio organismo vivente, la quale dà origine, a sua volta, a una collezione dinamica di corrispondenti processi mentali. Antonio Damasio, nel 2010, ha chiamato questo livello basilare della coscienza sé originario (protoself, anche detto me materiale). Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 12 Sé nucleare Ovviamente, la coscienza non si ferma alla conoscenza e consapevolezza del proprio organismo. A un livello più avanzato, gli stimoli somatoviscerali dipendono anche dalle informazioni degli stimoli provenienti dall’ambiente. Alcuni di essi forniscono indicazioni favorevoli, altri sfavorevoli e altri ancora neutri per il nostro organismo. Questi stimoli vengono elaborati a livello cerebrale dal tronco dell’encefalo, dagli strati profondi del collicolo superiore e dai nuclei associativi del talamo e generano immagini mentali che, a loro volta, consentono la costruzione dell’enciclopedia delle conoscenze. In sostanza generano il “sentimento” di conoscere: quando incontriamo un oggetto siamo convinti di acquisire conoscenze. In molti casi, esse richiedono una risposta dall’organismo in termini di difesa o di attacco, di appropriazione o rifiuto, di indifferenza, di appartenenza o estraneità. In tal modo, nel fornire una risposta, entriamo in azione e diventiamo agenti. In poche parole, siamo protagonisti, in grado di influenzare, a nostra volta, l’ambiente circostante. Grazie a questo orientamento e a questa predisposizione ad agire, prefiguriamo ed eseguiamo una serie di operazioni sulle cose che ci riguardano, secondo un piano più o meno consapevole e intenzionale. Infatti, abbiamo la convinzione di incidere sulla realtà, di “far accadere le cose”. A questo livello, quindi, la coscienza si estende all’ambiente. L’interazione fra noi e gli oggetti/eventi costituisce il tessuto di un livello intermedio di coscienza e la connessione fra ciò che riguarda il nostro corpo e ciò che viene al di fuori di noi in questa situazione. Questa è la coscienza del presente (qui e ora), è il “sentimento” di ciò che sta accadendo in questo istante. In quanto coscienza del presente è una coscienza contingente e frammentata. Infatti, se si verifica un nuovo evento, la coscienza si sposta da quello precedente a quello esistente nel momento in cui si verifica. Questa forma intermedia di coscienza costituisce il sé-come-soggetto inteso come il conoscitore della rete di connessioni con l’ambiente esterno. Prendendo ancora in considerazione la terminologia di Damasio, parliamo di sé nucleare (core self, detto anche me sociale). Sé autobiografico A sua volta, il sé nucleare consente ulteriori sviluppi della coscienza. Infatti, non solo siamo consapevoli di ciò che accade in questo momento, ma anche di ciò che è accaduto in passato e ciò che pensiamo possa accadere in futuro. La coscienza, quindi, Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 15 notturno, si verificano 4-6 cicli di sonno, ciascuno dei quali ha una durata media di circa 90 minuti. Sonno REM e sonno NREM Quando dallo stadio 4 ritorniamo allo stadio 1, compiamo dei movimenti rapidi con i bulbi oculari. Questo è il sonno REM (Rapid Eye Movements), definito anche sonno paradosso, per via delle onde cerebrali molto simili a quelle della veglia attiva, o sonno D per via delle onde cerebrali desincronizzate e irregolari. Il sonno REM va distinto dal sonno NREM (non-REM), che è chiamato anche sonno ortodosso o sonno S per via delle onde cerebrali sincronizzate e regolari. Il sonno NREM prevale nelle prime ore del sonno, mentre il sonno REM è presente nelle fasi terminali. Nell’uomo, così come in tutti i mammiferi, sonno REM e sonno NREM si alternano ciclicamente. Durante il sonno NREM i ritmi del cuore e della respirazione sono lenti e regolari, i movimenti oculari sono praticamente assenti, abbiamo un notevole rilassamento dei muscoli e i valori del metabolismo cerebrale diminuiscono di circa il 30% rispetto alla condizione di veglia. Il sonno NREM è caratterizzato da un’attività cerebrale lenta e ridotta in un corpo pienamente rilassato. Per contro, durante il sonno REM abbiamo la presenza di rapidi movimenti degli occhi, in scariche da 10 a 20 secondi, l’attività cerebrale aumenta fino a raggiungere una condizione simile alla veglia attiva, abbiamo un aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo e perde tono la muscolatura (di norma abbiamo anche l’erezione del pene e il turgore clitorideo). Nel sonno REM abbiamo così un cervello attivo in un corpo paralizzato. Infatti, se ci svegliano durante il sonno REM, nell’80% dei casi diremo che stavamo sognando, mentre se ci svegliano durante il sonno NREM racconteremo un sogno solo nel 25% dei casi. Inoltre, i sogni del sonno REM sono più vividi ed hanno i tratti bizzarri e illogici tipici dell’attività onirica, mentre i sogni del sonno NREM assomigliano maggiormente ai pensieri normali e non emotivamente qualificati. Gufi e allodole Il sonno non è uguale per tutti in termini di durata e qualità. Infatti, anche se in media dormiamo 7,5 ore per notte, vi sono i brevi dormitori (meno di 6,5 ore per notte) e i lunghi dormitori (oltre 8,5 ore per notte). Entrambe queste categorie hanno gli stessi identici cicli del sonno, ma i lunghi dormitori hanno una durata maggiore del sonno REM e dello stadio 2, che invece si riducono nei brevi dormitori. Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 16 Nell’alternanza sonno-veglia la localizzazione del sonno, data dall’ora di addormentamento e di risveglio spontaneo, segue sia i processi fisiologici dell’organismo sia le condizioni ambientali. Infatti, abbiamo individui mattutini (”allodole”), caratterizzati da un precoce addormentamento serale e da un risveglio mattutino a ore precoci. Questi individui sono capaci di raggiungere livelli ottimali di efficienza mentale in tempi assai rapidi, sono più attivi e socievoli nella prima metà della giornata. Per contro, i soggetti serotini (”gufi”) riescono ad addormentarsi solo a tarda ora e tendono a risvegliarsi a mattino avanzato, manifestano una certa lentezza a raggiungere livelli ottimali di efficienza mentale e sono più socievoli nella seconda metà della giornata. Mentre il ritmo sonno-veglia del neonato e del bambino piccolo è polifasico, nell’adulto è monofasico. Nonostante ciò, una certa quota di individui ha l’abitudine di fare una siesta pomeridiana: in questi soggetti parliamo di ritmo bifasico nell’alternanza sonno-veglia. Perché dormiamo? In molti pensano che il sonno serva a riposarsi per la stanchezza accumulata durante il giorno. Tuttavia, tutti i mammiferi e gli uccelli dormono e il loro sonno è molto simile al nostro. Il sonno, quindi, svolge una funzione importante per la nostra sopravvivenza ma, nonostante ciò, non vi è unanimità di pareri sulla sua funzione. Le teorie principali sono due. Da un lato abbiamo la teoria ristorativa per la quale il sonno consente in un recupero delle risorse sia a livello somatico sia a livello cerebrale. Secondo questa teoria, quindi, il sonno svolge una funzione di riparazione dai danni subiti durante la veglia. Dall’altro lato, invece, abbiamo la teoria circadiana secondo la quale il sonno sarebbe comparso durante l’evoluzione delle specie per mantenere gli animali inattivi durante i periodi in cui non hanno bisogno di impegnarsi nelle attività necessarie per la sopravvivenza I nostri antenati, quindi, avevano maggiori probabilità di vivere se durante la notte rimanevano riparati dai predatori e dai pericoli e conservavano le energie per il giorno successivo. Privazione del sonno Ma cosa succede, però, se non dormiamo? Innanzitutto, dobbiamo partire dal presupposto che, in quanto esseri umani, siamo capaci di non dormire per diversi giorni, raggiungendo e superando abbondantemente le 200 ore (privazione totale). Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 17 Infatti, nonostante la convinzione comune che la privazione del sonno abbia effetti negativi sui processi fisiologici e sulle prestazioni psicologiche, è stato verificato che essa non produce particolari alterazioni fisiologiche né tantomeno un declino delle funzioni cognitive. Solamente l’esecuzione di compiti mentali semplici, ripetitivi e noiosi è particolarmente compromessa. Dopo alcuni giorni di privazione di sonno, inoltre, compaiono i microsonni ovvero dei cali improvvisi della vigilanza della durata di pochi secondi, durante i quali le palpebre si chiudono e i soggetti non rispondono agli stimoli ambientali. La quantità di sonno recuperata nelle notti successive alla privazione è, di solito, inferiore a un terzo del sonno perduto. Infatti, si ha un recupero totale solo per lo stadio 4 (Slow Wave Sleep, SWS) e di circa la metà per il sonno REM. L’SWS, quindi, ha priorità rispetto al sonno REM e, per questo motivo, sembra che sia lui a svolgere la funzione di recupero del dispendio di risorse psichice che ha luogo nel corso della giornata. Nella privazione parziale osserviamo un incremento nell’efficienza del sonno: una diminuzione nella latenza di addormentamento, un decremento dei risvegli notturni e una riduzione degli stadi 1 e 2 del sonno NREM, nonché una riduzione del sonno REM. Rimane solo la quantità di sonno SWS. Pur protraendo a lungo la condizione di deprivazione parziale, i soggetti non presentano delle variazioni significative nelle prestazioni mentali in compiti di efficienza cognitiva e negli stati dell’umore, se non scendono al di sotto di 5 ore circa per notte. L’unica cosa di cui si lamentano i soggetti è la sonnolenza, specialmente nelle ore serali. 2.3.2. Ipnosi L’ipnosi è un procedimento nel quale un operatore (medico o psicologo per esempio), nella funzione di ipnotizzazione, induce il cliente (ipnotizzato) a sperimentare dei significativi cambiamenti nei propri comportamenti a causa di una sospensione momentanea della coscienza. Solitamente, la situazione ipnotica è costituita da una fase di induzione che conduce a obnubilare (offuscare) la coscienza dell’ipnotizzato e a fargli compiere una serie di azioni atipiche. Molto spesso tali distorsioni sono così evidenti che l’ipnotizzato sembra vittima di inganni percettivi e di memoria, o di una tendenza incontrollata ad agire in un certo modo. Induzione ipnotica Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 20 La meditazione, infatti, si pratica fin dai tempi antichi per via dei suoi numerosi benefici tant’è che è prevista da tutte le principali religioni esistenti. Le forme tradizionali della meditazione seguono la pratica dello yoga o dello zen. Oltre queste due pratiche appena citate è bene ricordare anche la meditazione di apertura e la meditazione di concentrazione. Nella meditazione di apertura il soggetto cerca il più possibile di non pensare a nulla in modo tale da accogliere nuove idee, esperienze e sentimenti. Nella meditazione di concentrazione, invece, il soggetto si impegna a concentrare tutta la sua attenzione su un unico oggetto, idea o parola, escludendo ogni altra cosa. Abbiamo anche la meditazione trascendentale che consiste nel focalizzare l’attenzione su una ripetizione di un suono speciale, detto mantra, o sulla respirazione nasale con l’obiettivo di distogliere completamente l’attenzione dai normali stimoli esterni e di concentrarsi pienamente su uno specifico stimolo interno. La meditazione trascendentale è una tecnica efficace per indurre uno stato profondo di rilassamento, per ridurre l’eccitazione fisiologica, nonché per diminuire le condizioni di stress; produce un significativo abbassamento del ritmo respiratorio, una diminuzione del consumo di ossigeno e una minore eliminazione dell’anidride carbonica; la frequenza cardiaca rallenta; diminuiscono la temperatura corporea e la pressione arteriosa; si stabilizza il flusso sanguigno; si ha un decremento dell’eccitazione nervosa. A livello psicologico, invece, la meditazione trascendentale risulta opportuna per combattere lo stress negativo (distress) e per superare gli stati di ansia cronica; è efficace nell’aumentare le capacità di memoria e l’efficienza mentale; è utile nelle attività sportive poiché favorisce il raggiungimento del massimo delle proprie potenzialità fisiche attraverso un grado ottimale di concentrazione. 3. AZIONE In principio era l’Azione. Wolfgang Goethe, Faust Per interagire con l’ambiente e per assicurarsi buone probabilità di sopravvivenza, non è sufficiente essere attenti e coscienti ma occorre saper agire. L’azione è una sequenza consapevole e deliberata di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, svolta in base a una piano e controllata dall’attenzione esecutiva, idonea a generare specifici Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 21 effetti sull’ambiente. Tramite le azioni, quindi, un individuo, in qualità di agente, è in grado di intervenire sulla realtà e di far accadere le cose. Un insieme di azioni fra loro diversificate ma coordinate in modo sufficientemente coerente per il raggiungimento di un unico scopo primario costituisce un’attività. Grazie a questa nostra capacità, quindi, siamo attori e protagonisti in grado di far accadere delle cose nel corso degli avvenimenti. Questo è il concetto di agentività (agency) inteso come capacità di esercitare un potere causale sugli accadimenti e di influenzare il loro andamento. Siamo convinti di poter ottenere i risultati desiderati mediante le nostre azioni (senso di autoefficacia). 3.1. Pianificazione dell’azione Qualsiasi azione che compiano non è un evento casuale, né totalmente automatico e nemmeno un semplice movimento accidentale o automatico come il movimento riflesso. I movimenti in sequenza implicati in un’azione sono volontari (prassici), idonei a realizzare uno scopo, delineato precedentemente secondo un progetto formulato in modo consapevole e intenzionale. Ogni azione, quindi, si svolge seguendo un piano che, in modo gerarchico, controlla l’ordine di una sequenza di operazioni motorie per consentire il raggiungimento dello scopo predefinito. La pianificazione dell’azione comporta la sua organizzazione nel tempo e nello spazio. George Miller, Eugene Galanter e Karl Pribram, nel 1960, hanno proposto un modello esplicativo denominato TOTE (Text-Operate-Text-Exit): inizialmente si verifica la situazione, si fanno le opportune operazioni, si controlla l’esito di queste ultime e infine si decide di terminare l’azione (uscita). Questo è un processo ricorsivo, in grado di assicurare un risultato soddisfacente e di raggiungere lo scopo prefissato. Il piano di un’azione, quindi, consiste in una mappa mentale della traiettoria delle operazioni da svolgere una dopo l’altra, prefigurando gli effetti di un’operazione su quella successiva, in modo da apportare le opportune correzioni nello svolgimento stesso dell’azione. Un piano è una vera e propria simulazione mentale che, in base a un modello, prefigura in modo dinamico ciò che avverrà nel corso dell’azione. Fra modello e azione, infatti, c’è una struttura equivalente in modo tale che il modello funzioni in modo corrispondente all’azione che sarà svolta successivamente. Ogni azione è una totalità unitaria, organizzata in modo gerarchico in una sequenza di operazioni, ciascuna delle quali è composta da una serie di movimenti volontari. Tra Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 22 azione e operazione c’è un rapporto mezzi-fine per cui le singole operazioni sono mezzi per realizzare l’azione nel suo insieme e, allo stesso tempo, sono il fine rispetto ai movimenti che la compongono. Il piano, quindi, svolge un’azione di regia e di guida così da garantire sia l’ordine corretto sia le eventuali correzioni nel caso di eventuali scostamenti dallo svolgimento previsto. Il modello TOTE, quindi, vale non solo per l’azione nella sua totalità ma per ogni sua fase. Questi processi dall’alto verso il basso vanno però integrati con quelli dal basso verso l’alto. Nella pianificazione di qualsiasi azione, dobbiamo tenere conto delle condizioni dell’ambiente in modo adeguato. Ogni azione che compiamo, infatti, si svolge in una certa situazione che, di volta in volta, presenta variazioni e, per questo motivo, è situata e radicata in un contesto immediato. Le condizioni ambientali definiscono le opportunità e i vincoli per l’esecuzione di una determinata azione. Le opportunità rimandano alle affordances della teoria ecologica di Gibson (vedi capitolo 3) che attribuiscono all’azione una direzione piuttosto che un’altra. I vincoli, invece, segnano i limiti oltre i quali l’esecuzione di un’azione diventa difficile, se non impossibile. Lo svolgimento di un’azione dipende quindi dall’interdipendenza fra la pianificazione degli individui e le condizioni della situazione immediata. Pertanto, richiede una prospettiva binoculare che riesca a governare la combinazione degli elementi provenienti da entrambe le fonti. Alla luce di ciò, possiamo affermare che ogni azione è contingente perché è l’esito congiunto sia della nostra attività personale, sia degli aspetti casuali. Nell’esecuzione di un’azione siamo certamente responsabili, ma è una responsabilità limitata perché intervengono in modo necessario fattori ambientali. 3.2. Esecuzione dell’azione Ogni azione, oltre ad essere pianificata, deve essere eseguita e non è per niente semplice. Infatti, Alan Baddeley nel 1986 ha utilizzato l’espressione “processi esecutivi” proprio ad indicare la complessità dei processi sottesi alla realizzazione di un’azione. Le aree cerebrali coinvolte in questi processi si trovano in modo elettivo nella corteccia prefrontale (Prefrontal Cortex, PFC): un’area molto importante, estesa in modo spropositato negli umani, in grado di ricevere informazioni da tutte le altre regioni corticali percettive e motorie, come pure da quelle sottocorticali. La corteccia prefrontale, inoltre, ha molteplici proiezioni di ritorno ai sistemi sensoriali percettivi e motori, esercitando quindi un’influenza robusta e continua nei loro confronti. Per questo motivo si parla di ipotesi dell’esecutivo frontale che presiede numerose attività Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 25 impacciati e incerti ma, mediante l’esercizio, siamo in grado di raggiungere un livello di esecuzione per noi soddisfacente. L’azione, però, è anche una fonte intrinseca di apprendimento. Un apprendimento situato perché avviene in una specifica situazione ed è immerso in un contesto immediato; un apprendimento esperienziale perché avviene attraverso il learning by doing ed è connesso con le esperienze che facciamo; un apprendimento riflessivo perché è in grado di stabilire una connessione “all’indietro” e “in avanti”. L’esercizio, quindi, oltre che per migliorare le nostre prestazioni, serve anche per il mantenimento del loro livello esecutivo. Infatti, nell’esecuzione di un’azione intervengono rilevanti processi connessi con la memoria di lavoro come la memoria attiva che ci permette di “lavorare”. Di solito, consideriamo l’ordine delle operazioni che compiamo nel tempo in una successione continua di “prima” e “dopo”. Tuttavia, la memoria ricorda molto più facilmente l’identità delle cose (item) che il loro ordine. Infatti, per il primo compito impiega in media 600 ms (ricordo di 6 item) mentre per il secondo compito impiega il doppio del tempo (1200 ms per ricordare l’ordine di 7 item). Il ricordo dell’identità degli item e dell’ordine sono due processi dissociati fra di loro, come dimostrano anche molte evidenze neuropsicologiche: i soggetti con danni alla corteccia prefrontale non sono in grado di elaborare l’ordine delle cose, ma sono capaci di ricordare gli item mentre i pazienti con danni parietali mostrano il comportamento opposto. Quando dobbiamo compiere delle attività complesse spesso facilitiamo le cose elaborando un copione (script) che stabilisce lo schema di riferimento generale e la rete delle connessioni fra le diverse operazioni. Monitoraggio e controllo Lo svolgimento di un’azione, infine, richiede una condizione di verifica e di valutazione continua sia nel corso del suo svolgimento, sia alla sua conclusione. Quando eseguiamo un’azione abbiamo la necessità di accertare, momento per momento, che ciò che stiamo facendo sia conforme al piano prestabilito. Tale monitoraggio consente di operare un confronto sistematico e ricorrente fra le anticipazioni mentali indotte dal piano e quanto è stato realizzato fino a quella fase. Ciò che precede stabilisce possibilità e vincoli per ciò che segue, e ciò che segue diventa il precedente della fase successiva in un andamento circolare incessante sino alla conclusione. In questo processo la memoria di lavoro svolge una funzione molto importante perché procede a Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 26 raffrontare in continuazione ciò che si sta facendo e quanto previsto dal piano dell’azione. Infatti, oltre a tenere presente l’ordine delle operazioni, dobbiamo tener conto anche delle loro connessioni e influenze reciproche. Sono dei compiti apparentemente facili, ma che soggetti con danni alla corteccia prefrontale non sono in grado di compiere. Il monitoraggio serve quindi per accertare un eventuale divario fra ciò che è previsto e la situazione in corso. Se riteniamo che gli scostamenti siano accettabili, possiamo procedere in avanti senza difficoltà mentre se pensiamo che siano troppo consistenti, dobbiamo porre qualche forma di correttivo. Questa attività di comparazione diventa fondamentale nel caso di errori. A livello comportamentale, infatti, sono rilevati piuttosto tardi (dopo circa 700 ms), mentre a livello cerebrale sono segnalati in modo tempestivo (dopo circa 100 ms). Il cervello, quindi, procede a notare qualsiasi scostamento dal previsto, mentre a livello mentale prestiamo attenzione alla correttezza della risposta, per verificare la quale abbiamo bisogno di raccogliere informazioni provenienti da diversi sistemi cerebrali. A conclusione dell’azione procediamo, infine, alla valutazione finale per accertare se è estata eseguita in conformità al piano di partenza. Se gli scostamenti sono ritenuti accettabili, l’azione è andata a buon fine mentre se sono troppo consistenti, occorre porre qualche forma di rimedio. 3.3. Agentività e autoefficacia Le attività che svolgiamo attribuiscono senso alla nostra vita, perché ci fanno sentire protagonisti, in grado di raggiungere gli obiettivi che ci interessano. Questa è la soddisfazione associata al raggiungimento di uno scopo poiché è la sconfitta della paura del fallimento. Questo tipo di piacere trova il suo completamento nella consapevolezza di funzionare bene, di ottenere buone prestazioni, di controllare in modo efficace la situazione, comprese le difficoltà; è la percezione di riuscire a superare le sfide e gli ostacoli nella soluzione dei problemi. Questo è il sentimento dell’autoefficacia: credenza e verifica di riuscire a controllare un’attività e di svolgerla con una buona riuscita. In queste situazioni il piacere deriva dal raggiungimento di un obiettivo che non è dato per scontato. Ci troviamo di fronte a ciò che Karl Bühler, nel 1934, definì piacere funzionale. L’autoefficacia, infatti, dipende dalla consapevolezza di essere protagonisti (agenti), in grado di causare degli effetti nell’ambiente in cui viviamo e di “far accadere delle cose”, Capitolo 4 - Attenzione, coscienza, azione 27 influenzando la direzione degli avvenimenti, possibilmente in modo a noi favorevole. Questo è il costrutto psicologico dell’agentività che viene attivata dai propri interessi e desideri come leve motivazionali, implica la capacità di formulare un piano intenzionale per riuscire a soddisfarli, di individuare le azioni opportune, di presiedere alla loro esecuzione sia tenendo presenti le condizioni del contesto immediato, sia svolgendo una funzione di regia e guida (guidance), nonché di attivare emozioni sociali positive al fine di alimentare i livelli di autostima. L’agentività è quindi la competenza nel compiere azioni efficaci, associata alla consapevolezza di ascrivere tale competenza a se stessi in quanto protagonisti.