Scarica PSICOLOGIA GENERALE - L. Anolli, P. Legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE Capitolo 1. “Origini e sviluppi della psicologia scientifica”. La psicologia è un vincolo per la specie umana. Se non fossimo tutti psicologi, non saremmo in grado di sopravvivere. È altresì un'opportunità, poiché ci aiuta ad avere una soddisfacente qualità della vita. → per tale ragione siamo predisposti ad elaborare una psicologia ingenua, fondata sull'esperienza personale. È una forma di sapere su cui si innesta la psicologia scientifica. Sorgono alcune domande: – quando è nata la psicologia? – Che differenze ci sono tra psicologia ingenue e psicologia scientifica? – Quali sono i principali modelli di spiegazione della mente e del comportamento che la psicologia ha sviluppato finora? In principio era la biologia, molto dopo è comparsa la psicologia. Molti anni fa noi uomini eravamo un gruppo unico con gli scimpanzè, con cui condividevamo lo stesso genoma. Con il “Sahelanthropus” inizia la nostra separazione da essi, e ad oggi abbiamo in comune con gli scimpanzè il 96% del genoma. Nel tempo l'evoluzione della nostra specie non è avvenuta in modo lineare, bensì in modo irregolare e discontinuo. Ma a quale periodo si possono far risalire gli albori della psicologia nella nostra specie? → non vi è una data precisa, ma oggi vi è una notevole concordanza nel ritenere che attorno a 100mila anni fa, la nostra specie sia diventata una SPECIE SIMBOLICA, in grado di maneggiare simboli, intesi in senso generale come entità che rappresentano mentalmente altre entità. → 80mila anni fa si attribuisce in modo plausibile la comparsa del linguaggio. => capacità simboliche e abilità linguistiche consentono agli umani di diventare una SPECIE PSICOLOGICA, in grado di riflettere sugli eventi in termini mentali. Con la rivoluzione del Neolitico, in questo periodo assistiamo a un incremento esponenziale delle capacità psicologiche degli umani. Questa rivoluzione ha predisposto una “cassetta degli attrezzi mentali” (pensiero, coscienza, comunicazione, socialità, valori etc.). È la configurazione di base delle nostre competenze psicologiche e rappresenta la nascita della cultura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ogni forma di conoscenza a nostra disposizione deriva dall' ESPERIENZA per il tramite delle sensazioni. ESPERIENZA → dal latino “experiri= fare una prova”, che a sua volta è composto da “ex= da”, che indica partenza, distacco e da “per= attraverso”, nel senso di viaggio. Quindi => esplorare, peregrinare. Ha numerose accezioni: 1. occorrenza di un particolare accadimento che ci tocca in prima persona 2. partecipazione a una serie di eventi come fonte di conoscenza e apprendimenti 3. particolare competenza in un certo ambito 4. totalità delle conoscenze a propria disposizione In questa sede parliamo di ESPERIENZA come la TOTALITA' DELLE SINGOLE ESPERIENZE. È l'enciclopedia delle conoscenze esplicite (formali) e implicite (tacite) acquisite tramite il coinvolgimento personale nelle azioni e l'imitazione dei comportamenti altrui. È la percezione di tutto ciò che accade. È altresì sentire gli eventi che ci riguardano e influenzano i nostri stati d'animo. Le conoscenze acquisite tramite l'esperienza hanno un valore PRAGMATICO → sono utili per prendere decisioni e agire in modo efficace in una data situazione nei vari ambiti dell'esistenza. Consentono altresì di elaborare teorie per spiegare il comportamento nostro e altrui. Sono tuttavia TEORIE INGENUE, fondate su conoscenze poco attendibili e valide. L'ESPERIENZA non è una dimostrazione, è un AVVENIMENTO PERSONALE, limitato nel tempo e nello spazio, soggetto a errori e distorsioni. Teorie ingenue + spiegazione della condotta umana => PSICOLOGIA DEL SENSO COMUNE. → È una forma indispensabile di sapere che ci pone nella condizione di capire e interpretare i comportamenti nostri e altrui grazie al ragionamento pratico. Se introduciamo processi di verifica rigorosi, otteniamo conoscenze dotate di maggiore validità e attendibilità, di cui ci possiamo fidare. È la PSICOLOGIA SCIENTIFICA fondata sul METODO SPERIMENTALE, che offre una garanzia elevata sulla robustezza delle spiegazioni fornite. Differenze: 1. la PSICOLOGIA SCIENTIFICA non parte da zero, non è una conoscenza originaria, MA si fonda sul sapere della psicologia ingenua. 2. La PSICOLOGIA SCIENTIFICA presenta un carattere di CONTINGENZA. 3. Riconosciuta questa contingenza, nasce il carattere di NECESSITA' della psicologia scientifica. Chiunque accetti questi criteri e sia in grado di usare gli strumenti pertinenti è nella possibilità di procedere alla verifica di quanto sostenuto da un altro studioso. Il termine psicologia compare per la prima volta nel 1520, ma solo nel 700 si inizierà a parlare di psicologia nel senso attualmente inteso. • Christian Wolff → distingue: - PSICOLOGIA RAZIONALE → di natura filosofica, si basa su riflessioni teoretiche e fu messa in discussione da Kant. - PSICOLOGIA EMPIRICA → naturalistica, è fondata su osservazioni concrete, ed è stata la radice da cui è sorta la psicologia scientifica contemporanea come scienza naturale. Contributo filosofico → la filosofia classica e quella moderna hanno fornito un rilevante contributo alla psicologia. – Aristotele → con il “De anima” in cui si procede a una descrizione dei processi cognitivi – Ippocrate → fornisce una prima classificazione della personalità – Erasistrato → distingue i nervi sensoriali da quelli motori – Renè Descartes → introduce la distinzione fra RES COGITANS, il pensiero e RES EXTENSA, il corpo. Il pensiero racchiude idee innate mentre il corpo è concepito come una macchina, oggetto di indagine naturalistica. A questo pensiero (Razionalismo) si oppone l'EMPIRISMO, che consente di studiare la mente non come essenza, bensì come insieme di FACOLTA'. La psicologia scientifica nasce nel 1879 grazie a Wilhelm Wundt. • Wilhelm Wundt → per lui l'oggetto della psicologia è l'ESPERIENZA IMMEDIATA (diretta) contrapposta all'esperienza mediata delle altre scienze naturali. La psicologia non ha la necessità di ricorrere a strumenti di mediazione. Il metodo privilegiato per rilevare l'esperienza immediata è dato dall'INTROSPEZIONE = intesa come capacità di accertare che cosa avviene nell'istante in cui si esperisce un certo evento (interno o esterno). Tuttavia, l'introspezione può alterare i contenuti di ciò che si osserva ed è soggetta a distorsioni: nel momento stesso in cui ha luogo, modifica i dati rilevati per un inevitabile spostamento di attenzioni. → non vi è una lettura diretta della mente altrui, che rimane sempre opaca. Wund era consapevole di entrambi questi limiti dell'introspezione, e ritenne possibile aggirarli facendo ricorso al metodo sperimentale. Ciò che conta non è il contenuto dell'introspezione, ma la VARIAZIONE fra un atto di introspezione e un altro comparabile. Elaborò una teoria complessa in cui distinse: - PERCEZIONE → le sensazioni immediate così come si presentano alla coscienza - APPERCEZIONE → l'organizzazione delle sensazioni in processi mentali complessi - VOLONTA' DI REAZIONE → intervento della volontà per produrre azioni congrue con gli stimoli Dagli storici la psicologia di Wund fu chiamata STRUTTURALISMO, poiché rivolta a rilevare le strutture della mente umana. Secondo il suo allievo più fedele, Edward Titchener, la comprensione dell’“anatomia della mente” ha poca attinenza con il come o il perché la mente funzioni. È essenziale capire di quali strutture si compone. La prima contrapposizione allo strutturalismo proviene dal FUNZIONALISMO. FUNZIONALISMO → è un punto di vista, un programma, un'ambizione, che trovò nell'università di Chicago la sua sede elettiva. Secondo questa prospettiva, la psicologia è lo studio dell'attività mentale come via per adattarsi all'ambiente operazioni aritmetiche e che rappresenta l'embrione dei computer di oggi. L'IA ritiene che un computer correttamente programmato possa essere dotato di un'intelligenza non distinguibile da quella umana. Il paradigma dell’IA è andato incontro a numerose critiche. Il COGNITIVISMO aveva posto le premesse per comprendere l'architettura della mente umana. • Jerry Fodor → ha proposto una concezione forte della mente computazionale, governata dal LINGUAGGIO DELLA MENTE. Per lui è la combinazione di concetti semplici innati in grado di esprimere verità necessarie, elaborate secondo le regole logiche, attente solo alla forma, non ai contenuti. Questa concezione è stata ulteriormente sviluppata con una visione modulare della mente. Secondo il MODULARISMO → la mente è organizzata in moduli, o cassetti, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema aperto in un ambito specifico nell'interazione con l'ambiente. I moduli operano nello stesso modo nelle varie situazioni in cui gli individui vengono a trovarsi. Non possiamo scegliere di organizzare la nostra percezione visiva come desideriamo. I moduli attribuiscono una specifica struttura alla mente, che può funzionare solo secondo processi predefiniti. PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA → i moduli sarebbero il risultato della selezione naturale per affrontare i problemi che la nostra sopravvivenza ci poneva decine di migliaia di anni fa. Con l'evoluzione sarebbero diventati sistemi esperti, geneticamente predisposti, finalizzati a trattare a livello mentale i problemi relativi a settori specifici dell'ambiente. CONNESSIONISMO → metà anni '80. Pone in relazione l'architettura biologica del cervello con quella funzionale dell'attività cognitiva e fa riferimento a modelli, chiamati RETI NEURALI ARTIFICIALI, ispirati alla struttura neurale del cervello. Secondo il connessionismo, l'elaborazione delle informazioni avviene all'interno di ogni rete, composta da un numero molto elevato di unità che procedono in modo parallelo, in grado di influenzarsi l'un l'altra mediante connessioni eccitatorie o inibitorie, ciascuna delle quali ha un peso specifico. Ogni rete presenta un'architettura a tre strati: 1. strato di unità di imput 2. strato di unità nascoste 3. strato di unità di output le diverse unità possono essere collegate tra loro secondo molteplici percorsi. Vi sono reti che: – prevedono solo connessioni unidirezionali in avanti (feedforward) dallo strato di imput a quello di output – prevedono connessioni bidirezionali sia in avanti sia indietro (feedback) – prevedono percorsi connettivi orizzontali entro lo stesso strato il connessionismo apre pertanto la strada verso una concezione dinamica e attiva della mente, in grado di adattarsi alle condizioni del momento e autocorreggersi. Giunti ai giorni nostri esamineremo la mente situata e radicata nel corpo. → non può esserci una mente astratta e isolata fuori da una situazione concreta, tranne quando si cade nell'ERRORE DELL'ESSENZIALISMO => considerare gli stati mentali come entità fisse, regolari, corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati. È una sorta di “cecità Platonica”, un'incapacità di vedere l'importanza decisiva del contesto. È la tendenza a decontestualizzare i processi sottesi ai processi mentali. MENTE → è una MENTE SITUATA, costantemente immersa in un contesto immediato, inteso come l'insieme delle informazioni disponibili nella situazione contingente, compresi i particolari secondari. In quanto tale è FONDATA SULL'ESPERIENZA. Essa funziona come guida di controllo per l'azione e l'interazione, momento per momento, trasformando i dati fruibili in specificazioni circa ciò che è corretto fare qui ed ora. È RADICATA NEL CORPO → e modale, fondata sull'elaborazione dei dati da parte delle singole modalità sensoriali e di controllo motorio. La radicazione della mente nell'organismo ha trovato una valida conferma sperimentale e teorica nei NEURONI A SPECCHIO, che ci pongono nella condizione di capire le azioni degli altri, di comprendere la loro mente, di condividere affetti ed emozioni, nonché di stabilire profondi legami di empatia. Capitolo 2. “Metodi della ricerca in psicologia”. • Kant → respinge la psicologia sperimentale poiché la matematica non è applicabile ai fenomeni del “senso interno” e alle loro leggi. Semplicemente non è concepibile “misurare” i fenomeni e i processi mentali. In che modo possiamo misurare il pensiero, il desiderio, la memoria, le emozioni? In che modo calcolare l'intensità delle sensazioni? PSICOLOGIA INGENUA → enciclopedia delle conoscenze psicologiche di cui dispone una persona in base alla propria esistenza. È adeguata a vivere in pratica la nostra vita quotidiana, ma non per elaborare conoscenze esplicite, idonee a spiegare in modo attendibile i processi sottesi a un dato comportamento. Quindi → occorre elaborare una TEORIA = insieme coerente e parsimonioso di proposizioni, fondate su criteri espliciti, verificabili sul piano empirico tramite opportune operazioni, in grado di dare ragione di certe evenienze, delle regolarità osservate, nonché di fare previsioni attendibili sull'evoluzione dell'attuale stato di cose. Qual è la differenza tra TEORIA INGENUA E TEORIA SCIENTIFICA? → Risiede nei METODI DI CONTROLLO delle spiegazioni e nelle capacità di impiegare criteri espliciti per acquisire conoscenze e fare previsioni. La psicologia scientifica adotta il METODO SPERIMENTALE, messo a punto nel 600. • Galileo → per lui il metodo sperimentale consiste nell'unione delle sensate esperienze con le necessarie dimostrazioni supportate dal contributo della matematica. Teoria e fatti non sono separati, ma tra loro vi è un rimando continuo che implica un intreccio originario fra OGGETTO e METODO. METODO → dal greco “meta= per” e “odos= strada” => andare per strada, fare un percorso. Occorre quindi che il ricercatore predisponga un DISEGNO DI RICERCA. All'inizio dell'attività di ricerca vi è la MERAVIGLIA, quindi l'interesse profondo per l'individuazione di soluzioni innovative rispetto a teorie già consolidate. Il punto di partenza di una ricerca implica un pensiero creativo e produttivo, che spinga il ricercatore a individuare nuovi modelli di spiegazione, a stabilire connessioni alternative rispetto a quelle usuali. L'interesse di avvio implica la DOMANDA DI RICERCA: che cosa voglio studiare? Perché? Qual è il traguardo che desidero raggiungere? → occorre che tale campo non sia troppo esteso ma nemmeno troppo limitato e complesso. Ogni ricerca si fonda su altre ricerche e si fonda su una piattaforma di conoscenze, competenze e apprendimenti compiuti dai ricercatori precedenti. Lo SCOPO della ricerca è l'architrave della ricerca stessa, definisce il suo significato. La domanda di ricerca va tradotta in IPOTESI DI RICERCA = enunciati provvisori che stabiliscono una relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. Di norma, un'ipotesi è enunciata in proposizioni del tipo “se … allora”: se si verificano certe condizioni (antecedente) allora sono prevedibili determinati esiti (conseguente). Le ipotesi di ricerca sono formulate in modo da essere verificate tramite operazioni sperimentali accurate e pertinenti. Le OPERAZIONI consistono in azioni documentabili, osservabili da più ricercatori indipendenti, rispettose di CRITERI DI PROTOCOLLARITA' ammessi da una data scienza. Per esaminare la validità o meno delle ipotesi di ricerca, il ricercatore deve procedere alla loro VERIFICA SPERIMENTALE, ma non è così semplice. Non è possibile dimostrare sperimentalmente in modo diretto le ipotesi di ricerca poiché in ogni operazione di misura commettiamo errori, dati i limiti intrinseci della nostra mente. Per superare questo ostacolo gli scienziati hanno fatto ricorso a una via indiretta di verifica dell'ipotesi. → essi si sentono autorizzati ad accettarla solo se riescono a dimostrare che l'ipotesi opposta (IPOTESI NULLA) è falsa. La totalità dei risultati in base ai quali ci sentiamo giustificati a rigettare l'ipotesi nulla si chiama REGIONE CRITICA. Se i dati che otteniamo ricadono in questa regione, ci sentiamo legittimati a respingere l'ipotesi nulla e per inferenza accettare l'ipotesi di ricerca. Precisate le ipotesi occorre verificare la loro accettabilità tramite il METODO SCIENTIFICO che prevede il rispetto rigoroso di specifici standard. Anzitutto è necessario ottenere la partecipazione dei soggetti che rispondano ai requisiti previsti dal ricercatore in riferimento a una serie di variabili. Il gruppo dei soggetti sperimentali costituisce la fonte delle informazioni e tale condizione richiede che sia scevro da distorsioni. Solitamente poi è prevista la supervisione di un GRUPPO DI CONTROLLO. I soggetti sono invitati a eseguire una serie di operazioni nel corso dell'esperimento in una condizione: – ARTIFICIALE → che garantisce un livello più elevato di controllo rigoroso e fornisce protocolli dotati di una maggiore attendibilità psicometrica. – NATURALE → presenta un valore più alto di validità ecologica nel rispetto del comportamento spontaneo dei soggetti nel loro ambiente di appartenenza. Occorre inoltre che i partecipanti rispettino le istruzioni fornite dal ricercatore, la CONSEGNA. Questa deve essere il più chiara e semplice possibile, favorendo la partecipazione attiva dei soggetti. Seguendo le indicazioni fornite essi sono in grado di compiere le opportune azioni in riferimento agli STIMOLI SPERIMENTALI loro presentati. L'elaborazione degli stimoli → impresa ardua. Avviene facendo ricorso a specifici STRUMENTI che consentono sia la loro determinazione sia la loro misurazione al fine di ottenere i protocolli dell'esperimento. Ci sono quelli tradizionali semplici ma anche quelli più sofisticati. In numerose circostanze i ricercatori impiegano l'OSSERVAZIONE dei comportamenti dei partecipanti. La combinazione di queste varie componenti conduce alla configurazione della SITUAZIONE SPERIMENTALE. Infine, occorre verificare se al termine dell'esperimento i soggetti abbiano capito il compito e lo abbiano eseguito secondo quanto indicato dal ricercatore. Al tal fine il ricercatore si avvale del CONTROLLO DI MANIPOLAZIONE = che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obiettivi dell'esperimento, le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentali. I dati ottenuti sono sottoposti a ELABORAZIONE STATISTICA, che può essere: – DESCRITTIVA → consente di rappresentare il modo accurato e sintetico le caratteristiche numeriche dei fenomeni indagati in riferimento alle variabili considerate. – INFERENZIALE → impiega procedimenti probabilistici per formulare previsioni, stabilire una connessione fra due o più variabili, accertare un eventuale rapporto causa-effetto fra la variabile dipendente e quella indipendente. Se i risultati appaiono soddisfacenti e innovativi, il ricercatore è interessato a documentare la sua ricerca con un'apposita PUBBLICAZIONE. In tal modo si pongono le premesse per istituire un confronto aperto fra gli scienziati, porre ulteriori traguardi, stabilire una rete con altri etc. SPIEGARE le cose → necessità per l'uomo, altrimenti ci sentiremmo persi. Sospinti da questo vincolo, andiamo alla ricerca delle CAUSE che possono generare gli accadimenti. L'EVIDENZA delle cose non basta, abbiamo bisogno di domandarci “perché”. Questo vincolo appare precocemente nel neonato, è l'ILLUSIONE DEL POTERE ESPLICATIVO che promuove forme efficaci di adattamento attivo nel nostro habitat. Tale illusione conduce al PRINCIPIO DI CAUSALITA', in grado di rispondere al perché si verificano certe connessioni fra due o più fenomeni. 1. CAUSALITA' FISICA → ad esempio il moto. Il suo fondamento è la FORZA. 2. CAUSALITA' PSICOLOGICA → abbiamo sempre a che fare sia con oggetti inanimati ma anche con esseri animati, a questi ultimi siamo predisposti ad attribuire in modo sistematico pensieri, emozioni, intenzioni, desideri e scopi anche laddove questi non esistono. Il suo fondamento è l'INTENZIONE. Gli umani sono SISTEMI TELEONOMICI => avvertono l'esigenza di raggiungere uno scopo e di mettere in atto le funzioni indispensabili a tal fine. IL METODO SPERIMENTALE Gli eventi del mondo assumono un certo valore, e tutti i valori della nostra esperienza sono potenzialmente delle VARIABILI. Il compito fondamentale del ricercatore è determinare il RAPPORTO che esiste tra le variabili che osserva. Occorre distinguere: – variabili DIPENDENTI → variano in dipendenza delle variazioni delle seconde – variabili INDIPENDENTI → sono controllate dallo scienziato cuore del metodo sperimentale → “manipolare una variabile indipendente per verificarne l'effetto sulla variabile dipendente”. – concorrente – di facciata Dopo aver raccolto i protocolli in modo rigoroso, il ricercatore ha il compito di elaborarli. A tal fine, il ricercatore fa ricorso alla DISTRIBUZIONE DELLE FREQUENZE → si registra quanti soggetti di ogni gruppo si distribuiscono nella gamma dei valori di una data variabile. Sulla base della distribuzione delle frequenze, il ricercatore può: 1. descrivere in termini statistici i fenomeni osservati (STATISTICA DESCRITTIVA) 2. verificare l'ipotesi sperimentale e fare le opportune induzioni (STATISTICA INFERENZIALE) STATISTICA DESCRITTIVA → fornisce un quadro sintetico dell'insieme dei dati grezzi ottenuti con le misure sia della tendenza centrale sia della variabilità. Le prime sono il centro della gravità dei fenomeni e consistono nella moda, mediana e media. Le seconde sintetizzano la dispersione dei dati. Il COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE misura l'entità della connessione tra due variabili. STATISTICA INFERENZIALE → consente di verificare se sia possibile fare induzioni dai risultati ottenuti, al fine di convalidare l'ipotesi sperimentale e di fare delle previsioni. I fenomeni naturali si presentano regolarmente con una certa PROBABILITA': i fenomeni tipici sono assai più probabili di quelli atipici. Poiché non siamo in grado di dimostrare in modo diretto l'IPOTESI DI RICERCA, siamo autorizzati ad accertare tale ipotesi solo se riusciamo a dimostrare che l'ipotesi contraria (IPOTESI NULLA) è falsa. L'insieme dei risultati che ci consente di rigettare l'ipotesi nulla, chiamata REGIONE CRITICA, è regolato dalle LEGGI DELLA PROBABILITA'. Capitolo 3. “Sensazione e percezione”. Abbiamo la sensazione di avere il mondo in mano per un istante, ma l'istante dopo già ci sfugge. D'altra parte, non siamo neppure capaci di vivere senza stimoli e sensazioni. Nel bagaglio dei nostri “attrezzi mentali” possediamo potenti dispositivi che ci consentono di sentire e percepire la realtà. L'ambiente fisico in cui viviamo produce una varietà infinita di STIMOLI che giungono ai nostri organi di senso. SENSAZIONE → l'impressione soggettiva, immediata e semplice che corrisponde a una data intensità dello stimolo fisico. Queste possono essere comunicate agli altri e sono da loro agevolmente comprese. Avviene così un confronto fra le sensazioni proprie e quelle altrui. Nella grande maggioranza dei casi le sensazioni di un individuo sono simili a quelle di un altro. Questa situazione di comunicabilità è dovuta a una relazione sistematica fra lo STIMOLO FISICO e la SENSAZIONE medesima. Sono le RELAZIONI PSICOFISICHE, per cui a date configurazioni di stimoli fisici corrispondono determinate sensazioni sul piano psicologico. Esse costituiscono una sorta di interfaccia fra la realtà esterna e la realtà interna. Ogni modalità sensoriale è sensibile in modo definito alle manifestazioni e variazioni di una data forma di energia fisica. Siamo capaci di rispondere solo a quelle forme fisiche di stimolazione, per cui abbiamo a disposizione particolari APPARATI RECETTIVI in grado di captarle e riceverle. → questa condizione pone in evidenza due limiti intrinseci alla SENSIBILITA' UMANA. Siamo capaci di cogliere gli stimoli solo quando questi ultimi hanno una certa INTENSITA'. Questo livello, chiamato SOGLIA ASSOLUTA, segna il confine fra gli stimoli che vengono recepiti dall'organismo e gli stimoli che, pur essendo presenti, non sono avvertiti dall'individuo. Anche la variazione di intensità tra due stimoli della medesima natura deve essere sufficientemente elevata per essere colta dall'organismo. In questo caso parliamo di SOGLIA DIFFERENZIALE, che è il valore della differenza minima fra due stimoli di diversa intensità che è rilevata nel 50% dei casi. • Kant → sosteneva che la psicologia sperimentale non potesse essere realizzata, poiché non era possibile procedere alla MISURAZIONE DELL'ATTIVITA' PSICHICA. Al riguardo furono messi a punto 3 diversi METODI PSICOFISICI di misurazione. (*psicofisico → significa che si studia la relazione sistematica fra due variabili: la sensazione e la stimolazione): 1. METODO DEI LIMITI → in questo procedimento sono presentate ripetutamente diverse serie di stimoli. Alcune partono da valori infraliminari e hanno un ORDINE ASCENDENTE nell'intensità degli stimoli. Altre iniziano con stimoli sovra liminari e hanno un ORDINE DISCENDENTE. Questo metodo non è esente da errori. Fra di essi si può menzionare l'ERRORE DELLA DIREZIONE DELLA SERIE: i valori di soglia tendono a essere diversi a seconda che si inizi con una serie ascendente o discendente. 2. METODO DELL'AGGIUSTAMENTO → si richiede al soggetto di aggiustare in modo continuo attraverso una manopola o un cursore il livello di intensità di uno stimolo, finché esso è in grado di suscitare in lui una risposta. 3. METODO DEGLI STIMOLI COSTANTI → al fine di ottenere misurazioni più stabili e coerenti, in questo metodo viene presentato al soggetto un certo numero di stimoli che hanno differenti intensità, alcune sopraliminari, altre infraliminari. La misurazione della SOGLIA DIFFERENZIALE comporta dei metodi analoghi. Il soggetto è invitato a riferire se è in grado di avvertire una differenza fra i 2 stimoli. In alcuni casi le differenze non sono colte dal soggetto. In questa procedura possono insorgere distorsioni dovute a errori sistematici, quali l'ERRORE DEL CAMPIONE (lo stimolo standard tende spesso ad essere sovrastimato rispetto allo stimolo di confronto) e l'ERRORE DI POSIZIONE (se gli stimoli sono disposti nello spazio in posizioni diverse si può verificare la sovrastima dello stimolo che occupa una data posizione). La misurazione delle attività sensoriali ha messo in evidenza alcuni meccanismi di base del loro funzionamento, poiché la qualità delle sensazioni varia sistematicamente al variare degli stimoli fisici. Questo aspetto è stato approfondito dalla PSICOFISICA → intesa come lo studio delle relazioni che intercorrono fra gli attributi soggettivi di una data sensazione e gli attributi fisici controllabili dello stimolo corrispondente. (parte matematica vedi pag. 65) Posti di fronte a uno stimolo, o lo rilevano o non lo rilevano. In realtà, nel processo di RILEVAZIONE devono altresì compiere una decisione circa la sua presenza o meno. Supponiamo di trovarci in questa situazione: occorre stabilire se ci troviamo in presenza o meno di un segnale rispetto a un rumore di fondo. Secondo la teoria statistica abbiamo quattro possibilità: 1. dire si (dire che il segnale c'è quando questo esiste realmente: vero positivo, hit, H) 2. dire si (dire che il segnale c'è quando vi è solo un rumore di fondo: falso positivo, o falso allarme, Fa) 3. dire no (dire che il segnale non c'è quando esiste realmente: falso negativo, o omissione, O) 4. dire no (dire che il segnale non c'è quando non esiste davvero: vero negativo, o rifiuto corretto, Rc) la TEORIA DELLA DETEZIONE DEL SEGNALE ha posto in evidenza due fattori: – la sensibilità dell'organismo nella finezza discriminativa degli stimoli – il criterio soggettivo di decisione Nello studio psicofisico del rapporto fra sensazione e stimolazione occorre considerare, oltre alle capacità recettive dell'organismo, anche i fattori mentali legate alla decisione. Molti sono inclini a sostenere che ciò che percepiamo sarebbe una riproduzione di quanto si trova nella realtà. Secondo questa prospettiva, definibile come REALISMO INGENUO, il mondo si presenta a noi così come esso è e vi è una coincidenza fra realtà fisica e realtà percettiva. Ciò che conosciamo è la realtà fenomenica, quella che appare a noi. Le PERCEZIONI sono il nostro mondo. In numerose condizioni emerge una divergenza fra la realtà fisica e la realtà percettiva. In alcune situazioni, non vediamo quello che esiste nella realtà. Talvolta vediamo cose differenti da quelle che esistono, come per le illusioni ottico-geometriche, in cui vediamo sia qualcosa di reale sia qualcosa di illusorio. Le SENSAZIONI sono puntiformi e microscopiche, una indipendente dall'altra, rilevate da specifici recettori sensoriali e trasmesse a differenti aree cerebrali. Sono una nebulosa fitta di dati, spesso puntiformi, in cui ci smarriamo. Le sensazioni da sole non contengono le informazioni sufficienti per spiegare le nostre percezioni. A loro volta i percetti costituiscono la base per ulteriori e articolati processi mentali associati alle immagini mentali, alle categorie, ai concetti. Il passaggio dalle sensazioni ai percetti è il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come CATENA PSICOFISICA. Gli oggetti del mondo circostante producono molteplici radiazioni. Queste radiazioni, che costituiscono le STIMOLAZIONI DISTALI, vanno a suscitare negli apparati recettivi precise sollecitazioni, definite STIMOLAZIONI PROSSIMALI. Vi è una stretta corrispondenza fra i dati sensoriali e la popolazione dei neuroni attivati in una data area cerebrale. La corteccia visiva funziona come i pixel di un'immagine digitale e produce MAPPE TOPOGRAFICHE degli stimoli. La stimolazione, EVENTO FISICO, suscita dunque una rapida successione di eventi fisiologici. Alle fasi terminali di questi accadimenti fisiologici, nei livelli centrali dell'organizzazione nervosa cerebrale, corrisponde sul piano soggettivo la PERCEZIONE. PERCEZIONE → impressione diretta e immediata della presenza di determinate forme della realtà ambientale. Se è coinvolto il sistema visivo, la percezione consiste nel vedere una serie di oggetti, statici o in movimento e variamente dislocati nello spazio, con le proprie caratteristiche. Queste impressioni costituiscono il CAMPO FENOMENICO → il fenomeno così come ci appare in termini immediati in una data situazione. PERCEZIONE → l'organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali, corrispondenti a una data configurazione di stimoli, delimitata nello spazio e nel tempo. Data la complessità dinamica della percezione, è legittimo attendersi che in essa siano operanti diversi flussi di processi. In effetti sono essenziali: 1. PROCESSI DAL BASSO VERSO L'ALTO (bottom-up) → vanno ad attivare specifiche aree cerebrali. Le informazioni sensoriali, quindi, sono necessarie poiché senza di esse cadiamo in una condizione di allucinazione, come succede in una situazione di severa deprivazione sensoriale. Tuttavia, sono insufficienti a spiegare ciò che percepiamo. Ad esempio, le stelle, in cui si vedono decine e decine di figure. In altri casi le informazioni sensoriali sono eccessive per essere incluse in modo istantaneo in un singolo atto percettivo. 2. PROCESSI DALL'ALTO VERSO IL BASSO (top-down) → partono da specifiche aree cerebrali e influenzano l'attività nervosa dei recettori sensoriali delle diverse modalità in relazione a ciò che già sappiamo. È in grado di colmare gli elementi mancanti degli stimoli sensoriali sulla base delle informazioni già immagazzinate. Una conferma empirica di questo tipo di processo proviene dall'attività di RICONOSCIMENTO degli oggetti. Nello svolgimento di tale attività possiamo fare ricorso a: - il confronto fra le singole occorrenze di un oggetto e il modello standard, in questo caso consideriamo l'oggetto nella sua totalità - l'individuazione delle caratteristiche salienti e discriminanti di un oggetto, assegnando loro una funzione selettiva elevata PERCEZIONE → funzione altamente dinamica, in cui i flussi delle informazioni dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso presentano un forte grado di interdipendenza, al fine di assicurare un elevato livello di attendibilità, di validità e di finezza discriminativa. La percezione viene analizzata da diversi punti di vista teorici, dato che rappresenta un dominio psicologico complesso: TEORIA EMPIRISTICA Le ripetute esperienze con la realtà ambientale e l'apprendimento che ne consegue forniscono un contributo essenziale alla percezione degli oggetti. Per loro natura i dati sensoriali sono parcellari e danno origine a un mosaico di SENSAZIONI ELEMENTARI. Nell'adulto i meccanismi dell'associazione e dell'esperienza diventano molto rapidi e quasi automatici, poiché agiscono sotto forma di INFERENZA INCONSCIA. SCUOLA DELLA GESTALT Nata in Germania all'inizio del 900 sostiene fin da subito che la percezione non è preceduta da sensazioni, ma è un PROCESSO PRIMARIO E IMMEDIATO. La percezione è data dall'organizzazione interna delle forze che si vengono a creare fra le diverse componenti di uno stimolo. Il campo percettivo si organizza attraverso la distribuzione dinamica delle forze generare dai vari aspetti dell'oggetto. Questo processo è regolato da alcuni fattori o PRINCIPI DI UNIFICAZIONE. Le parti di un campo percettivo costituiscono totalità coerenti e strutturate come figure sullo sfondo, Se in una stanza totalmente buia fissiamo un piccolo punto luminoso statico (ex. Sigaretta accesa), dopo un certo intervallo di tempo, abbiamo la percezione che il punto compia movimenti erratici di una certa ampiezza. La spiegazione di questo fenomeno, detto MOVIMENTO AUTOCINETICO, risiede nell'incapacità di mantenere a lungo la traccia dell'esatta direzione verso cui si guarda, in combinazione con l'essenza di ogni sistema di riferimento. Capitolo 4. “Attenzione, coscienza, azione”. Grazie all'attenzione siamo in grado di discriminare in modo selettivo le informazioni dell'ambiente, attribuendo maggior peso a quelle per noi rilevanti e tralasciandone altre. Quando ci svegliamo al mattino abbiamo la mente offuscata, abbiamo bisogno di un po' di tempo per diventare svegli, vigili e attenti. ATTENZIONE → insieme dei dispositivi che consentono di. – orientare le risorse mentali disponibili verso gli oggetti e gli eventi – ricercare e individuare in modo selettivo le informazioni per focalizzare e dirigere la nostra condotta – mantenere in modo vigile una condizione di controllo su ciò che stiamo facendo È un processo grazie al quale attribuiamo rilievo a una data informazione. • A. ENDOGENA → l'attenzione si frastaglia in unna gamma estesa e variabile di processi che accompagnano continuamente l'esperienza. In molte circostanze siamo guidati dai nostri interessi, bisogni, scopi nel prestare attenzione a ciò che succede attorno. È avviata dalle nostre esigenze personali e implica un orientamento volontario verso uno specifico oggetto o evento dell'ambiente. • A. ESOGENA → È avviata da uno stimolo esterno ed è regolata da processi mentali dal basso verso l'alto. Comporta un orientamento automatico dell'attenzione caratterizzato dal fatto che: non può essere interrotto, distrae l'attenzione del compito in corso, non è soggetto a interferenza da parte di un compito accessorio. • A. SPAZIALE → di solito vi è coincidenza fra la direzione dello sguardo e quella dell'attenzione. Tuttavia, possiamo separare questi due processi: possiamo dirigere lo sguardo verso un oggetto nello spazio e orientare l'attenzione verso qualche altra parte. In tutti i casi siamo in grado di rilevare ciò che è rilevante per noi. È il BERSAGLIO dell'attenzione, ciò che mettiamo a fuoco in quella data circostanza. Il FUOCO DELL'ATTENZIONE consente di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo ambientale. In generale la velocità e la precisione nell'individuazione di un bersaglio sono indici rilevanti di efficacia mentale: favoriscono l'orientamento e la rapidità nello svolgimento efficiente dei compiti e promuovono il riconoscimento tempestivo di eventuali errori e l'opportunità di portare le correzioni appropriate. In questa attività assume importanza la VALIDITA' degli stimoli ricercati, per validità si intende l'effettiva individuazione del bersaglio ricercato. Gli stimoli che rispondono a interessi centrali sono catturati in modo assai più veloce e preciso rispetto a quelli associati a interessi periferici. Gli stimoli dotati di maggiore rilevanza emotiva catturano assai prima e in modo vincolante le risorse attentive rispetto a quelli neutri. Le emozioni trattengono l'attenzione nel tempo, rendendo difficile la sua distrazione e la sua applicazione ad altri stimoli. La rapidità della rilevazione degli stimoli assume un valore fondamentale in caso di emergenza, in queste situazioni entra in azione la via subcorticale dell'amigdala che consente in modo automatico di compiere gli opportuni movimenti pur sulla base di informazioni grossolane. Nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione due processi: 1. ELABORAZIONE CONTROLLATA → è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e una rilevante partecipazione delle risorse attentive, è accompagnata da errori; implica inoltre un controllo diretto e continuo su quello che stiamo facendo. 2. ELABORAZIONE AUTOMATICA → è rapida, non coinvolge la memoria a breve termine e non richiede risorse attentive, è sostanzialmente inconsapevole, difficile da modificare, permette di svolgere più compiti nello stesso momento che sembrano procedere per conto loro, senza l'apparente controllo da parte del soggetto. In una condizione di vigilanza siamo in grado di discriminare e scegliere ciò che è rilevante in una data occasione rispetto a ciò che ci è indifferente. È l'attività di SELEZIONE. Grazie alla selezione siamo in grado di impiegare al meglio le risorse cognitive limitate e modulare le nostre attività mentali in funzione della richiesta dei compiti da svolgere. • Donald Broadbent → l'attenzione è un FILTRO per selezionare le informazioni rilevanti per l'organismo, eliminando quelle superflue. Subito dopo il registro sensoriale vi sarebbe un COLLO DI BOTTIGLIA che lascia passare solo gli stimoli pertinenti in quella data situazione. Gli stimoli ambientali giungerebbero a un magazzino sensoriale in cui sono analizzate le loro caratteristiche. SELEZIONE PRECOCE: gli stimoli irrilevanti sono filtrati e scartati, mentre solo i segnali pertinenti sono ammessi all'elaborazione successiva sulla base delle loro caratteristiche fisiche. Occorre che tutte le informazioni sensoriali siano elaborate a livello percettivo per determinare le caratteristiche fisiche e il contenuto semantico. Ad esempio: festa affollata, caotica, piena di luci e suoni, sentiamo il nostro nome mentre siamo impegnati in una conversazione con amici, ci giriamo subito per vedere chi ci ha chiamati (effetto cocktail party). SELEZIONE TARDIVA: alcuni elementi hanno una soglia di attivazione più bassa degli altri, sono più facilmente e rapidamente rilevati e richiedono meno analisi e quindi più agevolmente passano attraverso il filtro attentivo per giungere alla coscienza. Nostra società → no stop, molte attività contemporaneamente, multitasking. => frazionamento della nostra attenzione. • ATTENZIONE FOCALIZZATA → la concentrazione su una fonte informativa conduce all’esclusione di ogni altra. • ATTENZIONE DIVISA → prestiamo attenzione ad entrambi gli stimoli ma la loro elaborazione è parziale e mediocre per la quantità limitata delle risorse attentive. INTERFERENZA DA DOPPIO COMPITO → abbiamo due fonti di stimolazione di tipo diverso, in competizione fra loro. Incapaci di gestire una quantità eccessiva di informazioni, ci troviamo in questa situazione quando i due compiti da eseguire nello stesso tempo condividono il medesimo canale di elaborazione. Ad esempio, guardare in film e guidare un'auto, è impossibile seguirli entrambi poiché coinvolgono entrambi il sistema visivo. Due effetti importanti: • STROOP → siamo posti di fronte alle parole “giallo, rosso-verde, blu” collocate su uno sfondo rosso, giallo, verde e blu. Siamo invitati a pronunciare a voce alta il nome del colore dello sfondo. Nell'eseguire questo compito, avremo tempi di reazione più brevi per gli stimoli congruenti rispetto a quelli incongruenti. • NAVON → abbiamo delle lettere grandi composte da lettere piccole. Si ottengono in tal modo 4 combinazioni: 2 congruenti (H globale formata da H locali, la stessa cosa per la S) e 2 incongruenti (una H globale formata da S locali, la stessa cosa per la S). Quando il soggetto è posto di fronte a stimoli incongruenti è invitato a prestare attenzione alle lettere locali, la presenza di una lettera incongruente a livello globale produce un rallentamento nei suoi tempi di risposta. Due tipi di competizione: • SEMPLICE → lo stimolo che riceve la maggiore quantità di risorse per la sua salienza è analizzato in modo più dettagliato, ha la priorità e conduce all'attenzione focalizzata. • POLARIZZATA → tale competizione può essere influenzata da altri sistemi cognitivi, soggetta a distorsioni in funzione sia delle caratteristiche dello stimolo ambientale sia della sua pertinenza e rilevanza rispetto agli scopi e alle aspettative del soggetto. COSCIENZA → stato particolare della mente in cui si ha conoscenza dell'esistenza di sé e dell'ambiente. In quanto tale, ha sempre un contenuto in una condizione di vigilanza, percepito come un insieme integrato di parti, fondato su una grande quantità di informazioni provenienti dagli organi di senso, situata in un ambiente circostante in un dato momento. La coscienza rappresenta la mente nella sua SOGGETTIVITA'. Gli esseri umani sono caratterizzati da un elevato grado di coscienza, ed è stata una condizione necessaria per poter divenire una specie simbolica. È coinvolta in tutte le nostre funzioni mentali ed è una qualità emergente che si radica su una base molto ampia e profonda di processi inconsci senza i quali non potrebbe affiorare. VIGILANZA → consente la rappresentazione mentale degli oggetti, la pianificazione di ciò che intendiamo fare, come pure di monitorare e controllare in continuazione lo svolgimento delle nostre azioni. Principali proprietà della coscienza: 1. CONSAPEVOLEZZA COGNITIVA → la coscienza consiste nella capacità di rispondere agli stimoli provenienti dall'ambiente “qui e ora”. Per contro, quando dormiamo abbiamo un certo grado di risposta, soprattutto in seguito a stimoli forti o particolari. La coscienza di uno stimolo sensoriale emerge circa dopo circa mezzo secondo dalla sua comparsa. È un intervallo di tempo sufficiente per confrontare ciò che succede nell'ambiente con quanto abbiamo previsto. La coscienza quindi svolge una funzione di comparatore, poiché consente di confrontare istante per istante lo stato attuale del mondo con quello previsto secondo la nostra esperienza. 2. CONTROLLO → la coscienza esercita un controllo sui processi cognitivi. È un monitoraggio costante, che consente di organizzare e pianificare le nostre attività mentali, dare loro inizio, interromperle o modificarle in funzione della continua variazione delle condizioni soggettive e ambientali. Svolge la funzione di sistema RILEVATORE DEGLI ERRORI: se qualcosa non va bene nell'esecuzione di un'operazione, la coscienza è in grado di scoprire l'errore e se necessario di interrompere la sua esecuzione o modificarla in base alle nuove condizioni. 3. AUTORIFLESSIONE → la coscienza può essere consapevole di sé stessa, in un processo teoricamente senza fine. Questa capacità di autoriflessione è alla base dell'evoluzione della nostra specie, sia dello sviluppo psicologico di ogni individuo. Livelli di coscienza: 1. SE' ORIGINARIO → anzitutto abbiamo processi che riguardano l'organismo e che forniscono una descrizione dei suoi aspetti relativamente stabili. Sono i segnali interocettivi e propriocettivi. L'insieme di questi due segnali, chiamato CENESTESI, indica il grado di funzionamento in atto dell'organismo momento per momento e può variare da uno stato ottimale a uno più o meno gravemente alterato. È un'operazione fondamentale per garantire l'OMEOSTASI e per promuovere una soddisfacente regolazione della vita. Tale condizione è assicurata da una gamma estesa e robusta di meccanismi automatici di autocorrezione presenti in ogni forma vivente. Elaborati da specifiche regioni cerebrali, i segnali somatoviscerali danno origine ai sentimenti PRIMORDIALI, associati alla sensazione di benessere o di pena, al piacere di funzionare o alla sofferenza del disturbo, a un senso di forza o di debolezza. I sentimenti primordiali confluiscono poi nelle emozioni. Forniscono un'esperienza diretta e immediata dell'esistenza del proprio corpo. E' una coscienza radicata nel corpo. In quanto tale costituisce il sé come oggetto, che Damasio chiama sé originario. 2. SE' NUCLEARE → gli stimoli somatoviscerali dipendono anche da informazioni provenienti dagli stimoli dell'ambiente. Alcuni di essi forniscono indicazioni favorevoli, altri sfavorevoli e altri ancora neutri. Dagli strati profondi generano IMMAGINI MENTALI che a loro volta consentono la costruzione dell'enciclopedia delle conoscenze. Generano quindi il sentimento di conoscere. In molti casi richiedono una risposta da parte dell'organismo in termini di difesa o attacco. In tal modo diventiamo PROTAGONISTI. Grazie a questo orientamento prefiguriamo ed eseguiamo una serie di operazioni sulle cose che ci riguardano, abbiamo la convinzione di incidere sulla realtà. L'interazione tra noi e gli oggetti costituisce il livello intermedio della coscienza, è una coscienza CONTINGENTE. Damasio chiama questo livello della coscienza sé nucleare. 3. SE' AUTOBIOGRAFICO → non solo siamo consapevoli di ciò che accade in questo momento, ma anche di ciò che è accaduto in passato e di ciò che prefiguriamo possa accadere in futuro. Questa coscienza estesa è in grado di elaborare anche contenuti immaginativi e mondi possibili che costituiscono una premessa fondamentale per dare espressione alla creatività umana. È un livello avanzato che richiede diversi e importanti dispositivi di COORDINAMENTO, necessari per connettere, integrare, selezionare gli innumerevoli contenuti che affiorano nello stesso tempo. Questa forma avanzata di coscienza è diffusa nel cervello, è ovunque. Questo livello dal senso dell'identità e consente di riflettere su sé stessi. Questa capacità è in grado di generare un processo all'infinito, consentendo forme sempre più profonde di consapevolezza. Damasio definisce questo livello se autobiografico. La coscienza assume forme fra loro assai differenziate, parliamo di STATI ALTERATI DI COSCIENZA, ne analizzeremo 3: competenza nel compiere azioni efficaci, associata alla consapevolezza di ascrivere tale competenza a sé stessi in quanto protagonisti. Capitolo 5. “Rappresentazione, conoscenza, simulazione mentale”. Per affrontare e governare l'ambiente in cui viviamo, le informazioni da esso proveniente vanno non solo acquisite (percezione), selezionate e ricercate (attenzione e coscienza), ma anche elaborate a livello mentale. Il nostro scopo è avere una rappresentazione mentale abbastanza fedele e completa del mondo con cui dobbiamo interagire. Per conoscere e capire gli eventi, occorre rappresentarli nella nostra mente. In generale, la RAPPRESENTAZIONE di un oggetto o evento è un'entità che sta per quell'oggetto e trasmette informazioni a esso congruenti. Due tipi di rappresentazione: 1. ANALITICA → quando vi è un rapporto arbitrario fra rappresentazione e cosa rappresentata; ad esempio la parola Rex per il cane Rex. 2. ANALOGICA → quando vi è un rapporto di somiglianza fra rappresentazione e cosa rappresentata; ad esempio la colonnina del mercurio cromo che sale e scende a seconda che aumenti o diminuisca la temperatura. RAPPRESENTAZIONE MENTALE → un'immagine, simbolo o modello presente nella mente, basato su una mappa cerebrale, in corrispondenza a un certo oggetto o evento. È fondata sull'esperienza. Se il mondo fosse omogeneo, sarebbe inconoscibile. La DIFFERENZA è alla base della conoscenza. Consente di elaborare le informazioni, intese come differenze che generano differenze. I significati si fondano sul contrasto e sull'opposizione. È la MENTE COMPUTAZIONALE in grado di fare calcoli, confronti, combinazioni logiche, manipolazioni di simboli, operazioni di misura e di classificazione, equivalenze e graduatorie, capace di scelta fra alternative, di adeguamento a regole prefissate. Negli ultimi decenni del secolo scorso un gruppo di eminenti psicologi ha privilegiato fortemente lo studio delle STRUTTURE MENTALI rispetto alle funzioni. È stata elaborata in tal modo una modellistica mentale che va dai moduli ai modelli, ai resti semantiche, al frame e al linguaggio della mente. Entro questa traiettoria, Fodor ha difeso una concezione forte della mente computazionale, proponendo l'ipotesi di un LINGUAGGIO DELLA MENTE, analogo a una lingua naturale. Questo sarebbe costituito da rappresentazioni che: – hanno parti costituenti che si combinano fra loro secondo le regole della logica – sono composte da parti atomiche (concetti) innate corrispondenti a proprietà del mondo – sono composizionali – sono regolate secondo le condizioni di verità e le relazioni di implicazione Le rappresentazioni mentali sarebbero combinazioni di concetti semplici innati, intesi come entità univoche e chiuse, discrete e fisse, in grado di esprimere verità necessarie. Queste regole computazionali sono cieche di significato. Nonostante tale cecità semantica, le regole logiche, indifferenti ai contenuti, hanno il privilegio di conservare la verità delle premesse. La mente computazionale assume il carattere di mente proposizionale. Essa procede a compiere sofisticate computazioni su SIMBOLI AMODALI. • Searle → esperimento della “stanza cinese”. Si invita un italiano in questa stanza dove ci sono solo cinesi che parlano cinese. A questa persona vengono date una serie di ideogrammi, A (in cinese, a lui incomprensibili) e B (istruzioni scritte in italiano). Se segue le istruzioni questa persona è in grado di superare correttamente il compito. Per questo cinese, l'italiano conosce perfettamente il cinese perché ha risposto in modo giusto. È evidente tuttavia che l'italiano in oggetto non solo non conosce il cinese ma altresì il suo comportamento non va ritenuto “intelligente”. Perimenti esiste il FONDAMENTO DEI SIMBOLI: se i simboli sono definiti solo in termini di altri simboli, i loro significati sono infondati. MODULARISMO → Fodor ha proposto una concezione fortemente localizzatrice della mente, organizzata in moduli (=cassetti), ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in un ambito specifico rispetto all'ambiente. Moduli: – Sono dominio-specifici, in grado di elaborare informazioni concernenti un ambito ristretto della realtà. – Hanno un'architettura neurale fissa, poiché si sviluppano in assenza di qualsiasi istruzione derivante dall'esperienza. – Sono vincolanti, avendo un'architettura neurale fissa. – Sono incapsulati a livello informativo; sono isolati e nessuno di essi ha accesso a tutta la gamma delle informazioni disponibili all'organismo. – Possono avere accesso agli output degli altri moduli, ma non alle informazioni da essi impiegate per produrre quei determinati output. Modularismo VS: MENTE SITUATA E RADICATA NEL CORPO → ritiene che la mente sia fondata, momento per momento, sull'interazione senso-motoria con l'ambiente; costantemente immersa in un contesto immediato. L'ambiente (=contesto) è considerato, oltre che come scenario materiale in cui l'individuo opera, anche come realtà dinamica, in grado di influenzare e dirigere l'attività della mente stessa in funzione degli stimoli che esso offre. La mente situata è una mente estesa al contesto. Un contributo rilevante alla concezione delle rappresentazioni mentali è venuto dalla scoperta dei NEURONI A SPECCHIO, a metà degli anni '90. L'idea centrale prevede che le rappresentazioni mentali derivanti da sistemi motori e quelle provenienti dai sistemi percettivi facciano ricorso a informazioni fra loro commensurabili e compatibili. Neuroni a specchio: – SCIMMIE → si attivano sia quando un animale esegue una certa azione, sia quando osserva la medesima azione compiuta da un altro. Siffatta attivazione ha luogo solo se l'azione è attuata per raggiungere uno scopo. Esiste pertanto una corrispondenza tra azione eseguita e azione osservata, poiché lo stesso neurone è in grado di confrontare ciò che la scimmia fa con ciò che vede fare. Grazie al sistema dei neuroni a specchio, l'animale pone in relazione la percezione delle azioni eseguite da altri con il proprio repertorio di azioni. Il fattore critico per la comparsa dell'attivazione dei neuroni è lo scopo dell'azione dell'altro animale. I neuroni a specchio si attivano nella condizione in cui la scimmia non veda un'azione in tutto il suo svolgimento, poiché la parte finale di tale azione è oscurata da uno schermo, o anche in assenza di una completa informazione visiva. Il sistema dei neuroni a specchio nella scimmia pone in evidenza che anche i primati non umani possiedono forme rilevanti di rappresentazioni mentali degli eventi, in particolare delle azioni finalizzate dei consimili. – UMANI → i neuroni a specchio sono stati accertati in seguito a delle ricerche neuropsicologiche. È un sistema di neuroni distribuito in numerose aree cerebrali e costituisce la base cerebrale per le competenze mentali fondamentali. Partiamo dall'IMITAZIONE, stimoli visivi prodotti dal comportamento di qualcun altro sono convertiti in un programma nel cervello dell'osservatore che gli consente di ripetere gli stessi movimenti e le stesse azioni. Grazie all'imitazione possiamo fare ciò che vediamo fare da altri. L'imitazione implica l'abilità di riprodurre la sequenza di azioni modello, comprendono l'intenzione e anticipandone l'esito finale. Passiamo in tal modo dal ripetere ciò che altri fanno al riprodurre ciò che altri intendono fare. L'imitazione si fonda sul principio della “somiglianza sociale”: è l'atteggiamento mentale del trattare gli altri come “simili a sé”. Già i neonati sono in grado di riprodurre la mimica facciale di un adulto. EMPATIA: ad esempio, se osserviamo l'esperienza di dolore di un altro, attiviamo in noi stessi i medesimi circuiti nervosi. Lo stesso processo si registra per l'osservazione della paura indotta di un altro individuo da un modesto shock elettrico al polso. Le rappresentazioni degli oggetti/eventi dell’ambiente fisico e sociale consentono di cogliere in modo operativo i rapporti complessi fra cervello e mente. Esse infatti sono presenti sia nel cervello come “mappe”, sia nella mente come “immagini”. Il cervello è destinato a creare mappe nell’interazione costante con l’ambiente. È una cartografia illimitata e dinamica. MAPPE CEREBRALI → sono modelli nervosi in continuo cambiamento, poiché si modificano ogni istante in corrispondenza ai cambiamenti che hanno luogo nei neuroni implicati. Nell’elaborazione delle mappe, il cervello interviene attivamente mediante i processi di associazione fra le informazioni sensoriali e quelle motorie. L’elaborazione delle mappe cerebrali coinvolge le modalità sensoriali e il sistema motorio nel suo complesso. Ciascuno di noi è consapevole delle luci, suoni, odori che ci riguardano; le loro rappresentazioni costituiscono le IMMAGINI MENTALI generate dalle corrispondenti mappe cerebrali momentanee di una data situazione. La coscienza ci permette quindi di sperimentare le mappe cerebrali come immagini, di manipolare tali immagini e di applicare loro il ragionamento. Le immagini mentali sono fra loro connesse e si susseguono in modo veloce o lento, ordinato o caotico. Alcune immagini sono più salienti e precise, altre sono più indefinite e grezze. Accanto alle immagini consapevoli vi sono immagini non consapevoli. Nessuna delle funzioni distintive della nostra mente è presente al momento della nascita. Tali funzioni si sviluppano solo grazie all’INTERAZIONE con altri umani in un dato ambiente culturale. Per dare origine alla mente, il cervello ha bisogno delle menti di altri, poiché queste offrono gli stimoli appropriati al cervello per creare le connessioni indispensabili alla formazione dei circuiti nervosi implicati nelle varie attività psichiche. Il cervello quindi non è autosufficiente. Senza stimoli è in difficoltà e non è più in grado di funzionare in modo regolare. Però questa ipotesi appare impercorribile, poiché il cervello, a qualunque stadio, è sempre immerso in un contesto denso di stimoli continua variazione. Vi è una costante e profonda interdipendenza fra cervello, mente e ambiente. Il confine tra ciò che è biologico e ciò che è psicologico appare piuttosto debole, spesso invisibile e inconscio. Più che di confine è utile parlare di FRONTIERA fra il cerebrale e il mentale. La frontiera è uno spazio neutro che mette in contatto questi due treni di processi, pur assicurando la rispettiva autonomia. In che modo sono elaborate le rappresentazioni a livello mentale? Oggi abbiamo a nostra disposizione sufficienti conoscenze per illustrare in che modo elaboriamo le mappe cerebrali e le rappresentazioni mentali conseguenti soprattutto grazie ai contributi neuropsicologici di Damasio. Le informazioni nervose provenienti dalle diverse modalità sensoriali, motorie e affettive sono elaborate da corrispondenti aree cerebrali. Nella percezione visiva ad esempio di un’automobile alcuni neuroni rispondono alle linee della sagoma, altri al colore, altri ancora alle superfici e così via. Le diverse popolazioni dei neuroni deputate a “mappare” queste differenti caratteristiche modali del fenomeno sono organizzate in modo gerarchico. Tali informazioni sono integrate fra loro attraverso l’azione di INTERNEURONI che interagiscono in modo intenso solo con gli altri neuroni attraverso complessi circuiti ricorsivi di anteazione (feedforward) e di retroazione (feedback). Il lavoro da parte degli interneuroni consiste nell’elaborazione di disposizioni che confluiscono in “mappe” delle diverse caratteristiche visive dell’oggetto. Queste mappe sono registrate in depositi microscopici della memoria, immediatamente recuperabili, che convergono in una data regione di confluenza-divergenza. I micronodi costituiscono le ZONE DI CONVERGENZA-DIVERGENZA (ZCD); ognuna di esse procede a elaborare inizialmente in modo selettivo i dati provenienti dall’ambiente per integrarsi successivamente mediante una serie di connessioni ricorsive con quelli provenienti da altre modalità nelle regioni associative di ordine superiore. Le ZCD sono gerarchicamente organizzate; gli interneuroni di livello superiore mettono in connessione e integrano le informazioni modali provenienti da ciascuna delle differenti ZCD e in tal modo possono dar luogo a informazioni più estese e complesse. Grazie a importanti circuiti nervosi di interconnessione, le diverse ZCD partecipano in modo sinergico all’elaborazione congiunta della rappresentazione di un oggetto, senza la necessità di prevedere uno specifico modulo dedicato a questo scopo. Le informazioni provenienti dalle varie modalità sensoriali, motorie, affettive etc. interagiscono fra loro per “mappare” i vari aspetti dell’esperienza e si influenzano reciprocamente per elaborare una RAPPRESENTAZIONE MULTIMODALE, unitaria e globale dell’evento o oggetto, fondata sull’esperienza e radicata nell’organismo. Gli studi di Damasio sul funzionamento cerebrale sono stati approfonditi a livello psicologico da altri studiosi. In questa traiettoria, degno di interesse è il MODELLO DEI SIMBOLI PERCETTIVI. Tenendo presente il punto di partenza che le rappresentazioni mentali derivano dai processi con cui percepiamo e sentiamo gli accadimenti circostanti, occorre indagare in che modo esse sono elaborate a livello mentale. Nel flusso della nostra esperienza quotidiana, incontriamo numerosi esempi del medesimo oggetto. Tali esperienze ripetute consentono all’organismo di cogliere e selezionare le informazioni concernenti le sue specifiche proprietà. Un SIMBOLO PERCETTIVO → è la registrazione dell’eccitazione di una popolazione di neuroni a seguito di un processo percettivo o di un’azione motoria. È una rappresentazione inconsapevole, di natura schematica e parziale, dinamica e componenziale, indeterminata e generica. rilevanti a livello linguistico e sono le prime ad essere apprese dal bambino. Presentano la maggiore differenziazione categoriale e hanno la maggiore validità di indizio La DIMENSIONE ORIZZONTALE di una categoria concerne il modo in cui ogni categoria è organizzata al proprio interno e quali relazioni sono istituite fra i suoi diversi membri in termini di appartenenza e rappresentatività. I vari membri di una categoria non sono tutti eguali, ma alcuni di essi hanno il valore di PROTOTIPO, poiché sono i migliori esemplari della categoria, quelli che meglio la rappresentano e che sono dotati di maggiore salienza. 2. CATEGORIE PER SOMIGLIANZA DI FAMIGLIA → distinta dalla sinonimia e dall’omonimia, la polisemia semantica, intesa come molteplicità di significati connessi con la medesima parola, rappresenta una difficoltà rilevante per le teorie linguistiche e cognitive. Prendiamo la categoria “fresco”, ha tre significati diversi: - Nuovo - In condizioni ottimali - Non caldo Fresco, quindi costituisce una categoria polisemica e non può avere un prototipo, poiché non può avere un unico tipo centrale preminente. La spiegazione più soddisfacente è quella proposta da Wittgenstein con il modello della “somiglianza di famiglia”. È un modello di categorie “piatte” organizzate solo a livello orizzontale, in grado di analizzare in termini complessi come quello di “gioco”. Fra i vari significati veicolati da una parola polisemica non esistono né il prototipo né un insieme di proprietà comuni, ma numerose sottocategorie, ciascuna delle quali è fondata su somiglianze parziali e locali. 3. CATEGORIE RADIALI → Lakoff ha introdotto la nozione di categorie radiali, intese come ramificazioni che partono da una categoria centrale e procedono in modo associativo. Consideriamo i Dyirbal, una popolazione aborigena dell’Australia che dispone solo di quattro categorie. Ciascuna di esse raggruppa significati totalmente eterogenei, inspiegabili alla luce delle teorie vigenti in tema di categorizzazione. Tali categorie sono: - Bayi -> uomini, canguri, alcuni serpenti, uccelli, le tempeste etc. - Balan -> donne, topi giganti, lucciole, ogni cosa connessa con il fuoco, con l’acqua e il sole. - Balam -> tutti i frutti commestibili e le piante corrispondenti. - Bala -> le parti del corpo, il vento, gli alberi, le pietre, i rumori, il linguaggio etc. Queste categorie non sono casuali, ma sono regolate da una serie di somiglianze locali in funzione dei miti e delle credenze dei Dyirbal. 4. CATEGORIE FUNZIONALI → le categorie strutturali finora considerate vanno integrate con le categorie funzionali, basate su uno scopo. Non sono tassonomiche, ma ciascuna di esse è formata in modo coerente dai componenti indispensabili per raggiungere un dato scopo. Le categorie funzionali fanno riferimento a un altro modo di procedere della mente umana. Posti di fronte a una serie di oggetti (fragole, forchetta, mela, cucchiaio, ananas, coltello) inseriscono nella stessa categoria il coltello e la mela, in un’altra il cucchiaio e le fragole e così via. 5. CATEGORIE “AD HOC” → dovete trovare una categoria che includa: sasso, sedia, mattone, dizionario. Inizialmente impossibile, però poi pensiamo: siamo in una stanza con la porta del balcone aperta perché fa caldo; a un certo punto si solleva il vento che chiude la porta. Decidiamo di tenerla aperta: sasso, mattone, sedia, dizionario ora appartengono alla stessa categoria (= oggetti che tengono aperta una porta in una giornata di vento). È una categoria “ad hoc”. Non emerge finché non sono attivate le nostre conoscenze enciclopediche che comprendono le proprietà degli oggetti e come esse sono fra loro collegate. È naturale domandarsi se esistano categorie universali, condivise da tutti gli umani. Le categorie mentali, più che nella natura, risiedono nella cultura, per il fatto che il sistema di categorie disponibili è una condizione necessaria per ottenere un soddisfacente livello di competenza in riferimento a specifici habitat. Si pensava ci fosse un modello dei colori di base universale (11 categorie) che fu subito smentito perché una popolazione della Papua Nuova Guinea non dispone di alcuna categoria per i colori (risultato più drammatico), e non hanno nemmeno la categoria colore, eppure sono in grado di indicare i colori degli oggetti secondo delle associazioni. La conoscenza consente di acquisire informazioni dall’esperienza nostra o altrui. L’ammontare di tali informazioni costituisce l’enciclopedia delle conoscenze a nostra disposizione. La realizzazione di tale enciclopedia avviene, principalmente, attraverso: - CONOSCENZE DICHIARATIVE → sono le proposizioni esplicite che fanno riferimento agli aspetti referenziali e predicativi della realtà e che promuovono l’acquisizione di nuove teorie, modelli, concetti e idee. Sono il “che cosa” sappiamo e riguardano i “fatti”. - CONOSCENZE PROCEDURALI → sono conoscenze acquisite tramite le procedure e le azioni. Concernono i modi e i procedimenti con cui siamo capaci di svolgere i compiti nelle diverse situazioni in base alle informazioni che momento per momento ci sono fornite dalla memoria di lavoro. Sono il “come” sappiamo fare le cose e riguardano le competenze operative. In molti casi, le conoscenze procedurali, essendo automatiche, conducono a una CONOSCENZA TACITA e implicita in opposizione alla conoscenza formale o esplicita. CONOSCENZA TACITA → è in larga misura inconsapevole, è una conoscenza “in pratica”, immersa nell’esperienza, fondamentale per avere successo nell’ambiente di riferimento. Si fonda sull’esercizio e può essere rappresentata e condivisa solo attraverso l’apprendistato. Mediante l’imitazione accurata di modelli e una profonda interazione con loro, il novizio ha modo di impadronirsi delle procedure, strategie, accortezze etc. sottese ai percorsi operativi degli esperti. Inoltre, è in grado di assicurare un buon livello di competenza generale, che consente all’individuo di muoversi in modo efficace all’interno del proprio habitat. Essa favorisce un buon livello di prevedibilità. È il fondamento delle pratiche quotidiane nelle loro diverse applicazioni. È la collezione delle conoscenze riguardanti i sistemi di acquisizione delle informazioni, di produzione di beni o servizi, di comunicazione, di esibizione e regolazione delle emozioni, di governo delle relazioni interpersonali etc. Cervello e mente sono in grado di “simulare” la realtà. Parliamo di MENTE SIMULATIVA, un ambito oggi sempre più rilevante nelle scienze psicologiche. SIMULAZIONE → (dal latino “simulare”, da “simul” =insieme , stessa radice di “similis” =simile, vuol dire “fare il simile”) è la riproduzione di oggetti o eventi attraverso l’elaborazione di appositi modelli. È un’approssimazione attendibile e valida di fenomeni del mondo utile per studiarne e conoscerne meglio le proprietà in condizioni sia standard che estreme, per individuarne i cambiamenti al variare delle forze in gioco, per avvicinarci alla soluzione ottimale, per costruire prototipi etc. La simulazione consiste in un MODELLO per illustrare le geometrie non euclidee. È la rappresentazione proporzionale di un aspetto dell’ambiente. Fra modello e fenomeno esiste una struttura equivalente e dinamica di rapporti, ossia il modello funziona in modo corrispondente al fenomeno considerato. In quanto modello, la simulazione è una rappresentazione dei fenomeni che hanno luogo nella realtà così come siamo in grado di osservarla. Poiché la simulazione rappresenta un fenomeno, occorre che sappia rispondere alla domanda “che succede se” si verificano certe condizioni. È strettamente connessa con ipotesi di situazioni nuove e impreviste e costituisce una delle massime espressioni del pensiero ipotetico e inferenziale. Accanto al mondo del reale esiste il mondo del POSSIBILE. Ciò che può accadere nel futuro. Occorre distinguere fra: 1. SIMULAZIONE ANALOGICA che si avvale di qualche dispositivo che ricerca “fisicamente” gli aspetti della realtà oggetto di studio e di analisi. In alcuni casi vi è una somiglianza vera e propria fra il sistema di simulazione e la realtà simulata. In essi siamo di fronte ad artefatti concreti che consentono di visualizzare ed esaminare il comportamento reale dei modelli nelle diverse condizioni ambientali. 2. SIMULAZIONE VIRTUALE che avvalendosi del supporto di un computer, si pone in un mondo virtuale. I fenomeni reali da simulare sono riprodotti attraverso l’elaborazione di programmi sofisticati. Sono quindi simulazione dei fenomeni reali dotate anche di un elevato grado di approssimazione, ma che non arrivano mai a una corrispondenza piena. In quanto riproduzione, la simulazione non è la realtà ma una costruzione mentale che inevitabilmente implica un certo grado di scarto rispetto alla realtà. La simulazione ha enormi vantaggi per la conoscenza e la comprensione dell’esperienza. Principali vantaggi: 1. VERSATILITA', FLESSIBILITA' E COMPLESSITA' → Non esiste fenomeno che non possa essere oggetto di simulazione. Questa strabiliante versatilità si estende anche ai sistemi complessi (combinazione del genoma, organizzazione di un’impresa, andamento dei mercati finanziari, decorso di una crisi epilettica ecc). 2. LA CULTURA COME PRODOTTO DELLA SIMULAZIONE → La cultura, intesa soprattutto come “nicchia ecologica”, costituisce l’esito principale di siffatta attività, Senza simulazione, la cultura non sarebbe possibile. La simulazione è una condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per la convivenza sociale, al fine di adottare le soluzioni più efficaci per le condizioni mutevoli dell’ambiente. 3. TEORIA E FATTI NELLA SIMULAZIONE → Ipotizzata deve rispondere alla domanda “perché?”. Questo continuo intreccio tra teoria e applicazione aiuta a capire la robustezza della simulazione stessa. Questa connessione intrinseca fra teoria e fatti attribuisce un vantaggio importante alla simulazione: fare previsioni in modo attendibile. Cosa succede quando nello stabilire connessioni fra teoria e fatti compaiono DISTORSIONI MENTALI ? È un fenomeno assai più frequente di quanto pensiamo. Nel formulare dei giudizi e prendere delle decisioni ricorrenti, come quella della conoscenza retrospettiva: un senso esagerato circa l’inevitabilità di un evento una volta conosciuto l’esito. È la distorsione del “senno di poi”. 4. INVENZIONE DI MONDI POSSIBILI → La simulazione non è vincolata alla realtà fisica o psicologica presente, bensì può rivolgersi in modo altrettanto efficace verso nuovi scenari. Per definizione appartiene al mondo del possibile: ciò che ancora non c’è ma che, date certe condizioni, può esistere e diventare reale. Rivolgendosi a mondi possibili, la simulazione, oltre a essere una”ri-creazione” di ciò che già c’è nella realtà, è anche la “creazione” di ciò che potrebbe essere altrove (pensiamo alla realtà virtuale, ai romanzi). 5. SIMULAZIONE E PRESTAZIONI MOTORIE → Da molto tempo gli atleti sanno che “immaginarsi” i movimenti prima di compiere una gara favorisce in modo considerevole le loro prestazioni. È una simulazione motoria che consente di “mettere a punto” la pianificazione da compiere successivamente, spesso in modo automatico. 6. PENSIERO CONTROFATTUALE E ANTICIPAZIONE DELLA PROPRIA IDENTITA' → La simulazione è un dispositivo mentale molto potente: - Per “ricostruire” eventi del passato (pensiero CONTROFATTUALE) → ci riferiamo ad avvenimenti e ipotizziamo che cosa sarebbe potuto accadere se ci fossimo comportati in modo diverso. È una forma di PENSIERO CONDIZIONALE, in cui siamo di fronte al modo congiuntivo delle possibilità. Rispetto a una situazione ipotetica, nel modo indicativo le persone pensano a un'unica possibilità, mentre nel modo congiuntivo le persone si trovano davanti a 2 possibilità: quella realmente accaduta e quella che sarebbe potuta accadere. - Per “anticipare” eventi del futuro (pensiero PREFATTUALE) → oltre che a rivolversi al passato, la simulazione è in grado di raffigurarsi anche il futuro. “la conoscenza del passato e del futuro vicino o lontano, è sempre mescolata con la conoscenza del presente”. Questo tempo psicologico è la totalità del sé. Entrano qui in gioco le SIMULAZIONI PREFATTUALI. Anticipazioni di come attuali condizioni reali potrebbero essere nel futuro. Le simulazioni concernenti il proprio futuro sono assai più frequenti di quanto crediamo e servono a disegnare il futuro del proprio sé (sé possibile). È in gioco la nostra identità personale. Chi intendiamo essere oggi e soprattutto domani. Perché facciamo queste fughe in avanti? Perché la pianificazione del proprio futuro consolida il senso della nostra identità, precisa la traiettoria della nostra vita e migliora il benessere del nostro presente sotto diversi versanti. 7. INNOVAZIONE E CREATIVITA' → La simulazione è altresì un motore potente della creatività umana. La mente umana è in grado di creare attraverso la simulazione, nuove combinazioni mai considerate prima grazie ad accostamenti insoliti ed associazioni impreviste. La simulazione è la delineazione di nuove prospettive e traiettorie. È un'anticipazione della realtà del futuro. È il creare cose che non esistono ancora. Limiti della simulazione → tendenza alla semplificazione e alla distorsione. I motivi di tale scontentezza concernono fondamentalmente due dimensioni: • Livello di “architettura”: la simulazione può consistere in una riproduzione distorta, o quanto meno, lontana dai fenomeni che intende rappresentare. Diventa allora una fonte sistematica di errori, poiché presenta una bassa validità di costrutto. Un certo grado di semplificazione è inevitabile, ma il rischio è quando diventa Per poter collocare le informazioni nei depositi di memoria, occorre codificarle. CODIFICA -> consiste nel trasformare un’informazione in una rappresentazione mentale collocata in un deposito di memoria. È un processo in cui sono coinvolti molti fattori. Se non prestiamo attenzione, la sua codifica è debole e sarà difficile poi ricordarla. L’attenzione insieme ad altri fattori, determina la forza della codifica, che presenta tre livelli di elaborazione: 1. Livello superficiale (ci fermiamo agli aspetti strutturali e fisici di uno stimolo; come si presenta all’esterno, per esempio a lettere maiuscole o minuscole) 2. Livello intermedio (abbiamo gli aspetti fonologici di uno stimolo; per esempio, le assonanze e le rime come rana, tana, lana) 3. Terzo livello (abbiamo le componenti semantiche) Quali sono i fattori che potenziano il processo di codifica? Numerosi e diversi. Fra essi possiamo ricordare la partecipazione attiva nella produzione dell’informazione da ricordare. Quando siamo attivi nella produzione delle informazioni, le ricordiamo molto di più poiché vi prestiamo maggiore attenzione. Un fattore robusto nella codifica consiste nella capacità di collegare insieme le diverse caratteristiche di uno stimolo o evento in una rappresentazione unitaria e coerente. Questa integrazione consente di ricordare un oggetto come unità. Allan Paivio -> ha sottolineato l’importanza del SISTEMA DELLA DOPPIA CODIFICA, una verbale e una immaginativa. Partendo dalla constatazione che parole della stessa frequenza e lunghezza sono ricordate in modo diverso e che gli stimoli figurali sono ricordati meglio dei corrispondenti stimoli verbali, Paivio ha dimostrato che il diverso ricordo dipende dal tipo di codifica. Gli stimoli figurali sono i più facili da ricordare, poiché attivano immediatamente una codifica per immagini. Una volta codificate, le informazioni, occorre consolidarle e mantenerle nel tempo finchè ci servono. È la RITENZIONE, grazie a cui conserviamo nei magazzini di memoria le informazioni acquisite. Di solito facciamo ricorso alla REITERAZIONE che favorisce la fissazione delle informazioni che intendiamo trattenere. Le informazioni immagazzinate nei depositi della memoria sono disponibili a essere recuperate al momento opportuno in funzione delle nostre esigenze. Il recupero consiste nel riattivare informazioni depositate nei magazzini di memoria, rimaste fuori dal campo della nostra coscienza fino a quel momento. È la riattualizzazione nel presente di ciò che è stato ed è un processo che avviene in base a degli INDIZI. Possono essere contestuali, in quanto dipendenti dalle informazioni reperibili dalla situazione. In questa condizione, il recupero è assai migliore quando il contesto al momento del ricordo è simile a quello della registrazione e codifica delle informazioni. Gli indizi utili per il recupero possono essere connessi anche con stati interni dell’individuo. Tanto più vi è somiglianza fra gli stati interni al momento della codifica delle informazioni e quali al momento del recupero, tanto migliore è il ricordo. In che modo funzionano gli indizi nel recupero delle informazioni passate? Il recupero consiste nel collegare fra loro diverse caratteristiche dell’oggetto collocate nei depositi di memoria. In tal modo, siamo in grado di recuperare le informazioni pertinenti. È il processo del COMPLETAMENTO DI UN MODELLO già riscontrato in diversi fenomeni. Tale processo comporta una riattivazione delle informazioni presenti nella fase iniziale della codifica. Il recupero delle informazioni è sotteso a operazioni mentali diverse come: - RIEVOCAZIONE (capacità di ricordare in modo spontaneo la quantità massima possibile del materiale prima esposto) - RICONOSCIMENTO (capacità di identificare correttamente le informazioni presentate in precedenza distinguendole da altre informazioni non pertinenti, note come distrattori) - RIAPPRENDIMENTO (capacità di apprendere nuovamente un materiale già presente in memoria in un tempo minore rispetto all’apprendimento iniziale, si registra in tal modo il risparmio di tempo ottenuto) FALSA ATTRIBUZIONE -> i falsi riconoscimenti sono frequenti quando uno stimolo è simile a uno stimolo già codificato. Questa distorsione (BIAS) della memoria non è affatto un fenomeno infrequente e insolito. L’ipnosi favorisce grandemente il recupero dei ricordi, anche quelli rimossi da tempo, tuttavia il 50% delle volte descrivono episodi mai esistiti, causando la produzione di falsi ricordi nel 25% dei casi. La costruzione di falsi ricordi è facilitata, inoltre da domande fuorvianti. Esempio un gruppo di bambini di 5 elementare avevano avuto lo stesso professore per 5 anni, e chiesero di che colore avesse la barba se nera o castana. Una percentuale disse che era castana, mentre l’altra nera, quando in verità il professore non aveva nemmeno la barba. Ecco questo è un esempio di domanda fuorviante. Anche nella ricostruzione dei ricordi andiamo incontro a una serie di distorsioni. Il ricordo non è una fotocopia della realtà, ma una ricostruzione soggettiva dell’esperienza. La memoria umana conduce in modo inevitabile a deviazioni dei dati della realtà. Come, ad esempio, nel ricordare un breve racconto fatto da altri, le persone procedono a importanti variazioni. Anzitutto, esse producono una rilevante riduzione delle informazioni contenute nel racconto, anche del 50%. Inoltre, esse forniscono una diversa organizzazione delle informazioni, sottolineandone alcune, tralasciandone o omettendone altre. I processi di riduzione pongono in evidenza che il ricordo non è una copia ma una rielaborazione personale di fatti e di conoscenze. · Daniel Schacter -> ha eòencato i 7 peccati della memoria per indicare i modi principali in cui la memoria fallisce e ci può tradire, e sono: - Labilità -> indica la debolezza della memoria che ci impedisce di ricordare ciò che abbiamo fatto a distanza di un certo tempo, soprattutto se in condizioni routinarie. - Distrazione -> è connessa con una mancanza di attenzione che è preliminare e indispensabile per creare il ricordo (ex. Dove ho messo le chiavi?) - Blocco -> riguarda l’incapacità di recuperare un’informazione che, in realtà, non abbiamo dimenticato e che poi ricordiamo quando non serve più. - Errata attribuzione -> concerne il fatto di riferire le informazioni di un ricordo a una fonte o a un contesto sbagliato (ex. La notizia x non l’ha detta tizio ma l’abbiamo sentita in radio) - Suggestionabilità -> consente di indurre e creare ricordi falsi. - Distorsione -> indica il processo attraverso cui le nostre convinzioni attuali modificano i contenuti e le informazioni dei ricordi del passato (è una sorta di autoinganno) - Persistenza -> è l’incapacità di dimenticare e genera il fenomeno della ruminazione mentale, per cui il soggetto ritorna in continuazione sugli stessi ricordi (spesso emotivamente spiacevoli) L’insieme degli studi citati sopra e di altri ancora ha dato luogo alla PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA, che concerne lo studio della validità, attendibilità e accuratezza dei ricordi di un testimone. Nell’identificazione di un criminale si possono compiere errori sistematici con rilevanti conseguenze. Tali errori dipendono da due ordini di fattori: - Non sono presentate a un testimone di un processo tutte le alternative possibili a una data ricostruzione dei fatti - Si pensa che la memoria funzioni in modo attendibile, veritiero e accurato Memoria -> processo attivo e ricostruttivo delle informazioni acquisite che va incontro a fenomeni particolari di eccitazione o di depressione. In caso di eccitazione o esaltazione della memoria parliamo di -> IPERMNESIA = come capacità particolarmente lucida di ricordare scene complesse in tutti i loro particolari, anche se lontane nel tempo. Di solito è un fenomeno transitorio che ha luogo durante l’estasi maniacale e l’ipnotismo o sotto effetti di farmaci e di sostanze stupefacenti. In altri casi l’ipermnesia può essere associata a disturbi psichici, come nella sindrome post-traumatica o per danni cerebrali. In contrapposizione all’ipermnesia abbiamo l’AMNESIA = perdita totale o parziale di memoria a seguito di un trauma o di una malattia cerebrale. Può essere totale o parziale. Si è soliti distinguere fra: - Amnesia RETROGRADA -> è la perdita di memoria per eventi accaduti prima del trauma, ma si ha memoria per gli avvenimenti successi in seguito. - Amnesia ANTEROGRADA -> è la perdita di memoria che non compromette i ricordi passati, ma limita enormemente la capacità di memorizzare informazioni presenti (ex. Alzheimer) Quando si deve ricordare qualcosa, l’imperativo è quello di non dimenticare. Tuttavia, la memoria ricorda e dimentica. · Henri Bergson -> soleva dire che “la memoria è la facoltà dell’oblio”. È importante capire perché ricordare è strettamente collegato con “dimenticare”. Infatti, un sistema che raccoglie e conserva informazioni, per quanto grandi siano i suoi depositi, deve affrontare due problemi: 1. La selezione delle informazioni in entrata 2. L’eliminazione delle informazioni non rilevanti o diventate tali · Hermann Ebbinghaus -> esaminò su se stesso in modo sistematico come la memoria per stimoli codificati cambi quando l’intervallo di RITENZIONE (=periodo di tempo fra la codifica e la rievocazione) aumenta. Osservò che la sua memoria per sillabe prive di senso declinava sistematicamente in funzione dell’aumento dell’intervallo di ritenzione. Tale curva fu replicata negli studi successivi e segue una legge di potenza: il tasso della dimenticanza diminuisce con il passare del tempo. Essendo basata sullo scorrere del tempo, la curva di Ebbinghaus è stata interpretata come effetto del DECADIMENTO: i ricordi più distanti nel tempo sarebbero i primi ad essere dimenticati. Tale ipotesi non si è dimostrata attendibile, il trascorrere del tempo non è la causa diretta dell’oblio. OBLIO = è l’eliminazione volontaria o involontaria di informazioni già memorizzate. Va inteso quindi come una parte integrante della memoria; è una risposta utile ed economica alle richieste avanzate alla memoria dell’ambiente in cui viviamo. L’oblio va distinto dall’amnesia: dimenticare non significa perdere definitivamente una data informazione dalla memoria. In particolare, l’oblio svolge un LAVORO DI SELEZIONE. “Non pensate a un cavallo” -> ci è venuto subito in mente proprio un cavallo. è Questo effetto, che Wegner ha chiamato IRONICO, dipende dal fatto che la memoria di lavoro è gravata pesantemente da processi di monitoraggio volti a controllare cambiamenti volontari nei contenuti della coscienza. Perché dimentichiamo? Possiamo pensare che l’oblio sia indotto dal fatto che, se un ricordo non è rievocato per molto tempo, a poco a poco va perduto. È l’ipotesi del DISUSO. Esso non spiega però per quale motivo certi ricordi lontani possono riaffiorare dopo molto tempo, a volte in modo spontaneo L'oblio può essere dovuto dal fatto che la memoria funziona in continuazione. Succede così che il nuovo materiale acquisito venga a interferire con quello già conservato e viceversa. → è la teoria dell'INTERFERENZA. Ci sono due tipi di interferenza: 1. I. PROATTIVA (quando i ricordi più remoti interferiscono con la memoria di informazioni acquisite successivamente) 2. I. RETROATTIVA (quando i ricordi più recenti limitano o danneggiano la memoria di quelli registrati in precedenza) L'oblio può essere provocato altresì dal BLOCCO di un'informazione già depositata in memoria. È un impedimento che si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite a un indizio e una di esse è più forte delle altre, ostacolando il recupero dell'informazione target. Già James aveva distinto fra: • MEMORIA PRIMARIA → è un deposito iniziale provvisorio in cui le informazioni, rese disponibili all'attenzione e all'introspezione, non vanno mai perse. • MEMORIA SECONDARIA → è la memoria a lungo termine, da cui le informazioni non possono essere recuperate senza il contributo di un processo mentale attivo. MEMORIA SENSORIALE = è la capacità di mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali. È una 3. VALUTAZIONE (decidere se l’analogia è utilizzabile ed efficace) 4. ASTRAZIONE (isolare le invarianti tra sorgente e obiettivo) 5. SPIEGAZIONE E PREDIZIONE (sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio basandosi su quello che si sa della sorgente) DEDUZIONE = si tratta della capacità di ricavare conoscenze “vere” a partire da altre conoscenze “vere” semplicemente pensandoci su. Esempio: - “se Carraro è rettore, allora l’università di Venezia migliora nei punteggi ministeriali” - “Carraro è rettore” Allora: l’università di Venezia migliora nei punteggi ministeriali La capacità di ragionare rielaborando informazioni già in ostro possesso è stata più volte identificata con ciò che, insieme al linguaggio, l’uomo ha di più umano. Aristotele, il primo ad analizzare questa capacità, fondò la LOGICA. LOGICA = consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse, indipendentemente dal fatto che queste siano vere o meno. Da quando Aristotele ha formulato la logica, questa è stata concepita come lo scheletro della capacità umana di ragionare, ma anche come la descrizione dei ragionamenti corretti e di quelli sbagliati. Per molto tempo si è pensato che l’uomo avesse in testa una sorta di LOGICA NATURALE = insieme di regole che producevano le prestazioni corrette e spiegavano quelle erronee. Poi si è scoperto che le cose non stanno così, dato che la variabile cruciale non è la struttura logica, bensì il contenuto del ragionamento. Nel corso della vita quotidiana viene spesso denunciata come una forma di IRRAZIONALITA’ l’accettazione di due credenze o informazioni che sono incoerenti, nel senso che se è vera l’una, non può esserlo l’altra e viceversa. Esempio: a) Se siamo sulla rotta giusta, allora sotto di noi c’è il mare b) Sotto di noi vedo terra c) Siamo sulla rotta giusta Le prime due asserzioni vengono pronunciate da due persone diverse. L’INCOERENZA si ponte tra l’eventuale verità simultanea di quelle tre dichiarazioni e la successiva tranquillità dei due piloti. Tale tranquillità sarebbe stata giustificata solo se si fosse data per scontata la verità dell’asserzione tre. Ma se erano vere la 1 e la 2, non poteva essere vera anche la 3. FOCALIZZAZIONE = è il termine dato a questa sorta di restringimento della visione su poche opzioni. Tale chiusura, o focalizzazione, conduce le persone spesso a ritenersi soddisfatte di una ricerca delle alternative possibili anche quando questa ricerca è incompleta. In particolare, di fronte al problema di decidere se eseguire o no una certa azione, le persone tendono a costruire un modello dell’azione e un modello alternativo nel quale l’azione non ha luogo. Di conseguenza, per arrivare alla decisione, le persone si focalizzeranno sull’azione e cercheranno altre informazioni su di essa. Tralasceranno la ricerca di INFORMAZIONI SU AZIONI ALTERNATIVE. Si può quindi predire che la focalizzazione dovrebbe essere ridotta da qualunque manipolazione che renda più disponibili le alternative all’azione. I fenomeni di focalizzazione sono importanti per la nostra comprensione di come la mente si discosta dai principi di razionalità: se un individuo non sa nulla delle alternative a un particolare corso di azione, non può neppure valutarne l’utilità, né confrontarle con l’utilità dell’azione stessa. Nella vita incontriamo spesso delle situazioni in cui non sappiamo esattamente cosa fare: si tratta di imboccare il ramo di un albero decisionale che non sappiamo bene a cosa ci porterà, ma ci sono anche delle situazioni in cui affrontiamo dei problemi ben definiti, dove c’è una sola soluzione ottimale, e si tratta di individuarla. Alcuni psicologi tedeschi hanno affrontato questo tipo di situazioni. Essi hanno accertato empiricamente che spesso la soluzione di problemi di tal fatta non avviene per gradi, per prove ed errori, ma per una sorta di RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA. Molto spesso i problemi sono troppo complessi per venire risolti immediatamente. In questi casi noi siamo soliti ricorrere a 2 strategie: 1. Suddividere il problema in sotto problemi 2. Non usare algoritmi di soluzioni, ma euristiche ALGORITMI = serie di regole che, se adottate esplicitamente, permettono di risolvere il problema. EURISTICHE = regole che non riescono a dare una descrizione dettagliata ed esaustiva delle strategie per giungere alla soluzione, ma che ci permettono di affrontare e risolvere il problema al meglio. Una delle euristiche più potenti è l’ANALISI MEZZI-FINI, che ci guida a considerare approcci alternativi alla soluzione. A tale scopo è opportuno affrontare un problema distinguendo: - Stato iniziale -> il modo in cui vengono descritte le condizioni di partenza - Stato-obiettivo -> il modo in cui viene illustrato l’obiettivo da raggiungere - Operatori -> le operazioni per passare da uno stato all’altro - Stati intermedi del problema -> gli stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato in vista del raggiungimento dell’obiettivo Queste 4 componenti definiscono quello che Simon ha chiamato SPAZIO DEL PROBLEMA. Simon ha più volte comparato l’attività di risoluzione dei problemi alle ATTIVITA’ DI PROGETTAZIONE. Per esempio: - Progettare complessi processi di produzione - Creare strutture organizzative - Costruire complesse sequenze di mosse, regole, comportamenti e strategie Comune a tutti questi problemi di progettazione è la necessità di una ricerca in ampi spazi, in cui le componenti del problema si combinano in vari modi e devono essere strettamente coordinate. Si pensi, per esempio, ai seguenti casi. 1. LA PROGETTAZIONE -> di un oggetto complesso, per esempio un aeroplano, richiede la coordinazione di molti elementi; ciascuno di questi è a sua volta composto da molte altre componenti più piccole. 2. LA SOLUZIONE -> di un gioco complesso, per esempio il cubo di Rubik: una soluzione vincente è una lunga sequenza di mosse. 3. UN’IMPRESA -> essa è un aggregato multidimensionale di pratiche, regole, procedure, schemi di incentivi. Si tratta di elementi le cui interazioni sono ampiamente sconosciute anche a chi le amministra. Simon ha mostrato che la risoluzione di problemi da parte di AGENTI A RAZIONALITA’ LIMITATA procede necessariamente tramite la decomposizione di un problema complesso. Si ottengono così sotto problemi di dimensioni minori che si possono risolvere l’uno indipendentemente dall’altro. Abbiamo visto che la soluzione dei problemi può essere più o meno efficace. In casi limite, possiamo parlare di SOLUZIONI CREATIVE, nel senso che inventiamo qualcosa di nuovo a cui, magari, nessuno aveva pensato prima di noi. Come ad esempio, l’esempio del coltello e del cacciavite che abbiamo fatto prima. Capitolo 9. “Comunicazione e linguaggio”. Siamo esseri: comunicanti pensanti emotivi sociali La comunicazione è un vincolo costitutivo di noi stessi. È un vincolo che siamo capaci di governare in funzione delle situazioni. La comunicazione è sempre situata. Avviene sempre in una data circostanza. Sono le pratiche comunicative che intessono la nostra vita quotidiana. In quanto tale, la comunicazione costituisce una piattaforma mentale in cui convergono funzioni: - cognitive -> tramite queste la comunicazione è in stretta connessione con il pensiero, il ragionamento pratico l’intenzionalità e l’azione pianificata. - Relazionali -> rispetto a queste la comunicazione è intrinsecamente un’interazione continua con qualcun altro entro una cornice di socialità pervasiva. - Espressive -> rispetto a queste, vi è una stretta connessione fra comunicazione ed espressioni artistiche. Comunicare = deriva dal latino “communicare” = rendere comune, dividere qualcosa con qualcuno. A sua volta deriva da “communis”, composto da cum= con e munus= carica, dunque “condividere una carica”. Occorre anticipare che la comunicazione non coincide con il comportamento, inteso come una qualsiasi azione motoria di un individuo osservabile in una qualche materia da un altro. Comunicazione e comportamento sono due categorie distinte, poiché fra di esse vi è un rapporto di inclusione. Ogni comunicazione è un comportamento, ma non ogni comportamento è una comunicazione (ex. Uno che straparla sotto l’effetto di un farmaco, odi stupefacenti, uno che ha dei tic, o che inciampa in una radice; agisce ma non comunica niente). Il celebre assioma “non si può non comunicare” è una frase certamente ad effetto, ma è intrinsecamente erronea e fonte di grave confusione. Se tutto è una comunicazione non si capisce più in che cosa consista, quali siano le sue proprietà, specificità e peculiarità. In ogni comunicazione è presente un certo grado di intenzionalità, mentre per il comportamento questa condizione non è necessaria. Occorre distinguere tra comunicazione e INTERAZIONE = qualsiasi contatto fra 2 o più individui, anche involontario, in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra di loro. Anche tra queste due categorie esiste un rapporto di inclusione, nel senso che ogni comunicazione è certamente un’interazione, ma non ogni interazione è una comunicazione (ex. Urto accidentale in un ambiente affollato). Tutto ciò che non è comunicazione rimane a livello di NOTIZIA. COMUNICAZIONE = uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di un certo grado di consapevolezza e di intenzionalità reciproca, capace di partecipare e di far condividere un certo percorso di significati sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento. Lo studio scientifico della comunicazione ha richiesto l’elaborazione del concetto di INFORMAZIONE. L’informazione è espansiva, comprimibile e facilmente trasmissibile. Va intesa come una differenza che genera differenza. La comunicazione costituisce un dominio interdisciplinare di studio, poiché è stata indagata da differenti punti di vista scientifici: MATEMATICO Secondo il modello proposto da Claude Shannon la comunicazione va intesa come un TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI. L’attenzione è focalizzata sul passaggio di un SEGNALE a una FONTE, attraverso un TRASMETTITORE lungo un CANALE, a un DESTINATARIO grazie ad un RECETTORE. L’EMITTENTE può trasmettere il messaggio in modi differenti, in ogni caso deve cifrarlo secondo un CODICE. Il RICEVENTE deve decifrare il segnale pervenuto, decodificandolo correttamente. La comunicazione avviene nella misura in cui questa trasmissione è possibile. In questo modello matematico si concepiva la comunicazione ancora come un processo lineare (da A a B) poi è stata introdotta la nozione di FEEDBACK, definita come la quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente consentendogli di modificare i suoi messaggi successivi. Con l’introduzione del concetto di feedback la comunicazione è intesa come PROCESSO CIRCOLARE RICORRENTE SENZA FINE. Ogni messaggio svolge nello stesso tempo 3 funzioni distinte: - È una risposta da parte di B nei confronti di A - È uno stimolo da parte di B nei confronti di A per ottenere da questo una successiva risposta - È un rinforzo, poiché va ad alimentare il modello di scambio che esiste in quel momento fra A e B L’approccio matematico ha introdotto anche la nozione di RUMORE (interferenza con un altro segnale che sta percorrendo il medesimo canale) e RIDONDANZA (ripetizione nell’operazione di codifica del messaggio per favorire la sua decodifica). La comunicazione, quindi, si articola su più piani: 1. Il piano della COMUNICAZIONE -> i contenuti che si scambiano. 2. Il piano della METACOMUNICAZIONE -> la “cornice” con cui interpretare i messaggi. L’attenzione si sposta dalle informazioni trasmesse alla relazione interpersonale che si crea fra 2 o più interlocutori nel momento in cui comunicano tra loro. Ogni scambio implica un’interazione concreta fra 2 o più individui; a sua volta, una sequenza di scambi che si ripetono nel tempo costruisce un modello di relazione fra loro. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami fra soggetti. Ogni volta che ciascuno di noi comunica qualcosa a un altro definisce nello stesso tempo sé stesso e l’altro, nonché la natura della relazione che li unisce. La comunicazione, così intesa, diventa la base costitutiva dell’IDENTITA’ PERSONALE e della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito. Si stabilisce in tal modo un rimando continuo fra relazione interpersonale e comunicazione. Non vi è l’una senza l’altra. L’essere umano vive di significati, fin da piccolo è alla ricerca di un significato che possa dare un senso e offrire una spiegazione accettabile alle condotte sue e degli altri. Il significato è al centro della riflessione di un numero assai elevato di studiosi. Negli ultimi, decenni la loro attenzione è stata rivolta a spiegare l’apparente CONTRADDITORIETA’ del significato, poiché è caratterizzato, da un lato dalla stabilità, e dall’altro dalla variabilità. Secondo la SEMATICA LOGICO-FILOSOFICA -> il significato di una parola o di una frase è dato dal rapporto che esiste tra il linguaggio e la realtà. In particolare, il significato di un enunciato consiste nell’affermare qualcosa su un certo stato di cose che può essere vero o falso. Ogni enunciato è dotato di un certo valore di verità. Capire una frase è allora capire di quale stato di cose essa è immagine. In quanto insieme di condizioni di verità, il significato non è un monolite, ma una realtà articolata, scomponibile in unità specifiche. Per la SEMANTICA VERO-CONDIZIONALE -> il significato sarebbe composto da un insieme limitato di tratti semantici, intesi come “condizioni necessarie e sufficienti”. I tratti semantici per definire un uomo, donna, bambino, bambina sono: - Uomo: animato, umano, maschio, adulto; - Donna: animato, umano, non maschio, adulto; - Bambino: animato, umano, maschio, non adulto; - Bambina: animato, umano, non maschio, non adulto; tale concezione del significato implica alcune conseguenze: a) Nessun tratto può essere eliminato in quanto sono tutte condizioni necessarie b) Nessun tratto può essere aggiunto, perché sono tutte condizioni sufficienti c) Tutti i tratti hanno la medesima rilevanza e sono sullo stesso piano, senza nessuna organizzazione gerarchica d) Il significato di qualsiasi termine presenta confini netti e precisi secondo una logica binaria (assenza o presenza) Il significato di qualsiasi unità linguistica costituisce un oggetto mentale univoco e chiuso, immutabile nel tempo. Il significato “MELA” è chiaro e univoco, fisso e definito, senza ambiguità. Costituisce una sorta di deposito oggettivo, condiviso da tutti i parlanti di una certa comunità. Il significato pertanto, sarebbe indipendente dalla mente dei singoli individui e dai modi con cui essi elaborano le informazioni sulla realtà, poiché sarebbe un’entità oggettiva e identificato con le condizioni di verità. Questa impostazione rigida del significato va incontro a numerose critiche, soprattutto dal modello CNS. Secondo questo modello esiste una gradualità delle proprietà semantiche, per esempio “SEDIA”: - Oggetto rigido - A un posto - Senza braccioli - Con lo schienale - E con 4 gambe La sedia che io immagino con anche i braccioli, non può essere considerata tale secondo il CNS. La SEMANTICA STRUTTURALE proposta da Ferdinand De Saussure, si prefigge di giungere a una definizione esclusivamente linguistica del significato. Essa concepisce il significato come VALORE = ossia la possibilità per ogni parola di essere confrontata e opposta a qualsiasi altra parola della medesima lingua. Il significato di una parola, allora, nasce dalle relazioni intralinguistiche con le altre parole e consiste nelle differenze che esistono tra quella parola e tutte le altre parole. È un SEMANTICA DIFFERENZIALE IN NEGATIVO: il significato di un termine non è definito per quello che è, ma per quello che non è. La prospettiva strutturalista, tuttavia, non appare sostenibile nella sua versione radicale, poiché è inficiata da un circolo vizioso di partenza. Se i termini sono definibili solo in base alle relazioni, come si possono individuare tali relazioni senza fare riferimento ai termini? Il significato non si fonda unicamente sulle differenze intralinguistiche, ma rimanda necessariamente sia a qualcosa di esistente nel mondo sia alla mente del soggetto. Si fonda inevitabilmente sulla nostra esperienza del mondo. La SEMANTICA COGNITIVA -> ha interpretato il significato come il modo con cui comprendiamo le espressioni linguistiche e con cui rappresentiamo mentalmente la conoscenza della realtà. Oggetto della semantica cognitiva è stabilire quale rappresentazione mentale è connessa con la parola in oggetto, nonché quali relazioni esistono fra un messaggio, il suo contesto e i processi della sua interpretazione. La semantica cognitiva, quindi, è una teoria REFERENZIALISTA e PSICOLOGICA. All’interno di questo punto di vista, il significato assume valore di PROTOTIPO, proposto inizialmente da Rosch. All’interno di qualsiasi categoria alcuni membri sono maggiormente salienti rispetto ad altri. Gli esemplari prototipici, in quanto più rappresentativi, costituiscono il cuore di una categoria e altre entità possono farvi parte se e nella misura in cui sono simili a essi. La somiglianza diventa il criterio di appartenenza. L’appartenenza a una categoria va fondata su un criterio robusto e preciso. Possiamo affermare che un’entità può far parte di una categoria se possiede le proprietà comuni a tutti i membri di quella categoria. Sono le PROPRIETA’ ESSENZIALI. Per la categoria “UCCELLO” le categorie sono: avere il becco ed essere oviparo. Le proprietà essenziali definiscono l’appartenenza categoriale in negativo: se un animale non ha il becco e non è oviparo, allora non può appartenere alla categoria uccello. L’appartenenza a una categoria è favorita, oltre che dalle proprietà essenziali, anche dalla presenza di PROPRIETA’ TIPICHE: proprietà specifiche aggiuntive. Tra le proprietà specifiche aggiuntive e quelle tipiche, esiste una gerarchia di rilevanza, in quanto le prime sono più importanti delle seconde. È il MODELLO ESTESO DEL PROTOTIPO, inteso non più come entità fisica, ma come l’insieme delle proprietà tipiche possedute. Significato = costituisce un prodotto sociale e culturale. In quanto tale, oltre a essere convenzionale, è partecipazione, condivisione e reciprocità. PARTECIPAZIONE -> significa: - Fare parte di - Prendere parte a - Essere parte di La partecipazione va considerata come il fondamento per l’elaborazione, la condivisione e l’evoluzione dei significati. Essi costituiscono l’intreccio di diverse componenti. I significati sono pubblici, poiché sono l’esito di un processo di scambio fra gli interlocutori. Non ha senso parlare di comunicazione privata: se qualcosa è comunicazione, non può essere privato, se qualcosa è privato, non è comunicazione. Le interazioni sociali sono la radice dello sviluppo mentale e comunicativo del bambino. In esso, l’accordo su come deve essere fatto qualcosa è assai più importante della cosa stessa. La conoscenza del mondo da parte del bambino non è diretta, ma mediata dall’azione strutturante dell’adulto. In questa prospettiva l’ELABORAZIONE DEI SIGNIFICATI costituisce l’attività congiunta e condivisa da parte di più interlocutori. Essi non si collocano solo nella mente del parlante e nemmeno unicamente nella mente del ricevente, bensì nello scambio fra di essi. Significati -> possiedono numerosi gradi di libertà casuale, di applicazioni e interpretazioni. Entra in azione la GESTIONE LOCALE DEI SIGNIFICATI, poiché sono attivati in modo contingente nel flusso degli scambi comunicativi. Tale gestione locale rende possibile la NEGOZIABILITA’ dei significati, poiché favorisce una serie di calibrazioni e aggiustamenti reciproci fra gli interlocutori fino a giungere a un adeguato livello di accomodazione reciproca. La comunicazione implica una pianificazione intenzionale, poiché ogni messaggio è voler rendere l’interlocutore consapevole della propria intenzione. Senza intenzionalità non vi può essere comunicazione. L’intenzionalità può essere intesa secondo due accezioni differenti: a) Una proprietà essenziale della coscienza umana in quanto “consapevolezza di” qualcosa b) La proprietà di un’azione compiuta in modo deliberato e “di proposito” per raggiungere un certo scopo L’intenzione è “tendere in”, muoversi verso l’altro e si manifesta nell’interazione con l’ambiente. Quando generiamo un messaggio, abbiamo l’intenzione di comunicare qualcosa a qualcun altro. Grice ha distinto fra: - Intenzione informativa (ciò che viene detto, il contenuto) - Intenzione comunicativa (ciò che intendiamo dire, il voler rendere il destinatario consapevole di qualcosa di cui prima non era consapevole) Questo processo è caratterizzato da una graduazione continua. Occorre poi parlare della FORZA DELL’INTERAZIONE, direttamente proporzionale sia all’importanza dei contenuti trasmessi, sia alla rilevanza dell’interlocutore, sia alla natura del contesto. Implica la messa a fuoco e la puntualizzazione del messaggio. Il FUOCO COMUNICATIVO -> è un processo attivo di concentrazione dell’attenzione e dell’interesse del parlante su certi aspetti della realtà da condividere con il destinatario. Inoltre qualsiasi messaggio può essere governato da una pluralità di intenzioni, incastrate l’una nell’altra e disposte in modo gerarchico. Per esempio, in una menzogna preparata vi sono diversi livelli di intenzione: - Un’intenzione nascosta - Un’intenzione manifesta - Un’intenzione informativa - Un’intenzione di sincerità Il parlante deve selezionare un certo livello di intenzionalità per trasmettere ciò che ha in mente. È il dispositivo della “PARS PRO TOTO” secondo cui nella produzione di un messaggio possiamo manifestare solo una parte di ciò che abbiamo in testa. All’inizio degli studi sulla comunicazione il ricevente era inteso in modo passivo come il terminale verso cui è destinato il messaggio, lasciando al parlante la responsabilità maggiore dei processi di comunicazione. Questa prospettiva, nota come INTENZIONALISMO, prevede che il significato di un messaggio dipenda dall’intenzione del parlante e che il compito del destinatario sia quello di indentificare l’intenzione di partenza del parlante medesimo. In modo più articolato, il destinatario procede, più che a un semplice riconoscimento, a una reale ATTRIBUZIONE DI INTENZIONE al messaggio del soggetto. Comprendere la sua intenzione vuol dire assumere che il suo messaggio abbia un significato e impegnarsi per interpretarlo. Il destinatario attribuisce un’intenzione completa e coerente al messaggio sulla base di un insieme ristretto di indizi. Tale attribuzione è un processo attivo, autonomo e soggettivo, grazie al quale il destinatario si assume le sue responsabilità nella gestione dello scambio comunicativo. La comparsa del linguaggio come facoltà ha dato origine e si manifesta in migliaia di lingue naturali. Alcune sono nettamente dominanti (inglese) altre sono parlate da poche centinaia di individui. Linguaggio -> regolato dall’area di Broca (è prioritaria per la produzione del linguaggio e controlla i movimenti implicati nell’articolazione della parola) e dall’area di Wernicke (presiede ai processi di comprensione del linguaggio). Queste due aree sono intradipendenti e strettamente connesse fra loro da un fascio di fibre nervose chiamato fascio arcuato. comunque necessaria per spiegare la struttura superficiale) Ogni elemento linguistico è associato sempre a un qualche aspetto non verbale. Prima di disporre della parola gli esseri umani comunicavano fra loro facendo ricorso a sistemi non verbali di significazione e di segnalazione. Il sistema VOCALE è composto dalle caratteristiche paralinguistiche (variazioni del tono, intensità e velocità del parlato, pause comprese) ed extralinguistiche (le proprietà foniche della voce di un soggetto che dipendono dal suo apparato fonatorio). Il sistema vocale influenza grandemente qualsiasi enunciato. Ad esempio, la parola “esci” assume significati diversi fra loro a seconda nel modo in cui è detta. Il sistema NON VOCALE è caratterizzato da: a) Mimica facciale b) Sguardo c) Gesti e postura d) Prossemica e aptica (la prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio, della distanza e del territorio nei confronti degli altri. L’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con un altro) La molteplicità e la diversità dei sistemi di significazione e di segnalazione concorrono congiuntamente alla produzione del significato finale di un enunciato o di un certo atto comunicativo. Questa unitarietà finale del significato è resa possibile dal processo di SINTONA SEMANTICA E PRAGMATICA, che coordina in modo convergente i diversi sistemi di significazione e segnalazione. Grazie a questo processo giungiamo a elaborare il significato modale di un certo messaggio. Grazie alla sintonia semantica, da un lato, otteniamo la necessaria flessibilità nella produzione e condivisione dei significati, dall’altro, ci assicuriamo la necessaria stabilità e prevedibilità grazie alla regolarità dei contesti e ai sistemi culturali di riferimento. Quando le persone comunicano, devono adattare i loro stili personali le une con le altre attraverso un processo di coordinazione attiva e di aggiustamento reciproco, questo processo si chiama SINCRONIA COMUNICATIVA. Tale sincronia è il risultato dell’alternanza fra la coordinazione “in-fase” (dove le azioni di un interlocutore corrispondono in modo equivalente a quelle dell’altro; per esempio, entrambi parlano con la stessa velocità di eloquio) e la coordinazione “anti-fase” (quando le azioni di un interlocutore sono al punto opposto di quelle dell’altro; per esempio un interlocutore parla a una velocità elevata di eloquio e l’altro no). In tal modo otteniamo un flusso di pratiche comunicative in taluni casi soddisfacenti, governate da una sequenza regolare e fluida di scambi che conducono a condizioni di rispecchiamento, convergenza e compensazione, e in altri casi insoddisfacenti, quando tale sequenza appare disfluente e distrimica, caratterizzata da frequenti interruzioni, lunghe pause e numerosi violazioni delle regole della comunicazione. Capitolo 10. “Valori, desideri, motivazioni”. Come esseri umani, siamo inclini alle cose di valore. L’attenzione al valore implica in modo immediato la distinzione fra la classe degli oggetti di valore e quelli di non-valore. Il valore, tuttavia, non è un’entità assoluta, ma relativa. È una CONVENZIONE -> ha valore ciò che molte persone considerano degno di attenzione e di investimento, oggetto dei loro interessi e delle loro aspettative, meritevole di essere posseduto. In quanto convenzione, gli oggetti di valore sono strettamente interconnessi con la cultura di appartenenza, che fornisce i criteri in base a cui assegnare valore a un dato oggetto o evento. Abbiamo continuamente bisogno di “valutare” in modo più o meno esplicito ciò che facciamo o non, ciò in cui crediamo, i nostri legami affettivi ecc., e un’esigenza costante di valutare ciò che accade. Ovunque e sempre. La mente computazionale non va qui intesa in modo astratto e modulare, bensì come “situata” in un contesto contingente, fondata sull’esperienza e radicata nell’organismo. Tale impostazione della mente conduce in modo inevitabile a valutare in continuazione tutto ciò che accade nella nostra esperienza. Valori: - Sono costrutti motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quali scopi siano da raggiungere - Non esistono in natura - Sono PRODOTTI CULTURALI e come tali presentano un’organizzazione articolata: da una parte hanno una struttura globale, sottesa a bisogni generali della nostra specie, dall’altra hanno configurazioni intermedie robuste in quanto prodotti culturali, dall’altra ancora presentano profili individuali assai differenziati in funzione dell’enciclopedia delle proprie esperienze - Sono radicati nel DESIDERIO - CIO’ CHE PER NOI E’ DESIDERABILE E POSITIVO - È un motore molto potente, poiché alimenta e sostiene i significati, le credenze, le norme, i comportamenti - Abbiamo valori perché abbiamo desideri, e finché ci sono desideri c’è vita Per sua natura il DESIDERIO -> richiede di essere appagato. È un potente attivatore delle competenze e delle energie dell’organismo e attribuisce salienza a ciò che desideriamo. Di qualunque cosa si tratti. I valori quindi vanno considerati come costrutti rispetto a ciò che è desiderabile o meno, ciò che è giusto o meno, ciò che è bene o meno per una comunità di persone. I valori si suddividono in: - Valori in positivo e in negativo - Centrali (vincolanti e tassativi) - Periferici (addizionali e opzionali) Hanno una natura selettiva. Solo certe persone, certi oggetti e certi fenomeni sono degni di valore. Nella costruzione dei valori, si trovano i processi della preferenza della scelta. La selettività delle situazioni cui attribuire valore è alla base della GERARCHIA DEI VALORI. Alcuni di essi diventano IDEALI. Senza ideali non avremmo aspirazioni. In quanto tali, gli ideali attribuiscono coesione ai valori, poiché li raggruppano in unità e, nello stesso tempo, svolgono la funzione motivazionale di attivare le risorse delle persone. Sono molto concreti ed efficaci, poiché orientano l’impegno delle persone verso una meta. PSICOLOGIA POSITIVA -> a partire dai primi anni del 2000 ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulla qualità della vita secondo una prospettiva: - Edonica (dimensione del piacere come benessere personale, legato a sensazioni ed emozioni positive) - Eudaimonica (realizzazione delle potenzialità dell’individuo; partendo dal concetto aristotelico della parola, prende in considerazione non solo la soddisfazione individuale, ma anche l’integrazione con il mondo fisico e sociale circostante) La psicologia positiva enfatizza la funzione fondamentale delle risorse e delle potenzialità dell’individuo, che la psicologia tradizionale aveva trascurato. Il DESIDERIO è il tendere a qualcosa il cui raggiungimento riteniamo ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliore rispetto a quello in cui siamo. Nel desiderio sono presenti la “Molla” che ci spinge ad arrivare a un traguardo, l’impegno per conseguirlo e la convinzione di stare meglio dopo averlo raggiunto. Il desiderio nasce da una condizione di carenza. È qualcosa che non ho, quindi è rivolto al futuro come conseguimento di una condizione più soddisfacente rispetto a quella presente. Per queste ragioni il desiderio e connesso alla SPERANZA = sentimento che i propri scopi possano essere raggiunti e che i propri desideri possano essere soddisfatti. La speranza orienta le risorse psicologiche verso il raggiungimento di scopi realistici e di desideri raggiungibili, rilevanti per l’individuo, a breve e a lungo termine. Nell’appagamento dei desideri, entrano in gioco potenti fattori, sia negli animali che negli umani, associati alla gratificazione della RICOMPENSA. Secondo il MODELLO DEL VALORE ATTESO, elaborato attorno agli anni ’60 nello studio degli atteggiamenti verso il rischio, le persone presentano alcune caratteristiche ricorrenti: a) In caso di guadagno, emerge un effetto di diminuzione dell’utilità marginale (più si guadagna, meglio è; ma i guadagni aggiuntivi sono valutati di meno rispetto agli stessi guadagni in fase iniziale) b) In caso di perdita, si osserva un fenomeno analogo (le perdite maggiori colpiscono di più, ma la sofferenza diminuisce quando le perdite si accumulano) c) In ogni caso, l’avversione verso le perdite presenta una rilevanza psicologica doppia rispetto all’attrazione per il guadagno (una perdita di entità eguale a un guadagno colpisce il doppio rispetto al guadagno) La perdita del valore nel cedere qualcosa in nostro possesso è maggiore del guadagno del valore nell’ottenere la medesima cosa per la prima volta. EFFETTO DOTE Le diverse attribuzioni di valore allo stesso oggetto in caso di cessione o di acquisto sono alimentate dagli EFFETTI DI CORNICE. Tale fenomeno indica che la formulazione di un problema in termini di valori in positivo o in negativo conduce a orientamenti assai diversi nelle persone, laddove, se queste fossero razionali, seguirebbero il principio dell’invarianza procedurale: il valore di un oggetto è il medesimo in caso sia di acquisto sia di vendita, in modo indipendente dal fatto di averlo posseduto. Questi processi sono stati illustrati dalla TEORIA DEL PROSPETTO avanzata da Daniel Kahneman in riferimento ai valori che seguiamo e alle scelte che facciamo in situazioni di rischio. L’inquadramento dei valori in positivo e di quelli in negativo è in relazione a un punto di riferimento centrale, che non è fisso, ma che è dato dalla situazione stessa prima di ogni scelta e decisione. I valori sono prodotti storici, determinati dalle vicende storiche. Hanno quindi una radice intrinseca di CONTINGENZA. I valori sono contingenti, elaborati nello scambio continuo, fitto, inestricabile dei rapporti interpersonali nell’arena sociale. Sono l’esito di un ACCORDO più o meno esplicito su ciò che è bene e ciò che è male fra le persone e i gruppi di una società e sono oggetto di un incessante processo di negoziazione. Diventa quindi impervia l’ipotesi dell’esistenza di VALORI ASSOLUTI nella specie umana. Perenni e universali. Condivisi e seguiti da tutte le culture. “Dichiarazione universale dei diritti umani” Tale documento si fonda sulle opinioni di pensatori e intellettuali dei paesi membri. Composta da 30 articoli, la dichiarazione si articola in 2 grandi aree: - Diritti civili e politici - Diritti economici, sociali e culturali Il fondamento dei valori universali appare, quindi, risiedere nel consenso generale da parte degli stati facenti parte dell’Assemblea ONU del 1948. Da subito, tale dichiarazione fu percepita come l’espressione dei valori della società occidentale e della visione giudaico-cristiana del mondo. Questa non si dimostrò mai compatibile con la concezione della persona e della società che l’Islam difende. Questa origine contingente dei valori ha consentito e consente la formazione di prospettive ispirate al RELATIVISMO. I valori sono locali, storicamente inquadrati, eterogenei in termini spaziali. Tuttavia, il relativismo, nel giustificare qualsiasi costellazione di valori, può condurre a un atteggiamento di autoriferimento e di indifferenza verso gli altri. Una volta ammessa l’origine contingente dei valori, da tale condizione deriva la loro NECESSITA’. Una volta istituiti in una data comunità, diventano vincolanti e tassativi per quella comunità. La loro violazione è considerata come la rottura di un patto condiviso dai suoi componenti. Lo STATUTO NECESSARIO dei valori li fa uscire da una condizione di aleatorietà e provvisorietà e attribuisce loro visibilità, consistenza, solidità e robustezza, nonché continuità nel tempo. Fornisce i criteri con cui organizzare i valori in una costellazione definita. Fornisce agli individui le linee di condotte cui attenersi, assegna loro la responsabilità delle loro azioni e stabilisce un sistema di premi e punizioni. Su queste premesse, nella famiglia della società si fonda la possibilità del PLURALISMO come via intermedia fra assolutismo e relativismo. I valori sono al plurale, organizzati in un insieme riconoscibile e definito, oggetto di possibile confronto. Il pluralismo consente la molteplicità senza correre il rischio dell’uniformità vincolante. Qual è il fondamento del pluralismo? Si basa sul confronto diretto e sullo scambio fra gruppi interessati. Tale confronto implica il riconoscimento reciproco della legittimità del rispettivo punto di vista. È l’esito di un’attività incessante di negoziazione alla ricerca di possibili convergenze nel rispetto delle divergenze. Segue il PRINCIPIO DELLA TOLLERANZA = la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa PROSPETTIVA COGNITIVISTA Il cognitivismo pone in evidenza la capacità dell’individuo nel proporsi traguardi e perseguire gli scopi prefissati. La motivazione consiste in una meta da raggiungere, in grado di creare aspettative e di guidare la condotta. In tal modo la sfera motivazionale viene sottratta, di fatto, alla sfera biologica. In questa concezione, l’attenzione è focalizzata: - Sui processi cognitivi sottesi all’individuazione e alla definizione delle mete da raggiungere - Alla valutazione delle probabilità di riuscita o di fallimento - Alla modificazione progressiva dagli scopi in funzione delle informazioni a disposizione in quel momento - Alla valutazione degli esiti della propria condotta, nonché all’assunzione di una prospettiva temporale ancorata al futuro piuttosto che al passato Secondo il cognitivismo gli individui tendono a raggiungere il successo e a evitare l’insuccesso. Il successo è dato dall’interazione fra la motivazione, l’incentivo rappresentato dal suo ottenimento e la probabilità di ottenerlo. L’individuo con un’elevata motivazione a evitare il fallimento si orienta o verso mete altamente probabili o verso mete il cui perseguimento risulta altamente improbabile. La prospettiva cognitivista fornisce elementi utili per spiegare l’INDUZIONE DI BISOGNI NUOVI negli individui. Lo abbiamo sotto gli occhi. La tecnologia digitalizzata crea in continuazione nuovi bisogni per rispondere a standard di vita sempre più elevati. PROSPETTIVA INTERAZIONISTA Secondo il punto di vista interazionista, le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dalle INTERAZIONI CON GLI ALTRI. Prestiamo attenzione agli aspetti di convivialità, socialità e amicizia sottesi al fatto di consumare cibo insieme. Nelle varie culture del mondo è usanza comune celebrare la firma di un contratto importante, o segnalare un cambiamento sociale rilevante, con un banchetto o comunque con il consumo di cibo. Infatti, il cibo viene a sancire il valore psicologico della nuova intesa e del nuovo patto relazionale. Ogni individuo è portato ad agire in un certo modo piuttosto che in un altro in funzione della rete relazionale in cui è inserito. Ognuno di noi può diventare una forma di ricompensa, di sostegno, di ostacolo o di frustrazione nei confronti di altri in base alla cultura di appartenenza. David McClelland à ha individuato 3 grandi COSTELLAZIONI DI MOTIVAZIONI SECONDARIE che caratterizzano la nostra esistenza: 1. Bisogno di affiliazione 2. Bisogno di successo 3. Bisogno di potere Sono disposizioni personali che orientano le strategie generali di condotta dell’individuo nei confronti dell’ambiente e delineano precisi profili di personalità. BISOGNO DI AFFILIAZIONE Consiste nel ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di fare parte di un gruppo. Gli individui motivati dall’affiliazione hanno un forte senso di appartenenza al gruppo e riservano una quota rilevante di risorse per la cura delle relazioni sociali. Una delle radici della condotta affiliativa è da attribuire alla RELAZIONE DI ATTACCAMENTO che il bambino piccolo sviluppa con la figura di accudimento. Secondo la teoria dell’attaccamento, elaborata inizialmente da Bowbly e ripresa da altri studiosi, la relazione di attaccamento è definita da: a) La ricerca della vicinanza alla figura preferita b) La funzione di “base sicura” svolta dalla figura preferita c) La protesta per la separazione La relazione di attaccamento non è quindi creata solo dall’appagamento delle esigenze fisiologiche del bambino da parte dell’adulto, ma soprattutto dalle sue cure, che comprendono il contatto fisico, il tepore del corpo, le carezze etc. Facendo ricorso a un’esperienza di separazione, Mary Ainsworth e colleghi hanno classificato il sistema delle condotte di attaccamento in 3 tipi: 1. Attaccamento insicuro-evitante (avendo sperimentato ripetuti rifiuti, il bambino mostra pochi segnali manifesti di angoscia per la separazione dalla madre; inoltre, evita l’aiuto e il sostegno dalla madre) 2. Attaccamento sicuro (il bambino non è angosciato in caso di separazione, ma è rassicurato dalla fiducia nella disponibilità e nell’appoggio dell’adulto) 3. Attaccamento insicuro-ansioso-ambivalente (angosciato in caso di separazione, il bambino cerca e rifiuta al tempo stesso il contatto con la madre; manifesta, inoltre, un atteggiamento di insicurezza circa la sua disponibilità) 4. Attaccamento insicuro-disorganizzato (in caso di separazione, il bambino mostra un comportamento incoerente e contraddittorio, disorientato sul piano cognitivo e motorio, come se fosse confuso) Queste condotte di sicurezza nei legami con gli altri favoriscono l’elaborazione di MODELLI OPERATIVI INTERNI à consistono in un sistema organizzato di rappresentazioni mentali che riguardano le credenze e le aspettative del bambino nei confronti delle risposte fornite dalla figura di attaccamento, in modo da prevedere, anticipandola, la relazione con essa. Grazie alle precoci esperienze di attaccamento, i bambini, già nel 2 anno di vita, mostrano una notevole sensibilità nei confronti dei coetanei che soffrono, cercano di offrire loro protezione e il loro aiuto nella condivisione e nella partecipazione della sofferenza, si mostrano attivi nel consolarli e nell’alleviare il loro disagio. Questo comportamento prosociale è alla base della relazione d’aiuto, della cooperazione e della condivisione delle esperienze. Nell’adulto il comportamento prosociale si manifesta nella capacità di collaborazione, nella ricerca di compagnia, nella relazione d’aiuto e di supporto verso altri, nello stabilire e mantenere buoni rapporti di amicizia, nonché nella condivisione di esperienze e di prospettive di vita con gli altri. Tale comportamento implica la capacità di assumere il punto di vista altrui. Caso emblematico di comportamento prosociale è l’ALTRUISMO = quando l’azione di un individuo genera un incremento significativo di vantaggi per gli altri, compresi estranei e sconosciuti, anche a fronte di un costo personale. Perché siamo altruisti? Da dove nasce l’altruismo? Già Darwin aveva spiegato l’origine dell’altruismo in queste specie animali (api, formiche, vespe) facendo riferimento al concetto di selezione naturale. Vi sarebbero istinti sociali a vantaggio della propria comunità. Essi aumentano il grado di sopravvivenza della comunità stessa nella ricerca delle risorse e nella difesa dai predatori, favorendo in modo selettivo la prosecuzione della specie stessa grazie a forme più resistenti nella lotta per l’esistenza. Gli sviluppi successivi della teoria evoluzionistica hanno sottolineato gli aspetti genetici dell’altruismo. L’altruismo sarebbe una forma di egoismo indiretto del gruppo, poiché gli incentivi egoistici della cooperazione nelle relazioni a lunga durata portano vantaggi a tutti. Questa concezione è stata ridimensionata dalla TEORIA DELLA SELEZIONE DI PARENTELA proposta da William Hamilton. La condotta altruistica aumenta la capacità genetica del ricevente a spese del donatore alla luce del principio “sacrifico i miei geni per diffondere i geni dei miei parenti”. Hamilton parla espressamente dell’ipotesi di un gene per l’altruismo. L’altruismo è favorito dall’aumento della propria autostima, dell’immagine di sé e del livello della propria reputazione agli occhi degli altri, come pure dalla punizione altruistica per le condotte non cooperative. Grazie a questi atteggiamenti, l’altruismo si è tradotto in pratiche prosociali. È una relazione d’aiuto in cui si realizza un gioco complesso fra il benefattore e il beneficiario. L’aiuto richiesto può suscitare reazioni positive nel destinatario, poiché veda soddisfatta la sua richiesta. BISOGNO DI SUCCESSO Consiste nella motivazione a fare le cose al meglio per un intrinseco bisogno di affermazione e di eccellenza. Chi ha un elevato bisogno di successo tende ad assegnarsi scopi impegnativi ma realistici. Ha una buona conoscenza delle proprie risorse e dei propri limiti; nello stesso tempo, ha l’esigenza di ottenere il massimo e di ottimizzare le potenzialità a sua disposizione. Il bisogno di successo individuale è fortemente distintivo dalla cultura occidentale, poiché privilegia i valori dell’indipendenza e dell’autonomia, l’affermazione di sé e l’individualismo. Una delle radici più importanti del bisogno di successo è data dall’estensione delle ASPETTATIVE che le figure parentali nutrono nei confronti del figlio. È naturale che un genitore sviluppi una serie di aspettative verso il proprio figlio. Quando tali aspettative sono elevate e realistiche, vi è una buona probabilità che il figlio sviluppi un elevato bisogno di successo. Quando le aspettative sono eccessivamente alte o troppo basse è probabile che il bambino cresca con un modesto bisogno di successo. Parimenti, i bambini e i giovani con un’elevata motivazione al successo hanno, di norma, genitori che li incoraggiano maggiormente all’indipendenza, a risolvere i problemi da soli, a impegnarsi per raggiungere lo scopo prefissato. Il livello della motivazione al successo appare strettamente associato al MODELLO FAMILIARE DI EDUCAZIONE, soprattutto in relazione alla quantità e alla qualità delle aspettative espresse dai genitori nei confronti dei figli. Il lavoro umano consiste in un’attività produttiva organizzata in modo collettivo da un’istituzione che può essere alimentata e sostenuta da 3 principali motivazioni: 1. MOTIVAZIONE RAZIONALE-ECONOMICA (consiste negli incentivi economici e nella soddisfazione dei bisogni primari attraverso un programma di ricompense e di rinforzi. 2. MOTIVAZIONE SOCIALE (sottolinea l’appagamento dei bisogni sociali del lavoratore attraverso i vari gruppi di lavoro, l’interazione sociale, le attività di collaborazione e così via) 3. MOTIVAZIONE ALL’AUTOREALIZZAZIONE (concerne il soddisfacimento dei bisogni di curiosità, di apprendimento e di successo dei lavoratori) BISOGNO DI POTERE Consiste nell’esigenza di esercitare la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha un forte bisogno di potere cerca di occupare posizioni di comando e di concentrare l’attenzione altrui su di sé. Non teme il confronto né la competizione. Non esita di fronte a quelle situazioni, spesso rischiose, da cui può risultare un aumento del proprio potere e del proprio prestigio. Il bisogno di potere si manifesta con un atteggiamento positivo nei confronti dei mezzi che favoriscono la manipolazione e il controllo delle decisioni dell’altro. Il potere non è un’entità assoluta, ma va concepito come una relazione tra A e B. Siffatta relazione è definita dalla presenza di alcuni parametri: - Le risorse possedute da A - L’asimmetria (nel senso di A “maggiore” di B) - La sfera del potere (di solito il potere riguarda determinati ambiti di vita, non tutti) - La creazione delle aspettative (A che ha potere su B, se B si aspetta che, adeguandosi ad A, ottenga dei vantaggi, o che, rifiutando le indicazioni di A, vada incontro a sanzioni) POTERE= una relazione asimmetrica, riguardante ambiti specifici, nella quale A, in virtù delle risorse che si presume disponga, appare in grado di indirizzare e di modificare in modo intenzionale la condotta di B, verso la realizzazione dei propri obiettivi. Pertanto, la relazione di potere, pur essendo asimmetrica, è caratterizzata dalla BIDIREZIONALITA’: se è vero che A influenza B, è altrettanto vero che B influenza A. Su questa base, la relazione di potere è caratterizzata da una forma intrinseca di instabilità, poiché è oggetto di continua contrattazione, negoziazione e influenzamento reciproco. Data la sua instabilità, implica il concetto di coercizione e di costrizione; ma, nel momento stesso in cui il potere diventa coercizione, va incontro al proprio fallimento e alla propria distruzione. LEADERSHIP = attività di comando, prevede di occupare una posizione sociale in grado di prendere decisioni nei confronti degli altri e di dirigere le loro azioni verso un certo traguardo. Vi sono diversi stili di leadership: - Autoritario (accentratore e verticistico) - Democratico (partecipativo e condiviso) - Permissivo (delega piena) Esiste un livello motivazionale di base che riguarda l’esigenza intrinseca di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività gratificante di per sé, poiché in tal modo si possono dimostrare la propria competenza e la fiducia nelle proprie risorse. È qui in gioco il senso della propria competenza di base, intesa come capacità di realizzare con successo i propri obiettivi. È una motivazione di fondo, essenziale per continuare a vivere. Su questa piattaforma motivazionale occorre distinguere tra: - Motivazione intrinseca à consiste nello svolgere un’attività perché è gratificante per sé stessa - Motivazione estrinseca à consiste nel compiere la medesima attività per conseguire qualcos’altro (ex. Ricevere un premio) Di norma la motivazione intrinseca risulta essere più duratura e più efficace di quella estrinseca ed è strettamente associata al senso di autoefficacia. Capitolo 11. “Emozioni e affetti”. EMOZIONI = sono processi emergenti in funzione dell’organismo e degli accadimenti all’interno di un dato contesto. Sono dispositivi mentali di adattamento attivo all’ambiente, in grado di consentire all’individuo di rispondere in modo flessibile, efficace e dinamico agli accadimenti contingenti. essenziali: - IPOTALAMO à che svolge la funzione di governo nel sistema autonomo. È la sede della regolazione centrale dell’ambiente interno dell’organismo. Per quanto riguarda le emozioni, la stimolazione di specifici siti dell’ipotalamo nella regione mediale produce reazioni emotive complete. - AMIGDALA à è ritenuta il computer dell’emotività, poiché è composta da diversi nuclei; è un sistema di connessione e di raccordo fra tutte le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente e i vari sistemi di risposta emotiva, compresi quelli che coinvolgono le aree della corteccia. Inoltre, contribuisce in modo importante a individuare il grado di impatto e di congruenza degli stimoli in relazione ai bisogni, desideri e scopi di un organismo. L’amigdala è coinvolta nella rilevazione più dell’intensità emotiva degli stimoli che della loro valenza positiva o negativa. Le emozioni mostrano delle regolarità che indicano un modello peculiare di funzionamento mentale. Tali regolarità, chiamate leggi, possono essere utili per comprendere per quali ragioni proviamo le emozioni. Anzitutto, le emozioni sorgono come risposta alle informazioni che definiscono il significato delle situazioni. Le emozioni sono attivate da eventi valutati come reali. Sono tanto più intense quanto più rilevanti sono gli accadimenti di riferimento osservabili. Inoltre, i cambiamenti, soprattutto quelli inattesi, sono un fattore importante di attivazione delle emozioni. È esperienza comune che le situazioni piacevoli, se ripetute, facilmente conducono ad assuefazione, mentre le condizioni penose generano emozioni negative durature. Le emozioni positive sono contingenti, rispecchiano i cambiamenti e diminuiscono con la ripetizione degli stimoli piacevoli, mentre quelle negative persistono nel tempo. Tale asimmetria è una manifestazione della nostra inclinazione a prestare maggiore attenzione e a imparare di più dalle informazioni negative che da quelle positive. È la DISTORSIONE DELLA NEGATIVITA’ intesa come disposizione generale a essere influenzati molto più dalle informazioni negative che da quelle positive, poiché le prime hanno un impatto assai maggiore rispetto alle seconde sul nostro funzionamento mentale. Le emozioni facilitano o impediscono la memoria? In generale, rispetto agli stimoli neutri, quelli emotivi suscitano un potenziamento della memoria. Il loro ricordo appare più nitido e preciso, più forte e persistente nel tempo. In questo ambito, particolare interesse hanno suscitato le MEMORIE FLASH = ricordi chiari, vivi e dettagliati nella loro sequenza anche a distanza di notevole tempo e gli individui si dichiarano molto sicuri di quello che ricordano. Tuttavia, studi successivi hanno posto in evidenza come anche nelle memorie flash vi siano errori e, talvolta, vere invenzioni di scene o particolari. In altre circostanze, nei casi di stress e trauma, gli eventi emotivi deteriorano i processi di memoria in forma anche grave fino a giungere a condizioni di amnesia. Nel disturbo da stress post-traumatico, le persone manifestano rilevanti DISTURBI DELLA MEMORIA, in cui si alternano intrusioni involontarie dei ricordi del trauma e assenza di ricordi. Il loro racconto dell’episodio traumatico è piatto e generale. Inoltre, la loro memoria autobiografica presenta un elevato grado di frammentarietà, incoerenza e lacunosità. Per quanto riguarda il rafforzamento dei processi di memoria a seguito di eventi emotivi, in passato si è ritenuto che questa condizione fosse da attribuire al RESTRINGIMENTO DELL’ATTENZIONE sugli aspetti focali di questi eventi, ignorando gli elementi periferici. Ad esempio, i testimoni di un crimine spesso bloccano la loro attenzione sull’arma del delitto e ignorano tutto il resto. Emozioni à generate da una molteplicità di cause, poiché nello stesso tempo, presentano alcuni aspetti universali, altri comuni a un gruppo di persone, altri ancora esclusivamente individuali. Data questa condizione, è naturali che siano state elaborate diverse ipotesi per spiegare perché proviamo emozioni. EMOZIONI COME ADATTAMENTO ALL’AMBIENTE DEL PLEISTOCENE Ogni emozione svolge una specifica funzione per garantire il raggiungimento di questo scopo. Le emozioni, quindi, sorgono come conseguenza dell’attivazione di specifici programmi nervosi, a loro volta innescati dalla comparsa di certi stimoli ambientali. Tali programmi implicano l’insorgenza rapida e involontaria delle emozioni che assumono un decorso sostanzialmente precodificato. EMOZIONI COME INTERRUZIONE E PRIORITA’ Nel flusso della vita quotidiana avvengono eventi particolari che attirano la nostra attenzione, che toccano i nostri interessi, e che sono da noi valutati come rilevanti. In queste circostanze proviamo emozioni. In questo senso, l’emozione è un’interruzione nel corso continuo dell’esperienza e costituisce un segnale di allerta per l’organismo. È un segnale interno di attenzione con valore di precedenza, in grado di interrompere le altre attività, per consentire all’individuo di raccogliere le sue risorse e di fornire una risposta pronta, pertinente ed efficace alla nuova situazione. Le emozioni sono i segnali di controllo che vengono a colmare il vuoto fra gli istinti e una razionalità perfetta. EMOZIONI COME PREDISPOSIZIONE ALL’AZIONE Le emozioni spingono gli individui prontamente all’azione. Sorgono come conseguenza di una specifica valutazione della situazione contingente e sono all’origine di precise azioni intraprese per modificare la situazione medesima. Questa predisposizione all’azione era già indicata da Magda Arnold che l’aveva definita come la “tendenza sentita di muoversi verso qualcosa valutata intuitivamente come buona o di allontanarsi da qualcosa intuitivamente dannosa”. La tendenza all’azione si manifesta anche in altre attività, come muoversi contro qualcosa o qualcuno, essere impotenti, sottomessi, rilassarsi etc. EMOZIONI COME LEGAMI INTERPERSONALI È ovvio che le emozioni siano strettamente intrecciate con le RELAZIONI INTERPERSONALI. Le emozioni sono indispensabili per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona. Sia le situazioni di collaborazione e partecipazione, sia quelle di attaccamento o di separazione, sia quelle ancora di competizione e conflitto suscitano importanti emozioni. Ogni emozione è collegata a una circostanza attivante, che funge da antecedente emotigeno. Possiamo distinguere fra: - Valutazione primaria à esplora e definisce il grado di pertinenza e importanza dell’evento in riferimento al benessere dell’individuo. - Valutazione secondaria à esamina le diverse possibilità e modalità con cui l’individuo può far fronte alla situazione emotigena, come può governarla. Klaus Scherer ha proposto una sequenza lineare di CONTROLLI DI VALUTAZIONE DELLO STIMOLO organizzata secondo il seguente ordine progressivo: - NOVITA’ à In primo luogo, l’organismo valuta la novità e la discrepanza dello stimolo rispetto alle proprie aspettative. È l’evento inatteso e imprevisto. - PIACEVOLEZZA/SPIACEVOLEZZA INTRINSECA à In secondo luogo, l’organismo valuta la qualità edonica dello stimolo. La piacevolezza suscita risposte di avvicinamento, appartenenza e inclusione; mentre la spiacevolezza induce razioni di allontanamento, fuga rigetto o attacco. - PERTINENZA DELLO STIMOLO PER I BISOGNI E GLI SCOPI DELL’ORGANISMO à In terzo luogo, il soggetto procede a valutare se un erto stimolo favorisce o ostacola il raggiungimento dei propri scopi e desideri. - CAPACITA’ DI FAR FRONTE ALLO STIMOLO à In quarto luogo, l’organismo si trova a valutare le proprie possibilità di controllo nei confronti dello stimolo emotigeno, nel verificare la natura della causa, nell’accertare il grado di controllabilità dell’evento attraverso il ricorso a un’azione specifica. - COMPATIBILITA’ CON LE NORME SOCIALI E CON L’IMMAGINE DI SÉà Infine, il soggetto valuta se e quanto la situazione emotigena sia conforme con gli standard e le aspettative del proprio gruppo sociale. Infatti, l’adesione o la trasgressione delle norme e dei valori dei gruppi di riferimento suscitano emozioni assai diverse. Le emozioni rappresentano degli indicatori palesi per una costante lettura dello stato psicologico dell’individuo. Le nostre sensazioni interne, chiamate da Dennett “qualia”, sono spesso impalpabili e sfuggenti. Esiste un lessico universale delle emozioni? Sembra esistere un soddisfacente grado di somiglianza nei concetti emotivi fra le varie culture. Più frequentemente di altre, sono ricordate le emozioni fondamentali (gioia, felicità e amore, tristezza, collera e paura). Questa ipotesi si scontra con l’evidenza della DIVERSITA’ DEI LESSICI EMOTIVI. Emergono notevoli differenze nell’ESTENSIONE dei singoli repertori linguistici. Il fatto che un’emozione non sia lessicalizzata non vuol dire che non sia esperita. Persino il termine stesso “emozione” non è universale. Questa diversità culturale fra i lessici emotivi comporta rilevanti SPECIFICITA’ LINGUISTICHE, che, a loro volta, influenzano in modo significativo le possibilità della corrispettiva competenza emotiva e affettiva. In alcuni casi, abbiamo conetti e termini emotivi che non hanno il corrispettivo linguistico nella lingua italiana (o inglese). Le categorie emotive sono strutturate secondo la dimensione verticale, avendo come livello sovraordinato la categoria EMOZIONE, come livello di base categorie quali felicità, paura, collera, tristezza, odio, come livello subordinato categorie quali irritazione, agitazione, frustrazione, fastidio, rabbia, furore, ferocia, vendetta, risentimento, furia in relazione a COLLERA. Il dominio EMOZIONE prevede un’organizzazione gerarchica interna simile a quella di molte altre categorie. Tale struttura gerarchica è regolata dalla presenza di alcune dimensioni come la valenza edonica (emozioni piacevoli o spiacevoli), l’intensità, la causa delle emozioni. In questa sede esamineremo in modo sintetico solo la categoria COLLERA come esempio paradigmatico. COLLERA à è una condotta emotiva di difesa e di attacco a fronte di un ostacolo che impedisce il raggiungimento o il mantenimento di una condizione desiderata. Assume significati molto diversi in relazione a diverse culture. Alcune culture non hanno una categoria corrispondente a COLLERA, alcune si avvicinano ma non del tutto. Data questa diversa configurazione di questa categoria la condotta emotiva corrispondente varia da cultura a cultura come abbiamo visto. Le categorie emotive sono costrutti articolati e rimandano a esperienze che nascono, si sviluppano e si esauriscono nel tempo. In quanto tali, le emozioni, pur essendo apparentemente caotiche, seguono un COPIONE o uno “SCRIPT” = una forma schematica di rappresentazione mentale di un evento, organizzata in modo sequenziale a livello temporale e psicologico, nella quale l’evento in esame è scomposto in sotto eventi. Sono scomponibili in una sequenza di sotto eventi conoscibili che compongono l’emozione stessa. Tali componimenti dell’esperienza emotiva si svolgono secondo una data sequenza e sono organizzate secondo una certa articolazione in modo da definire la sua configurazione globale. Le emozioni sono “sentite” e manifestate all’esterno dell’intero organismo. Queste emergono in modo visibile dal nostro corpo attraverso una serie molto estesa di indizi più o meno palesi, compresi i micro-indizi. Come ricorda Damasio, “il corpo è il teatro delle emozioni” poiché consente la loro rappresentazione tangibile e pubblica. Parliamo di OSTENSIONE EMOTIVA. Fin dall’antichità, le espressioni facciali sono state oggetto di studio da parte della FISIOGNOMICA. Secondo la fisiognomica, la “conformazione strutturale” del volto conduce alla produzione di specifiche espressioni facciali e alla rilevazione del carattere delle persone. Essa si fonda sul METODO DEL GIUDIZIO, poiché fa riferimento alla valutazione di “giudici” che inferiscono la presenza dic erte emozioni a partire da certe espressioni facciali. Ekman e Friesen seguirono il “metodo delle componenti”, che consente di misurare in modo accurato le diverse componenti motorie di una data configurazione facciale. Sulla scorta di questi dati essi elaborarono il FACS (Facial Action Coding System), che è un sistema comprensivo di osservazione di tutti i movimenti facciali visibili, fondati sulla rilevazione dei loro correlati anatomo-fisiologici. L’espressione facciale di ciascuna delle sei emozioni base è unica e universale, presente in tutte le culture, riconosciuta da tutti in modo attendibile, innescata e governata da un preciso programma neuromotorio che attiva una specifica configurazione di fasce muscolari. Tali differenze espressive sono generate e governate dalle REGOLE DI ESIBIZIONE, apprese nei primi anni di vita in funzione delle esperienze e degli apprendimenti culturali. Sono “tecniche di gestione” delle espressioni emotive facciali. Data una certa situazione impariamo a esprimere le emozioni così come le stiamo provando, ad aumentare le loro espressioni mostrando più di quanto sentiamo, a diminuirle manifestandole di meno, a nasconderle del tutto non palesando alcunché, a camuffarle esibendo le espressioni di un’emozione diversa o a recitarle ostentando un’emozione che invece non proviamo affatto. Nell’analisi delle manifestazioni emotive facciali occorre, quindi, distinguere tra: - Espressioni genuine à involontarie e non intenzionali; corrispondono a esperienze realmente “sentite” dall’organismo in funzione dell’attivazione dei processi neurofisiologici. - Espressioni false à volontarie e intenzionali; sono finte e “posate”, segni di simulazione e finzione sociale. Questa è la ragione per cui Ekman ha dedicato molte risorse allo studio delle MICROESPRESSIONI per individuare un percorso valido di discernimento fra ciò che è genuino e ciò che è simulato e recitato. Ha proposto la TEORIA NEURO- CULTURALE DELLE EMOZIONI. I dispositivi neurofisiologici costituiscono il motore centrale e il cuore delle espressioni facciali delle emozioni, mentre le regole di esibizione rappresentano le variazioni superficiali e contingenti. L’obiettivo di Ekman è quello di elaborare una teoria onnicomprensiva, in grado di spiegare sia le somiglianze sia le diversità nelle espressioni facciali fra le varie culture. Per accogliere l’ipotesi dell’universalità delle espressioni emotive, occorre verificare 3 proposizioni: 1. Se i movimenti facciali siano universali e costanti in tutti gli esseri umani; 2. Se questi movimenti esprimano in modo invariante le stesse emozioni in tutti gli individui; 3. Se osservatori appartenenti a diverse culture attribuiscano il medesimo valore emotivo a tali movimenti facciali; Capitolo 12. “Cultura e civiltà”. La cultura à è anzitutto esperienza. È un’esperienza invisibile, poiché sfugge alla nostra consapevolezza. La viviamo così com’è, senza pensarci troppo. Viviamo la nostra cultura come una realtà “trasparente”, perché, senza rendercene conto la riteniamo “naturale”. Per questa ragione siamo inclini a considerare la cultura una realtà oggettiva a livello mentale e sociale. La cultura è uno spazio sconfinato, da esplorare in continuazione. A ogni passo avanti che facciamo, l’orizzonte cambia per presentarci nuovi scenari culturali, alcuni inattesi, altri in parte già noti. La cultura di per sé non ha nessun disegno. È un fiume che va sempre avanti e non torna mai indietro. È la condizione di CONTINGENZA. Non ha una direzione prefigurata, né alcun traguardo da raggiungere. Il suo futuro rimane un’incognita. La contingenza non è puro caso né tanto meno vincolo. Il contingente è la confluenza fra le cose che capitano e il modo in cui noi le facciamo capitare. La cultura è un prodotto del presente. È fare le cose in un certo modo, qui ed ora. Come ci poniamo in quanti individui nei confronti della cultura? Ciascuno di noi gode di tre posizioni differenti: 1. DESTINATARI à quando siamo venuti al mondo ci siamo trovati immersi in un certo ambiente culturale che mediante un complesso di pratiche di accudimento ci ha consentito di crescere e di diventare adulti. Questa condizione di partenza ha segnato per sempre la nostra esistenza. Per certi aspetti siamo “prigionieri” della cultura. 2. PROTAGONISTI à protagonisti della cultura in cui viviamo. In quanto attori della cultura, contribuiamo a costruire il percorso del fiume da cui siamo trasportati. L’aspetto essenziale è la consapevolezza della nostra partecipazione attiva alla costruzione della direzione futura della cultura. 3. OSSERVATORI à osservatori della nostra cultura e altrui. In continuazione facciamo commenti su ciò che stiamo vivendo. In quanto spettatori di quello che, di volta in volta, altri protagonisti culturali fanno, siamo indotti a fare valutazioni e a manifestare opinioni. In ogni situazione siamo destinatari, protagonisti ed osservatori di ciò che sta avvenendo nel mondo culturale di cui facciamo parte. Nell’interpretare la cultura facciamo riferimento a tre dimensioni costitutive: 1. INTERAZIONE FRA UMANI E AMBIENTE à la specie umana vive in un habitat specifico, caratterizzato da una certa conformazione territoriale e da un dato clima, nonché dalla presenza di risorse per la sopravvivenza. Gli ambienti a disposizione della specie umana sono molto diversi fra loro. Noi siamo l’unica specie ENDEMICA, in grado di vivere in ogni condizione climatica grazie alla nostra capacità mentale di inventare strumenti, mettere a punto procedimenti, elaborare dispositivi in grado di “governare” l’ambiente. La cultura, infatti, consiste nel modo in cui si procede al loro impiego. Tali aspetti sono stati sottolineati dall’APPROCCIO ECOCULTURALE, secondo cui la varietà delle culture è associata all’adattamento attivo a uno specifico habitat in termini di varietà, vincoli e richieste. 2. CONDIVISIONE DI CONOSCENZE, SIMBOLI E PRATICHE à un criterio empirico per capire se ci troviamo di fronte a una cultura consiste nel verificare se gli individui della comunità esaminata condividono conoscenze, significati, pratiche, norme etc. La CONDIVISIONE oltre a creare un senso di appartenenza, consente di identificare una data cultura rispetto ad altre, di porre dei confini e di cogliere le sue caratteristiche principali. Siffatta condivisione implica una loro articolazione in funzione dei processi di reciproca influenza sociale. Tuttavia, per non disperdersi in una frammentazione caleidoscopica così estesa, a livello planetario è stata individuata circa una decina di macroregioni culturali che presentano un buon grado di somiglianza al loro interno. Una cultura è diversa dall’altra, perché ha qualcosa che l’altra non ha e viceversa. 3. TRASMISSIONE ED EVOLUZIONE CULTURALE à la terza dimensione della cultura riguarda la continuità temporale. Siamo in presenza di un processo interdipendente di trasmissione e di appropriazione che costituiscono un tutt’uno inestricabile. In tal modo abbiamo sia la continuità sia il cambiamento delle forme culturali in atto. La TRASMISSIONE CULTURALE è un interesse vitale degli esperti tramandare le loro forme di vita alle generazioni successive come elemento di stabilità e continuità. La trasmissione va intesa come evoluzione incessante tramite la distribuzione ed estensione delle rappresentazioni, degli artefatti e delle conoscenze fra le persone. Entra qui in gioco un secondo fattore dell’evoluzione della cultura: l’attività svolta dal novizio. Questo percorso presuppone una specifica capacità di APPRENDIMENTO CULTURALE. È l’EVOLUZIONE CULTURALE intesa come l’insieme dei cambiamenti riguardanti le sindromi culturali, la rete delle conoscenze e delle credenze, i modelli di condotta e gli stili di vita da una generazione all’altra. CULTURA = l’appropriazione di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, di conoscenze e credenze, di significati, valori ed emozioni, e di pratiche di vita attraverso l’apprendimento sociale all’interno di un gruppo umano socialmente organizzato, in modo da adattarsi attivamente al proprio ambiente e dare senso all’esperienza propria e altrui. La prospettiva qui delineata ha assunto in tempi recenti un forte impulso con la concezione della cultura come collezione di SINDROMI CULTURALI. Ognuna di esse è una configurazione dominio-generale, flessibile e malleabile, resistente e robusta di “segnali”. Tali sindromi generano una rete di significati, attese e pratiche che caratterizzano una data cultura. Da alcuni studi è emerso che tali sindromi sono presenti in tutte le culture che se con una diffusione e un’intensità diverse. La cultura, quindi, va considerata come una realtà situata, poiché, di volta in volta, i processi culturali in atto non si svolgono in modo automatico né sono provocati da cause generali e fisse, bensì sono attivati in relazione a una situazione specifica e contingente. Siffatta SITUAZIONALITA’, valida anche per la mente umana in generale, è la conferma del carattere di contingenza della cultura. La cultura non è esistita da sempre. La cosiddetta “invenzione della cultura” è l’esito di una sedimentazione di processi assai diversificati che nel corso di milioni di anni hanno contribuito in modo convergente e dinamico a costruire le fondamenta su cui si è innalzata la costruzione della cultura. Radicandosi nella biologia è nata la cultura attraverso una lunga e rapsodica traiettoria evolutiva. È un insieme contingente di fattori e di eventi che fa apparire l’evoluzione naturale come un bricolage. Senza dubbio l’influenza della biologia dà origine a un certo numero di differenze. La cultura, tuttavia, pur essendo fondata sulla biologia, ha sviluppato una gamma di propri gradi di libertà nel corso del tempo. L’apprendimento individuale, sociale e culturale, di natura cumulativa, generato dall’esperienza quotidiana, fornisce una serie di istruzioni all’attività sinaptica in grado di modulare una diversificazione dei circuiti nervosi. Biologia e cultura, gene e apprendimento, quindi, presentano una costante covarianza e interdipendenza, connessa alle condizioni contingenti della situazione. La cultura dipende dalla biologia nel medesimo tempo in cui influenza la biologia stessa per adattarla alle condizioni dell’ambiente e per renderla ottimale in funzione dei propri scopi. Il rapporto biologia-cultura è considerato in termini di interdipendenza intrinseca, a “doppia elica”. Nessuna delle funzioni distintive della nostra mente è presente al momento della nascita. Tali funzioni si sviluppano solo grazie all’interazione con altri umani. Per dare origine alla mente, il cervello ha bisogno delle menti di altri. Assieme al cervello, la cultura è necessaria per dare origine e far crescere la nostra mente, poiché offre gli stimoli appropriati al cervello per creare le connessioni indispensabili alla formazione dei circuiti nervosi implicati nelle varie attività psichiche. Se all’inizio era la biologia, per passare da organismi biologici a soggetti culturali, abbiamo dovuto compiere una serie incredibile di cambiamenti e salti in avanti: - Stazione eretta e bipedismo; - Pollice opponibile; - Incremento del quoziente di encefalizzazione à l’espansione del sistema nervoso centrale costituisce una condizione biologica essenziale per la comparsa della cultura, poiché rappresenta il supporto nervoso necessario per elaborare gli stimoli ambientali a livello mentale; - Evoluzione dell’apparato vocale; - Sviluppo di un elevato grado di cooperazione à per formare coalizioni e alleanze di attacco o di difesa contro avversari (ex. La caccia); - La rivoluzione dell’agricoltura à prende così avvio la cultura contadina che dura fino ai giorni nostri. Tale condizione favorì un aumento della densità della popolazione umana. Ogni cultura à si configura come uno spazio di MEDIAZIONE fra l’individuo e l’ambiente. Poiché è una realtà trasparente, guardiamo il mondo attraverso di essa e lo riteniamo “naturale” nella sua consistenza e configurazione. In verità, non ci rendiamo conto che guardiamo le cose adottando un punto di vista specifico, che è, per l’appunto, la nostra cultura. ARTEFATTI = sono elementi del mondo materiale assunti nell’azione umana come mezzi e modi per coordinarsi con l’ambiente fisico e sociale. L’attività umana si serve degli artefatti come mezzi per raggiungere i propri scopi. Essi non esistono in modo isolato, ma sono connessi fra loro e con la vita sociale in modo più o meno organico. Si distinguono tre categorie di artefatti: 1. Primari à impiegati direttamente per l’attività umana; consistono in strumenti e dispositivi che usiamo abitualmente per interagire fra di noi e con l’ambiente. Costituiscono la cultura materiale. 2. Secondari à sono le rappresentazioni mentali degli artefatti primari e dei modi di agire a essi associati; consistono in modelli e simboli presenti nell’interazione sociale e costituiscono la cultura ideale. 3. Terziari à servono a costruire il mondo dell’immaginazione e della fantasia nell’ambito del gioco e nell’arena del non pratico; rientrano in questo ambito le varie attività artistiche nelle loro diverse espressioni creative; qui siamo in presenza della cultura espressiva. Gli artefatti occupano una posizione di mediazione fra loro e l’ambiente, poiché la cultura organizza l’uso di questi mezzi in attività specifiche. Gli artefatti sono convenzioni e costituiscono pratiche sociali che si trovano sia all’interno della mente sia all’esterno nel contesto pubblico. Giocano un ruolo essenziale nel dare forma all’azione, ma non la determinano in modo automatico. Grazie agli artefatti, il rapporto fra soggetto e ambiente è reso culturale. Poiché la cultura è un’invenzione della specie umana attraverso una serie progressiva di cambiamenti e di scoperte, è l’esito di un processo di costruzione sociale attraverso la partecipazione dei soggetti. Cultura à è un’attività collettiva, spesso dissonante, poiché non può essere il risultato dell’azione di un solo individuo. È PARTECIPAZIONE, poiché implica la condivisione dei processi di significazione, comunicazione, pratiche e valori, nonché l’accordo sulle regole da parte dei suoi componenti. Le culture nascono, si sviluppano, arrivano al loro massimo, declinano in modo più o meno lento e poi muoiono. La comparsa e la scomparsa delle culture è un fenomeno tipico dell’umanità. Da questa condizione deriva il PARADOSSO DELLA CULTURA. Da un lato, è un dispositivo molto potente per regolare le differenze; dall’altro essa stessa genera e moltiplica le differenze. L’evoluzione della nostra specie ha costruito una VIA DI MEZZO: né totalmente eguali, né totalmente diversi. Da una piattaforma comune, costituita dagli “universali umani”, si dipartono migliaia e migliaia di culture, ciascuna delle quali segue la propria traiettoria. È un’immensa famiglia di culture. Da dove derivano le diversità culturali? Sono l’insieme delle differenze culturali che due o più gruppi umani percepiscono e dichiarano esistere nel momento in cui entrano in una qualche forma di contatto. La diversità culturale è una qualità percepita di natura relazionale. Non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro e rispetto a un altro punto di vista per certi aspetti. La diversità non è un’entità, ma una relazione. Ciò che caratterizza le persone che condividono la medesima cultura non è l’uniformità, ma la loro reciproca prevedibilità. La diversità fra le culture va intesa come un’opportunità, come un arricchimento. Queste ci pongono di fronte a modelli e sindromi culturali alternativi di esistenza e indicano soluzioni che probabilmente non avremmo mai immaginato. È la testimonianza più viva della CREATIVITA’ UMANA. Allo stesso tempo le differenze culturali implicano e fondano l’IDENTITA’ di ogni cultura. IDENTITA’ = il senso del proprio essere come entità distinguibile da tutte le altre. L’identità è chi sono io a vari livelli: sociale, culturale, istituzionale etc. IDENTITA’ CULTURALE = insieme di tratti e proprietà oggettivi storicamente fondati con confini precisi, giustificati dalla presenza di evidenti differenze. Il rischio à concepirla come una “cosa naturale”, un’essenza, ascritta storicamente, discreta ed esclusiva, alla stregua di una variabile indipendente. L’identità culturale è lo spazio fra il progetto autonomo e la proposta di ognuno di noi di essere in un certo modo e il riconoscimento di tale progetto da parte di altri. Può avere solo un valore regolativo, ma non costitutivo. Non può avere una realtà oggettiva ma unicamente relazionale. Non vi è un’identità culturale intrinseca, ma solo attraverso gli occhi di qualcun altro e rispetto a un preciso punto di vista. È una relazione. Nati e cresciuti in una data cultura, ci siamo appropriati dei modi di pensare, di sentire e comunicare di quella cultura. È diventata il nostro mondo e ha dato forma al nostro organismo e alla nostra personalità. L’esito di questa condizione è l’acquisizione di una MENTE MONOCULTURALE = mente a disposizione degli la individui che fanno riferimento a una cultura sola (è una mente al singolare).