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Psicologia generale prof. mirandola, Schemi e mappe concettuali di Psicologia Generale

appunti delle lezioni di psicologia generale della prof. mirandola, utili per l'esame di psicologia generale. anno accademico 2021/2022

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 06/06/2022

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Scarica Psicologia generale prof. mirandola e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE – MIRANDOLA Origini storiche della psicologia Le origini della psicologia risalgono ai tempi dei filosofi greci, come Socrate, Platone e Aristotele che si ponevano domande sulla vita interiore delle persone, in particolare si interrogavano molto sulla contrapposizione tra libero arbitrio o determinismo, per capire se noi esseri umani siamo liberi di prendere decisioni oppure le nostre azioni sono determinate da relazioni con altri, percorso di sviluppo o dalla religione. Aristotele scrisse un trattato sulla memoria distinguendo la memoria vivida, quando ci si ricorda un evento nei dettagli con tutti gli aspetti qualitativi che lo caratterizzano oppure la memoria che non è molto chiara ma ti da la sensazione di ricordare. Questa distinzione tra vividezza di memoria e sensazione di ricordare si ferma nella fede. Ippocrate fu il primo a formulare una teoria, insieme a Galeno, che collegava quello che succedeva nel nostro corpo e gli eventi psicologici che prende il nome di teoria della personalità o del temperamento. Sosteneva che le differenze biologiche determinano differenze comportamentali, e manifestazioni psicologiche. Individuarono quattro temperamenti:  L’umore del sangue produceva un temperamento sanguigno collegato all’elemento dell’aria, e la personalità che successivamente si sarebbe sviluppata era una personalità speranzosa e coraggiosa.  L’umore della bile gialla sarebbe collegato ad un temperamento collerico, collegato all’elemento del fuoco e la personalità era ambiziosa e nervosa (atteggiamento di leadership).  L’umore della bile nera era collegato ad un temperamento malinconico, collegato all’elemento della terra, con una personalità introspettiva e sentimentale.  L’umore del flegma, legato alla calma e poca manifestazione emotiva. Molto importante è il dibattito tra natura ambiente, dove per natura si intendono gli aspetti genetici, mentre per ambiente si intende tutto ciò che la persona trova nel momento in cui si relaziona con l’altro. Cioè noi nasciamo con un bagaglio di conoscenze con capacità innata di apprendere cose nuove e metterci in relazione con gli altri. Al contrario qualcuno sosteneva che il neonato parte da zero e attraverso l’esperienza e le relazioni con gli altri deve apprendere e costruire il suo mondo interiore. La prospettiva naturalistica sostiene che le persone nascono con un patrimonio innato di conoscenza e comprensione della realtà. il maggiore espositore era Cartesio, il quale sosteneva che il sé è innato, ossia la nostra identità è già scritta alla nascita. La prospettiva esperienziale o ambientale, invece, sostiene che la conoscenza viene acquisita dall’esperienza e l’interazione con il mondo. Sostenuta da Locke, che affermava che il bambino nasce come tabula rasa dove man mano si scrivono le esperienze. L’epigenetica è una disciplina recente, complessa, che va un po’ ad eliminare questo dibattito natura ambiente e sostiene che le relazioni umane con gli altri esseri viventi e le esperienze che l’individuo fa nell’ambiente vanno a modificare le sue connessioni cerebrali e i geni. È un processo più forte nell’infanzia, quando il sistema nervoso possiede ancora la plasticità che consente una maggiore flessibilità, però non si esclude nell’età adulta. La psicologia scientifica fu fondata da Wundt, che nel 1879 fondò il primo laboratorio di psicologia presso l’università di Lipsia, in Germania. Inizio a interessarsi al fatto che la semplice riflessione su argomenti psicologici non era più sufficiente a portare veridicità, ma era necessario svolgere esperimenti per arrivare alla veridicità scientifica rispetto alle riflessioni. Si occupò soprattutto di percezione visiva, e utilizzava l’introspezione, ossia l’osservazione e la registrazione delle percezioni, delle sensazioni e dei pensieri, evitando di attribuire significati ma descrivendo semplicemente l’esperienza in maniera oggettiva, e più asettica possibile. Introdusse il concetto di parallelismo psicofisico che sosteneva che i processi psichici e i processi cerebrali e fisiologici sono paralleli ovvero uno non causa l’altro e viceversa, ma ciascun cambiamento di un aspetto corrisponde ad un cambiamento dell’altro aspetto. In seguito agli studi di Wundt si formarono due pensieri, chiamati strutturalismo e funzionalismo. Lo STRUTTURALISMO fu fondato da Titchener, allievo di Wundt per cui sosteneva l’analisi delle singole sensazioni. Gli strutturalisti sostenevano che una struttura mentale era la somma di elementi semplici astratti, e vedevano la mente come un puzzle da scomporre. Una volta analizzati singolarmente venivano nuovamente messi insieme per vedere l’immagine complessiva di una determinata funzione psicologica, ad esempio la sensazione, cioè tutto quello che passa attraverso gli organi di senso come occhi, tatto, gusto, riguarda elementi costitutivi più semplici delle percezioni. Le immagini mentali sono gli elementi semplici delle idee e gli stati affettivi sono elementi semplici delle emozioni. Se si pensa, per esempio ad un fiore, si ha sensazione di odore, profumo e stato affettivo piacevole, due sensazioni distinte che portano a percepire il fiore. Il FUNZIONALISMO fu fondato da William James. I funzionalisti, al contrario, sostenevano che era importante vedere la posizione globale, e che la funzione mentale fosse un attività globale non scomponibile in singoli elementi. Il funzionalismo vuole capire come lavora la mente per consentire all’individuo di adattarsi all’ambiente e funzionare, e la motivazione ha un ruolo importante. Attorno al 1920 si sono affermate tre scuole: comportamentismo, psicologia della Gestalt e psicoanalisi: Il COMPORTAMENTISMO: fondato da Watson che criticò l’introspezione, in quanto non la riteneva propriamente scientifica, e troppo soggettiva. Riteneva necessario studiare i comportamenti manifesti perché quasi tutti i comportamenti sono conseguenti al condizionamento e l’ambiente modella il comportamento rinforzando alcune abitudini. Watson compì l’esperimento del piccolo Albert, del condizionamento della paura. Il bimbo di 8/9 mesi e provò ad insegnargli ad avere paura di oggetti neutri come un coniglietto bianco, innescando la reale paura e poi associandola a elementi neutri. Dopo ripetute esposizioni il bimbo cominciò ad avere realmente paura. Appartiene al comportamentismo il condizionamento classico di Pavlov, attraverso uno studio sui cani notò l’associazione stimolo-risposta, ossia l’apprendimento è visto come l’associazione semplice tra due eventi che compaiono più volte in maniera contigua temporalmente. I suoi esperimenti sono sui cani. Vi è poi il condizionamento operante, di Skinner, viene detto operante in quanto il comportamento della persona o dell’animale opera sull’ambiente. Il comportamento è finalizzato ad uno scopo, la ricompensa porterà alla ripetizione del comportamento, mentre la punizione porterà a non ripetere il comportamento. Il comportamento è strumentale nel produrre un certo cambiamento nell’ambiente. I suoi esperimenti sono sui topi in una Skinner box. La PSICOLOGIA della GESTALT: Gestalt significa “forma” o “configurazione”. I principali esponenti furono Wertheimer, Kohler, Koffka ed ebbe origine in Germania. I principali ambiti di indagine sono la percezione visiva e la percezione del movimento. Gli psicologi della gestalt sostenevano che la mente è attiva nell’elaborare gli stimoli provenienti dai sensi e a dare loro un’organizzazione o una forma. L’oggetto di studio è l’atto percettivo, e non le informazioni provenienti dai sensi. Utilizzavano un metodo fenomenologico, quindi poco scientifico. Per gli psicologi della gestalt il tutto è più della somma delle singole parti. Wertheimer individuò le leggi della gestalt sottese alla percezione degli stimoli, ossia figura/ sfondo, vicinanza, somiglianza, destino comune, simmetria e forma chiusa. Nel campo dell’apprendimento propongono il concetto innovativo di Insight, ossia il raggiungimento della soluzione di un problema ottenuto comprendendo il tutto ovvero i rapporti tra mezzi e fini e/o tra gli elementi ed il tutto di cui sono parte. Kohler compì uno studio sulle scimmie che dovevano raggiungere le banane fuori dalla gabbia avendo a disposizione due bastoni. Uno scimpanzè prese i due bastoni e li unì per prendere le banane. Questo è un esempio di insight perché ha agito in modo diretto e non per tentativi ed errori. La PSICOANALISI: è sia una teoria della personalità, sia un metodo di psicoterapia il cui padre è Sigmund Freud. Al centro della teoria freudiana c’è il concetto di inconscio, ossia i pensieri, gli atteggiamenti, gli impulsi e le emozioni di cui siamo inconsapevoli. Il fondatore fu Freud, ebbe origine a Vienna. L’oggetto di studio della psicoanalisi è la vita psichica nei suoi contenuti inconsci. I temi principali che tratta sono la personalità, le pulsioni e l’inconscio. Essendo un metodo di psicoterapia si occupa anche delle patologie. un debriefing, dove gli viene spiegato il vero obiettivo della ricerca. Il diritto alla riservatezza stabilisce che le informazioni acquisite durante uno studio devono essere confidenziali e non accessibili ad altri senza il consenso diretto dell’interessato. Attenzione e percezione L’attenzione è il processo che ci consente di selezionare le informazioni che saranno poi elaborate. Non è un processo unitario, ma un insieme di processi che interagiscono. Le funzioni dell’attenzione sono diverse. I suoi principali compiti sono quello di tenerci in allerta, orientare le nostre risorse verso gli stimoli rilevanti, ignorando quelli che non lo sono, infine, gestire le risorse attentive, spostandole da un compito all’altro. Per spiegare come funziona l’attenzione, Broadbent, nel 1958, introdusse la teoria del filtro, che sosteneva che l’attenzione è un filtro che ci permette di scegliere fra i vari canali in entrate, e la selezione avviene molto precocemente. Questa idea è tuttora valida. L’informazione sensoriale o imput entra nei canali sensoriali, e la selezione delle informazioni importanti avviene molto presto, eliminando le informazioni superflue. Vi sono poi dei processi percettivi che portano all’elaborazione dell’informazione. Secondo questa proposta dirigendo l’attenzione solamente verso un canale vengono completamente escluse le informazioni di un altro canale. L’attenzione è considerata un fenomeno tutto o nulla, anche se non è proprio così. Questo è dimostrato dall’effetto cocktail party, ad una festa con amici si parla, attorno c’è confusione di musica e persone, e mentre si è concentrati nella conversazione ci si sente chiamare e quindi si risponde ad un'altra persona. L’ascolto dicotico è una tecnica che consiste nel trasmettere due messaggi diversi attraverso delle cuffie, chiedendo al partecipante di ricordarne solo uno dei due. Dopo l’ascolto il soggetto era in grado di ricordare il discorso a cui aveva prestato attenzione, mentre riportava informazioni molto superficiali riguardo all’altro messaggio. In questo modo si potrebbe verificare la teoria del filtro, ma se introduciamo un informazione bizzarra nel messaggio che deve essere ignorato le persone spostano l’attenzione su quell’elemento. Secondo Treisman, quindi si parla di teoria del filtro attenuato, secondo la quale l’attenzione non elimina il messaggio da ignorare, ma ne attenua l’elaborazione. Quindi, l’attenzione attenua le informazioni in entrata e solo alcune volte vengono elaborate coscientemente. I fattori che determinano quali saranno elaborate sono di diversa natura, legate allo stimolo, come l’intensità e la dimensione, legate al contesto, quanto sono inusuali e legate all’individuo, come motivazione e interesse. La teoria del filtro tardivo, di Deutsch e Deutsch, sostiene che tutti gli stimoli vengono analizzati ed identificati, e il filtro interviene solo nel momento in cui bisogna selezionare la risposta. Il modello del bottleneck, collo di bottiglia, numerosi imput sensoriali provengono dall’esterno, entrano nella bottiglia cioè il sistema percettivo- attentivo e solamente alcune informazioni a cui presto attenzione passano e vengono elaborate. Tutte queste precedenti teorie sono d’accordo sulla presenza di un filtro, e che quindi l’attenzione abbia risorse limitate. L’idea del filtro è stata abbandonata a favore dell’idea di controllo contro automatismo, nelle teorie moderne si parla di processi pre-attentivi o automatici che richiedono poca attenzione e sono a volte inconsapevoli, oppure processi attentivi o controllati che richiedono molta attenzione e risolse attentive per portarli a termine. Secondo alcuni autori la direzione dell’attenzione è sotto controllo del soggetto, in realtà dipende dalla pratica e dall’esperienza e da altri fattori come le intenzioni del soggetto e la salienza dello stimolo. Effetto stroop nella condizione incongruente richiede maggiore attenzione perché si presenta uno stimolo incongruente tra significato e realtà, esempio delle parole scritte con il colore diverso dal vero significato. Vi è un effetto simile, ossia l’effetto navon, esempio delle piccole lettere che formano un'altra lettera. L’attenzione selettiva ci consente di selezionare le informazioni rilevanti escludendo quelle irrilevanti, ma potrebbe portare a degli errori, confondendo delle informazioni rilevanti per irrilevanti. Questo fenomeno si chiama cecità da inattenzione o al cambiamento. Un modo con cui si misura è l’analisi dei movimenti oculari che prevedono le saccadi cioè i repentini spostamenti degli occhi, e le fissazioni, ossia brevi periodi durante i quali gli occhi sono relativamente immobili. Un problema è il weapon-focus effect, proprio perché presto attenzione ad una determinata cosa dimentico altre, che non entrano nell’elaborazione attentiva, esempio di un rapinatore che punta la pistola, non si riconosce il volto. L’attenzione distribuita, o divisa, ci permette, nonostante le risorse limitate, di svolgere due compiti contemporaneamente. Per esempio, cucinare e ascoltare la radio, guidare e parlare. Tuttavia, la corretta esecuzione dei due compiti dipende dalle caratteristiche dei compiti da svolgere: la complessità, la loro somiglianza e dalla pratica. Non si può guidare e scrivere un sms o leggere, mentre possiamo guidare e ascoltare la radio. Alcuni studiosi hanno compiuto un esperimento per capire se è vero che parlare al telefono mentre si guida è pericoloso. Nella prima condizione il partecipante guida senza compiere altre attività, nella seconda condizione il partecipante guidava e nel frattempo teneva una conversazione su temi comuni. Si è visto che le prestazioni sono migliori se il partecipante deve solo guidare. L’attenzione sostenuta ci permette di mantenere la concentrazione su attività anche per lungo tempo. Solitamente viene misurata con compiti molto lunghi e ripetitivi, e lo svolgimento richiede molto controllo attentivo, un controllo consapevole delle proprie risorse cognitive, e la probabilità di errore aumenta progressivamente dall’inizio alla fine della prova. La vigilanza consiste nel concentrarsi per cogliere l’accadere di eventi rari, presenta delle similitudini con l’attenzione sostenuta, la differenza sta nel fatto che nel compito di vigilanza per lunghi periodi il soggetto è inattivo. Il rischio è quello di riconoscere stimoli non presenti, detti falsi allarmi, oppure di ignorare quelli presenti compiendo delle omissioni. Un esempio di test che si usa in laboratorio è il clock test di Macworth. La memoria prospettica ci permette di ricordare di fare qualcosa in futuro, la vigilanza ci consente di controllare l’orologio anche se si sta svolgendo un’altra attività. Tutte queste funzioni dell’attenzione ci consentono di monitorare lo svolgimento delle azioni anche nella vita quotidiana. In alcune circostanze questo controllo può essere alterato, come in condizione di stress o eccitazione, in contesti di meditazione o ipnosi o se si assumono sostanze. La coscienza è la consapevolezza degli stimoli interni ed esterni da parte del soggetto. È uno stato che riflette un determinato processo di elaborazione delle informazioni. La coscienza è presente nelle conoscenze dichiarative, ossia nelle preposizioni che stabiliscono una relazione tra due o più idee e riguardano i contenuti della vita quotidiana (cosa). Le conoscenze procedurali concernono le procedure con le quali si svolgono i compiti nella vita quotidiana, può essere presente solo nella fase iniziale di apprendimento, non quando diventano automatiche (come). Si distinguono l'elaborazione automatica che opera in modo rapido, non richiede risorse attentive e avviene senza l'intervento della coscienza e l'elaborazione controllata che è lenta, richiede l'intervento delle risorse attentive, ed è consapevole, il soggetto esercita un controllo continuo e diretto su ciò che sta facendo, quindi, permette l'esecuzione in serie. Sensazione e percezione La sensazione è il processo mediante il quale entriamo in contatto con il mondo esterno, con il nostro corpo attraverso gli organi di senso. La percezione è il processo di individuazione di oggetti ed eventi nell’ambiente volto ad attribuire loro un senso, a comprenderli, riconoscerli e categorizzarli. La sensazione si basa sull’attivazione dei nostri organi di senso, mentre la percezione richiede l’attivazione di informazioni già acquisite che permettono di interpretare lo stimolo. La percezione è quindi un processo attivo di attribuzione del significato. La percezione permette l’organizzazione mentale dei dati sensoriali. È possibile suddividere il processo di percezione in tre fasi:  Sensazione: è l’impressione soggettiva, immediata e semplice che corrisponde ad una data intensità dello stimolo fisico.  Organizzazione percettiva: fase in cui si forma una rappresentazione interna dello stimolo, grazie all’integrazione dei segnali provenienti dagli organi recettori.  Identificazione e riconoscimento di oggetti: attribuiscono significato ai percetti. Esempio: una persona è in macchina al volante e vede in lontananza un grosso oggetto rosso che arriva con velocità. Questa iniziale sensazione, ossia la rivelazione di uno stimolo visivo, diventa percezione quando si capisce che è un camion dei vigili del fuoco. I processi dal basso verso l’alto sono processi di organizzazione percettiva che permettono di integrare delle informazioni sensoriali che permettono una percezione coerente. Furono descritti per la prima volta dalla psicologia della gestalt, secondo cui la percezione è governata da leggi che ne regolano l’organizzazione. Vi sono alcuni fenomeni percettivi, tra cui l’articolazione figura-sfondo, dove ci si chiede quale elemento è figura, e quale, invece, è sfondo. La risposta dipende da diversi fattori, come l’inclusione, la convessità, l’area relativa e l’orientamento. L’effetto Kanizsa è un fenomeno percettivo particolare relativo alla percezione di contorni non fisicamente esistenti, ma, nonostante ciò, percepiti. Vi è la presenza di margini amodali, ossia margini illusori ce non corrispondono ad alcun stimolo distale. Gli psicologi della gestalt hanno fatto della percezione il loro principale oggetto di studio. L’obiettivo era capire quali sono le leggi di organizzazione della percezione. Un forte contributo si deve allo psicologo tedesco Wertheimer, mentre in Italia troviamo Kanizsa, Metelli e Massironi. Uno dei principali elementi che ci consente di vedere un oggetto è il margine, determinato dalla discontinuità della stimolazione, come il cambiamento di colore, tessitura o chiarezza, e il margine ci permette di distinguere la figura dallo sfondo. La mancanza di margine, invece, non permette l’identificazione dello stimolo. L’identificazione del margine non dipende solo dalle caratteristiche dello stimolo, ma anche dalla relazione fra le diverse componenti dello stimolo. Vi sono diversi principi di raggruppamento percettivo:  Principio di vicinanza: a parità di tutte le altre condizioni, tendono a formare un’unità nel campo quegli elementi che sono fra loro più vicini.  Principio della somiglianza: a parità di tutte le altre condizioni, tendono a formare un’unità nel campo quegli elementi che sono tra loro simili.  Principio della buona direzione: a parità di tutte le altre condizioni, tendono a formare un’unità nel campo quegli elementi che si trovano in continuità di direzione.  Principio della chiusura: a parità di tutte le altre condizioni, tendono a formare un’unità nel campo quegli elementi che presi insieme danno origine ad una forma chiusa.  Principio di destino comune: a parità di tutte le altre condizioni, tendono a formare un’unità nel campo quegli elementi che subiscono una sorte comune. Le costanze percettive sono quel fenomeno secondo il quale continuiamo a vedere un mondo di oggetti immutabili nonostante lo stimolo prossimale si modifichi continuamente. Vi è  la costanza di forma: fenomeno che ci consente di riconoscere persone o oggetti nonostante non li vediamo dal punto di vista diverso, quindi che cambiano la loro forma, ma li percepiamo come medesimi. Per esempio, una porta che si apre cambia forma.  la costanza di dimensioni: è la tendenza che abbiamo a inferire la dimensione degli oggetti dando per scontato che sia costante, nonostante l’immagine varia. Per esempio, il sole e la luna sono visti avere la stessa dimensione in quanto non ci sono indizi riguardo alla reale distanza dei due oggetti dall’osservatore. apprendimento, ma per averne una sua misura esplicita, dovremmo chiedergli che cosa si aspetta e ciò non è possibile. Nel condizionamento classico di secondo livello si vuole provare a condizionare il cane a salivare in risposta ad un tono, semplicemente abbinando ripetutamente la presentazione di luce e tono. Una volta che la luce ha assunto il ruolo di stimolo condizionato, acquisisce il potere di uno stimolo incondizionato. Pavlov riteneva che fosse sufficiente che lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato fossero contigui temporalmente per avere condizionamento, cioè presentati vicini nel tempo. Sembrerebbe, però, che il condizionamento avvenga qualora lo stimolo condizionato predica lo stimolo incondizionato. In questo caso, lo stimolo incondizionato è contingente allo stimolo condizionato. Il condizionamento classico nelle fobie fu spiegato con il caso del piccolo Albert, che ha meno di un anno quando Watson decide di usarlo per ampliare gli studi di Pavlov sul condizionamento. Lo scopo dell’esperimento, infatti, è dimostrare che un’emozione quale la paura può essere il risultato di un processo di condizionamento ambientale, e osservare il processo in modo sistematico. Al Piccolo Albert, Watson e Rayner presentano un rumore agghiacciante per farlo schiattare di paura. All’inizio il Piccolo Albert non prova alcun timore per il topolino bianco con cui lo fanno giocare, ma dopo l’associazione con un rumore orrendo il bambino inizia a piangere ogni volta in cui vede il topo. Ancora meglio: inizia a piangere terrorizzato ogni volta in cui vede qualcosa di peloso o di bianco e peloso, compresa la barba di Babbo Natale (qui l'inquietante video). Il CONDIZIONAMENTO OPERANTE è una forma di apprendimento in cui una risposta volontaria viene rafforzata o indebolita a seconda che le sue conseguenze siano favorevoli o sfavorevoli. A differenza del condizionamento classico in cui i comportamenti iniziali sono le risposte biologiche naturali alla presenza di uno stimolo quale il cibo, il condizionamento operante si applica alle risposte volontarie che un organismo emette deliberatamente per ottenere un risultato desiderabile. L’organismo opera sull’ambiente per ottenere un risultato attuando un comportamento strumentale. Secondo la legge dell’effetto di Thorndike l’apprendimento dipende dalle conseguenze del comportamento per questo azioni seguite da rinforzo negativo tendono a estinguersi, mentre se seguite da rinforzo positivo saranno ripetute. Thorndike condusse una serie di importanti esperimenti verso la fine del diciannovesimo secolo. Dagli esiti, egli concluse che gli animali, diversamente dall’uomo, non apprendono grazie all’insight, cioè ad una improvvisa comprensione della situazione che conduce alla soluzione di un problema, ma piuttosto attraverso prove ed errori. Compì un esperimento in cui un gatto affamato viene posizionato in una gabbia, la cui porta è tenuta chiusa da una semplice serratura a scatto, e si sistema un pezzo di pesce appena fuori dalla gabbia. Il gatto comincia a muoversi per la gabbia, mettendo in atto un certo numero di comportamenti diversi. Ad un tratto, tocca inavvertitamente la serratura a scatto, riesce a liberarsi e a mangiare il pesce. I ricercatori, allora, rimettono il gatto nella gabbia e sistemano un nuovo pezzo di pesce fuori. Il gatto mette in atto all’incirca gli stessi comportamenti, finché ancora una volta tocca per caso la serratura a scatto. La procedura è ripetuta più volte finché il gatto scarta molti dei suoi comportamenti inutili e riesce ad aprire la serratura e liberarsi subito dopo essere stato messo in gabbia. Il metodo di SKINNER per studiare il condizionamento operante era più semplice di quello di Thorndike perché studiava una sola risposta alla volta. Un animale affamato veniva posto in una gabbia chiamata Skinner box o camera operante. L’interno della gabbia è vuoto ad eccezione di una barra sporgente sotto la quale si trova un piatto per il cibo. Lasciato solo nella gabbia, l’animale si muove esplorando in giro e, ogni tanto, ispeziona la barra e la spinge. Quando arriva a premere la leva ottiene un boccone di cibo ossia il rinforzo. Grazie al rinforzo, il comportamento diventa molto più frequente. Vi sono due tipi di rinforzo:  Rinforzo positivo: producendo un determinato comportamento, l’animale ottiene qualcosa di positivo, ad esempio il cibo.  Rinforzo negativo: elimina uno stimolo avversivo, ad esempio un topo che tocca un pavimento elettrificato, premendo una leva, riesce a farlo cessare. In entrambi i tipi di rinforzo viene aumentata la frequenza di un determinato comportamento. Vi sono, poi, due tipi di punizione:  Punizione positiva: estingue un determinato comportamento non voluto o non accettabile. Quando un animale produce un determinato comportamento, riceve uno stimolo avversivo.  Addestramento all’omissione o punizione negativa: estingue un determinato comportamento eliminando uno stimolo (ad esempio il cibo). Entrambe le punizioni diminuiscono la frequenza di un determinato comportamento. Modellaggio o shaping fa apprendere dei comportamenti complessi attraverso il rinforzo dei comportamenti semplici che vanno nella direzione desiderata. Apprendiamo grazie, e soprattutto, ai rinforzi secondari o condizionati, che vengono abbinati ad un rinforzo primario. Ad esempio: i soldi sono un rinforzo secondario perché permettono di acquistare il cibo che è un rinforzo primario. Gli organismi generalizzano ciò che apprendono e questo può essere frenato dall’addestramento alla discriminazione. L’addestramento alla discriminazione sarà efficace nella misura in cui esiste uno stimolo discriminante che distingua chiaramente i casi in cui deve esserci la risposta da quelli in cui è meglio sopprimerla. La generalizzazione si verifica quando il soggetto emette la risposta a stimoli simili allo stimolo che aveva preceduto il rinforzo. L discriminazione si verifica quando il soggetto emette la risposta solo in presenza dello stimolo discriminativo che in passato aveva preceduto il rinforzo. L’estinzione, invece, è un processo naturale di riduzione della probabilità di emissione di una risposta non più seguita da rinforzo. Vi sono diverse tipologie di rinforzo:  Il programma di rinforzo continuo: ossia il rinforzo di un comportamento ogni volta che viene emesso.  Il programma di rafforzo intermittente o parziale: il rinforzo di un comportamento alcune volte, ma non ogni volta che viene emesso.  Il programma a rapporto fisso: ossia un programma con cui il rinforzo viene somministrato soltanto dopo che è stato emesso un numero specifico di risposte.  Il programma a rapporto variabile: programma con cui il rinforzo viene somministrato dopo un numero variabile, anziché fisso, di risposte.  Il programma a intervallo fisso: programma che fornisce un rinforzo per una risposta soltanto dopo che è trascorso un intervallo fisso di tempo.  Il programma ad intervallo variabile: programma con cui l’intervallo di tempo tra rinforzi consecutivi varia attorno a una media invece che essere fisso. Si parla di risposta di fuga ed evitamento quando il comportamento viene messo in atto per interrompere un’attività spiacevole o sgradita ed è mantenuto dal rinforzo negativo. Condizionamento classico Condizionamento operante Natura della risposta involontaria Volontaria Timing dello stimolo Precede la risposta Dopo la risposta desiderata Timing della risposta Dopo lo stimolo Precede la risposta desiderata Ruolo del soggetto che apprende Passivo Attivo Apprendimento osservativo Gli individui che vengono osservati sono modelli. Nella società i bambini sono circondati da molti modelli influenti come genitori, personaggi tv, compagni, insegnanti e educatori. Questi modelli forniscono esempi di comportamenti da osservare e imitare. La motivazione spinge ad indentificarsi con un particolare modello, in quanto quest’ultimo possiede una qualità che la persona vorrebbe a sua volta avere. L’identificazione con un modello richiede di adottare i comportamenti osservati, i valori, le credenze e gli atteggiamenti propri della persona con cui ci si vuole identificare. Il bambino imita il comportamento di un modello e riceve una ricompensa, motivo per cui è probabile che il bambino continui ad attuare quel comportamento. Si tratta quindi di un rinforzo, che può essere esterno o interno. Se un bambino ottiene l’approvazione da parte dei genitori o dei compagni ottiene un rinforzo esterno, ma se si sente felice per essere stato approvato ha un rinforzo interno. Albert Bandura è il ricercatore che più si è occupato di studiare l’apprendimento osservativo. Egli sosteneva che questo tipo di apprendimento seguiva gli stessi principi del condizionamento operante e che il rinforzo fosse, in molti casi, indiretto e colui che imita si aspetta di essere rinforzato allo stesso modo del modello. Compì un esperimento conosciuto come esperimento del pupazzo Bobo. Il pupazzo Bobo è un gioco gonfiabile. In questo studio, un gruppo di bambini doveva osservare dei modelli adulti che si comportavano in modo aggressivo nei confronti del pupazzo, mentre un altro gruppo di bambini era esposto a comportamenti non aggressivi di modelli adulti. In seguito, i bambini venivano lasciati in una stanza nella quale potevano liberamente giocare con molti giochi. I bambini del primo gruppo manifestavano più comportamenti aggressivi nei confronti del pupazzo Bobo rispetto ai bambini del secondo gruppo. Nella teoria dell’apprendimento sociale Bandura individua tre elementi che interagiscono reciprocamente in riferimento al processo di apprendimento: la persona, l’ambiente e il comportamento. Sottolinea l’importanza delle abilità cognitive nel caso dell’apprendimento osservativo. Chi apprende deve essere in grado di prestare attenzione al comportamento del modello e osservarne le conseguenze, ricordare ciò che è stato osservato, riprodurre il comportamento osservato ed essere motivato a farlo. L’apprendimento osservativo richiede l’abilità di immaginare e anticipare, per cui sono importanti i pensieri e le intenzioni. Gli esseri umani sono visti come agenti delle proprie esperienze e non sottomessi, per questo si parla di efficacia personale, ossia di credenze di un individuo circa la propria efficacia come persona. Ricerche recenti mostrano il ruolo dei neuroni specchio ossia neuroni che si attivano in chi osserva in un'altra persona un comportamento, soprattutto se finalizzato ad uno scopo, in quanto si è coinvolti nella comprensione delle azioni e delle intenzioni degli altri. Memoria È il processo con cui codifichiamo, immagazziniamo e recuperiamo le informazioni. I tre stadi della memoria sono:  Codifica: mette in memoria, ossia registrazione iniziale delle informazioni.  Immagazzinamento: mantiene in memoria, salvataggio delle informazioni per l’uso futuro.  Recupero: riprende dalla memoria, reperimento delle informazioni immagazzinate. Essi hanno una durata e quantità diversa di materiale da mantenere. Secondo il modello di Atkinson e Shiffrin le informazioni provenienti dall’ambiente esterno entrano attraverso gli organi di senso e il primo processo che consente di immagazzinare le informazioni è la memoria sensoriale, che contiene un elevato numero di informazioni sensoriali, di cui non sempre siamo consapevoli. Successivamente passa alla memoria a breve termine oppure memoria di lavoro, se supera questa entra nella memoria a lungo termine. Ogni sistema è caratterizzato da una funzione, una capacità, ossia le quantità di informazioni che mantiene e la durata.  Per il decadimento della traccia: se passa troppo tempo tra il momento della codifica e il recupero è più probabile dimenticare.  Per interferenza: il minor ricordo è dovuto all’interferenza del materiale già appreso, quindi si ha un’interferenza proattiva, oppure di quello che si apprende, quindi si ha un’interferenza retroattiva. I fattori che, invece, influenzano il ricordo sono:  Attenzione: interviene durante la codifica e permette che le informazioni rilevanti vengano elaborate.  Interesse: motivazione a investire risorse cognitive verso un certo tipo di informazioni.  Strategie di memoria: tecniche specifiche per ricordare in modo più efficace.  Emozioni: possono migliorare il ricordo, ma talvolta avere un effetto negativo.  Contesto fornisce un appiglio per il ricordo.  Caratteristiche del materiale: ruolo della concretezza e della immaginabilità per il ricordo di parole. Altri fattori che influenzano il recupero sono l’ansia che interferisce con il recupero, e gli effetti del contesto emozionale, ossia lo stato interiore al momento della codifica e al momento del recupero. Per studiare la memoria a lungo termine vi sono diversi compiti come la rievocazione ossia al partecipante si chiede di dire tutto quello che si ricorda senza suggerimenti, il ricordo guidato, ossia la rievocazione attraversi suggerimenti e infine il riconoscimento ossia al partecipante si presenta il materiale studiato insieme ai distrattori con la richiesta di segnalare lo stimolo presentato. La memoria implicita o procedurale si studia fornendo ai soggetti una lista di parole e in una fase successiva si presentano solamente le radici delle parole con una radice che non era nella lista iniziale. I pazienti che hanno un danno alla memoria dichiarativa si comportano come i soggetti normali perché il test implica la memoria implicita, la persona non è consapevole di rievocare anche se riesce a farlo. Mentre in una prova di riconoscimento gli amnesici fanno peggio perché hanno un danno alla memoria dichiarativa. Memoria autobiografica La memoria autobiografica riguarda i ricordi legati alla sfera della vita personale, è la memoria fondamentale per il sé e consente di creare la propria identità, importante anche per le emozioni. Se si pensa ai propri ricordi autobiografici si può avere una percezione molto vivida, un’immagine consueta, una prima volta di qualcosa un evento specifico, un insieme di eventi, vasti periodi della vita, ricordo che è stato raccontato da altri ricordo vissuto attraverso i mass media, ricordo di pensieri e riflessioni che prescindono da immagini o ricordi della sfera emozionale. La memoria autobiografica è organizzata gerarchicamente: ci sono inizialmente i periodi di vita, quindi il ricordo di eventi estesi temporalmente, gli eventi generali, ossia il ricordo di eventi ripetuti, e gli eventi specifici, quindi il ricordo di singoli eventi o episodi con i loro dettagli qualitativi e percettivi. In genere si parte a ricordare dal livello intermedio degli eventi generali. Per studiare i ricordi autobiografici in modo sperimentale si fa ricorso all’uso del diario o agenda autobiografica oppure tramite narrazione autobiografica in cui si chiede di narrare la propria vita. Il cueing è l’osservazione dei ricordi a partire da indizi, detti cues, che innescano la ricerca in memoria, permette di ricavare dettagli e ricordi episodici specifici. È detto anche metodo della rievocazione guidata, e serve anche per indurre uno stato emotivo. Una delle funzioni della memoria autobiografica è il riconoscimento della propria identità personale, senza i ricordi della nostra storia passata non saremmo nessuno, non sapremmo cosa fare, saremo solamente guidati dalla sola stimolazione sensoriale del momento. Un esempio di ricordi autobiografici è il flashbulb memories, che si verifica quando la persona è sicura di ricordare dei singoli episodi in maniera molto dettagliata, anche sfumature insignificanti, per esempio apprendere una notizia inattesa e di impatto emotivo che può cambiare la vita o i meccanismi sociali della comunità culturale di appartenenza, l’attacco alle torri gemelle. Secondo alcuni studiosi questi potrebbero essere dei particolari meccanismi di codifica, oppure è un fenomeno che prende in considerazione la percezione soggettiva si elevata sicurezza. Secondo Neisser sono momenti in cui la storia incontra la nostra storia personale e quindi l’identità di chi ricorda è legata alla storia della sua comunità. I problemi legati alla memoria autobiografica sono per esempio il PTSD o disturbo da stress post-traumatico che presenta sintomi che derivano da situazioni di stress estremo, come incidente stradale grave, guerra o catastrofe naturale. È caratterizzato da flashback involontari che Neisser identifica come ipotesi della riapparizione, ricordi improvvisi e molto vividi dell’esperienza in questione e paura e ansia, con comportamenti di evitamento. Come terapia per il disturbo post traumatico si utilizza l’EMDR, si fa pensare alla persona il ricordo che ha causato il trauma e gli si chiede di seguire la mano del terapeuta, in modo da fare un doppio compito, pensare a ciò che fa star male e fare altro in modo da spostare l’attenzione che normalmente e involontariamente è rivolta al trauma. Altro problema è l’amnesia. Le nuove tecnologie aiutano a favorire il ricordo autobiografico nelle persone che lo hanno permesso per qualche motivo. Tra queste troviamo la senseCam di Microsoft, una fotocamera digitale che viene indossata e registra ogni spostamento e ogni immagine vista dall’individuo che la indossa. L’immagine può essere catturata automaticamente oppure per mezzo di sensori che percepiscono variazione di luce o di calore. Alla fine della giornata o della settimana la persona può rivedere le immagini scattate e rivivere così quegli episodi di cui si sarebbe dimenticata. Vi sono anche persone che ricordano davvero troppe cose. I falsi ricordi Le emozioni influenzano la memoria, in particolare sul ricordo. Per esempio, se ho paura di arrivare tardi e non trovo le chiavi mi agito e faccio ancora più fatica a trovarle. I ricordi emotivi sono stati studiati e si è visto che sono ricordi falsi, sono il frutto della suggestione della nostra mente. Per questo si è riflettuto molto in ambito psicoterapeutico e forense per quanto riguarda i rapporti tra emozione e memoria. I falsi ricordi sono di due tipologie: i falsi ricordi indotti che fanno riferimento al ricordare eventi passati perché dopo l’evento mi sono state date informazioni fuorvianti, domande che hanno influenzato il ricordo, ho raccontato più volte l’evento a tal punto che si modificasse. Sono indotti da informazioni forvianti. Elizabeth Loftus mostrò un esperimento in cui due macchine si scontravano, pero se chiedeva a due gruppi in modo diverso la velocità con cui si scontravano, in base al termine usato, quindi scontrate o sfiorate, i gruppi davano una velocità più alta o bassa. Quando gli si chiedeva il numero o se c’erano i vetri rotti, che però, non c’erano, qualche soggetto afferma che c’era. I falsi ricordi spontanei, invece, fanno riferimento ad errori di memoria che la nostra mente spontaneamente produce in determinate circostanze e se le persone prendono visione di determinati materiali. Il misinformation effect si basa sul fatto che l’informazione che ricevo dopo un determinato evento emotivo e il test di memoria influenza il ricordo. È un fenomeno di interferenza retroattiva. Altri fattori che influenzano la testimonianza sono le aspettative, perché abbiamo degli schemi in memoria che normalmente hanno funzione adattiva ma possono cadere in errore nel caso dei falsi ricordi. Un altro fattore è la sicurezza del testimone, in quanto essere sicuri non vuol dire essere accurati, per cui non si può fare affidamento. Gli avvocati spesso istruiscono i testimoni però questo è un problema per la memoria perché la persona si potrebbe convincere creando un falso ricordo. Un altro fenomeno è il weapon- focus effect, quando l’attenzione si concentra su una cosa in particolare facendo passare dei dettagli in secondo piano che diventano irrilevanti, ma che portano a falsi ricordi. Il paradigma DRM è l’acronimo degli autori che lo hanno creato cioè Deese, Roediger e McDermott. Studia le illusioni di memoria che possono verificarsi per figure di oggetti e per parole. La procedura tipicamente coinvolge la presentazione orale di una lista di parole imparentate ad esempio il letto, il riposo, sveglio, stanco, il sogno, il sonnellino, la coperta, il russare, lo sbadiglio, sonnolento e poi il soggetto deve ricordare quante più parole dalla lista possibile. I risultati tipici mostrano che i soggetti ricordano una parola imparentata ma non presentata ad esempio dormire, conosciuto come un richiamo, con la stessa frequenza delle altre parole presentate. Alla domanda sulla loro esperienza dopo il test, circa la metà di tutti i partecipanti riferisce di essere sicuri di ricordare di aver sentito l'esca, indicando un falso ricordo, un ricordo per un evento che non si è mai verificato. La codific sta nella presentazione di liste di parole semanticamente correlate tra loro e legate ad una critical lure non presentata. Il recupero tramite rievocazione o riconoscimento nel nominare la critical lure si ha un falso ricordo. Il pensiero È un insieme di processi che rendono disponibili le informazioni su cui lavorare. Permette di costruire rappresentazioni mentali di un problema o di una situazione. Queste rappresentazioni possono assumere la forma di immagini mentali o concetti, cioè parole. Le immagini mentali sono rappresentazioni mentali realizzate dalla mente umana hanno caratteristiche specifiche, possono essere ruotate, ingrandite e rimpicciolite. Possono essere usate per risolvere problemi in quanto aiutano nel rappresentare la situazione e a pianificare le azioni. Sono un abilità soggetta a notevoli differenze individuali. La percezione di un oggetto, ossia vederlo, e l’attivazione di immagini mentali, ossia l’immaginazione, attivano la stessa area cerebrale ossia l’area visiva primaria presente nel lobo occipitale solamente che nella percezione l’area visiva è attivata da un imput esterno, mentre l’immaginazione è attivata da un imput interno. La categorizzazione è un processo che ci permette di classificare le informazioni all’interno di categorie dotate di significato. La categoria è un concetto che raccoglie una serie di concetti più specifici. I concetti sono un insieme di caratteristiche che accumunano, potenzialmente, una serie di esemplari. I membri che appartengono ad una stessa categoria hanno in comune solo poche caratteristiche. Per ogni categoria esiste un prototipo ossia uno dei membri che meglio rappresenta quella categoria. Ha in sé un nucleo che comprende le caratteristiche essenziali per far parte di quella categoria. Giudichiamo l’appartenenza di un oggetto ad una categoria in base alla corrispondenza delle sue caratteristiche con quelle del prototipo. Si parla di corrispondenza elevata quando condivide il maggior numero di caratteristiche con il prototipo, e di corrispondenza bassa quando condivide poche caratteristiche con il prototipo. Il ragionamento è l’insieme di processi mentali con cui si ricavano inferenze, cioè si elaborano nuove conoscenze a partire da quelle che sono disponibili. Le conoscenze disponibili sono le premesse, quelle inferite sono le conclusioni del ragionamento. Il ragionamento può essere di tipo deduttivo o induttivo. Nel ragionamento deduttivo si traggono delle conclusioni a partire da affermazioni che si assumono come vere. Un esempio di questo tipo di ragionamento è il sillogismo, che si compone di due premesse e una conclusione. Esistono diversi tipi di sillogismo:  Categorici: quando si parte da una legge universale per giungere a conclusioni particolari. I sillogismi categorici sono costituiti da una premessa maggiore che mette in relazione il predicato con il termine medio, la premessa minore che mette in relazione il soggetto con il termine medio, e infine la conclusione che elimina il soggetto medio e mette in relazione il soggetto e il predicato. Si parla di belief bias quando una conclusione è accettata come valida più frequentemente quando è sull’intelligenza. Il test consisteva nel dare al bambino delle prove corrispondenti alla sua età cronologica e se queste venivano superate gli venivano proposte quelle di età immediatamente superiore se non venivano superate, gli venivano sottoposte quelle di età inferiore. Il test continuava fino a determinare un livello base, ossia l’età in corrispondenza della quale tutte le prove venivano superate, e un livello tetto ossia l’età in corrispondenza della quale nessuna prova veniva superata. La proporzione delle prove risolte ai livelli superiori di quello base permetteva di pervenire alla specifica età mentale. Le teorie multicomponenziali criticano le teorie unitarie per il fatto che un fattore g da solo non possa essere completamente rappresentativo dell’intelligenza di una persona. Tra i sostenitori di queste teorie troviamo Thurstone, Gardner e Sternberg. Thurstone elaborò la teoria delle capacità mentali primarie. Egli sosteneva che le abilità mentali individuate da raggruppamenti diversi fossero fra loro indipendenti e le definì abilità mentali primarie. Al vertice di questo modello non c’è più un’intelligenza generale ma piuttosto un insieme di abilità primarie ognuna delle quali influisce diversamente sul punteggio che il soggetto ottiene nei diversi test, dal momento che su alcuni ha un intelligenza maggiore che su altri. Thurstone giunse a identificare 7 abilità fondamentali primarie ossia comprensione verbale, fluidità verbale, capacità numerica, visualizzazione spaziale, memoria, ragionamento, velocità percettiva. Gardner partì da studi eseguiti su bambini dotati da diversi capacità intellettive, riesce a individuare l’esistenza di differenti aspetti legati all’intelligenza. Tali risultati furono confermati da ricerche eseguite su pazienti con ictus a cui mancavano delle funzioni cognitive, e, di conseguenza, hanno permesso di formulare un concetto molto più ricco di intelligenza. Partendo da questo presupposto si ottenne una forma di intelligenza composta da ben sette abilità intellettive. La teoria che ne deriva sarà, dunque, definita dallo stesso Gardner teoria delle Intelligenze multiple. Secondo Gardner, i test usati per misurare l’intelligenza sono volti a rilevare soltanto due tipi di intelligenza: quella linguistica e quella logico- matematica, ma esistono in aggiunta altre cinque forme di intelligenza cioè l’intelligenza spaziale, l’intelligenza sociale, l’intelligenza introspettiva, l’intelligenza corporeo cinestetica e l’intelligenza musicale. Sternberg elaborò la teoria triarchica dell’intelligenza, dove vi era un’intelligenza analitica, che riguarda capacità astratte e di ragionamento logico, e corrisponde al g delle teorie unitarie. L’intelligenza contestuale o pratica che consiste nell’adattarsi alle situazioni agendo nel proprio ambiente. Infine, l’intelligenza creativa che consente di individuare soluzioni originali e strade nuove. Le teorie gerarchiche sostengono che un vasto insieme di abilità può essere categorizzato in specifiche distinte forme, che si distinguono a diversi livelli gerarchici e rimandano ad un fattore più centrale g. il modello di Carroll divide le capacità cognitive in tre strati collegati, il più concreto è il primo e il più generale il terzo. Nel primo degli strati Carroll stabilisce abilità concrete come induzione, memoria visiva, discriminazione musicale, scrittura o velocità percettiva. È un totale di venti fattori specifici necessari per lo svolgimento di varie azioni sia mentalmente che comportamentali. Il secondo degli strati comprende altri otto fattori generali e generali in cui sono inclusi quelli dello strato precedente. Includono intelligenza fluida, cristallizzata, memoria e apprendimento, percezione visiva, percezione uditiva, capacità di recupero, velocità cognitiva e velocità di elaborazione. Infine, il terzo strato si riferisce all'intelligenza generale, da cui derivano tutti i processi e le capacità precedenti. Le teorie cognitive riguardano abilità primitive di base, supportano la capacità di risoluzione dei problemi, di organizzazione delle conoscenze e di comprensione linguistica. Vi troviamo la memoria di lavoro che ha una relazione importante con il fattore g, ossia l’abilità intellettiva di base. Infatti, chi ha maggiore memoria di lavoro è più in grado di immagazzinare subrisultati e principi di soluzione. Il modello a cono rovesciato di Cornoldi presenta due dimensioni, una verticale e una orizzontale. Lungo il continuum verticale troviamo le capacità più automatizzate, dove la partecipazione della memoria di lavoro è bassa, e i processi più centrali, che richiedono un controllo più elevato. Crescendo il livello di controllo aumenta la richiesta di risorse cognitive della mente, quindi più alto è il grado di controllo richiesto da un’attività, più lo svolgimento di questa è incompatibile con lo svolgimento simultaneo di un’altra attività centrale. Lungo il continuum orizzontale troviamo il contenuto delle diverse tipologie d’informazione e la minore o maggiore distanza esistente tra queste. Quindi, il materiale linguistico e quello visuo-spaziale si possono posizionare su due punti opposti di questo piano, mentre materiale visivo e spaziale, pur occupando punti separati, possono avere maggior contiguità. Il quoziente intellettivo, QI, inizialmente venne calcolato per verificare che un bambino di 8 anni fosse in grado di svolgere compiti corrispondenti alla sue età cronologica oppure corrispondenti ad un’età superiore o inferiore. L’età mentale permetteva di differenziare tra bambini più o meno intelligenti per inserirli in classi adeguate. Il QI è calcolato come l’età mentale diviso l’età cronologica, il risultato moltiplicato per cento. Questa modalità è oggi superata, e il QI si calcola come punteggio di deviazione in cui non si fa riferimento ad altre età, ma alla fascia d’età stessa del bambino in termini di quanto si distanzia dal QI medio. La curva a campana o distribuzione normale del QI effettua delle misurazioni tramite delle variabili quantitative. La maggior parte della popolazione ha un QI compreso tra 85 e 115, anche i DSA rientrano in questo range. La condizione per fare diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento è che vi sia una buona intelligenza, con cadute specifiche in alcuni apprendimenti di base come lettura, scrittura e calcolo. I bambini con DSA possono cadere in alcuni subtest misurati dai test dell’intelligenza, come la memoria di lavoro, ma eccellere in altri, come il ragionamento. Le persone con FIL, cioè funzionamento intellettivo limite o Borderline hanno un QI compreso tra 70 e 85 ma ci sono altri aspetti da considerare come l’assenza di punti ei forza nell’intelligenza e nell’apprendimento, pertanto, seppur la fascia interessata include più del 13% della popolazione, in realtà la diagnosi vera e propria di FIL interessa un numero inferiore di persone. Le persone con un QI inferiore a 70 rientrano nella diagnosi di disabilità intellettiva, che interessa circa il 2% della popolazione. Anche qui ci sono altri aspetti da considerare e la vera incidenza è attorno all’1%. Le persone con QI compreso tra 115 e 130 hanno un profilo intellettivo vivace, e sono circa il 13% della popolazione, mentre le persone con QI superiore a 13° sono detti plusdotati cioè geni. Soprattutto le persone che si collocano agli estremi hanno profili interpretabili solo tenendo in considerazione tutti gli aspetti dell’intelligenza, anche quelli proposti da teorie multicomponenziali. Risvolti applicativi legati all’intelligenza Quando si parla di intelligenza si pensa ad una relazione accademica, o scolastica. Alcuni studi mostrano una correlazione positiva tra intelligenza e correlazione scolastica. (correlazione positiva: all’aumentare di una variabile aumenta anche l’altra variabile). In questa correlazione si studia sempre il QI in relazione con diversi variabili. Nella scuola primaria questa correlazione positiva è molto forte, soprattutto tra intelligenza e prestazioni matematiche, perché il fattore g viene misurato soprattutto con abilità di ragionamento astratto. Si parla di correlazione punto 77, quindi molto alta. Per quanto riguarda invece le materie umanistiche sono punto 43. Influisce molto il pregiudizio nei confronti di genere, per cui dalla scuola primaria le bambine vengono considerate meno brave dei maschi, e ciò influisce sulle prestazioni. Il fattore g o il QI sono un forte predittore degli esiti scolastici alla scuola primaria e secondaria. Questo diminuisce dopo la scuola secondaria, perché aumenta il peso dei tratti di personalità che iniziano a manifestarsi e degli interessi, e vi è una restrizione del range dell’intelligenza, è più probabile che gli studenti più brillanti vadano all’università (soprattutto negli Stati Uniti, più che in Italia). Anche quando si parla di intelligenza e prestazioni lavorative vi è una correlazione tra i due elementi. Persone con un QI più elevato tendono ad avere prestazioni migliori, ma vi sono delle variabili di mediazione, perché la relazione passa attraverso una terza variabile, ossia la complessità dl lavoro. Se un lavoro richiede la messa in atto di importanti abilità di tipo intellettivo questa relazione è più forte, se invece richiede meno complessità la relazione è un po’ meno forte. Un alta variabile è il training, se la persona ha già svolto il training oppure no, influenza la relazione. Vi è un rapporto tra intelligenza e salute generale, bisogna comprendere cosa si sta leggendo. Alcuni studi parlano di associazioni positive, cioè correlazioni positive e variabili che riguardano la salute generale come l’esercizio fisico, la dieta a basso consumo di zucchero e sale. Le persone che hanno un’intelligenza più elevata sanno gestire meglio questi aspetti. Le persone che hanno un QI più elevato hanno una vita più longeva. Le associazioni negative, dove persone con QI elevato hanno bassa frequenza di alcune variabili, mentre al contrario le persone con basso QI hanno elevata frequenza di queste variabili come alcolismo, mortalità infantile, fumo e obesità. Le persone più intelligenti sono più in salute grazie ad un’educazione migliore, e una migliore educazione garantisce migliori sbocchi lavorativi, e le persone vivono più tranquille e stabili. Spesso però non vi è questa relazione univoca tra questi fattori, e infatti spesso ciò non è veritiero. La relazione tra intelligenza e salute generale c’è ma è mediata dalla prevenzione e dal trattamento delle malattie. Alcuni studi mostrano che il QI nell’infanzia prevede malattie come cancro, e influisce sulla mortalità anche molto tempo dopo. Le persone con un QI inferiore a 15 punti se maschi hanno il 27% di contrarre il cancro, mentre se femmine il 40%. I geni migliori consentono alle persone di informarsi maggiormente per la propria salute, consente di evitare i rischi, di scegliere una dieta sana e di vivere più a lungo. Vi è un rapporto anche tra intelligenza e classe sociale, vi sono condizioni di vita che influenzano questa relazioni, soprattutto lo status socioeconomico, cioè la posizione di un individuo all’interno do un gruppo sociale basata su molti fattori come per esempio il lavoro, lo stipendio e l’educazione scolastica. È una relazione è bilaterale. Quando si parla di intelligenza a volte si fanno delle differenze in base al gruppo etnico o al genere. Spesso le distinzioni di genere sono dovute alla presenza degli ormoni, in articolare al testosterone spiegata da un prospettiva evoluzionistica e se consideriamo le abilità visuospaziali. Un altro aspetto è la minaccia dello stereotipo, quando una persona pensa in termini stereotipati su di sé è effettivamente probabile che ciò si avveri, se per esempio credo di andare male in matematica, andrò male in matematica. Si chiama anche profezia che si autoavvera. Questo accade perché entrano in gioco diversi fattori come quello emozionale, che porta per esempio ad ansia di fronte al compito che giocherà un ruolo negativo, e il priming della minaccia dello stereotipo, ossia una credenza che ho dentro di me che influenza una prestazione futura. Già dalla scuola primaria siamo sollecitati a svolgere prestazioni anche impegnative, i bambini sono sottoposti a test che evoca ansia e paura di fallire. Ecco che considerando gli aspetti emotivi il concetto di QI viene abbandonato da alcuni studiosi. Principi di genetica comportamentale La natura delle abilità intellettive viene studiata dalla genetica comportamentale. Identificare il modo in cui certi tratti sono biologicamente determinati ci aiuta a capire il grado in cui l’ambiente può influenzare le differenze individuali. I due fattori, ossia aspetti genetici e ambientali interagiscono. Nell’ambito dell’intelligenza la genetica ha un peso enorme. Il fatto che alcune persone abbiano un QI più elevato di altri e che i test di intelligenza siano buoni predittore di performance non ci dice nulla sulle cause delle differenze individuali nelle abilità cognitive, cioè perché alcune persone sono più brillanti di altre. Di questi aspetti se ne occupa la genetica comportamentale, che più precisamente si occupa dello studio delle cause biologiche- genetiche e ambientali delle differenze individuali nell’intelligenza e nella personalità. Per studiare le differenze genetiche e ambientali sull’intelligenza sono stati fatti degli studi di famiglia dove genetica e ambiente sono insieme come nel caso di genitori biologici e figlio che vive con loro è difficile capire a quale aspetto appartiene l’intelligenza. Sigli studi di adozione, invece, i genitori biologici condividono solo la genetica, mentre i genitori adottivi condividono solo l’ambiente, qui si può capire se è la genetica o l’ambiente ad aver influenzato il figlio. Per capire meglio l’influenza della genetica o dell’ambiente sono stati svolti degli studi sui gemelli. Vi è un’iniziale distinzione se i gemelli sono monozigoti o eterozigoti. I genitori biologici condividono genetica e ambiente con entrambi i gemelli eterozigoti, che condividono il 50% di geni, mentre quelli monozigoti condividono il 100% dei geni. La vera e propria gioia. Le reazioni al fallimento ci consentono di capire il motivo per cui ho fallito. Di fronte alla novità si ha un forte senso di interesse, mentre di fronte alla difficoltà ci si sforza a superarla. Quindi nelle teorie implicite dell’intelligenza statica la persona tende a sviluppare obiettivi di prestazione e tende a definirsi in termini di risultato, mentre nelle teorie implicite dell’intelligenza incrementale la persona tende a sviluppare obiettivi di padronanza, distingue sé stessa dai propri risultati, che vengono interpretati come importanti mezzi per migliorare. Se l’abilità personale percepita è molto bassa si parla di impotenza appresa. Esempio: tutto quello che faccio non conta nulla. Collegamento con Seligman. Le emozioni L’emozione è la reazione breve e multicomponenziale ad alcuni cambiamenti nel modo in cui le persone interpretano o valutano le circostanze in cui si trovano. Le componenti sono principalmente sei:  Valutazione cognitiva: cioè il significato personale che attribuisco ai cambiamenti che avverto.  Esperienza soggettiva: legata alla valutazione cognitiva, è lo stato affettivo o tono sentimentale che caratterizza l’emozione.  Tendenza al pensiero e all’azione: l’urgenza di pensare e agire in certi modi dovuti all’emozione che provo.  Reazioni corporee: del sistema nervoso autonomo.  Movimenti muscolari facciali: sono un importante veicolo sociale, ci permette di capire gli altri.  Risposta emozionale: come persone affrontano situazioni che hanno suscitato emozioni. Queste componenti possono essere riassunte in tre componenti fondamentali, ossia la componente soggettiva come valuto l’emozione, come la interpreto, la componente fisiologica ossia tutte le reazioni corporee che hanno luogo nel corpo quando provo un’emozione e la componente comportamentale, cioè i comportamenti che metto in atto per reagire ad una determinata emozione. Le componenti dell’emozione sono innescate dalle circostanze descritte da certe relazioni individuo-ambiente. L’individuo è sempre inserito nell’ambiente, per cui ciò che succede nell’ambiente può modificare la mia reazione e i miei comportamenti di fronte all’emozione. Vi è una valutazione cognitiva cioè un’interpretazione di quello che mi sta succedendo sia a livello fisiologico sia mentale. Le risposte emotive sono sia esperienze soggettive, sia tendenze a pensare e agire in determinati modi, sia modificazioni corporee interne e manifesto le emozioni attraverso tutto il corpo ed in particolare con le espressioni facciali. Le risposte alle emozioni influenzano le successive valutazioni e i pensieri delle emozioni in momenti simili. Nessuna di queste sei componenti è un’emozione di per sé, ma tutte insieme danno vita ad una particolare emozione. Considerando le emozioni come sistemi o processi ci consente di distinguerle dagli umori. L’umore riguarda stati affettivi di lunga durata senza che la persona sia consapevole di ciò che li ha elicitati. Differiscono dalle emozioni perché quest’ultime hanno una funzione motivazionale che guida il comportamento, e consentono l’adattamento rapido ed efficiente dell’organismo all’ambiente. Le principali differenze tra emozione e umore sono: l’emozioni hanno una causa chiara, sono relative a qualcosa o qualcuno, mentre l’umore è uno stato affettivo diffuso e fluttuante, anche per ragioni sconosciute. Le emozioni sono brevi, durano secondi o minuti, mentre l’umore può durare per ore o giorni. Le emozioni implicano il sistema a componenti multiple mentre l’umore può essere saliente solo a livello dell’esperienza soggettiva. Tra le teorie classiche sull’emozione vi è la teoria bifattoriale, la teoria di James e Lange e l’ipotesi del feedback facciale. La teoria bifattoriale di Schachter e Singer prevede una stimolazione interna o esterna che procura una determinata reazione psicofisiologica molto generale, e sfruttando i dettagli che ho nell’ambiente per fare una valutazione di ciò che provo, ossia una valutazione cognitiva dell’attivazione e definisco l’emozione che sto provando, ossia l’esperienza soggettiva dell’emozione. Nella teoria bifattoriale le emozioni sono il risultato di uno stato iniziale inspiegabile di arousal, di forte attivazione, e uno stimolo nell’ambiente a cui attribuisco un significato e una spiegazione o valutazione cognitiva dell’arousal. La teoria bifattoriale ha sottolineato l’importanza delle due diverse componenti che determinano l’emozione ossia l’attivazione fisiologica, cioè l’arousal, diffusa e aspecifica dell’organismo e la seconda componente cioè il riconoscimento di tale attivazione e sua attribuzione causale, e l’etichettamento sulla base di indizi presenti nell’ambiente. Schachter e Singer hanno compiuto un esperimento classico che prevedeva due gruppi, uno sperimentale e uno di controllo. Il gruppo sperimentale era a sua volta diviso in due gruppi, uno in cui i partecipanti erano informati riguardo gli effetti che avrebbero ricevuto a livello di attivazione fisiologica in seguito all’iniezione di un farmaco contenente adrenalina, mentre l’altro gruppo non era informato. Il gruppo di controllo riceveva un placebo. Vi era un complice dello sperimentatore, che in un caso era euforico sia nei confronti dello sperimentatore sia nei confronti del partecipante, in un'altra condizioni era aggressivo, scontroso nei confronti di tutti. Nel caso dei partecipanti informati una situazione euforica o aggressiva non portava a differenza nelle valutazione che i partecipanti facevano compilando alla fine un questionario. i partecipanti non informati, invece, hanno iniziato a sentire un’attivazione psicofisiologica, e quando il complice era euforico si valutavano come allegri, mentre nella situazione aggressiva i soggetti valutavano la propria reazione psicofisiologica come aggressiva e di collera. Ciò per dire che i dettagli della situazione circostante dell’ambiente mi influenza dandomi determinati dettagli. La teoria di James e Lange parte sempre dall’attivazione interna o ambientale che procura un’attivazione psicofisiologica ma si assume che vi siano attivazioni specifiche per ciascuna emozione, per cui mi fa provare un’esperienza soggettiva dell’emozione. Prima si ha una manifestazione fisiologica e poi interpreto la tipologia di emozione. Questa teoria però non sempre veritiera perché in alcuni casi, per esempio, si potrebbe piangere sia per la gioia sia per la tristezza. È, quindi, difficile incanalare una singola attivazione psicofisiologica per un’unica interpretazione di un’emozione. Secondo loro le persone sono in grado di percepire l’attivazione del sistema nervoso autonomo, assumano che differenti emozioni si debbano provare in modo diverso e assumono che si verifica un’attivazione distinta del sistema nervoso autonomo per ogni emozione. Questa teoria ha ricevuto numerose critiche in quanto i cambiamenti interni avvengono troppo lentamente per costruire la fonte primaria di un’emozione e lo schema di attivazione del sistema nervoso centrale non sembra differire molto tra uno stato emotivo e l’altro. La teoria di Cannon e Bard, detta anche teoria centrale delle emozione sostiene che a seguito dell’esposizione ad uno stimolo elicitante le informazioni arrivano dalla corteccia cerebrale al talamo dove ha inizio la risposta emotiva. Il talamo invia un segnale che attiva il sistema nervoso autonomo, producendo attivazione psicofisiologica. Nel frattempo, il talamo invia segnali alla corteccia cerebrale che produce consapevolezza dell’emozione. L’ipotesi del feedback facciale, di Tompkins presenta uno stimolo che porta a delle espressioni facciali che permettono di attribuire un significato a ciò che sto provando, quindi all’emozione. Certi movimenti muscolari facciali hanno un significato universale interculturale. I movimenti muscolari facciali delle emozioni comunicano informazioni importanti, infatti la sola espressione facciale di una persona può modificare di per sé il comportamento di un’altra persona. Esempio del precipizio visivo con variante emozionale. Seppur le espressioni facciali delle emozioni siano universalmente riconosciute, non è lo stesso per le regole di esibizione delle emozioni, basti pensare alle differenze tra occidente e oriente, per esempio se il bambino urla in ristorante, in Svezia porti fuori il bambino, magari in Italia inviti il bambino a smettere alzando il tono di voce. In un esperimento i partecipanti dovevano classificare delle vignette in base alla loro comicità. Metà partecipanti teneva una penna tra i denti, costringendo il viso al sorriso, mentre l’altra metà teneva una penna tra le labbra, che impediva di sorridere. Le vignette furono giudicate come più divertenti dai partecipanti che tenevano la penna tra i denti, rispetto a quelli che la tenevano tra le labbra. Le emozioni si possono considerare secondo due approcci: l’approccio categoriale e l’approccio dimensionale.  L’approccio categoriale, di Ekman, sostiene che le emozioni di base o primarie siano universali, compaiono presto nello sviluppo, hanno significato adattivo, sono associate a particolari pattern di attivazione fisiologica e hanno specifiche espressioni faciali. Le emozioni secondarie, o complesse, sono date da una mescolanza di quelle di base, cioè derivano da particolari valutazioni ed elaborazioni cognitive delle prime.  L’approccio dimensionale, di Russell, non distingue l’emozioni in categorie ma valuta lo stato affettivo in cui si trova la persona in un momento su due assi, quello della piacevolezza o spiacevolezza e quello dell’attivazione psicofisiologica alta o bassa o arousal. L’esperienza cosciente è il risultato dell’integrazione di queste due dimensioni. Alcuni stati compresi nello spazio del core effect sono emotivi, come triste, depresso o felice. Altri corrispondono a stati non emotivi come affaticato, calmo e teso. Il core affect non coincide con l’emozione ma con uno stato affettivo di base generale, che può essere caratterizzato da un’emozione o da un umore. Le funzioni delle emozioni sono diverse, esse promuovono risposte adeguate alle situazioni di emergenza, promuovono l’esplorazione dell’ambiente, comunicano velocemente gli stati interni alle altre persone e guidano e favoriscono i processi decisionali. Le emozioni hanno funzione adattiva, sociale e motivazionale. La funzione adattiva delle emozioni, spiacevoli o dolorose come paura, rabbia, tristezza, sembra essere quella di “avvisarci” e di descrivere situazioni da noi interpretabili come minacciose anche dal punto di vista psicologico oltre che fisico e quindi di comportarci di conseguenza (ad esempio la reazione di paura di fronte ad un pericolo permette di reagire prontamente per evitarlo). La funzione sociale di un’emozione comunica il nostro stato affettivo o d’animo, facilita l’interazione sociale e permette a chi ci sta accanto di prevedere il nostro comportamento e allo stesso modo ci permette di prevedere quello degli altri. Per quanto riguarda la funzione motivazionale, la relazione che si crea tra la motivazione e l’emozione è bidirezionale, perché si nutrono in modo costante e reciproco. Da una parte, il comportamento motivato produce una reazione emotiva positiva, dall’altra, le emozioni sono il combustibile della motivazione. Determinano la comparsa di questo atteggiamento, lo dotano di maggiore o minore intensità e lo guidano verso una o altra direzione. La paura segnala che qualcosa di pericoloso minaccia o potrebbe minacciare qualcosa di importante per sé, e prepara l’organismo alla reazione fight – flight. Avverte la persona che nella specifica circostanza si trova in una situazione di debolezza. La rabbia segnala che il nostro limite soggettivo è stato o sta per essere violato. Prepara e motiva a difendersi di fronte ad un’aggressione: la nostra sicurezza è in pericolo. Potrebbe segnalare il temporaneo fallimento nel nostro tentativo di voler modificare qualcosa o qualcuno in base ai nostri scopi o necessità. La tristezza segnala la perdita reale o temuta di qualcosa o qualcuno ritenuto importante per noi. Consente alla persona di adattarsi alla situazione non desiderata. In alcune circostanze segnala l’importanza di sentirsi parte di un gruppo sociale di appartenenza. La vergogna segnala il rischio di sentirsi giudicati inadeguati e/o incapaci, il giudizio lede la stima e/o l’immagine che la persona ha di sé. Consente di riaffermare le norme sociali e i valori di un gruppo dal quale temiamo di essere allontanati o esclusi.