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Riassunti completi Linguistica Generale Gatti, Schemi e mappe concettuali di Linguistica Generale

Linguistica Generale Maria Cristina Gatti

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2017/2018
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Caricato il 15/12/2018

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Scarica Riassunti completi Linguistica Generale Gatti e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! CAPITOLO 1 1. LO SCAMBIO COMUNICATIVO 1.1 Un primo accostamento al concetto Il termine comunicazione deriva dal latino communicatio, cioè dal verbo communico: questo è formato da cum “con”, “assieme a...” + munus “dono” “bene” “compito”!notevole polisemia. Ecco alcune parole italiane che contengono munus: patrimonio, munifico, remunerare, immune, matrimonio... Munus in comunicare significa: mettere a disposizione di un altro un bene che è proprio. In questo caso il bene che passa attraverso la comunicazione è il senso di quanto viene detto, che, a sua volta comporta il cambiamento (in qualche modo) del destinatario!il bene crea implicazioni, obblighi e responsabilità. Responsabilità ha la stessa radice di risposta (scambio) e sebbene gli atti linguistici non sollecitino solo risposte, creano, dunque, altre responsabilità. Un altro elemento da tener presente è che in molte lingue, a partire dal latino, un aggettivo può avere doppio significato a seconda del contesto di riferimento: l’aggettivo caro, che si riferisce a munus (bene) è tale nel senso che ha valore e nel senso che interessa/sta a cuore. Il verbo latino communico significa mettere in comune un bene di qualsiasi natura: una casa, un sentimento, un segreto...!Ciò che viene scambiato in una comunicazione, non può essere un bene materiale, si deve trattare di segni che producono senso. Un’immagine antica di scambio di beni e di segni è rappresentata dal dio Mercurio, figura mitologica, veloce messaggero degli dei (ritratto con scarpe alate) è dio dell’interpretazione dei messaggi, ma anche protettore del commercio!Mercurio-merx (merce)-mercatus- commercium. Compito della comunicazione è creare senso condiviso. 1.2 Comunicazione, comunità e cultura La comunicazione è co-estesa alla vita umana: dove c’è rapporto tra gli uomini esiste un nesso tra comunicazione e comunità. _Il sociologo tedesco F. Tönnies delinea la differenza tra comunità e società (1887: Comunità e società); società= legami contingenti che non sono stabili nel tempo (vedi: condominio); comunità= gli individui che ne fanno parte creano tra di loro legami profondi, destinati a durare nel tempo!le comunità si osservano su 3 livelli: 1. Famiglia = legami che durano tutta la vita (di sangue); 2. Vicinato= rapporto che lega i vicini di casa (vedi: paese); 3. Amicizia= livello più forte di comunità: legame molto profondo, non viene intaccato dalla lontananza nel tempo. _In “Corso di linguistica generale” F. Saussure dice che la comunità linguistica è la “massa parlante” di coloro che parlano la medesima lingua!teoria che presenta alcuni limiti: S. non è interessato all’individualità dei parlanti; il contesto è essenziale; il fatto di condividere la stessa lingua non è sufficiente per creare comunità (per comunicare bisogna avere qualcosa da dire); S. sembra escludere che ci siano comunità in cui i parlanti parlano lingue diverse. _Il sociolinguista tedesco D. Hymes si pone in una prospettiva diversa da quella di Saussure e arriva a parlare di speech communities, cioè di “comunità di discorso”. Hymes si interessa alle comunità amerinde: comunità isolate che però avevano momenti di integrazione con la comunità anglofona degli Stati Uniti (lavoro/studio), studia i loro comportamenti linguistici. Il risultato è che si crea una comunità indipendentemente dalla lingua materna poiché le persone riescono comunque a comunicare attraverso segni che producono senso (lingua strumentale). Addirittura i plurilinguisti arricchiscono la speech community perché appartengono a diverse comunità. _E. Rigotti sostiene che due soggetti appartenenti a comunità differenti, di epoche differenti, che parlano lingue diverse, non siano completamente estranei perché condividono l’umanità: cioè la stessa esperienza di essere uomo (vedi: noi e Shakespeare, grazie al principio di inter-esse: che rende possibile la comunicazione). Scuola di Tartu (Estonia)!Lotman e B. Uspenskij, studioso di semiotica e semiotica dell’arte, hanno lavorato insieme sulla connessione tra comunicazione e comunità!il nesso è mediato dal concetto di c u l t u r a . Qui 3 definizioni: 1. Patrimonio non genetico che passa attraverso le diverse generazioni: patrimonio trasmesso attraverso atti comunicativi; 2. La cultura è la “grammatica” di una comunità: insieme di regole di una comunità (vedi: Galateo)!concetto di inclusione/esclusione: chi trasgredisce lo sentiamo estraneo (we-ness=noità); 3. Patrimonio di testi: (anche orali) letterari, giuridici, canzoni!condivisione di sensi= comunità. Paradosso: lo “scambio di beni” durante l’interazione comunicativa è tanto maggiore quanto è maggiore la diversità tra coloro che interagiscono; da una parte comporta arricchimento, dall’altra il rischio dell’insuccesso della comunicazione perché diminuisce il condiviso o common ground (Clark). Il common ground è la base dello scambio: la comunicazione ha successo se ci si conosce e se la comunicazione implica novità, cioè differenza culturale tra mittente e destinatario. 1.3 Comunicazione e società civile Compito fondamentale della comunicazione nella società civile (nella comunità) è creare consenso. Nel V secolo a. C., epoca delle poleis (città Stato) ad Atene nasce la 1a forma di democrazia!caratterizzata dalla parrhesia, cioè diritto di parlare/libertà di parola. L’unica forza ammessa, dunque, è quella della parola, che deve essere efficace per poter diventare un cittadino autorevole. Il consenso è il mezzo per esercitare il potere, attraverso le parole, cioè persuadendo. Si crea inganno quando si fa un “uso violento della parola”!si ottiene un consenso fragile, non fondato sulla realtà. Si crea consenso autentico con: 1. Interesse: l’altro vede un bene in quello che gli sto proponendo; 2. Autorevolezza: chi parla convince di più se è autorevole!l’oratore autorevole fa un discorso capace di far crescere (augeo, lat.); 3. Correttezza formale: il discorso deve essere corretto e logico; se è troppo difficile! disimpiego/ “ragiona tu”. Con questi 3 elementi si crea consenso= pratica condivisa della ragione. Pratica: cioè dibattito, dialogo... Aspetto dinamico e comunitario!pluralità di punti di vista/confronto; condivisa: proporre motivazioni comprensibili da tutti; ragione: soltanto con un consenso basato sulla ragione l’impegno del cittadino è reale. Sofistica: periodo di Socrate, Platone e Gorgia!insegnanti di retorica per avvocati e uomini politici (mestiere-arte). Diventa presto importante l’elemento emotivo!intrattenimento per i cittadini con gare verbali, bei discorsi, abilità retoriche... ≠comunicazione pubblica/democrazia. Il ruolo della ragione, così, regredisce. La sofistica fa emergere la differenza tra comunicatore, chi possiede talento naturale, e comunicazionista ovvero specialista dei processi comunicativi. Da questa situazione ne deriva lo scetticismo poiché la vita pubblica non fa capire come stanno veramente le cose!pragmatismo: la proposta deve darmi vantaggi immediati. Aristotele si rende conto del rischio che passa la democrazia, cioè diventare tirannia, e cerca di entrare in contatto con lo scettico!“Per te, scettico, esiste qualcosa di giusto?”: se lo scettico risponde positivamente, significa che cerchiamo il senso. Esistono 3 obiezioni a riguardo: 1. Teatro dell’assurdo: i personaggi dicono e fanno azioni insensate con l’intenzione di comunicare un senso!sono opere teatrali che denunciano il tema della comunicazione; 2. Discorso psicotico: nonostante il malato produca testi sconnessi si può riconoscere, comunque, il tentativo di esprimere qualcosa; 3. Linguistica: i linguisti utilizzano degli esempi “artificiali” per far capire cos’è il non-senso!funzione metalinguistica. Per capire cos’è il senso è necessario mettere a fuoco i concetti di notizia e informazione: un’informazione per poter essere considerata notizia deve essere pertinente al destinatario (in qualche modo deve riguardarlo). Riesco a comunicare quando il destinatario si rende conto del fatto che quello che gli sto dicendo ha davvero un senso per lui. 2.4 Comunicazione è agire La comunicazione presuppone la partecipazione di almeno 2 soggetti: se i due soggetti condividono lo scopo si realizza un’attività di c o o p e r a z i o n e !dentro la catena di realizzazione si realizzano degli atti linguistici destinati a coordinare le azioni dei due soggetti; se, invece, gli obiettivi sono complementari ciascuno dei due agisce perseguendo il suo obiettivo, ma ricorre all’altro per realizzarlo!attività di interazione (vedi: bar). Può anche presentarsi una situazione di conflitto se durante la catena di realizzazione un’azione entra in competizione con una dell’altro soggetto. 2.5 I fattori della comunicazione verbale Soggettività implicate – semiosi: categoriale e deittica – ostensione – inferenza. 2.6 Semiosi Gli elementi semiotici sono reali e sono fisici, non si esauriscono in se stessi ma sono stimoli a cui è associato un significato. Per questo diciamo che il segno unisce due realtà imprescindibili: c’è qualcosa di fisico (percepibile con i sensi) che rimanda a qualcosa di non fisico: il valore linguistico. 2.7 Significante e significato Esiste nella mente dei parlanti l’immagine acustica che ci permette di produrre concretamente tutte le realizzazioni fisiche, materiali di una determinata parola. Attraverso l’utilizzo degli usi concreti riusciamo ad astrarre l’immagine acustica; questa è di natura fisica poiché è l’immagine di un suono depositato nella nostra mente. Il processo di acquisizione dell’immagine acustica porta anche l’acquisizione di senso. L’evento fisico è chiamato strategia di manifestazione, mentre quello non fisico valore/funzione. Secondo Saussure la comunicazione richiede una struttura lineare: il valore si specifica grazie al contesto e all’interazione della parola con le altre nello stesso messaggio (≠ dalla comunicazione che avviene davanti a un quadro: cioè contemporaneamente)!noi percepiamo il senso alla fine del messaggio. _F. de Saussure chiama la strategia di manifestazione significante e il valore significato. In conclusione la semiosi è quel fenomeno tipico/esclusivo della comunicazione verbale per cui noi siamo in grado di associare strategie di manifestazione a valori linguistici. Il legame tra i due elementi è indeterminato perché possiamo utilizzare la stessa strategia di manifestazione per usi concreti diversi (cambia il contesto). _Uspenskij parlando di semiosi introduce il concetto di cornice: quando guardiamo dentro la cornice attiviamo uno sguardo semiotico perché abbiamo la consapevolezza che quello che vediamo vuole dirci qualcosa. L’evento comunicativo percepito da noi fisicamente, come tutti gli altri eventi fisici, lo guardiamo in modo diverso perché si tratta di una percezione che è in grado di comunicarci qualcosa. 2.8 Il segno come istitutum di una comunità: la convenzionalità Le lingue storico-naturali sono sistemi che consentono di formulare messaggi verbali, sono cioè sistemi semiotici o signici. _F. de Saussure spiega la correlazione semiotica utilizzando l’esempio dell’albero. Esiste una barra semiotica che separa le due facce della struttura linguistica “albero”: l’immagine acustica (faccia fonica) e il valore linguistico (faccia concettuale). L’unica ragione per cui questa connessione sussiste è convenzione tra i parlanti!questa connessione è a r b i t r a r i a : cioè condivisa dall’intera comunità. Tale connessione è valida all’interno del sistema linguistico, che è il sistema convenuto o istituito: il latino istitutum. La connessione è arbitraria ma non soggettiva: ci capiamo solo grazie alla lingua italiana = una larga e stabile condivisione dell’insieme delle correlazioni semiotiche. 2.9 Trasmettere la lingua: insegnare a parlare Il segno viene adottato da una comunità di parlanti cioè una comunità concreta in cui ciascuno impara a parlare. La barra della semiosi ha incuriosito molti personaggi che si sono chiesti quale fosse la lingua originale (lingua di Adamo). 1. Salimbene da Parma racconta nelle sue “Cronache” che Federico II di Svevia fece un esperimento: tolse dei bambini appena nati alle madri e li affidò alle nutrici, le quali non dovevano loro parlare. Salimbene racconta che dapprima i bambini intristivano e poi morivano!esperimento fallito. 2. Vicenda di Victor dell’Aveyron: ragazzo allevato dai lupi e ritrovato a 16 anni circa nei boschi del sud della Francia. Victor venne affidato al dottor Itard ma non riuscì mai a acquisire nessun tipo di linguaggio, cioè recuperare la funzione semiotica. Egli non era in grado neanche di osservare: presentava una lesione grave della ragione/dell’intelligenza umana. !Il linguaggio non si sviluppa da solo: non fa parte del patrimonio genetico dell’uomo, ma è costitutivo del nostro essere umani; infatti, senza il linguaggio l’essere umano muore. I SISTEMI SEMIOTICI Il segno si realizza come oggetto; per essere tale, però, non è mai isolato perché tra i segni si crea un rapporto di esclusione: i sistemi di segni sono basati sull’opposizione, cioè sulla diversità. Un sistema non-linguistico è un sistema di segni: vedi la segnaletica stradale, l’alfabeto Morse... Cioè sono segni dove è presente una corrispondenza biunivoca = non ci sono margini di interpretazione, a ciascuna immagine del sistema corrisponde un unico valore e viceversa. Al contrario, i sistemi signici, ovvero le lingue storico-naturali, sono composte da unità linguistiche indeterminate, c’è creatività. Si chiamano storico-naturali perché sono vive nel tempo, subiscono un’evoluzione e allo stesso tempo sono elemento “naturale” della vita dell’uomo. DEISSI Il termine deissi, dal latino “additare”, è un processo di “additamento verbale”: ad esempio la parola “adesso” non ha un contenuto definito e autonomo, ma ha bisogno di agganciarsi al contesto per “riempirsi” di significato concreto. La deissi funziona nell’incontro del linguaggio con l’esperienza. È necessario conoscere la lingua per capire i deittici, ma non basta perché occorre interpretare il deittico in rapporto alla situazione concreta in cui viene usato. I deittici sono quelle parole che a livello di semiosi non corrispondo a un’idea bensì a un’istruzione!interazione linguaggio-realtà. I deittici possono essere: personali (ti, mi, tu), dimostrativi (questo, quello, codesto), spaziali (verbo venire), temporali (ieri, oggi, anche nei verbi), nomi propri (informazioni sulla persona), testuali!elementi forici, cioè deittici che precedono o seguono! anaforici (prima), cataforici (dopo). OSTENSIONE L’o s t e n s i o n e , dal latino “far vedere/mettere davanti”, è un momento muto della comunicazione!la realtà partecipa alla comunicazione “per il fatto di essere lì”: si tratta del contesto, che è, appunto, una presenza muta. Fondamentali sono il soggetto che parla e quello che ascolta, ma il senso viene ricavato grazie all’interazione del discorso con il contesto (vedi: Luigi vede Marco a novembre in costume!“Ma non hai freddo?”). Osservazione: deissi ≠ ostensione La differenza consiste nel fatto che nella deissi c’è una componente linguistica che invece è assente nel caso dell’ostensione. INFERENZA L’inferenza è il processo con cui otteniamo informazioni a partire da altre informazioni: molto è affidato al contesto, ma soprattutto molto è lasciato scoprire con il ragionamento dell’interlocutore (se è grande l’intesa tra gli interlocutori basta un cenno per capirsi). Grazie all’inferenza costruiamo i legami nascosti!qui opera il principio di buona volontà: ci si sforza a capire. C’è il rischio che non tutti traggono le stesse inferenze! è il destinatario colui a cui tocca interpretare. Si tratta di procedimenti inferenziali. L’inferenza può essere comunicativa: lo sforzo del ragionamento è a carico del destinatario; oppure c o m u n i c a t a : l’inferenza/ragionamento è fatto dal mittente e comunicato al destinatario. I soggetti implicati nella comunicazione: principio di interesse e pertinenza La r a g i o n e è una componente ineliminabile per il funzionamento di ciascuna delle componenti costitutive del linguaggio umano: l’inferenza domina la semiosi e l’ostensione perché è indispensabile per farle funzionare. Il testo, dunque, si costituisce in relazione al mittente e al destinatario. Se non si interpreta non è possibile afferrare il senso del testo!mi cambia la comunicazione che mi riguarda, cioè pertinente ai miei interessi. Il senso come habit change Concludendo: la lingua è un sistema segnico di cui si ipotizza l’esistenza nella mente dei parlanti (modello) per spiegare il comportamento linguistico di una comunità di parlanti, che eseguendo certi suoni veicolano determinati significati e costruiscono, a partire da questi, dei messaggi. La lingua è “astratta”. I l m e t o d o “Metodo” dal greco méthodos = la strada da seguire!il metodo è il percorso per acquisire il sapere. Esso comporta due fasi: 1. Scoperta (fase euristica): momento in cui “brilla” l’idea a. Metodo: attenzione paziente e capacità di cogliere i particolari con esprit de finesse. 2. Verifica: il sapere viene messo alla prova, l’ipotesi formulata va giustificata Nessuna teoria può garantire di implicare tutti i dati, e può sempre presentarsi un dato che confuta la teoria. L’ipotesi implica il dato, ma la verità del dato non comporta in assoluto la verità della teoria. I livelli dell’astrazione DATI!astrazione!TEORIA 1. Generalizzazione 2.Dai dati al concetto non osservabile 3.Dai dati a entità nascoste Generalizzazione (“tutti i gatti...”) Teoria = non descrivo, ma formulo un'ipotesi (caratteristica di avere la coda che ho riscontrato in alcuni gatti sia valida per tutti i gatti!ipotesi che riguarda la totalità di quell'entità) Il dato resta nella teoria, cambia la quantificazione. Ipotesi così semplice è sottoposta alla possibilità di essere falsificata. Gatti senza coda!teoria viene falsificata. La pretesa della teoria di essere valida per tutti i dati gatti, in realtà viene falsificata nel momento in cui incontro almeno un gatto che non abbia la coda. 2 possibilità: 1.Mantenere la definizione, quello che non ha la coda non è un gatto (stabilisco un'altra categoria di animale)!devo formulare un'altra teoria per quell'animale 2.Riformulo la mia teoria adeguandola alla situazione (es: elimino la coda dalla definizione) Basta un solo elemento contraddittorio per falsificare la teoria posta. Il discorso scientifico è rigoroso e valido nella misura in cui rispetta i dati. Non è scientifico un discorso che nasconde dei dati per poter mantenersi in piedi!deve essere sempre alla ricerca di un eventuale dato che falsifichi la teoria!fa andare avanti la scienza. Esempio (linguistico): bambino, tavolo, Paolo (masc. sing., finiscono per "o")!tutti i nomi masc. sing. finiscono per "o". Poeta, Luca, Andrea, mano, brindisi (masc. sing., finiscono con lettere diverse). Generalizzazione tra masc. sing. e la terminazione "o" non è sempre valida. Riformulo meglio la teoria, finché non ne trovo una che tenga conto di tutti i dati. Lo stesso valore può avere rappresentazioni diverse; lo stesso suono può avere valori diversi. Superare le corrispondenza semiotica, come una corrispondenza 1 a 1 – biunivoca (Saussure). Concetto non osservabile Esempio: Intelligenza = proprietà che si astrae, serve per spiegare alcuni comportamenti del soggetto. Da quello che fa con un processo di astrazione, tiro fuori, astraggo, una sua caratteristica che mi serve per spiegare cose che ha detto, scelto, fatto. !ricavare, tirar fuori, separare da un oggetto una caratteristica che deduco da un certo comportamento. Non è un dato, ma è un'ipotesi che io faccio per spiegare i dati. Per spiegare dei comportamenti formulo delle teorie. Esempio: casa [kaza]"![kasa]. 2 suoni diversi ma che nel sistema linguistico italiano, in questo contesto intervocalico, vengono interpretate come variazioni di realizzazione che non incidono sul significato. Variazione di suono senza variazione di senso. Lana, rana: due suoni diversi, variazione a livello fisico del suono, con variazione di significato. Questo dato spiegato con il concetto di fonema = distinzione di suono rilevante anche dal punto di vista del significato. La lingua funziona grazie a distinzioni di suono (l/r) che comportano distinzioni di significato. Variazione del suono pertinente dal punto di vista del significato. Concetto astratto = esistono anche differenze di suono che non corrispondono a differenze di senso. [kasa/kaza non cambia senso; lana/rana cambia il senso!l e r sono fonemi della lingua italiana]. Altre distinzioni di suono (s/z) che non comportano distinzione di significato non sono fonemi (unità significative all'interno della costruzione della lingua). *Entità nascoste Reali ma nascoste, non appaiono come dati. Sono mie ipotesi. Processo di ricostruzione delle inferenze comunicative consiste in un processo di questo tipo... Esempio: mio cugino non guida. È sposato. Si immagina un modo per dar ragione dei dati!far in modo che un'affermazione sia conseguenza dell'altra. Esempio: mio cugino non guida. Ha 12 anni. Ipotizziamo un'entità logica, non viene esplicitata (perché ha 12 anni). Ipotesi di spiegazione = serve a collegare il dato testo, al dato senso (ricavati attraverso inferenze). Per essere valida una scienza deve essere in grado di spiegare tutti i dati per cui è stata formulata: se viene trovato anche un solo dato in contraddizione questa viene falsificata totalmente o sostituita o modificata. La scienza cresce continuamente confrontandosi con dati sempre nuovi. Concludendo: una teoria scientifica non può essere né totalmente verificata né totalmente falsificata. CAPITOLO 4 – prima parte esame LINGUAGGIO E RAGIONE 4.1 Lògos Logica = scienza relativa ai processi del ragionamento. In greco antico lògos: 1.discorso/parola/linguaggio; 2.ragione; 3.calcolo. I tre termini sono equivalenti? = lògos è un termine omonimico o polisemico? -parole omonime: parole distinte il cui significante è identico [fiera – mercato locale periodico, fiera – belva, animale selvaggio]. -parole polisemiche/polisemia: parole con significati sensibilmente diversi ma evidentemente imparentati [carta dei diritti umani, di Fabiano]. !la ragione è la sostanza del linguaggio, e coincide per molti dei suoi aspetti con il linguaggio!c’è connessione tra dimensione linguistica e dimensione logica. La ragione e i 5 sensi Paragoniamo ora la ragione ai sensi. Ciascuno ci rapporta con un preciso aspetto. La ragione è quell’organo che rapporta l’uomo con l’insieme dell’esperienza della realtà, è l’organo del tutto. La sua funzione fondamentale è la capacità di dirigersi spontaneamente verso un fine estrinseco: il soggetto si scopre come un aspetto della realtà stessa. Platone e l’intreccio Caratteristica del linguaggio umano sta nell’articolazione. Platone = composizionalità. Il linguaggio umano presenta espressioni linguistico - semiotiche, dotate di significante e significato, e strutture composte, ottenute dall’unione di più strutture linguistiche che vengono a formare un senso unitario e nuovo, un senso, cioè, che non coincide con la semplice sommatoria dei sensi e delle strutture messe insieme. Il discorso nasce dalla combinazione di espressioni significative. La combinazione significativa è fondata sulla differenziazione semantica delle parole. Platone distingue: -verbi: segni che si riferiscono alle azioni (azione = prototipo di qualsiasi modo d’essere) -nomi: segni che indicano coloro che compiono le azioni (esseri). !unendo nomi e verbi (symploké – intrecciare) otteniamo un testo sensato. Parlare sensatamente vuol dire sempre combinare concetti che sono fatti l’uno per l’altro = congrui. Nella semantica contemporanea questa relazione è stata chiamata nesso predicativo-argomentale (i predicati sono i modi di essere, gli argomenti gli esseri). La ragione è l’organo per rapportarsi alla realtà in generale, la ragione è fatta di linguaggio!attraverso la lingua l’esperienza si articola in quanto la lingua fornisce la rete categoriale mediante la quale caratterizziamo i diversi aspetti dell’esperienza. Il linguaggio rispecchia la struttura della realtà; dall’unione di nome e verbo otteniamo lògos caratterizzato da symploké, solo però componendo parole che stanno per entità (nomi) con parole che stanno per situazioni (verbi). 4.5 Composizione e virtualità La composizionalità rispecchia la struttura della realtà, e Platone nota che le parole sono diverse perché rispecchiano differenze nella realtà.Composizionalità= combinazione significativa delle parole, che Interessante è il paragone fra la struttura argomentale dei predicati dare e dire che presenta delle analogie, ma anche un’importante differenza. Ambedue sono triadici e ambedue esigono in x1 e in x3 come argomenti degli esseri umani. La differenza riguarda x2 che in dare è un oggetto non umano (o al limite disumanizzato), mentre in dire è un oggetto discorsivo (parole, frasi, proposizioni). Le considerazioni fatte fin ora sulla qualità degli argomenti evidenziano che anche l’argomento ha un suo contenuto semantico. Un argomento è tipicamente un nome, ma la funzione argomentale può “nominalizzare” anche le strutture non nominali. Vediamo ora come è fatto un argomento nominale più da vicino. “Mario dipinge il tavolo” → Dipingere è un predicato diadico che seleziona nel primo posto argomentale un essere umano e nel secondo, un oggetto preesistente fisico e dotato di superfci (nel caso in cui abbia significato di verniciare) o un progetto d’arte pittorica (nel caso in cui abbia significato di produrre un dipinto). È evidente che negli argomenti si racchiude un significato spesso complesso che condizione la congruità della struttura predicativo-argomentale. Gli argomenti “nascondono” predicati che hanno la funzione di caratterizzare gli argomenti, cioè di stabilire a che condizioni un’entità è di quel certo tipo. “Un uomo rise” → “uomo” si caratterizza per i predicati umano (U), maschio (M), adulto (A) → x : Ux ^ Mx ^ Ax → ciascuno di questi predicati potrebbe essere ulteriormente scomposto in una serie di predicati. Un’ulteriore osservazione che merita di essere fatta nell’ambito della qualità degli argomenti è quella riguardante i determinanti, cioè tutte quelle espressioni che introducono un argomento e che permettono a quest’ultimo di fare presa sulla realtà. Noi li divideremo in tre gruppi: • DETERMINANTI INDEFINITI – (un, qualche, parecchi, pochi, due, tre, ecc.) Dicono l’esistenza di almeno una x che ha le caratteristiche che il testo enuncia. • DETERMINANTI DEFINITI – (il, quello, codesto, ecc.) Possono essere utilizzati solo se l’entità dell’argomento è nota all’interlocutore. • DETERMINANTI UNIVERSALI – (qualsiasi, tutti, ciascun, nessuno, ecc.) Hanno in comune una pretesa di universalità. 3. Ordine degli argomenti Per capire la rilevanza dell’ordine degli argomenti consideriamo due predicati triadici evidentemente legati tra loro: dare e ricevere. Apparentemente la loro differenza sta nel fatto che, passando da dare a ricevere, il primo e il terzo argomento si scambiano fra loro: “Chiara da un libro a Simone” → “Simone riceveun libro da Chiara” Le due strutture, pur presentandosi come largamente sinonimiche, presentano anche una differenza significativa: il diverso ordine degli argomenti corrisponde a una diversa prospettiva di lettura della situazione. Dare-ricevere, vendere-comperare, destra-sinistra, sotto-sopra... sono detti conversivi lessicali. Si badi al fatto che l’ordine degli argomenti è un concetto diverso rispetto all’ordine delle parole. L’ordine degli argomenti indica la rappresentazione semantica dell’enunciato, che puo trovare poi diverse manifestazioni nell’organizzazione concreta dell’enunciato. “La mamma promette lo skateboard a Pietro” → “A Pietro la mamma promette lo skateboard” In questo caso quel che è cambiato è l’ordine delle parole, non l’ordine degli argomenti. 4. Campo d’azione del predicato È importante per definire il contributo di ciascun predicato al senso del testo. “Non leggo più questo libro per divertirmi” → Il messaggio è ambiguo, potendo significare o che da adesso in poi il parlante leggerà questo libro con scopi diversi dal divertimento, o che sospende la lettura del libro per darsi al divertimento. L’ambiguità è dovuta al fatto che il predicato “non” cambia il proprio campo d’azione investendo un argomento diverso: in un caso assume come proprio argomento “per” (divertirmi), nell’altro “leggo” (questo libro). Nel primo caso quel che viene negato è, in effetti, la preposizione e il testo viene a dire che il parlante continua a leggere il libro con finalità diverse dal divertimento; l’altra interpretazione nega leggo. 5. implicazioni del predicato Le implicazioni del predicato riguardano il contenuto vero e proprio del predicato. “Andrea ha costruito una casa” → costruire è un predicato che pone su x2 l’implicazione di non- esistenza, ma se il costruire ha luogo, x2 comincia a esistere (per questo necessaria una lunga serie di operazioni che vanno dall’acquisto del terreno, al progetto, alla sua approvazione, ecc.) Il contenuto vero e proprio di un predicato è costituito dalle sue implicazioni, ossia da tutto ciò che ha luogo se il predicato è vero. 4.7 SENSO, NONSENSO, CONTROSENSO Secondo quanto constatato fin ora, il senso testuale nasce esclusivamente dalla combinazione congrua di predicati e argomenti. La lesione della congruità comporta per il destinatario l’impossibilità di recuperare il senso del discorso. Lesione della congruità → gli elementi combinati non sono fatti per stare insieme → questo fenomeno è stato chiamato non-senso. Da un punto di vista comunicativo, se c’è un non-senso non c’è testo. Da qui nasce una dinamica tipica della comunicazione: quando il testo pare insensato, il destinatario “fa di tutto” per recuperarne la sensatezza. Lesione della coerenza → il controsenso: non comporta che il testo non esista, ma che nasca un testo contraddittorio. La contraddizione è “dicibile”, il non-senso no. Si può intervenire ed eliminare la contraddizione, mentre l’incongruità non può essere corretta. Nella contraddizione l’incoerenza è esplicita perchè qualcosa viene affermato e negato contemporaneamente; nell’incongruità, invece, non viene affermato ne negato nulla. 4.8 COERENZA E CONTRADDIZIONE Il principio di coerenza e di non contraddizione fu formulato per la prima volta da Aristotele; si tratta di un principio che regola il linguaggio. - Concetto di dimostrazione → dimostrare = far vedere la verità di un’affermazione facendo discendere la verità di questa affermazione alla verità di un’altra attraverso l’inferenza. Tutto deve essere dimostrato? No, innanzitutto esistono cose evidenti. Inoltra, non si puo risalire all’infinito nella serie di dimostrazioni, è necessario fermarsi all’evidenza di qualcosa. Ogni scienza, partendo dall’evidenza, pone alcuni principi (assiomi) che da quel momento in poi non vengono piu messi in discussione. L’evidenza fondamentale su cui si basa la conoscenza umana è il principio di non contraddizione (pnc). Per questo principio, una cosa non può essere e non essere, nello stesso tempo e nel medesimo aspetto. Ex. Luigi ha una bici nera, quel che non può essere è che la bici sia allo stesso tempo nera e non nera. È possibile che in certi punti la bici abbia delle scritte rosse, quindi allo stesso tempo, ma non sotto il medesimo aspetto, la bici è nera e non nera. Non potrà mai essere nera e non nera nello stesso punto della sua superficie e nel medesimo istante. Aristotele sostiene che questo principio abbia validità assoluta e universale. Esso è talmente “primitivo” da non poter essere dimostrato. Si può al limite confutare (ossia far emergere che una certa posizione è in sè contraddittoria e pertanto insostenibile) chi cerchi di negarlo. Nel caso del principio di non contraddizione, è necessario un altro tipo di confutazione: poiché la confutazione in generale si fonda sul pcn, la pretesa di usarla per dimostrare il pnc stesso rappresenterebbe una petitio principii. Aristotele immagina che davanti a lui ci sia uno scettico, il quale sostiene che le affermazioni dipendono dalla soggettività individuale e che quindi ognuno può sostenere che una cosa puo essere o non essere allo stesso tempo e sotto il medesimo aspetto. Quello che Aristotele fa è chiedere al suo avversario se le parole che usa hanno un qualche significato. Se egli attribuirà un qualche significato a qualche parola, egli avrà riconosciuto il principio, applicandolo. In caso contrario, il suo discorso cesserà di esistere ed egli sarà simile a un vegetale. Per negare sensatamente il principio di non contraddizione lo deve usare: per dire che nella a senso, deve riconoscere che almeno l’affermazione “nulla ha senso” ha senso. La coerenza è una qualità irrinunciabile del discorso. Ciò non significa che non esistano discorsi incoerenti o contraddittori, ma il comunicare stesso è un implicito impegno a sanare il proprio discorso da eventuali contraddizioni: posso dire qualcosa solo se credo che quel che dico non è contraddittorio e se sono disposto a correggerlo quando emerge il contrario. 4.8 L’INDETERMINATEZZA DELL’ARTICOLAZIONE CATEGORIALE Al principio di coerenza sembra contrapporsi un altro importante principio: la natura soggettiva del senso. Se due persone affermano cose diverse della medesima realtà, prima di mettere in discussione il pnc, bisogna stabilire a quale livello di senso le diverse affermazioni si collocano. Entra in gioco l’esprit de finesse (concetto introdotto da Blaise Pascal), inteso come capacità di Il dato di partenza per lo studio della lingua sono i testi prodotti in quella lingua → il parlante sa la lingua in quanto la sa usare → questo tipo di conoscenza si attiva nel momento in cui la si usa concretamente nel parlare. La lingua non è un sapere esplicito; addirittura si potrebbe dire che la lingua è “un sapere non saputo”. “Sapere il significato” di una parola non equivale a saperne fare l’analisi semantica: nel caso di due parole italiane come gara e partita, ogni parlante italofono saprebbe usare con la giusta distinzione questi due sostantivi nel linguaggio applicato; difficilmente sarebbe in grado di spiegare perchè non si possono liberamente alternare. Nonostante cio, sa dire quando l’uso di una parola che conosce è corretto o meno e riconosce se un’espressione ha significato o no. La conoscenza semantica della lingua è un sapere diverso da quello che possediamo quando, ad esempio, affermiamo di “sapere come si chiama la via di anco all’università”: quest’ultimo è un segmento di conoscenza inserito nel nostro database. Inoltre la lingua vive in una particolare dimensione psichica: non c’è da nessuna parte, nemmeno nella conoscenza immediata dei parlanti, perchè noi non pensiamo continuamente i segni che conosciamo. Strutture e procedimenti della lingua vengono attivati, resi presenti, solo nel momento in cui li si usa concretamente nel parlare. 5.2 QUALI SONO LE STRUTTURE INTERMEDIE Le classi fondamentali delle strutture intermedie sono: • LESSICO • MORFOLOGIA • SINTASSI • INTONAZIONE • ORDINE DELLE PAROLE • Il lessico è percepito dai parlanti come componente di base di una lingua. Esso è costituito da parole, ma essendo il termine “parola” polisemico, noi lo sostituiremo per evitare ambiguità con il termine più preciso lessema. Questi ultimi si presentano sotto forme diverse: variabili (splendere, splende, splendeva, splenderete, ecc.) o invariabili (oggi, spesso, quando, perchè,ecc.). Ci serviamo di lessemi per nominare cose, persone, proprietà, eventi, rapporti tra le cose e così via (funzione di nominazione). Il lessico è fondato dai parlanti e deriva dalle loro possibilità di esperienza. Ogni sistema linguistico, tuttavia, si fonda anche su una grammatica (regole per usare le parole). La grammatica si suddivide in sintassi e morfologia. • La sintassi (aspetto universale) è l’insieme delle regole per ottenere combinazioni significative di lessemi → i testi sono originati per composizionalità da una combinazione di parole tale da produrre significato. La creatività del sistema linguistico dipende largamente dalla sintassi → possibilità di costruire un’infinità di combinazioni significative. ATTENZIONE: il significato di un testo è in funzione dei significati dei suoi costituenti, senza esserne la somma. • La morfologia, invece, non è universalmente presente (non esiste per esempio nel cinese o nel vietnamita → queste lingue sono definite isolanti e presentano solo il livello lessicale e quello sintattico). La morfologia, nei sistemi linguistici in cui esiste, riguarda solo i lessemi variabili (lessemi come l’italiano sempre non risultano morfologicamente analizzabili, in quanto invariabili). Lessemi variabili = morfemi. Ex. Il verbo solleviamo presenta una parte stabile (la radice, sollev-) e una parte variabile (-iamo), che altrove può assumere forme diverse (-ato, -ai, -asti, -ammo...). • L’ordine delle parole è rilevante soprattutto per quanto riguarda le strategie di manifestazione della sintassi. È piu rilevante in certe lingue rispetto ad altre. Per esempio è più rilevante in inglese (dove la morfologia è presente, ma in misura più limitata rispetto ad altri sistemi linguistici) e ha peso decrescente in francese, italiano, tedesco e russo. - “Luigi ha salutato Pietro” → sappiamo chi compie l’azione e chi la subisce solo grazie all’ordine delle parole. Tuttavia, esso non manifesta solo funzioni sintattiche ma può servire anche per distinguere livelli più strategici di senso. Consideriamo i due esempi seguenti: - “Giovanni con questo libro si diverte” - “Con questo libro si diverte Giovanni” In questi enunciati, l’organizzazione sintattica è identica, ma il diverso ordine delle parole segnala sensi diversi. • L’ultimo reparto da considerare è quello dell’intonazione, ossia l’insieme dei fenomeni prosodici che sono utilizzati per manifestare diverse dimensioni del contenuto. Svolge nella comunicazione verbale una funzione importante, spesso anche piu importante di quella delle altre strutture intermedie. Basti pensare all’ironia, che attraverso l’intonazione capovolge il senso del messaggio. Tra tutte è quella che piu si allontana dalla semiosi per avvicinarsi all’ostensione. - Se in italiano diciamo “Giovanni si diverte con questo libro?” → grazie all’intonazione sarà interpretato come interrogativo e non come dichiarativo. 5.3 I TRATTI CHE CARATTERIZZANO LE STRUTTURE INTERMEDIE Tutte le strutture intermedie condividono nelle diverse lingue una serie di tratti: molteplicità di funzioni (polisemia), molteplicità di strategie di manifestazione (varianza), preferenzialità, endolinguisticità. LA POLISEMIA → I vari significati di uno stesso significante sono collegati tra loro legame profondo, da una motivazione. Non è sempre agevole stabilire in modo preciso la motivazione che lega due valenze polisemiche. Consideriamo il verbo italiano andare “Giovanni va a scuola” = si dirige “Il riscaldamento non va” = non funziona “Questi pantaloni vanno accorciati” = devono essere “Questo vestito mi va bene” = mi calza “Non mi è andato di entrare a lezione” = non me la sono sentita È effettivamente molto difficile identificare per ciascuno dei valori il tipo di motivazione che lo connette agli altri. In realtà il valore più ovvio e naturale (andare come “spostarsi nello spazio”) è il concetto cui tutti gli altri valori sono riconducibili, anche se con molte complesse mediazioni. Valore piu ovvio → “VALORE PREFERENZIALE”. Spesso il confine tra polisemia e omonimia non si lascia fissare agevolmente. Dobbiamo ora specificare che la polisemia non riguarda solo il lessico, ma le strutture linguistiche in generale. Possiamo osservare un esempio di polisemia che riguarda la morfologia del verbo nel tempo futuro in italiano. “Nel pomeriggio sarò a Milano” = futuro vero e proprio “Festeggerete, adesso che gli esami sono andati bene” = il futuro esprime una previsione “Dopo lo scritto, gli studenti sosterranno un esame orale” = il futuro esprime un obbligo Possiamo concludere che le funzioni delle strutture intermedie manifestano una sostanziale indeterminatezza, in quanto manifestano spesso diversi valori. La struttura che manifesta un solo valore è quasi un’eccezione. Quando una polisemia si fissa nella lingua puo dare origine a nuovi lessemi. LA VARIANZA → Prendiamo in considerazione, ora, il vario manifestarsi del significato, ossia la varianza. Consideriamo il verbo irregolare francese aller presenta al futuro la forma j’irai → qui del significante del lessema aller non è rimasto nulla. Così nel singolare dell’indicativo presente le forme je vais, tu vas, il va e nel plurale la forma ils vont non contengono la radice all- di aller, che invece ritorna alla 1° e 2° persona del plurale, nous allons, vous allez. In questo esempio, la stessa unità di significato presenta piu di una strategia di manifestazione. Questo fenomeno concerne anche la morfologia: consideriamo la forma del congiuntivo presente del verbo mangiare (mang-i), ottenuta aggiungendo la desinenza –i al lessema; la stessa forma, con verbi come vedere, leggere, dormire, viene ottenuta con la desinenza –a: ved-a, legg-a, dorm-a. Osservazione – Varianza e sinonimia Esattamente come abbiamo distinto la polisemia dall’omonimia, va distinta la varianza dalla sinonimia. • Nella varianza abbiamo un unico segno che si manifesta in modi diversi a seconda dei contesti. Anche se non c’è nulla nel significante di went di identico con il significante di to go, go e went sono forme dello stesso lessema. • La sinonimia si caratterizza, invece, per l’equivalenza a livello semantico di due strutture intermedie che restano tuttavia distinte. Consideriamo i seguenti esempi di sinonimia. - Ti faccio avere i documenti con il corriere - Ti faccio avere i documenti per mezzo del corriere - Ti faccio avere i documenti servendomi del corriere - Ti faccio avere i documenti usando il corriere Possiamo avere sinonimia a livello lessicale (ubriaco, sbronzo, ebbro) e a livello morfologico, per esempio nella manifestazione del superlativo in italiano. - Ilaria è molto furba - Ilaria è assai furba - Ilaria è furbissima fatto di tre parole”, non si intende parlare di tre lessemi (i lessemi usati sono soltanto due!), ma di tre sintagmi minimi. In questo capitolo ci incentriamo sui valori che emergono in (4) e (6): la parola fonologica e il lessema, la forma di parola e il sintagma minimo. 6.1 LA PAROLA Una prima definizione di parola è quella di parola fonologica, intesa come segmento dotato di autonomia articolatoria: un segmento prima e dopo il quale si possono collocare ragionevolmente delle pause del discorso in modo naturale. Una parola fonologica è caratterizzata da: • Autonomia articolatoria • Accento proprio • Rispetto delle regole fonotattiche previste in ciascun sistema linguistico La parola fonologica non va confusa con la parola ortografica, delimitata o da spazi vuoti o da segni interpuntivi. Queste sono le parole che si possono contare facilmente. Ma torniamo ora al valore di parola come lessema. Considerando aiuterei, aiutavano, aiutasse, aiuteresti, aiutò → osserviamo che nel vocabolario queste espressioni sono riconducibili allo stesso lessema, “aiutare”. Anche “aiutare” è, di per sè, una delle possibili forme che il lessema assume, ma nel sistema linguistico italiano è convenzionalmente riconosciuto come la forma di citazione (o quotation form) di questo lessema. Consideriamo il concetto di forma di parola. Esistono lessemi invariabili (che si presentano in ogni caso nella stessa forma) come gli avverbi, e lessemi variabili come i verbi o gli aggettivi. - Bello, bella, bellissimi sono “tre parole diverse” nel senso che presentano diverse forme del medesimo lessema. Per quanto riguarda i tempi composti dei verbi, notiamo che le forme di parola possono essere costituite da piu parole fonologiche chiaramente distinte - Eravate stati aiutati → costituisce una unica forma della parola aiutare, ma si tratta di tre parole fonologiche, dotate ciascuna di accento proprio e autonomia articolatoria. Questo sottolinea il legame fra lessico e morfologia → per ottenere una forma di parola è necessario che il lessema passi attraverso la morfologia. La forma di parola sul piano sintattico va considerata come il sintagma minimo. Il lessico si articola in classi di lessico, cioè sistemi di parole che condividono alcune proprietà a livello semantico, sintattico e morfologico. Le prime due classi del lessico individuate nella storia della grammatica sono quella del nome e quella del verbo, ma le lingue storico-naturali ne presentano molte altre. Tali classi possono variare in numero e struttura da lingua a lingua. In italiano le classi del lessico (o parti del discorso) sono nove. Ciascuna di esse coincide con una particolare “prospettiva” del valore linguistico: si tratta del ruolo semantico. Nomi → indicano entità Verbi → eventi Congiunzione → rapporto Per quanto riguarda le funzioni sintattiche: Nomi → fungono da soggetti o da oggetti Verbi → fungono da predicati grammaticali Congiunzione → funzione di unione di due enunciati in un unico enunciato complesso Dal punto di vista morfologico ogni classe variabile del lessico ha una sua caratterizzazione: Nome → si caratterizza per avere il genere e il numero Verbo → si caratterizza per il modo, tempo, persona, numero PARTI DEL DISCORSO VARIABILI → nome, aggettivo, articolo, pronome, verbo PARTI DEL DISCORSO INVARIABILI → preposizione, congiunzione, interiezione Avverbio → si colloca a metà strada (variabilità limitata ad alcuni elementi della classe) 6.2 I PROCESSI DI STRUTTURAZIONE DEL LESSICO Abbiamo osservato che ciascun reparto della lingua può essere concepito come un generatore delle proprie strutture intermedie: vediamo in che senso il lessico “genera” i lessemi. Partiamo col mettere a fuoco il concetto di generazione nelle scienze linguistiche. Il punto di partenza è la nozione di decidibilità di un insieme: un insieme è detto decidibile se siamo in grado di enumerare i suoi elementi, cioè di stabilire se un elemento dato appartiene o no all’insieme. Per fare ciò, la procedura più pratica è quella di definire i criteri di appartenenza degli elementi all’insieme, ossia i tratti necessari e sufficienti. - Per esempio, dovendo assicurare la decidibilità dell’insieme di numeri pari, invece di elencarli all’infinito, posso ottenerla attraverso una definizione costitutiva che assumendo in ingresso l’insieme dei numeri interi (x), genera in uscita l’insieme dei numeri pari (y). 2x → y In ingresso del generatore lessicale si collocano tre tipi di strutture: • LESSEMI ELEMENTARI → non è riconducibile ad altri lessemi (ossia non può essere ottenuto mediante qualche procedimento da un altro lessema): per esempio, casa e cantare sono elementari, mentre casalingo e cantante sono lessemi strutturati. Lessemi elementari e lessemi strutturati sono detti insieme lessemi canonici, a cui si oppongono i fraseologismi (sintemi e funzioni lessicali), che presentano una struttura più complessa. • LESSEMI LATENTI → un tipo particolare di lessemi elementari: non occorrono mai come unità lessicali autonome (cioè lessemi elementari), ma sono presenti solamente come costituenti di lessemi strutturati. In italiano sono molto frequenti i lessemi latenti di origine latina, come quello attestato dai lessemi condurre, dedurre, indurre, tradurre, tutti formati a partire dal lessema latente *durre (lat. dùcere). Le famiglie dei lessemi latenti sono spesso assai numerose. • FORMATIVI → I formativi lessicali vengono utilizzati nei processi di formazione dei lessemi. Non sono autonomi, vanno uniti al lessema. Tra i formativi troviamo suffissi e prefissi. In lingue diverse dall’italiano ci sono anche infissi (formativi che entrano nel corpo del lessema elementare) e circonfissi (formativi discontinui che si attaccano prima e dopo il lessema). In uscita si trovano LESSEMI ELEMENTARI (acqu-a, cas-a) e LESSEMI STRUTTURATI (acqu-os-o, cas-ett-a). I processi a cui i lessemi sono sottoposti entro il generatore lessicale di una certa lingua possono essere di tipo abbastanza diverso. Tra i processi di strutturazione lessicale consideriamo: • PROCESSI DI FORMAZIONE - DERIVAZIONE – acqua → acquoso - ALTERAZIONE – casa → casetta - COMPOSIZIONE – capostazione/posacenere - COMBINAZIONE – bambino prodigio • PROCESSI FRASEOLOGICI - SINTEMI – testa di cuoio - FUNZIONI LESSICALI – prestare attenzione A volte i processi si sommano l’un l’altro dando origine a lessemi strutturati più volte. 6.3 I PROCESSI DI FORMAZIONE Nel descrivere i processi di formazione è opportuno tener conto di tre aspetti: - L’eventuale cambiamento di classe del lessema - L’eventuale aggiunta di formativi • DERIVAZIONE → è un procedimento che, applicato a un lessema di una qualsiasi classe o sottoclasse, fa ottenere nella generalità dei casi un lessema di una classe o sottoclasse diversa. - L’eventuale cambiamento del significato del lessema BASE DERIVATO TIPO Isola Isolare Verbo denominale Arrivare Arrivo Nome deverbale Bello Bellezza Nome deaggettivale Verde Verdeggiare Verbo deaggettivale Casa Casalingo Aggettivo denominale Amare Amabile Aggettivo deverbale Dolce Dolcemente Avverbio deaggettivale comunicazione e un’altra lingua per altri tipi di comunicazione (Ex. Diglossia italiano-latino) • COMBINAZIONE → procedimento di formazione del lessico dato dalla semplice giustapposizione di due lessemi appartenenti alla stessa classe del lessico, tra i quali si stabilisce un rapporto di tipo attributivo. Un aspetto tipico della combinazione è che le due basi vengono percepite come ancora abbastanza distinte: nella grafica, i due elementi possono essere congiunti (anche dal trait d’union) o meno. Qualche esempio di combinati NOME + NOME: bambino prodigio, asilo nido, uomo ragno, giocoforza, formicaleone, zanzara tigre, ecc. Il plurale di questi sostantivi si forma generalmente variando solo il primo termine, mentre nelle combinazioni aggettivali AGGETTIVO + AGGETTIVO (agrodolce, grigioverde) il plurale si manifesta nel secondo componente. I lessemi formati da VERBO + VERBO danno origine a sostantivi; i due verbi sono solitamente di significato opposto (dormiveglia, saliscendi, bagnasciuga, parapiglia), oppure identici (fuggi fuggi, lecca- lecca, pigia pigia). • ALTERAZIONE → servendosi di un suffisso, non modifica l’appartenenza del lessema a una determinata classe del lessico, ma ne modifica il significato secondo categorie standard. È un procedimento molto produttivo in italiano e in spagnolo, meno in francese, tedesco e russo, quasi assente in inglese. - In italiano esistono: • DIMINUTIVI – cas-in-a, asin-ell-o, libr-ett-o, piccol-in-o, salt-ell-are • VEZZEGGIATIVI – car-ucci-o, ors-ett-in-o • ACCRESCITIVI – om-on-e, donn-on-e, cas-on-e, libr-on-e, fontan-on-e • PEGGIORATIVI/DISPREGIATIVI – post-acci-o, verd-astr-o, avvocat- uncol-o Spesso nella comunicazione orale si usa l’alterato per creare un particolare effetto di atmosfera. Se per esempio voglio offrire a mio nipote “un gelatino”, non mi riferisco a un gelato piccolo e grazioso. Questa dimensione dunque è tipicamente pragmatica e non semantica perche riguarda non il contenuto della comunicazione, ma la posizione dei soggetti che comunicano → processo carico di espressività. L’alterazione, pur riguardando prevalentemente i nomi, tocca anche gli aggettivi, i verbi (canticchiare, canterellare, dormicchiare, parlottare, giocherellare), gli avverbi (pochino, pianino, malaccio, benone) e i pronomi (qualcosina). Vanno segnalati numerosi lessemi che, pur presentandosi apparentemente come alterati, sono in realtà lessemi derivati (ciabattino, spazzino, postino, gommone, pennino, pennone). Questi hanno una funzione nominativa autonoma. Osservazione – L’analisi dei lessemi strutturati In molti casi i processi di formazione del lessico sono applicati a lessemi già strutturati. In questi casi occorre risalire dal lessema strutturato al lessema elementare. Consideriamo per esempio il nome fidelizzazione: è un nome deverbale derivato dal verbo fidelizzare; il lessema fidelizzare è un verbo deaggettivale derivato dall’aggettivo fedele, che a sua volta è un aggettivo denominale derivante da fede: ecco il lessema elementare. 6.4 PROCESSI FRASEOLOGICI: SINTEMI E FUNZIONI LESSICALI Mentre i processi di strutturazione lessicale fin qui considerati facevano uso di lessemi elementari, di lessemi latenti e di formativi, quelli che ora consideriamo hanno come base strutture sintattiche che vengono poi in diverso modo lessicalizzate. • I SINTEMI sono combinazioni sintattiche che vengono a essere percepite come un’espressione lessicale unica. I sintemi si formano nel tempo attraverso un uso prolungato e frequente. Per esempio, l’espressione “Non ho una lira” ha avuto un uso prolungato e il passaggio all’euro l’ha fatta diventare un sintema, che resta depositato nella lingua italiana come testimonianza storica di un uso passato. I sintemi sono di diverso tipo: NOMINALI – gatto delle nevi, stella di Natale, baci di dama, piede di porco, in francese langue de bois, ecc. VERBALI – farsi in quattro per qualcuno, cogliere la palla al balzo, gettare la spugna, dar fuori di matto, ecc. AVVERBIALI – alla carlona, come si deve, in men che non si dica, sul più bello, in un batter d’occhio, ecc. PREPOSIZIONALI – a forza di, a furia di, alla faccia di, a cavallo tra, ecc. Il significato di un sintema non è composizionale, perchè il significato dell’espressione attuale non tiene conto del significato proprio delle singole parole che la compongono, ma si ricostruisce piuttosto attraverso un procedimento motivazionale. Si dice che la denominazione è lessicalizzata e non composizionale. • Le FUNZIONI LESSICALI sono state studiate sistematicamente per la prima volta dal linguista russo A. Mel’čuk, che ne ha individuate circa cinquanta. Qui ne presentiamo solo due: Oper1 e Magn. - Oper1 esprime il rapporto tra il nome di una situazione (decisione) e il verbo indicante l’azione di chi mette in atto quella situazione (prendere). Nella funzione lessicale il valore dei diversi elementi lessicali che svolgono la stessa funzione lessicale (per esempio i verbi che esprimono le azioni delle situazioni) resta fondamentalmente lo stesso, cioè un generico “fare”, “mettere in atto”. La scelta dell’uno piuttosto che dell’altro dipende dal nome della situazione. Si tratta dunque di varianti fraseologiche, la cui scelta dipende dal contesto sintattico in cui compaiono. In rapporto a una certa funzione, le varianti che la rappresentano cambiano notevolmente da lingua a lingua (prendere una decisione ≠ to make a decision). Oper1 può essere rappresentata genericamente così: Oper1 (x) = y - Magn realizza l’intensificazione dell’aggettivo. Per esempio l’intensificazione lessicalizzata di ricco in italiano è sfondato. Magn (morto) = stecchito Magn (innamorato) = perso 6.5 ALL’USCITA DEL COMPONENTE LESSICALE I “semilavorati” che troviamo all’uscita del componente lessicale sono di natura piuttosto varia e destinati a reparti diversi del laboratorio linguistico. Confrontando l’ingresso con l’uscita troviamo innanzitutto che non compaiono più nè lessemi latenti nè formativi: sono in effetti materiali lessicali non autonomi, che servono per costruire processi di strutturazione. Compaiono invece i lessemi canonici e i fraseologismi. CAPITOLO 7 LA MORFOLOGIA 7.1 LESSICO E MORFOLOGIA Come già anticipato, la struttura intermedia che ora prendiamo in considerazione opera in diretta correlazione con il lessico. Già studiata nell’antichità, formava per i medievali, insieme alla sintassi, la grammatica che era considerata ars obbligatoria. La sua obbligatorietà sta in particolare nel fatto che un lessema variabile non può mai comparire privo del suo componente morfologico. Compito specifico della morfologia è quello di trasformare il lessema variabile in sintagma minimo, ossia in lessema così come si presenta nel testo. Come già si è più volte sottolineato, i lessemi possono essere variabili o invariabili. Nei lessemi variabili la forma di parola presenta un componente lessicale e un componente morfologico. Guardiamo alcuni esempi concernenti i verbi in alcune lingue europee. ITALIANO → CANT -ARE FRANCESE → CHANT -ER SPAGNOLO → CANT -AR INGLESE → TO SING La forma di parola si costituisce in questo modo: il lessema variabile entra nel reparto “morfologia". In base alla classe del lessico di cui fa parte, il lessema deve caratterizzarsi obbligatoriamente secondo certe categorie e non altre, assumendo entro ciascuna di queste una delle alternative (dette morfemi) che questa prevede. Per esempio il nome deve caratterizzarsi secondo la categoria del numero o del genere, assumendo il morfema del singolare/plurale/maschile/femminile, ma non deve caratterizzarsi secondo la categoria del tempo come avviene, invece, per il verbo. In uscita, la forma di parola è pronta per entrare, in quanto sintagma minimo, nel reparto della sintassi, insieme ai lessemi non variabili. Lessico e morfologia presentano alcune differenze: - Il lessema da solo riesce a comunicare un suo significato, mentre il suo componente morfologico da solo non comunica nulla. - Le classi del lessico contengono un numero di lessemi tendenzialmente ampio, mentre le categorie morfemiche presentano comunque un numero di morfemi chiuso e ristretto. - Il lessico evolve velocemente senza stravolgere il sistema linguistico, mentre nella morfologia i cambiamenti sono piu rari e piu lenti e comportano trasformazioni radicali. francese (vert), che si distingue dal femminile (verte) per l’assenza del fonema “t” in fine di parola. Parliamo in questo caso di morfo -1 perchè una delle forme della parola manca di un suono che fa parte del lessema stesso. • L’AMALGAMA MORFEMATICO → si tratta di un morfo che manifesta più di un morfema, come nel caso del verbo cant-a: in effetti in –a sono rappresentati tutti i numerosi morfemi che caratterizzano questa forma. Nelle lingue flessive, l’amalgama è il morfo tipico. • IL SINCRETISMO → un tipo particolare di omonimia a livello morfologico, per cui morfemi diversi della stessa categoria morfematica ricevono la stessa manifestazione. Come dice l’etimologia greca della parola, nel sincretismo due o più morfi vengono “confusi”, diventando indistinguibili. Si tratta di una mancata distinzione delle opposizioni entro la stessa categoria. Per esempio nel congiuntivo presente italiano - I morfi della 1°, 2° e 3° persona singolare non presentano alcuna differenza sul piano fonologico. Si dice che le tre forme siano sincretiche rispetto alla persona. Invece nel caso di forme di parola come canta, che può essere 3° persona singolare dell’indicativo presente o 2° persona singolare dell’imperativo, non si tratta di sincretismo, ma semplicemente di omonimia. che io ved-a che tu ved-a che egli ved-a In casi di sincretismo bisogna ricorrere ai diversi livelli del cotesto e al contesto per individuare la forma di parola. In generale la distinzione viene recuperata tramite un processo di disambiguazione, ossia mediante un inferenza (un ragionamento) con cui cancelliamo le interpretazioni del morfo non compatibili con il cotesto o con il contesto. Tutte le strutture intermedie possono essere utilizzate per la disambiguazione a livello morfologico. Per esempio, in “Spero che Luigi mi ascolti” è chiaro che la persona è la 3° perchè lo si evince dalla costruzione sintattica. Osservazione – La ridondanza La ridondanza è la ripetizione di un segnale, che contrasta con sincretismi e omonimie riducendo l’ambiguità del testo. Consideriamo l’enunciato francese: - Toutes les chattes sont heureuses de manger du fromage In questo esempio compaiono ben cinque segnali che indicano il plurale, cioè vengono manifestati cinque morfemi del plurale: c’è un evidente ridondanza che, peraltro, nell’orale viene drasticamente ridotta. Ma la ridondanza riguarda anche altri livelli, semantici e pragmatici, e prende in questo caso il nome di tautologia. Enunciati come: - I bambini sono più giovani degli adulti - Le montagne sono più in alto delle pianure non dicono niente di nuovo e rischiano di essere percepiti come insensati. In effetti, una delle missioni della comunicazione è quella di apportare “notizie” all’interlocutore, cioè dire qualcosa di nuovo e catturare la sua attenzione. La presenza eccessiva di ridondanza semantica rende il messaggio noioso. Questa è la tautologia. Se la ridondanza è portata all’eccesso, l’interlocutore cerca un motivo nascosto che dia senso al messaggio. Si tratta allora di un tropos: l’interpretazione del senso del testo viene riconvertita, in base al principio di buona volontà. Sul versante opposto a quello della ridondanza si colloca l’equivocità, che nasce dalla carenza di distinzioni necessarie. Ridondanza ed equivocità fungono l’uno verso l’altro da correttivi: la ridondanza riduce il rischio di farsi fraintendere, la diminuzione dei segnali scontati riduce il rischio di annoiare. • IL MORFO DISCONTINUO → Si tratta di un manifestante morfologico che si realizza in modo discontinuo, prima e dopo il lessema. Per esempio, in italiano: - hai cant-ato → diatesi attiva, modo indicativo, tempo passato prossimo, numero singolare e 2° persona sono manifestati in amalgama dal morfo discontinuo hai ...-ato. Il morfo discontinuo non è costante in tutte le lingue: a quello che in italiano è un morfo discontinuo può corrispondere, per esempio in latino, un morfo continuo (sono lodato → laudor). Il morfo discontinuo può coinvolgere più di una parola fonologica; anche in questo caso si costituisce un’unica forma di parola. - era stata raccontata → un’unica forma di parola formata da tre parole fonologiche (la parte in grassetto indica il componente morfologico; la parte in corsivo indica il lessema). Gli ausiliari sono strutture linguistiche che, usate autonomamente, sono di natura lessicale, ma svolgono in questo caso una precisa funzione morfologica. • IL SUPPLETIVISMO MORFOLOGICO → Consideriamo due forme del verbo italiano essere come sono e fui: per noi è naturale che si tratti dello stesso verbo, ma tra sono e fui non c’è nemmeno un fonema in comune. Come possono essere forme della stessa parola? Il suppletivismo morfologico è il fenomeno per cui si utilizzano significanti lessematici totalmente diversi per lo stesso lessema, in determinate forme di parola. • L’ALLOMORFÌA → quando lo stesso morfema si può manifestare in modi diversi, cioè quando più morfi diversi rappresentano lo stesso morfema. Per esempio in italiano il morfema del modo verbale infinito ha quattro manifestazioni diverse: cant-are, légg-ere, vol-ére, dorm-ire. In tutti questi casi non c’è libertà di scegliere un morfo piuttosto che un altro, in quanto si tratta di varianza contestualmente legata: dipende dal lessema. Il morfema può manifestarsi in svariati modi, tra cui l’apofonia, ossia la modificazione di una vocale del lessema. Per esempio in inglese I break → I broke, oppure in francese je vois → je vus. Fino a qui abbiamo esaminato le strategie di manifestazione dei morfemi, cioè i morfi. Consideriamo ora i morfemi in se stessi, cioè il versante della loro funzione. 7.8 FUNZIONI DEI MORFEMI: MORFEMI INTRINSECI ED ESTRINSECI A livello lessicale le parole non svolgono tutte la stessa funzione. Abbiamo già visto la differenza fondamentale tra lessemi con significato categoriale (casa, albero, camminare) e i deittici, che veicolano non veri e propri significati, ma istruzioni per identificare momenti e aspetti del contesto comunicativo (io, tu, adesso, questo). Naturalmente le informazioni date dalle forme di parola non dipendono esclusivamente dal loro significato lessicale, ma anche dal loro componente morfologico. Va osservato che i morfemi possono veicolare due tipi di informazioni: informazioni sintattiche e informazioni semantiche. Esaminiamo un’espressione come person-a buon-a: il morfo –a di persona e il morfo –a di buona sono equivalenti? Non lo sono, perchè il singolare del sostantivo ha un valore semantico proprio: dice che si sta parlando di una singola persona. In questo caso il morfema del numero è semantico o intrinseco. Passando al morfo –a di buona, vediamo invece che il singolare non ha la funzione di indicare “una sola bontà”, ma quella di indicare il nesso sintattico che lega l’aggettivo al sostantivo. Questo morfema è pertanto sintattico o estrinseco. Il morfema estrinseco, a differenza di quello intrinseco che concerne direttamente il contenuto, serve per comunicare una concordanza sintattica. Nel caso dei morfemi sintattici il valore semantico della morfologia non è immediatamente disponibile, ma è mediato dalla struttura intermedia della sintassi. 7.9 NOTA SUI MORFOLESSEMI Nel classificare gli oggetti è frequente che si presentino dei casi dubbi, in cui un’entità ha contemporaneamente caratteristiche tipiche di classi diverse. La collocazione di queste strutture è piuttosto problematica. Risulta allora utile pensare alla classe delle strutture lessicali e all’insieme delle strutture morfologiche come intersecantesi: nell’intersezione tra i due si trovano i cosiddetti morfolessemi. Tra i casi tipici di morfolessemi ci sono gli articoli, parole dotate di propria autonomia articolatoria, ma dipendenti dai sostantivi a cui si riferiscono per figurare un testo. - “Il” → non si può isolare una parte lessicale e una parte morfologica all’interno di questa forma di parola, la quale si esaurisce in un certo senso nella manifestazione in amalgama di tre morfemi: maschile, singolare (morfemi estrinseci), determinato (morfema intrinseco). Parliamo perciò di morfolessema. Un altro caso di morfolessema è il verbalizzatore essere, nei contesti in cui la sua unica funzione è quella di manifestare il nesso tra una proprietà (il predicato biondo) e il suo argomento (Luigi) che coincide con il soggetto sintattico. CAPITOLO 8 IL POTERE COMUNICATIVO DELLE PARTI DEL DISCORSO Ciascuna delle parti del discorso (o classi del lessico) rispecchia la realtà secondo una prospettiva specifica, propria, che gli antichi chiamavano proprietas. Questa articolazione del lessico in classi nasce dal fatto che ciascuna parola, in quanto appunto possiede determinate proprietates semantiche, svolge accade o non accade. La realtà che esso designa è una proprietà, una fatto, una situazione, un evento. Attraverso i nomi astratti è possibile manipolare il destinatario, parlandogli di cose che non esistono: in questo modo si da consistenza di realtà a cose che non possono averne (Ex. “La volontà del popolo). • NOMI NUMERABILI E DI MASSA (in rapporto al tratto della distinguibilita): - I nomi numerabili designano entità delimitate nello spazio, come oggetti o corpi, oppure eventi delimitati nel tempo in quanto hanno un inizio e una fine. - I nomi di massa designano realtà che non presentano precisi confini nello spazio o nel tempo e che possono essere anche nomi di stati o di attività continuative. Questi possono essere sia concreti che astratti. Assenza del tratto della distinguibilità. • NOMI INDIVIDUALI E COLLETTIVI (distinzione all’interno dei nomi numerabili → rilevanza del singolo individuo o dell’insieme): - I nomi individuali designano singole entità - I nomi collettivi indicano i raggruppamenti tipici di alcune entità (numero minore rispetto a quello dei nomi individuali). GLI USI DEL NOME La struttura semantica del nome comprende una componente denotativa (X) e una componente categoriale (P). Negli usi del nome puo essere privilegiata luna o l’altra dimensione. • USO DENOTATIVO → ciò che sta in primo piano è l’individuazione di una realtà; la componente predicativa è sfruttata per far capire a che realtà ci riferiamo. Il nome svolge in questo caso la funzione semantica di argomento. • USO CATEGORIALE → prevale la componente predicativa - nome usato come predicato → predicato nominale. In questi casi il contenuto del nome viene utilizzata per caratterizzare la realtà indicata da un altro nome (“Paolo è un poeta”). - nome come nucleo di un SN in funzione di apposizione di un altro SN. Ex. “Un bimbetto, un soldo di cacio, correva sul prato”. - uso categoriale del nome anche nella sua funzione di argomento. Ex. “Il presidente della Repubblica sembra avere poteri limitati” → il nome è qui utilizzato per indicare un ruolo. Gli usi, denotativo e categoriale, diventano particolarmente significativi per i nomi di massa. Osserviamo che il singolare dei nomi di massa indica semplicemente la qualità della massa, mentre il plurale viene an indicare tipi diversi di massa. Questo ha una conseguenza per gli usi piossibili di questo tipo di nomi: nell’uso categoriale essi sono direttamente utilizzabili senza trattamenti particolari (“Il vino rallegra il cuore”), nell’uso denotativo è necessario recuperare il tratto della distinguibilità. È necessario far diventare in qualche modo i nomi di massa numerabili introducendo uno strumento (misure, contenitori, quantità, ecc) che ne delimiti delle unità precise (“Un litro di vino basterà”). CAPITOLO 9 DALLA STRUTTURA SINTATTICA ALL’ORGANIZZAZIONE TESTUALE La nozione di gerarchia dei predicati è importante per la comprensione della struttura testuale. Predicati come non, forse, nervosamente, se, perchè richiedono argomenti di natura predicativa, istituendo così una gerarchia tra predicati, alcuni di rango superiore e altri di rango inferiore. Consideriamo il seguente enunciato: - “Andrea non ha finito il lavoro perchè l’ha chiamato Giovanni” Il predicato diadico perchè esprime una relazione di causalità tra due argomenti, “Andrea non ha finito il lavoro” (x1) e “Giovanni l’ha chiamato” (x2). Ciascuno dei due argomenti nasconde a sua volta una struttura predicativo argomentale. “Andrea non ha finito il lavoro” è dominato dal predicato monadico non, il cui argomento “Andrea ha finito il lavoro” ha ancora un altro predicato diadico (finire); “Giovanni l’ha chiamato” è dominato dal predicato diadico chiamare. Si nota chiaramente la gerarchia: perchè domina non e chiamare; non domina finire; finire domina Andrea e il lavoro; chiamare infine domina Giovanni e lo. Il testo va inteso come una gerarchia di predicati che si manifesta in una strategia complessa di cui la struttura sintattica è un momento rilevante. 9.1 DAL SINTAGMA MINIMO ALL’ENUNCIATO I sintagmi minimi coincidono sostanzialmente con le forme di parola: si tratta di unità minime che costituiscono la “combinazione significativa”, essi sono costituiti da lessemi invariabili e da lessemi variabili, questi ultimi già elaborati dal punto di vista morfologico tenendo conto degli altri sintagmi minimi con cui si devono combinare. Il sintagma minimo può costituire da solo un sintagma, oppure può unirsi ad altri sintagmi minimi per formare sintagmi nominali, verbali, preposizionali, ecc. I sintagma è una parola o un insieme di parole che svolgono una e una sola funzione sintattica. • SINTAGMA NOMINALE (SN) → è costruito attorno a un nome che ne costituisce il nucleo, con le sue eventuali espansioni. Ad esempio, questo gatto, un lavoro intelligente. Il SN può assumere entro l’enunciato funzioni diverse: soggetto, oggetto, complemento (passeggiava con un bambino), predicato nominale (Luigi è un bambino), apposizione (Luigi, un bambino furbetto, conosce tanti indovinelli). • SINTAGMA VERBALE (SV) → costituente formato dal verbo e dal determinante che ad esso eventualmente si associa. Maria mangia un grossa fetta di torta oppure Luigi è davvero simpatico. • SINTAGMA PREPOSIZIONALE (SPrep) → è formato da un SN retto da una preposizione. Sul tavolo/nell’armadio. Può essere anche incluso nel SV in quanto completa sintatticamente il verbo (Luigi litiga con Maria), oppure formare un sintagma a parte che aggiunge informazioni alla struttura sintattica del verbo (Luigi litiga con Maria per l’auto). • SINTAGMA PREDICATIVO (SP) → comprende il sintagma che ha per nucleo il verbo, nelle sue relazioni con tutti i suoi altri sintagmi. In questa prospettiva, l’enunciato Luigi litiga con Maria per l’auto risulta formato da SN Luigi e dal SP litiga con Maria per l’auto. SN soggetto e SV costituiscono l’articolazione fondamentale per l’organizzazione sintattica del testo, senza la quale non potremmo nemmeno pensare a un messaggio. Il SV indica la presenza di una frase: il verbo è, di regola, il vertice sintattico dell’enunciato e della frase. I sintagmi sono costituenti, cioè gruppi di una o più parole che svolgono funzioni sintattiche unitarie entro l’enunciato. Come delimitare i costituenti? L’operazione è tradizionalmente chiamata parsing. Si procede, di solito, per sostituzioni: lasciano intatta la struttura sintattica dell’enunciato, pur modificandolo dal punto di vista semantico. Per evidenziare il “significato sintattico” di una frase si applicano all’enunciato due tipi di test: • Sostituzione dei costituenti → dove SN e SPrep possono anche essere sostituiti da pronomi, detti “pro-forme”. • Permutazione → i costituenti si caratterizzano per la possibilità di mutare di posizione senza cambiare il proprio significato sintattico, cioè le proprie relazioni all’interno dell’enunciato. Struttura sintattica fondamentale di un enunciato = E → SN + SP I costituenti emergono nella linearità dell’enunciato, manifestandone l’organizzazione gerarchica, cioè le relazioni di dipendenza → ciascun costituente assume senso sintattico in rapporto alla totalità cui si lega. Le relazioni di dipendenza si articolano in diversi tipi: tra di esse si annoverano il rapporto tra il verbo e i sintagmi ad esso legati come anche altre relazioni di determinazione – per esempio oggetto - apposizione (Questo libro, caposaldo della linguistica generale, è stato scritto...), nome - modificatori (Mario mi ha dato un suggerimento pertinente), determinante - modificatore (Stefano è molto alto). La dipendenza può essere segnalata in modo diverso: in varie lingue è la posizione a segnalarla, in altre uno strumento morfologico come la concordanza o la reggenza. Oltre al soggetto, anche altre parti dell’enunciato dipendono dal verbo. La valenza, in particolare, indica il numero di attanti di un verbo, cioè le relazioni di dipendenza che ciascun verbo richiede. Gli attanti necessari spesso non combaciano con il numero dei posti argomentali. La correttezza sintattica in effetti richiede la saturazione delle valenze, non quella dei posti argomentali (alcuni argomenti possono anche essere omessi). 9.2 LE STRATEGIE DI MANIFESTAZIONE DEL NESSO SINTATTICO I nessi sintattici (fenomeni di tipo morfo-sintattico), nelle lingue sintetiche, si manifestano fondamentalmente secondo tre modalità: • CONCORDANZA → manifesta i nessi interni a un sintagma. Consiste nella presenza obbligatoria di morfemi Luigi studia linguistica, che è la sua materia preferita Nel primo esempio “ha detto” rappresenta un verbo triadico, il cui terzo argomento é la subordinata completiva “che andrá a trovarla lunedí”. La congiunzione ha natura puramente sintattica di collegamento della frase subordinata al suo ruolo argomentale. Nel secondo esempio il predicato monadico essere soddisfatto é collegato al suo unico argomento, “Luigi”. L’ipotassi va interpretata a partire dalla congiunzione “perché”, un predicato diadico i cui argomenti sono rispettivamente “Luigi é soddisfatto” e “ha acquistato il tagliaerba”. Nel terzo esempio compare una subordinata relativa introdotta dal pronome “che”. La relativa può specificarsi come individuativa o descrittiva (I soldati che si sono battuti valorosamente saranno premiati → solo quelli che si sono battuti valorosamente! ≠ I soldati, che si sono battuti valorosamente, saranno premiati → tutti i soldati!). La paratassi presenta strategie piú complesse, in quanto molto spesso la sua natura profonda é ipotattica. La coordinazione si può realizzare all’interno di un sintagma oppure a livello enunciativo: - Luigi ha visitato Brescia e Verona - Luigi mangia pane e Nutella Nel primo caso la coordinazione riguarda due sintagmi nominali nella relazione di oggetto diretto: se ne puó sopprimere uno o l’altro senza variare la struttura sintattica dell’enunciato. L’ordine suggerisce come interpretazione la successione temporale. Nel secondo caso la coordinazione é la strategia di manifestazione di una struttura ipotattica: l’ordine dei coordinati ha una precisa funzione gerarchica (invertendo i due sintagmi congiunti si ottiene un effetto comico → Luigi mangia Nutella e pane). In un esempio come: - Beatrice e Laura sono nate a settembre la congiunzione dei soggetti è una forma sintetica per congiungere l’essere nata di Beatrice con l’essere nata di Laura, dato che nascere é un predicato monadico. Ancora diverso il caso di: - Chiara e Silvia conversano animatamente dove i due soggetti sintattici rappresentano i due argomenti del predicato diadico conversare. Ci sono anche casi in cui la coordinazione di enunciati serve a manifestare ipotassi, come nel caso di: - Il bambino correva e gridava Il secondo elemento congiunto svolge la funzione di determinante rispetto al primo: Il bambino correva gridando. Invece in: - Piove e c’è il sole la congiunzione coordina due enunciati autonomi, é un predicato sovraordinato che ha come argomenti i due predicati. 9.4 I PROCESSI DI TESTUALIZZAZIONE I processi di testualizzazione rappresentano il luogo dell’interazione tra processi inferenziali, dimensione pragmatica e sistema linguistico. Li passeremo, di qui in poi, in rassegna tutti, soffermandoci di piú su quelli che coinvolgono procedimenti sintattici. • Il SINTEMA é un fraseologismo in cui la composizionalitá risulta sospesa: la composizionalitá del sintema puó essere ricostruita attraverso un procedimento diacronico o sincronico che ne recuperi l’origine. Nel sintema la significazione é dell’insieme pur non essendo composizionale. - (Per) studiare, studia. Peró non impara - Cammina cammina siamo arrivati alla cascata - Mary had her hair cut last Saturday - Pierre vient d’arriver Le costruzioni sono dei “fraseologismi sintattici”, costrutti idiomatici che hanno una struttura e una significazione sintattica propria, non riconducibile a una regola composizionale evidente. • ENUNCIATI LEGATI, espressioni come “Si figuri” oppure “Non ci si può lamentare” che vengono a fissarsi su una delle possibili interpretazioni, che viene convenzionalizzata. Possono essere definiti “selettori d’inferenza”. Si possono attivare, peró, inferenze diverse in particolari contesti, in cui un’espressione come “Non ci si puó lamentare” significa letteralmente che non si ha il permesso di lamentarsi. • Analogo il fenomeno delle FUNZIONI LESSICALI, che operano come veri e propri “riduttori semantici”: il lessema che viene utilizzato per svolgere la funzione lessicale specializza il suo valore in modo univoco, sospendendo tutte le altre significazioni possibili. • Nella DISAMBIGUAZIONE il procedimento di rifinitura del valore é più pienamente sintattico, perché è proprio la composizionalitá a innescare i processi inferenziali che consentono di individuare la significazione richiesta, tra più interpretazioni alternative possibili. Per esempio, il verbo affittare puó significare, a seconda dei contesti, sia prendere in affitto che dare in affitto. La disambiguazione opera anche nel contesto di vere e proprie omonimie, pensiamo a Chiara ha visitato la fiera del mobile. • Diversa ancora é la SATURAZIONE DI PREDICATI NASCOSTI, che opera negli aggettivi predicativo relazionali come statale, in finanziamento statale (erogato dallo stato), strada statale (gestita dallo stato), impiegato statale (dipendente dello stato), ecc.. Lo stesso processo consente di “riempire di senso” quelle preposizioni che possono nascondere predicati disparati, come in “Ecco il libro di Gianni!” dove di puó significare “scritto da Gianni”, “presentatomi da Gianni”, “perso da Gianni”, “che voglio regalare a Gianni”, “di cui mi ha parlato Gianni”, ecc. Rientrano in questa categoria anche i deittici valutativi, aggettivi o avverbi la cui funzione dipende dall’argomento al quale sono associati: posso dire buona di una torta, di un’amica, di una risposta, con valori sensibilmente diversi. • Interessante per la sintassi anche il processo di SPECIFICAZIONE, che consiste nell’adattamento reciproco dei contenuti categoriali ai due predicati quando essi vengono uniti in una sola struttura predicativo-argomentale. Frequente nell’uso aggettivale: confrontando “Pietro é grasso” con “Pietro é acuto”, osserviamo che la specificazione del valore non riguarda solo l’aggettivo, ma anche il nome, che si specifica rispettivamente come corporatura di Pietro e come sua intelligenza. Oppure in “occhi verdi”, “occhi rossi”, “occhio nero”, dove il valore degli aggettivi si specifica volta per volta e anche il nome occhi assume contenuto diverso (rispettivamente: iride, congiuntiva, zigomo). Accanto a questo operano processi di pertinentizzazione e di quantizzazione, che possono ulteriormente arricchire la semantica attivano processi inferenziali di altra natura. • Le COSTRUZIONI sono strutture enunciative (e non lessicali, pertanto non sono come i sintemi) non composizionali. Potrebbero essere considerate come “sintemi sintattici”. • Infine la FIGURATICA della sintassi comprende gli effetti di senso creati attraverso le sfruttamento del potere veicolato dalle parti del discorso. Abbiamo giá messo a fuoco gli effetti che si possono ottenere presentando una qualitá attraverso verbi piuttosto che aggettivi: consideriamo ad esempio due versi danteschi. - Vede la campagna / biancheggiar tutta. - Per li grossi vapor Marte rosseggia / giú nel ponente sovra ‘l suol marino. Nel primo passo un contadino si dispera perché vede la campagna bianca di brina e teme abbia nevicato, tanto da non permettergli di portare al pascolo le pecore: il verbi biancheggiare drammatizza la scena. Nel secondo passo, Dante vede una grossa luce rossa sul mare che assomiglia alla vista di Marte che splende nei suoi vapori rossi: il verbo rosseggia esprime lo splendore indistinto del pianeta. Fenomeni di figuratica si ottengono anche nominando eventi, qualitá e relazioni attraverso sostantivi, che conferiscono ai predicati la suggestione di realtá che é tipica del nome. - L’obiettivo della ricerca é il miglioramento della qualitá In questo enunciato due predicati (ricercare e migliorare) sono messi in relazione e presentati attraverso nomi come realtá consistenti. Appartiene a questo capitolo anche la semantica dei conversivi morfo-sintattici e in particolare quella veicolata dalla diatesi passiva, che può consentire ad esempio di trasformare il paziente in soggetto, di cancellare l’agente, di mettere a fuoco prospettive alternative. - SAGGIO LA GRAMMATICA DEL LESSICO: UN’APPLICAZIONE ALL’ITALIANO Organizzazione → nomen actionis (nome derivato) da organizzare. Presenta una polisemia complessa: essa può indicare oltre all’azione, al processo (Ex. organizzazione di una festa) anche il risultato (Ex. organizzazione economica). Nel primo caso, il verbo sotteso al derivato ha il valore di ‘fare, realizzare con ordine e razionalità’ (obiectum effectum → l’oggetto è fatto esistere dall’azione); nel secondo caso, il verbo alla base del derivato indica ‘portare ordine e razionalità in qualcosa che gia esiste (obiectum affectum → l’oggetto esiste in precedenza e viene modificato dall’azione). Fin qui, la parola organizzazione è percepita come qualcosa di positivo, essendo la risposta umana a un compito complesso, a una domanda che chiede l’utilizzo di una ratio. Purtroppo, spesso il rapporto esistente tra organizzazione e domanda si rompe; in questo caso l’organizzazione diventa pura ratio. La nozione di organizzazione investe ogni campo della vita dell’uomo → in ambito linguistico, organizzazione = codice. Tentazione codicocentrica nel corso della storia: • Strutturalismo classico — in questa fase il codice si configura come sistema di segni; la lingua viene ridotta a sistema di regole per il funzionamento degli elementi. • Sintatticismo chomskiano — il codice diventa un sistema di regole comportamentistiche piu generali, relative alla combinazione delle parole. • Regole conversazione li griceane — codice inteso come come sistema di regole ancor piu generali per lo scambio conversazionale. IL LESSICO risente di una forte riduzione codicocentrica, che traspare in particolare modo nel momento dell’apprendimento, visto come semplice “addestramento” al codice. Nel lessico esiste un forte principio organizzativo; organizzazione e sistematicità sono ancorate alla realtà (Ex. Fenomeno della deissi → modalità di significazione aperta, in attesa di ricevere compimento attraverso l’aggancio alla situazione comunicativa → continuo riferimento alla situazione