Scarica Riassunti del manuale Palumbo sul Romanzo; Riassunti del Piacere di D'Annunzio; Riassunti del Piccolo mondo antico di Fogazzaro e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 ROMANZO EPISTOLARE: FOSCOLO Foscolo riflette sul romanzo in SAGGIO DI NOVELLE DI LUIGI SANVITALE e in SAGGIO SULLA LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA; accanto a questa riflessione vanno collocati altri scritti che analizzano il rapporto che si stabilisce tra LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS e la produzione narrativa precedente. Egli si preoccupa di stabilire cosa distingua il proprio romanzo dalla serie di prodotti italiani ed europei precedenti o contemporanei. SAGGIO DI NOVELLE DI LUIGI SANVITALE, scritto nel 1803, è successivo di un anno alle ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS. Il saggio ha lo scopo di sistemare il concetto di romanzo nella costellazione molto varia delle forme letterarie. Innanzitutto egli si impegna a definire natura e carattere della poesia, in modo da riuscire a segnalare uno scarto quantitativo tra il genere poetico e quello romanzesco. Al romanzo egli affida una funzione di mimesi storica, ovvero la funzione di restituzione integrale di un’epoca. In senso proprio il romanzo riguarda direttamente la contemporaneità, non racconta la vita del passato, ma affonda le radici nel tempo storico che lo ha generato. Foscolo sostiene che nel romanzo debbano entrare i sentimenti, le passioni, la maniera di pensare, e in generale concetti della politica, della religione e della letteratura intesi come prodotti del nostro secolo, della contemporaneità. Foscolo rifiuta quindi il romanzo storico, poiché romanzo del passato, ed esalta le prerogative del romanzo che parla del periodo contemporaneo, che mostra al lettore ciò che riguarda il suo tempo. Un romanzo del genere è inteso da Foscolo come erede dell’antica novella. Il romanzo si differenzia da tragedia, storia, epica e lirica in quanto queste forme presuppongono un atteggiamento di separazione dal presente; invece il vero romanzo deve essere lo specchio della società attuale. Il romanzo per lui deve nutrirsi di storia recente, di società e politica attuali. Anche la lingua deve rispecchiare questo meccanismo, in quanto il romanziere deve adottare la lingua del suo tempo, la lingua della società contemporanea. Per Foscolo poi il romanzo deve coinvolgere la società attraverso i singoli individui, ovvero deve avere come protagoniste le vicende dei singoli, ma esse devono rispecchiare la società. Egli nelle sue riflessioni di preoccupa di rivendicare l’originalità della sua opera (l’Ortis) rispetto alle produzioni 700esche. Stabilisce quindi l’impossibilità di un confronto tra la novità portata dal suo romanzo e il corpus degli scritti precedenti. L’ORTIS si caratterizza appieno come romanzo poiché, attraverso le allusioni alla caduta della Repubblica Veneziana, trasmette ai lettori l’immagine di una realtà contemporanea che riscuote profondo interesse sulla società italiana. Inoltre egli sostiene che l’Ortis è il primo libro capace di indurre le donne e il gran pubblico all’attenzione delle cose politiche. Ovviamente al centro della trama deve esserci un protagonista, un individuo che possa rispecchiare la società. Il romanzo non si basa sulle sorprese della trama o sulla varietà degli intrecci, che attirerebbero la curiosità superficiale del lettore, ma piuttosto sulle oscillazioni di un’anima, quella di Jacopo appunto, esposta ai mutamenti della storia contemporanea, e quindi capace di essere lo specchio della società. I turbamenti, le inquietudini, le disillusioni e le speranze diventano i contenuti autentici e realistici che occupano lo spazio del racconto. Connessione tra Foscolo, Rousseau e Goethe le relazioni e le opposizioni tra questi scrittori per forza di cose costituiscono un punto centrale nella vicenda del romanzo moderno. Fu proprio Foscolo il primo ad analizzare davvero le differenze presenti tra la NOUVELLE HELOISE, l’ORTIS e I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER. Nel 1816 in NOTIZIA BIBLIOGRAFICA, una guida e una analisi della recente tradizione narrativa, egli analizza le differenze e i punti di contatto tra i vari scrittori moderni e le loro opere. Foscolo, parlando di lui, di Rousseau e di Goethe parla di una tipologia specifica di romanzo, fatta di assenza di strani avvenimenti e complicate vicende, ma anche di mancanza di diletto per i lettori derivato dalla assenza di inaspettate catastrofi. Quindi egli parla di una precisa morfologia narrativa, in cui le caratteristiche tipiche del racconto d’avventura sono inessenziali, sono abolite. Il legame col lettore non avviene mediante vicende avvincenti, l’interesse non dipende dall’originalità della trama, bensì dalla rappresentazione verosimile e analitica dei sentimenti e dei turbamenti dei personaggi (che Foscolo riassume col nome di affetti). Al centro dell’opera è posta la quotidianità dei personaggi, l’evoluzione della loro coscienza e del loro stato d’animo. Il romanziere quindi si concentra non su avventure meravigliose, ma su pochi eventi ordinari e quotidiani che abbiano ripercussioni sentimentali e psicologiche sui personaggi. Da tutto ciò deriva un effetto particolare su chi legge, dato che Foscolo sostiene che la sostanza dell’Ortis e del Werther penetra le anime dei lettori, poiché sono romanzi dotati di potenza massima. L’essenza del nuovo romanzo quindi è quella di offrire al lettore sensazioni ed emozioni vere, reali, quotidiane, poiché il romanzo rispecchia la società. Non è un caso quindi che Foscolo in Rousseau e in Goethe modelli: essi incarnano una via particolare nell’evoluzione del romanzo; ciascuna di queste vie mette in scena gli stati d’animo dei personaggi, ma lo fanno in modo distinto. La Nouvelle Heloise presenta più voci narrative e ciò provoca nel lettore distacco e riflessione. Il lettore assiste agli stati d’animo di vari personaggi, al mutare dei loro pensieri e comportamenti. Egli riflette sull’interiorità dei vari personaggi, che a loro volta nel romanzo analizzano la propria interiorità. Agli occhi di Foscolo però vi è un limite da superare i personaggi di Rousseau sono eccessivamente caratterizzati dall’etica, sono sottomessi ad essa. Controllano gli impulsi del desiderio, sacrificano questi impulsi in nome di un codice etico e quindi è come se non vivessero; appaiono personaggi dotati di saggezza che però vivono nel presente con eccessiva idealità e ragione. Per Foscolo il romanzo è per lettori concreti colti nella quotidianità, quindi i personaggi della trama devono essere più quotidiani, più veri. Un’astrazione ideale eccessiva come quella dello scrittore francese deforma l’essenza del romanzo poiché allontana dalla realtà. Foscolo dice che gli impulsi naturali filtrati attraverso la ragione diventano innaturali, irreali. La perfezione morale di Rousseau è una trappola da evitare, mentre da ricercare è maggior concretezza: i personaggi devono essere segnati dall’esperienza reale, dal dolore, da vicende esistenziali. Jacopo Ortis è appunto segnato dal suo tempo, è reale, ha passioni, sentimenti (terrore, disperazione, collera) e turbamenti che rispecchiano il tempo in cui vive. La scelta di Goethe invece appare più vicina all’idea fosco liana di romanzo, poiché descrive gioie e affanni dei personaggi in modo concreto e reale. Se Foscolo deve trovare un precedente a cui il romanzo si avvicina, soprattutto per quanto riguarda il realismo degli stati d’animo dei personaggi, non può che pensare al Decameron di Boccaccio. Boccaccio descrive i costumi dei suoi tempi, la politica, gli usi, le feste, gli abbigliamenti e la società. Foscolo quindi riprende questo disegno, ma lo muta e lo evolve in quanto alla funzione di diletto tipica del Decameron sostituisce la funzione morale e civile del suo romanzo. Il piacere del racconto boccacciano quindi è superato dalla verità/serietà storica che l’opera foscoliana porta con sé. vi è un codice universale, che vale per tutti. Egli si affida quindi a regole desunte dalla sua esperienza vissuta, regole che diventano la guida per ogni decisione, sua e degli altri. Padron Ntoni ha una duplice identità: 1. È colui che si affida alle leggi e alle regole imparate durante la sua esistenza; quindi è saggio. 2. È colui che rifiuta il nuovo: ignora qualsiasi alternativa al mondo e alle regole che gli appartengono. Il passato quindi è l’unica realtà che gli appartiene. Il nuovo porta al disordine. Mutare l’ordine delle regole comportamentali è per lui una strada da evitare assolutamente. Vi sono quindi, all’interno del romanzo, radicali opposizioni: vecchio e nuovo, passato e presente, ordine e disordine, tradizione e cambiamento. Queste opposizioni incarnano l’opposizione bene- male. Sulla base di queste opposizioni si svolge il contrasto tra il senex, Ntoni, e il puer, stanco di appartenere a un mondo antico che non sente suo, desideroso di cambiamento. L’universo in cui si riconosce padron Ntoni ruota attorno a pochi ma saldi principi, fissi nel tempo, immutabili, come veri comandamenti: lavoro, solidarietà familiare, amore inteso come matrimonio e procreazione, collaborazione reciproca. Sono questi i presupposti che tengono unita la famiglia. Il paese della famiglia è Aci Trezza. Fondamentale risulta essere la casa della famiglia simboleggia protezione, rifugio. Essa assume anche una identità, poiché viene detta casa del nespolo. La solidità di questo mondo (casa, famiglia…) vacilla quando irrompe la storia, ovvero la realtà esterna, concreta e oppressiva storia che si incarna nella forma oppressiva del nascente stato italiano: stato che richiede l’obbligo della leva militare, impone tasse pesanti. La storia fa si che il micromondo ideale della casa e della famiglia si scontri con la realtà esterna, che va a scombussolare le vite dei personaggi e in generale del piccolo paese dal punto di vista politico ed economico. Gli eventi esterni hanno quindi un grande peso sul mondo dei malavoglia, infatti nel 1863 Ntoni è chiamato alla leva e quindi la famiglia resta priva di questa figura. L’intera famiglia è in crisi ed è proprio padron Ntoni a richiamare la famiglia all’ordine e alla speranza, i suoi principi. Contro di lui però di leva una voce: quella di Ntoni il giovane, che nel sistema dei personaggi costituisce l’eccezione, poiché rivendica un’altra vita, nuova, diversa da quella predicata da padron Ntoni. Egli ad esempio critica il risparmio ed è attratto dal consumo. La casa, intesa come nido, luogo protettivo, diventa per il giovane una trappola, che lo lega a valori che non condivide e quindi lo esclude dalla felicità. Contrasto quindi tra: casa, lavoro, povertà da una parte, ozio, desiderio di possesso e di consumo, liberazione dal passato dall’altra. Sono antitesi che non prevedono punti di incontro, di compromesso. Padron Ntoni reagisce in maniera sdegnosa alla voglia di nuovo. I due Ntoni sono quindi veri antagonisti, e la loro opposizione avrà conseguenze sulla casa e sugli altri personaggi. I due mondi collidono. Il ruolo del tempo nei Malavoglia è il tempo che diventa protagonista: il tempo storico assume una nuova prospettiva poiché non è più quello immutabile e stabile desiderato da padron Ntoni, ma diventa lineare, si evolve poiché dalla stabilità si passa al nuovo e quindi il tempo storico assume una dimensione tragica che va a rovinare il mondo di padron Ntoni. I nuovi impedimenti che caratterizzano la narrazione eliminano l’ordine precedente e creano una nuova struttura storica- temporale. Questo tema ha il suo punto più tragico nel distacco di padron Ntoni e del suo codice di vita dalla realtà familiare. La morte di padron Ntoni indica dunque la perdita dei valori sui quali la famiglia di basava. Egli sembra addirittura morire due volte, con atteggiamento diverso: 1. La prima morte va in scena nel capitolo X: sembra un congedo sereno dalla vita. L’allontanamento dal mondo dei vivi è vissuto come fatto naturale, normale, senza rammarico. Chi sta morendo sa che i suoi codici, le sue regole e la sua saggezza vivranno nei vivi. Egli è raffigurato a letto coi familiari attorno, e consiglia ad ognuno cosa fare, come agire in futuro. La stabilità della casa e della famiglia così perdurerà e non ci saranno cambiamenti. Dopo aver dato le disposizioni alla famiglia può morire senza rimpianti. 2. Al capitolo XV la morte viene descritta con una intensità drammatica diversa. Verga presenta un personaggio cupo, schiavo del passato. Le sue regole e i suoi codici ormai sono sentiti come bizzarri e strani. È un personaggio decaduto. Qui la morte non è raffigurata come naturale, bensì come liberazione da un mondo ormai diverso rispetto al quale egli era abituato: senso di estraneità. Egli è solo, muore senza disposizioni da dare agli altri Verga descrive, con la morte di Ntoni, la morte di un mondo che non c’è più, la morte di un codice culturale ormai passato. La morte qui porta ad una totale disillusione: consapevolezza che il mondo sperato da padron Ntoni non esiste più. In sostanza agli occhi di Verga con la morte di Ntoni si impongono egoismo e voglia di accumulo smodato di ricchezza su solidarietà e risparmio. Si passa da un Ntoni a un altro: il giovane ha lo stesso nome, ma ha una visione della vita diversa, con valori opposti. Il giovane non ha più legame col paese, con la casa o con la famiglia. La morte solitaria e tragica di padron Ntoni porterà poi alle morti solitarie nel prossimo romanzo di Verga, Mastro don Gesualdo. C’è quindi una linearità tra i due romanzi, poiché l’epilogo dei Malavoglia porterà direttamente alle sofferenze e alle angosce descritte nel romanzo successivo. La morte diviene sconfitta, fallimento. 4 L’ESLCUSA DI PIRANDELLO L’ESCLUSA è un romanzo scritto nel 1893 ed è pubblicato nel 1901; viene poi rielaborato nel 1908 e infine nel 1927. Questa serie di date mostra come il romanzo moderno, nato a fine 800, si sviluppi pienamente nel 900 e quindi si evolva. Il romanzo pirandelliano infrange la regola della vicenda prevedibile e regolata da una legge di ordine. Infatti qui dominano casualità, imprevedibilità della vicende umane. Il percorso dei personaggi e delle loro vite diventa quindi caratterizzato da probabilità, possibilità e incertezza. Il tema che Pirandello mette in gioco è quello del conflitto tra norma ed evento ovvero tra un percorso univoco del romanzo (a suo dire falsificante) e la casualità della vita. Pirandello vuole mettere in mostra i microeventi della vita, che tuttavia sono decisivi, vuole rappresentare un gioco di asimmetrie e dissonanze che si scontrino con le semplificazioni artificiose false e irreali. Quest’arte viene chiamata UMORISMO. Nell’Esclusa, il suo primo romanzo, egli fa capire come possano essere attimi singoli improvvisi, microeventi occasionali, a stravolgere i destini dei personaggi e quindi l’ordinata struttura della trama. Dal personaggio pirandelliano non ci si potranno quindi più attendere comportamenti o gesti consolidati, poiché non ci sarà più stabilità nella trama. Il titolo, come spesso accade in Pirandello, è l’indicatore di un problema o di una condizione. Non descrive una cosa, non illustra un fatto, un evento o un personaggio; bensì allude a una situazione, a un modo di essere. Pirandello vuole cioè alludere a qualcosa di enigmatico, infatti il lettore non trova ciò che si aspetta dalla lettura del titolo. L’Esclusa non richiama un avvenimento o un personaggio, ma richiama una condizione psicologica e interiore, un modo di essere nel mondo in cui non si trova solo la protagonista Marta Ajala, ma anche coloro che le stanno intorno. Titolo che simboleggia l’emarginazione allo stato puro, esclusione dalla vita vera ed autentica. L’Esclusa diventa per Pirandello una direzione da intraprendere simboleggia cioè uno stato di emarginazione ed estraneità a cui saranno soggetti i personaggi nelle opere successive, privi di identità e appartenenza. La trama del romanzo si articola in 2 parti: 1. Nella prima parte il romanzo ruota attorno a una colpa non commessa e agli effetti che ne derivano. 2. Nella seconda parte predomina il desiderio di rinascita e di sfida al giudizio dell’intera comunità. La rinascita e la rivincita però saranno solo apparenti e si arriverà al fallimento totale: l’impossibilità di instaurare qualsiasi relazione. La protagonista si sente esclusa da tutto: ella è esclusa dalla vita, dalla società; si scontra con le leggi che governano la società, leggi assurde e crudeli che implicano l’estinzione di ogni affetto. Marta paradossalmente non è sola, poiché la sua storia si accompagna a quella di altre persone sconfitte, ad altre vittime che scandiscono la storia del romanzo. Basti pensare a suo padre, che è prigioniero in casa sua poiché estraneo nella sua stessa casa, Rocco il marito di Marta, dopo che l’ha scacciata, è costretto a soffrire poiché prigioniero del pregiudizio; Rocco quindi è carnefice ma anche vittima obbligata a obbedire a un codice che non gli lascia via d’uscita. Anche il padre di Rocco è affetto da solitudine. Su ogni personaggio pesa quindi una condizione infelice che fa si che ognuno entri in lotta con sé stesso e contro il mondo esterno. A tal proposito bisogna dire che nel romanzo centrale è l’opposizione tra mondo esterno, collettività e individuo. È infatti la comunità durante la processione dei santi (cap IX) a indicare, a causa dei loro pregiudizi, Marta (e la sua famiglia) immeritevole di far parte del gruppo, della comunità. Lo spazio domestico e le persone nella casa sono aggredite, oppresse. È un conflitto che segna l’impossibilità di difesa dal mondo esterno e dai pregiudizi. Pirandello concretizza la condizione dell’esclusione e del disagio, la materializza si nota nei tratti somatici dei personaggi, nei loro lineamenti (animaleschi), negli spazi in cui vivono (angusti, oppressivi). Vi sono quindi delle deformazioni estetiche e comportamentali che concretizzano la condizione di emarginazione. Pirandello mostra la difficoltà di sopravvivere indipendentemente dal luogo: Marta va a Roma, desiderosa di maggiore libertà. Tuttavia i rapporti con le persone non mutano è sempre presente una solitudine patologica, estrema. La solitudine diventa sia subita che cercata, poiché Marta è lasciata sola dai familiari, ma allo stesso tempo non riesce a sopportare il contatto con altre persone, Tutto ciò serve a esaltare per contrasto ogni singolo particolare, permettendogli la massima forza allusiva. La storia prende avvio quando l’evento scatenante della vicenda è già accaduto (la falsificazione della firma sotto una cambiale). Nel romanzo l’esposizione dei fatti non serve a introdurre elementi inediti, ma disegna solo l’avanzare verso l’inevitabile catastrofe. In questo intervallo, tra evento scatenante e fine tragica, i personaggi attendono il compiersi del loro destino, consci della loro emarginazione dalla società. Essi (Giulio e Niccolò Gambi) si isolano nello spazio della loro libreria, che diventa sia rifugio che prigione. Giulio si suicida impiccandosi li, mentre Niccolo per poco non lo imita. Nella configurazione del testo è esclusa ogni possibilità di salvezza. I personaggi sembrano impegnati a guadagnare tempo, a resistere fino all’ultimo con vani sforzi. Come in una partitura teatrale prevalgono dialoghi, continui, rapidi e fitti. Il romanzo quindi sembra una messa in scena di una rovina già compiuta, già destinata a compiersi. Il punto di vista è quello di un narratore esterno onnisciente. Egli riporta le azioni dei personaggi, le parole loro e i loro comportamenti senza pathos, in maniera oggettiva e neutra e impassibile. Tozzi descrive poi un paesaggio urbano da fine della civiltà, ingombro di spazzatura, degradato, abbruttito. 2 elementi disumani caratterizzano i personaggi: 1. Voglia di cibo la voracità domina le loro azioni, essi sembrano non poter vivere senza il pensiero del mangiare. Non han limiti. Più sentono che vanno verso la fine, verso un abisso, più mangiano; per questo mangiare è legato direttamente al morire. 2. Ridere una risata isterica e animalesca che mostra il disordine mentale dei personaggi. 7 GENEALOGIA DI SVEVO Svevo scrive 3 romanzi: UNA VITA (Alfonso Nitti), SENILITA (Emilio Brentani), COSCIENZA DI ZENO (Zeno Cosini). Egli viene visto come un vero e proprio caposaldo nella storia letteraria in quanto tenta di sviluppare una scrittura che riesca a dominare il caos, che gli dia forma ovvero una scrittura che dia forma a stati d’animo molteplici e complessi, ambigui, informi e spesso contraddittori. Egli tenterà cioè di esplorare i confini profondi della coscienza dei personaggi con una grande limpidezza espressiva. Per parlare dello stile di Svevo bisogna innanzitutto parlare delle sue origini triestine: Trieste era un luogo eccentrico, dati gli elementi eterogenei dai quali era formata; il commercio e la dominazione straniera l’hanno resa un crocevia di popoli e culture, non vi era una identità etnica precisa. Elementi slavi, italiani e tedeschi convivevano senza tuttavia fondersi. Svevo stesso definiva Trieste come crogiolo. Essere di Trieste significava per Svevo, come anche per Saba, vivere in una condizione emarginata, ma allo stesso tempo significava essere un precursore, poiché l’essere fuori dal tempo poteva creare quella condizione mentale di profonda riflessione riflessione sulla vita vera e concreta, sulla realtà contemporanea. Il rapporto di Svevo con le teorie filosofiche egli riprese idee filosofiche da Darwin, Shopenauer, Nietzsche e Freud, le analizzò e le reinterpretò adattandole in maniera funzionale ai suoi scritti. Le idee di questi personaggi aiutano quindi il romanziere a disegnare la fisionomia dei personaggi, i loro comportamenti apparentemente incomprensibili. Il ruolo di Darwin Svevo riprende da Darwin il concetto di relazioni personali intese come lotta e opposizione. Ovviamente la conseguenza di questa teoria è la divisione degli esseri tra forti e deboli, vincitori e vinti. Concetto che è fortemente presente nei suoi 3 romanzi. Egli però reinterpreta la teoria colui che per Darwin è il forte, il vincitore, per Svevo è invece il debole, poiché colui che ha troppe qualità forti non ha possibilità di evoluzione e miglioramento. Gli esseri invece ritenuti deboli e sconfitti, ovvero gli inetti, per Svevo sono invece i vincenti, proprio perché essendo apparentemente indietro avrà più possibilità di evolversi e migliorarsi. L’animale in salute per Svevo è debole, poiché essendo soddisfatto di sé non potrà godere delle vera vita; l’animale in malattia, l’animale inquieto e inetto sarà invece colui che vivrà appieno la vita, nonostante essa comporti malcontento e angoscia. Il malato non sarà mai prigioniero della fissità, ma sarà mobile, poiché la sua coscienza irrequieta, le sue aspirazioni, i suoi dubbi, le sue incertezze e il suo desiderio lo faranno andare avanti e riflettere. Quindi per Svevo forte non è sinonimo di positivo e debole di negativo, per lui i valori si invertono. La capacità di indagare e l’acutezza non si trovano nella persona “perfetta” i personaggi dell’universo sveviano si muovono dentro questa concezione, e sono quindi personaggi non semplici e banali. Il ruolo di Shopenauer l’autore di Mondo come volontà e rappresentazione come Darwin viene letto e reinterpretato. Svevo accetta il ruolo fondamentale che la volontà ha nell’agire dei personaggi, nei loro comportamenti. La volontà di vivere si configura per Svevo come un impeto, come un cieco impulso, ed è per sua stessa natura infelice poiché si configura come irrequietezza, e sofferenza, ovvero l’opposto di una condizione di riposo. Ecco perché i personaggi sveviani sono sempre sollecitati da spinte e istinti incontrollati. Le lezione shopenaueriana tuttavia è respinta per quanto riguarda le sue soluzioni finali: le vie della ascesi sono infatti viste come miraggi, non hanno consistenza. Non esiste per Svevo e i suoi personaggi un finale positivo e rassicurante come quello proposto dal filosofo tedesco. Il soggetto non potrà mai privarsi della sua angoscia e irrequietezza, ovvero le caratteristiche generate dalla volontà di vivere, e non potrà mai giungere alla piena conoscenza: il dissidio interiore persisterà sempre. Il ruolo di Freud con Freud Svevo percepisce la coscienza come qualcosa di sempre più complesso, come un meccanismo dominato da una pluralità di forze e pulsioni. Quando Svevo nel 1908 giunge alla conoscenza della psicanalisi capisce che il soggetto è ancora più squilibrato interiormente, si rende conto che la soggettività dei personaggi, la loro psicologia, è molto complessa, profonda e stratificata. La psicanalisi per Svevo non si configura come cura, non garantisce salvezze e inoltre il concetto stesso di malattia muta: la malattia non sarà più concreta, bensì sfuggente e indeterminata, proprio a causa della complessità della animo umano. Zeno è in perfetta sintonia con questa descrizione i suoi stimoli si intensificano, le sue irrequietezze raddoppiano. Pretendere di guarire è pura illusione, e anzi per Zeno la malattia deve essere difesa poiché la guarigione condurrebbe alla morte: malattia è sinonimo di vita. Nell’ultimo capitolo del romanzo, cancellata ogni possibilità di cura promessa dalla psiconalisi, Zeno si trova sulla riva dell’Isonzo da solo. Vedendo l’acqua scorrere egli ha una sorta di potenziamento dell’acutezza e della sensibilità stato mentale che egli chiama RACCOGLIMENTO. Il raccoglimento è quindi uno stato mentale che porta ad un grande equilibrio interiore. Zeno infatti pensa che ci sia una possibilità di adesione totale alla vita, pensa che si possa sorridere alla vita e anche alla malattia, senza rimpianti ma anche senza l’attesa di un miglior futuro, quindi senza speranze particolari. Questo processo porta ad accettare qualsiasi tipo di sconfitta e insuccesso e paradossalmente questa accettazione del dolore avrebbe come risultato finale la felicità. Per Zeno si fa importante solamente il presente: le angosce passate precipitano, ma allo stesso tempo le speranze future svaniscono. Questo ordine apparente viene raggiunto da Zeno tramite la scrittura essa permette al personaggio di compiere un’analisi ulteriore di sé stesso, dato che i sentimenti confusi vengono scomposti e osservati tramite la loro trasposizione sulle pagine. Sembra che il personaggio così diventi libero da frustrazioni e risentimenti, che egli abbia una vera e propria rinascita, che consiste nella accettazione di sé e del presente. Non a caso Zeno si definisce uomo del presente. Zeno tuttavia non cessa di essere spinto da impulsi improvvisi: dopo ogni fallimento o angoscia l’irrequietezza persiste, il desiderio è sempre presente e fa si che il protagonista non viva in una calma piatta, bensì in uno stato di agitazione perenne che coincide con la stessa vita una vitalità irrequieta e attiva che porta Zeno a cercare la felicità in ogni momento. Si nota come Svevo prenda i valori precedenti e li capovolga del tutto l’irrequietezza è la vitalità, e quindi la felicità, mentre la calma e l’equilibrio coincidono con la rinuncia alla vita e per questo sono viste come pericolose. 8 SCRIBACCHIARE E SCRIVERE SUL SERIO Tutti i personaggi di Svevo scrivono qualcosa. È un’abitudine che finisce per diventare necessità. È un’attività che fa parte della loro natura. Per Svevo la vocazione alla letteratura è la prima caratteristica tipica dell’uomo “inetto”, poiché simboleggia la presenza di un’anima incompleta e instabile alla ricerca di equilibrio. I personaggi scrivendo cercano di analizzare la propria vita reale e tentano di dare ordine al caos che domina il loro animo. Nel 1899 Svevo (vero nome Ettore Shmitz) dice: non esiste miglior via per arrivare a scrivere sul serio che scribacchiare giornalmente: intende dire che può succedere che ciò che si vuole mettere per iscritto non sia chiaro e ben definito, siano pensieri spesso indecifrabili. Quello che conta è riuscire a portare a galla anche solo frammenti di un pensiero o un’esperienza. Questo passaggio è lo scribacchiare, scrivere senza una particolare forma. Progettare un romanzo significa passare a scrivere sul serio bisogna legare in modo organico e chiaro i vari frammenti distaccati tra loro dello scribacchiare. Il romanzo ben fatto deve avere un suo disegno coerente e deve avere una propria logica. Lo scrivere sul serio è il vero obbiettivo che egli ha, ed è lo stesso obbiettivo che hanno i suoi personaggi, sebbene essi siano condannati a dover solo scribacchiare. Nessun personaggio riesce a fare il salto qualitativo da una tipologia di scrittura all’altra. Alfonso Nitti in Una Vita si impegna a comporre un romanzo e un trattato, ma lo stesso narratore definisce gli scritti di second’ordine, mediocri, poiché Alfonso non riesce a creare, a partire dalle idee e dai sentimenti espressi dallo scribacchiare, un testo coerente e di buon livello. Sulla carta restano solo abbozzi, materiale non raffinato. Egli si impegna, ma non perviene a buoni risultati e non riesce a far il salto di qualità. Anche Brentani, in Senilità, fallisce come romanziere. Zeno prova a scrivere, ma anche lui non scrive sul serio, scribacchia, e oltre ciò egli non sa andare. Quindi c’è il